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Parere sullo schema di decreto legislativo

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Parere sullo schema di decreto legislativo

"Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado"

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 27 novembre 1997, ha deliberato di esprimere l'allegato parere.

PREMESSA

I. Il Consiglio superiore della magistratura è stato richiesto dal Ministro di grazia e giustizia di fornire un contributo di idee, di informazioni e di valutazioni per una migliore articolazione definitiva delle soluzioni normative adottate al fine di dare attuazione ad una delle riforme dell'organizzazione della giustizia - quella del giudice unico e tendenzialmente monocratico di primo grado - dagli effetti più radicalmente innovativi e da più tempo e con più forza invocate dalla cultura giuridica, dalla magistratura e dall'avvocatura. L'estrema ristrettezza dei tempi in cui il presente parere ha dovuto essere formulato ha peraltro ridotto l'efficacia con cui in questa occasione il Consiglio superiore della magistratura ha potuto espletare la funzione consultiva prevista dall'articolo 10, secondo comma, della legge 24 marzo 1958 n.

195. Da qui l'auspicio che, in futuro, il Consiglio superiore della magistratura sia posto in condizione di poter esprimere i suoi pareri e le sue proposte in materia di ordinamento giudiziario e di amministrazione ed organizzazione della giustizia con tempi, modi e forme adeguate a dispiegare nel modo più ampio e con maggiore ponderazione, approfondimento e completezza quel rapporto di leale collaborazione istituzionale che la Corte costituzionale ha individuato come modello prescrittivo delle relazioni tra Consiglio superiore della magistratura e Ministro di grazia e giustizia.

II. Riservando alle pagine che seguono l'esame delle specifiche articolazioni normative adottate nello schema di decreto, vi sono qui da segnalare in premessa alcune lacune gravi, probabilmente determinate dall'insostenibile vincolo di dover realizzare "a costo 0" una riforma di così rilevante portata.

La prima è quella che riguarda il riordinamento degli uffici giudiziari maggiori, quali quelli di Roma, Milano, Palermo e Napoli, i quali, a seguito della riforma, assumono caratteri dimensionali assolutamente eccessivi rispetto alle esigenze di buona gestione e richiedono comunque, oltre che incisive misure di rimodellazione, anche, probabilmente, l'individuazione di moduli di direzione diversi da quelli comuni.

Il Governo, si legge nella relazione che accompagna l'articolato,

"intende dare integrale attuazione alla delega legislativa conferitagli, fatta eccezione soltanto per le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, lettere i) e l)". Si tratta degli interventi soppressivi delle sezioni distaccate di pretura, con istituzione di alcune sezioni distaccate di tribunale (lett. i)), e di decongestione delle c.d. aree metropolitane, ossia dei tribunali di Milano, Roma, Napoli e Palermo (lett. l)).

Ad avviso del Consiglio Superiore, se è certamente vero che i punti predetti necessitano di particolare ponderazione, occorre rimarcare che si tratta di punti assolutamente ineludibili e non rinviabili, in quanto il mancato o ritardato intervento legislativo su di essi comprometterebbe l'efficacia dell'intera riforma: con

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evidente danno proprio per quel valore dell'efficienza nel servizio giustizia che costituisce il motivo ispiratore della legge delega.

Ciò risulta chiaro riguardo alle sezioni distaccate di tribunale, la cui istituzione in numero eccessivo nuocerebbe agli obiettivi della riforma; ma è ancor più evidente per i quattro grandi tribunali, riguardo ai quali il Consiglio ha in passato reiteratamente segnalato - anche sul piano propositivo - l'esigenza di adeguati interventi, muovendo dalla constatazione (oggi acuita dall'unificazione degli uffici di primo grado) che di alcuni "mega-uffici" le dimensioni determinano

"l'ingovernabilità" (cfr. risoluzione CSM 25 maggio 1994 e, successivamente, Relazione sullo stato della giustizia per l'anno 1996, parte II, capitolo 3).

Altra lacuna è quella che riguarda i locali e le strutture. Nella maggior parte delle sedi, ad esempio, la riforma dovrà scontrarsi con la insufficienza delle aule esistenti a far fronte al maggior numero di organi giudicanti indotto dall'ampliamento della monocraticità: con la conseguenza che gli effetti positivi della riforma in termini di efficienza e produttività della macchina della giustizia saranno inevitabilmente ancora una volta neutralizzati da ostacoli materiali eliminabili se tempestivamente individuati e affrontati.

Più in generale deve ancora una volta lamentarsi che le riforme della giustizia siano emanate come se esse fossero destinate ad aver effetti solo sul piano giuridico e cartolare e senza, quindi, essere precedute da attente analisi di fattibilità concreta.

In quest'ottica una segnalazione appare necessaria. La riforma ordinamentale qui in esame rende assolutamente urgente completare l'iter di approvazione della riforma in tema di depenalizzazione, se non si vuole che il giudice unico costituisca il valico per l'esportazione verso il tribunale della crisi del procedimento pretorile.

III. In terzo luogo va precisato che le valutazioni che seguono vengono effettuate senza tenere conto delle nuove piante organiche di tribunali, procure e corti di appello, per le quali è fatto rinvio ad un autonomo decreto ministeriale (art. 18, primo comma), di cui non si hanno allo stato anticipazioni e che dovrà misurarsi con la scarsa affidabilità degli indici statistici di riferimento.

IV. La riforma, per sua natura e per i modi con cui ad essa è stata data attuazione, porta, solo in parte necessariamente, alla concentrazione della funzione direttiva in un minor numero di soggetti. Ciò determina rischi di verticalizzazione e di accentramento dell'istituzione che sarebbero fortemente negativi per una funzione che, invece, deve assumere caratteri opposti a quelli delle organizzazioni gerarchicamente ordinate. Si pone così in primo piano, tra l'altro, l'esigenza di rivedere tutta l'organizzazione dirigenziale degli uffici giudiziari potenziando le forme di partecipazione e rimodellando le funzioni dirigenziali intermedie, che sono essenziali per una efficiente ed efficace gestione organizzativa.

Posta questa premessa, le valutazioni che vengono in seguito svolte sul punto specifico delle posizioni dirigenziali e di collaborazione direttiva sono da intendersi come riferite "allo stato degli atti" e ai limiti che la delega imponeva al presente intervento legislativo.

V. Infine, vi è qui da sottolineare che lo schema di decreto in esame appare presentare, in alcuni punti, eccedenze di varia entità rispetto ai limiti, ai criteri

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e ai principi direttivi che la legge delega ha imposto al Governo. In relazione a taluni casi può certamente essere questione di interpretazioni diverse circa l'estensione dell'incarico legislativo e delle sue implicazioni - ed in tali ipotesi il Consiglio ha ritenuto opportuno riservare i suoi rilievi al merito delle soluzioni adottate. Ma in altri è apparso più evidente e certo che il potere legislativo del Governo sia stato esercitato ultra vires. Ed allora il Csm non ha potuto omettere di segnalarli con precisione, dato che essi non ponevano in questione soltanto l'articolo 76 Cost., ma anche quella riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario che costituisce una delle garanzie dell'autonomia della magistratura da ogni altro potere.

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TITOLO I

DISPOSIZIONI SULL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

1.Premessa.

Nell'ambito del decreto legislativo vi sono norme che si limitano ad adeguare l'ordinamento giudiziario ai nuovi assetti (artt. 1, 2, 6, 10 ultima parte, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18). Per esse pare superfluo un esplicito commento. Coerenti sono le scelte operate nell'art. 6, laddove inserisce il giudice tutelare tra le attribuzioni del tribunale ordinario, e nell'art. 13, ove rafforza la specializzazione delle sezioni lavoro inserendo l'inciso "sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia di lavoro e in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria"

(nuovo testo dell'art. 54, terzo comma, ord. giud.).

I rilievi che seguono saranno limitati a pochi aspetti sui quali il Consiglio ha ritenuto di concentrare il confronto ed il suo contributo consultivo.

2. Articolo 4 (art. 7ter Ord.giud.).

Pieno consenso va formulato sulla proposta di prevedere criteri generali di organizzazione e di ripartizione dei procedimenti anche negli uffici di procura della Repubblica (art. 4, seconda parte). La necessità che vengano adottati criteri di organizzazione dichiarati e trasparenti in tali uffici, ed in particolare in quelli di più ampie dimensioni, e che venga assicurato il perseguimento anche della fascia di reati oggi di competenza pretorile, giustifica tale previsione, che rimanda alla responsabilità del dirigente da un lato e alla partecipazione di tutti i soggetti interessati dall' altro.

