IL COLLEGIO DI ROMA composto dai signori:
Dott. Giuseppe Marziale…………... Presidente
Avv. Massimiliano Silvetti... Membro designato dalla Banca d'Italia [Estensore]
Prof. Avv. Andrea Gemma... Membro designato dalla Banca d'Italia
Avv. Michele Maccarone… ……. … Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario – per le controversie in cui sia parte un consumatore
Dott.ssa Daniela Primicerio………… Membro designato dal C.N.C.U.
nella seduta del 23/3/2012, dopo aver esaminato x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell'intermediario e la relativa documentazione;
x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,
Fatto
In data 21 dicembre 2010, il ricorrente subiva il furto del proprio borsello – contenente, tra l’altro, una carta di credito – secondo la seguente dinamica, come esposta dallo stesso ricorrente nella denuncia presentata all’autorità competente immediatamente dopo l’accaduto:
“In data odierna, alle ore 13:30 circa, mentre mi trovavo in macchina (…) un uomo di mezza età si è accostato alla mia auto e mi ha chiesto indicazioni (…). Sono poi ripartito e un altro signore dalla sua auto mi ha fatto notare che avevo una gomma a terra. Mi sono quindi accostato e, sceso dall’auto, ho constatato che la gomma era realmente bucata.
Mentre ero intento a prendere la [ruota] di scorta, qualcuno però ha aperto lo sportello della mia auto ed ha portato via il mio borsello appoggiato sul sedile anteriore lato
passeggero. All’interno vi erano il portafogli con all’interno [due carte bancomat, una carta prepagata ed una carta di credito]”.
Ricevuto l’estratto conto da parte dell’intermediario a febbraio 2011, il ricorrente apprendeva che, il giorno del furto, attraverso l’indebito utilizzo di una carta di credito a lui intestata, erano stati effettuati tre prelievi presso il medesimo sportello ATM, per l’ammontare di € 500,00 ciascuno (totale € 1.500,00) in un arco temporale di appena tre minuti.
Dava, pertanto, formalmente conto all’intermediario – in data 10 febbraio 2011 – del disconoscimento dei prelievi effettuati.
In data 18 febbraio 2011, l’intermediario rispondeva al ricorrente prendendo atto del disconoscimento, ma contestualmente puntualizzando che l’importo di € 1.500,00 sarebbe rimasto addebitato sul suo conto, in quanto i prelievi erano stati effettuati attraverso il corretto inserimento del codice P.I.N. Tale circostanza, secondo l’intermediario, rendeva
“evidente che al momento della perdita di possesso detto codice si trovasse custodito insieme alla carta o, comunque, trascritto in una forma facilmente riconoscibile”.
Seguivano quindi ulteriori fitti scambi di corrispondenza, attraverso i quali le parti ribadivano le proprie rispettive posizioni.
Con ricorso ricevuto in data 14 giugno 2011, il ricorrente, assistito da un legale, chiede all’Arbitro Bancario Finanziario di ordinare alla banca la restituzione della somma di
€ 1.500,00.
L’intermediario, costituitosi ritualmente in giudizio, dà atto, in primo luogo, che il blocco, ad opera del ricorrente della carta di credito utilizzata per le operazioni fraudolente è avvenuto alcuni minuti dopo la loro esecuzione. Eccepisce quindi un difetto di diligenza del ricorrente nella custodia dei codici di sicurezza della carta di credito, sottolineando che i malfattori sono riusciti nell’immediatezza del furto con estrema facilità ad effettuare tutte le transazioni attraverso la completa lettura della banda magnetica appartenente allo strumento di pagamento in oggetto e la corretta digitazione del P.I.N. Secondo la banca, è dato incontrovertibile che il codice P.I.N. “non sia interamente ricavabile dalla banda magnetica dello strumento di pagamento”. Il che confermerebbe, nella prospettiva della banca resistente, che, al momento del furto del borsello, la carta di credito e il relativo codice P.I.N. si trovassero custoditi congiuntamente all’interno dello stesso.
