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Letteratura e cultura francese i — Portale Docenti - Università  degli studi di Macerata

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Academic year: 2022

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Vorrei proporre alcune riflessioni sul ruolo svolto dalla Rivoluzione sull’elaborazione del ricordo d’infanzia nell’autobiografia; ovvero verificare come l’eccezionalità delle circostanze, combinata con una innegabile influenza esercitata da Rousseau, riesca a fare emergere i primi esempi di un genere, quello dell’autobiografia limitata ai soli anni infantili e adolescenziali, o del racconto d’infanzia romanzesco basato su dati autobiografici, categorie che in Francia sono raggruppate generalmente sotto la dizione di récit d’enfance. Il récit d’enfance ha conosciuto grande fortuna a partire dagli anni 1880, con scrittori come Renan, Loti, France e, buon ultimo, Proust, la cui Recherche può essere letta come “un’autobiografia sognata” (Genette) degli anni dell’infanzia e dell’adolescenza del protagonista. Questo genere, ormai consolidato quando Proust compone il suo capolavoro, ha avuto le sue prime sporadiche illustrazioni negli anni della Rivoluzione. Certo gli eventi rivoluzionari hanno avuto grande importanza nella successiva elaborazione dei ricordi infantili nelle autobiografie dei sopravvissuti, da Chateaubriand a Marmontel, come ricorda Orlando nel suo studio1. Io vorrei qui sottolineare l’interesse di due testi autobiografici che, composti durante la Rivoluzione da chi alla Rivoluzione non sopravvivrà, propongono un progetto di rivisitazione del proprio io che, in modo più o meno cosciente, privilegia quasi esclusivamente l’infanzia. In entrambi i casi, il racconto che ne è il prodotto è strettamente collegato agli eventi rivoluzionari, al punto da inverare , credo, l’affermazione contenuta nel mio titolo: è la Rivoluzione a troncare questi progetti autobiografici limitandoli ai primi anni di vita, e facendone per noi gli antesignani del moderno récit d’enfance, che si sarebbe davvero generalizzato solo ad un secolo di distanza.

Il primo testo che vorrei presentare appartiene a Mme Roland, l’eroina dei Girondini morta sul patibolo pronunciando la celebre frase: “Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!”.

Incarcerata al posto del marito, Roland de la Platière, ministro degli Interni per il governo della

1 Francesco Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Padova, Liviana, 1966.

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Gironda, nella notte del 31 maggio 1793 (data del colpo di stato dei Giacobini) impiegherà i mesi che la separano dalla ghigliottina (morirà l’8 novembre dello stesso anno) a comporre le sue memorie. Il progetto autobiografico di Mme Roland appare quindi subito contrassegnato da questo alone tragico provocato dalla prossimità con la morte, che assegna alla rievocazione dell’infanzia un significato fondamentale. Per apprezzarlo pienamente, è tuttavia necessario distinguere le diverse fasi del progetto, legate all’evolversi degli eventi rivoluzionari. Durante i primi tempi di prigionia Mme Roland redige delle Notices historiques; come lei stessa spiega in uno scritto dell’8 agosto,

“c’était […] des détails sur tous les faits et sur toutes les personnes tenant à la chose publique que ma position m’a mise dans le cas de connaître [écrits] avec la confiance que, dans tous les cas, ce recueil serait mon testament moral et politique " 2. Ovvero, il primo impulso è quello di comporre degli autentici Mémoires, che la scrittrice intende tradizionalmente con il suo secolo come il resoconto personale degli eventi pubblici in cui si è trovata immischiata: arrestata per il suo coinvolgimento nell’attività politica del marito – che Mme Roland definisce pudicamente

“collaborazione” – redige una apologia che ristabilisce la sua versione dei fatti. Ma questo racconto della sua vita pubblica, che rievocava per forza di cose solo gli anni più recenti che l’avevano vista partecipare con il marito all’evolversi della Rivoluzione, va perduto: “Je venais de compléter le tout en conduisant les choses jusqu’à ces derniers moments, et je l’avais confié à un ami […] l’orage est venu fondre sur lui […] il a jeté au feu mes manuscrits” (99-100). In realtà almeno una parte del manoscritto si salvò, ed è giunto fino a noi. Ma l’essenziale è che Mme Roland, convinta della scomparsa del racconto della sua esistenza politica e stoicamente decisa a non lasciarsi abbattere, decide di dedicarsi ad un altro progetto, da lei iniziato già il giorno successivo, 9 agosto:

2 Tutte le citazioni dall’opera di Mme Roland saranno tratte dai Mémoires de Madame Roland, a cura di Paul de Roux, Paris, Mercure de France, 1986, qui citata alla pagina 99 e d’ora in avanti direttamente nel testo Tale edizione comprende sia le Notices historiques che i Mémoires particuliers di cui si parlerà più avanti. Fra i contributi dedicati ai Mémoires ricordiamo quello fondamentale di Béatrice Didier, Mme Roland et l’autobiographie, in Ecrire la Révolution 1789-1799, Paris, Presses Universitaires de France, 1989, pp. 245-274 e quello più recente di Claire Gaspard, Mme Roland: écriture et liberté, “Elseneur”, n. 17, Se raconter, témoigner, 2001, pp. 107-124. Sulla figura di Mme Roland si possono consultare Guy Chaussinand-Nogaret, Mme Roland, une femme en révolution, Paris, Seuil, 1985 (anche in traduzione italiana, Milano, Mursia, 1989) ; Marianne Cornevin, La véritable Madame Roland, Paris, Pygmalion, 1989.

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Mes Notices sont perdues, je vais faire des Mémoires, […] je vais m’entretenir de moi pour mieux m’en distraire (202). Je me propose d’employer les loisirs de ma captivité à retracer ce qui m’est personnel depuis ma tendre enfance jusqu’à ce moment (201).

Non bisogna lasciarsi sviare dalla terminologia settecentesca impiegata dalla scrittrice : è perché il mémoire tradizionalmente inteso è perduto, che sorge il progetto dell’autobiografia in senso moderno, in cui è indispensabile partire dalla “tenera infanzia” , negletta nelle memorie scritte prima di Rousseau. Il meccanismo di sostituzione che scatta qui mi sembra meritevole di riflessione: Mme Roland è dolorosamente colpita dalla distruzione della sua apologia, che paragona a qualcosa di peggiore della morte3. La cancellazione traumatica della sua immagine pubblica, da lei amorosamente tratteggiata nei primi mesi di prigionia, s’accompagna all’aggravarsi della situazione sua personale e di tutto il gruppo dei Girondini. Nei primi tempi Mme Roland poteva ancora intravedere delle vie d’uscita, ma ad agosto la situazione è già disperata. Vittima di un arresto arbitrario, la scrittrice avrebbe potuto ricorrere alla sua sezione d’appartenenza della Comune di Parigi. Proprio per evitarle questa possibile salvezza fu perciò liberata il 24 giugno e riarrestata pochi minuti dopo, questa volta con tutti i crismi della legalità: “Qui sait sentir n’a pas même besoin de penser pour juger ce que je dus éprouver à cet instant” (176). Da un punto di vista politico, fino a luglio Mme Roland ripone ancora qualche speranza nelle insurrezioni fomentate in provincia dai Girondini, ma alla fine del mese le truppe della Convenzione hanno già spazzato via i ribelli. L’ombra della ghigliottina si fa sempre più incombente e questo montare progressivo della consapevolezza della tragedia è indissolubilmente legata alla rievocazione del paradiso perduto dell’infanzia. E’ evidente che alla radice del fenomeno c’è una volontà di compensazione: ciò che le è tolto sul piano esistenziale sarà recuperato su quello della scrittura: “C’est vivre une seconde fois que revenir ainsi sur tous les pas de sa carrière, et qu’a-t-on de mieux à faire en prison que de transporter ailleurs son existence par une heureuse fiction ou par des souvenirs intéressants ? " (201- 202). Resta il progetto apologetico, questa volta rousseauianamente inteso : la ricostruzione integrale di una personalità, a partire dalla prima infanzia, sarà la garanzia della moralità di una vita,

3 “J’avoue que j’aurais préféré qu’il m’y jetât moi-même”(99) commenta a proposito del rogo che avrebbe consumato il suo manoscritto.

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e la migliore arringa per difendere la propria causa politica “ j’aime à faire justice à force de vérités, et j’énonce les plus terribles en face des intéressés” (203).

