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Introduzione

Introduzione

Ogniqualvolta si parli di razzi o veicoli spaziali il primo elemento a cui si pensa e che caratterizza tali veicoli è il sistema propulsivo; questo che all'apparenza può sembrare un complesso potente e infallibile è in realtà un sistema molto sofisticato il cui delicato funzionamento viene accuratamente studiato per garantirne il corretto funzionamento nelle diverse condizioni operative che si possono presentare.

La propulsione chimica è attualmente l'unica tecnologia capace di generare la spinta necessaria al lancio nonché alla propulsione primaria della maggior parte dei veicoli spaziali; molti studi sono tuttora in corso per migliorarne le prestazioni cercando anche di diminuire i costi legati alla produzione di questi sistemi. Uno dei modi per contenere i costi di produzione di un veicolo spaziale consiste nel far sì che esso sia riutilizzabile, dopo una certa manutenzione, per più missioni; in questo modo si avrebbe un ulteriore guadagno grazie alla possibilità di effettuare lanci frequenti. La ricerca del “riciclo” ha portato nuovo interesse per la propulsione a propellente liquido a svantaggio quella a solido che spesso non consente un riutilizzo.

Turbopompe

Un elemento essenziale per molti dei sistemi propulsivi che impiegano un propellente liquido è la turbopompa che gestisce l'alimentazione del carburante. Spesso a monte della pompa principale si trova un induttore il cui ruolo è quello di comprimere un fluido la cui pressione statica può essere prossima alla pressione di vapore. I combustibili impiegati per la propulsione liquida infatti sono immagazzinati a pressioni relativamente basse per limitare il peso che dei serbatoi più robusti richiederebbero; inoltre quando il carburante lascia il serbatoio subisce un ulteriore caduta di pressione a causa dell'attrito lungo i condotti e dell'accelerazione prima della pompa. Se il carburante giungesse direttamente dal serbatoio alla pompa principale in tali condizioni di bassa pressione si potrebbe sviluppare cavitazione, i cui effetti nocivi sono meglio discussi nel seguente paragrafo. Impiegando a monte della

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pompa principale un induttore è possibile effettuare una prima compressione del carburante migliorando le prestazioni del motore, diminuendo il carico di lavoro sulla pompa ed aumentandone la vita operativa in quanto essa sarebbe altrimenti esposta a forme di danneggiamento come quella per erosione cavitante. Per riuscire ad effettuare la compressione del fluido a bassa pressione limitando la cavitazione gli induttori hanno una particolare geometria: i canali tra le pale sono lunghi e stretti, le pale sono sottili e piatte anche alle estremità. Generalmente le palette dell'induttore che per prime incontrano il fluido sono lievemente piegate verso l'interno soprattutto all'apice della paletta.

Le prestazioni delle turbopompe possono essere fortemente limitate dagli effetti della cavitazione e dalle forze rotodinamiche del fluido di lavoro, tanto da portare l'intero sistema propulsivo all'instabilità (Brennen, 1994) o persino al collasso (Jery et al. 1985, Brennen et al. 1988a e 1988b, Franz et al. 1989 ).

Le instabilità che si manifestano nel sistema di alimentazione del propellente sono strettamente legate all'andamento dinamico della turbopompa, specialmente in presenza di cavitazione. Seguendo un'approssimazione lineare, le proprietà dinamiche caratteristiche di un induttore o una turbopompa sono rappresentabili attraverso la corrispondente matrice di trasferimento che mette in relazione i valori complessi delle oscillazioni di pressione e portata delle sezioni di aspirazione e scarico. Precedenti studi hanno dimostrato che i valori della capacità (o complianza) e del fattore di guadagno di massa (mass flow gain factor) della turbopompa hanno un'influenza fondamentale sulla stabilità dell'intero sistema di approvvigionamento del propellente (Tsujimoto, 2001). Recentemente si è dimostrato che la resistenza della pompa determina le condizioni per cui si presenta pompaggio da cavitazione o

cavitation surge (Kawata et al., 1988); sperimentazioni hanno inoltre dimostrato che

