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4 LA SOLITUDINE DEL TRADUTTORE (OVVERO TRADURRE IL TEATRO CONTEMPORANEO)

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4 LA SOLITUDINE DEL TRADUTTORE

(OVVERO TRADURRE IL TEATRO CONTEMPORANEO)

Avventurarsi nella traduzione di un testo teatrale significa essere pronti a mettere in conto una difficoltà aggiuntiva rispetto a tutte quelle, già numerose, che un traduttore deve affrontare. Non solo, infatti, il traduttore sarà chiamato al sempre impegnativo compito di “capire il sistema interno di una lingua e la struttura di un testo dato in quella lingua, e costruire un doppio del sistema testuale che, sotto una certa descrizione, possa produrre effetti analoghi nel lettore, sia sul piano semantico e sintattico che su quello stilistico, metrico, fonosimbolico, e quanto agli effetti passionali a cui il testo fonte tendeva”1, ma in questo caso non potrà mai esentarsi dal considerare,

prima, durante e dopo il suo lavoro, il fatto che il testo di arrivo partorito subirà a sua volta un' ulteriore trasformazione, quella che lo porterà dalla pagina alla scena. In realtà, questa forma di traduzione intersemiotica, che tramuta il testo scritto in spettacolo teatrale, non è sempre imprescindibile, e nella maggior parte dei casi non si hanno garanzie a priori di arrivare ad una messinscena. Nonostante questo, tuttavia, il traduttore interlinguistico non può prescindere dal considerare che il testo di partenza è nato in ogni caso per essere tradotto in scena e questo obiettivo orienterà sempre e comunque l'approccio alla traduzione.

Questa peculiarità influisce inevitabilmente sulla traduzione interlinguistica fin dal primo approccio e a diversi livelli. Potrà significare dover privilegiare il ritmo a discapito della vicinanza letterale al testo di partenza per esempio, ma questo in fondo non è insolito nemmeno in altre tipologie testuali, basti pensare ai testi poetici. Dover prestare particolare attenzione alle didascalie, per quanto scarne esse siano nel caso di 13, che non devono essere sottovalutate in quanto esprimono direttamente la voce dell'autore, la quale arriverà al pubblico mediata dall'intervento di attori e regista. Un esempio in questo senso, che potrà sembrare banale o addirittura pedante, è l'intervento minimo attuato ancora prima dell'inizio del testo, ovvero nella parte di paratesto in cui troviamo i dati relativi alla messinscena (data e luogo del debutto, cast, regista e tecnici). Il testo inglese non presenta alcuna difficoltà di comprensione:

13 was first performed in the Olivier Theatre at the National Theatre on 18 October 2011.2

Nonostante questo, nel testo tradotto si è deciso di specificare per il fruitore italiano, probabilmente meno avvezzo alla logistica dei teatri inglesi, che l'Olivier Theatre è la sala principale del National Theatre. Ovviamente non ci si è potuti dilungare nel dire che tale sala contiene poco meno di 1200 posti, nel ricordare che si è ispirata architettonicamente all'antico teatro di Epidauro e nel fornire altre informazioni più particolareggiate, ma considerando che alcune didascalie successive 1 U. ECO, Dire quasi la stessa cosa, Milano, Bompiani, 2003, p.16. Il corsivo è dell'originale e per capire cosa si

intende con sotto una certa descrizione si rimanda al testo di Eco. 2 M. BARTLETT, 13, Methuen Drama, 2011, p.3

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contengono indicazioni inerenti la prossemica, che dovranno in qualche modo essere seguite al momento della messinscena, è sembrato utile far capire fin dall'inizio che il testo è stato pensato per essere rappresentato di fronte ad un pubblico ampio e in un contesto spaziale ben preciso. Starà poi al regista di un eventuale spettacolo decidere se seguire questa direzione o prenderne un'altra. Tradurre significherà, infine, che uno strumento come la nota a piè di pagina, già di per sé da utilizzare con parsimonia e da dosare con accuratezza, potrà essere utilizzato solo in casi estremi e con la consapevolezza che essa si rivolgerà comunque non tanto al lettore generico, quanto al lettore privilegiato, l'attore o il regista dello spettacolo, e non potrà in alcun modo sostituirsi al nostro intervento sul testo verbale, l'unico che lo spettatore sentirà (costrizione, questa, da considerare positiva, considerando che tali note sono sempre vissute come una sconfitta dal traduttore).

Tradurre un testo teatrale, quindi, può rivelarsi un percorso impervio. Nel caso in cui l'autore del testo da tradurre sia un giovane, se non emergente quantomeno “almost famous”, arrivato alla notorietà da pochi anni, le complicazioni aumentano. Forse però il termine complicazioni non è appropriato, piuttosto dovremmo parlare di differenze di approccio. In concreto, se accingendoci alla traduzione di The Taming of the Shrew per esempio, oppure di The Importance of Being Earnest o di un qualsiasi altro grande classico teatrale inglese, sorge un dubbio sull'interpretazione di una battuta, sulla resa di un gioco di parole, sull'ambiguità di un termine accorre in nostro aiuto una bibliografia fornitissima. Possiamo consultare traduttori illustri che ci hanno preceduto, analizzare nel dettaglio saggi monografici o sfogliare raccolte antologiche, possiamo anche confrontare le soluzioni che offrono i nostri colleghi stranieri nelle traduzioni in altre lingue conosciute e così via. Ci sentiamo in qualche modo guidati, anche se allo stesso tempo intimoriti, quasi schiacciati, dal peso della tradizione.

Con la maggior parte dei testi contemporanei, invece, ci troviamo nella situazione opposta. In tutti i numerosi momenti in cui siamo assaliti da dubbi e indecisioni, il materiale critico a cui fare riferimento è quasi inesistente. Il traduttore in questo caso si trova completamente abbandonato a se stesso. Il senso di responsabilità, se possibile, si fa allora ancora più pesante. Nessun saggio o teoria dietro cui nascondersi, solo la sua preparazione, le sue scelte, siano esse lampi di genio o cantonate, e l'estrema consapevolezza della propria fallibilità. Fortunatamente esiste anche un rovescio della medaglia e si tratta della motivazione, che aumenterà in modo esponenziale e renderà il processo traduttivo una sfida ancora più stimolante proprio perché trovandosi di fronte a un testo intonso nella propria lingua, il traduttore avrà l'onore di offrirgli per primo la possibilità di essere accolto, e si spera divulgato e apprezzato, in una cultura diversa. Parafrasando Lutero, il traduttore in questo caso non avrà il relativamente semplice compito di arare un campo già pulito, ma dovrà sudare e preoccuparsi non poco per liberare il cammino da pietre e ceppi e renderlo facilmente transitabile.3

3 MARTIN LUTERO, Epistola sull'arte del tradurre, in SIRI NERGAARD (a cura di), La teoria della traduzione

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Con questo non si vuole certo paragonare l'onere di tradurre la Bibbia in un secolo come il 1500 con quello di tradurre un testo di teatro inglese contemporaneo. Tuttavia, si può affermare che alla base di entrambi i lavori, e di tutte le traduzioni in generale, nonostante la palese differenza di motivazione e di pressioni esterne, debba esserci un metodo di procedere che affronti ogni questione, ogni dubbio, ogni sfida alla creatività, con pazienza e scrupolo cercando di offrire un prodotto che risulti nel complesso il più soddisfacente possibile. Nel caso particolare dei testi teatrali contemporanei, il lavoro di documentazione e analisi critica, che sta alla base di ogni buona traduzione, sarà ancora più importante e impegnativo, dato che potrà appoggiarsi solo in minima parte ad elaborazioni precedenti. Il traduttore di teatro contemporaneo dovrà allora ritagliarsi un doppio ruolo di traduttore e critico attingendo a tutte quelle informazioni che possono rivelarsi utili per il suo lavoro.E così ben vengano le interviste rilasciate dall'autore o da chi ha collaborato con lui alla messinscena delle sue opere, le recensioni da parte di critici teatrali esperti, la visione di spezzoni degli spettacoli resa possibile grazie a internet e la lettura delle opere precedenti dell'autore, utilissima per identificare gli stilemi nonostante la metamorfosi avvenuta, e ancora in corso, proprio nello stile dell'autore oltre che nei temi affrontati.

