• Non ci sono risultati.

Capitolo 1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1"

Copied!
21
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1

Introduzione

Gli studi sulle interazioni di polinucleotidi sintetici con ioni o molecole di vario tipo hanno sempre prodotto informazioni preziose per l’interpretazione delle proprietà chimico-fisiche degli acidi nucleici naturali.

L’interesse per questi sistemi è stato negli ultimi anni ulteriormente stimolato dalla scoperta della partecipazione ai processi biologici di strutture non canoniche degli acidi nucleici (Kamenetskii e Mirkin, 1995; Shen et al., 1995; Catasti et al., 1999) dove per strutture non canoniche si intendono forme diverse dalla struttura in doppia elica (Saenger, 1984; Hannon, 2007; Shafer, 2008). Tra queste citiamo, nel contesto di questa tesi, le strutture a tripla elica che vengono tra l’altro utilizzate per curare le malattie causate da virus a RNA (Field, 1999). Le triple eliche sono molto meno stabili delle strutture a doppia elica e gli ioni metallici sembrano esercitare su di loro un effetto stabilizzante, anche se le condizioni e la natura fisica di questa stabilizzazione non è ancora del tutto chiara (Muñoz et al., 2002;. Risitano e Fox, 2003).

La conformazione degli acidi nucleici è influenzata, oltre che dall’ambiente ionico, anche dalla presenza di particolari molecole organiche contenenti anelli aromatici condensati che possono interagire non covalentemente con i polinucleotidi modificandone la struttura e l’attività biologica. Fino a pochi anni fa erano scarsi gli studi sull´interazione di piccole molecole con polinucleotidi di tipo RNA rispetto al gran numero di studi riguardante la loro interazione con il DNA. La ragione di ciò sta nella complessa struttura terziaria dei polinucleotidi di tipo RNA e nelle scarse informazioni strutturali disponibili su di essa. D’altra parte la necessità di trovare composti capaci di legarsi all’RNA con la funzione di agenti anti-tumorali ha attratto l’attenzione su questi sistemi (Cheng et al., 2001; Gallego e Varani, 2001; Foloppe et al., 2006). Lo studio degli RNA richiede una dettagliata conoscenza del loro aspetto strutturale e del loro meccanismo di interazione con piccole molecole. Lo studio dell’interazione di alcuni alcaloidi naturali con strutture a doppia e tripla elica di RNA,

(2)

la catena polimerica è ben definita, la comprensione delle loro interazioni può essere raggiunta più facilmente.

La prima parte di questo lavoro di tesi è volta ad analizzare, attraverso misure cinetiche e di denaturazione termica, le variazioni di struttura di un RNA sintetico, il poli(A).poli(U), condotte dalla presenza di ioni metallici in soluzione acquosa.

La seconda parte del lavoro di tesi riguarda un’estensione dello studio dei sistemi poli(A)∙poli(U)/Coralina e poli(A)∙2poli(U)/Coralina, già iniziata nel laboratorio dove ho svolto la tesi (Biver et al., 2009; Garcìa et al., 2009); in particolare viene esaminato l´effetto della natura e della concentrazione di cationi metallici (magnesio e nichel) sulle modalità dell´interazione della Coralina con eliche doppie e triple di RNA.

1.1 Gli acidi nucleici

Gli acidi nucleici sono macromolecole che partecipano al trasferimento e alla conservazione dell’informazione genetica degli esseri viventi. La loro scoperta risale alla fine del secolo XIX (Miescher, 1871), ma solo agli inizi del XX secolo iniziarono a comparire le prove che finirono per rivelare che il materiale genetico era contenuto nel DNA, infatti nel 1953 Watson e Crick (Watson e Crick, 1953) proposero, sulla base di indagini roentgenografiche, quello che è oggi accertato come il primo modello accurato della struttura dell’acido deossiribonucleico.

Esistono due classi di acidi nucleici: il DNA (acido deossiribonucleico) e l’RNA (acido ribonucleico); il DNA è il depositario dell'informazione genetica che viene trascritta in molecole di RNA. Questo, a sua volta, svolge un ruolo chiave nella sintesi delle specifiche proteine.

1.1.1 Struttura primaria

Da un punto di vista chimico gli acidi nucleici sono polimeri lineari formati dalla ripetizione di singole unità chiamate nucleotidi. Ogni nucleotide a sua volta è costituito da tre componenti: una molecola di pentosio, una molecola di acido fosforico e una base azotata. Nel DNA e nell’RNA naturali esistono due basi appartenenti alla classe delle purine e due a quella delle pirimidine (Figura 1.1). Se la base è una purina, adenina (A) o guanina (G), la molecola di zucchero si lega all’azoto in posizione 9 del pentosio, se invece è una pirimidina,

(3)

timina (T), citosina (C) o uracile (U) (quest’ultima base sostituisce la timina nell’RNA), si lega attraverso l’azoto in posizione 1. Infine, l’unione dell’acido fosforico avviene mediante un legame di tipo estereo al gruppo –OH legato al carbonio in posizione 5’ del pentosio. Nel caso del DNA il pentosio è il 2-deossiribosio, per l’RNA il D-ribosio.

Figura 1.1 Componenti dei nucleotidi: basi puriniche (adenina, A; guanina, G); basi pirimidiniche (timina, T;

citosina, C; uracile, U); zuccheri: 2’-deossiribosio (DNA) e D-ribosio (RNA).