Il rapporto con il testo modello delle Confessions è evidente, e persino esplicito nel momento in cui la scrittrice confessa la sua involontaria e disgustata iniziazione alle realtà del sesso: “Il m’a fallu faire, en ce moment ancore, autant d’efforts pour l’écrire que Rousseau en fit pour consigner l’histoire de son ruban volé, avec laquelle la mienne n’a pourtant pas de comparaison” (221). Il lapsus è rivelatore del senso di colpa e nasconde una doppia censura; la molestia sessuale subita è infatti incongruentemente accostata all’episodio del nastro rubato (quindi un episodio in cui il protagonista è davvero colpevole) e non, come parrebbe logico, con quello dell’ involontaria iniziazione ai piaceri dei sensi egualmente raccontato da Rousseau. Nonostante ciò, la sincerità rousseauiana con cui Mme Roland sa parlare dei dettagli più intimi è doppiamente straordinaria, trattandosi di scrittura femminile: se le Confessions avevano scandalizzato i benpensanti che dire di questi Mémoires particuliers in cui la memorialista confida anche, questa volta con tono piuttosto ironico, la sgradevole sorpresa provata la prima notte di nozze? Sainte-Beuve ne rimase tramortito e parlò di “acte immortel d’impudeur”4 .

A ben guardare il rapporto con Rousseau è molto più problematico di quanto potrebbe apparire ad una prima lettura, che si fidi delle dichiarazioni di entusiasmo dichiarato da Mme Roland per l’autore della Nouvelle Héloïse, “l’interprète des sentiments que j’avais avant lui, mais que lui seul savait m’expliquer” (302). Rousseau le permette di riflettere sulla sua sensibilità, ma è anche fonte di una alienazione di cui tutta l’autobiografia reca traccia. “Rousseau me montra le bonheur domestique auquel je pouvais prétendre, et les ineffables délices que j’étais capable de goûter " (302). Ma tutti gli studi eruditi e le letture filosofiche a cui la piccola Manon si è dedicata con passione fin dall’infanzia, per non parlare dell’attività politica degli ultimi anni, sono in palese contraddizione con l’ideale femminile rousseauiano, tanto che la scrittrice sente il bisogno di giustificarsi per la sua opera: “Je n’aurais point songé à remplir le court intervalle qui nous sépare

4 Il giudizio, che si riferisce al racconto delle molestie sessuali subite, è citato da Paul de Roux nell’Introduzione all’edizione di riferimento dei Mémoires, p.10.

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du récit de ma propre histoire, si la calomnie ne m’avait traduite sur la scène pour attaquer plus grièvement ceux qu’elle voulait perdre” (302). Così la motivazione apologetica diventa l’alibi che le permette di abbandonarsi al piacere di scrivere, senza più doversi nascondere dietro lo schermo del marito; tanto nelle Notices che nei Mémoires è visibile questa tensione tra la rivendicazione della propria passione per la letteratura e il riflesso di dover nascondere, attenuare il suo ruolo di scrittrice: esiste un grosso pacco di sue opere giovanili, tiene a confidarci la memorialista, “entassé dans un coin poudreux de ma bibliothèque, ou peut-être dans un grenier”. (304) Dopo il matrimonio, ha sempre collaborato alle opere letterarie del marito “sans remarquer plus particulièrement si c’était ce que j’avais fait, et il finissait souvent par se persuader que véritablement il avait été dans une bonne veine lorsqu’il avait écrit tel passage qui sortait de ma plume "(304). Al Ministero, si è limitata a fungere da segretaria del marito : ma confessa di aver composto lei la lettera indirizzata al Papa dal Governo francese, divertendosi molto : “ je ris beaucoup après l’avoir faite ” (305).5 Se il racconto delle sue precedenti realizzazioni di scrittrice è sottoposto a questa strategia di riconoscimento nascosto, a livello enunciativo la memorialista ricorre ad una tecnica di autorappresentazione che tende ad incanalare il ruolo autoriale, questa volta esplicito, in figure femminili socialmente riconosciute. Tutti i Mémoires particuliers disegnano una rete di relazioni femminili e domestiche (con la madre, con le monache, con le amiche del cuore) privilegiate affettivamente rispetto ai ruoli maschili spesso negativi, ambigui o sfuggenti. La madre in particolare occupa un posto centrale, in sintonia con la sensibilità rousseauiana, e non a caso il racconto degli anni dell’infanzia e dell’adolescenza è chiuso appunto dalla morte della madre.