Anche in questo specifico settore della traduzione, esistono quindi numerosi strumenti a disposizione del traduttore di letteratura contemporanea che permetteranno il superamento di quegli ostacoli inevitabili che ogni negoziazione culturale presenta e renderanno possibile l'attuarsi dell'attività traduttiva in quanto processo decisionale, riassumibile nella “necessità di scegliere tra un certo numero di alternative (molto spesso definibile esattamente)”4. Nei paragrafi successivi

verranno analizzate in dettaglio alcune di queste scelte, quelle che hanno presentato maggiori difficoltà nella resa o che hanno inevitabilmente dovuto rinunciare a qualcosa.

4.1 Esotizzazione o familiarizzazione

La prima scelta che ogni traduttore deve affrontare è quale indirizzo vuole dare al testo di arrivo, ovvero quale sarà il principio generale principe che intende seguire e che cercherà di adottare per tutto il testo. Pur concordando con Eco che ogni decisione traduttiva è una negoziazione a sé5, è

necessario, anche nel caso in cui ci si relazioni con un testo contemporaneo, scegliere se non a priori almeno a posteriori (ed è questo che succede nella maggior parte dei casi, quando dopo una prima stesura letterale si passa a una seconda stesura più “ragionata” che interviene non più soltanto a livello di significato, ma anche di significanti) una linea comportamentale che andrà applicata coerentemente per tutta l'opera. In concreto, si dovrà decidere fin dall'inizio se avvicinare il testo di partenza al lettore o, viceversa, se aiutare il lettore ad avvicinarsi al testo di partenza, e di 4 LEVÝ J., La traduzione come processo decisionale, in SIRI NERGAARD (a cura di), La teoria della traduzione

nella storia, Milano, Bompiani, 2000, p.63

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conseguenza alla cultura di cui esso è portavoce.

Nel prendere questa decisione non si può prescindere dal considerare, oltre alle proprie convinzioni personali, la tipologia di pubblico a cui il testo viene rivolto; ovvero se i lettori, o gli spettatori, siano in possesso di strumenti che permettano loro di affrontare la realtà del mondo altro con cui verranno in contatto e in che misura siano essi in grado di applicarli. Secondo Aleks Sierz “in today's theatre, as in much of postwar culture, the audience has been largely middle-class, middle-aged and white […] The general picture is of audiences that tend to sit quietly, and that absorb meaning in an individual rather than a collective way”6. Ci è sembrato lecito supporre che in

Italia la ricezione di questo testo, e dell'eventuale spettacolo che ne deriverebbe, fosse indirizzata allo stesso tipo di pubblico, o addirittura ad un target ancora più ristretto per quanto riguarda l'età. Ci è sembrato altrettanto lecito presupporre che un pubblico di questo tipo sia piuttosto informato sui fatti di politica sia estera sia interna e che riesca agevolmente a notare eventuali gli parallelismi tra la situazione italiana e quella britannica, così come gli inevitabili divari. Da non dimenticare, però, che nella migliore delle ipotesi il testo raggiungerà la sua compiutezza nella messinscena e pertanto arriverà al pubblico teatrale filtrato, oltre che dall'inevitabile soggettività del traduttore, anche dalle scelte registiche e attoriali. Nel caso in cui una collaborazione in itinere tra queste figure e il traduttore non sia possibile, sarà a maggior ragione necessario non perdere di vista durante il lavoro di traduzione il loro ruolo di lettori ideali, o comunque di ricettori privilegiati del teso.

Questa riflessione preliminare ha portato, al momento di tradurre, alla decisione a priori che il cosiddetto principio di esotizzazione fosse quello più appropriato. Si è cercato, cioè, di riconsegnare un testo che fosse il più vicino possibile alla situazione di partenza, evitando dove possibile gli addomesticamenti e cercando di conservare intatti i realia. Alla base di questa decisione sta la consapevolezza da una parte di vivere in una società sempre più globalizzata, e che la globalizzazione al momento parli ancora l'inglese, dall'altra di appartenere ad una cultura da sempre molto ricettiva nei confronti dei prestiti linguistici. Ad avvalorare questa ipotesi sono i molti termini sparsi nel testo che testimoniano l'esistenza di un'intersezione culturale, una zona di dominio comune. Riferimenti come The Flintstones (p.45), CSI: Miami (p.44), Mowgli (p.45), Harry Potter (p.47) fanno ormai parte anche della cultura italiana pur non essendo originari del nostro paese (e nemmeno del paese del testo di partenza per quanto riguarda i primi tre, ma comunque di un paese di lingua inglese); termini come shopping sono entrati ormai di diritto nei nostri dizionari. Altri come Kindle (p.69), flash mob (p.115), iPad (p.122), Twitter (p.131), Facebook (p.131) appartengono a una sorta di esperanto informatico parlato ormai in tutto il mondo. Altri ancora come Notting Hill (p.64), Trafalgar Square (p.93), Starbucks (p.22), BigMac (p.115) e NatWest (p.74), BBC (p.129) sono luoghi o realtà esteri, ma ormai talmente conosciute da 6 SIERZ A., Rewriting the Nation: British Theatre Today, London, Methuen Publishing, 2011, p.6

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non aver bisogno di essere spiegate.

Si è cercato di limitare al minimo i casi di intervento sul materiale di partenza in direzione di un addomesticamento, ma in determinate situazioni è stato inevitabile dover avvicinare il testo al lettore per qualche motivo, fosse esso il far comprendere a pieno l'ironia delle battute pronunciate dai personaggi oppure l'incapacità di trovare un neologismo credibile nella lingua di arrivo.

In generale, ci sembra di poter affermare che la traduzione di 13 si collochi precisamente in quella che Holmes definisce come la tendenza dei traduttori contemporanei (XX secolo), ovvero modernizzare e familiarizzare il contesto linguistico, ma storicizzare ed esotizzare il contesto socioculturale.7

4.1.1. Culturemi

Il termine “realia” indica in traduttologia parole che denotano oggetti materiali o situazioni socio-culturali specifiche di una determinata cultura e non riscontrabili in altre. Secondo i primi teorici di questo fenomeno, i linguisti bulgari Vlahov e Florin,

in ogni lingua ci sono parole che [...] non si prestano a trasmissione in un'altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare: alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali di valore del tutto diverso di aspetto o addirittura “composte”. Tra queste parole si incontrano denominazioni di elementi della vita quotidiana, della storia, della cultura, ecc. di un certo popolo, paese, luogo che non esistono presso altri popoli, in altri paesi e luoghi. Proprio queste parole nella teoria della traduzione hanno ricevuto il nome di “realia”. (Vlahov e Florin 1969: 432)”8

In 13 incontriamo principalmente realia etnografici e politico-sociali come ad esempio nomi di luoghi e università britanniche (Notting Hill, Trafalgar Square, Warwick University, London University), cariche militari (Head of the Armed Forces), riferimenti ai luoghi e alle personalità della politica o ai partiti (Number 10, Conservative Party, Labour, Thatcher).9 Di seguito si

analizzeranno alcuni esempi concreti in cui si sono dovute considerare più alternative e si illustreranno le motivazioni che hanno portato alle scelte definitive.

Nel primo atto, Ruth, il primo ministro inglese, sta provando un discorso davanti allo specchio:

Ruth It's tough for everyone at the moment so I think some plain speaking is called for. I'm not an old Etonian, I'm not one of the boys. My father was a postman, my mother a primary school teacher. I've come a long 7 Cfr. HOLMES J., Translated! Papers on Literary Translation and Translation Studies, Amsterdam, Rodopi, 1988 8 VLAHOV S., FLORIN S, Neperovodimoe v perevode. Realii, in «Masterstvo perevoda», n.6, 1969, Moskvà,

Sovetskij pisatel, 1970; citato da OSIMO B., Manuale del traduttore, Milano, Hoepli, 2004

9 Per una trattazione esauriente del fenomeno e una classificazione delle tipologie specifiche di realia si rimanda a OSIMO B., Manuale del traduttore, cit.