Nella Figura 1.2 sono mostrate, invece, le catene di nucleotidi che costituiscono lo scheletro di DNA e di RNA dove è possibile notare come si legano tra loro le basi azotate, gli zuccheri e i gruppi fosfato.

(4)

Figura 1.2 Catena di nucleotidi costituenti lo scheletro degli acidi nucleici.

1.1.2 Struttura secondaria

La struttura tridimensionale del DNA consiste in una doppia elica (Figura 1.3), formata da due catene di polinucleotidi che si avvolgono elicoidalmente una sull’altra intorno ad un asse centrale immaginario. Nella doppia elica i gruppi fosfato, carichi negativamente, sono rivolti verso l’esterno, mentre le basi azotate si trovano all’interno, disposte quasi perpendicolarmente all’asse in modo che ciascuna sia approssimativamente coplanare con quella che incontra nel filamento opposto. Questa struttura elicoidale è stabilizzata grazie a diverse classi di interazioni non covalenti:

- legami a idrogeno tra le paia di basi dei due filamenti (Figura 1.4);

- interazioni di stacking tra le basi che possono essere di vario tipo (interazioni elettrostatiche, di Van der Waals e idrofobe all’interno della doppia elica).

La caratteristica fondamentale dell’appaiamento è racchiusa nel principio di complementarietà tra le basi (noto anche come “regola di Chargaff” (Forsdyke e Mortimer, 2000)), secondo il quale l’adenina si accoppia sempre con la timina (o uracile nell’RNA), mentre la citosina si accoppia con la guanina.

(5)

Figura 1.3 Struttura della doppia elica del DNA N N O N N N O R H H N H N N N R H Accoppiamento C

-

G N N N N N O O CH3 R H H H N N R Accoppiamento T

-

A

A

N N O O N N O O N N N H H N N H H B Accoppiamento A U Accoppiamento U-A-U N N O O H R N N N N NH R H R R R

Figura 1.4 Accoppiamento tra le basi complementari tramite legami ad idrogeno. (A) Accoppiamento di tipo

Watson-Crick dove con R si indica il legame al deossiribosio. (B) Accoppiamento di tipo Hoogsteen dove con R si indica il legame con D-ribosio.

(6)

Il DNA non ha una struttura rigida e costante, ma può assumere conformazioni diverse in funzione della sequenza delle basi e del suo intorno chimico. La grande varietà di strutture che può mostrare un acido nucleico può essere divisa in due grandi famiglie: struttura canonica, nella quale le due catene di basi si associano in modo antiparallelo, e non canonica con altri tipi di associazioni. All’interno della prima categoria possiamo distinguere due forme destrogire (forma A e forma B) e una levogira (forma Z) (Figura 1.5). La forma B è quella descritta da Watson e Crick e rappresenta la conformazione abituale del DNA in condizioni fisiologiche (pH = 7 e forza ionica moderata) (Dickerson et al., 1982).

Figura 1.5 Struttura della diverse conformazioni assunte dal DNA (A) A-DNA, (B) B-DNA e (C) Z-DNA.

Essa presenta due scanalature, chiamate “major groove” o solco maggiore e “minor groove” o solco minore, che rappresentano siti in cui piccole molecole come proteine o prodotti farmaceutici possono legarsi. Per esempio, molecole della famiglia delle netropsine sono in grado di formare complessi reversibili nel solco minore del DNA con un alto grado di selettività nei confronti di sequenze ricche di basi AT. Questo processo biochimico, diretto ad interferire con il legame delle proteine col DNA e bloccare l’attivazione genica, provoca ad esempio l’incapacità delle cellule tumorali di riprodursi(Patel e Canuel, 1977).

La forma A del DNA, rispetto alla forma B, è meno idratata e più compatta, le basi sono più inclinate rispetto all’asse dell’elica e presentano un maggiore impaccamento. Di conseguenza anche le “groove” presentano caratteristiche differenti, il solco maggiore è più stretto e

(7)

profondo, mentre quello minore è più largo e superficiale. La forma A diventa predominante in condizioni di alta concentrazione salina o in presenza di etanolo ed è più frequente trovarla nell’RNA.

Infine, nella forma Z levogira, le basi sono impilate secondo un modello nel quale il legame glicosidico è in conformazione syn (quello della purina) e anti (quello della pirimidina) e questo fa in modo che l’asse pentosio-fostato si presenti con una disposizione a zig-zag (da cui l’acronimo) e che il solco maggiore sia completamente piano e invece quello minore sia molto stretto e profondo. Strutture di DNA in forma Z si ottengono da DNA in forma B in presenza di ioni Mg2+ (Turriani, tesi di laurea 2008; Biver et al., 2010).

1.2 L’RNA e i polinucleotidi sintetici

Normalmente l’RNA adotta una struttura elicoidale a catena singola destrogira che è stabilizzata dalle interazioni tra le basi impilate le une sulle altre. Tuttavia è possibile l’appaiamento di due o anche filamenti di RNA, per cui si possono incontrare in natura molecole di RNA che presentano porzioni di doppia e tripla elica (Spencer et al., 1962; Landridge e Gomatos, 1963). Si noti che strutture di elica tripla sono state osservate anche nel caso del DNA sintetico poli(dAdT)∙poli(dAdT) (Arnott e Selsing, 1974). Oltre alle forme di RNA naturali sono stati sintetizzati in laboratorio polinucleotidi con sequenze di basi selezionate e con una struttura più semplice. Questi composti costituiscono validi modelli per lo studio del comportamento degli acidi nucleici naturali. Essi possono essere divisi in omopolimeri, che contengono una sola base su ciascun filamento, e in eteropolimeri, che invece contengono due basi che si ripetono in maniera alternata su ciascun filamento. Nei paragrafi seguenti verranno descritti brevemente gli RNA sintetici che sono stati usati per questo lavoro.

