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DISPENSA DI DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI (a cura di Martina Rinaldi)

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DISPENSA DI DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

(a cura di Martina Rinaldi)

Capitolo 1 - L'oggetto

Il mercato finanziario è il luogo in cui vengono scambiati gli strumenti finanziari - e questi ultimi

consistono in una particolare categoria di “prodotti finanziari” caratterizzati dal fatto di essere dei mezzi di investimento di natura finanziaria. Pertanto, in Italia, la disciplina del mercato finanziario è contenuta nel TUF, cioè, nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, istituito con il decreto legislativo 58/1998, a cui si aggiungono: numerosi testi di origine comunitaria, il Testo Unico delle disposizioni in materia bancaria e creditizia e la legge 262/2005 sull'intermediazione finanziaria in senso stretto.

Tradizionalmente, il mercato finanziario si compone di 3 settori: quello bancario e creditizio, quello dell'intermediazione finanziaria non bancaria e quello assicurativo; tuttavia, per capire se sia possibile parlare di un vero e proprio “diritto del mercato finanziario” occorre soffermarsi sulle nozioni di attività finanziaria e di impresa finanziaria.

In pratica, anche se il riferimento alle attività finanziarie figura sia nel 3°comma dell'articolo 10 del TUB (testo unico bancario), sia nell'articolo 18 del decreto legislativo 58/98, in realtà manca una vera e propria definizione di “attività finanziaria”; infatti, in senso lato, nell'attività finanziaria potrebbero farsi rientrare tutte le attività che si riferiscano al mercato dei capitali, mentre in base ad un approccio più selettivo si dovrebbero considerare soltanto le attività che diano luogo ad una vera e propria intermediazione di capitali – e, tra i due approcci, bisogna preferire quello più selettivo.

Comunque, anche la definizione di impresa finanziaria non riflette un'impostazione univoca; e questo induce a pensare che, per poter stabilire se il diritto del mercato finanziario sia un diritto autonomo, occorra

individuarne i confini in negativo. In altre parole: o si decide di sposare la nozione economica di mercato finanziario, oppure si può affermare che al suo interno esista un particolare segmento – cioè, il mercato mobiliare – che comprende tutte le attività, che si riferiscono al mercato dei capitali, ma che sono diverse da quelle bancarie ed assicurative.

La disciplina del mercato mobiliare è frutto di un complesso “diluvio legislativo” che iniziò nel 1974 con l'istituzione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e che si intensificò negli anni 90, con l'introduzione della Legge SIM (1/91), che istituì le società di intermediazione mobiliare, e la legge 84/92, che istituì le SICAV, cioè le società di investimento a capitale variabile. Inoltre, nel 1996 vennero recepite le direttive comunitarie 93/22 e 93/6, in materia di servizi di investimento; e il tratto più significativo della direttiva 22 sta nell'introduzione del principio del mutuo riconoscimento degli

intermediari e nella sua estensione ai mercati regolamentati; così, la legge 52/96 delegò il Governo a recepire queste direttive – cosa che avvenne con il cosiddetto Decreto Eurosim – e comportò l'inizio dei lavori per l'emanazione del Testo Unico del 1998. In pratica, in Italia, la disciplina del mercato dei capitali è stata articolata in due grandi comparti: il comparto bancario e creditizio (di cui si occupa il Testo Unico Bancario del 1993) e il comparto non creditizio (di cui si occupa il Testo Unico del 1998).

Inoltre, nel decennio che va dal 1998 al 2008 si assiste anche ad una radicale trasformazione del ruolo delle Autorità di Vigilanza, a cui sono stati attribuiti dei poteri di indagine e di verifica che travalicano quelli della mera sfera regolamentare per sconfinare in un'area quasi “giurisdizionale”.

In altre parole, i Testi Unici stanno perdendo la loro centralità a causa dell'emersione continua di normative speciali, che, in buona sostanza, stanno conducendo alla disintermediazione del Testo Unico delle

disposizioni in materia finanziaria.

Capitolo 2 – le autorità di controllo sul mercato mobiliare

Le principali Autorità nella disciplina del mercato mobiliare sono: il Ministero dell'Economia e delle

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Finanze, la Banca d'Italia, la Consob e la Commissione di Vigilanza sui fondi pensione, a cui si aggiunge l'IVASS (cioè, l'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni).

L'art.3 del TUB, qualifica il Ministro dell'Economia e delle Finanze come “autorità di vigilanza”, mentre il TUF non dispone di una norma analoga, anche se, in seguito alla sua emanazione, le competenze

regolamentari del Ministro sono state ulteriormente ampliate; infatti, nel settore dei servizi di investimento, può: individuare nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi di investimento e nuovi servizi accessori, indicando quali soggetti possano esercitarli; e, inoltre, può adottare tutte le norme di attuazione e di integrazione delle riserve di attività previste dall'articolo 18 del TUF, nel rispetto delle disposizioni comunitarie. Inoltre, nell'ambito della disciplina degli emittenti, il Ministro può individuare i requisiti di onorabilità e professionalità dei membri degli organi di controllo degli emittenti quotati e può individuare i principi contabili internazionali validi per la redazione del bilancio consolidato – anche se queste funzioni vengono esercitate di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia. D'altro canto, il Ministro dell'Economia e delle Finanze è anche il referente politico della CONSOB (anche se c'è da specificare che la Consob ormai non sia più un organismo subordinato, ma un ente dotato di personalità giuridica; tuttavia, il presidente della Consob: deve informare il ministro sugli atti maggiormente rilevanti, deve sottoporre i regolamenti interni al visto preventivo e deve trasmettere annualmente una relazione sull'attività svolta nell'anno di riferimento.

Invece, la Banca d'Italia è dotata di ampi poteri di controllo, di poteri sanzionatori e di poteri di

regolamentazione dell'attività degli intermediari e dei mercati. Tuttavia, mentre alcune funzioni spettano alla Banca d'Italia in via esclusiva, altre devono essere esercitate di concerto con la Consob in base ad un criterio di riparto che si può definire “funzionale”; infatti: alla Consob spettano poteri relativi al controllo sulla trasparenza, mentre alla Banca d'Italia spettano compiti che attengono al controllo dei rischi; e, inoltre, la Banca d'Italia non ha poteri in materia di emittenti quotati, ad eccezione del caso in cui l'emittente sia rappresentato da una banca (anche se quest'eccezione, a ben vedere, è solo apparente, perchè i poteri della Banca d'Italia sull'emittente quotato non attengono alla disciplina della vigilanza sugli emittenti quotati ma alla disciplina della vigilanza bancaria!).

Quindi, la Consob è un organo collegiale, i cui membri vengono nominati con D.P.R, che vanta ampi poteri in materia di intermediari, mercati ed emittenti; e, inoltre, svolge compiti di controllo in materia di appello al pubblico risparmio, sia con riferimento alle offerte di sottoscrizione e vendita, sia con riferimento alle

offerte pubbliche di acquisto (OPA). Poi, di recente, la Consob ha varato alcune modifiche organizzative, che hanno portato alla sua scomposizione in 2 divisioni: la divisione Informazione Emittenti e la divisione Intermediari, che comprende sia l'ufficio Vigilanza banche e imprese di assicurazione, sia l'ufficio Vigilanza imprese di investimento.

La COVIP, invece, è stata istituita con decreto legislativo 124/93 e svolge le stesse funzioni della Consob e della Banca d'Italia, ma nel settore della previdenza complementare; tuttavia, a differenza delle altre

Autorità, la Covip è sottoposta all'alta vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – che si realizza mediante l'adozione di direttive generali, emanate di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze.

Infine, l'IVASS, cioè l'ex-Isvap, svolge funzioni di vigilanza nei confronti delle imprese di assicurazione e riassicurazione, e quindi viene attratto nel panorama del TUF per tutto ciò che riguardi il comparto dei prodotti “misti” assicurativo-finanziari. Comunque, l'IVASS è presieduto dal Direttore Generale della Banca d'Italia, è composto da un Presidente, da un Consiglio e da un Direttorio Integrato.

