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Pianificazione, programmazione e controllo nei Ministeri italiani

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Academic year: 2022

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a cura del Mimap di Roma Tor Vergata

Pianificazione, programmazione e controllo nei Ministeri italiani

di DENITA CEPIKU,LUIGI CORVO,ANDREA BONOMI SAVIGNON (1)

ABSTRACT : (EXPLORINGSTRATEGICMANAGEMENTINITALIANMINISTRIES).Strategic management has been singled out as one of the most critical areas of public management research as well as a still-relevant approach in the new post- Weberian organization. A relevant gap of the conspicuous literature refers to the extent to which strategic management is being used in central governments, especially in non Anglo-Saxon countries. The paper explores the state of art of managerial planning and controls in Italian ministries, highlighting the adoption of a logical incrementalism approach in some cases and the absence of strategy in others.

A generalized critical issue is the diffused lack of internal and external analysis, including stakeholder mapping and engagement. This is reflected in a very low quality of the strategic objectives that impacts, in turn, on the quality of the indicators and, thus, of monitoring and evaluation. Policy and operational implications are drawn including the role of central actors and the need to establish stronger linkages between strategic management reforms and budgeting, performance management and human resources processes.

1. Analisi della letteratura e motivazione del paper

Negli ultimi due decenni, le amministrazioni pubbliche sono state chiamate a confrontarsi con problemi complessi aggravati dalla crisi finanziaria ed economica su scala globale. In que- sto contesto, i cittadini si rivolgono allo Stato, chiedendo soluzioni tempestive a problemi complessi e aspettandosi servizi pubblici di elevata qualità. Ne risulta, quindi, che mentre da un lato le aspettative della società nei confronti dei governi tendono ad aumentare, le risorse di cui gli stessi dispongono vanno riducendosi. Come l’attuale crisi ha messo in luce, uno degli imperativi di questa fase storica risiede nel trovare un solido equilibrio fra il perseguimento di soluzioni di breve periodo ad impatto immediato e il mantenimento dell’equità intergenera- zionale in una prospettiva di medio-lungo periodo. Non a caso, le politiche di riforma del set- tore pubblico hanno fatto crescente ricorso all’approccio economico-aziendale.

Le riforme, nei due decenni scorsi, hanno posto molta enfasi sul management per obietti- vi e sulla misurazione delle performance. Dati tali presupposti, è intuibile come la pianifica- zione strategica rappresenti un processo manageriale essenziale al fine di favorire processi de- cisionali basati sulla rilevazione dei dati e le evidenze empiriche.

(1) Pur essendo l’articolo frutto del lavoro coordinato dei tre autori, in fase di stesura D.Cepiku ha curato i paragrafi 1-3 e 5, L.Corvi e A.Bonomi il paragrafo 4.

(2)

La pianificazione strategica è stata identificata come un ambito di ricerca chiave nell’ambito del management pubblico, definita come uno sforzo “disciplinato”, orientato alla messa in atto di decisioni ed azioni fondamentali al fine di formare e determinare cosa un’organizzazione è, cosa fa e perché lo fa(2). Tale processo consta di otto passaggi: 1. costru- zione del consenso iniziale attorno allo sforzo che la pianificazione strategica richiede; 2. iden- tificazione e condivisione del mandato; 3. sviluppo e condivisione di mission e valori; 4. valu- tazione dell’ambiente esterno; 5. valutazione dell’ambiente interno; 6. identificazione dei temi strategici; 7. sviluppo della strategia; 8. descrizione dell’organizzazione nel futuro.

L’implementazione di questi passaggi richiede l’adozione di specifici strumenti.

Tuttavia, la pianificazione strategica non va intesa esclusivamente come uno sforzo orga- nizzato verso il raggiungimento di obiettivi, ma rappresenta, specialmente per le organizzazio- ni pubbliche, un approccio radicalmente innovativo sul piano culturale. Va prima di tutto in- tesa, infatti, come un’opportunità per favorire momenti di confronto e dialogo a supporto dell’attività decisionale fra organo politico e manager pubblici, per incrementare il coinvolgi- mento dello staff attraverso l’attivazione di processi partecipativi, per condurre una riflessione profonda su cosa è realmente importante per l’organizzazione considerata. Richiamando Co- da (in Invernizzi, 2008): “La gestione strategica è fatta di processi top down e, nella misura in cui il contesto comportamentale li incoraggi, di processi bottom up: i primi sono un susseguirsi di processi di apprendimento (before doing), generatori di un divario (o gap percepito) da colmare (tra situazione effettiva e situazione deside- rata dal vertice aziendale), di azioni realizzative volte a colmarlo e di processi di apprendimento (after doing) impattanti sul gap percepito e sulle conseguenti azioni volte a chiuderlo; i secondi sono i processi generatori di innovazioni frutto di un apprendimento sul campo ad iniziativa degli uomini impegnati in trincea (..)”.