(8)

1.2.1 Poli(A)

Figura 1.6 Struttura del Poly(A).

L’acido poliriboadenilico, conosciuto come poli(A), è un RNA costituito da una singola catena di adenine (Figura 1.6). Esso presenta una struttura ordinata in singola elica a pH neutro o leggermente alcalino mentre assume struttura a doppia elica a pH inferiore a 5.9. La sua struttura elicoidale destrogira mantiene i piani delle basi eterocicliche paralleli uno all’altro e tra le basi sono presenti interazioni di stacking tali che non permettono alle molecole di solvente di entrare nello spazio presente tra le basi.

Alla temperatura di 45°C il poli(A) assume una struttura disordinata nota con il nome di “random coil” nonostante persista fino a 80°C un ordine parziale in alcune regioni del polimero (Holcomb e Tinoco, 1965); la temperatura di questa transizione varia in funzione del pH e della forza ionica della soluzione (Ciatto, 1994).

1.2.2 Poli(U)

L’acido poliribouridilico (poli(U)) è un RNA costituito esclusivamente da una catena di uracili. Nel poli(U) le forze di stacking sembrano essere molto più deboli ed esso si comporta

(9)

come un “random coil” dove la rotazione dei legami della catena polinucleotidica è molto limitata (Inners e Felsenfeld, 1970). Nonostante questo, il poli(U) mostra una transizione conformazionale cooperativa a bassa temperatura (T < 5°C); in soluzioni di cationi monovalenti a forza ionica elevata o in presenza di ioni Mg2+ (Lipsett, 1960; Richards et al., 1963; Simpkings e Richards, 1964) dove il poli(U) adotta una struttura secondaria ordinata.

1.2.3 Poli(A)∙poli(U)

Il poli(A)∙poli(U) è un RNA in doppia elica che si può preparare mescolando quantità equimolecolari di poli(A) e di poli(U) a temperatura inferiore di 40°C. La stabilità della struttura di doppia elica viene assicurata dalla presenza di una concentrazione di sali di sodio compresa tra 0.01M e 2M. Le due catene si accoppiano grazie alla formazione di legami ad idrogeno tra le basi (in particolare due per ogni coppia di basi) in aggiunta alle interazioni di stacking. La presenza di solo due legami ad idrogeno per coppia di basi è uno dei motivi per cui il poli(A)∙poli(U) si denatura a temperature inferiori rispetto al DNA nel quale sono presenti tre legami ad idrogeno. Questa però non è l’unica ragione, infatti è stato osservato che la doppia elica di poli(A)∙poli(U) si denatura a temperature inferiori rispetto al polinucleotide poli(A-U)∙poli(A-U) nel quale le basi sono alternate nelle due catene, (Richards e Simpkings, 1968). Questa differenza non può essere attribuita ai legami ad idrogeno, essendo questi i medesimi in entrambi i polimeri; l’unica spiegazione possibile risiede nella stabilizzazione delle eliche singole che costituiscono il prodotto della denaturazione. Le interazioni di stacking tra le basi di adenina che favoriscono la stabilizzazione dell’elica singola di poli(A) sono meno forti nell’elica singola di poli(A-U) che si forma per denaturazione del poli(A-U)∙poli(A-U). In definitiva quest´ultimo risulta più stabile nella struttura di doppia elica che in quella di elica singola.

Nel 1964 Stevens e Felsenfeld (Stevens e Felsenfeld, 1964) pubblicarono un diagramma di fase delle possibili forme del poli(A)∙poli(U) (Figura 1.7). Si noti che il diagramma è ottenuto analizzando un sistema in cui la soluzione di partenza conteneva poli(A) e poli(U) in quantità equimolari. Se invece la soluzione di partenza avesse contenuto poli(A) e poli(U) nel rapporto molare 1:2, il diagramma sarebbe stato differente. Comunque, il diagramma di Figura 1.7 mostra che la struttura dell’RNA dipende dalla forza ionica e dalla temperatura e può presentarsi come filamento singolo, doppia elica o tripla elica. In effetti, il poli(A)∙poli(U) può disproporzionare per effetto del calore o della presenza di Na+ (ma anche di Mg2+), dando

(10)

Felsenfeld, 1964). Questa caratteristica è il punto di partenza dello studio condotto nella prima parte di questo lavoro di tesi.

Figura 1.7 Dipendenza della temperatura di fusione (Tm) dalla concentrazione di NaCl per miscele equimolari di

poli(A) e poli(U). I cerchi vuoti rappresentano il passaggio della doppia elica e della tripla elica a eliche singole. I cerchi pieni rappresentano la conversione della doppia elica in tripla elica.

1.2.4 Poli(A)∙2poli(U)

La formazione di triple eliche a partire da una doppia elica omopirimidina-omopurina con un terzo filamento di omopirimidina è stata scoperta più di cinquanta anni fa (Felsenfeld et al., 1957).