imponendo un'oscillazione del fluido nel sistema di pompaggio si può avere il passaggio da condizioni stabili a instabili a seconda della frequenza dell'oscillazione imposta (Bhattacharyya, 1994; Kawata et al., 1988). Non si hanno invece sperimentazioni che verifichino l'influenza della cavitazione termica sulle matrici dinamiche di induttori e turbopompe cavitanti, sebbene si sia da molto tempo riconosciuto che questa abbia un ruolo fondamentale nel ritardare e moderare la formazione della cavitazione, limitando quindi anche l'ampiezza delle instabilità nel fluido (Stahl & Stepanoff, 1956; Ruggeri & Moore, 1969; Brennen, 1994; Zoladz, 2000; Fruman, 2002; Yoshida et al., 2006A e 2006b).

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Instabilità nelle turbopompe

La cavitazione può favorire la generazione di oscillazioni e fornire la capacità necessaria a provocare instabilità rotodinamiche e/o fluido-meccaniche (Sack and Nottage, 1965; Natanzon et al., 1974; Brennen and Acosta, 1973, 1976; Ng and Brennen, 1978; Braisted and Brennen, 1980; d'Auria, d'Agostino and Brennen, 1994, 1995; d’Agostino and d’Auria, 1997) pericolose per le turbopompe o per l'intero sistema propulsivo. Secondo Brennen (1994), tali instabilità possono essere suddivise in tre categorie principali:

● oscillazioni globali;

sono le vibrazioni che possono coinvolgere a partire dalla pompa l'intero sistema propulsivo. Ne fanno parte lo stallo rotante, la cavitazione rotante, il pompaggio, le auto-oscillazioni, la cavitazione instabile sulla palettatura;

● oscillazioni locali;

ne sono esempio le vibrazioni delle pale e le instabilità dovute a interazioni tra rotore e statore o al distacco di vortici o alle oscillazioni causate dalla cavitazione;

● instabilità causate da forze rotodinamiche o radiali;

queste sono forze perpendicolari all'asse di rotazione o tangenziali che possono generarsi da un'asimmetria cilindrica del flusso in ingresso alla pompa o da un moto eccentrico del rotore.

Nei seguenti paragrafi sono esaminate più nel dettaglio le principali forme di instabilità. Stallo rotante

Questo fenomeno si manifesta in una cascata di pale che lavorano con un angolo di incidenza molto elevato, prossimo al limite di stallo. Generalmente tale condizione implica che la pompa stia lavorando con una portata di flusso particolarmente bassa, in un punto operativo vicino al massimo della curva caratteristica non cavitante. Lo stallo si origina su una delle pale della pompa e si propaga assialmente con una velocità di rotazione equivalente al 70-80% della velocità di rotazione della pompa.

Lo stallo rotante si manifesta più frequentemente nei compressori che presentano un alto numero di pale, ma è stato osservato anche su pompe con 3 o 4 pale, e soprattutto in quelle condizioni per cui la curva caratteristica della pompa presenta una pendenza positiva.

Il primo a studiare questo fenomeno fu Murai (1968) che lo aveva osservato su un compressore assiale a 18 pale propagarsi con una velocità variabile tra il 45 ed il 60% di quella della pompa. Nella sua ricerca egli rilevò inoltre che lo stallo rotante ed in particolare

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la sua velocità di propagazione è influenzata dalla presenza di cavitazione. Cavitazione rotante

Pompe e induttori che usualmente non manifestano stallo rotante in condizioni non cavitanti possono essere invece sensibili alla “cavitazione rotante” quando lavorano a numeri di cavitazione più bassi. Questo fenomeno, per quanto appaia simile a quello di stallo rotante, presenta delle differenze significative: la cavitazione rotante si manifesta quando la curva caratteristica della pompa ha un'inclinazione negativa (una zona considerata “stabile” in assenza di cavitazione) con un numero di cavitazione pari a 2 o 3 volte quello di breakdown. La cavitazione rotante si presenta generalmente a frequenze supersincrone (in questo caso si dice avere una “rotazione posigrada”) pari cioè a 1.1 o 1.2 volte la velocità di rotazione della pompa, ma si trova anche a frequenza subsincrone (“rotazione retrograda”). La frequenza della cavitazione rotante non è costante ma tende ad un valore sincrono per bassi valori del numero di cavitazione (Zoladz, 2000; Tsujimoto, 2001).