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way, and I'm proud. Under my leadership, the Conservative Party has modernised, root and branch. Just as Labour grew up from outdated socialism, so we have moved on from the days of Thatcher.10

Dato il vantaggio di conoscere tutta la storia e di sapere quindi che tipo di figura politica sia Ruth, non si è potuto evitare di notare delle nette somiglianze tra il momento epocale che Bartlett critica sottilmente con la sua opera e quello in cui si trova la cultura che andrà a ricevere il testo. Così il monologo di Ruth echeggia inevitabilmente all'orecchio dello spettatore italiano la tanto discussa “crisi della politica” e le altrettanto onnipresenti dichiarazioni di cambiamento e taglio netto con il passato. In un primo momento si è quindi ceduto alla tentazione di tentare un addomesticamento del testo, in modo da rendere più accessibile quell' “old Etonian” e meno specifici i riferimenti ai due storici schieramenti politici inglesi:

Ruth Sono tempi duri per tutti quindi penso sia giusto parlare con sincerità. Non sono la solita bocconiana, né una figlia di papà. Mio padre faceva il postino, mia madre la maestra elementare. Ho fatto parecchia strada, e ne sono fiera. Sotto la mia guida, la destra si è completamente rinnovata. Se la sinistra si è lasciata il socialismo alle spalle perché ha capito che ormai è obsoleto, anche noi come loro ci siamo evoluti dai tempi della Thatcher.

Nell'avvicinare il testo alla cultura di arrivo, questa versione non poteva evitare lo stridore prodotto dall'accostamento di due termini quali “bocconiana” e “Thatcher”. È ovvio che togliere il riferimento a Thatcher è impensabile, dato che tutto il testo di Bartlett è costruito sulle due opposte concezioni di società pre e post-Thatcher; non solo, questo tema di sottofondo richiama tutto il macrotesto autoriale ed è comunque una pietra miliare della storia inglese che non dovrebbe essere eliminato, in quanto classico riferimento socio-culturale “intraducibile”. Sarebbe impossibile trovare una figura politica italiana equivalente e in ogni caso non avrebbe senso inserirla nel discorso che un primo ministro inglese deve fare al popolo che lo ha eletto. Appurato che il termine Thatcher deve rimanere dov'è, non ha molto senso collocare gli studi di Ruth a Milano, soprattutto quando ormai è abbastanza noto che Eton è una fucina di personalità politiche inglesi.

Un'opzione alternativa era quella di eliminare il riferimento al nome della scuola frequentata e indirizzarsi verso una normalizzazione del testo, utilizzando una cosiddetta traduzione esplicativa ed inserendo al posto di Eton un'espressione come “scuola prestigiosa” oppure “scuola d'élite”. Si sarebbe trattato di una scelta legittima, ma, visto che in questa situazione il testo permetteva di rimanere vicini all'originale senza per questo inficiare il significato nel testo di arrivo, si è optato infine per una completa esotizzazione, reinserendo anche i nomi dei partiti, seppur in versione addomesticata. In un testo che parla di politica deve essere chiaro di quale sistema politico 10 BARTLETT M., 13, London, Methuen Publishing, 2011, p.29

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particolare si stia parlando; ciò non toglie che lo spettatore sia in grado di ricavarne delle osservazioni generali applicabili anche a contesti differenti. In definitiva, però, non si è resistito alla tentazione di tradurre quel “has modernised, root and branch” con un verbo che è ormai entrato a far parte del vocabolario del politichese italiano:

Ruth Sono tempi duri per tutti quindi penso sia il momento di parlare con sincerità. Non vengo da Eton, né tantomeno sono una figlia di papà. Mio padre faceva il postino, mia madre la maestra elementare. Ho fatto parecchia strada, e ne vado fiera. Sotto la mia guida, abbiamo rottamato il vecchio Partito Conservatore. Se i laburisti si sono lasciati il socialismo alle spalle perché hanno capito che ormai è obsoleto, anche noi, come loro, ci siamo evoluti dai tempi della Thatcher.

La piccola libertà lessicale inserita è giustificata dal fatto che può risultare appropriato che un animale politico, quale si presenta Ruth prima di mostrare alcuni scorci del suo lato intimo, si esprima in un discorso pubblico utilizzando quegli stilemi e quei toni che le persone si aspettano appunto da un comizio. Inoltre, questa resa ci ha permesso di recuperare un po' della brevità a cui è stato inevitabile rinunciare più avanti a causa della naturale differenza morfologica tra lingua italiana e lingua inglese.

Sempre nel primo atto, Mark fa dell'ironia sulle capacità della propria assistente, Alice: Mark Alice, as you rightly say, I'm a lawyer. What are you?

Alice I'm good with words. Warwick University, excellent degree. Mark 2.2

Alice So I had a good time.11

In questo caso il procedimento è stato inverso, ma il risultato analogo. In un primo momento si era deciso di lasciare entrambi i riferimenti, ovvero il nome dell'università frequentata da Alice e il suo voto di laurea, così come sono nella versione originale. Ci siamo resi conto però che, mentre “Warwick University” sarebbe risultato comprensibile anche ad un lettore o spettatore italiano, il voto espresso in quella scala di valori sarebbe rimasto un mistero anche per coloro che avessero un buon grado di conoscenza della cultura britannica e l'ironia della battuta di Mark sarebbe andata del tutto sprecata. Si è deciso allora di addomesticare entrambi i termini, inserendo “Università di Warwick” invece di “Warwick University” per il luogo di studio e “91” per il voto:

Mark Alice, come hai giustamente fatto notare, io sono un avvocato. Tu invece? Alice Io sono brava con le parole. Università di Warwick, ottimo ateneo. Mark Hai preso 91.

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Alice Sì e allora? Non mi volevo stressare troppo!

A questo punto però si è presentato un problema di coerenza testuale. Nella pagina precedente, infatti, un altro personaggio, Stephen, era andato a fare una lezione alla “London University” e rendere questo nome con “Università di Londra” sarebbe risultato ormai veramente obsoleto. Si è deciso allora di optare per uno spostamento del termine università e la versione finale è stata:

Mark Alice, come hai giustamente fatto notare, io sono un avvocato. Tu invece? Alice Io sono brava con le parole. Ho studiato a Warwick. Ottima università. Mark Hai preso 91.

Alice Sì e allora? Non mi volevo stressare troppo!

Qualche spettatore attento potrebbe obiettare, e a ragione, che è impossibile che due sistemi scolastici così diversi, come quello inglese e quello italiano, adottino a livello universitario la stessa scala di valutazione per i propri studenti. È innegabile che “la traduzione ha raggiunto i suoi alti fini se invece della stranezza fa sentire l'estraneo”12 e sicuramente il fatto che in un' università inglese si

dia un voto italiano susciterà un moto di stranezza in qualcuno. Tuttavia, lo stesso Humboldt nelle righe precedenti alla sua affermazione continua dicendo: “se con la traduzione si deve acquisire per la lingua e lo spirito della nazione ciò che essa non possiede o possiede altrimenti, si deve esigere anzitutto semplice fedeltà. Tale fedeltà dev'essere indirizzata al vero carattere dell'originale che non dev'essere tradito per le accidentalità”. In questo caso ci è sembrato che una traduzione che Humboldt definirebbe “fedele” dovesse essere una traduzione funzionale, ovvero una traduzione che privilegiasse l'aspetto ironico del testo di partenza anche se a leggero discapito della verosimiglianza e tenesse conto dell'immediatezza della situazione teatrale, in modo da ottenere un effetto sul pubblico il più simile possibile a quello immaginato dall'autore al momento della scrittura dell'originale.

Per quanto riguarda il luogo di residenza del primo ministro britannico, nel testo di partenza viene sempre chiamato Number 10. In italiano ci sembrava un riferimento comprensibile, ma non immediato. Si è optato allora per una sineddoche che mantenesse un referente britannico più noto al grande pubblico italiano, ovvero Downing Street, sperando così di evocare il già menzionato senso di estraneità ma non quello di stranezza.

Un caso in cui addomesticare è stato inevitabile è quando, in una delle sue prediche (nel senso omiletico del termine), John critica la moderna società basata sul consumismo:

John We earn we buy, we live we die, we earn we buy, this, we are told, is enough – central heating, delivery 12 HUMBOLDT W., Introduzione alla traduzione dell' «Agamennone» di Eschilo, in SIRI NERGAARD, La teoria

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shopping, bread and circuses, wine and HBO.

L'intervento di addomesticazione qui si è rivolto agli ultimi due segmenti, “bread and circuses” e “wine and HBO”. Risulta interessante il fatto che, per rendere immediatamente accessibile il riferimento della prima coppia di sostantivi sia stato necessario tradurre in latino invece che in italiano:

John Guadagniamo e spendiamo, viviamo e moriamo, guadagniamo e spendiamo, e va bene così, ci dicono... riscaldamento centralizzato, consegne a domicilio, panem et circenses, vino e Sky.