Le esigenze sono in questo campo diverse rispetto a quelle degli uffici giudicanti: qui è giustificata, ad esempio, una maggiore flessibilità e libertà nell'organizzazione dell'ufficio da parte del Procuratore. Ma non è certo giustificata l'attuale situazione in cui il procuratore è pressoché dominus assoluto. Tale assunto, reso particolarmente evidente dalle dimensioni che avranno molti uffici di procura, corrisponde anche alla pluriennale esperienza dell'istituzione, quale è riprodotta nelle circolari del Csm sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari nelle quali da tempo è richiesto anche agli uffici requirenti di fornire i criteri di organizzazione degli stessi e di indicare i parametri oggettivi e predeterminati cui si ispira l'assegnazione degli affari.

La questione è in qualche modo legata a quella - della quale si parlerà più avanti - delle nuove figure dirigenziali negli uffici di procura di maggiori dimensioni.

3. Articolo 7 (art. 43 bis ord.giud.).

La formulazione andrebbe rettificata per evitare che possa essere interpretata come attributiva al presidente della tribunale o al presidente di sezione di

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un potere non regolato e non controllabile in materia di assegnazione dei procedimenti ai magistrati. In realtà, il primo comma potrebbe anche essere utilmente soppresso.

Del secondo comma si parlerà nel corso della trattazione riguardante i giudici onorari.

4. Articolo 8 (art. 46 ord. giud.). Le sezioni del tribunale.

La relazione allo schema di disegno di legge rileva come il ruolo della sezione e del suo presidente subisca una radicale trasformazione dato che il tribunale nella maggior parte dei casi giudica in composizione monocratica. Tale principio trova attuazione nel nuovo testo dell'art. 46 ord. giud., per il quale la previsione delle sezioni è rimessa alla procedura tabellare. Ove le sezioni siano istituite, deve essere indicata nelle tabelle la competenza (anche promiscua) di ciascuna di esse, salvo che per le controversie di lavoro (per le quali viene esclusa, in caso di costituzione di sezioni, la configurazione promiscua) e per i provvedimenti per la fase delle indagini preliminari e per l'udienza preliminare, per cui deve essere necessariamente istituita una sezione.

Tale meccanismo di organizzazione del lavoro è riferito all'ufficio del capoluogo del circondario, in quanto per la formazione delle sezioni distaccate del tribunale (cui si riferisce il punto i. della l. 254/97) dovrà procedersi con un successivo atto di legislazione delegata.

5. Articolo 9. La dirigenza degli uffici giudiziari. Il presidente del tribunale (art. 47 ord.giud.)

L'articolo 9 dello schema di decreto legislativo sostituisce l'articolo 47 dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941 n. 12 (secondo cui il presidente del tribunale presiede la prima sezione, ma può anche presiedere i collegi di tutte le altre sezioni) introducendo in suo luogo una disposizione, rubricata

"Attribuzioni del presidente del tribunale" che così recita: "Il presidente del tribunale dirige l'ufficio e, nei tribunali costituiti in sezioni, distribuisce il lavoro tra le sezioni.

Salvi i compiti dei presidenti di sezione, sorveglia altresì l'andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari e vigila sull'attività dei giudici".

Mentre può essere espresso un giudizio positivo sulla soppressione di quella sorta di status di extra-tabellarità che l'articolo 47 concede al presidente del tribunale, va osservato che la formulazione adottata dall'articolo in rassegna, pur assegnando al presidente la "direzione dell'ufficio", nella parte relativa ai servizi di cancelleria ed ausiliari, appare poter essere interpretata come attributiva al presidente del tribunale del solo potere di "sorveglianza", nella sostanza lasciando in via esclusiva ai dirigenti amministrativi la direzione dell'ufficio relativamente alla gestione ed all'organizzazione dei servizi stessi. Ora, se è certo che ai capi degli uffici giudiziari spettano poteri di sorveglianza sulla gestione e sull'organizzazione dei servizi di cancelleria e se è vero che questi, a norma degli articoli 101 e 102 della legge 1196 del 1960 sono diretti in via immediata dai dirigenti amministrativi, è anche vero che questi ultimi rispondono al Presidente del tribunale e agli altri capi degli uffici giudiziari. La formula del nuovo articolo 47, invece appare fornire una descrizione esaustiva delle attribuzioni del presidente e comprendere in essa - per quanto riguarda i servizi di cancelleria - soltanto compiti di sorveglianza e non anche una posizione di sovraordinazione.

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Non è dato sapere quali siano le ragioni di questa equivoca formulazione. Appare improbabile che essa sia consapevole e intenzionale; volta, cioè, a dare attuazione normativa al concetto di “doppia dirigenza” degli uffici giudiziari o quanto meno ad adombrarla mediante una sorta di anticipazione lessicale.

Nel merito del problema non vi è che da richiamare la posizione assunta dal C.S.M. con la delibera 16 aprile 1997 con cui veniva dato parere al Ministro sul disegno di legge concernente la delega al Governo per il decentramento dei servizi della giustizia. In quella sede il Consiglio rimarcò come il concetto di doppia dirigenza preveda non tanto un rapporto di collaborazione, ma un potere decisionale su ogni profilo organizzativo in capo al funzionario amministrativo e chiarì che il dissenso da quella prospettazione non nasceva da interessi corporativi ma da una sentita preoccupazione per le ricadute negative che si avrebbero in termini di efficienza e di salvaguardia dell'autonomia e dell'indipendenza della funzione giurisdizionale, innescando oltretutto probabili contenziosi senza fine". Non pare potersi dubitare, infatti, che le funzioni di organizzazione dei servizi di cancelleria degli uffici giudiziari debbono essere configurate in modo tale da assicurare che tali servizi operino secondo le necessità della funzione giudiziaria che in tali uffici si svolge e in conformità ai modi e alle condizioni di esercizio di tale funzione quali sono stabiliti da chi soltanto ha il potere di farlo e cioè dai giudici e dai presidenti.

Dovendosi quindi l'organizzazione e la gestione dei servizi modellarsi in modo dipendente dai modi di organizzazione e gestione delle funzioni giudiziarie è chiaro che chi ha il compito di organizzare e gestire queste ultime deve anche poter conseguentemente determinare in ultima istanza le modalità, le condizioni e i criteri generali di organizzazione, gestione e svolgimento dei servizi.

Ciò posto, la modifica normativa della materia sarebbe palesemente eccedente rispetto alla delega, posto che il ruolo della dirigenza amministrativa e i rapporti di essa con la dirigenza giudiziaria degli uffici non hanno nulla a che fare con le prescrizioni contenute nella legge 254 del 1997 e non sono neppure indirettamente collegate alla materia di cui la legge delega si occupa.

La disposizione, comunque, andrebbe corretta, perché, a causa della sua ambiguità, potrebbe essere fonte di contenziosi in una fase di riorganizzazione in cui la dirigenza degli uffici sarà impegnata in compiti di grande rilievo, con riguardo ai quali ogni ulteriore turbativa è da evitare.

In conclusione l'articolo 9 - e il corrispondente articolo 47 dell'o.g. - dovrebbero essere soppressi. In alternativa potrebbe essere sufficiente eliminare la frase "sorveglia altresì l'andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari.

Quest'ultima soppressione andrebbe anche operata nel testo dell'articolo 47 quater, quale introdotto dall'articolo 10 dello schema.

6. Articolo 10. La dirigenza degli uffici giudiziari. I presidenti di sezione (artt. 47 bis - 47 quinquies ord. giud.). Le funzioni di collaborazione direttiva nelle procure.

Con lo spostamento dei magistrati già assegnati a preture e procure circondariali nell'organico dei tribunali e delle procure presso i tribunali (e con il parallelo analogo spostamento del personale amministrativo previsto dall'art. 25) verranno a crearsi uffici giudiziari di proporzioni rilevanti, in alcuni casi sicuramente inusuali.

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Tali uffici daranno luogo a considerevoli problemi funzionali di gestione, non solo sotto l'aspetto strettamente inerente l'organizzazione della giurisdizione, ma anche sotto quello attinente il governo delle strutture operative.