Comunque, ai sensi dell'articolo 2 del TUF, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Banca d'Italia e la Consob esercitano i loro poteri in armonia con le disposizioni comunitarie dotate efficacia diretta; infatti, l'articolo 2 non menziona le direttive – anche se l'omissione è dovuta più che altro al fatto che l'attuazione delle direttive non dovrebbe spettare alle Autorità di Vigilanza; inoltre, è da segnalare che le disposizioni comunitarie a cui si riferisce l'articolo 2 non siano soltanto quelle relative alla materia di riferimento, perchè tale articolo dev'essere inteso come rinvio a tutti i possibili princìpi ricavabili dal diritto comunitario. Infatti, l'articolo 3 stabilisce che l'azione delle Autorità debba essere conforme ai criteri di trasparenza, conoscibilità e predeterminazione dei contenuti, precisando che la Banca d'Italia e la Consob debbano stabilire i termini e le procedure per l'adozione dei loro provvedimenti, che sono sempre soggetti a pubblicazione in Gazzetta

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Ufficiale.

Inoltre, dato che esistono più Autorità di vigilanza, sia a livello interno, sia a livello comunitario (di cui sono esempio: l'EBA, l'EIOPA e l'ESMA), è chiaro che debbano esistere anche degli strumenti di cooperazione;

tuttavia, questi obblighi di collaborazione devono essere coordinati con la disciplina del segreto d'ufficio, determinando la necessità di bilanciare due esigenze contrapposte.

Pertanto: ai sensi dell'articolo 4 del TUF, i rapporti tra le Autorità di Controllo sono sottoposti ad un vero e proprio obbligo di collaborazione, che rende del tutto inopponibile il segreto d'ufficio tra Autorità Nazionali, e tra queste ultime e quelle degli altri Stati Membri dell'Unione Europea; e, inoltre, a seguito del

recepimento della MiFID, la Consob e la Banca d'Italia hanno la facoltà di concludere degli accordi di collaborazione anche con Autorità di Stati Terzi.

Invece, i rapporti tra le Autorità di Controllo e i terzi sono regolati in modo diverso. Innanzitutto, per “terzi”

si devono intendere le autorità amministrative e giudiziarie, gli organi preposti alla gestione dei mercati, i sistemi di indennizzo e i sistemi di compensazione e di regolamento. Inoltre, qui non sussiste alcun obbligo di collaborazione, anche se lo scambio di informazioni è consentito, ma solo quando vi sia il consenso del soggetto che le abbia fornite! Tuttavia, questa limitazione non opera quando le informazioni siano state fornite in esecuzione di obblighi di cooperazione internazionale o quando attengano ad informazioni comunicate nell'ambito di procedimenti di liquidazione o fallimento.

In pratica, il segreto d'ufficio è espressamente previsto solo per quanto riguarda la Consob, perchè, infatti, l'articolo 4 stabilisce che la Consob sia tenuta ad osservare il segreto d'ufficio per tutte le notizie, le informazioni e i dati di cui sia in possesso – ma tale segreto non vale nei confronti del Ministro dell'Economia e delle Finanze. E, inoltre, è da considerare che la portata del segreto d'ufficio sia stata ulteriormente ristretta dall'evoluzione della trasparenza amministrativa, che, infatti, consente il diritto di accesso al fine di esercitare il diritto alla difesa del soggetto privato. Infine, il comma 11 dell'art.4 stabilisce che i dipendenti della Consob siano pubblici ufficiali soggetti all'obbligo di riferire le irregolarità constatate esclusivamente alla Commissione, e ciò anche quando queste irregolarità integrino delle ipotesi di reato.

Così, la soluzione più logica sarebbe quella per cui l'Autorità di Vigilanza avrebbe l'obbligo di segnalare i fatti penalmente rilevanti soltanto quando siano stati adottati i provvedimenti necessari per evitare che gli effetti della querela possano compromettere gli interessi degli investitori e dei risparmiatori. Infatti, se così non fosse, il PM sarebbe privato della possibilità di venire a conoscenza della notizia di reato, oppure si genererebbe un'ondata di panico tra i risparmiatori, che non potrebbe consentire una gestione ordinata della crisi.

Capitolo 3 – la disciplina degli intermediari (la vigilanza)

Il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria articola la disciplina degli intermediari su due livelli diversi; e il primo è composto da norme di carattere generale, che si applicano a tutti i soggetti considerabili, quali le imprese di investimento, le società di gestione del risparmio, le SICAV e gli agenti di cambio; mentre il secondo livello comprende norme riferibili soltanto a soggetti specifici o ad attività particolari.

Comunque, il primo livello si compone di 3 settori, che si riferiscono: alle norme in materia di vigilanza, alla disciplina degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale e alla disciplina delle crisi.

Pertanto, le norme in materia di vigilanza attengono: alla vigilanza regolamentare, alla vigilanza

informativa e alla vigilanza ispettiva – e, l'articolo 5 del TUF affida alla Banca d'Italia i profili di vigilanza prudenziale e alla Consob quelli relativi alla vigilanza sulla trasparenza e sulla correttezza dei

comportamenti.

Per meglio dire, la Banca d'Italia è competente per il contenimento del rischio, per la stabilità patrimoniale e per la sana e prudente gestione; inoltre, il 5°comma dell'art.5 impone alle due autorità di operare in modo coordinato “anche al fine di ridurre al minimo gli oneri che gravano sui soggetti abilitati”, mentre l'articolo 5 bis dispone che la Banca d'Italia e la Consob debbano anche stipulare un protocollo d'intesa, volto a

coordinare lo scambio di informazioni.

Comunque, il recepimento della MiFID ha rimodellato la disciplina della vigilanza, stabilendo che questa debba perseguire la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario, la tutela degli investitori, la stabilità e

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il buon funzionamento del sistema finanziario, la competitività e l'osservanza delle disposizioni che si riferiscano alla materia. In pratica, qui è fondamentale il criterio della “sana e prudente gestione” dei soggetti, che è un criterio mutuato dall'ordinamento comunitario, che consente alle Autorità di Vigilanza di elaborare delle valutazioni di carattere tecnico sull'idoneità dei soggetti alla prestazione dei vari servizi.

Inoltre, il termine “sana” deve essere riferito ad una gestione “condotta secondo criteri di redditività”, perchè implica una gestione potenzialmente profittevole; mentre il criterio della prudenza va riferito ad una

gestione tendenzialmente avversa al rischio, o comunque volta al monitoraggio dei rischi nello svolgimento delle diverse attività e servizi.

Quindi, nello specifico, la vigilanza regolamentare riguarda l'emanazione di norme secondarie nelle materie di competenza delle Autorità di Controllo. Poi, in seguito al recepimento della MiFID, l'articolo 6 del TUF enuclea alcuni principi al riguardo, che comportano che la Banca d'Italia e la Consob debbano:

– valorizzare l'autonomia decisionale dei soggetti abilitati;

– riconoscere il carattere internazionale del mercato finanziario e salvaguardare la competitività dell'industria italiana;

– agevolare l'innovazione e la concorrenza;

– e operare in base al criterio della proporzionalità (in base al quale, il potere esercitato dev'essere proporzionato al fine da realizzare)

Questi principi sono generalissimi, tanto che non sembra agevole stabilire quali possano essere gli spazi per contestarne l'effettivo rispetto; e, proprio per questo, il comma 02 è intervenuto per precisare che la Consob e la Banca d'Italia possono prevedere o mantenere obblighi aggiuntivi solo nei casi eccezionali in cui tali obblighi siano obbiettivamente giustificati e proporzionati, tenuto conto della necessità di far fronte a rischi specifici che non siano puntualmente considerati dalle disposizioni comunitarie. Tuttavia, questi obblighi aggiuntivi possono essere disposti solo quando i rischi specifici siano particolarmente rilevanti o quando diventino evidenti in seguito all'emanazione di specifiche disposizioni comunitarie.

Pertanto, l'art.6 stabilisce che la Banca d'Italia, sentita la Consob, debba disciplinare: gli obblighi delle SIM e delle SGR in materia di adeguatezza patrimoniale, gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di deposito e sub-deposito degli strumenti finanziari, i criteri e i divieti nell'attività di investimento, le norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio e le modalità di redazione dei prospetti contabili delle SGR e delle SICAV.

Invece, la Consob, sentita la Banca d'Italia, deve disciplinare gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti, dove la “trasparenza” include: gli obblighi informativi nella prestazione dei servizi di investimento e nella gestione collettiva del risparmio, le modalità e i criteri da adottare nella diffusione di comunicazioni pubblicitarie e promozionali e gli obblighi di comunicazione alla clientela (relativi ad esempio all'esecuzione degli ordini, alla gestione di portafogli o alle operazioni con passività potenziali); invece la “correttezza” include: gli obblighi di acquisizione delle informazioni dai clienti, le misure necessarie per eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti, gli obblighi in materia di gestione degli ordini e le condizioni alle quali possono essere corrisposti o percepiti gli incentivi.