La letteratura (3) ha evidenziato: (a) le specificità del management strategico nel settore pubblico: su tutte, la rilevanza in termini democratici e politici di attività regolate dalla legge e finanziate attraverso tassazione; (b) le precondizioni del contesto politico e amministrativo che rendono possibile un efficace management strategico; (c) gli obiettivi e i benefici del management strategico in questa fase post-NPM; (d) i differenti approcci: pianificazione ra- zionale e modelli di processi decisionali a livello politico, incrementalismo logico e assenza di strategia; (e) le differenti fasi che contraddistinguono la formulazione della strategia(4), la sua implementazione e il controllo.

Più di recente, la letteratura si è concentrata su temi emergenti come la necessità di pren- dere in esame aspetti trasversali rispetto alle unità organizzative, l’esigenza di integrare la piani- ficazione strategica con altri processi aziendali e l’imprescindibilità di considerare nuovi stru- menti fra cui lo scenario planning(5).

La teoria del management strategico fa parte degli approcci cosiddetti “razionali” ai pro- cessi decisionali nel settore pubblico, ed è in tal modo oggetto delle obiezioni che in ambito PA si sollevano facendo riferimento al concetto di razionalità limitata(6).

(2) BRYSON, 2004: 6; 1988.

(3) JOYCE, 1999, 2008; BRYSON, 2004; MENEGUZZO, 2005; BOIVARD e LÖFFLER, 2009; LANE e WALLIS, 2009.

(4) Tale aspetto può essere analizzato in dettaglio su tre livelli: la strategia per l’organizzazione nel suo complesso, le strategie di servizio (al livello di unità organizzative ad autonomia limitata) e le strategie funzionali (come marketing, risorse finanziarie, risorse umane, ICT, ecc.). Cfr. REBORA e MENEGUZZO, 1990.

(5) Quest’ultima fattispecie è particolarmente rilevante nel settore privato. Cfr. Strategic planning in a crisis: A McKinsey Quarterly Survey, 2009, http://www.mckinseyquarterly.com. Può essere interessante confrontare questo studio con un’opinione diffusa negli anni ’60: “…la simulazione è una tecnica da ultima spiaggia, ossia, conviene evitarla se qualsiasi altra tecnica d’analisi può essere utilizzata per studiare il problema”. Cfr. GEISLER e GINSBERG, 1965: 6.

(6) JOYCE, 1999; BOYNE et al, 2004.

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Un gap rilevante all’interno di questa seppur cospicua letteratura è riscontrabile per quan- to attiene al grado di diffusione del management strategico nella PA centrale, sia in riferimen- to ai suoi principali fattori abilitanti che agli ostacoli, e in particolar modo per i paesi di area non Anglosassone fra cui l’Italia.

Il paper esplora lo stato dell’arte del management strategico nei Ministeri italiani, seguen- do due principali filoni di riforme che si pongono a monte e a valle della situazione fotografa- ta: da un lato, quelle di metà anni ‘90 e le più recenti disposizioni introdotte dal 2006; dall’altro il D.Lgs. 150 del 2009. L’obiettivo è giungere ad una visione e comprensione complessiva del- le modalità di adozione e implementazione del management strategico al livello di governo centrale.

2. Pianificazione, programmazione e controllo nei ministeri italiani: cenni sul quadro legislativo

In Italia le prime riforme di orientamento manageriale risalgono agli anni ‘80, quando di- verse amministrazioni pubbliche, soprattutto enti locali, hanno introdotto alcuni principi e strumenti gestionali. Sebbene i risultati finali siano stati modesti, tali esperienze pilota sono risultate utili per testare gli strumenti e preparare il campo alle riforme di portata nazionale, come quelle che hanno avuto luogo negli anni seguenti, e per dimostrare come i principi di efficacia ed efficienza non fossero in contrasto con valori più tradizionali come legalità e tra- sparenza. Nel corso degli anni ‘90, la riforma del settore pubblico ha interessato quasi tutti i rami delle organizzazioni pubbliche, dalla gestione finanziaria alle risorse umane, dalle struttu- re organizzative alla devoluzione delle competenze fra livelli di governo. L’agenda delle rifor- me politiche è stata evidentemente ispirata al modello proposto dal New Public Management, benché le riforme abbiano delineato un modello differente, in cui l’imperativo della democra- zia rappresentativa, chiave del modello Weberiano, è rimasto saldamente valido, tuttavia evol- vendosi fino a includere un insieme di sistemi di partecipazione da parte dei cittadini(7).

A metà anni ‘90, l’introduzione dei primi principi di management strategico avvenne con il generico fine di perseguire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità nel settore pubblico. Un elemento interessante è rappresentato dalla sequenza di questa implementazione iniziale: in un primo momento è stata dedicata grande attenzione al tema della valutazione delle performan- ce dei dirigenti pubblici. A ciò ha fatto seguito una particolare enfasi sull’introduzione di si- stemi contabili per competenza e sui controlli manageriali. In ogni caso, tutto ciò non ha pro- dotto gli effetti desiderati in quanto è stato inserito in un contesto privo di qualsiasi processo di pianificazione strategica(8).