Quantitativamente ciò significa che il racconto d’infanzia occupa cento pagine nell’edizione da me utilizzata, mentre le restanti trentotto delineano tutto il tempo ulteriore della sua esistenza. Per

5 Sull’abbondante attività epistolare di Mme Roland si possono consultare: Brigitte Diaz, L’épistolaire et la connivence féminine: lettres de Manon Phlipon aux sœurs Cannet (1767-1780), Marie-Laure Girou-Swiderski, La lettre comme action politique : Mme Roland, entrambi contenuti nel volume La lettre au XVIIIe siècle et ses avatars, Toronto, Editions du Gref, 1996, rispettivamente alle pagine 141-157 e 159-172. Anche nelle lettere scritte dal carcere traspare il sollievo per essere stata liberata da un ruolo sociale e familiare che le pesava: “Tu ne saurois te représenter, mon ami, le charme d’une prison où l’on ne doit de compte qu’à son propre cœur de l’emploi de tous les momens” (Ibidem, p.166).

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quasi tutta la durata dei Mémoires dunque Mme Roland si autorappresenta come figlia devota e amorosa, mentre nel tempo della scrittura essa può presentarsi come madre che lascia in eredità alla figlia la sua testimonianza di vita, o come sposa che difende il marito da ingiusti attacchi, nelle Notices: ruoli virtuosamente ineccepibili che servono a rendere inattaccabile ai suoi stessi occhi

prima ancora che a quelli della società il suo essere scrittrice.6 Tra le pieghe del racconto della sua vita, si scopre poi che il rapporto con la figlia è deludente7, e che anche la relazione privilegiata stabilita con la madre è soprattutto frutto dell’idealizzazione subita dai ricordi infantili nel contrasto con l’angoscia del presente8. La madre non le ha mai permesso di leggere quella Nouvelle Héloïse che l’ha rivelata a se stessa ( e che lei leggerà subito dopo la sua morte). Al di là di questo reticolo di legami sociali e familiari molto comme il faut c’è nei Mémoires uno spazio assai più intimo e appassionatamente amato, quello delle letture virili, Plutarco in primo luogo. Una stanza tutta per sé, in cui studiare e scrivere, Mme Roland l’ha posseduta fin da bambina e la rievocazione della sua infanzia studiosa è piena di pathos: “Nos journées s’écoulaient dans un calme délicieux; j’en passais la plus grande partie à mes études solitaires, toute transportée dans l’antiquité dont je suivais l’histoire et les arts, dont j’examinais les opinions et les préceptes” (263). Ma si sente che le era mancata finora quella legittimazione che il confronto con la morte le concede : senza più schermi o precauzioni oratorie, la morte prossima le dà il diritto di realizzarsi pienamente nella scrittura.

Liberata tragicamente dalla ghigliottina, la sua penna può correre instancabilmente, per dare forma perenne alla sua esperienza. Paradossalmente, dalla carcerazione si sprigiona il bonheur, termine che ricorre spesso in questa autobiografia, un sentimento ribadito di pienezza esistenziale: “n’ayant point atteint quarante ans, j’ai prodigieusement vécu, si l’on compte la vie par le sentiment qui marque tous les instants de sa durée” (226). La “plénitude” (244), la contentezza ontologica che le

6 Ma in diversi passi del testo viene evocata l’immagine di una pluralità di lettori con cui la scrittrice instaura un dialogo : “ Il me semble voir ceux qui liront ceci demander…”» (227). Altrove sono evocate altre figure di narratario:”peut-être un jour mes récits ingénus charmeront les instants de quelque infortuné captive, qui oubliera son sort en s’attendrissant sur le mien; peut-être les philosophes qui veulent reconnaître le cœur humain dans la suite d’un roman et l’action d’un drame trouveront-ils à l’étudier dans mon histoire " (238).