Il riferimento alla HBO è stato ritenuto troppo “strano” (per continuare sulla linea dell'opposizione estraneità/stranezza) per il pubblico italiano visto che l'emittente televisiva americana non è ancora visibile nel nostro paese. Inizialmente, si è pensato di modificare il riferimento nel binomio “vino e FoxLife” per mantenere il parallelismo con i contenuti trasmessi da HBO, principalmente prime visioni di serie TV e sit-com. In un secondo momento, però, si è optato per il generico e anche più consueto “Sky”. Di nuovo l'applicazione di una sineddoche, questa volta motivata da questioni di ritmo. L'originale inglese, infatti, ha un ritmo accelerato nella parte iniziale (sei verbi monosillabi) che poi si distende nella parte centrale (due coppie aggettivo/sostantivo bi o trisillabi) e si contrae di nuovo nel finale (due coppie di sostantivi, di cui l'ultimo è un acronimo). L'italiano obbliga ad un doloroso allungamento dato che i verbi coniugati corrispondenti sono tutti trisillabi o quadrisillabi, per questo si è cercato di recuperare in minima parte la brevità del finale. A questo proposito era stata considerata anche la soluzione “vino e AXN” in modo da mantenere almeno l'acronimo finale, ma è stata scartata per motivi di coerenza testuale. Si ha l'impressione che il processo mentale attivato da “vino e HBO” sia quello che rimanda a qualcosa di lievemente esotico (sfumatura che nella traduzione italiana purtroppo viene persa), perché si tratta di due prodotti di origine estera, e allo stesso tempo alla moda. AXN, invece, è un canale di tutt'altro genere e probabilmente associato nell'immaginario collettivo alla categoria sociale dei cosiddetti nerd.

L'addomesticamento è stato inevitabile anche in un punto particolarmente ostico del testo. Ci troviamo alla scena 9 del primo atto e Ruth incontra per la prima volta un incaricato dell'ambasciata americana, Dennis. Per superare l'imbarazzo iniziale, Ruth cita una parte di un proverbio inglese e le successive battute sono costituite da un misto di fraintendimento e ironia basato tutto sul proverbio iniziale. I proverbi costituiscono un glossario di espressioni legate strettamente alla cultura e alle tradizioni di un paese o di una nazione; sono espressioni il cui significato non è dato dalla semplice somma dei significati delle singole parole che le compongono e che, di conseguenza, difficilmente si lasceranno tradurre parola per parola, ma dovranno piuttosto essere considerate nel

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loro significato globale.13 Il testo originale è il seguente: A meeting in Number 10. Ruth and Dennis shake hands.

Ruth Mr Harrison. Your reputation precedes you. Dennis Thank you Prime Minister. Please call me Dennis.

Ruth Did you have any trouble getting here, through the crowd? Dennis No, they threw some eggs but -

Ruth Well you can't make an omelette. A tiny beat.

Dennis I'm sorry?

Ruth It's an expression – you can't make an omelette without Dennis I can

-Ruth Okay

Dennis I can make an omelette, I'm pretty good -Ruth What?

Dennis Two eggs, cheese, mushrooms. Ruth Ah. You're joking.

Dennis Yeah. Ruth Ha ha.

Dennis Thought I'd break the ice.14

Ruth si riferisce al proverbio che recita “You can't make an omelette without breaking eggs” che sostanzialmente significa che non si possono fare grandi e importanti cambiamenti senza lasciare qualcuno insoddisfatto e questo di solito, soprattutto in ambito politico, implica farsi dei nemici. È ovvio che il riferimento all'omelette sia prettamente anglo-sassone e che tradurre letteralmente questo dialogo avrebbe reso vano ogni sforzo compiuto da Bartlett per ricreare l'atmosfera di imbarazzo iniziale spesso comune al primo incontro tra due persone che dovranno affrontare insieme questioni spinose e ancora non conoscono l'uno la posizione dell'altro. Inoltre, un proverbio equivalente in italiano non esiste, anche se potremmo trovare un precedente illustre nel Batman di Tim Burton del 1989, dove Joker pronuncia proprio questa frase, che nel doppiaggio è stata resa in modo letterale con “Non puoi fare una frittata se non rompi qualche uovo”. Questa soluzione, però, non risultava convincente non perché suonava come un calco, su questo forse si sarebbe potuto passare sopra nel caso fosse stata una battuta secca e fine a se stessa, ma perché tutto il conseguente gioco di parole era costruito proprio a partire da quell'espressione; utilizzando in partenza un modo di dire non familiare al lettore/spettatore italiano si rischiava di perdere tutta la forzata ironia 13 Per la definizione di terminologia di genere cfr il glossario dell'università di Forlì, consultabile online

http://home2.sslmit.unibo.it/localpages/glossari_term/ 14 BARTLETT M., 13, cit., p.17

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introdotta per superare l'imbarazzo del primo incontro tra i due personaggi.

Nell'impossibilità di trovare un proverbio equivalente nella lingua di arrivo, si è deciso di ripiegare su un modo di dire che riguardasse le uova e rimandasse ad un significato almeno analogo seppur non proprio identico.

Ruth Signor Harrison. La sua reputazione la precede. Dennis Grazie Primo Ministro. La prego mi dia del tu.

Ruth Hai avuto problemi ad arrivare qui, con tutta quella ressa? Dennis No, mi hanno tirato delle uova ma -

Ruth Beh spero tu avessi un paniere.

Breve pausa.

Dennis Come scusi?

Ruth È un modo di dire... rompere le uova nel - Dennis Io sono bravo -

Ruth Okay -

Dennis Io sono bravo a rompere le uova e soprattutto a scegliere i panieri -

Ruth Cosa?

Dennis Quelli altrui sono i migliori. Ruth Ah. È una battuta.

Dennis Sì.

Ruth Ah ah ah.

Dennis Per rompere il ghiaccio.

È ovvio che una decisione del genere ha influito su tutta la sequenza dialogica che conteneva riferimenti al proverbio e di conseguenza ha obbligato a cambiare anche le risposte di Dennis.

Una situazione completamente differente è quella presentata dalla locuzione “red eye”, che viene utilizzata per riferirsi a “an airline flight, especially one from coast to coast, that begins late at night and ends in the morning”15 e compare nel testo in un dialogo molto scarno tra due personaggi

americani, Sarah e Dennis: Sarah How was the flight? Dennis Aargh. Red eye.16

Si tratta di una sorta di nome comune parlante, che si riferisce all'impossibilità di molte persone di riposare durante i lunghi voli notturni e al conseguente arrossamento oculare. In italiano la resa più letterale sarebbe “volo notturno”, ma in questo caso il testo subirebbe un appiattimento linguistico 15 Definizione consultabile online all'indirizzo www.urbandictionary.com digitando il lemma “red eye”

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sostituendo ad un termine appartenente al registro dell'informalità un termine neutro. Considerando che la conversazione si sta svolgendo tra marito e moglie in un'atmosfera di forzata normalità che nasconde un allontanamento ormai insuperabile, è sembrato più opportuno utilizzare un equivalente italiano altrettanto informale, anche se più esplicito a livello semantico:

Sarah Com'è andato il volo? Dennis Non ho chiuso occhio.

Per concludere esamineremo un caso in cui non si è riusciti a trovare un equivalente italiano che fosse possibile inserire nel testo di arrivo senza perdere credibilità e si è dovuto quindi optare per l'utilizzo di un referente più generico, perdendo la connotazione specifica del culturema. Mark esprime la sua meraviglia per il gigantesco evento che John e i suoi seguaci sono riusciti ad organizzare in pochi giorni:

Mark Well I didn't see this coming. When I was a student we went to Trafalgar square and got pissed, we just wanted a bottle of Diamond White that's as far as our ambition went, but you lot, you say let's go to the square for a party, you get what? Half a million?17

Diamond White è la nota marca di un sidro lanciato sul mercato nella seconda metà degli anni '80 (considerando l'età di Mark, quindi, proprio nel periodo in cui lui frequentava ancora l'università). Si tratta di un prodotto di bassissima qualità, che poco ha a che vedere con la tradizionale produzione di sidro e viene venduto a prezzi economici e acquistato soprattutto da teenager, un fatto questo al centro di numerose polemiche. Il consumo di sidro in Italia, seppur in crescita proprio negli ultimissimi anni, non è paragonabile a quello nel Regno Unito. Avendo escluso la possibilità della conservazione pura per l'eccessiva oscurità semantica che avrebbe implicato, le opzioni che si presentavano al momento di tradurre erano tre:

1) sostituire il nome proprio Diamond White con un nome più generico che fosse immediatamente associato dal pubblico italiano alla cultura inglese, ovvero “qualche birra”; 2) lasciar cadere il riferimento specifico alla marca e rendere con un generico “una bottiglia di

sidro”;

3) utilizzare il marchio di un'altra bevanda con un tasso alcolico, un periodo di diffusione e un target di consumatori simile, per esempio “una bottiglia di Bacardi Breezer”.