Studi recenti hanno dimostrato che l'interazione tra il vortice all'apice di una pala e la pala successiva è il principale meccanismo per cui si ha la generazione della cavitazione rotante (Kimura er al., 2006; Kang et al., 2007).

Altre instabilità rotanti

Due forme di instabilità di tipo sincrono molto frequenti sono la cavitazione stazionaria antisimmetrica e la cavitazione a pale alterne. La prima, detta anche attached uneven

cavitation, si manifesta con una zona cavitante di lunghezza differente sulle diverse pale; per

questo viene spesso considerata come un'instabilità sincrona locale, limitata ad una “cella” tra le pale. La cavitazione a pale alterne invece si manifesta sulle pompe con un numero di pale pari; potrebbe perciò essere considerata un'instabilità di una coppia di celle, e la sua frequenza è circa il doppio della velocità di rotazione dell'induttore.

L'instabilità definita cavitazione del vortice di ritorno (backflow vortex cavitation) che fu individuata per la prima volta da Tsujimoto (1997), si origina per bassi valori del coefficiente di flusso; essa presenta delle celle cavitanti che si formano in un vortice di riflusso e che ruotano ad una velocità inferiore al 20% di quella di rotazione dell'induttore.

Un'altra instabilità molto importante è il bloccaggio rotante (rotating choke) scoperto e studiato da Tsujimoto & Semenov (2002) e Semenov et al. (2004). Questo fenomeno è probabilmente lo stesso identificato nell'induttore del propulsore giapponese H-II e che è stato denominato “stallo da cavitazione rotante” da Shimura et al. (2002) e Uchimi et al. (2003). Il

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bloccaggio rotante è dovuto alla formazione di una zona cavitante che si estende tra le pale bloccando il passaggio del fluido e quindi diminuendo il numero di cavitazione. In queste condizioni la pendenza della curva delle prestazioni dell'induttore può diventare positiva e quindi instabile: il bloccaggio di una singola pala può ruotare, propagandosi alle altre con un meccanismo simile a quello che si verifica in presenza di stallo rotante.

Pompaggio (surge)

Il pompaggio ed il pompaggio cavitante sono fenomeni che non interessano solo la curva caratteristica della pompa ma l'intero sistema propulsivo, possono infatti causare vibrazioni che oltre a limitare le prestazioni delle pompe possono compromettere l'integrità strutturale del motore.

Il pompaggio si manifesta a basse frequenze (tra i 3 ed i 10 Hz) in quelle pompe con curva caratteristica instabile. Un'instabilità molto violenta di questo tipo fu osservata nell'induttore del propulsore giapponese LE-7 (Hashimoto et al, 1997a).

Pompaggio cavitante

Questo fenomeno fu individuato da Brennen (1994) che lo chiamò inizialmente “auto-oscillazione” ma fu rinominato in seguito dai successivi ricercatori; il pompaggio cavitante si manifesta quando l'andamento della curva caratteristica è fortemente negativo, ed è più frequente quando è elevato il carico di lavoro della pompa. Differentemente da quanto avviene per il pompaggio semplice le frequenze di questo fenomeno sono dell'ordine della velocità di rotazione dell'induttore. Il pompaggio cavitante può portare a variazioni del 20% nella spinta del motore e causa spesso delle oscillazioni di lungo periodo nel flusso di ritorno dalla pompa che rendono difficile la simulazione di questo fenomeno con un modello analitico.

Alcune ricerche recenti hanno dimostrato che il pompaggio cavitante influenza la generazione dell'instabilità POGO.

Instabilità ad alta frequenza

Queste instabilità sono state molto sudiate di recente in quanto se ne è riconosciuta la potenzialità distruttiva (infatti le loro frequenze superano la prima frequenza naturale delle pompe come dell'intero sistema di pompaggio). Per esempio si ritiene che la rottura al motore giapponese LE-7 e diverse rotture nei voli di prova dello Space Shuttle siano dovute ad instabilità di questo tipo.