(11)

Inoltre, è stato provato che è possibile ottenere RNA in forma di tripla elica anche mescolando poli(A) e poli(U) in rapporto 1:2 (Stevens e Felsenfeld, 1964, Garcìa et al., 2006). Come le altre conformazioni assunte dal polinucleotide in questione, quella di tripla elica dipende dalla forza ionica e dalla temperatura. Nelle classiche strutture in tripla elica il terzo filamento si adagia lungo la scanalatura principale (major groove) della doppia elica e si accoppia alle basi puriniche attraverso interazioni di tipo Hoogsteen rappresentate nella Figura 1.4 B (Wilson et al., 1993). La struttura della tripla elica di poli(A)∙2poli(U) risulta essere molto compatta (Figura 1.8). Le modalità di passaggio dalla conformazione di doppia elica a quella di tripla e il loro comportamento chimico-fisico sono stati oggetto di ricerca da parte di molti autori (Blake e Fresco, 1966; Massouliè, 1968; Neumann e Katchalsky, 1972; Pilch et al., 1990).

1.3 Influenza di ioni metallici mono e divalenti

Gli acidi nucleici sono polielettroliti e come tali le loro strutture sono sensibili all’ambiente ionico in cui si trovano. I principali contributi alla struttura e alla stabilità di DNA ed RNA possono essere divisi in due termini, quello di natura elettrostatica e quello di natura non-elettrostatica (Cowan, 1995; Porschke, 1995; Misra e Draper, 1999). Il primo contributo include l’interazione delle cariche presenti sugli acidi nucleici tra di loro e con particelle cariche eventualmente presenti in soluzione. Il contributo non-elettrostatico include invece interazioni idrofobiche e interazioni di van der Waals sia intramolecolari che intermolecolari. L’entità relativa di ognuno di questi contributi è stata in certi casi valutata e si è osservato che è chiaro che le forze elettrostatiche giocano un ruolo particolarmente importante sia nella stabilità che nelle interazioni dell’RNA (Biver et al., 2006; Biver et al., 2007).

E’ noto dalla fine degli anni ‘50 che gli acidi nucleici esplicano la loro attività biologica solo in presenza di ioni metallici. Infatti gli ioni metallici stabilizzano la struttura a doppia elica del DNA (Spiro, 1973, O’Sullivan, 1973, Eichhorn, 1973) e servono al mantenimento della struttura specifica dell’RNA transfer (O’Sullivan, 1973, Marzilli, 1977). La forte repulsione elettrostatica tra i gruppi fosfato presenti sulla catene dei polinucleotidi deve essere ridotta dai contro-ioni; per questo motivo l’integrità strutturale e l’attività biologica dell’RNA dipendono molto dal tipo e dalla concentrazione degli ioni in soluzione. Sia gli ioni monovalenti, sia quelli divalenti possono effettivamente stabilizzare l’RNA. Si possono schematicamente riassumere i diversi tipi di reazione attraverso la Figura 1.9.

(12)

Figura 1.9 Modalità di binding degli ioni all’RNA: (A) binding diffuso nel quale la sfera di solvatazione (linea

tratteggiata) dello ione e del gruppo legante fosfato rimane intatto; (B) complesso di sfera esterna nel quale lo ione e il suo legante spartiscono il loro guscio di solvatazione; (C) complesso a sfera interna in cui lo ione e il suo legante sono a diretto contatto senza l’intermediazione di molecole di acqua. Lo ione Mg2+ è raffigurato con colore verde, le molecole d’acqua con colore azzurre, gli atomi di fosforo del gruppo fosfato con colore giallo e gli atoni di ossigeno con colore rosso.

Gli ioni metallici sono inoltre necessari nei processi di replicazione del DNA, di trascrizione del DNA ad RNA ed infine nella sintesi delle proteine (Eichhorn, 1973). I cationi divalenti influenzano fortemente sia la struttura e sia l’attività biochimica degli acidi ribonucleici e deossiribonucleici (Kankia, 2003). I cationi divalenti dei metalli di transizione, come il Ni2+ per esempio, interagiscono sia con i gruppi fosfato dello scheletro sia con le basi eterocicliche, mentre i cationi dei metalli alcalino-terrosi, in particolare lo ione Mg2+, sembrano interagire esclusivamente con i gruppi fosfato (Eichhorn e Shin, 1968; Jakabhazy e Fleming, 1966). Molto recentemente però è andata prendendo corpo l’ipotesi che lo ione Mg2+ interagisce simultaneamente con il fosfato e con l’atomo di azoto N7 della guanina (Subirana

and Soler Lopez, 2003).

Nel 1957 il gruppo di ricerca di Felsenfeld (Felsenfeld et al., 1957) dimostrò la formazione di un nuovo debole complesso formato da due filamenti di poli(U) per ogni filamento di poli(A) e l’aggiunta di cationi divalenti favoriva la formazione di tale complesso. Questi risultati furono interpretati nel senso che la doppia elica iniziale di poli(A)∙poli(U) ha assunto un terzo filamento di poli(U) che si collocava lungo la scanalatura maggiore dando origine ad una struttura di tripla elica. L’accoppiamento delle basi di questo triplex è mostrata nella Figura 1.4 B mentre la struttura secondaria è mostrata in Figura 1.8. L’accoppiamento è di tipo Hoogsteen nel quale le basi sono legate due a due con legami ad idrogeno. In particolare è stato notato che l’unica posizione nella quale il nuovo residuo di uracile può fornire due legami ad idrogeno è legando O6 e N1 all’N7 e N10 dell’adenina (Figura 1.4 B).