Ogni soluzione favorisce alcuni aspetti e ne penalizza altri. La soluzione numero tre per esempio manterrebbe il riferimento storico e a livello grammaticale il nome proprio, ma rallenterebbe il ritmo e forse modificherebbe leggermente l'immagine del gruppo di ragazzi, rendendola un po' più 17 Ivi, p. 93

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“posh”. La numero uno, invece, appiattirebbe eccessivamente il testo di partenza; l'autore avrebbe potuto far bere ai ragazzi delle semplici e generiche birre, ma ha deciso invece di equipaggiarli con una bevanda diversa e molto specifica, questa è una spia connotativa che non può essere trascurata e presumibilmente ha lo scopo di caratterizzare il passato di Mark ed evidenziare come in quegli anni anche una piccola trasgressione come quella sembrasse una grande cosa.

Per coerenza al principio di esotizzazione, si è deciso per la soluzione numero due, anch'essa non esente da difetti, per esempio la perdita del riferimento specifico, ma che ha il pregio di avvicinare il pubblico italiano alla cultura del testo di partenza:

Mark Beh, questo non l'avevo previsto. Quando facevo l'università andavamo a Trafalgar Square a stonarci, ci bastava una bottiglia di sidro, era la nostra massima aspirazione, ma voi, voi dite scendiamo in piazza a fare una festa tutti insieme, e in quanti arrivano? Mezzo milione?

In generale, 13 si presenta come un testo che esprime anche a livello formale uno dei temi trattati, ovvero la globalizzazione. Linguisticamente, infatti, non si ha una presenza eccessiva di termini riconducibili specificatamente alla cultura britannica (il caso appena citato del Diamond White è uno dei pochi esempi riscontrati) e anzi si tende ad utilizzare un linguaggio molto piano e riferimenti ad oggetti materiali di uso comune nei paesi occidentali e non solo (in particolare tutti i riferimenti alle nuove tecnologie sono ormai accessibili alla maggioranza delle popolazioni di tutto il pianeta). Nonostante compaiano nel testo personaggi appartenenti ad etnie e fasce di età diverse, infatti, l'impressione più forte resta quella che abbiano tutti un terreno comune su cui discutere. Questo ovviamente non significa che l'autore abbia rinunciato a connotare i personaggi attraverso il loro modo di esprimersi, ma piuttosto che i vari personaggi esprimono spesso situazioni o punti di vista universali, che potrebbero essere discussi benissimo anche da qualcuno non appartenente al contesto britannico.

4.1.2 Problemi di ordine lessicale

Oltre ai già citati culturemi, si sono presentate alcune difficoltà lessicali legate o a neologismi che ancora non contemplano un equivalente nella lingua di arrivo oppure a espressioni non strettamente polisemiche, ma che possono accendere associazioni mentali differenti. Di seguito analizzeremo in dettaglio le motivazioni che hanno portato alle soluzioni adottate.

Nel primo caso, Stephen, un professore universitario ateo e a favore della guerra, si scontra con John, che ha idee politiche completamente opposte alle sue, e descrive coloro che immagina siano gli individui che compongono la classe al potere in Iran:

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corruption and torture, who cultivate a culture of hypocracy and fear, for their selfish desire.18

Hypocracy è chiaramente un blending composto dall'unione delle due parole hypocrisy e democracy. Pur trattandosi di un neologismo, ne troviamo una definizione nello Urban Dictionary19,

ad indicare che il termine è già di uso comune, almeno nel parlato:

1.What Democracy turns into when all of the politicians in your country are liars.

When no party/President that wins the election manages to keep its/his own ideology, and instead, keeps changing it every time it/he feels like it, that's no democracy. That's hypocracy.

2. A democracy governed by hypocrites.

The British government advocates moral standards to which it does not conform. Britain's political system is therefore a hypocracy.

In italiano un termine equivalente non è ancora stato coniato. Non essendo in grado di creare un neologismo che risultasse credibile, l'unica soluzione possibile, seppur insoddisfacente, è parsa quella di esplicitare uno dei due concetti che formavano il compound sotto forma di verbo:

Stephen Nossignore, tutto l'opposto, signori borghesi di buona educazione, che prosperano grazie alla corruzione e alla tortura, che coltivano una cultura governata dall'ipocrisia e dal terrore, per i loro desideri egoistici.

Una situazione simile si era presentata nel primo scontro verbale tra John e Stephen (atto II, scena 11) e quella volta era stato John ad usare un neologismo:

John He goes around claiming that there “probably isn't a God” which considering almost any definition of a divine being is a weirdly unintellectual and totally unprovable statement to make, and if there's one thing Stephen objects to it's things you can't prove.20

L'aggettivo unintellectual non compare nei principali dizionari di sinonimi e contrari che, come contrario di intellectual, forniscono termini come lowbrow, anti-intellectual, uncultivated, e non viene definito nel Longman Dictionary. Nell'Oxford Dictionary Online, però, ne troviamo la seguente definizione “lacking intelligence or depth; not intellectual” e in Thesaurus.com lo troviamo come contrario di intelligent e sinonimo di unintelligent. Lo Urban Dictionary contiene quattro definizioni del termine, ma solo una si riferisce all'uso aggettivale, mentre le altre tre lo definiscono come sostantivo. Effettuando una ricerca su google.co.uk si ottengono 117.000 risultati, un numero irrilevante se paragonato a quello dei risultati trovati digitando, per esempio, intellectual (105.000.000). Se ne deduce che l'aggettivo unintellectual è un termine ammesso nell'inglese parlato, probabilmente di etimologia recente e non accettato nelle scritture più sorvegliate o formali. 18 Ivi, p.113

19 Definizione consultabile online all'indirizzo www.urbandictionary.com digitando il lemma “hypocracy” 20 BARTLETT M., cit., p.65

(15)

Il processo traduttivo ha seguito i seguenti passi:

1. Ricerca dei contrari di intellettuale, che ha fornito i seguenti risultati: materiale, sensoriale, manuale, concreto; nessuno dei quali adatto al nostro caso.

2. Ricerca dei contrari di intelligente, che ha fornito i seguenti risultati: stupido, idiota, lento, tardo, ottuso; anche in questo caso nessuno adatto alle nostre esigenze.

3. Decisione di utilizzare un calco dall'inglese, ovvero inintellettuale.

4. Ricerca delle occorrenze del termine su google. Si ottengono 1.270 risultati (contro i 6.800.000 di intellettuale), di cui il quinto in ordine di apparizione è all'interno di una traduzione italiana di una lettera di Oscar Wilde, quindi derivato direttamente dall'inglese. Nella versione definitiva della traduzione si è quindi rispettata la decisione di inserire il neologismo inintellettuale, mantenendo in questo modo il parallelismo tra i due aggettivi qualificativi negativi inglesi che presentano il prefisso un- (unintellectual e unprovable) e i due aggettivi corrispondenti italiani (inintellettuale e indimostrabile), entrambi contenenti il prefisso in-.

John Se ne va in giro a dire “è probabile che Dio non esista” il che considerando quasi tutte le definizioni esistenti di essere divino è un'affermazione stranamente inintellettuale e totalmente indimostrabile, e se c'è una cosa contro cui Stephen ha l'obiezione pronta sono le affermazioni che non possono essere dimostrate.