Solo dal 2006, con la modifica del mandato del Comitato Tecnico Scientifico presso la PCM, il focus si è spostato sul management e la pianificazione strategica, riconosciute final- mente quali precondizioni imprescindibili per ogni forma di controllo strategico e valutazione delle performance.

Le linee guida, diffuse nel 2007, perseguivano un duplice ordine di obiettivi, tramite l’adozione di principi di management strategico nei Ministeri: (i) rafforzare la connessione fra la formulazione delle politiche (il programma politico di governo per la legislatura) e la strate-

(7) CEPIKU e MENEGUZZO, 2010.

(8) Cfr. le linee guida annuali e rapporti del Comitato Tecnico Scientifico (anni 2001, 2003 e 2004).

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gia dei ministeri; (ii) migliorare l’integrazione fra processo di allocazione delle risorse finanzia- rie e processo di management strategico nei Ministeri. Le linee guida riportavano alcuni indi- rizzi circa le fasi del processo, gli strumenti, gli attori coinvolti e il ruolo che avrebbe dovuto giocare l’unità organizzativa posta a presidio del processo di pianificazione strategica (SE- CIN). Il processo suggerito appariva meccanico e richiamava l’approccio di pianificazione ra- zionale.

Nel 2009, il quadro legislativo sui controlli interni ha subito una rilevante modifica con il D.Lgs. 150(9), nota anche come riforma Brunetta. Il Titolo II di tale decreto tenta di dare una risposta alla carenza di sistemi di pianificazione, programmazione e controllo (sia a livello in- dividuale sia a livello organizzativo), all’inadeguatezza dei sistemi di misurazione e valutazione delle performance e ad un serio deficit di trasparenza su queste ultime. Lo fa introducendo il ciclo di gestione delle performance e cambiando radicalmente i requisiti ed il profilo dei sog- getti che devono garantire l’affidabilità dei sistemi di pianificazione, programmazione e con- trollo.

Il D.Lgs. 150 identifica alcuni requisiti minimi – in termini di sistema e in termini di sog- getti – che le amministrazioni pubbliche italiane devono soddisfare. Ad esempio, gli obiettivi devono essere rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni, coerenti con le risorse ma al contempo sfidanti. Vanno definiti coinvolgendo i principali stakeholder; si tenta di ampliare il tradiziona- le binomio politici - dirigenti agli utenti e ai cittadini, fornendo una parziale risposta alla breve prospettiva dei cicli politici. Gli obiettivi vanno definiti su base triennale, così come il piano di performance. Altre innovazioni riguardano l’integrazione tra diversi livelli e tra diversi sistemi e strumenti di controllo nella gestione delle performance e il tentativo di operare una maggio- re concentrazione delle risorse disponibili (una sorta di efficiency gain certificato dal MEF e dall’OIV).

Quanto ai soggetti, le differenze con la precedente normativa (perlomeno sulla carta) sono molto evidenti. A livello centrale, esterno alle amministrazioni, è istituita la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) i cui componenti, approvati dal Parlamento, rispondono ai requisiti di competenza, indipendenza e responsabilizzazione. Alla CIVIT è assegnato il compito di indirizzare, coordinare e sovrin- tendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, garantendo la trasparenza dei sistemi adotta- ti e la visibilità degli indici di andamento gestionale delle amministrazioni pubbliche. Questo promettente disegno istituzionale, tuttavia, non chiarisce il rapporto tra CIVIT e Ragioneria Generale dello Stato (già foriero di problemi in termini di integrazione tra pianificazione stra- tegica e programmazione delle risorse), né il rapporto tra CIVIT e CTS.

L’innovazione più rilevante è però introdotta a livello aziendale, con la sostituzione dei precedenti SECIN e Nuclei di Valutazione con gli Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV), che garantiscono l’affidabilità metodologica dei sistemi di pianificazione, programma- zione e controllo. Questi organismi collaborano con le strutture preposte al controllo nell’amministrazione, propongono un sistema di misurazione e valutazione che rispetta i pa- letti minimi imposti dalla legge e che segue le linee guida di volta in volta emanate dalla CI- VIT. I componenti degli OIV devono soddisfare gli stessi requisiti dei componenti CIVIT – in primis l’elevata professionalità ed esperienza, maturata nel campo del management, della valutazione della performance e della valutazione del personale delle amministrazioni pubbli- che – distinguendosi così in maniera radicale dai precedenti SECIN. Il fatto che i SECIN fos-

(9) Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, recante attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

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sero nominati dall’organo di indirizzo politico (e decadessero con esso), similarmente agli uffi- ci di diretta collaborazione, a cui riferivano in via riservata, faceva di questi organi dipendenti e non responsabilizzati, influenzandone le competenze. Per i componenti degli OIV, invece, la legge ha definito precisi profili di competenze richieste, sancendone l’indipendenza dall’organo politico (hanno durata triennale) e conferisce conferendo loro diretta responsabili- tà sull’adeguatezza del sistema di misurazione e valutazione delle performance.

Mentre la responsabilità sul “contenuto” dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo, in primis obiettivi e indicatori, è in capo alla dirigenza e agli organi di indirizzo poli- tico-amministrativo, la responsabilità sul metodo fa capo agli OIV e alla CIVIT.