7 “J’ai une jeune fille aimable, mais que la nature a faite froide et indolente; […] jamais son âme stagnante et son esprit sans ressort ne donneront à mon cœur les douces jouissances qu’il s’était promises. " (42)

8 “ma mère, avec beaucoup de bonté, avait de la froideur […] elle n’était point caressante […] Les transports de mon âme brûlante en étaient réprimés, et je n’ai bien connu toute l’étendue de mon attachement pour elle que par le désespoir et le délire où me jeta sa perte" (263)

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appaiono aver contrassegnato la sua esistenza le si rivelano attraverso l’esperienza autobiografica, in una sorta di estasi cognitiva che le consente di ritornare sui minimi dettagli di un’infanzia ritrovata: “En vérité, je suis presque heureuse d’être en prison pour me rappeler ces singularités piquantes que je ne m’étais jamais amusée à considérer et qui me divertissent véritablement” (252).9 Quest’infanzia ritrovata nella scrittura serve da antidoto all’angoscia del presente: “Quittons cette époque malheureuse, comparable au règne de Tibère! Renouvelez-vous pour moi, moments tranquilles de ma douce adolescence!” (238); si crea un effetto di contrappunto tragico tra il passato felice e il presente angoscioso, talvolta anche grazie alla sovrapposizione spaziale: sullo stesso sfondo parigino, convivono infanzia e Rivoluzione: così la prigione in cui scrive si trova a pochi passi dal convento in cui si ritirò per prepararsi alla prima Comunione: “Comment, du fond d’une prison […] rappeler et peindre aujourd’hui ce temps de calme et de ravissement?” (223) Mentre vediamo crescere la piccola Manon assistiamo anche ai progressi dell’inesorabile certezza: il 5 settembre (data in cui la Convenzione riorganizza il Tribunale Rivoluzionario e decreta la formazione di un’armata rivoluzionaria a Parigi) fa uscire tutto ciò che ha scritto fino a quel momento commentando: “Persone n’est assuré de vivre vingt-quatre heures” (262). Il 4 ottobre s’interrompe per annunciare che è compresa nell’atto d’accusa contro i Girondini: “Je ne crains pas de marcher à l’échafaud en si bonne compagnie” (322). Poche pagine dopo (è giunta a rievocare l’anno 1776, dunque al ventiduesimo della sua vita) dichiara che da quel momento si limiterà a riassumere brevemente il resto (dieci pagine su centoquaranta): “je n’ai plus assez à vivre; je me borne à un aperçu” (329).

9 Il tema della carcerazione felice, che troverà grande risonanza nell’opera del suo grande estimatore Stendhal, ha anche altri risvolti psicologici che sarebbero meritevoli di approfondimento. Molto significativo il commento di Mme Roland sugli istanti che seguirono il suo primo arresto: “Je ne donnerais pas les moments qui suivirent pour ceux que d’autres estimeraient les plus doux de ma vie; je ne perdrai jamais leur souvenir. Ils m’ont fait goûter, dans une situation critique, avec un avenir orageux, incertain, tout le prix de la force et de l’honnêteté dans la sincérité d’une bonne conscience et d’un grand courage. "(45) Le motivazioni addotte da Mme Roland , sollievo per aver compiuto le scelte giuste nelle ore che hanno preceduto il suo arresto, soddisfazione per l’irreprensibilità della sua condotta (nonostante

“quelque affection trop puissante”, trasparente allusione al legame con Buzot) non sono forse sufficienti per spiegare l’euforia con cui rievoca la svolta cruciale del suo destino: “Je me consacrai pour ainsi dire volontairement à ma destinée, quelle qu’elle pût être” (46). La prigionia è così trasformata nella voluta assunzione di un destino eroico.Su questo punto cfr. anche le lettere di Mme Roland a Buzot citate nella biografia di Chaussinand-Nogaret, cit., pp.249 e 301-303.

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La Rivoluzione che l’uccide tronca anche la sua autobiografia, trasformando ciò che s’annunciava come un mémoire in un testo straordinariamente moderno, in cui le immagini dell’infanzia accompagnano una lucida preparazione alla morte. C’è in questo entrare nella morte ad occhi aperti una perfetta realizzazione di sé, nella consapevolezza che la ghigliottina le consente almeno di sfuggire al destino di donna: “et moi aussi j’aurais quelque existence dans la génération future” (277).