Infine, le materie che rientrano nell'ambito della competenza regolamentare congiunta della Consob e della Banca d'Italia sono individuate nel comma 2 bis, e riguardano gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:

governo societario, continuità dell'attività, organizzazione amministrativa e contabile, procedure per la corretta e trasparente prestazione dei servizi di investimento e della gestione del risparmio, controllo della conformità alle norme, gestione del rischio dell'impresa, responsabilità dell'alta dirigenza e gestione dei conflitti di interesse.

Invece, la vigilanza informativa è regolata dall'art. 8 del TUF e dall'art. 51 del TUB, e consiste nel potere di chiedere ai soggetti abilitati la comunicazione dei dati e delle notizie nei modi e nei tempi stabiliti dalla Consob e dalla Banca d'Italia. Poi, le richieste possono essere generiche o specifiche, fermo restando che non si possano chiedere dati e notizie che rientrino nella sfera di competenza dell'altra autorità. Inoltre, i membri del Collegio Sindacale sono tenuti ad informare le autorità di vigilanza solo dei fatti che possono costituire delle irregolarità o delle violazioni, i revisori hanno il dovere di segnalare i fatti che costituiscano una grave violazione delle norme che disciplinano l'attività delle società sottoposte a revisione, nonché il

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dovere di segnalare i fatti che possano pregiudicare la continuità dell'impresa o avere impatti negativi sul rilascio del giudizio di certificazione.

Infine, la vigilanza ispettiva comporta la necessità di espletare delle ispezioni e di ordinare l'esibizione di documenti; in questo caso, ognuna delle due autorità può comunicare all'altra le ispezioni che siano state disposte, così che la seconda possa chiedere degli accertamenti su profili di propria competenza. Inoltre, in seguito al recepimento della MiFID, il comma 1 bis prevede che la Consob possa chiedere al soggetto incaricato della revisione legale dei conti di procedere a delle verifiche ispettive, e le relative spese possono essere poste a carico del soggetto ispezionato.

Poi, gli interventi sui soggetti abilitati comportano che la Banca d'Italia e la Consob possano: convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti dei soggetti abilitati; ordinare la convocazione degli organi collegiali, fissandone l'ordine del giorno; e procedere direttamente alla loro convocazione. Tuttavia, l'articolo 7 del TUF non precisa gli argomenti che possano essere oggetto di discussione, sicché deve ritenersi valido il criterio del riparto funzionale. Infine, è da notare che prima dell'emanazione del TUF non esistesse una disciplina di vigilanza sul gruppo finanziario NON bancario; così, la disciplina del TUB è stata parzialmente estesa al TUF, tanto è vero che l'articolo 11 affida alla Banca d'Italia il potere di definire la nozione di gruppo, mentre l'articolo 12 specifica che la capogruppo debba emanare le disposizioni necessarie per eseguire le istruzioni impartite dalla Banca d'Italia in materia di vigilanza prudenziale (quindi, è chiaro che occorra considerare la disciplina della direzione e del coordinamento delle società, secondo quanto disposto dagli articoli 2497 e seguenti del codice civile).

Capitolo 4 - la disciplina degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale

La condizione necessaria affinché gli intermediari possano accedere al mercato finanziario consiste nell'essere in possesso dei requisiti di professionalità e di onorabilità, dove: la professionalità risponde all'esigenza di garantire che le attività vengano svolte da soggetti competenti e preparati, mentre l'onorabilità risponde all'esigenza di evitare che sul mercato mobiliare possano operare dei soggetti poco affidabili.

Inoltre, gli esponenti aziendali devono essere anche dotati di indipendenza, così da ridurre il rischio di conflitti di interesse. Pertanto, l'art. 13 del TUF affida al Ministro dell'Economia e delle Finanze il compito di definire questi requisiti, a cui si aggiunge la disciplina delle conseguenze: infatti, se i requisiti vengono meno successivamente al conferimento dell'autorizzazione, non si potrà ricorrere alla revoca; mentre, se la carenza dei requisiti è di ostacolo proprio al rilascio dell'autorizzazione, potrà verificarsi la sospensione o la decadenza.

Le considerazioni che valgono per gli esponenti aziendali valgono anche per i partecipanti al capitale degli intermediari abilitati, ma in questo caso è richiesto solo il requisito dell'onorabilità, perché i partecipanti al capitale non gestiscono direttamente l'impresa, e quindi non è necessario che abbiano competenza nel settore.

Quindi, per le banche, le SIM, le SGR, le SICAV e le SICAF, è fondamentale accertare la sussistenza dei requisiti di onorabilità dei partecipanti; e quest'accertamento si realizza in tre momenti diversi, che consistono: nel rilascio dell'autorizzazione, nell'acquisto di partecipazioni (intese come azioni o altri strumenti finanziari) e durante la vita normale del soggetto. In pratica, se i requisiti di onorabilità vengano meno, l'art.14 del TUF stabilisce che non si possano esercitare né il diritto di voto né gli altri diritti

amministrativi che consentano di influire sulla società; e in caso di inosservanza, la relativa deliberazione è impugnabile anche da parte della Consob o della Banca d'Italia. Comunque, i requisiti di onorabilità si applicano a coloro che siano titolari di partecipazioni che comportino il controllo o un'influenza notevole sulla società, o che attribuiscano una quota dei diritti di voto o del capitale, almeno pari al 10%. Infatti, in questo caso, è previsto l'obbligo di darne preventiva comunicazione alla Banca d'Italia, e quest'obbligo vale anche quando si superino le soglie del 20, 30 o 50% o quando si realizzi una variazione del controllo.

Tuttavia, è da escludere che l'omessa comunicazione o la violazione del divieto di eseguire l'operazione si possano risolvere nell'invalidità del negozio stipulato: infatti, il legislatore ha previsto delle sanzioni alternative, come la sospensione del diritto di voto e la vendita della partecipazione. Inoltre, sarebbe anche possibile subordinare l'efficacia del contratto alla condizione sospensiva dell'ottenimento dell'autorizzazione,

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così che il contratto possa produrre immediatamente i propri effetti, salvo il loro venir meno nel caso in cui la Banca d'Italia neghi l'autorizzazione.

Inoltre, l'art.17 del TUF stabilisce che la Banca d'Italia e la Consob possano richiedere delle informazioni specifiche ai soggetti che partecipino, direttamente o indirettamente, al capitale degli intermediari – e ciò, indipendentemente dalla soglia di partecipazione al capitale. Inoltre, il recepimento della MiFID ha anche consentito di introdurre delle regole nuove in materia di corporate governance; infatti, il tema della governance degli intermediari era connesso alla sussistenza del requisito della sana e prudente gestione, a cui, tutt'al più, potevano seguire delle esortazioni (dette “moral suasions”) da parte dell'Autorità di

Vigilanza. In pratica, il nuovo testo dell'articolo 6 del TUF include la materia tra quelle che ricadono nella competenza congiunta; infatti, il regolamento congiunto individua 3 ordini di funzioni: quella di

supervisione strategica, quelle di gestione e quelle di controllo, così da realizzare un modello bilanciato, in cui l'assunzione delle decisioni deriva dall'incastro del momento strategico, gestionale e di controllo.

Tuttavia, questi tre momenti non devono corrispondere per forza a 3 organi distinti dell'impresa.

Capitolo 5 – i servizi e le attività di investimento

La disciplina dei servizi e delle attività di investimento è contenuta nel decreto legislativo 58/98, e risulta dal recepimento della Direttiva MiFID (2004/39), avvenuto con il decreto legislativo 164/2007. In pratica, la disciplina dei servizi e delle attività di investimento investe alcune importanti attività che si svolgono nel mercato finanziario, come la negoziazione, il collocamento degli strumenti finanziari e la gestione di portafogli.

Innanzitutto, i servizi e le attività di investimento hanno ad oggetto gli strumenti finanziari, dove la nozione di strumento finanziario è quella che ha sostituito la precedente nozione di “valore mobiliare”. La

differenza sta nel fatto che mentre la definizione del valore mobiliare era molto vaga, quella di strumento finanziario si evince da un elenco di strumenti finanziari, che può essere ampliato solo allorché il Ministro dell'Economia e delle Finanze ne individui di nuovi.