Nel secondo caso, invece, non si è riusciti a mitigare in alcun modo l'ineluttabile perdita di pluralità di significati contenuta nel testo di partenza. Holly, una ragazza di colore, sta partecipando a un gruppo di discussione cristiano e prova a spiegare i motivi che l'hanno condotta lì:

Holly Er yeah. So I want something good to happen? Cos my dad's a shit, and my mum gets anxious, about things? And I'm not liking university cos I haven't got any money or... well, friends. I don't know why, I'm a good person I think but anyway my gran, she goes to this church and I was telling her and she said I should try the Alpha course cos you only work out what you want to do in life when you know what your core beliefs are so...21

Core beliefs è un termine appartenente al linguaggio tecnico della psicoterapia cognitiva che indica “delle strutture interpretative di base con cui la persona rappresenta se stesso e gli altri e organizza il suo pensiero. In altre parole uno schema è una tendenza stabile ad attribuire un certo significato agli eventi”22. I termini tecnici equivalenti in italiano possono essere convinzioni profonde o schemi

cognitivi. Non è raro che Bartlett punteggi i suoi testi di termini tecnici appartenenti ai campi di 21 Ivi, p.25

22 Per una trattazione più approfondita dei vari aspetti della psicoterapia cognitiva e dei tre tipi di convinzioni cfr. Che

cos'è la psicoterapia cognitiva, articolo consultabile online all'indirizzo

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ricerca più disparati, ma in questo caso si è ritenuto che l'intenzione dell'autore fosse non quella di dare credibilità scientifica al proprio personaggio, ma piuttosto il contrario, ovvero richiamare alla mente dello spettatore tutto un mondo fatto di falsi guru e pseudoscienza che usufruisce di termini scientifici soprattutto appartenenti al campo della psicologia e li fa propri indebitamente. Inoltre, core beliefs è un termine ormai di uso comune ed entrato in voga anche nel gergo economico italiano, soprattutto dopo l'avvento del project management, in particolare per quello che riguarda la defizione della mission e della vision aziendale. Considerando anche che Holly utilizza questo termine in un contesto di “riunione motivazionale”, si è optato per una soluzione che favorisse l'associazione al linguaggio utilizzato dai cosiddetti “motivatori”:

Holly Ehm...sì. È perché voglio che succeda qualcosa di bello. Perché papà è una merda e mamma si agita, per tutto. E l'università non mi piace perché non ho soldi e beh... nemmeno amici. Non so perché, sono una a posto penso ma, insomma, mia nonna, lei viene qui in chiesa e gliel'ho detto e lei mi ha detto dovresti provare il nostro gruppo di discussione, si chiama Alpha Group perché per capire cosa vuoi dalla vita devi prima scoprire quali sono le cose in cui credi davvero quindi...

In questo modo, purtroppo, si perde il richiamo alla psicoterapia cognitiva. Perdita doppiamente grave in quanto seppur pronunciate in scena da Holly, le parole core beliefs sono in realtà da attribuire a sua nonna Edith, un'anziana signora in gravi difficoltà economiche, che comincia a dare segni di demenza senile, ma nei momenti di lucidità mostra di essere stata una donna molto saggia e informata e non disdegna l'utilizzo di puntuali termini specifici (quando parla con Mark, il suo avvocato, usa per esempio specifici termini appartenenti al campo economico).

4.1.3 Giochi di parole

L' enciclopedia Treccani contiene una voce molto dettagliata che definisce i giochi di parole e le varie tipologie in cui si possono suddividere. In particolare sostiene che “l'unica caratteristica comune a tutti i fenomeni che si possono riportare al gioco di parole in senso stretto è una sorta di 'sdoppiamento', non molto meglio denominabile […]. Possiamo per esempio avere due parole simili nel suono, una delle quali viene accostata (gioco di parole in praesentia) o sostituita all'altra (gioco di parole in absentia come nella modificazione dei modi di dire.[...]Nel caso della sostituzione in absentia, l'importante è che il contesto evochi con immediatezza la parola sostituita. […] La sostituzione in absentia non sempre richiede, in realtà, una somiglianza fonica tra termine proprio e termine vicario. La densità del luogo comune può essere tale da farlo evocare anche all’interno di modificazioni radicali: nel frequente uso giornalistico conseguente al successo del titolo del romanzo Cronaca di una morte annunciata, ai sostituti del termine morte non è mai stata richiesta una particolare somiglianza al modello sostituito perché la nuova formazione fosse ritenuta efficace

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(cronaca di una crisi annunciata, cronaca di un matrimonio annunciato,ecc.). È questo uno dei casi in cui ad essere lievemente modificato non è il lessema, ma il modo di dire che lo accoglie, potendo considerare, grazie alla sua forza coesiva, tale modo di dire come un intero.”23

In 13 ci troviamo di fronte ad una sostituzione in absentia quando nel primo atto Mark sostiene di essere felicissimo di non dover più seguire il caso di Amir:

John You wanted to help him.

Mark Help him?No. Sorry. Heart of stone. I'm very happy he's out of my life. Fucking over the... you know... Amir Moon?

Mark Rainbow.24 (In corsivo nel testo)

Si è preso un modo di dire inglese “to be over the moon”, che significa “essere felicissimo”, e si è sostituito il sostantivo finale spostando così il riferimento alla celeberrima canzone Somewhere over the rainbow. Si tratta, inoltre, di una situazione importante anche a livello di caratterizzazione del personaggio perché Mark, l'avvocato senza scrupoli, sta ostentando un sollievo che in realtà non prova affatto. Due livelli di ironia, dunque, quella esplicita del personaggio che vuole provocare un sorriso attraverso un gioco di parole e quella autoriale che vuole mostrare esternamente il contrario della reale reazione interiore del personaggio all'evento appena accaduto, indirizzando però lo spettatore verso la giusta interpretazione tramite le parole di un altro personaggio presente in scena, John. Questo è sicuramente uno dei momenti in cui l'interpretazione attoriale e le scelte registiche risulteranno ancor più fondamentali per la veicolazione di significato e il testo tradotto dovrà cercare di tramutarsi in strumento di sostegno.

A livello traduttivo, la difficoltà è stata non quella di trovare un modo di dire analogo (gli equivalenti che si prestavano all'utilizzo sono numerosi: essere al settimo cielo, toccare il cielo con un dito, essere in paradiso, sprizzare gioia da tutti i pori, etc.) bensì sceglierne uno che potesse essere modificato nel finale con le parole di una canzone famosa. Non riuscendo nell'intento di trovare una canzone italiana che si prestasse a tale rimaneggiamento, si è deciso di spostarci in ambito cinematografico e fare riferimento ad un film. Dopo aver scartato alcune opzioni perché ritenute troppo ingessate o poco funzionali25, si è scelto di inserire il titolo di un film italiano che

23 Enciclopedia Treccani online, consultabile all'indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/giochi-di-parole_(Enciclopedia-dell'Italiano)/

24 BARTLETT M., 13, cit., p.33

25 Una delle altre opzioni conteneva anch'essa il riferimento ad un film italiano, Il paradiso all'improvviso: John Tu volevi aiutarlo.

Mark Aiutarlo? No. Scusa. Sono un cuore di pietra hai presente? Sono felicissimo che sia uscito dalla mia vita. Mi sento... hai presente...

Amir In paradiso?

Mark In paradiso all'improvviso, cazzo.

Questa resa del gioco di parole suonava, però, troppo forzata a livello semantico e peggiore a livello di ritmo ed è stata pertanto scartata.

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negli anni scorsi è diventato un vero e proprio tormentone, ovvero, per citare ancora l'enciclopedia Treccani: “una parola, espressione o frase che proviene dalla koiné mediatica (programmi televisivi, pubblicità, comici famosi) e risulta a disposizione del parlante con l’immediatezza che un tempo avevano i proverbi. Dai proverbi, però, i tormentoni si distinguono poiché non costituiscono affermazioni ma allusioni, e inoltre poiché non si riferiscono alla condivisione di un universo di valori tradizionali ma alla condivisione di un universo di intrattenimento e svago.”26 Il risultato

quindi è stato ancora una volta una naturalizzazione del testo di partenza: John Tu volevi aiutarlo.

Mark Aiutarlo? No. Scusa. Sono un cuore di pietra hai presente? Sono felicissimo che sia uscito dalla mia vita. Mi sento... hai presente...

Amir Al settimo cielo?

Mark Tre metri sopra a quel cazzo di cielo.

Essendo Mark il personaggio che non solo utilizza in assoluto più culturemi e modi di dire, ma anche più turpiloquio, non si poteva omettere il “fucking” che però nella versione italiana risultava stonato se posizionato nella premessa. È stato perciò necessario spostarlo, per motivi di ritmo, nella seconda.

Un caso diverso di gioco di parole presente nel testo si basa invece sull'ambiguità a sfondo sessuale che alcune espressioni possono avere. Nel primo atto Alice finge di aver avuto lo stesso incubo di Mark, ma poi confessa di aver mentito perché in realtà ha passato tutta la notte a fare sesso con il suo nuovo ragazzo:

Alice No! Course I didn't have the same dream, I don't remember dreams. I spent the night with my boyfriend. Mark Lionel.

Alice Leon. We had lots of sex. Mark He's a big chap right?

Alice Absolutely he's a big chap yes. Mark I meant fat.