La tripla elica può essere formata a partire da quantità equimolecolari di poli(A)∙poli(U) e poli(U), oppure unendo poli(A) e poli(U) in rapporto stechiometrico. D’altra parte è stato anche osservato che, in opportune condizioni sperimentali la doppia elica di poli(A)∙poli(U)

(13)

subisce una reazione di disproporzione a formare poli(A)∙2poli(U) (Blake et al., 1967; Biver et al., 2009). Questo equilibrio dipende fortemente dalla temperatura e dalla concentrazione di cationi metallici in soluzione (Krakauer e Sturtevant, 1968; Sorokin et al., 2001; Eichorn et al., 1981)

Nella prima parte di questo lavoro di tesi verrà esaminata la trasformazione del poli(A)∙poli(U) in poli(A)∙2poli(U) in presenza di Mg2+ e Ni2+ partendo da soluzioni in cui le basi adenina (A) e uracile (U) sono presenti in quantità equimolari. Per quanto riguarda il magnesio, questo è stato scelto perché è lo ione che permette al DNA di esercitare la sua attività negli organismi viventi. Per quanto concerne l’RNA, influenza del magnesio sulla struttura del poli(A)∙poli(U) è stata studiata solo recentemente (Sorokin, 2003) e limitatamente alle basse concentrazioni di metallo e sempre in presenza di una certa concentrazione di ioni Na+. Le interazioni Ni2+- acido nucleico sono state studiate ampiamente a partire dalla fine degli anni ’70 (Taylor e Diebler, 1976; Diebler et al., 1987), per il fatto che lo ione Ni2+ è da considerarsi rappresentativo per i cationi divalenti dei metalli di transizione. Tuttavia esso è stato studiato relativamente alle sole catene singole, mentre mancano studi sistematici relativi all´effetto di metalli di transizione su RNA in doppia e tripla elica.

In letteratura è possibile trovare indicazioni riguardo al ruolo dei cationi bivalenti dei metalli pesanti (Eichhorn, 1973) come Mn2+, Co2+ e Zn2+ in numerosi processi in vivo. Infatti, piccole quantità di questi ioni sono state trovate nell’RNA e si pensa che questi abbiano un ruolo simile a quello del magnesio come stabilizzatori delle conformazioni specifiche del polinucleotide. Negli anni ’80 si scoprì che anche gli enzimi RNA- e DNA-polimerasi contengono un centro metallico a base di zinco (Vallee, 1984) e che questo partecipa all’azione catalitica (Mildvan, 1981).

Gli ioni metallici possono indurre profondi cambiamenti strutturali negli acidi nucleici. Per esempio, gli ioni Na+, Mg2+, Ni2+, Co(NH3)63+ inducono la transizione da B a Z nel

poli(dG-dC)∙poli(dG-dC) (Jovin et al., 1987; Schoenknecht e Diebler, 1992; Behe e Felsenfeld, 1981, Biver et al., 2011). Pertanto è chiaro che indagini di tipo termodinamico e cinetico sulle interazioni tra polinucleotidi e ioni metallici in soluzione rivestono grande interesse non solo dal punto di vista della chimica dei complessi, ma anche da quello della biochimica molecolare.

Non bisogna tuttavia dimenticare che certi metalli pesanti possono esercitare anche un ruolo negativo nei processi cellulari comportandosi da agenti mutageni. Per esempio, il nichel è uno

(14)

mutazioni durante la trascrizione del DNA, sia animale che vegetale, e inibisce il riconoscimento di una specifica proteina con conseguente comportamento cancerogeno (Coogan et al., 1989; Hartwig et al., 1994).

1.4 Interazioni tra acidi nucleici e coloranti planari

L’interazione tra acidi nucleici e piccole molecole è stato oggetto di molti studi (Pindur et al., 2005) condotti nel tentativo di fornire una spiegazione plausibile circa l’attività di molti farmaci con proprietà antivirali e anti-tumorali, anche nell’ottica di contribuire allo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche. E’ stata confermata, in questo contesto, un’osservazione più volte fatta in precedenza, ossia che l’attività di numerosi farmaci trova la sua origine nell´interazione con il DNA, per esempio attraverso le reazioni di intercalazione.

Molte piccole molecole possono interagire con gli acidi nucleici attraverso differenti processi di legame (binding). Questi possono essere di natura covalente e pertanto irreversibili o di natura non covalente; in tal caso l´interazione consiste in un processo di equilibrio (Dervan, 2001; Bischoff e Hoffman, 2002; Martìnez e Chacòn-Garcìa, 2005; Braña et al., 2001; Graves e Velea, 2000). I primi studi su queste interazioni risalgono agli anni ’60 e hanno rivelato l’esistenza di due distinti tipi di processi: l’intercalazione e il binding esterno (Waring, 1965; LePecq e Paoletti, 1967). Quest’ultimo comprende il binding elettrostatico e il cosiddetto groove-binding, ossia il legame alle scanalature del DNA. Le molecole utilizzate per questi studi possiedono generalmente caratteristiche ottiche particolari quali il colore e la fluorescenza e per questo vengono spesso definite come “dyes” ovvero coloranti. Grazie a queste caratteristiche il processo di interazione può essere studiato con tecniche di spettroscopia di fluorescenza o assorbanza. Il cambiamento delle proprietà ottiche a seguito della reazione tra colorante e polinucleotide consente di ottenere importanti indicazioni per stabilire se l´interazione si manifesta oppure no e di quale tipo essa sia.