Per meglio dire: i prodotti finanziari comprendono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria (da ciò si comprende che gli strumenti finanziari appartengano al genere del prodotti finanziari, senza però esaurire la categoria). Pertanto, il prodotto finanziario è

necessariamente una forma di investimento e deve avere per forza natura finanziaria: quindi, si deve negare di essere in presenza di un prodotto finanziario se non ci sia un impiego di risorse diretto al conseguimento di un corrispettivo.

Comunque, il 1°comma dell'articolo 2 del TUF comprende due gruppi di strumenti finanziari, perchè, infatti, nel primo gruppo rientrano le attività finanziarie estrinseche, mentre nel secondo rientrano le attività finanziarie intrinseche (cioè, delle forme di investimento costitutive di strumenti derivati). In altre parole, il primo gruppo comprende:

1. i valori mobiliari (cioè, categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, come le azioni o altri titoli equivalenti, le obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i relativi certificati di deposito);

2. gli strumenti del mercato monetario (che consistono in strumenti che normalmente vengono negoziati sul mercato monetario, come i buoni del tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali);

3. e le quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR)

In pratica, quest'elenco non è del tutto chiuso, proprio perché si presta a ricomprendere nuove categorie di strumenti finanziari, assimilabili a quelli espressamente citati. Inoltre, il tratto comune qui è dato dalla negoziabilità sul mercato dei capitali – e quindi: se un titolo è intrasferibile non può essere uno strumento finanziario, mentre se ci sono dei semplici limiti al trasferimento (come le clausole di prelazione o di gradimento), il titolo è, e resta, uno strumento finanziario.

Invece, nel secondo gruppo emergono gli strumenti derivati, cioè degli strumenti che sono potenzialmente rinvenibili sul mercato dei capitali e che presentano determinati indici di “finanziarietà”. In sostanza, i

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derivati sono contratti il cui valore dipende dall'andamento dell'attività sottostante, e possono essere negoziati nei mercati regolamentati oppure "Over the Counter", cioè al di fuori di tali mercati. Pertanto, l'attività sottostante è la variabile da cui dipende il prezzo di uno strumento derivato, e può avere natura finanziaria (di cui sono esempio: i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici di borsa) o reale (come il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, ecc).

Gli strumenti finanziari derivati possono essere simmetrici o asimmetrici. Nel primo caso entrambi i contraenti (acquirente e venditore) si impegnano ad eseguire una prestazione alla data di scadenza, mentre nei derivati asimmetrici, soltanto il venditore resta obbligato a soddisfare la

volontà del compratore; quindi, nei derivati asimmetrici il compratore paga un premio, grazie al quale acquista il diritto di decidere successivamente se eseguire o meno la compravendita dell'attività sottostante.

In Italia, il mercato regolamentato degli strumenti derivati è

denominato IDEM ed è gestito da Borsa Italiana S.p.A, in cui circolano strumenti come i futures, le opzioni e i warrant; mentre i derivati OTC sono negoziati bilateralmente al di fuori dei mercati regolamentati, per cui i contraenti possono stabilire liberamente tutte le caratteristiche dello strumento. Inoltre, un elemento fondamentale dei contratti derivati consiste nella scadenza: e, ad esempio, i contratti su derivati azionari negoziati sull'Idem scadono sempre il 3°venerdì del mese di scadenza, alle ore 9:05.

Infine, questi contratti hanno 3 finalità: di protezione, di speculazione e di arbitraggio; e la differenza tra la speculazione e l'arbitraggio sta nel fatto che: nella speculazione, si negozia lo stesso bene, sullo stesso mercato, a prezzo differente ma in momenti diversi (quindi, rileva il fattore tempo); mentre, nell'arbitraggio si negozia lo stesso bene, su mercati diversi e nello stesso momento (quindi, rileva il fattore luogo).

Comunque, gli strumenti del secondo gruppo possono essere raggruppati in 3 classi:

1. i derivati finanziari (che sono dei contratti che hanno come “sottostante” delle attività, dei tassi di interesse, dei valori mobiliari o delle misure finanziarie; e ne sono esempio: i contratti standardizzati, i contratti swap, i contratti di opzione e i contratti a termine);

2. i derivati su merci (che, invece, hanno come “sottostante” le merci, intese come qualsiasi bene che possa formare oggetto di scambio; tuttavia, questi contratti sono inquadrabili negli strumenti

finanziari solo se la loro funzione sia prevalentemente finanziaria. Ad esempio, la lettera e include i derivati connessi a merci, il cui regolamento avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti o a discrezione di una delle parti - perchè in questo caso, la merce assume un valore di finanziarietà; oppure, la lettera f include i derivati connessi a merci, il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati o su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione; o, infine, la lettera g include i derivati con scopi non

commerciali, il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante - e qui la finanziarietà sta nello scopo del contratto. Ovviamente, per "differenziale" si deve intendere la differenza di prezzo tra il valore attuale del sottostante e il valore pattuito nel contratto, e si genera alla scadenza del contratto derivato, per cui è chiaro che il differenziale possa essere positivo o negativo.)

3. e i derivati esotici (che sono degli strumenti derivati diversi da quelli delle prime due categorie, e che sono stati introdotti con il recepimento della MiFID. In pratica, fanno parte di questa categoria:

gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, i contratti finanziari differenziali, i derivati che utilizzano come sottostante delle variabili e delle statistiche – il cui regolamento avviene attraverso differenziali in contati o a discrezione di una delle parti – ed altri contratti derivati,

connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure diversi da quelli precedentemente indicati. In altre parole, qui la finanziarietà del contratto deriva dal fatto che quest'ultimo sia regolato per

differenziale, sia negoziato su un mercato regolamento o su un sistema multilaterale, sia eseguito mediante stanze di compensazione o soggetto a richiami di margini. Inoltre, nel 2010 è stato previsto che siano contratti finanziari differenziali anche i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza – cioè, i cosiddetti rull-over).

Le principali tipologie di contratti derivati consistono in: opzioni, forward, futures, swap e derivati di credito. E pertanto:

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Le opzioni sono contratti derivati asimmetrici che attribuiscono al compratore il diritto di acquistare o vendere un'attività sottostante entro una certa data e ad un prezzo prestabilito. Gli elementi caratteristici dell'opzione consistono nel sottostante (che può essere una merce o una qualsiasi attività finanziaria, reale o esotica), nella facoltà (perchè il possessore ha la facoltà di acquistare o vendere il sottostante, realizzando rispettivamente delle opzioni call o delle opzioni put, che potranno assumere un valore positivo o nullo, ma non negativo) e nel prezzo di esercizio (detto strike price), che rappresenta il prezzo al quale il possessore dell'opzione può acquistare o vendere l'attività sottostante. In corrispondenza della data di scadenza, il valore dell'opzione coincide con il suo valore intrinseco, mentre nei momenti precedenti il valore dell'opzione è dato dalla somma tra il valore intrinseco e il valore temporale.

Le opzioni europee si caratterizzano per il fatto che il loro possessore abbia il diritto di decidere se esercitare o meno la facoltà di acquisto o vendita in corrispondenza della data del contratto - e questo comporta che le opzioni europee abbiano sempre un valore inferiore rispetto alle opzioni americane, perchè la facoltà dell'acquirente è più limitata da un punto di vista temporale. Di contro, le opzioni americane si

caratterizzano proprio per il fatto che il loro possessore possa decidere di esercitare la facoltà in qualsiasi momento, anche se non è quasi mai conveniente esercitare l'opzione americana di tipo call prima della sua scadenza, perchè se non lo fa può mantenere due benefici: cioè, può posticipare il giorno in cui dovrà versare il prezzo di esercizio e può conservare l'elemento assicurativo tipico di ogni opzione. Quindi, l'unica è eccezione è rappresentata dall'opzione americana "call" scritta su un titolo che paghi dividendi, perchè se il valore del dividendo supera una certa soglia, al possessore sarà conveniente esercitare l'opzione ed incassare sia il titolo sottostante che il dividendo. Infine, le opzioni asiatiche sno meno costose di quelle tradizionali, perchè il calcolo della media tende a diminuire la volatilità del prezzo sottostante.

I contratti forward (cioè a termine fermo) sono contratti derivati simmetrici con cui due parti si accordano per scambiarsi una certa attività, in una data futura e ad un prezzo che viene fissato già al momento della conclusione del contratto. In sostanza, è un contratto di compravendita a termine, che viene negoziato OTC.

Invece, i contratti future sono contratti derivati simmetrici, standardizzati e negoziati sui mercati

regolamentati; e sono contratti con cui le parti si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una certa attività sottostante, ad un prezzo prestabilito e con liquidazione differita ad una data futura.