Alice I meant his cock.27

Alice è un personaggio che si caratterizza per il suo essere sempre sopra le righe e, pur essendo tecnicamente una sua dipendente, è solita rivolgersi a Mark utilizzando un linguaggio molto informale e a volte volgare. In questo caso il gioco di parole è costruito sull'espressione big chap, che Mark usa in riferimento alla corporatura del ragazzo di Alice, mentre lei rielabora per alludere a una parte specifica dell'anatomia maschile.

26 Enciclopedia Treccani online, cit. 27 BARTLETT M., 13, cit., p.15

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Alice No! Ovvio che non ho fatto lo stesso sogno, non me li ricordo mai i sogni. Ero con il mio ragazzo stanotte.

Mark Lionel.

Alice Leon. Abbiamo fatto un bel po' di sesso. Mark È quel tipo grosso, giusto?

Alice Decisamente grosso sì.

Mark Intendevo grasso.

Alice Io intendevo il suo cazzo.

Pur risultando leggermente goffa come battuta, in traduzione si è scelto di rimanere molto vicini all'originale, in quanto il termine chap è usato di solito in modo generico per indicare un uomo o un ragazzo e non presenta di per sé sfumature polisemiche legate alla sfera sessuale.

Per concludere analizziamo un ultimo caso che si colloca a metà strada tra gioco di parole e realia. Mark sta discutendo con Amir a proposito della manifestazione di protesta contro gli aumenti delle rette universitarie:

Mark I had a great time at university. Parents paid for it of course. And I got in just before they started charging so ker-ching.28 (in corsivo nel testo)

Lo Urban Dictionary ci informa che kerching è un termine diventato di uso comune intorno al 2002 e che si tratta di un' onomatopea che sta ad indicare il suono dei registratori di cassa oppure delle slot machine al momento di una vincita. Inoltre, grazie al grande successo di una serie tv per ragazzi trasmessa da CBBC tra il 2003 e il 2006, kerching è diventato un modo di dire abituale per esprimere sarcasmo. Uno degli esempi riportati dallo Urban Dictionary è infatti:

If I buy cans from multi packs and sell them by themselves I can get 3p of each can. (sarcasm) kerching29

Al momento della traduzione, vista l'impossibilità di trovare un'onomatopea equivalente semanticamente in italiano che funzionasse nel testo, si è cercato almeno di mantenere il riferimento all'ambito del gioco:

Mark Mi sono divertito di brutto all'università. Ovviamente pagavano i miei. E sono entrato proprio prima che aumentassero le tasse quindi bingo!

Per quanto riguarda il sarcasmo, a livello testuale la battuta può essere vista come il ricordo spensierato di un ragazzo un po' sbruffone, cresciuto in una famiglia agiata, che si è potuto divertire 28 Ivi, p.23

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grazie all'aiuto economico dei genitori e che non se ne pente, anzi. Col proseguire del testo (o dello spettacolo), il personaggio di Mark si rivela però più complesso. È un uomo tormentato, che non riesce a perdonarsi i numerosi errori che ha commesso in passato e che mostra più volte di essere giunto al punto di disprezzarsi. Non è escluso quindi che quel ker-ching! possa essere pronunciato già con una punta di sarcasmo verso se stesso o di amarezza e, in traduzione, il termine bingo! permetterà di scegliere sia un'interpretazione che l'altra. Ci troviamo, quindi, ancora una volta di fronte ad un esempio lampante di come il testo scritto cambierà con la messinscena. Anche in questo caso, infatti, tutto dipenderà dalla scelta registica o dall'interpretazione attoriale, che saranno fondamentali per inquadrare il personaggio e, attraverso sfumature apparentemente di poco conto come questa, decideranno se mostrare Mark come tormentato fin dalle sue prime apparizioni oppure se sottolineare invece il percorso di auto-consapevolezza che lo porta dall'essere una persona allo sbando e a tratti cattiva nelle scene iniziali, alla crisi di coscienza dopo lo scontro con Holly e infine al ritorno a casa, in seno alla famiglia, dove spera di trovare un luogo sicuro per ricominciare.

4.1.4 Citazioni

Tutto l'impianto testuale di 13 è costellato di continui richiami o riferimenti alla religione cristiana. La matrice biblica è presente sia a livello tematico sia a livello linguistico, con citazioni di volta in volta più o meno esplicite. La prima è presente già nel titolo dell'opera: 13. Tredici, infatti, è il numero ottenuto sommando i dodici apostoli più il loro Messia, Gesù; tale compagnia è stata qui rivisitata e trasformata in quella composta da un giovane predicatore, John, e da dodici anime perse, ognuna a modo suo, in cerca di qualcosa in cui credere o tornare a credere, sfiancate dalla quotidiana lotta notturna contro un incubo comune.

Con il procedere delle singole vicende dei vari personaggi troviamo numerosi altri collegamenti con la religione: Holly, su consiglio della nonna, frequenta un gruppo di discussione cristiano per cercare delle risposte al suo disagio; Mark, avvocato alcolizzato, si ritrova dopo anni a pregare nel tentativo di lenire la sua sofferenza interiore; Stephen, professore universitario e ateo convinto, si scaglia contro qualsiasi tentativo di giustificare la religione, Sarah è accecata a tal punto dalla fede che arriva ad uccidere la propria figlia perché convinta che sia un'incarnazione del male; e ovviamente John, che basa tutto il suo operato su prediche che incitano a “credere” in qualcosa di più grande.

A livello linguistico tutto questo si traduce in un uso continuo di termini appartenenti al campo semantico del cristianesimo, come darkness (p.7 e p.115), faith (p.19), original sin, Jesus, the Trinity, heaven, hell (questi ultimi tutti pronunciati da Holly a pagina 26), armageddon (p.115), apocalypse (p.115) e così via, e nella presenza di scontri dialettici che hanno come argomento l'effettiva esistenza di Dio.

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Nella resa in italiano sono stati utilizzati i corrispondenti termini di matrice biblica ogni qualvolta necessario, includendo quindi anche le didascalie. In apertura del primo atto, per esempio, la prima parola che ci troviamo di fronte è darkness. Trattandosi di una semplice indicazione di scena che comunica al regista il fatto che lo spettacolo debba cominciare in un'atmosfera di buio assoluto, con una colonna sonora inquietante, seguita dal rischiararsi progressivo del palco, in qualsiasi testo teatrale la soluzione più immediata e assolutamente corretta sarebbe stata quella di rendere in italiano con il termine buio. Considerando però due riflessioni antecedenti all'inizio del vero e proprio lavoro di traduzione, ovvero quella a proposito del sottotesto biblico e l'altra riguardo la legittimità dei testi teatrali come prodotti letterari, si è deciso di inserire oscurità, termine meno neutro rispetto a buio e che ben si adatta a questo contesto, gravido di riferimenti all'eterna contrapposizione tra bene e male, in quanto da sempre associato in letteratura al campo semantico del maligno.

Nel testo è inoltre presente un'unica citazione tratta esplicitamente dalla Bibbia, che viene pronunciata con vena ironica da Ruth all'inizio del secondo atto:

Ruth Well no rest for the wicked.30

Si tratta del versetto Isaia (48:22) ed in traduzione ci si è limitati a riportarne la versione italiana della Bibbia che recita “Ma non v'è pace per gli empi”31. Una curiosità è che proprio tale versetto è

anche il titolo di uno degli album di Ozzy Osbourne, particolare che potrebbe essere notato dagli spettatori di lingua inglese. Dal momento che in Italia, ovviamente, l'album è stato distribuito con il titolo originale in inglese e che il versetto di Isaia in questione è comunque uno dei più gettonati versi della Bibbia ad essere stato usato in canzoni appartenenti a vari generi musicali, si è deciso di abbandonare il riferimento a Osbourne, e di annoverare il caso tra le perdite inevitabili.

Le altre citazioni provengono da contesti completamente differenti. Una riprende direttamente il movimento di protesta organizzata nato nel 2003 negli Stati Uniti, ma approdato anche nel Regno Unito, per manifestare l'opposizione popolare alla dichiarazione di guerra all'Iraq. In quell'occasione molti manifestanti inneggiavano il coro “Not in our name” portando manifesti con la stessa scritta. Not in Our Name è un'associazione americana rimasta attiva dal 2002 al 2008 e fondata in occasione della dichiarazione dell'inizio della guerra al terrorismo da parte di George W. Bush. Uno dei due documenti prodotti da tale associazione è stato il Pledge of Resistance, una dichiarazione di pace in versi liberi, che nella seconda strofa recita: “Not in our name will you wage endless war”. In 13 lo slogan in positivo viene pronunciato per la prima volta da John nel finale del terzo atto in uno dei suoi discorsi incitanti la nazione, che si conclude con queste parole:

30 BARTLETT M., 13, cit., p.41

(22)

John We'll meet and march, and we'll take a message to parliament that says we do not want this war. A message that says everything has to change.