L’altro testo a cui vorrei più brevemente fare riferimento appartiene ad un autore oggi sconosciuto, Florian, che prima della Rivoluzione era stato un apprezzato autore di favole e pastorali di gusto un po’ lezioso. Imprigionato perché aristocratico durante il Terrore, fu salvato dalla caduta di Robespierre, ma morì egualmente poco tempo dopo, di paura, insinua il solito Sainte-Beuve: “Mis en arrestation à son tour, il mourut, comme on sait, peu après sa sortie de prison, en septembre 1794. Son organisation délicate et faite pour le bonheur, n’avait pu résister à l’ébranlement de tant d’émotions. Il n’avait que trente-neuf ans. "10 Lo scritto di Florian, intitolato Mémoires d’un jeune Espagnol, sembra obbedire alle medesime istanze psicologiche che hanno

fatto sorgere i Mémoires particuliers, ed è egualmente uscito postumo. In questo caso tuttavia manchiamo di notizie certe relative alla sua genesi. Tutto ciò che ne sappiamo deriva dall’Avertissement de l’éditeur posto all’inizio del ventiquattresimo ed ultimo volume delle Œuvres Complètes di Florian11, in cui si afferma che i Mémoires sono stati ritrovati fra le carte dello scrittore: “les recherches de l’Editeur l’ont mis à même de rassembler les deux livres de ce petit ouvrage, dans lequel Florian à tracé l’histoire de ses dix-huit premières années”12 . In questo caso infatti l’opera non sopporta quella continuazione che Mme Roland avrebbe scritto se le fosse rimasto il tempo; si tratta credo del primo récit d’enfance in assoluto, perché il racconto s’arresta volutamente al compimento del diciottesimo anno d’età del protagonista: “on peut du moins assurer

10 Sainte-Beuve, Causeries du lundi, Florian, Paris, Librairie Garnier Frères, 1929, t. III, p.248. Anche Anatole France ha dedicato uno dei saggi della sua Vie littéraire a Florian ( Le chevalier de Florian, La vie littéraire cinquième série, Paris, Calmann-Lévy, 1921 t. I pp. 188-201). Entrambi i critici attingono largamente dai Mémoires per tratteggiare la sua figura, ma non forniscono alcuna notizia sulla genesi dello scritto.

11 La Jeunesse de Florian ou Mémoires d’un jeune Espagnol, ouvrage posthume, in Œuvres Complètes, Paris, Briand, 1810, t. XXIV.

12 Ibidem, pp. 1-2.

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qu’il n’a jamais eu l’intention de les continuer jusqu’au moment où il a cessé de vivre; car il ne leur eût pas conservé un titre écrit plusieurs fois de sa main: Mémoires d’un jeune Espagnol. »13 Per trovare una spiegazione al singolare fenomeno, l’editore si sente obbligato a riferirsi a Rousseau, ma non, come ci aspetteremmo, per farne discendere l’intenzione di Florian; per contestarlo, invece, con una stupefacente motivazione: proprio perché Florian era autore costumatissimo e uomo dabbene, i suoi Mémoires si limitano a rievocare i primi anni di vita, in cui le “confessions” sono innocue , e non comportano spiacevoli conseguenze per gli altri attori coinvolti.

Quel est en effet le littérateur, et même l’homme du monde un peu répandu qui, en traçant son histoire, ait le droit de tout dire sur les autres ? Quel est l’homme délicat qui osera disposer du secret des familles avec lesquelles le sort l’a lié, et cela sur le frivole espoir d’être lu lorsqu’il ne sera plus, et d’occuper quelques instants l’oisive malignité ? J. J. Rousseau a succombé à cette tentation ; mais ses plus sincères admirateurs même seraient fort embarrassés pour justifier en tout cette entreprise.14