Si consideri, sul solo piano della organizzazione del lavoro dei magistrati, come la concomitante creazione della figura del magistrato onorario di tribunale e di procura comporti l'accentramento presso un unico ufficio di tribunale o di procura di un organico che consta sostanzialmente della somma dei magistrati già ora in forza presso tale ufficio, più i magistrati togati provenienti dalla pretura o dalla procura circondariale, più un pari numero di magistrati onorari, più - in certi casi - un certo numero di giudici onorari aggregati.

Al riguardo non è dato conoscere, come già rilevato, in che termini il Governo intenderà esercitare la delega di cui al punto l. della l. 254/97 a proposito dell'istituzione di nuovi tribunali che abbraccino parte dei circondari di Milano, Roma, Napoli e Palermo. Non è difficile, però, ipotizzare che nelle strutture maggiori si porranno problemi di organizzazione del tutto nuovi che richiederanno da parte dei dirigenti degli uffici scelte ed iniziative particolarmente efficaci.

I. Gli articoli 47bis e 47 ter escludono che ad ogni sezione istituita debba necessariamente corrispondere un posto di presidente di sezione.

Deve peraltro essere segnalato che il primo comma del nuovo articolo 47ter sembra disporre che, ove vengano istituiti presidenti di sezione, essi debbano obbligatoriamente essere in numero pari ad un decimo dei giudici ordinari. Il che comporterebbe un aumento, spesso ingiustificato e certamente non voluto delle posizioni semidirettive. Meglio sarebbe, quindi, dire "in numero non superiore a quello determinato dalla proporzione da uno a dieci" anziché "rispettando la proporzione di uno a dieci".

Fatta questa segnalazione, deve essere condivisa la scelta di prevedere una soglia minima (rapporto minimo di 1:10 tra presidenti di sezione e giudici) quale presupposto per l'istituzione di posti di presidenti di sezione nei singoli uffici, in ragione del tentativo di razionalizzare un campo ove l'attribuzione e la proliferazione di incarichi semidirettivi derivava più da contingenze e pressioni che da una reale valutazione delle esigenze.

Ugualmente, non appare condivisibile che sia previsto un posto di presidente di sezione come conseguenza automatica della presenza di una sezione di Corte d'assise.

Tale previsione sarebbe valida qualora si fosse prima rivista la geografia giudiziaria in merito. Da una recente indagine del C.S.M. (risoluzione del 9 luglio 1997) risulta che sono istituite sezioni di Corti di Assise in ben 92 tribunali, ovvero in più della metà con dislocazioni territoriali del tutto incongrue, con la presenza di una sezione di Corte di Assise in tribunali di dimensioni modeste come Lanciano o Casale Monferrato, in tutti i tribunali dell'Emilia Romagna e della Toscana (salvo Montepulciano e Pistoia), in ben quattro sedi in Abruzzo, mentre in tutta la Campania sono cinque e tre nell'intera Sardegna e in cinque distretti (Caltanissetta, Campobasso, Messina, Potenza, Salerno) la Corte di Assise si riduce al capoluogo di distretto. Non solo, ma in ben 16 Corti di Assise si sono celebrate in due anni e mezzo meno di 10 udienze ed in altre 30 sono state pronunziate nello stesso periodo non più di tre sentenze.

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Qualsiasi previsione sulla presenza di Presidenti di Sezione presupporrebbe quindi una razionalizzazione delle dislocazioni territoriali delle Corti di Assise.

A quanto si legge anche nella Relazione, dovrebbe escludersi ogni automatismo tra la soglia minima di dieci giudici e l'istituzione del posto semidirettivo, a favore di una proporzionalità flessibile che garantisca agli uffici un numero sufficiente di incarichi semidirettivi a carattere collaborativo. La scelta che si poneva era tra due opzioni: la prima rappresentata da un numero estremamente limitato di semidirettivi con compiti fondamentalmente organizzativi; la seconda da un numero più ampio di soggetti coinvolti nell'attività giudiziaria oltre che nelle funzioni organizzative. La scelta operata nello schema di decreto è nella seconda direzione e pare condivisibile, sia per la necessità che chi ricopre tale ruolo sia direttamente partecipe delle problematiche concrete vissute dall'ufficio nel lavoro quotidiano, sia per la diffusione che la funzione semidirettiva ottiene nelle diverse branche in cui si articola un ufficio giudiziario.

II. Il secondo comma del nuovo articolo 47 bis prevede che, ove non sia istituito il posto di presidente di sezione, dell'organizzazione del lavoro della sezione è incaricato il magistrato di qualifica più elevata o più anziano, ma ciò solo di regola.

Questa precisazione lascia intendere che si tratta di un incarico tabellare, nell'assegnazione del quale il Csm deve seguire il criterio dell'anzianità come criterio preferenziale, ma non assoluto.

Taluno ha espresso l'avviso che l'articolo 10, in realtà, introduce una nuova fattispecie di magistrato preposto all'organizzazione del lavoro nell'ambito della sezione, quella del "magistrato più elevato in qualifica", destinato a prevalere sul magistrato più anziano. A parte le perplessità sul merito della scelta (secondo tale avviso, un magistrato, ancorché validissimo, potrebbe solo vedersi ritardato il riconoscimento della qualifica per fisiologici ritardi della valutazione e sarebbe iniquo il suo temporaneo declassamento all'interno della sezione) si pongono dubbi di possibile eccesso di delega, dal momento che quest'ultima non ha dato poteri al Governo per intervenire in materia di ordinamento giudiziario.

III. Le sezioni dei giudici delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare. Il nuovo articolo 47 ter, al secondo comma, sembra prevedere la direzione di un presidente di sezione per le sezioni dei giudici per le indagini preliminari e per l'udienza preliminare solo nei dodici Tribunali elencati dalla tabella A della legge 22 dicembre 1973 n.884. Ma la disposizione può anche essere letta nel senso che in tali tribunali la figura semidirettiva è necessaria, mentre negli altri è possibile ove ricorrano le condizioni generali previste per l'istituzione del posto di presidente di sezione.

In tal modo viene implicitamente abrogata la figura dei presidenti aggiunti delle sezioni g.i.p. e si declassano a posti di grado di appello le attuali presidenze delle sezioni g.i.p., istituite con legge. Tale scelta, per alcuni aspetti può essere razionale, ma allora occorrerebbe forse disciplinare la sorte, l'eventuale opzione di permanenza e lo status dei magistrati che oggi rivestono tale incarico, tutti problemi del tutto ignorati nel decreto.

Con riferimento alla scelta di eliminare i presidenti aggiunti, va ricordata una recente ricognizione svolta dal C.S.M. (risoluzione del 9 luglio 1997) che auspicava proprio una migliore distribuzione dei ruoli semidirettivi creati per

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questi uffici. Veniva in quell'occasione osservato come la generalità della previsione e l'assenza di qualsiasi vincolo con le dimensioni dei rispettivi tribunali ha condotto ad una abnorme proliferazione di questi incarichi semidirettivi e ad ingiustificate diversità di trattamento.

Basti pensare che sono previste tali posizioni per un tribunale come Trieste che ha un organico complessivo di 17 magistrati, mentre nulla è previsto per il tribunale di Brescia con 35 magistrati, per quello di Lecce con 39 giudici o Salerno con 46. E che è previsto un posto di presidente ed uno di presidente aggiunto in uffici G.I.P. come quelli di Trieste con complessivi tre giudici, di Venezia con sei giudici, di Bari con sette, mentre manca qualsiasi ruolo semi direttivo per questa tipologia di uffici, con i conseguenti benefici di stabilità, rappresentanza e coordinamento, in importanti uffici in particolare del sud Italia (Reggio Calabria con 5 giudici e Salerno con 7 giudici).

Più razionale sarebbe disciplinare in via generale le sezioni g.i.p. in modo analogo alle sezioni lavoro, indicando una soglia minima di giudici addetti per istituire il posto di presidente di sezione e conservando il posto di presidente aggiunto per quei pochi tribunali ove la sezione supera un congruo livello di consistenza (già con il numero di 20 giudici tale posto verrebbe istituito solo in cinque tribunali).

Nel corso del dibattito consiliare, peraltro, non è mancato chi ha ritenuto opportuno suggerire di mantenere tutti i posti di presidente di sezione G.i.p.

oggi esistenti.