1.4.1 Intercalazione

Il modello di intercalazione fu inizialmente proposto da Lerman (Lerman, 1961). Questo processo prevede l’inserimento della molecola tra due paia di basi consecutive della doppia elica (Figura 1.10), e la sua stabilizzazione grazie alle interazioni di stacking tra la molecola intercalante e le basi dell’acido nucleico. L’intercalazione è facilitata dalla presenza di una carica positiva sulla molecola intercalante, per cui quest’ultima verrà attratta

(15)

elettrostaticamente dalle cariche negative poste sui gruppi fosfato dei polinucleotidi, avvantaggiandone l’inserimento all’interno della cavità. L’intercalazione causa un aumento della distanza tra le coppie di basi adiacenti con una conseguente distorsione della forma elicoidale che però viene compensata da un riarrangiamento dello scheletro zucchero-fosfato e da un parziale unwinding dell’elica (Figura 1.10).

Figura 1.10 Modello di intercalazione che rappresenta la struttura secondaria di un acido nucleico in generale (a

sinistra) e quella di un acido nucleico che contiene alcune molecole intercalate (a destra). I siti occupati sono colorati in rosso.

I leganti che possono interagire con i polinucleotidi attraverso reazioni di intercalazione hanno struttura fondamentalmente planare formata da anelli aromatici condensati a cui possono essere eventualmente legati attraverso opportuni linker, gruppi reattivi dotati di diverse funzionalità.

I risultati che ottenne Lerman hanno dato origine al concetto del “sito escluso”: quando un intercalante occupa una cavità (spazio tra due coppie di basi) del polinucleotide rende inattive le cavità adiacenti (Scatchard, 1949). Si definisce “dimensione del sito” (n) il numero di unità monomeriche consecutive del polimero che vengono inattivate dall’entrata di una molecola di intercalante. Tale alterazione della struttura secondaria potrà influenzare l’attività biologica di un acido nucleico naturale. I principali effetti degli intercalanti sono l’inibizione della crescita, la trasformazione e la morte della cellula (Gale et al., 1972; Schwartz, 1979; Graves e Velea, 2000; Haq, 2002).

Per quanto riguarda le reazioni di intercalazione va chiarito che le interazioni hanno luogo anche quando il polinucleotide presenta una struttura in tripla elica. Questo particolare tipo di struttura ha ricevuto attenzione soprattutto negli ultimi anni in quanto, essendo presente in natura al momento della replicazione genetica, può rappresentare un mezzo per controllare

(16)

Stephenson, 1978; Blake et al., 1985; Uhlmann e Peymann, 1990; Ts’o et al., 1992). A questo proposito sono stati sviluppati due diversi metodi che prendono i nomi di strategia antigene ed antisenso. Nella strategia antisenso viene impiegato un oligonucleotide capace di appaiarsi con una sequenza ad esso complementare sull’RNA messaggero ed impedirne la traduzione in proteine (Zon, 1988; Sanghvi et al., 1993). La strategia antigene agisce a monte del processo di traduzione impiegando un oligonucleotide TFO (triplex forming oligonucleotide) in grado di legarsi a certe sequenze del DNA, formando così strutture a tripla elica (Helene, 1991; Sun e Helene, 1993, Praseuth, 1999). La terza elica determina il blocco della replicazione e della trascrizione del DNA bersaglio del TFO nascondendo l’informazione in esso contenuta (Figura 1.11). Il maggiore fattore limitante di queste strategie è la bassa stabilità delle strutture in doppia e soprattutto in tripla elica alle quali danno origine gli oligomeri. Da questo fatto scaturisce l’importanza dello studio di molecole che stabilizzino queste strutture, quali ad esempio gli intercalanti.

Figura 1.11 Schema riassuntivo delle strategie antigene e antisenso.

1.4.2 Binding esterno

Il binding esterno appartiene ai modi non intercalativi che prevedono la formazione di un complesso la cui driving force fu inizialmente considerata di natura essenzialmente elettrostatica (LePecq e Paoletti, 1967). Tuttavia, è stato ben presto scoperto che la natura del binding esterno non è solamente elettrostatica. Ad esempio, si è osservato che il coefficiente di estinzione molare del colorante cambia quando questo reagisce con il polinucleotide, mentre ciò non accadrebbe nel caso della pura interazione elettrostatica. Inoltre, la forza della interazione esterna risulta spesso maggiore di quella elettrostatica (Diebler et al., 1987).

(17)

Informazioni riguardo a questo modo di binding sono state ottenute anche attraverso studi in cui si è cambiato il tipo di polinucleotide ma non la carica; i risultati hanno mostrato la sensibilità di questo processo alle caratteristiche chimiche e conformazionali del polinucleotide confermando il fatto che nel binding esterno, oltre all’attrazione elettrostatica, intervengono forze di altro genere (Li e Crothers, 1969; Schmechel e Crothers, 1971). In particolare, il legame esterno riguarda spesso molecole planari aromatiche capaci di dar luogo a estese interazioni non covalenti colorante-colorante (Figura 1.12). Poichè le molecole intercalanti soddisfano queste caratteristiche, è stato osservato che alcuni coloranti interagiscono con gli acidi nucleici sia per intercalazione che per binding esterno (Dourlent e Helene, 1971). In queste circostanze un modo di binding prevale sull’altro a seconda delle concentrazioni relative dei partner di reazione, in altre parole del rapporto colorante/polinucleotide (CP/CD) (Biver et al. 2006).