La banca chiede, alla luce di tali considerazioni, il rigetto del ricorso.
A seguito di richiesta da parte del Collegio, la banca ha poi documentato che il limite dispositivo per l’utilizzo della carta è di € 1.500,00. Tale limite non è stato pertanto superato con l’esecuzione delle operazioni disconosciute dal ricorrente.
Diritto
1. La fattispecie sottoposta al vaglio del Collegio concerne la sussistenza del diritto del ricorrente al risarcimento del danno, nei confronti dell’intermediario resistente, a seguito dell’utilizzo fraudolento, da parte di terzi, della sua carta di pagamento.
2. Le tre operazioni contestate sono state effettuate in data 21 dicembre 2010, successivamente all’attuazione nel nostro ordinamento della Direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, avvenuta in data 1° marzo 2010, a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11.
A norma dell’art. 10, 2° comma, D. Lgs. n. 11/2010: “Quando l'utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento eseguita, l'utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l'operazione sia stata autorizzata dall'utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all'art. 7”.
E’, pertanto, l’intermediario ad essere gravato dall’onere di dimostrate la colpa grave o il comportamento fraudolento del titolare dello strumento di pagamento, in base ai principi che regolano la responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.).
Nel caso in esame, l’intermediario desumerebbe la colpa grave del ricorrente essenzialmente dalla asserita omessa diligente custodia della carta e del P.I.N. Tale mancanza di diligenza sarebbe certificata dal fatto che i prelievi in questione sono stati effettuati con la corretta digitazione del codice segreto.
Sulla questione oggetto del ricorso il Collegio si è pronunciato in più occasioni (cfr., da ultimo, Collegio di Roma, decisione n. 480 del 17 febbraio 2012). In base all’orientamento tradizionalmente seguito, dal quale non si vede ragione per doversi discostare, “nel caso di uso illegittimo di una tessera bancomat, la società di servizi la quale eccepisca la colpa concorrente del titolare per difettosa custodia del codice personale (P.I.N.) ha l’onere di provare concretamente tale negligenza, la quale non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto che una tessera bancomat, dopo il furto, sia stata
infatti dato acquisito, anche negli ambienti bancari (cfr. Rapporto ABI CIPA CNIPA sul furto di identità elettronica tramite internet, Bancaria editrice, 2006, p. 23 ss.), quello secondo cui, allo stato delle conoscenze tecnologiche, non si può affatto escludere la possibilità della sottrazione al cliente, da parte del terzo frodatore, dei codici identificativi attribuiti al primo per l’accesso ai servizi bancari on-line o per l’utilizzo di strumenti di pagamento, senza che al comportamento del cliente possa riconoscersi alcuna efficienza causale nella produzione del fatto illecito (il “furto” dei detti codici d’accesso o numeri identificativi)” (cfr., Collegio di Roma, decisione n. 665 del 2 luglio 2010).
La circostanza della corretta digitazione del P.I.N. in occasione delle operazioni disconosciute non può pertanto essere considerata, di per sé sola, quale elemento a base della negligenza del ricorrente.
3. Nella fattispecie vi sono tuttavia ulteriori elementi di fatto, comprovati dalle stesse affermazioni del ricorrente, in forza dei quali emerge la prova di una condotta gravemente colposa da parte di quest’ultimo.
Mette conto innanzi tutto ricordare che è qualificabile come colpa grave quella
“straordinaria ed inescusabile imprudenza e negligenza” caratterizzata non solo dall’omissione della diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche da “quel grado minimo di diligenza osservato da tutti” (Cass. 13 ottobre 2009, n. 21679; Cass. 18 maggio 2009, n. 11459; Cass. 19 novembre 2001, n. 14456; il concetto di colpa grave elaborato dalla giurisprudenza di legittimità è stato fatto proprio anche da questo Collegio: v., da ultimo, Collegio di Roma, decisione n. 514 del 17 febbraio 2012).