This is the moment we get better. This is the moment it happens. Yes.

In. Our. Name.32

Per la traduzione si presentavano molte opzioni: a nome nostro, a nostro nome, nel nostro nome, nel nome nostro (quest'ultimo contenente anche un richiamo biblico alla formula “nel nome del signore”). Per scegliere l'equivalente più coerente si è effettuata una ricerca sulle manifestazioni di protesta svoltesi in Italia nel periodo di attività dell'associazione Not in Our Name, in particolare nelle settimane immediatamente precedenti allo scoppio della guerra in Iraq, e molte immagini hanno mostrato come i partecipanti sfoggiassero cartelloni e striscioni con su scritto: non in nostro nome. A quel punto, ben consapevoli del fatto che una scelta del genere potesse suonare come un calco dall'inglese, si è comunque deciso di mantenerla. Nel testo in italiano quindi il discorso di John è diventato:

John Marceremo uniti e porteremo un messaggio al parlamento, un messaggio che dice che noi non vogliamo questa guerra. Un messaggio che dice che tutto deve cambiare.

È giunto il momento di diventare persone migliori. È giunto il momento di farlo davvero.

Sì.

In. Nostro. Nome.

L'altra citazione esplicita presente nel testo è la sentenza medievale in lingua latina vox populi vox dei, usata comunemente per indicare che opinioni e giudizi popolari devono o possono ritenersi veri e giusti.33 Citazione interessante e quantomai appropriata in un testo che affronta

criticamente il tema dei social media e di come vengano utilizzati e spesso strumentalizzati come nuova piattaforma della “vox populi”. Tale espressione viene utilizzata due volte e a pronunciarla sono significativamente prima Stephen e poi John, ovvero i due personaggi che più di tutti stanno a rappresentare due modi agli antipodi di concepire la guerra e la società. Anche le modalità di citazione sono diverse e meritano una riflessione specifica. Nel primo caso, Stephen e Ruth stanno bevendo qualcosa insieme e finiscono inevitabilmente a parlare di politica. In particolare, Stephen rinfaccia a Ruth di non aver informato i suoi elettori del fatto che lei abbia ricominciato a pregare, e 32 BARTLETT M., 13, cit., p.90

33 Per la definizione e il rimando ad Alcuino, l'erudito autore che per primo ha utilizzato questa espressione, si veda l'enciclopedia treccani online (cit.), alle voci vox populi vox dei e Alcuino.

(23)

Ruth ha un moto di ribellione perché lui sta rovinando quella che per lei avrebbe dovuto essere una serata rilassante:

Ruth This was supposed to be a relaxing evening for me. One night off in two months, I think what shall I do? I know, I'll get Stephen round, he's a laugh.

Stephen Ignore me Ruth – keep doing whatever you're doing because you're loved. The masses trust you, and vox popull vox dei.34

Nel testo di partenza la citazione era sbagliata, nel testo in italiano si è deciso di riportarla nella versione corretta, dando per scontato che si sia trattato o di una svista dell'autore o di un errore di stampa, e di mantenerla in latino, in linea con la connotazione del personaggio di Stephen, ovvero un professore ancora attivo in ambito accademico, una persona colta e di un certo spessore, in grado di discutere di politica e filosofia e citare dal latino. E proprio il fatto che l'autore abbia connotato così bene questo personaggio ci permette di afferrare il tono sicuramente ironico e forse anche leggermente amaro con cui questa citazione viene pronunciata.

Questa linea interpretativa viene confermata dalla seconda occorrenza della sentenza latina, questa volta citata nella sua versione inglese da John:

Stephen How does that stop Iran getting the bomb? You're saying we just sit back and hope

-John We sit forward. We don't raise a fist. Any government can ultimately not govern without consent. Modern technology has given people more information and more organisation than ever before. It is no longer possible for governments to lie. Therefore, armed with the truth, and the capacity to be heard, it won't be long before the people speak out. We do not need to invade. In Tunisia, Egypt, the people spoke together. And the voice of the people is the

-Stephen Is the voice of God, and I don't trust either.35

La citazione da parte di John di una frase utilizzata in precedenza da Stephen sembrerebbe avvicinare i due personaggi, nell'illusione che possa esistere un terreno di discussione comune, ma l'interruzione da parte di Stephen e la decisa negazione che fa seguire al completamento della sentenza mostra la vera natura del rapporto tra i due, un'irriducibile opposizione conflittuale. Inoltre, il fatto che Stephen abbia saputo citare il modo di dire in lingua originale e John invece lo abbia utilizzato nella versione addomesticata è un'ulteriore dettaglio utile per connotare ancora più precisamente i due personaggi: uno è il tipico accademico un po' altezzoso, fan del capitalismo e delle gerarchie sociali; l'altro un giovane di sinistra facile ai populismi che ostenta empatia per chiunque. Al momento di tradurre, la scelta più logica è stata quella di seguire il testo di partenza e 34 BARTLETT M., 13, cit., p.38

(24)

quindi far esprimere entrambi i personaggi in italiano:

John Sediamoci in prima fila invece. Non alziamo un dito. Al giorno d'oggi nessun governo può governare senza consenso. La tecnologia moderna ha dato alle persone più informazione e organizzazione che mai. I governi non possono più mentire. Perciò non ci vorrà molto. Armato della verità e della capacità di farsi ascoltare, il popolo parlerà. Non abbiamo bisogno di

invaderli. In Tunisia, in Egitto, il popolo comunica. E la voce del popolo è -Stephen La voce di Dio, e io non mi fido di nessuno dei due.

4.2 Aspetti linguistici e stilistici

Bartlett fa parte dei circa trecento autori che hanno esordito nei teatri inglesi nella decade 2000-2010, contribuendo alla cosidetta “rinascita della new writing”, il genere che Aleks Sierz ha ironicamente definito come composto da “plays no one knows by writers no one has heard of and about issues no one wants to hear about”36. Se gli autori dell'in-yer-face negli anni '90 erano riusciti

a “put new writing back on the map”37 dopo l'epidemia di adattamenti avvenuta negli anni '80, è

stato anche grazie ai nuovi investimenti statali nel settore teatrale e alla specializzazione di alcuni importanti teatri, come il Royal Court e il Bush di Londra e il Traverse di Edinburgo per citarne solo alcuni, che il teatro inglese ha potuto assistere ad una rifioritura di tale portata.

Se seguiamo la schematizzazione fornita da Sierz per quanto riguarda le new waves che hanno attraversato a partire dal 1956 il teatro inglese, possiamo osservare che il percorso stilistico di Bartlett segue a livello individuale l'alternarsi di temi che ha segnato i vari anni di cambiamenti dall'avvento della generazione in-yer-face in poi. Dalle prime opere, tutte incentrate su nuclei familiari ristretti e problematiche inerenti la sfera intima dei personaggi, oppure sulla crisi della mascolinità, secondo molti l'overarching theme degli anni '90, si è assistito ad un'apertura al teatro politico e ad una particolare attenzione al tema della guerra, in linea con quello che era successo alcuni anni prima a livello nazionale. Dopo il momento di shock e in parte autocensura tematica che ha seguito gli attacchi terroristici dell'11 settembre e del 7 luglio, infatti, alcuni grandi nomi del teatro inglese hanno deciso di uscire dall'ambito intimistico in cui si erano rifugiati e iniziare a criticare in modo diretto e spietato la war on terror dichiarata dal governo americano e appoggiata inevitabilmente dal governo britannico. Testi come Drunk enough to Say I Love You (2206) di Caryl Churchill o Shoot/Get Treasure/Repeat (2007) di Mark Ravenhill hanno segnato un ritorno al teatro politico, un teatro stavolta diretto ed esplicito sulle prese di posizione riguardanti gli avvenimenti politici internazionali del momento. Al contrario di questi testi, però, che virano a livello formale verso un audace sperimentalismo e utilizzano allegorie e simboli spesso di non facile comprensione, Bartlett ha scelto di seguire quel ramo della new writing che fin dalla sua nascita, indicata 36 SIERZ A., Rewriting the Nation – British Theatre Today, London, Methuen Drama, 2011, p.28

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