Senza prolungarci oltre sulle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 150, basti in questa sede osservare che la ricognizione dello stato dell’arte dei sistemi di pianificazione, programmazio- ne e controllo nei ministeri italiani è il punto da cui inevitabilmente CIVIT e OIV si sono tro- vati a partire nell’implementare la riforma Brunetta.

3. Metodi di ricerca e fonti informative

In letteratura, il livello di conoscenza su un tema è considerato come una determinante chiave per la scelta del metodo di ricerca più appropriato(10). Il nostro ambito di ricerca – il management strategico nella PA centrale – può considerarsi in uno stato intermedio di svi- luppo, che deriva da filoni separati di letteratura. Nel nostro caso, questi includono un settore con una trattazione teorica consolidata (il management strategico) e un terreno di ricerca pres- soché inesplorato (il livello centrale di governo in Paesi non Anglosassoni).

Ci troviamo, quindi, ad esplorare un territorio in cui vi è un soddisfacente livello di cono- scenza tale da offrire la possibilità di formalizzare delle ipotesi – muovendo dalla letteratura sul management strategico nelle imprese – ma non abbastanza da poter lavorare con strumen- ti esclusivamente quantitativi. In questi casi, la letteratura suggerisce l’adozione di metodi mi- sti, ovvero qualitativi e quantitativi.

Abbiamo inteso, quindi, iniziare il lavoro utilizzando metodi qualitativi, fra cui i casi studio comparativi, quello dell’osservazione non partecipata e dell’analisi di documenti, seguiti da in- terviste ai membri delle unità strategiche dei ministeri, al fine di definire dei costrutti teorici e di formulare delle ipotesi(11).

In questa fase della ricerca, è stata condotta l’analisi dei più rilevanti documenti ministeria- li, degli indirizzi provenienti dal centro (v.infra) congiuntamente all’osservazione non parteci- pata. La ricerca futura (in corso di svolgimento) include interviste ai membri delle unità strate- giche e l’uso di alcuni metodi quantitativi, fra cui l’analisi fattoriale.

3.1 Obiettivi e domande di ricerca

Lo scopo di questo paper è di natura esplorativa. Il primo obiettivo di ricerca mira a veri- ficare il grado di diffusione del management strategico nei ministeri italiani, valutando dap- prima l’esistenza di quelle fasi ineludibili che dovrebbero precedere la formulazione della stra- tegia (fra cui l’analisi ambientale, la mappatura e il coinvolgimento degli stakeholder e il risk management) e, dipoi, il livello di implementazione di altri fasi metodologicamente fonda-

(10) EDMONSON e MCMANUS, 2007.

(11) KING et al 1994; YIN 1994: 10; POLLITT e BOUCKAERT 2000: 21.

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mentali ai fini della formulazione della strategia in termini di definizione di obiettivi e indicato- ri e interazione fra i diversi attori coinvolti (governo centrale, organo politico e manager pub- blici). A completamento di tale fase della ricerca si è condotto un approfondimento volto a verificare il livello di integrazione fra il processo di pianificazione strategica e quello di deter- minazione del budget, di misurazione delle performance e di comunicazione.

Il secondo obiettivo di ricerca – coerentemente con la natura normativa della teoria del management strategico(12) – ci si pone nella condizione di analizzare quei fattori che consen- tono alle organizzazioni pubbliche di essere maggiormente propense a operare secondo le lo- giche del management strategico, malgrado tutti quei fattori che conducono a “miopia, len- tezza e predominio della burocrazia”.

In sintesi, le domande di ricerca sono le seguenti:

ƒ Quale tipo di approccio è stato scelto da parte dei ministeri italiani nell’adottare il management strategico? Quali sono gli attori principali di tale processo? Come ven- gono sviluppate e implementate le strategie? Che tipo di strumenti vengono adottati (analisi SWOT, analisi di scenario, analisi di portafoglio, mappatura e coinvolgimento degli stakeholder, mappatura e gestione dei rischi, identificazione di mission, vision, determinazione di obiettivi, indicatori, target di performance, ecc.)?

ƒ Che tipo di interazione vi è fra il management strategico e le altre tipologie di riforma del settore pubblico (in particolar modo quelle inerenti il processo di bilancio e la re- tribuzione di risultato) nella PA centrale italiana? Che grado di integrazione vi è stato fra management strategico e altri processi manageriali, quali il processo di bilancio, la gestione delle risorse umane, il cambiamento organizzativo ecc.?

ƒ Quali sono i principali punti di forza e di debolezza del management strategico (dal punto di vista dell’approccio, del processo, dei contenuti e degli attori chiave) nei mi- nisteri italiani?

ƒ Come può essere migliorato il management strategico nei ministeri?