IV. Le attribuzioni del presidente di sezione del tribunale. La presidenza dei collegi (artt. 47 quater e quinquies ord. giud.). Il nuovo art. 47 quater ord. giud. proposto dallo schema di decreto legislativo prevede che il presidente di sezione "ha la direzione di una o più sezioni, collabora con il presidente del tribunale nell'attività di direzione dell'ufficio e svolge il lavoro giudiziario assegnato a norma dell'art. 43 bis. Sorveglia, inoltre, l'andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari della sezione, distribuisce tra i giudici e vigila sulla loro attività".

Per quanto riguarda la previsione di una funzione di mera sorveglianza sull'andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari della sezione si rinvia a quanto già si è detto a proposito dell'analoga formulazione adottata per descrivere le attribuzioni del presidente del tribunale. La proposizione andrebbe quindi soppressa.

Per il resto la norma in esame è sicuramente apprezzabile, in quanto definisce la figura del presidente di sezione senza incentrarla sul ruolo di presidente del collegio giudicante, ma comprendendovi funzioni di collaborazione direttiva con il presidente del tribunale e funzioni di direzione dell'unità organizzativa rappresentata dalla sezione. Ancora più evidente è questa specificazione ove si consideri che la norma contrappone il concetto di "direzione di una o più sezioni", con chiaro riferimento ai compiti organizzativi, a quello di presidenza del collegio, che è compito a carattere giurisdizionale che il presidente di sezione, in caso di composizione collegiale del tribunale, condivide con altri giudici (il presidente del tribunale, il magistrato più elevato in qualifica, il più anziano dei magistrati di pari qualifica che compongono il collegio) (art. 47 quinquies).

Questa costruzione rappresenta un indubbio passo avanti, in quanto nello scindere il rapporto presidente di sezione presidente del collegio ora esistente evidenzia (ed impone) un ruolo spiccatamente organizzativo del presidente di sezione.

Tuttavia non può dirsi che il problema di una adeguata definizione e riqualificazione delle figure di direzione intermedia sia in tal modo risolto. A parte la necessità di una

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descrizione più specifica e articolata dei compiti, si dovrebbe probabilmente prescindere dal necessario collegamento delle tre funzioni sopra indicate e prevedere, ad esempio - almeno negli uffici di grandi dimensioni - che alle figure semidirettive caratterizzate dalla preposizione alle sezioni si aggiungano, senza unirsi nelle medesime persone, figure di collaborazione alla funzione direttiva del Presidente da esercitarsi in posizione di staff.

Nello schema normativo in esame, molti uffici non potranno valersi della collaborazione direttiva dei presidenti di sezione, in quanto la loro presenza è subordinata all'istituzione del relativo posto nell'organico del tribunale. Il posto di presidente di sezione è specificamente previsto solo per la direzione della sezione lavoro cui siano addetti più di dieci giudici e della sezione g.i.p. e g.u.p. dei tribunali di cui alla legge 22.12.73 n. 884 (tribunali di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Genova, Bologna, Venezia, Trieste) (art. 47 ter, c. II e III). Per il resto, l'istituzione di una sezione non comporta automaticamente il posto di presidente di sezione, che può essere istituito "rispettando la proporzione di uno a dieci".

Secondo alcuni, deve, inoltre, tenersi conto che il posto di presidente di sezione è destinato ad essere coperto in sede concorsuale sulla base di titoli attinenti non solo alla preparazione giuridica, ma anche - e, si auspica, sempre più spiccatamente - all'attitudine gestionale. Potrebbe essere utile, in futuro - una volta definito in termini spiccatamente organizzativi il ruolo semidirettivo in esame - eliminare il collegamento automatico tra presenza nel collegio del presidente di sezione e attribuzione al medesimo dei compiti di presidenza del collegio. Gli stessi componenti ritengono, più in generale, le funzioni di presidente del collegio neppure dovrebbero essere automaticamente rivestite dal più anziano dei componenti, ma dal più idoneo. Il che significa che esse dovrebbero essere assegnate, in via non stabile e sulla base di criteri predeterminati opportunamente individuati, mediante una procedura paraconcorsuale in sede tabellare.

V. In materia di ufficio del g.i.p., poi, non si comprende perché (all'art.28) il presidente della sezione sia stato escluso dalle riunioni semestrali, malgrado la importanza notevole rivestita dall'ufficio del giudice per le indagini preliminari nel quadro del funzionamento degli uffici giudicanti.

VI. L'organizzazione degli uffici del pubblico ministero. I procuratori aggiunti. Lo schema di decreto legislativo nulla dice circa la figura e le attribuzioni dei procuratori aggiunti. Tale silenzio si unisce ad una singolare assenza di disposizioni su questa figura che compare solo una volta e per inciso nell'ordinamento giudiziario; nell'opera affidata dal legislatore delegante di ristrutturare gli uffici di primo grado non può mancare una definizione dei compiti di questo organo giudiziario ed una parametrazione simile a quella presente per i presidenti di sezione.

I compiti del procuratore aggiunto vanno quindi sostanziati nella collaborazione alla direzione dell'ufficio, nella direzione di settori o gruppi di lavoro e nell'attività di sorveglianza sull'attività dell'ufficio, oltre allo svolgimento del lavoro giudiziario assegnatogli.

La stessa formulazione contenuta nell'art. 7 ter comma III dell'ordinamento giudiziario, così come modificato dall'art. 4 dello schema, evidenzia le nuove esigenze degli uffici unificati di procura a cui non viene data alcuna soluzione, nonostante il problema della loro organizzazione sia oltremodo accentuato

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dalle nuove dimensioni rispetto a quelle attuali. Si rende, quindi, indispensabile la valorizzazione del ruolo di coordinamento ed ausilio alla dirigenza proprio della funzione di procuratore aggiunto.

Con riguardo agli uffici unificati di procura, infatti, non hanno alcun rilievo nemmeno le ragioni che sono state addotte in generale a sostegno di un'eventuale ridotta esigenza di figure direttive intermedie rispetto al previgente sistema, essendo ovviamente estranea alla problematica dell'organizzazione degli uffici di procura la correlazione logica, finora ritenuta necessaria, tra "presidente di sezione" e "presidente di collegio" giudicante. In realtà la figura semidirettiva di

"procuratore aggiunto", in virtù della natura stessa degli uffici di procura, è da sempre caratterizzata in primo luogo dall'esercizio proprio di quelle funzioni di collaborazione direttiva, da svolgersi soprattutto in chiave organizzativa, che negli uffici giudicanti soltanto con l'attuale riforma acquistano un predominante rilievo rispetto alle funzioni strettamente giudiziarie di presidenti di collegio.

Da ciò discende che, essendo immutate le esigenze ed i compiti cui sono preposti i semidirigenti negli uffici di procura, le nuove e più ampie dimensioni di questi ultimi dovrebbero influire necessariamente anche sulla quantificazione del loro numero, in base ad un rapporto proporzionale ottimale con i sostituti.

Nulla è, invece, previsto nella schema di decreto legislativo, ovviamente con riferimento non alla determinazione degli organici, ma all'individuazione di una soglia minima e di un rapporto proporzionale tra numero di sostituti e di procuratori aggiunti.

In tale ottica dovrebbe essere stabilita, come prevede l'art. 47 ter dell'ordinamento giudiziario per gli uffici giudicanti, una parametrazione minima tra numero di sostituti e di procuratori aggiunti. Il relativo rapporto, in assenza di una più attenta verifica che andrebbe svolta sul campo, potrebbe attestarsi su diverse possibili proporzioni alternative. Se si seguisse quanto già previsto per i presidenti di sezione il rapporto dovrebbe essere di uno a dieci, dovendosi comunque precisare che la mancanza di qualsiasi automatismo, così come avviene per la disciplina proposta per gli uffici giudicanti, elimina a priori qualsiasi rischio di abnorme proliferazione di incarichi semidirettivi. Se invece si partisse dall'attuale dato numerico e di esperienza, che prevede una quota inferiore di semidirettivi negli uffici requirenti rispetto a quelli giudicanti (l'attuale proporzione è di 13,7 semidirettivi ogni cento giudici negli uffici giudicanti contro il 2,6 per cento in quelli requirenti), si potrebbe optare per un rapporto di uno a quindici. In quest'ultimo caso andrebbe comunque tenuto particolare conto delle procure sedi di direzione distrettuale antimafia, presso le quali sarebbe opportuno prevedere comunque la presenza di un aggiunto che, pertanto, non andrebbe computato nel predetto rapporto.