Ebbene, nella fattispecie, il ricorrente ha tenuto un comportamento connotato da indubbia superficialità e inescusabile trascuratezza. Come dichiarato nella denuncia resa all’autorità competente nell’imminenza del furto, egli ha infatti abbandonato incustodito il proprio borsello – contenente il portafogli e la carta di pagamento poi utilizzata per compiere le operazioni fraudolente – sul sedile anteriore del proprio autoveicolo. Mentre si accingeva a sostituire il pneumatico dell’autovettura, gli autori del furto aprivano la portiera – le cui chiusure di sicurezza non erano evidentemente state azionate – e prelevavano il borsello del ricorrente.
La condotta gravemente colposa del ricorrente impedisce di contenere la sua responsabilità nei limiti della franchigia di cui all’art. 12, 3° comma, del D.Lgs. n. 11/2010, norma la cui applicabilità è infatti espressamente esclusa nei casi in cui “l’utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la
sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento”.
4. Dal punto di vista della condotta della banca resistente, occorre in ogni caso ricordare che, nei rapporti contrattuali con il cliente, l’intermediario “risponde secondo le regole del mandato (art. 1856 c.c.), che impongono una diligenza rafforzata, la diligenza del buon banchiere, qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione professionale dell’agente consente e richiede" (cfr. Cass. 24 settembre 2009, n. 20543; v. anche Cass. 31 marzo 2010, n.7956, sulle cautele che la banca è tenuta ad adottare).
Ciò comporta, con specifico riferimento all'utilizzazione di servizi e strumenti con funzione di pagamento che si avvalgono di mezzi meccanici o elettronici, che "non può essere omessa la verifica dell'adozione da parte dell'istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio; infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell'accorto banchiere" (Cass. 12 giugno 2007 n. 13777).
Nella fattispecie, non risulta che l’intermediario abbia approntato i necessari presidi di sicurezza, quali appositi messaggi di sms alert in occasione dell’utilizzo della carta di pagamento. Il che si pone senz’altro in violazione dell’obbligo di diligenza qualificata sopra richiamato.
5. Fermo restando quanto precede, occorre allora soffermarsi sull’efficienza causale delle condotte sopra descritte, per determinare la loro rispettiva incidenza, anche per una valutazione ai sensi dell’art. 1227 c.c., rispetto all’evento dannoso.
Secondo la Corte di Cassazione, “per stabilire se sussiste il nesso di causalità materiale tra la condotta dell'assicurato e l'evento di danno, occorre fare riferimento al principio della «conditio sine qua non» temperato da quello della regolarità causale, secondo la disciplina degli articoli 40 e 41 del c.p. con la conseguenza che quando l'evento dannoso è derivato da una pluralità di comportamenti tutti hanno uguale valore causale senza distinzione tra cause mediate e immediate, dirette e indirette, precedenti e successive, dovendosi a ciascuna di esse riconoscere un'efficienza causale, se, nella concatenazione degli avvenimenti, abbiano determinato una situazione tale che l'evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa ultima non si sarebbe verificato” (Cass. 12 aprile 2005, n. 7763).
Il comportamento colposo dell’intermediario, senz’altro censurabile secondo il Collegio, non possiede tuttavia, alla luce dello svolgimento dei fatti, alcuna apprezzabile rilevanza eziologica ai fini del verificarsi dell’evento dannoso, tenuto conto dell’esiguità del lasso temporale (appena tre minuti) tra la prima e l’ultima operazione contestata. Ciò non consente di ritenere la banca responsabile, neppure in parte, per il danno subito dal ricorrente.
Le considerazioni che precedono impediscono pertanto che il ricorso possa trovare accoglimento.
P.Q.M.
Il Collegio respinge il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1