3.2 Fonti di informazione, unità e dimensioni di analisi

È stata condotta un’analisi dei tre documenti principali di pianificazione strategica nei mi- nisteri: la direttiva annuale per la gestione amministrativa che contiene anche le priorità politiche in- dividuate dal ministro (atti di indirizzo), oltre al dettaglio della destinazione delle risorse per o- biettivo e i diversi piani d’azione; la nota preliminare che esprime il collegamento fra processo di pianificazione strategica e processo di bilancio e il report sulle performance (che dovrebbe essere oggetto di dibattito parlamentare). Tali documenti sono stati introdotti o riformati nel 2006:

per questo motivo, l’analisi viene condotta partendo dall’anno 2007(13).

Le nostre unità di analisi sono i sedici ministeri italiani che hanno responsabilità di politica pubblica nei rispettivi campi di competenza. Essi, quindi, rappresentano l’intera popolazione di ministeri, escludendo i dipartimenti istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che vengono definiti ministeri senza portafoglio.

(12) Cfr. LANE e WALLIS, 2009: 103. Lo stesso CODA, in ambito didattico, individuava la necessità di un focus della strategia d’azienda su quesiti quali l’articolazione del processo logico volto a individuare le esigenze di cambiamento strategico di un’impresa e i fattori da cui dipende il miglioramento della qualità dei cambiamenti strategici di un’impresa (INVERNIZZI, 2010).

(13) In questa versione del paper sono presentati i risultati dell’analisi sull’anno 2007. Nel frattempo, la ricerca, che mira a creare un set longitudinale di dati, si è sviluppata includendo anche gli anni successivi.

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Tabella 1: Unità di analisi

ƒ Ministero della So- lidarietà Sociale

ƒ Ministero della Sa- lute

ƒ Ministero del Lavo- ro

ƒ Ministero dei Tra- sporti

ƒ Ministero dell’Università e della Ricerca

ƒ Ministero dell’Istruzione

ƒ Ministero degli Affari Esteri

ƒ Ministero degli Interni

ƒ Ministero della Dife- sa

ƒ Ministero

dell’Agricoltura e Po- litiche Forestali

ƒ Ministero dello Svi- luppo Economico

ƒ Ministero delle Infra- strutture

ƒ Ministero dell’Ambiente

ƒ Ministero dell’Economia e Finanze

ƒ Ministero dei Be- ni Culturali

ƒ Ministero della Giustizia

Al fine di effettuare una valutazione delle modalità di adozione e del rigore metodologico relativo al processo di management strategico nei ministeri, abbiamo identificato 14 variabili dicotomiche, classificabili in 3 gruppi.

Il primo gruppo di variabili mira a verificare l’esistenza dei documenti utili per raccogliere informazioni circa la metodologia relativa al management strategico. In questa fase l’obiettivo è di fornire una risposta ad una domanda preliminare: esiste evidenza di attività di pianifica- zione strategica nei ministeri italiani?

Con il secondo gruppo di variabili si intende valutare se esiste o meno evidenza per attivi- tà di analisi che dovrebbero essere implementate dai soggetti in capo al management strategi- co in una fase precedente a quella della formulazione del piano strategico. Formulare una stra- tegia, infatti, richiede piena consapevolezza delle caratteristiche dell’ambiente organizzativo, sia interno sia esterno. Per condurre queste analisi sono disponibili diversi strumenti, fra cui l’analisi SWOC, lo stakeholder management e il risk management. La logica di fondo che ca- ratterizza questo processo risulta particolarmente chiara se si considera che l’analisi ambientale viene implementata per rendere l’organizzazione consapevole dei propri punti di forza e de- bolezza e che tale consapevolezza è il punto di partenza imprescindibile per creare un network con gli stakeholder e per gestire al meglio i rischi. Un altro elemento di interesse è rappresentato dal legame fra piano strategico e il ciclo precedente di pianificazione, dal mo- mento che questo fornisce una prospettiva di continuità del processo nel tempo.

Il terzo gruppo di variabili è focalizzato sull’analisi della formulazione dei piani strategici in termini di obiettivi strategici. Abbiamo individuato alcune caratteristiche per stabilire il livel- lo di significatività degli obiettivi: il collegamento con il ciclo di bilancio, che dovrebbe garanti- re la sostenibilità finanziaria; la presenza di un orizzonte temporale pluriennale, che rappresen- ta un indicatore della visione di medio - lungo periodo; la capacità di interessare diverse am- ministrazioni, inserendo obiettivi di natura trasversale; la determinazione di indicatori signifi- cativi, che riescano a fornire misure chiare degli obiettivi posti. L’obiettivo, in questa fase, è di rispondere alla seguente domanda: la formulazione del piano strategico è metodologicamente appropriata?

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4. Risultati della ricerca

Una prima analisi è stata condotta con riferimento alla disponibilità dei tre principali do- cumenti – direttiva generale, nota preliminare e report sulle performance – che dovevano es- sere pubblicati sulla base delle disposizioni normative, all’epoca in vigore. La Tabella 2 mostra come non sia sufficiente l’obbligatorietà della redazione di tali documenti, dal momento che non tutti i ministeri li hanno definiti e approvati. La redazione della direttiva generale è obbli- gatoria dal 1999, e, infatti, questa è stata pubblicata da quasi tutti i ministeri. La nota prelimi- nare e il report sulle performance sono stati introdotti nel 2006 e, in questo caso, solo la metà dei ministeri ha osservato le disposizioni normative.