E' certa, e deriva dalla concreta esperienza giudiziaria, la necessità di un aumento del numero dei procuratori aggiunti nelle medie sedi ove la sommatoria dei sostituti presso il tribunale e presso la pretura supera ormai una soglia minima di congruità, e soprattutto nelle grandi sedi che rischiano di soffrire di un "gigantismo"

che comporterà il moltiplicarsi dei problemi organizzativi. Basti pensare alle dimensioni che assumeranno i più grandi uffici (la procura di Roma passerebbe da 61 a 109 sostituti, quella di Napoli da 66 a 113, quella di Milano da 52 a 85, quella di Palermo da 50 a 68 e quella di Torino da 31 a 57) per dimostrare come le esigenze generali dei nuovi uffici ed il coordinamento dei magistrati ad essi addetti non potranno essere fronteggiati con l'attuale numero di procuratori aggiunti, dovendosi oltretutto tener presente la necessità di applicare i più appropriati ed aggiornati canoni

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organizzativi, anche alla luce delle modifiche normative proposte sul piano ordinamentale.

Occorre osservare, al riguardo, che i moduli organizzativi adottati con maggiore frequenza soprattutto negli uffici inquirenti di grandi dimensioni, e che sono ormai considerati comunemente come i più efficaci tanto da aver meritato un'espressa previsione normativa (sia pure con una prospettazione di sola eventualità) con la modifica proposta nell'ultima parte dell'art. 7 ter dell'ordinamento giudiziario, prevedono la ripartizione dei sostituti in "gruppi di lavoro", evidentemente destinati alla trattazione di affari omogenei distinti per materia; tali gruppi necessitano di un adeguato coordinamento che, per risultare il più efficace possibile, è opportuno che sia svolto preferibilmente da un magistrato con funzioni semidirettive. Occorre ancora, infine, considerare che negli uffici inquirenti il dirigente (e quindi anche i semidirigenti delegati), mantiene tuttora un certo potere di intervento nel merito delle indagini svolte dai sostituti (ad esempio il potere di "visto" preventivo sui provvedimenti più rilevanti, oppure il potere di "revoca" della designazione con provvedimento motivato), che comporta un impegno considerevole ulteriore anche rispetto a quelli che egli ha in comune con i dirigenti degli uffici giudicanti.

7. Articolo 19. Il ricollocamento dei magistrati in servizio presso gli uffici soppressi.

Il principio generale enunziato nella disposizione in esame prevede che i magistrati già assegnati a preture e procure circondariali entrano di diritto a far parte dell'organico dei tribunali e delle procure cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi, "anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze".

Il secondo comma dello stesso art. 19 prevede che detto spostamento

"non costituisce assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede"

ai sensi dell'art. 2, c. III, del r.d. 31.5.46 n. 511, "né costituisce trasferimento ad altri effetti e, in particolare, agli effetti previsti dall'articolo 194 del r.d. 30.1.41 n. 12 e dall'articolo 13 della l. 2.4.79 n. 97".

Ne consegue che i termini di legittimazione per la partecipazione a successivi concorsi per tramutamento od assegnazioni di funzioni previsti dall'art. 194 ord. giud. si computano dall'assunzione delle precedenti funzioni di pretore o di sostituto procuratore di pretura.

Viene, inoltre, esclusa l'attribuzione dell'indennità di missione dovuta ai magistrati per i disagi derivanti dall'inserimento nel nuovo ufficio a seguito di trasferimento ex art. 2, c. III, r.d.lgs. 511/46 (è questo il senso dell'inapplicabilità dell'art. 13 della l. 97/79, cfr. anche la Relazione di accompagnamento, pag. 20). Tale opzione, pur obbligata per il legislatore delegato in ragione del principio enunziato dalla legge delega di escludere oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato (art. 1, lett. q.), pare, peraltro, non tener conto della sicura gravosità che sul piano personale ne potrà deriverà ai magistrati.

Tale impostazione trova, comunque, un correttivo (al fine di "evitare trattamenti ingiustamente punitivi e di dubbia conformità alla Costituzione", cfr.

Relazione) nella seconda parte dell'art. 19, II comma, ove vengono fatti salvi per i magistrati che a seguito dell'applicazione della l. 254/97 siano costretti a fissare la loro residenza in diversa sede di servizio, i diritti alle indennità di tramutamento e di missione previste dalle leggi 18.12.73 n. 836 e 26.7.78 n. 417 (ove, naturalmente, ne ricorrano i presupposti).

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Taluno ha peraltro espresso perplessità di eccesso di delega in ordine all' intero secondo comma dell’art.19. La legge delega- secondo tale avviso - ha infatti autorizzato il Governo (art.1, lett. b ed m) soltanto a sopprimere gli uffici pretorili trasferendo le competenze al tribunale; sicché ogni altro intervento ordinamentale, anche quello relativo alla deroga dell’art.2 legge guar., ancorché formulato alla stregua di una specie di interpretazione autentica di esso, appare fuori delega. Né l'intervento in questo senso può ritenersi necessitato e dunque legittimato dalla finalità di coordinamento con la vigente normativa (art.2 legge delega), dal momento che gli effetti della soppressione degli uffici di pretura e di procura circondariale, quanto alla situazione giuridica dei magistrati agli stessi addetti, restano comunque regolati dal ricordato art.2 legge guar.. Peraltro, una disposizione che comprime il diritto dei perdenti posto sul piano degli effetti conseguenti alla destinazione d'ufficio finisce con l'apparire inficiata da disparità di trattamento (rispetto al caso normale disciplinato dalla legge di magistrati titolari di posti soppressi); disparità che comunque la legge delegata consapevolmente realizza fra magistrati e funzionari di cancelleria, per i quali, in base all' art.25, si realizza il trasferimento d'ufficio.

8. Articolo 22. La destinazione dei capi degli uffici soppressi e dei semidirettivi.

I. Preliminarmente, deve rilevarsi che il problema in esame non attiene solamente la posizione dei pretori dirigenti e dei procuratori circondariali, nonché dei semidirettivi di preture e procure soppresse, ma riguarda anche quelle dei presidenti di sezione dei tribunali, dei quali il Ministro, nell'ambito del progetto di rielaborazione degli organici, dovesse sopprimere il posto.

Il primo comma dell'art. 22 prevede per tutti questi magistrati che: “in attesa di essere destinati a nuovi incarichi o funzioni ... esercitano le funzioni di giudice del tribunale o di sostituto procuratore ... presso gli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi, collaborando altresì con il presidente del tribunale o con il procuratore della repubblica per la risoluzione dei problemi di organizzazione degli uffici ristrutturati".

Costoro, inoltre, possono chiedere, in deroga all'art. 194 ord. giud., l'assegnazione ai posti vacanti alla data di pubblicazione del decreto ministeriale che determina i nuovi organici (secondo comma). Ove tale richiesta non venga effettuata (o l'assegnazione non sia possibile) i predetti possono chiedere di essere destinati (anche in soprannumero riassorbibile) a posti di consigliere di corte di appello in un distretto da essi scelto, a posti di giudice o sostituto in una sede da essi scelta (comma terzo). In mancanza di richieste di assegnazione detti magistrati sono destinati di ufficio quali giudici o sostituti presso gli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi (comma quarto).

Tale articolata soluzione, come precisato nella Relazione, nasce dall'intento di privilegiare le istanze di razionalità organizzativa e di efficienza operativa degli uffici rispetto alle aspettative o ai desideri dei magistrati che attualmente svolgono funzioni direttive o semidirettive (pag. 22).

Al riguardo deve rilevarsi, innanzitutto, che, onde evitare l'eccessivo procrastinamento di situazioni che il testo legislativo presuppone transitorie, occorre fissare un termine alla permanenza degli interessati nelle funzioni “collaborative”.

Tale termine pare opportuno indicare in tre anni dalla soppressione dell'ufficio a quo.

La norma avrebbe, naturalmente, uno scopo di salvaguardia, in quanto il sistema pare

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congruamente finalizzato a favorire una sollecita destinazione a nuove funzioni dei magistrati interessati, in ciò coltivando un orientamento già preso dal C.S.M. che, consentendo ai futuri perdenti posto di partecipare ai concorsi per il conferimento di nuovi posti a prescindere dal termine di legittimazione dell'art. 194 (delibera 17.10.97), ha già suggerito una via di definizione delle situazioni ora in esame.