Figura 1.12 (A) modello di interazione ad alti rapporti colorante/polinucleotide (CD/CP) mediante binding

esterno; (B) modello di interazione a bassi rapporti CD/CP mediante intercalazione.

1.4.3 Groove Binding

Alcuni tipi di molecole sono capaci di interagire con notevole affinità con le scanalature (grooves) della doppia elica (Figura 1.13).

(18)

Figura 1.13 Schema che mostra la posizione del colorante nei complessi con il solco maggiore e minore di un

polinucleotide

Le caratteristiche chimiche presentate da una data sequenza di DNA o RNA in ogni scanalatura sono diverse, e questo costituisce la base di riconoscimento di una particolare sequenza da parte di piccole molecole o proteine. Mentre la maggior parte delle proteine si lega alla catena disponendosi nella scanalatura maggiore (Gao et al., 1992; Kamitori e Takusagawa, 1992; Guan et al., 1993; Hannon, 2007), le piccole molecole come alcuni farmaci agiscono legandosi preferenzialmente alla scanalatura minore (Neidle, 2001). Inoltre, numerose ricerche hanno dimostrato che queste molecole si legano preferenzialmente ai polinucleotidi in doppia elica rispetto a quelli in singola elica (Cosa et al., 2001). La maggior parte di questi leganti possiede alcune caratteristiche strutturali, come la carica positiva, una certa flessibilità e la possibilità di formare legami ad idrogeno, che li rendono capaci di interagire con le scanalature. I legami a idrogeno possono essere diretti tra i due componenti oppure mediati da molecole di acqua. Ci sono comunque altre forze che stabilizzano il complesso derivante dal groove-binding: l’interazione debole colorante-base e l’attrazione elettrostatica. L’azione concorrente di queste forze può rendere i complessi con la groove più stabili rispetto ai complessi intercalati (Chaires, 2006). Si noti anche che la stabilità dei complessi polinucleotide-legante decresce apprezzabilmente all’aumentare della forza ionica della soluzione, a causa dell’aumento dell’effetto schermo prodotto dall’elettrolita inerte presente.

1.4.4 Binding Elettrostatico

La maggior parte dei leganti che subiscono interazioni con gli acidi nucleici sono caricati positivamente, quindi l’interazione elettrostatica con i gruppi fosfato dello scheletro del

(19)

polimero è inevitabile. Non è possibile misurare l’entità di questa interazione separatamente dagli altri tipi di binding, tuttavia calcoli basati sulla teoria elettrostatica degli elettroliti e esperimenti sull’interazione ione metallico-polinucleotide suggeriscono che il binding elettrostatico è debole. In effetti, studi sugli ioni Mg2+ e Ni2+, che si legano attraverso un complesso a sfera-esterna, ossia elettrostatico, ai residui fosfato del poli(U), mostrano che l´energia libera del processo è bassa (ΔG°= -2.4 kcal mol-1; Diebler et al., 1987). E´ interessante inoltre notare che, dato che l’attrazione di tipo elettrostatico è non specifica, questo tipo di legame dovrebbe essere indipendente dalle caratteristiche chimiche e conformazionali dei polinucleotidi. La presenza di queste interazioni può essere rivelata dalla sensibilità del sistema studiato alla presenza di sali in soluzione. Infatti, quando una molecola caricata positivamente si lega allo scheletro di un polinucleotide produce il rilascio dei contro-ioni legati ai gruppi fosfato (in genere contro-ioni Na+) (Record et al., 1978). Il processo di formazione del complesso elettrostatico è dunque influenzato dal contenuto salino del mezzo (forza ionica), nel senso che un aumento della concentrazione salina fa retrocedere il processo di binding.

1.4.5 Coralina

Lo sviluppo impetuoso dell´uso della fluorescenza nello studio dei processi biologici ha orientato la ricerca verso la sintesi di nuovi coloranti fluorescenti che potessero offrire un valido complemento all’impiego delle classiche molecole utilizzate come farmaci antitumorali (le acridine e le fenantridine). Le indagini con nuovi fluorofori possono condurre a meglio comprendere il meccanismo di azione di farmaci che si legano non covalentemente a DNA e a RNA e potrebbero essere quindi d’ausilio nello sviluppo di nuove tecniche diagnostiche. La Coralina (Figura 1.14) appartiene alla famiglia degli alcaloidi, prodotti naturali importanti per le applicazioni biologiche (Bhakuni e Jain, 1986) e biomediche (Gatto et al., 1996; Zee-Cheng et al., 1974; Whang et al., 1996). Il più importante membro di questa famiglia è la Berberina (alcaloide naturale isochinolinico) di cui la Coralina è l´analogo sintetico; questi composti sono entrambi agenti antitumorali dotati di bassa citotossicità.

(20)

N O O O O

Cl-Figura 1.14 Cloruro dell’8-metil-2.3.10.11-tetrametossidibenzo[a,g]chinolizinio (Coralina).