Sebbene il focus della nostra analisi è orientato principalmente sul processo di management strategico, tali documenti hanno ugualmente una forte rilevanza, specialmente in termini di co- municazione sia interna che esterna delle priorità e dei risultati.

Gruppo I 1) Esiste il documento di direttiva annuale per l'anno 2007?

2) Esiste la Nota Preliminare per l'anno 2007?

3) Esiste il Rapporto di Performance per l’anno 2007?

Ministero: No No No

Solidarietà Sociale X

Salute X X

Lavoro X

Trasporti x

Università e Ricerca X

Istruzione x

Affari Esteri X x

Difesa X

Politiche Agricole,

Alimentari e Forestali x

Sviluppo Economico x

Infrastrutture X

Interno

Ambiente, Tutela del

Territorio e del Mare x

Economia e Finanze

Beni e Attività Culturali X

Giustizia x x

Tabella 2: Disponibilità dei principali documenti di pianificazione strategica

(9)

In alcuni casi (Difesa, Università e ricerca, Istruzione), anche se la direttiva generale viene adottata, essa consiste in un documento estremamente sintetico (meno di quindici pagine) non- ché di scarso livello qualitativo e carente in termini di identificazione degli obiettivi strategici.

In altri casi, specificamente il Ministero dei Trasporti, dell’Agricoltura e dei Beni Culturali, vi è solo un elenco degli obiettivi strategici senza nessun’altra informazione rilevante circa le modalità di definizione e perseguimento.

É interessante notare come solo due ministeri (Interni ed Economia e Finanza) hanno prodotto tutti i tre documenti. Ciò è particolarmente rilevante se si considera che il processo di management strategico è un’attività realmente efficace solo se implementata in una logica iterativa e sistemica. Ad esempio, se viene a mancare la disponibilità del report sulle perfor- mance, diventa impossibile poter comparare i risultati raggiunti con gli obiettivi prefissati, ri- schiando di compromettere l’intero processo. Inoltre, la mancanza di tale report impatta nega- tivamente anche sul livello di trasparenza di un’organizzazione pubblica, riducendo il grado di fiducia da parte dei cittadini.

Con riferimento alla nota preliminare e quindi al processo di budgeting, essa appare non ben collegata con il processo di pianificazione in otto ministeri: tale dato rappresenta un fatto- re particolarmente negativo se si considera che essa è stata introdotta con il preciso fine di mi- gliorare il legame e la coerenza fra i due processi.

In sintesi possiamo concludere che nei ministeri italiani esiste evidenza dell’attività di management strategico, ma nella maggior parte dei casi viene implementata adottando un ap- proccio burocratico e orientato alla correttezza formale piuttosto che un approccio manageriale.

Conducendo un’analisi approfondita di questi documenti per ciascuno dei ministeri, ne emerge un quadro ancora più negativo (Tabella 3). Solo per quattro ministeri (Solidarietà So- ciale, Lavoro, Affari Esteri e Difesa) vi è traccia di un’analisi dell’ambiente interno/esterno.

Ciò, naturalmente, non rappresenta una precondizione positiva per una efficace formulazione della strategia. Diversi ministeri limitano la propria analisi esclusivamente ad una delle due a- ree: ad esempio, il Ministero della Salute nell’analisi dell’ambiente interno prende in considera- zione solo una descrizione quantitativa delle risorse (umane e finanziarie) di cui dispongono i vari dipartimenti ministeriali.

Solo due ministeri (Solidarietà Sociale e Lavoro) hanno condotto attività di stakeholder management e questi due ministeri fanno parte dei quattro che fanno analisi dell’ambiente in- terno ed esterno. Ciò indica come lo stakeholder management sia fortemente correlato all’analisi ambientale. Tali stakeholder potrebbero essere altre pubbliche amministrazioni o gruppi di interesse il cui ruolo potrebbe influenzare l’attività del ministero: per tale motivo la mancanza di attività di mappatura e coinvolgimento degli stakeholder rappresenta un sintomo del ritardo culturale che caratterizza la PA italiana per ciò che concerne l’adozione di processi decisionali aperti e partecipativi.

Il Ministero della Solidarietà Sociale e il Ministero della Salute presentano una particolarità rilevante: all’interno del loro piano d’azione vi è per ciascun obiettivo una sezione dedicata alle barriere esterne che si prevede debbano essere superate. Tale elemento evidenzia un’attività di individuazione dei rischi e, in base a ciò, possiamo asserire che vi è attività di risk management in queste organizzazioni.

In sintesi, ad eccezione di pochi casi, i ministeri italiani non pongono sufficiente attenzio- ne alla fase di analisi strategica. Non vi è evidenza di raccolta di informazioni rilevanti circa il contesto interno ed esterno in cui il piano strategico andrà implementato. Ciò conduce ad un altro tema: senza che si abbia conoscenza delle opportunità e delle sfide che il contesto pone e

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dei punti di forza e di debolezza interni, può un piano strategico essere realizzabile ed effica- ce? La risposta a tale interrogativo richiederebbe una approfondita analisi delle performance di tali organizzazioni, in modo da verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti, in che modo e producendo quali outcome.