II. Per quanto riguarda la formulazione della deroga all'articolo 194 contenuta nel secondo comma della norma in rassegna, sarebbe necessario eliminare la specificazione che i posti ai quali l'interessato può chiedere l'assegnazione sono quelli

"vacanti alla data di pubblicazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 18, comma 1, del presente decreto", questa limitazione essendo incomprensibile e comunque contraria allo spirito e alle finalità della normativa. Sarebbe dunque da stabilire che i suddetti possono chiedere l'assegnazione "ad ogni posto vacante".

III. Con riferimento al comma 3, va rilevato che non è ammessa, neppure per i dirigenti e i semidirettivi delle procure presso le preture la richiesta di assegnazione automatica alle procure generali presso le corti d'appello. Tale limitazione appare razionale in considerazione della ridotta dimensione di tali uffici e dell'eccessivo numero di soprannumerari che altrimenti verrebbe in essi a determinarsi.

IV. Per i dirigenti che abbiano optato per i posti di appello o di tribunale di cui al terzo comma, deve essere mantenuta l'esenzione integrale dai termini di legittimazione di cui all'articolo 194, a differenza di quanto invece stabilisce, senza percepibile motivazione, il comma 6 dell'articolo esaminato. Occorre aver ben presente che si tratta di magistrati i quali, in ragione della riforma, hanno visto sacrificati i loro progetti di percorso professionale e che quindi, se non debbono essere destinatari di benefici che soddisfino i loro pur legittimi interessi personali a detrimento del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, neppure possono essere penalizzati senza che vi sia, al riguardo, una giustificazione specificamente e concretamente riferita a tale valore.

V. Deve, tuttavia, rilevarsi che tra i capi di ufficio perdenti posto vi sono ventiquattro capi di ufficio con qualifica di magistrato di cassazione, ai quali sembra ingiusto (contrariamente a quanto ritenuto dalla Relazione, pag. 25) non concedere la possibilità di richiedere l'attribuzione di un posto di consigliere della Corte di cassazione o di sostituto procuratore generale presso la stessa. Si tratta di numeri alquanto ridotti, sicché non ne deriverebbe un'alterazione apprezzabile nella composizione dei due uffici di legittimità.

Sembrerebbe, quindi, opportuno inserire nell'art. 22 un comma 3 bis formulato in termini simili a quelli che seguono: "I magistrati titolari dei posti di consigliere pretore dirigente e di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale con funzioni di cassazione possono, altresì, chiedere nel termine fissato dal Consiglio Superiore della Magistratura di essere destinati alle funzioni di consigliere della Corte di cassazione o di sostituto Procuratore generale, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze". Per il caso di mutamento di funzioni (dal giudicante al requirente e viceversa), il C.S.M. dovrà formulare il giudizio attitudinale previsto in via generale dall'art. 190 ord. giud..

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Per gli stessi dirigenti appare opportuno adottare anche una formulazione più specifica delle funzioni di collaborazione che verranno ad essi affidate ove scegliessero l'opzione prevista nel comma 1 della norma in rassegna. Un formulazione, cioè, che tenga conto che si tratta di uffici di maggiori dimensioni e nei quali, pertanto la funzione di collaborazione direttiva nella e per la fase transitoria merita di essere valorizzata utilizzando, sia pure in via transitoria, le esperienze che questi dirigenti hanno maturato negli uffici di provenienza.

Per queste situazioni si suggerisce quindi di adottare la seguente formula, che potrebbe comparire come comma successivo all'attuale comma 1: "In deroga a quanto disposto dall'articolo 2, terzo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946 n. 511, i magistrati titolari dei posti di pretore dirigente e di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale previsti dall'articolo 1, terzo comma, del decreto legge 25 settembre 1989 n. 327, convertito nella legge 5 marzo 1991 n. 71, in attesa di essere destinati a nuovi incarichi o funzioni a norma delle disposizioni che seguono, esercitano, per un periodo comunque non superiore a tre anni, funzioni di collaborazione direttiva presso gli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi".

Nel corso della discussione consiliare sono emerse anche linee differenziate.

Per la prima di esse un trattamento analogo a quello ora detto dovrebbe essere riservato anche ai magistrati titolari dei posti di consigliere pretore dirigente e di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale diversi da quelli (24) per i quali la legge richiede la qualifica di magistrato di cassazione, ed anche per tutti i titolari di posti semidirettivi degli uffici soppressi. Per costoro viene quindi suggerita una simile formulazione normativa: "... in attesa di essere destinati ai nuovi incarichi o funzioni a norma delle disposizioni che seguono, esercitano per non più di un triennio le funzioni equiparate a quelle di presidente di sezione o di procuratore aggiunto della Repubblica presso gli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi, collaborando altresì con il presidente del tribunale e con il Procuratore della Repubblica per la risoluzione dei problemi di organizzazione degli uffici ristrutturati" .

Per completezza di esposizione, occorre infine dar conto di altra posizione, sviluppata da chi ha sottolineato l'esigenza di non disperdere le esperienze maturate negli uffici che vengono a confluire nel Tribunale, con riguardo alle Preture e alle relative Procure della Repubblica. E' noto che si tratta di uffici che hanno assunto schemi organizzativi e modalità operative significativamente diverse da quelle del Tribunale e della relativa Procura della Repubblica. Il discorso vale particolarmente per gli uffici del pubblico ministero, sotto il profilo delle specializzazioni per campo di normativa penale, della strutturazione delle speciali sezioni di polizia giudiziaria, dei rapporti con le autorità amministrative locali, ecc. La necessità di trasferire tali esperienze nei nuovi uffici è quindi particolarmente pressante. Essa non può essere soddisfatta se non trasferendo le persone che di quelle esperienze sono portatrici.

In tale ordine di idee, tutti i magistrati addetti agli uffici che vengono assorbiti dal Tribunale ordinario - e non solo i giudici pretori ed i sostituti di Pretura - dovrebbero transitare nei corrispondenti uffici di Tribunale e di Procura della Repubblica, mantenendo il loro ruolo di direzione. Naturalmente i dirigenti dovrebbero assumere un posto di organico semidirettivo, per l'ovvia considerazione che il posto direttivo non può essere che uno solo.

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La soluzione prospettata peraltro non si giustificherebbe nei Tribunali di piccole o medie dimensioni, sia perché potrebbe confliggere con le ragioni della adeguatezza complessiva degli organici e del rapporto tra posti ordinari e semidirettivi, sia perché in effetti le speciali modalità organizzative e la conseguente specifica esperienza professionale in tali piccoli e medi uffici non hanno avuto possibilità di svilupparsi in modo rilevante. Secondo la tesi in discorso, per le dodici sedi ove gli uffici di Pretura e di Procura sono retti da magistrati con funzioni di Cassazione (che vengono identificate per le dimensioni degli uffici e non quindi per la qualifica del posto direttivo) ed ove, talora, sono previsti posti di Procuratore Aggiunto, per dar riconoscimento alle esigenze qui sopra rappresentate, sarebbe opportuno prevedere il trasferimento dei magistrati che ricoprono l'incarico direttivo e quelli con incarico semidirettivo a posti semidirettivi di Presidente di Sezione del Tribunale e di Procuratore Aggiunto. Si tratterebbe di posti di organico rispetto ai quali l'ipotesi di temporaneità non avrebbe ragion d'essere, anche se la previsione della copertura in soprannumero lascerebbe aperta la successiva ridefinizione della pianta organica di ciascun ufficio.

VI. Per tutti questi magistrati dovrebbe essere applicabile lo stesso regime di sostegno economico previsto dall'art. 19, c. II, per i pretori ed i sostituti assegnati ai tribunali. Sotto questo punto di vista, pertanto, pare incomprensibile il richiamo all'art. "21, comma 2, secondo periodo", contenuto nell'art. 22, comma 5, che dovrebbe essere, invece, riferito a detto art. 19, comma 2, nella sua interezza.

Taluno ha peraltro osservato che la legge delega ha soltanto delegato il Governo a sopprimere gli uffici pretorili e nulla ha stabilito in materia ordinamentale.

Sicché - è stato affermato - gli effetti della soppressione dei posti, anche quanto alla situazione giuridica dei titolari di posti direttivi e semidirettivi, devono restare disciplinati dall'art.2 legge delle guarentigie. In questo caso, poi, l'eccedenza sarebbe ancor più evidente - e il dubbio di conformità all'articolo 76 sarebbe conseguentemente più forte - ove si consideri che l'art.2 ora citato prevede che i magistrati perdenti posto hanno diritto di essere destinati a posti vacanti del loro grado eventualmente ad altra sede, mentre la normativa che si vuole introdurre, a parte i rilievi già esposti, prevede una sensibile deroga a questo principio.