Tsujimoto (2001) affermò l'esistenza di instabilità rotazionali e longitudinali a frequenze

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superiori a 4 volte la velocità di rotazione dell'induttore la cui esistenza è stata confermata dalle sperimentazioni di Fujii et al. (2002).

Effetti termici sulla cavitazione

Le prestazioni degli induttori impiegati nella propulsione liquida, e che quindi generalmente operano con propellenti criogenici come l'idrogeno e l'ossigeno liquidi, sono fortemente influenzate dagli effetti termici dovuti alla differenza di temperatura che si ha tra le due fasi nel fluido, dovuta al calore latente di evaporazione/condensazione necessario alla variazione di volume delle cavità. Tale differenza di temperatura causa a sua volta la variazione della pressione all'interno delle cavità ed influisce quindi sul fenomeno della cavitazione che è fortemente influenzato da tale differenza di pressione. In particolare la diminuzione della pressione del vapore che si ha all'interfaccia tra le due fasi a causa dell'evaporazione rallenta la crescita delle cavità e ciò comporta un miglior pompaggio da parte dell'induttore (Brennen 1994). Ovviamente gli effetti termici sulla cavitazione sono più sensibili nei liquidi come i propellenti criogenici, che sono stoccati in condizione di saturazione con pressione di vapore relativamente alta e per questo mostrano proprietà termodinamiche simili a quelle dell'acqua calda.

Studi sperimentali sugli effetti termici della cavitazione sono stati condotti con prove estremamente costose, volte alla qualificazione di un sistema di propulsione in dimensioni effettive ed operanti con i reali propellenti, oppure più economicamente con prove per similitudine effettuate con acqua calda (Cervone et al., 2005 e 2006) o con liquidi termosensibili come il freon (Franc et al., 2004).

Diversi modelli di correlazione semi-empirici sono stati proposti per definire la relazione tra gli effetti termici della cavitazione e le prestazioni di turbopompe e induttori (Brennen, 1994; Stahl e Stepanoff, 1956; Fruman, 2002; Ruggeri e Moore, 1969; Moore, 1970); tutti si basano su una legge teorica ottenuta da un'appropriata analisi dell'equazione di Rayleigh-Plesset che definisce il “tempo critico” dopo il quale il termine termico nell'equazione risulta predominante nella stessa. Nell'equazione di Rayleigh-Plesset che definisce la dinamica delle bolle sono individuabili un termine “inerziale” ed uno “termico”, il primo è quasi costante, il secondo invece è inizialmente trascurabile ma cresce in proporzione alla radice quadrata del tempo. A seguito di varie sperimentazioni, autori successivi hanno proposto diverse modifiche a questo modello, alcune delle quali erano volte a rendere più semplici le equazioni da

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impiegare per la caratterizzazione della dinamica delle bolle, mentre altre cercavano una correlazione con altri parametri caratterizzanti il fenomeno che non comparivano nell'equazione originale (per esempio la velocità di rotazione della pompa che influenza direttamente il tempo di residenza delle bolle tra le pale). Per quanto si siano definiti dei modelli di scalatura che riescono a predire in maniera soddisfacente il comportamento delle pompe a diverse temperature, non sono documentate sino ad oggi attività sperimentali volte all'individuazione dell'influenza degli effetti termici della cavitazione sulle matrici di trasferimento dinamico di turbopompe e induttori. La conoscenza di questa fenomenologia sarebbe essenziale nella scalatura degli esperimenti sulla cavitazione dalle prove su modelli in scala al funzionamento reale delle turbopompe.

Matrice di trasferimento dinamico

La matrice di trasferimento dinamico di un dispositivo è definita, secondo Brennen (1994), come la matrice che relaziona le quantità fluttuanti (generalmente pressione e portata) al suo scarico con le stesse quantità al suo ingresso. I primi studi analitici e sperimentali volti alla caratterizzazione della matrice dinamica risalgono agli anni '70 (Brennen & Acosta, 1976; Brennen, 1978; Ng & Brennen, 1978). Altri studi più recenti hanno approfondito i precedenti risultati grazie anche a nuove sperimentazioni e simulazioni (Otsuka et al., 1996; Rubin, 2004).