Il terzo gruppo di variabili attiene ad aspetti relativi alla formulazione della strategia (Ta- bella 4). Uno degli aspetti che caratterizza gli obiettivi strategici è che essi richiedono uno sforzo di medio - lungo termine. La variabile nove mostra come la maggior parte dei mini- steri italiani siano caratterizzati da obiettivi con un orizzonte temporale maggiore di un an-

Tabella 3: Evidenza di analisi strategica

Gruppo II

4) Esiste evidenza su un'attività di analisi del contesto esterno?

5) Esiste evidenza su un'attività di analisi del contesto interno?

6) Esiste evidenza su un'attività di mappatura e/o coinvolgimento degli stakeholder?

7) Si fa esplicito riferimento al ciclo precedente di programmazione?

8) Esiste evidenza di attività di risk management?

Ministero: No No No No No

Solidarietà

Sociale x

Salute x x

Lavoro x

Trasporti x x x x x

Università e

Ricerca x x x x

Istruzione x x x x x

Affari Esteri x x x

Difesa x x x

Politiche Agricole, Alimentari e Forestali

x x x x

Sviluppo

Economico x x x x

Infrastrutture x x x x x

Interno x x x x

Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare

x x x

Economia e

Finanze x x x x x

Beni e Attività

Culturali x x x x x

Giustizia x x x x x

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no. Da un lato, questa può essere considerata una caratteristica positiva in quanto implica che l’organizzazione riconosca la rilevanza dell’obiettivo strategico; dall’altro, rende più complicato monitorare gli obiettivi e definire precisamente la sequenza di obiettivi operativi all’interno di un piano d’azione pluriennale. Per questa ragione, è interessante mettere in ri- lievo come, ad eccezione del Ministero dell’Università e della Ricerca, tutti gli altri ministeri che adottano una prospettiva di medio termine nella definizione degli obiettivi, stabiliscono un termine specifico per il loro raggiungimento.

Ad ogni modo, gli obiettivi strategici sono così rilevanti anche perché il loro impatto ra- ramente influenza solo una singola organizzazione. Infatti, molto spesso un obiettivo stra- tegico ha un impatto trasversale e la sua realizzazione influenza il raggiungimento della mis- sion di altre organizzazioni. Come mostrato dalla variabile dieci, nove ministeri dispongono di obiettivi di tipo trasversale, condivisi con altre organizzazioni pubbliche(14).

Il legame fra processo di pianificazione strategica e processo di bilancio è necessario per ottenere un’allocazione efficace delle risorse e per introdurre sistemi di budget orientati alle performance. Attraverso una pianificazione efficace è possibile effettuare valutazioni sulle performance ed effettuare una distinzione fra i programmi che stanno producendo ri- sultati positivi e negativi, consentendo ai manager di apportare miglioramenti ai programmi con basse performance e di orientare i decisori pubblici nel processo di allocazione delle ri- sorse. Nei ministeri italiani tale approccio appare totalmente assente, e, anche se in otto pia- ni strategici è presente un piano di spesa previsionale, non rappresenta un approccio mana- geriale orientato alle performance.

Se il processo strategico funzionasse nel modo adeguato, ogni cittadino potrebbe risalire all’intera catena delle performance, dagli indirizzi del governo fino agli obiettivi operativi. Il collegamento fra priorità politiche e obiettivi strategici è presente in otto ministeri italiani

Inoltre, in mancanza di indicatori coerenti, gli obiettivi strategici non sono misurabili e quindi i risultati non possono essere verificati. Se un cittadino volesse capire come un mini- stero sta lavorando attraverso la lettura del report sulle performance, sarebbe in grado di re- perire tale informazione (che è tuttavia obbligatoria) in soli tre ministeri.

La tabella 4 fornisce maggiori informazioni a riguardo. I ministeri sono distinguibili in due gruppi ben separati: una parte che presenta un alto livello di qualità in tutte o quasi le sei variabili (rispettivamente: Solidarietà Sociale, Lavoro, Agricoltura, Infrastrutture, Am- biente, Economia e Finanze) e una parte che presenta un basso livello di qualità in quasi tut- te le variabili (Trasporti, Istruzione, Affari Esteri, Difesa). Solo pochi ministeri invece occu- pano una posizione intermedia. Ciò mette in rilievo l’alta interdipendenza fra fasi ed ele- menti del management strategico.

In sintesi, la qualità della formulazione delle strategie, da un punto di vista generale, e degli obiettivi strategici, da un punto di vista più specifico, è molto bassa, con solo i Mini- steri della Solidarietà Sociale, del Lavoro e delle Infrastrutture che coprono tutti gli aspetti chiave in maniera soddisfacente.