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TITOLO I

DISPOSIZIONI SULL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

PARTE II

DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE SEZIONI LAVORO (Articoli 8, 10, 13, 23, 24, 112)

1. La posizione dei giudici del lavoro.

L'art. 21 dello schema bozza prevede che, nei tribunali divisi in sezioni, i magistrati delle preture e dei tribunali "addetti, alla data di efficacia del presente decreto, esclusivamente alla trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, fanno parte della sezione incaricata della trattazione di tali controversie". Vi è da sottolineare che tale disposizione si applica sia a coloro che, nelle preture, erano addetti in via esclusiva alla trattazione delle controversie di lavoro e previdenza in primo grado, sia a coloro che le medesime controversie trattavano in secondo grado nei tribunali.

Tale norma, inoltre, fa riferimento ai pretori ed ai giudici addetti in via esclusiva alla trattazione delle controversie di lavoro, il che sembrerebbe ricomprendere non solo coloro che fanno parte in via stabile delle rispettive sezioni lavoro, ma anche coloro che, pur prestando servizio in uffici ove tali sezioni non sono costituite, dette funzioni svolgano in via esclusiva solo per assegnazione tabellare. Per tutti costoro è previsto l'automatico inserimento nelle sezioni dei tribunali (già esistenti o da istituire) incaricate di trattare le controversie di lavoro.

Tale previsione avrà un indubbio positivo effetto sugli organici dei giudici del lavoro di primo grado, per i quali si è più volte sollecitato un incremento in vista della ormai prossima devoluzione alla giurisdizione ordinaria di gran parte delle controversie dei pubblici dipendenti. Verrà anche in tal modo neutralizzata la riduzione dei giudici che si occupano delle cause di lavoro in primo grado che sarebbe altrimenti derivata dalla esclusione dalla destinazione alle sezioni lavoro del tribunale dei giudici ai quali tali cause erano attribuite in modo promiscuo. Non possono, però, trascurarsi alcuni effetti dalle conseguenze allo stato potenzialmente non valutabili.

Ove si consideri che in base al sistema generale fissato dall'art. 19 la destinazione avviene "anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze", l' automatica destinazione alle sezioni lavoro potrebbe comportare un automatico sguarnimento degli organici destinati alla trattazione degli altri affari.

Mentre, infatti, alle sezioni lavoro dei tribunali (giudici di primo grado) andrebbero a confluire i magistrati precedentemente destinati a far fronte alle controversie sia di primo che di secondo grado, nelle altre sezioni confluirebbero solo i magistrati precedentemente destinati (presso le preture ed i tribunali) alla trattazione dei giudizi di primo grado. D'altro canto, i posti da portare in aggiunta alle piante organiche delle Corti d'appello per la formazione delle nuove sezioni lavoro di quegli uffici - e

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saranno di numero notevole, posto che tali sezioni dovranno giudicare le impugnazioni avverso le sentenze emesse in materia di lavoro da tutti i tribunali del distretto - dovranno andare in riduzione delle piante organiche dei tribunali. Ma data la presenza soprannumeraria, nelle sezioni lavoro di questi ultimi, dei giudici del lavoro di cui si è detto, la riduzione in esame potrebbe aver la possibilità di incidere soltanto sulle altre sezioni del tribunale. La conseguenza potrebbe essere, pertanto, quella di non dimensionare correttamente i rispettivi organici in relazione alle esigenze concrete.

Vi è infine da notare che tale disciplina determina una evidente anomalia nel sistema della legge. Mentre, infatti, l'impostazione di quest'ultima - ispirata ad evidenti esigenze di buon andamento della macchina della giustizia - è di fare in modo che l'incorporazione degli uffici di pretura in quelli di tribunale non determini ex se alcuna alterazione riguardo alle funzioni e alle materie cui erano addetti i giudici degli uffici soppressi, per quanto riguarda i giudici del lavoro dei tribunali, la riforma comporterebbe la loro riconversione da giudici d'appello in giudici di primo grado. Ed è noto che tra il giudizio di primo e quello di secondo grado nelle cause di lavoro vi sono differenze radicali, tali da richiedere e da determinare attitudini professionali diverse.

2. Le sezioni lavoro della Corte d'appello.

Tale destinazione automatica in primo grado e la conseguente necessità di creare ex novo le sezioni lavoro presso le corti d'appello, potrebbe danneggiare il giudizio di appello in queste materie, a causa del venir meno di specializzazioni, esperienze e vocazioni attitudinali delle quali è invece universalmente sentita l'importanza in questo settore.

Onde ovviare a queste due controindicazioni, è stata suggerita da taluno una soluzione che prevedrebbe l'automatico trasferimento in blocco alla Corte d'appello della sezione lavoro del tribunale. Ciò consentirebbe di non provocare alcuna soluzione di continuità nella trattazione in appello di questi giudizi e il valore positivo di questo aspetto non ha bisogno di essere argomentato. Consentirebbe inoltre di non disperdere il patrimonio di specializzazioni, esperienze ed attitudini di cui si è detto;

ed anche la positività di questo effetto non pare aver bisogno di dimostrazioni. A fronte di questi vantaggi sostanziali, resta però l'ostacolo formale della possibile mancanza, in alcuni dei giudici delle sezioni lavoro del tribunale, della qualifica di magistrato d'appello. La questione è peraltro facilmente risolvibile o destinando questi ultimi alle sezioni lavoro della corte d'appello in qualità di applicati ovvero limitando agli altri il trasferimento automatico. Peraltro, secondo alcuni, con la prima di tali ipotesi verrebbe alterato il meccanismo ordinario di accesso per concorso alle funzioni di consigliere d'appello.

Questa soluzione, inoltre, consentirebbe di non far ricorso alla macchinosa ed irrazionale disciplina disposta per la fase transitoria dall'articolo 112 dello schema, secondo la quale si opererebbe un riparto di competenze tra tribunale e corte d'appello per i giudizi di lavoro pendenti in secondo grado tale da determinare una dannosa divisione delle risorse umane disponibili e da provocare sicuri effetti di ingestibilità, specie negli uffici delle grandi aree metropolitane.

Ove non si ritenga di scegliere questa strada, il passaggio alle sezioni lavoro della Corte d'appello dei magistrati attualmente addetti alle sezioni lavoro del tribunale - che l'articolo 21 dello schema agevola mediante il riconoscimento del diritto a chiedere l'assegnazione alla sezione lavoro della Corte d'appello con esonero

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dal termine di legittimazione di cui all'articolo 194 ord. giud. - dovrebbe essere ulteriormente incentivato.

Più in generale dovrebbe essere rettificata la formulazione dell'articolo 23, comma 5, secondo cui nella copertura dei posti di organico (della sezione lavoro della Corte d'appello) è data la preferenza ai magistrati che sono già stati addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie in materia di lavoro per almeno due anni, anche con funzioni di legittimità. Tale elemento preferenziale deve essere riformulato per riferirlo a coloro che siano stati addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie in materia di lavoro per almeno due anni negli ultimi cinque. Un esperienza di due anni lontana nel tempo, infatti, non ha alcun rilievo sostanziale in generale e non lo avrebbe in particolare in una materia, quale quella del lavoro e della previdenza sociale, caratterizzata da frequenti e continue innovazioni.

3. I dirigenti delle sezioni lavoro.

Del tutto apprezzabile è l'istituzione di un Presidente della Sezione incaricata della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie in tutti i casi in cui vi siano almeno 10 giudici addetti, anche se la quantificazione operata appare a taluno eccessiva. Seguendo questo criterio avremmo un Presidente di Sezione lavoro solo a Roma, Napoli, Milano, Torino, Catania e, forse Palermo, quando le esigenze di specializzazione del settore richiedono che ad esso sia preposto persona capace ed esperta. Si potrebbe quindi, secondo alcuni consiglieri, abbassare detta soglia a otto giudici.