Lo swap, invece, è un contratto derivato simmetrico, con cui due soggetti si impegnano a scambiarsi

periodicamente delle somme di denaro, che vengono calcolate applicando al capitale "nozionale" due diversi parametri, riferibili a due diverse variabili di mercato.

Infine, i derivati di credito sono strumenti che permettono il trasferimento del rischio di credito da un soggetto all'altro; in pratica, hanno la funzione di gestire il rischio associato ad una certa attività (come un prestito), senza però cedere l'attività stessa. E, inoltre, si scinde il rischio di credito anche da altre tipologie di rischio (come il rischio di interesse, che consiste nell'eventualità che i tassi di mercato si muovano in direzione svantaggiosa per il creditore). Vengono negoziati OTC.

I servizi e le attività di investimento consistono nella negoziazione per conto proprio, nell'esecuzione di ordini per conto dei clienti, nella sottoscrizione o nel collocamento con assunzione a fermo o con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente, nel collocamento senza assunzione, nella gestione di portafogli, nella ricezione e trasmissione di ordini, nella consulenza in materia di investimenti e nella gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

Pertanto, la negoziazione per conto proprio ha ad oggetto l'acquisto e la vendita di strumenti finanziari, in cui l'operazione ha luogo “in contropartita diretta”, cioè incide direttamente sul patrimonio

dell'intermediario; inoltre, la negoziazione ha comunque ad oggetto la conclusione di operazioni in relazione agli ordini dei clienti, tanto è vero che che nella negoziazione per conto proprio rientra anche l'attività svolta dal cosiddetto market maker, che è un soggetto che si obbliga a rispettare determinati livelli minimi di attività, impegnandosi a trasmettere sul mercato un determinato quantitativo di proposte di negoziazione entro certi parametri temporali.

Invece, l'esecuzione di ordini per conto dei clienti (detta anche “negoziazione per conto terzi”) consiste nella ricerca di una o più controparti, in vista dell'esecuzione di un'operazione di acquisto o vendita di un determinato strumento finanziario – e, in tale attività, l'intermediario non impegna posizioni proprie, e

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quindi gli effetti dell'operazione non ricadono nel suo patrimonio. Comunque, la differenza rispetto al collocamento sta nel fatto che l'attività di negoziazione non deve svolgersi necessariamente sui mercati regolamentati, ma, anzi, di solito si svolge proprio sui mercati secondari, perchè ha ad oggetto degli

strumenti finanziari già emessi, e la ricerca delle controparti avviene in vista dell'acquisto o della vendita – mentre nel collocamento, l'offerta ha ad oggetto la vendita o la sottoscrizione degli strumenti finanziari.

Infatti, i servizi di collocamento si sostanziano nell'offerta di strumenti finanziari ad una cerchia di possibili investitori, dove l'offerta avviene sulla base di un accordo preesistente, che intercorre tra l'intermediario- collocatore e il soggetto che emetta o venda gli strumenti finanziari. Quindi, il servizio di collocamento può avere ad oggetto anche la sottoscrizione (cioè, è un servizio che può svolgersi anche sul mercato primario) e, inoltre, l'offerta avviene per forza a condizioni standardizzate, nell'ambito dello svolgimento di

un'operazione di massa. Infine, se il collocatore si accolla il rischio del mancato collocamento degli

strumenti finanziari, possono configurarsi due ipotesi; e cioè: o il collocatore assume l'impegno di acquisire gli strumenti finanziari che non è riuscito a collocare, oppure acquisisce immediatamente gli strumenti, assumendo l'impegno di offrirli a terzi ( = e questa ipotesi si chiama “assunzione a fermo”).

La gestione di portafogli, invece, consiste nella gestione di portafogli di investimento, su base individuale e nell'ambito di un mandato conferito dai clienti. In pratica, i tratti distintivi di questo servizio consistono nell'individualizzazione e nella discrezionalità; infatti, l'investitore affida all'intermediario un patrimonio specifico, che resta distinto sia dal patrimonio dell'intermediario, sia da quello di altri investitori – il che presuppone che vi sia un rapporto personale tra le due parti; e, inoltre, lo svolgimento dell'attività è caratterizzato da margini spesso molto ampi, e questo comporta che il gestore non riceva degli ordini specifici da parte del cliente. Inoltre, il portafoglio di investimenti può comprendere anche beni e attività diversi dagli strumenti finanziari, purché sia composto prevalentemente da strumenti finanziari. Infine, la differenza rispetto alla gestione collettiva del risparmio sta nel fatto che in quest'ultima emerge una struttura soggettiva trilaterale (tra l'investitore, il gestore e la banca depositaria), e, inoltre, la gestione avviene

nell'interesse di una massa indifferenziata di investitori – il che spiega perchè il singolo investitore non possa ordinare o richiedere al gestore di eseguire delle operazioni specifiche.

Ancora, la ricezione e la trasmissione di ordini consiste in un servizio che comprende anche un'attività di mediazione tra due o più investitori, ed è particolarmente utile quando l'intermediario intenda eseguire delle operazioni su mercati in cui non è autorizzato ad operare.

Invece, la consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni

personalizzate, nei confronti di un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo una o più operazioni relative ad uno specifico strumento finanziario.

Infine, la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione è un'attività di investimento (e non un servizio) che si riferisce a sistemi che consentono l'incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita, così da pervenire a dei contratti specifici.

A tutto ciò, si aggiungono i servizi accessori (di cui sono esempio: i servizi di custodia e amministrazione di strumenti finanziari, i servizi di locazione di cassette di sicurezza e i servizi di concessione di

finanziamenti), che possono essere svolti anche da soggetti non abilitati; più precisamente, le banche e le SIM sono autorizzate a prestare tutti i servizi accessori, mentre le SGR possono svolgerne solo alcuni.

Inoltre, gli intermediari abilitati sono tenuti ad osservare delle regole di comportamento e dei vincoli più stringenti rispetto ai soggetti non abilitati.

Capitolo 6 – riserva di attività e accesso

La MiFID è la direttiva UE 2004/39, e ha costituito un passo importante verso la costruzione di un mercato finanziario integrato, perché aveva come obiettivi: la tutela differenziata degli investitori (a seconda del grado di esperienza finanziaria), il rafforzamento dei meccanismi concorrenziali (con l'abolizione dell'obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati) e il miglioramento dei sistemi di governance delle imprese di investimento. Inoltre, la MiFID segue il metodo "Lamfalussy", che prevede 4 livelli regolamentari - e la MiFID corrisponde al primo di questi livelli proprio perché enuclea i principi generali; poi, alla MiFID hanno fatto seguito la direttiva di secondo livello (la MiFID 2, 2006/73) e il regolamento attuativo 1287, che contengono le misure tecniche necessarie per implementare e rendere

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operativo il quadro definito dalla MiFID, che si applica agli intermediari, alle trading venues e ai soggetti che forniscano servizi di consulenza finanziaria.

Comunque, in base a quanto previsto dalla MiFID, l'accesso alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento dev'essere subordinato ad un'autorizzazione, rilasciata dalle Autorità competenti dei singoli Stati Membri. Però, le norme europee prevedono anche la possibilità che le imprese di investimento possano prestare i loro servizi anche negli altri Stati Membri dell'Unione, ed analoghi princìpi valgono anche per le banche. Quindi, se ne deduce che l'accesso avvenga secondo modalità diverse, a seconda che il soggetto sia una banca o un'impresa d'investimento, e a seconda che il soggetto sia italiano o estero. Inoltre, il TUF stabilisce che tali prestazioni possano essere eseguite anche da altri soggetti, come: le SGR, le SGA (società di gestione armonizzate), i gestori di FIA, le società finanziarie di cui all'art.106 del TUB, gli agenti di cambio, i consulenti finanziari, le società fiduciarie iscritte nella sezione speciale dell'albo delle Sim e le società di gestione dei mercati regolamentati.

La riserva di attività in materia di servizi e attività di investimento si rinviene nell'articolo 18 del TUF, ai sensi del quale, l'esercizio professionale nei confronti del pubblico è riservato alle imprese di investimento e alle banche – dove: le imprese di investimento comprendono le SIM, mentre le banche possono essere italiane o estere autorizzate; ed entrambe sono intermediari a capacità multipla, in grado di svolgere un'ampia gamma di servizi e attività finanziarie, che vanno al di là dei meri servizi d'investimento.