(14) Un caso interessante è quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il suo piano comprende un obiettivo strategico denominato “Riduzione del deficit e rispetto del Patto di Stabilità Interno”. Questo obiettivo è palesemente orizzontale dal momento che il suo raggiungimento dipende dal contributo di tutte le PA nella riduzione delle spese; tuttavia questo obiettivo non è considerato trasversale.

(12)

5. Conclusioni

L’analisi del primo anno di applicazione delle linee guida relative alla pianificazione stra- tegica mostra in alcuni casi l’adozione di un approccio con logica incrementalista e l’assenza di strategia in altri.

Sono evidenti considerevoli differenze nella qualità dei documenti strategici e nel modo di condurre analisi di contesto connesse agli obiettivi organizzativi e strategici (Figura 1). I casi studio spaziano dal minimo adempimento di disposizioni normative all’implementazione attiva del processo di management strategico.

Tranne che in alcuni casi (Solidarietà Sociale, Salute, Lavoro), che ben si posizionano sia in termini di analisi sia di formulazione strategica, gli altri ministeri condividono criticità quali la mancanza diffusa di analisi interna ed esterna, compresa la mappatura e il coinvol- gimento degli stakeholder.

Ciò si riflette in un basso livello di qualità degli obiettivi strategici che a loro volta im- pattano sulla qualità degli indicatori e quindi sul monitoraggio e sulla valutazione. Gli obiet- tivi strategici sono solitamente elenchi di attività piuttosto che priorità orientate al futuro e gli indicatori spesso si riferiscono ad aspetti parziali degli obiettivi stessi. Vi è un forte orien- tamento agli output (o persino al controllo degli input) piuttosto che agli outcome.

Tabella 4: Evidenza sulle componenti di formulazione della strategia

Gruppo III 9) Esistono obiettivi strategici pluriennal i?

10) Esistono obiettivi strategici condivisi tra più ministeri / interistituzionali?

11) Esiste un raccordo tra pianificazione strategica e programmazione delle risorse ?

12) Il collegamento tra OS e priorità politiche è esplicitato nella direttiva?

13) Agli OS sono associati degli indicatori significativi?

14) E' definito un termine temporale entro cui l'OS è da considerarsi conseguito?

Ministero: No No No No No No

Solidarietà

Sociale

Salute x x

Lavoro

Trasporti x x x X x x

Università e

Ricerca x X x x

Istruzione x x x X x x

Affari Esteri x x x X x x

Difesa x x x X x x

Politiche Agricole, Alimentari e Forestali

x

Sviluppo

Economico x x X

Infrastrutture

Interno x x

Ambiente, Tutela del Territorio e del

X

Economia e

Finanze x

Beni e Attività

Culturali x x x

Giustizia x X x

(13)

Figura 1: Lo stato del management strategico nei ministeri italiani

Promuovere l’orizzontalità dell’azione di governo è stato spesso uno degli obiettivi principali dell’introduzione della pianificazione strategica negli altri paesi. Temi trasversali, ad ogni modo, sono meno presenti nel processo di pianificazione dei ministeri italiani. Fra le cause rilevanti vanno incluse le difficoltà di coordinamento interministeriale e di integra- zione fra i diversi budget.

Un altro punto di debolezza persistente, nonostante le recenti riforme, è il livello di in- tegrazione con il processo di bilancio, conseguito solo formalmente (in termini di fasi tem- porali dei due processi) e non sostanzialmente. Una prima implicazione di policy di questo studio è relativa al bisogno di superare la frammentazione e la mancanza di coordinamento fra gli attori responsabili della governance e della supervisione dei due processi: il CIVIT, il Comitato Tecnico Scientifico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Diparti- mento della Ragioneria Generale dello Stato presso il Ministero dell’Economia e Finanze.

I temi che verranno esplorati in future ricerche comprendono le problematiche relative alla qualità degli obiettivi strategici/ambiguità degli obiettivi e all’insoddisfacente apporto delle unità strategiche dei ministeri (ex SECIN, ora OIV) sia in termini di capacità e compe- tenze possedute sia di legittimazione interna. L’esigenza di creare un network professionale di senior manager che lavorino sul tema del management strategico nei ministeri, sebbene evidenziata, non è mai stata soddisfatta.

In parte, i temi critici menzionati dipendono dagli scarsi risultati raggiunti dalle più ge- nerali riforme di management pubblico in Italia nonché dalla limitata autonomia dei manager apicali nel processo decisionale strategico. Il management strategico richiede e al contempo consente un rafforzamento delle capacità gestionali; interrompere il circolo vizio- so richiede la creazione di collegamenti solidi fra riforme del management strategico e più

(14)

ampie riforme del processo di bilancio, del performance management e del processo di ge- stione delle risorse umane.

DENITA CEPIKU Ricercatrice in Economia Aziendale

LUIGI CORVO Dottorando di ricerca in

Economia e gestione

delle aziende e delle amministrazioni pubbliche ANDREA BONOMI SAVIGNON

Dottorando di ricerca in Economia e gestione

delle aziende e delle amministrazioni pubbliche

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Facoltà di Economia – Dipartimento Studi sull’Impresa

(15)

6. Bibliografia

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