Non viene poi affrontato, salvo il richiamo puramente dimensionale contenuto dal nuovo art. 47 ter, c. II (art.10), il problema della direzione delle sezioni lavoro che si pone in alcune grandi sedi. Dalla disciplina generale pare potersi trarre che i consiglieri pretori dirigenti le sezioni lavoro perderebbero il posto, mentre rimarrebbero come dirigenti i presidenti di sezione delle sezioni di Tribunale incaricate di tali controversie. La sezione lavoro sarà comunque unica e pertanto a Napoli, ove vi sono due presidenti della sezione lavoro e a Roma, ove ve ne sono tre, occorrerà individuare un criterio di scelta, inevitabilmente concorsuale tra chi ricopre tali incarichi per determinare chi è destinato a ricoprire il compito di "direzione della sezione" introdotto dall'art. 47 bis.

Va anche osservato che occorre porsi, con un'ottica simile a quella adottata per le sezioni g.i.p., il problema dell'opportunità di istituire nei pochissimi uffici (sicuramente Roma e Napoli, ove il numero di magistrati superi una certa soglia quantitativa (ad esempio 30) anche una posizione di presidente "aggiunto".

4. La devoluzione al giudice del lavoro delle controversie del pubblico impiego.

Il Consiglio crede poi necessario cogliere questa occasione per segnalare la totale inopportunità che la devoluzione alla giurisdizione ordinaria del contenzioso del pubblico impiego avvenga contemporaneamente con la realizzazione della presente riforma. Il rischio è di aggiungere difficoltà a difficoltà, creando una situazione caotica che rischia di riverberarsi sugli utenti. Ciò, tra l'altro, anche per l'inerzia del legislatore nel campo delle iniziative ordinamentali ed organizzative assolutamente indispensabili a rendere concretamente praticabile la devoluzione delle controversie dei pubblici dipendenti al giudice ordinario.

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Si ribadisce, quindi, (in conformità di precedenti deliberati del C.S.M.) che, onde consentire una gestione razionale del contenzioso legato alla privatizzazione del pubblico impiego, è necessario lo slittamento dell'entrata in vigore della nuova giurisdizione per un tempo adeguato a consentire una predisposizione delle norme, delle strutture e dei mezzi atti a fronteggiare la sopravvenienza del nuovo carico di lavoro, ed un adeguato rafforzamento dell'organico dei magistrati da destinare in via esclusiva alla materia del lavoro.

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TITOLO I

DISPOSIZIONI SULL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO PARTE III

MAGISTRATURA ONORARIA (Articoli 5, 7, 15, 16, 20 e 112)

1. Articolo 5 (articoli 42 bis, ter e quater O.g.)

A seguito della introduzione del giudice unico di primo grado ed in coerenza con quanto disposto per i magistrati addetti ai soppressi uffici di pretura e di procura presso la pretura, è stato previsto il trasferimento degli attuali vice pretori e vice procuratori onorari nelle istituende strutture unificate, rispettivamente, del Tribunale e della Procura della Repubblica. Gli stessi assumono la denominazione di giudici onorari di tribunale e di viceprocuratori onorari.

L'articolo 5 dello schema introduce vari articoli aggiuntivi all'attuale articolo 42 dell'ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941 n. 12.

Dopo aver stabilito, all'articolo 42 bis secondo comma, che al tribunale possono essere addetti giudici onorari, con l'articolo 42 ter disciplina le competenze, i requisiti e le procedure per la nomina a giudice onorario di tribunale.

Taluno ha anche osservato che il trasferimento delle competenze degli uffici soppressi (rispettivamente al tribunale ed alla procura presso il tribunale) non implica in sé anche la creazione della nuova figura di giudice onorario di tribunale e di vice procuratore o procuratore onorario presso il tribunale. La novità, sul piano ordinamentale, non sarebbe infatti meramente terminologica, posto che nell' attuale sistema (salvo i casi eccezionali tuttavia previsti dalla legge) non è prevista la figura di un magistrato onorario chiamato normalmente a svolgere le funzioni di magistrato di tribunale, con le diverse e più ampie competenze. Da qui - secondo tale opinione - nascono ulteriori perplessità di eccesso di delega.

I. Articolo 42 ter primo comma. Di rilievo appare, nel primo comma, l'attribuzione della competenza ad effettuare le proposte circa la designazione dei giudici onorari, al Consiglio giudiziario integrato e cioè nella composizione allargata ai rappresentanti dei Consigli dell'Ordine degli avvocati, secondo quanto già previsto per la designazione dei giudici di pace e dei "giudici onorari aggregati".

L'intendimento è ovviamente quello, profondamente condiviso dal Consiglio superiore della magistratura, di assicurare la partecipazione degli ordini forensi ad un procedimento di particolare rilievo per il funzionamento e i caratteri dell'istituzione giudiziaria. Deve peraltro aversi presente che i Consigli dell'ordine manifestano attualmente una aperta avversione all'attribuzione di funzioni giudiziarie onorarie ad esercenti la professione forense, giungendo anche a chiedere ai propri iscritti di rinunziare a tali incarichi e ad adombrare la prospettiva della cancellazione dall'albo o di sanzioni disciplinari per coloro che non si uniformino a tali indicazioni.

In questa sede il Consiglio superiore della magistratura non intende esprimere alcuna

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valutazione sul merito di tali posizioni, ma solo ricordarle quali elementi di fatto da tenere presenti per valutarne le ricadute su una previsione legislativa che impone una partecipazione necessaria dei Consigli dell'ordine ad una procedura diretta a scopi che i Consigli stessi dichiarano di non voler veder attuati.

A questa considerazione, sulla quale il Consiglio superiore della magistratura intende esclusivamente richiamare l'attenzione del legislatore delegato, vi è da aggiungere il rilievo che la modifica dei sistemi e dei requisiti di nomina dei magistrati onorari non appare riconducibile alla delega che il Governo ha ricevuto dal Parlamento.

II. Articolo 42 ter secondo comma e articolo 42 quater. Requisiti per la nomina e incompatibilità. Analoghe obiezioni di legittimità e di merito sono da formulare - e con più forte ragione - riguardo ai requisiti per la nomina a giudice onorario di tribunale (articolo 42ter secondo comma) e sopratutto riguardo alle incompatibilità (articolo 42 quater) e alle correlate cause di decadenza (articolo 42 - sexies).

In primo luogo, va infatti osservato che la legge di delega nulla prevede circa la determinazione dei requisiti per la nomina a magistrato onorario e circa le incompatibilità con le relative funzioni.

Il rilievo è tanto più grave in quanto, trattandosi di materia di ordinamento giudiziario, non viene in questione soltanto l'articolo 76 della Costituzione, ma anche la riserva di legge ex articolo 108 Cost. ed in particolare ex articolo 106, secondo comma, Cost.

Appare doversi ritenere, quindi, che la modificazione ad opera del legislatore delegato dei requisiti e delle incompatibilità sia illegittima.

Considerazioni critiche devono peraltro essere avanzate anche e sopratutto nel merito. Questi profili della disciplina appaiono essere stati disegnati sulla falsariga di quella prevista per i giudici di pace. Ma una simile impostazione non sembra tenere conto di una differenza fondamentale e cioè che mentre la legge n.

374/1991 istitutiva del giudice di pace ha prefigurato un modello di magistrato onorario tendenzialmente "a tempo pieno" (salve le deroghe successivamente introdotte per consentire una più ampia possibilità di utilizzazione degli avvocati), i giudici e i vice procuratori onorari, alla pari dei vicepretori e dei viceprocuratori onorari che essi sostituiscono, rappresentano figure di esercizio onorario di funzioni giudiziarie tipicamente a tempo parziale se non parzialissimo, come è denotato, tra l'altro, dal carattere quasi gratuito dell'incarico.

Si tratta di rilievi che, nel loro complesso, assumono una straordinaria importanza pratica. Il fatto è che l'applicazione ai giudici e ai viceprocuratori onorari della disciplina progettata in tema di requisiti per la nomina e di incompatibilità porterebbe sostanzialmente all'impossibilità di reperire soggetti ai quali attribuire questi incarichi e ciò determinerebbe, a sua volta, ad una disastrosa paralisi dell'intero sistema di giustizia.

Il rilievo sopra enunciato si riferisce in primo luogo alla causa di incompatibilità prevista dalla lettera f) dell'articolo 42-quater, secondo cui non possono esercitare le funzioni di giudice onorario di tribunale "i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, salva la possibilità di richiedere la nomina condizionata all'estinzione del rapporto di lavoro subordinato entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione del decreto di nomina". Questa disposizione, tratta - come si è rilevato - dalla disciplina relativa ai giudici di pace - determina una drastica ed

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