Comunque, la riserva non è assoluta, perché, da un lato, attiene esclusivamente a servizi a cui si può

ricorrere “solo a determinate condizioni”, e perché, dall'altro, le banche e le SIM “condividono la riserva con altri soggetti”.

L'articolo 18 richiede 2 condizioni affinché scatti la riserva di attività, che consistono: nello svolgimento professionale e nell'esercizio nei confronti del pubblico. La ragione sta nel fatto che un servizio sporadico o che esaurisca i propri effetti all'interno non potrebbe giustificare la sottoposizione del prestatore a controlli penetranti e a regole pervasive. Pertanto, lo svolgimento professionale implica che l'attività debba essere sistematica ed abituale, mediante la predisposizione di schemi organizzativi idonei per lo svolgimento dell'attività: e quindi, sono esclusi dalla riserva i servizi prestati in via occasionale ed accessoria, senza predisposizione di schemi organizzativi idonei; nonché i soggetti che prestino occasionalmente e a titolo accessorio un servizio di investimento. Inoltre, dato che l'esercizio dev'essere svolto nei confronti del pubblico, sono esclusi dalla riserva anche i servizi prestati da imprese esclusivamente verso altre imprese controllanti, controllate o collegate.

Nello specifico:

1) Le SIM devono ottenere un'autorizzazione amministrativa dalla Consob (sentita la Banca d'Italia) per poter avere accesso ai servizi e alle attività di investimento. Inoltre, per il rilascio è richiesto: che il soggetto abbia la forma di una S.p.A, che la denominazione sociale includa le parole “società di intermediazione mobiliare”, che la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica, che il capitale versato sia almeno pari a quello determinato dalla Banca d'Italia, che sia presentato un programma concernente tutti gli aspetti organizzativi, che i soggetti che svolgano funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità, che i partecipanti al capitale abbiano i requisiti di onorabilità stabiliti e che la struttura del gruppo (di cui la società sia parte) non sia tale da pregiudicare l'effettivo esercizio della vigilanza.

Comunque, è da specificare che il rilascio dell'autorizzazione è subordinato sia all'effettivo ricorrere di queste condizioni, sia al fatto che risulti garantita la sana e prudente gestione del soggetto, così da assicurare la capacità dell'impresa nel corretto esercizio.

Inoltre, durante l'istruttoria, la Consob può chiedere ulteriori informazioni “a qualunque soggetto, anche estero”; e, inoltre, dopo 120 giorni vale il meccanismo del silenzio-assenso, fermo restando che

l'autorizzazione possa poi venir meno per decadenza, rinuncia o revoca. E, nello specifico: la decadenza si verifica quando le Sim non diano inizio allo svolgimento di ogni singolo servizio entro 12 mesi

dall'autorizzazione o quando la Sim non svolga un determinato servizio da almeno 12 mesi. Invece, la rinuncia dev'essere autorizzata preventivamente dalla Consob, sentita la Banca d'Italia, perchè l'interruzione del servizio può pregiudicare gli interessi degli investitori.

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Comunque, le Sim sono ammesse al beneficio del mutuo riconoscimento in ambito comunitario, e, pertanto, possono operare sia in uno Stato Membro che in uno Stato Extracomunitario – e, in quest'ultimo caso, la Sim deve comunicare tale intenzione alla Banca d'Italia, che provvederà a notificarla alle Autorità competenti dello Stato Terzo.

2) Le imprese di investimento comunitarie possono svolgere i servizi e le attività di investimento anche in Italia, nei confronti di investitori italiani, previa autorizzazione e mediante l'apertura di succursali o in regime di libera prestazione dei servizi – e l'apertura del primo insediamento è sempre preceduto da una comunicazione dell'Autorità estera competente nei confronti della Consob.

3) Invece, le imprese di investimento extracomunitarie sono soggette ad un regime separato, che opera a condizione di reciprocità, nei limti consentiti dagli accordi internazionali e da apposite intese tra la Consob, la Banca d'Italia e l'Autorità dello Stato d'Origine.

4) Ancora, le banche hanno accesso ai servizi di investimento in modo completamente diverso, perchè, infatti, in questo caso prevale la disciplina bancaria (e, quindi, l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione è la Banca d'Italia); mentre gli altri intermediari abilitati sono soggetti a regole specifiche; ad esempio: per le SGR, l'autorizzazione viene rilasciata dalla Banca d'Italia (sentita la Consob), le Poste Italiane S.p.A sono autorizzate a svolgere alcuni servizi di investimento anche senza necessità di iscrizione in appositi albi, e le società di gestione dei mercati regolamentati che intendono svolgere anche attività di gestione di sistemi multilaterali di negoziazione sono autorizzate solo dalla Consob.

5) Infine, i consulenti finanziari possono accedere alla prestazione del servizio quando siano iscritti in un apposito elenco, e spetta alla Consob il compito di enucleare le regole di condotta che i consulenti debbano osservare nel rapporto con i clienti; comunque, l'inclusione della consulenza finanziaria nel novero dei servizi e attività di investimento ha introdotto un elemento di asimmetria nel sistema, perchè, da un lato, la consulenza viene sottoposta a regole di condotta più stringenti, ma, dall'altro, il suo esercizio viene consentito anche a soggetti in possesso di requisiti ridotti.

Nota Bene: Lo svolgimento abusivo dei servizi e delle attività di investimento costituisce un reato, punito dall'art.166 del TUF con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, a cui si aggiunge una multa.

Capitolo 7 – regole di condotta e di organizzazione interna

Grazie alla MiFID, sono state introdotte delle regole comuni, volte a garantire la massima armonizzazione anche nel campo delle regole di condotta che devono essere osservate. In pratica, la struttura delle regole di comportamento si articola su 2 livelli, di cui il primo contiene i criteri generali applicabili a tutti i servizi.

L'articolo di riferimento è il 21 del TUF, che impone:

– obblighi generali di correttezza, diligenza e professionalità;

– obblighi informativi;

– norme attinenti all'organizzazione interna;

– e regole in materia di conflitto di interessi.

Gli obblighi generali di correttezza e diligenza impongono all'intermediario di “servire al meglio l'interesse dei clienti” e di “rispettare l'integrità dei mercati”, così da assicurare un comportamento funzionale, efficiente e trasparente nel mercato dei capitali.

Gli obblighi informativi, invece, sono necessari per assicurare la massima trasparenza sia nell'acquisizione delle informazioni dai clienti sia nell'inoltro di informazioni adeguate a questi ultimi. Per cui, innanzitutto, le informazioni devono sempre essere chiare, corrette e non fuorvianti; in secondo luogo, gli intermediari devono fornire al cliente delle informazioni appropriate, affinché questi possano comprendere la natura del servizio di investimento, il tipo specifico di strumento finanziario, e i rischi ad esso connessi, così da prendere le decisioni in modo consapevole. Inoltre, al cliente devono essere fornite puntuali informazioni sull'intermediario, sulla salvaguardia del patrimonio del cliente stesso, sulle caratteristiche del tipo specifico di strumento finanziario di riferimento e sui costi ed oneri del servizio.

Gli obblighi organizzativi, invece, stabiliscono che l'intermediario debba disporre di risorse e procedure – anche di controllo interno – idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attività. Pertanto,

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il controllo interno si articola in 3 aree distinte, che sono: il controllo di conformità (compliance), l'attività di internal audit e l'attività di risk management - che sono rispettivamente volte: alla verifica dell'adeguatezza e dell'efficacia delle procedure interne, alla funzione di gestione dei rischi a cui sia esposto l'intermediario e alla verifica dell'adeguatezza dei sistemi, dei processi, delle procedure e dei meccanismi dell'intermediario.

Infine, le regole in materia di conflitto di interessi sono state introdotte nella consapevolezza che il rischio di conflitti non possa essere eliminato; pertanto, al fine di disciplinare questo fenomeno, il comma 1 BIS dell'art.21 del TUF stabilisce che gli intermediari debbano adottare ogni misura ragionevole per identificare i potenziali conflitti di interesse, così da gestirli attraverso idonee misure organizzative ed evitare che possano incidere negativamente sugli interessi dei clienti; inoltre, quando non sia possibile eliminare quest'incidenza negativa, gli intermediari devono anche informare adeguatamente i clienti prima di agire per conto di questi ultimi.