Tradizionalmente, la matrice di trasferimento è lo strumento attraverso cui è possibile risolvere un sistema lineare a parametri concentrati. In particolare la si può impiegare nello studio della dinamica di un sistema idraulico se si può accettare l'ipotesi che le sue dimensioni geometriche caratteristiche siano trascurabili rispetto alla lunghezza d'onda alla frequenza considerata. Quindi si può rappresentare l'andamento dinamico di un componente idraulico come:

{

poutqout

}

=

[

H11 H12 H21 H22

]

{

pinqi n

}

Dove le lettere sovrasegnate indicano che si tratta di oscillazioni di pressione e portata rilevate all'ingresso e all'uscita del dispositivo considerato identificate dai pedici in e out, mentre la matrice composta dagli elementi Hij è la matrice di trasferimento dinamico. La parte reale

negativa di H12 è definita resistenza, mentre quella immaginaria negativa è l'inertanza, la parte

immaginaria negativa di H21 è la capacità o complianza, e la parte immaginaria negativa di

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H22 è il fattore di guadagno di massa (Bhattacharyya, 1994; Kawata et al., 1988).

Obbiettivi della tesi

Studi precedenti hanno reso possibile la definizione della matrice di trasferimento per un qualunque elemento di un condotto idraulico, conoscendone le caratteristiche geometriche e alcuni parametri ottenuti sperimentalmente e, tramite queste matrici, la previsione della propagazione delle perturbazioni. Non è ancora perfetto il modello che definisce la matrice di trasferimento delle turbopompe cavitanti né è completamente nota la relazione tra i suoi elementi e lo sviluppo delle instabilità; per esempio non è ancora chiaro come tener conto degli effetti della temperatura che come già detto possono esser molto importanti. Da una più accurata definizione della matrice di trasferimento dinamico potrebbe essere possibile prevedere il comportamento delle pompe in qualunque condizione di funzionamento.

Gli obiettivi di questa tesi sono perciò:

•valutare la possibilità di caratterizzare la matrice di trasferimento di una generica pompa

tramite rilevazioni sperimentali, sviluppando un modello analitico che rappresenti il comportamento dinamico non solo della pompa ma dell'intero impianto idraulico in cui essa opera;

• ricavare informazioni utili al disegno dell'esperimento, impiegando le considerazioni

analitiche e modellistiche per la realizzazione di simulazioni che forniscano informazioni utili alla scelta preliminare dei componenti necessari alla sperimentazione.

Organizzazione della tesi

Si riassumono di seguito i contenuti dei vari capitoli onde chiarire .

1. Nel capitolo 1 si fa una breve descrizione del circuito idraulico e dell'induttore di riferimento e si definisce la rappresentazione analitica tramite cui simularne il comportamento dinamico.

2. Nel capitolo 2, dopo aver individuato le frequenze naturali del sistema, si studia la risposta del circuito idraulico alle instabilità che vengono introdotte tramite un apposito dispositivo di cui viene discusso il funzionamento e la collocazione.

3. Nel capitolo 3 si spiega come si può ottenere la matrice di trasferimento dinamico dell'induttore dalla conoscenza delle oscillazioni di pressione e portata, a valle ed a monte dell'induttore, valutate in due diverse condizioni di funzionamento e si indaga

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su come ottenere da queste valori sufficientemente diversi tra loro.

4. Nel capitolo 4 viene simulata la sperimentazione che fornirebbe i dati utili alla determinazione della matrice di trasferimento dell'induttore e se ne valutano i risultati. In ultimo sono definiti alcuni dettagli utili alla realizzazione dell'esperimento che confermerebbe i risultati di questa tesi, per esempio è trattata la scelta dei sensori da impiegare per la misurazione delle oscillazioni e degli altri dispositivi utili.

5. Nel capitolo 5 sono tratte le conclusioni.

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