La Coralina è una molecola planare aromatica fluorescente caratterizzata da quattro anelli benzenici condensati con un atomo d’azoto carico positivamente. Queste caratteristiche rendono la Coralina adatta per le reazioni di intercalazione all’interno delle basi dei polinucleotidi. La Coralina ha inoltre la capacità di inibire le funzionalità delle topoisomerasi I (enzimi capaci di tagliare il legame fosfato del DNA (Wang et al., 1996) e per questo motivo è recentemente sorto un elevato interesse nei suoi confronti (Maiti e Kumar, 2007 a) e b)). La Coralina è soggetta a fenomeni di autoaggregazione, che potrebbero diventare non trascurabili nelle condizioni tipiche delle misure di spettrofotometria UV-Vis (circa 10-5 M) (Gough et al., 1979; Garcìa et al. 2009). Questa complessità intrinseca spiega perché, malgrado l’abbondanza di esperimenti effettuati su sistemi polinucleotidi/Coralina, le caratteristiche dell’interazione della Coralina con gli acidi nucleici rimangano poco chiare e il problema sia ancora oggetto di dibattito. Il ricorso alle tecniche di fluorescenza può costituire un valido aiuto per ovviare a questa problematica, dato che consente di lavorare in condizioni particolarmente diluite (per la Coralina fino a 10-7 M).

Se come accennato in precedenza, la Coralina si intercala all’interno della doppia elica del DNA a bassi rapporti CD/CP, essa può anche collocarsi all’esterno dell’elica quando questo

rapporto aumenta formando aggregati nei quali le molecole di Coralina si dispongono in pila, come rappresentato nella Figura 1.12 A (Zee-Cheng et al., 1973; Wilson et al., 1976; Gough et al., 1979). E’ stato inoltre dimostrato che usando DNA in doppia elica con differenti rapporti di C-G/A-T la Coralina mostra una preferenza per le coppie di basi citosina-guanina (Pal, Das et al., 1998; Pal, Kumar et al., 1998). Questa capacità di selezione è esercitata anche nei confronti delle triple eliche di DNA (Keppler, 2001; Polak, 2002). La Coralina mostra, infatti, una preferenza per il poli(dA)∙2poli(dT) rispetto al poli(dG)∙2poli(dC) (Lee et al., 1993; Wilson et al., 1994; Ren e Chaires, 1999). La preferenza per le triplette TAT rispetto a quelle CGC+ è causata dalla repulsione elettrostatica tra la Coralina stessa, che è caricata positivamente e la citosina protonata presente nel triplex CGC+. L’intercalazione all’interno della doppia elica di poli(dA)∙poli(dT) provoca la completa e irreversibile disproporzione in

(21)

poli(dT)∙poli(dA)∙poli(dT) e poli(dA). La disproporzione sembra essere promossa dall’alta affinità della Coralina per il triplex e per la singola elica di poli(dA) rispetto alla doppia elica poli(dA) poli(dT) (Polak e Hud, 2002; Jain et al., 2003).

Oltre ad indurre la formazione della tripla elica specifica di poli(dT)∙poli(dA)∙poli(dT) questa molecola è capace anche di indurre la formazione nel poli(G) di strutture G-quadruplex. Queste strutture, la cui formazione è indotta anche da ioni metallici, sono ampiamente studiate per la loro abilità di inibire la telomerasi e perciò agire come potenziali agenti antitumorali (Franceschin et al., 2006).

Mentre l’interazione tra DNA e Coralina (o molecole simili) è stata molto studiata, anche se non esaurientemente, gli effetti prodotti sull´RNA da parte degli intercalanti in generale e della Coralina in particolare, sono molto meno conosciuti. Negli ultimi anni è nato un crescente interesse nei confronti di questi sistemi come potenziali target terapeutici (Cheng et al., 2001; Sall et al., 2008) infatti l’insorgere di virus mortali come l’HIV e l’epatite C o la scoperta che molte gravi malattie sono causate da virus a RNA hanno permesso lo sviluppo di composti antivirali che si legano all´RNA (Hermann, 2002). Sappiamo, grazie a studi di tipo termodinamico, che la Coralina interagisce con la doppia elica di poli(A)∙poli(U) (Biver et al., 2009; 2008; Islam, 2009), con la tripla elica poli(A)∙2poli(U) (Sinha e Kumar, 2009) per intercalazione e che induce la disproporzione del poli(A)∙poli(U) in triplex secondo il percorso 2AU UAU + A (Biver et al., 2009).

Molto recentemente è stato inoltre osservato nel laboratorio in cui io ho svolto la mia tesi che, in determinate condizioni, la Coralina è in grado di indurre anche la trasformazione dal triplex nel corrispondente duplex e del duplex in triplex attraverso il percorso ciclico che sfrutta le reazioni UAUD D AUD e 2AUD UAUD + AD aperanti a due diverse temperatura (Biver et al., 2012).

Nella seconda parte del lavoro verrà studiato l´effetto prodotto dalla presenza della Coralina sul sistema poli(A)∙poli(U)/Mg2+ e poli(A)∙poli(U)/Ni2+.

Figura

Figura 1.1 Componenti dei nucleotidi: basi puriniche (adenina, A; guanina, G); basi pirimidiniche (timina, T;
Figura 1.2 Catena di nucleotidi costituenti lo scheletro degli acidi nucleici.
Figura 1.4 Accoppiamento tra le basi complementari tramite legami ad idrogeno. (A) Accoppiamento di tipo  Watson-Crick dove con R si indica il legame al deossiribosio
Figura 1.5 Struttura della diverse conformazioni assunte dal DNA (A) A-DNA, (B) B-DNA e (C) Z-DNA
+7

Riferimenti

Documenti correlati