Comunque, nel caso dell'identificazione dei conflitti si deve ricorrere ad un'autoanalisi da parte del

soggetto intermediario, e quest'analisi deve riguardare sia la propria attività, sia quella dei soggetti rilevanti e dei soggetti con cui si intrattengano dei rapporti di controllo. In pratica, ne deriva l'obbligo di elaborare una politica di gestione dei conflitto, così da realizzare una procedura scritta, in cui il criterio cardine è sempre quello dell'indipendenza dei soggetti coinvolti.

Quindi, gli intermediari devono sempre chiedersi se essi, un soggetto rilevante o un soggetto avente con essi un legame di controllo:

– possano realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita a danno del cliente;

– se siano portatori di un interesse diverso da quello del cliente;

– se abbiano un incentivo a privilegiare interessi di clienti diversi;

– se svolgano la medesima attività del cliente;

– e se ricevano (o possano ricevere) un incentivo da una persona diversa dal cliente, dove l'incentivo sia diverso dalle commissioni o dalle competenze che normalmente vengono percepite per il servizio di riferimento.

In pratica, nella gestione dei conflitti si assiste ad una svalutazione del ruolo della trasparenza, a vantaggio dei presìdi organizzativi interni; tuttavia, se questi ultimi non sono efficaci, diventa necessaria la

“disclosure” (cioè la divulgazione delle informazioni), che però non esonera l'intermediario da responsabilità per il fatto di aver operato in situazioni di conflitto di interessi.

Infine, l'art.26 del Regolamento Congiunto attua la regola comunitaria che prevede l'obbligo di istituire un registro in cui annotare le situazioni di conflitto maggiormente pericolose, ma non è chiaro se questo registro sia effettivamente d'aiuto nella gestione del conflitto; anzi, la disciplina è piuttosto opaca, anche perchè la situazione di conflitto viene resa nota all'investitore solo in casi estremi.

Comunque, nell'ambito della disciplina della condotta degli intermediari spiccano anche alcune regole che assumono una portata “caratterizzante”, e che consistono nell'adeguatezza, nell'appropriatezza e nella best execution. In pratica:

La disciplina dell'adeguatezza fu introdotta con la legge 1/91, e la sua portata è stata oggetto di numerosi precedenti giurisprudenziali soprattutto nell'ambito del contenzioso sul “risparmio tradito”; comunque, in sostanza, l'adeguatezza implica che l'intermediario abbia il divieto di effettuare o consigliare operazioni che non siano adeguate al profilo dell'investitore. La MiFID ha rafforzato questa regola, rendendola inderogabile (nel senso che l'intermediario non può eseguire un'operazione inadeguata nemmeno nel caso in cui

l'investitore glielo ordini espressamente!); tuttavia, la regola dell'adeguatezza non ha più portata generale, perchè adesso è applicabile solo al servizio di gestione di portafogli e al servizio di consulenza. Comunque, per adempiere gli intermediari devono acquisire determinate informazioni dai clienti; cioè, devono: sapere se questi abbiano esperienza nel settore di riferimento, devono conoscere la loro situazione finanziaria e devono sapere gli obiettivi di investimento. Infatti, senza queste informazioni, l'intermediario non può prestare il servizio (mentre prima della MiFID poteva valutare se l'operazione potesse comunque

considerarsi adeguata). D'altro canto, l'intermediario non deve valutare la veridicità delle informazioni, ma deve verificare che non siano palesemente inesatte, incomplete o superate (perchè, in quel caso, dovrà

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integrarle e aggiornare il profilo dell'investitore).

Invece, la regola dell'appropriatezza si riferisce a servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione, ed implica un giudizio che si basa soltanto sull'esperienza e la conoscenza dell'investitore. Cioè, il giudizio di appropriatezza non insiste sugli obiettivi di investimento. Inoltre, se l'operazione non sia appropriata, l'intermediario è tenuto solo ad informare l'investitore ma non è sottoposto al divieto di operare.

Comunque, nella prestazione dei servizi, la MiFID ha anche previsto una zona franca, rappresentata dai servizi prestati in modalità “execution only”: infatti, in questo caso, l'intermediario si limita a dare esecuzione agli ordini trasmessi, senza obbligo di richiedere informazioni. Tuttavia, questa modalità è possibile solo quando i servizi abbiano ad oggetto degli strumenti finanziari non complessi (come le azioni quotate e le obbligazioni), quando il servizio sia richiesto dal cliente, quando il cliente sia consapevole del fatto che l'intermediario non è tenuto a valutare l'appropriatezza dell'operazione e quando l'intermediario rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse.

Infine, la MiFID ha riformulato la regola di best execution, cioè la regola che impone agli intermediari di ottenere le migliori condizioni possibili. Inizialmente, questa regola era stata concepita come forma di tutela dell'investitore, ma finiva con l'essere snaturata dal fatto che assolvesse principalmente la funzione di garantire la concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati. Ovviamente, con l'eliminazione della concentrazione si sono originate diverse trading venues che operano su piani paritetici, e questo implica che le condizioni di miglior esecuzione debbano manifestarsi rispetto alle diverse sedi (= venues) a cui

l'intermediario ha accesso. Per meglio dire, gli intermediari hanno l'obbligo di elaborare una procedura scritta che identifichi la strategia di esecuzione degli ordini.

Quindi, è chiaro che lo scopo sia quello di ottenere il miglior risultato possibile per il cliente, avendo riguardo a prezzi, costi, rapidità e natura dell'ordine. Inoltre, gli intermediari devono adottare una strategia finalizzata ad individuare (per ogni categoria di strumenti finanziari) tutte le sedi di esecuzione che

permettano di mantenere il miglior risultato nel corso del tempo; poi, se l'ordine viene eseguito per conto di un cliente al dettaglio, la selezione delle venues va fatta sulla base del corrispettivo totale (= prezzo dello strumento + tutti i costi di esecuzione).

Comunque, dev'essere osservato che, in realtà, la best execution non corrisponde affatto alla migliore esecuzione possibile, ma solo alla miglior esecuzione che l'intermediario sia in grado di ottenere nell'ambito della cerchia di venues che abbia preselezionato.

La disciplina degli incentivi = la MiFID ha modificato la disciplina degli incentivi, che oggi ha una dimensione autonoma ed indipendente dai conflitti di interesse. In pratica, la percezione o il pagamento di incentivi (come le commissioni di retrocessione) può incidere negativamente sul dovere dell'intermediario, che potrebbe essere indotto ad agire in modo controproducente per il cliente. In altre parole, gli incentivi di regola sono vietati, a meno che non rientrino nelle eccezioni ammesse dalla Direttiva, di cui fanno parte i costi di custodia, i prelievi obbligatori e le spese legali; tuttavia, nelle eccezioni rientrano anche i “compensi, le commissioni o le prestazioni non monetarie, pagati o forniti da un terzo o da chi agisca per conto di questi”; in quest'ultimo caso, però, tutto ciò che riguardi la loro natura e il loro importo deve essere

comunicato al cliente in modo chiaro, completo e accurato PRIMA della prestazione del servizio; e, inoltre, il pagamento dev'essere rivolto a migliorare la qualità del servizio fornito al cliente e non deve ostacolare l'adempimento degli obblighi dell'intermediario. Comunque, questa disciplina ha messo in discussione numerose forme di remunerazione degli intermediari, delineando profili di dubbia legittimità; tuttavia, a ben vedere, la disciplina degli incentivi ha soltanto lo scopo di evitare che le remunerazioni avvengano in modo non trasparente.

La disciplina dei contratti = per quanto riguarda la disciplina dei contratti, l'articolo 23 del TUF stabilisce l'obbligo di adottare la forma scritta ad substantiam (ad eccezione del contratto avente ad oggetto il servizio di consulenza), che però può essere derogata “per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura

professionale dei contraenti”. Inoltre, la Consob ha disposto che il contratto con l'investitore debba:

specificare i servizi forniti, stabilire il periodo di efficacia e le modalità di modifica e rinnovo, indicare le modalità attraverso le quali l'investitore possa impartire ordini, prevedere la frequenza e i contenuti del rendiconto dell'attività svolta, indicare le remunerazioni spettanti all'intermediario ed indicare le eventuali

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procedure di conciliazione e arbitrato per la soluzione stragiudiziale di possibili controversie.

Poi, le imprese di investimento e le banche possono agire in nome proprio, ma per conto del cliente, previa consenso scritto da parte di quest'ultimo.