La manifestazione del ruolo pubblico svolto, l’importanza dei legami sociali, che legittimavano la redazione dei Mémoires tradizionalmente intesi, sono elementi ritenuti ora, dopo l’esempio di Rousseau, potenzialmente pericolosi. Inversamente, la rievocazione dell’infanzia, che i primi critici delle Confessions avevano ritenuto scandalosamente puerile ed inutile, viene qui giudicata l’unica materia praticabile per una rielaborazione intima della propria esistenza. Qualunque credito si voglia dare all’ipotesi dell’editore, che ha comunque il merito di farci misurare quale profondo sommovimento avesse operato nella mentalità dei contemporanei l’autobiografia di Jean-Jacques, è chiaro che i Mémoires d’un jeune Espagnol, al pari del testo di Mme Roland, vivono in uno stretto rapporto con il testo russeauiano. L’aspetto più interessante dell’opera di Florian, che non possiede la grandezza tragica di quella di Mme Roland ma è comunque di pregevole qualità, mi sembra risiedere nella scelta del genere. Florian, autore convenzionale e alieno dallo scandalo, non se la sente di alzare addirittura la posta rispetto all’innovazione di Rousseau. Scrivere la propria autobiografia limitandola volutamente agli anni infantili è una scelta sorprendentemente rivoluzionaria, tant’è che il genere si afferma in Francia solo ad un secolo di distanza. Perciò lo

13 Ibidem, p. 5.

14 Ibidem, pp. 2-3.

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scrittore trasforma la sua autentica autobiografia d’infanzia nell’unico genere tradizionale che contemplasse un protagonista bambino: il romanzo picaresco. Ma è un travestimento così trasparente che appare subito chiaro che si tratta di un puro omaggio alle convenzioni letterarie, sotto il quale è riconoscibilissima l’infanzia di un giovane aristocratico al tramonto dell’antico regime. I nomi vi sono infatti semplicemente anagrammati (Niaflor per Florian, Tegrès per Gresset) oppure trasferiti, per analogia, nel mondo culturale spagnolo: Lope de Vega si sovrappone a Voltaire (infatti vive a Fernixo) Calderón a Corneille; il tetro Escurial è in realtà nel testo una ben più gaia Versailles. L’editore assicura persino che nel manoscritto talvolta Florian dimentica la sua ambientazione fittizia, per scrivere Parigi al posto di Madrid. Grazie a questo sottile ma rassicurante alibi, il narratore riesce a compiere l’atto più sovversivo della sua carriera letteraria, inventando una forma che gli consente di cancellare un presente insopportabile per ritornare al mondo dorato dell’infanzia. Il racconto copre gli anni che vanno dal 1755, data della sua nascita, al 1773, l’anno della nomina a tenente di cavalleria che sancisce la sua entrata nell’età adulta: ed è davvero un mondo beato, governato dal piacere della rievocazione: i giochi, ispirati all’Iliade, ricordano le pagine analoghe delle Confessions, gli amori del precocissimo bambino e dell’adolescente sono evocati con compiaciuta attenzione all’evoluzione della sua sensibilità.15 Le feste, di cui Florian è stato il protagonista o l’organizzatore, hanno nel testo un rilievo particolare. Nella prima, una festa creata da Voltaire a Ferney in onore di una celebre attrice, è facile scorgere, come ha fatto Sainte- Beuve, una sorta di cifra caratteristica di tutta una esistenza che sarà votata alla letteratura sensibile e intrisa di buoni sentimenti. Florian vi si autorappresenta, bambino decenne in costume da pastorello bianco e rosa, mentre recita versi d’occasione alla dama: “Je suis à peine à mon primtemps/ et j’ai déjà des sentiments.”16 Florian si dilunga deliziato nella descrizione delle complesse coreografie che accompagnavano queste riunioni campestri e mondane, rievocate con toni fiabeschi: “et pendant trois nuits que la fête dura, le désordre le plus agréable et la joie la plus

15 Su questi aspetti del testo ci permettiamo di rimandare al nostro saggio Raccontare l’infanzia. Forme del racconto d’infanzia nella memorialistica e nel romanzo dell’ultimo Settecento, in La scrittura autobiografica fino all’epoca di Rousseau, a cura di Piero Toffano, Fasano, Schena, 1998 pp. 223-235.

16 Florian, Mémoires d’un jeune Espagnol, p. 37. Sainte-Beuve commenta « Même en étant là avec Florian chez Voltaire, on sent que Rousseau est venu » (Op. cit., p. 232).

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vive régnèrent dans le château.”17 Se l’evocazione di questi momenti privilegiati, vero emblema della società scomparsa, è minuziosamente dettagliata, invano vi si cerca invece il minimo accenno al presente della scrittura, fatta salva la generica e convenzionale invocazione che apre il libro secondo: “Je vais décrire mes erreurs et mes folies; trop heureux si, au moment où je les écris, il ne m’en reste plus à faire!”18 Florian ha infatti suddiviso la materia autobiografica in due libri: nel primo rivive l’infanzia, nel secondo “la liberté” dell’adolescente, dai sedici ai diciotto anni. E’ una ulteriore riprova del carattere compiuto del testo, dotato di una precisa architettura. Tutt’al più è possibile ipotizzare un breve prolungamento: Florian potrebbe avere avuto l’intenzione, ma non il tempo, di aggiungere ancora qualche anno; come si ricorderà la “première jeunesse” delle Confessions si chiude a vent’anni e la “jeunesse” a ventotto. Ciò spiegherebbe il carattere scosceso

della chiusa (“je pris congé de l’infant don Juan, et je partis pour la Catalogne avec le jeune D.

Montalto, à qui don Juan avait promis son régiment, et qui commençait par être sous-lieutenant comme moi »)19 che non comporta alcuna riflessione o bilancio conclusivo, e non contrasterebbe comunque con il titolo scelto dall’autore. In assenza di ulteriore documentazione l’ipotesi resta tuttavia indimostrabile. L’ultima opera pubblicata dallo scrittore, le Fables, risale al 1792. Lo stato del testo, perfettamente coerente a parte la noncuranza, voluta o non voluta, della parte finale, sembra confermare una volontà di pubblicazione. Oltre allo scrupolo del travestimento dei nomi, lo attestano inoltre le numerosi apostrofi al lettore, anzi al “cher lecteur” che ricorrono quasi ad ogni pagina. Questo lettore intradiegetico assume in effetti nella scrittura autobiografica di Florian un rilievo particolare: è il confidente che deve essere continuamente evocato per giustificare la novità dell’impresa:

je crains fort, mon cher lecteur, que le détail de ma vie ne produise sur vous le même effet que les théorèmes produisaient sur moi ; il m’endormaient un peu, parce qu’il se ressemblaient beaucoup : tous mes récits se ressemblent autant ; vous me voyez toujours amoureux ; c’est bien monotone.

Mon cher lecteur, je vous en demande pardon, mais je me suis fait une loi de dire la vérité, et je ne veux oublier aucune aventure.20

17 Florian, Ibidem, p. 118.

18 Ibidem, p. 77.

19 Ibidem, p. 150.

20 Ibidem, p. 96

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Colpisce l’insistenza con cui il narratore si appella ad un muto interlocutore che assomiglia molto al “caro diario” della scrittura intima. Attraverso il narratario, chi scrive si sdoppia, e raddoppia il piacere della rimemorazione instaurando un dialogo con un altro io di cui si immaginano giudizi o commenti: “vous vous indignez contre moi, mon cher lecteur, vous avez raison, hélas! Je rougis en vous racontant mon inconstance: ce qui me fâche le plus, c’est que j’aurai à rougir plus d’une fois”.21 Ma il rapporto confidenziale è tutto retrospettivo, ovvero tutto interno al testo, con il paradossale risultato di mantenere le distanze con il lettore effettivo. L ’assoluto silenzio del narratore sul proprio futuro corrisponde infatti, per quest’ultima figura di lettore, all’impossibilità di affacciarsi sul presente della scrittura. Si tratta di un fenomeno decisamente inconsueto nella letteratura memorialistica, che trae alimento proprio dal rapporto tra passato e presente. Mi sembra che solo la Rivoluzione possa fornire una spiegazione plausibile per questa soppressione del presente. L’invenzione del racconto d’infanzia serve per esorcizzare l’angoscia, e libera dall’obbligo pericoloso di formulare giudizi sull’evoluzione dei tempi. Manca in questa scrittura autobiografica la capacità di ritrovarsi, Florian non ha la forza di afferrare quel filo che collega la sua vita alla tragedia che pure sarà costretto a subire. L’autobiografia qui è troncata perché chi scrive non riesce a stabilire una continuità esistenziale tra il proprio vissuto ed un presente incompensibile. Dietro la superficie rassicurante dei Mémoires d’un jeune Espagnol , la Rivoluzione brilla proprio per la sua assenza.

Patrizia Oppici

21 Ibidem, p. 111.

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