Inoltre, le regole sulla disciplina dei comportamenti degli intermediari possono essere graduate in funzione della natura dell'investitore, perchè trattare un investitore professionale alla stessa stregua di un cliente inesperto significa, di fatto, applicare delle regole inutili e svantaggiose per ambo le parti. Pertanto, se il cliente è un soggetto esperto, è possibile disapplicare alcune regole di condotta. In pratica, i clienti possono essere distinti in: clienti al dettaglio, clienti professionali e controparti qualificate, dove: le controparti qualificate sono tutti i soggetti che operino professionalmente sul mercato dei capitali con riferimento alla prestazione dei servizi di cui alle lettere a), b) ed e) del 5°comma dell'articolo 1 del TUF;

mentre, per tutti gli altri servizi, il cliente potrà essere trattato come cliente professionale. Inoltre, i clienti professionali possono essere suddivisi in 2 categorie: i clienti professionali di diritto e i clienti che possono essere considerati tali dietro richiesta. E quindi, ad esempio, sono clienti professionali di diritto:

– le banche, le imprese di assicurazione, gli organismi di investimento collettivo;

– gli investitori istituzionali che abbiano come attività principale quella di investire in strumenti finanziari;

– e le grandi imprese che presentino almeno due requisiti dimensionali tra: un totale di bilancio pari a 20 milioni, un fatturato netto di 40 milioni e fondi propri per 2 milioni.

Negli altri casi, dietro richiesta del cliente, l'intermediario avrà l'onere di accertare l'esperienza del cliente sulla base di alcuni indici, stabiliti dall'Allegato 3 del Regolamento Intermediari, che prevede anche la possibilità che il cliente possa chiedere di essere trattato diversamente dalla sua destinazione “naturale”.

Quando gli intermediari affidino ad un terzo l'esecuzione di funzioni essenziali o l'esecuzione di servizi e attività di investimento, si realizza l'esternalizzazione di funzioni (detta outsourcing), che deve avvenire sulla base di misure ragionevoli, volte ad impedire un aumento dei rischi connessi alla prestazione dei servizi di investimento e la deresponsabilizzazione dell'intermediario.

La separazione patrimoniale = L'articolo 22 del TUF sancisce il principio della separazione patrimoniale per tutti gli strumenti finanziari e le somme di denaro che gli intermediari detengano per la prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori. In pratica, gli strumenti finanziari dei singoli clienti

costituiscono un patrimonio autonomo e separato da quello dell'intermediario e degli altri clienti – e l'unica eccezione a questa regola è quella del deposito bancario, in cui la banca acquista la proprietà del denaro depositato dalla clientela, pur essendo obbligata a restituirlo. Ovviamente, la regola della separazione patrimoniale rileva nel caso in cui l'intermediario venga sottoposto ad una procedura concorsuale, perchè in questo caso occorrerà realizzare la separazione del patrimonio dell'intermediario. Tuttavia, possono

presentarsi due ipotesi problematiche: infatti, può accadere che la separazione tra intermediario e clienti venga rispettata, ma lo stesso non possa dirsi della separazione tra i clienti stessi; oppure, può accadere che la separazione tra intermediario e clienti non venga rispettata. Così, nel primo caso, gli strumenti finanziari dovranno essere restituiti ai clienti in proporzione ai diritti per i quali ognuno di essi sia stato ammesso alla sezione separata dello stato passivo (altrimenti, se i beni rinvenuti siano insufficienti, occorrerà procedere alla liquidazione e successiva ripartizione del ricavato); oppure, se non venga rispettata nemmeno la separazione tra il patrimonio dell'intermediario e quello dei clienti, questi ultimi concorreranno sull'intera massa, insieme ai creditori chirografari.

La violazione della disciplina relativa ai comportamenti può essere fonte di responsabilità per l'intermediario, che ha l'onere di provare di aver agito con la diligenza richiesta dall'art. 23 del TUF.

Tuttavia, la violazione delle regole di condotta non dovrebbe comportare automaticamente la nullità dei contratti già conclusi; infatti, affinchè vi sia la nullità è necessario che le norme violate mirino alla tutela di interessi generali.

Comunque, la violazione può comportare anche l'irrogazione di sanzioni amministrative, che possono essere

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irrogate dalla Consob o dalla Banca d'Italia nelle rispettive aree di competenza – fermo restando che resti ammissibile il ricordo a procedure facoltative di conciliazione e arbitrato [anzi, il decreto legislativo 28/2010 stabilisce che chi intenda esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di contratti bancari, assicurativi e finanziari debba preliminarmente esperire il procedimento di conciliazione, a pena di inammissibilità della domanda]. Pertanto, l'organo competente è la Camera di Conciliazione e Arbitrato, dove la conciliazione è una procedura con cui un terzo, neutrale, facilita la comunicazione tra le parti coinvolte nella controversia, al fine di promuoverne la risoluzione consensuale; mentre, l'arbitrato presuppone un compromesso o una clausola compromissoria, con cui le parti si siano accordare per demandare la soluzione della controversia, attuale o futura, ad un apposito arbitro.

Capitolo 8 – offerta fuori sede e tecniche di comunicazione a distanza

Oltre ai criteri generali, esistono alcune disposizioni che si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di singoli servizi e attività di investimento.

Infatti, l'articolo 49 del Regolamento Intermediari prevede che nella trattazione degli ordini per conto dei clienti, gli intermediari debbano applicare delle misure che assicurino una trattazione rapida, corretta ed efficiente rispetto ad altri ordini dei clienti e rispetto agli interessi di negoziazione dello stesso intermediario.

In pratica, l'intermediario deve: assicurare che gli ordini vengano prontamente registrati, trattare gli ordini equivalenti dei diversi clienti in successione, ed informare il cliente al dettaglio sulle eventuali difficoltà che potrebbero influire sulla corretta esecuzione degli ordini.

Inoltre, un secondo profilo è rappresentato dalle regole che disciplinano l'aggregazione degli ordini: infatti, l'intermediario può trattare l'ordine di un cliente insieme all'ordine di un altro cliente SOLO quando ciò non sia di pregiudizio per uno di essi, quando i clienti siano informati dei possibili effetti negativi

dell'aggregazione e quando esista una strategia di assegnazione degli ordini che preveda la ripartizione in modo preciso.

Poi, un profilo particolarmente delicato emerge quando si ricorra all'aggregazione di ordini dei clienti con ordini propri, perchè in questo caso è previsto che gli intermediari debbano prima assegnare le operazioni eseguite al cliente e poi a se stessi. Poi, nell'ambito della negoziazione per conto proprio, è particolarmente rilevante l'attività di internalizzazione sistematica, grazie alla quale l'attività di intermediazione viene assoggettata alle regole di trasparenza previste per i mercati regolamentati.

Il servizio di gestione di portafogli è sottoposto a delle regole specifiche, stabilite dall'articolo 24 del TUF, che stabilisce che: il cliente possa impartire delle operazioni vincolanti, possa recedere liberamente e conferire all'intermediario la rappresentanza necessaria per l'esercizio del diritto di voto inerente agli strumenti finanziari gestiti. Inoltre, il contratto di gestione deve indicare: gli strumenti finanziari che possono essere inclusi nel portafoglio del cliente e i tipi di operazioni che possono essere realizzate su tali strumenti; inoltre, deve indicare gli obiettivi di gestione ed altri parametri, come la descrizione del

parametro di riferimento (detto benchmark) a cui si raffronta il rendimento del portafoglio. In pratica, il benchmark va indicato solo dove sia significativo e solo allo scopo di raffrontare il rendimento del

portafoglio; cioè, non consiste in un parametro che l'intermediario è tenuto ad eguagliare o superare. Infine, il 2°comma dell'art.24 sancisce la nullità delle pattuizioni contrarie alle previsioni del 1°comma, dove, però, la nullità può essere fatta valere soltanto dal cliente,

Il servizio di consulenza in materia di investimenti non prevede delle regole specifiche, ma pone alcuni problemi quando venga svolto in via accessoria o strumentale alla prestazione di altri servizi di

investimento: infatti, in questo caso, emerge il rischio che alla relazione debba applicarsi anche la disciplina in materia di adeguatezza, che è propria degli altri servizi di investimento.

La gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione, invece, si colloca “a cavallo” tra la disciplina degli intermediari e quella dei mercati, e consiste in un'attività in cui i soggetti che aderiscono al sistema non concludono contratti con il gestore, ma con altri partecipanti. Pertanto, l'art. 59 del Regolamento Intermediari stabilisce che ai rapporti tra gli intermediari e i partecipanti non si applicano le regole di condotta stabilite per la prestazione dei servizi di investimento, ma quelle dei mercati regolamentati, rinvenibili nel Regolamento Mercati.

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