• Non ci sono risultati.

2. Il corpo dei supplici

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2. Il corpo dei supplici"

Copied!
69
0
0

Testo completo

(1)

2. Il corpo dei supplici

Uno dei trati principali che caraterizzano il rituale della supplica è l'enorme varietà di forme e soluzioni con cui esso si presenta: il rito si può svolgere secondo modalità diverse, che prevedono l'uso di un altare o di uno spazio sacro, oppure il semplice ricorso al contato fsico con il supplicato. Ciò che ci permete, tutavia, di considerare le diverse forme della supplica come variazioni che fanno parte di un unico complesso è il ripetersi costante di alcuni elementi portatori di signifcato.

Uno degli elementi che mantiene invariato il suo valore al variare delle diverse strategie di supplica è il ruolo di primo piano rivestito dalla postura e dai gesti di chi compie il rito. Gli ateggiamenti e i movimenti del supplice scandiscono i diversi momenti del rituale, e costituiscono, insieme alla parola, uno dei nuclei principali che ne determinano l'efcacia.

Nel capitolo che segue si è scelto, quindi, di rifetere sul ruolo che il corpo del supplice svolge all'interno del rito rappresentato in tragedia. Oltre ad essere un elemento fondamentale del rito, infati, il corpo del supplice doveva avere un ruolo di primo piano in un contesto come quello del dramma antico, nel quale ci si afdava quasi interamente alla recitazione degli atori e del coro e ai loro movimenti sulla scena per caturare l'atenzione e l'interesse degli spetatori verso la rappresentazione teatrale.

Per studiare le forme di un rituale all'interno del contesto della tragedia bisogna tener conto in primo luogo del fato che i vari elementi del rito sono infuenzati dalla forma dell'espressione tragica. Il corpo del supplice in tragedia è, prima di tuto, il corpo di un atore che indossa una maschera e un costume, e che compie gesti e movimenti determinati dalle tecniche di recitazione e dalle convenzioni

(2)

sceniche del teatro della sua epoca.

La performance dell'atore e del coro della tragedia è indirizzata ad un pubblico che recepisce e interpreta ciò che vede accadere sulla scena, seguendo le indicazioni e i suggerimenti che l'autore dà atraverso il testo, ma seguendo in parte ancora maggiore le naturali associazioni detate dalle forme di pensiero del proprio tempo, che lo spetatore della tragedia condivide con i suoi contemporanei e con l'autore stesso.

Rifeteremo quindi su alcuni esempi di come viene tratato in tragedia il corpo dei supplici, inteso come elemento in cui convergono due aspeti, quello rituale e quello teatrale. Cercheremo di considerare la postura e i gesti del supplice sia come trati che defniscono l'atitudine del corpo di chi compie un rito, e determinano l'efcacia del rito stesso, sia come ateggiamenti di un personaggio di una rappresentazione teatrale, che suscitano nello spetatore diverse reazioni e diverse associazioni di immagini.

Abbiamo scelto, per questa indagine, un gesto che caraterizza in particolare la supplica in tragedia: il movimento di cadere ai piedi di qualcuno, per aferrarne le ginocchia. Il fato di cadere, lo vedremo, non distingue soltanto la supplica che abbiamo defnito fsica, ma può indicare più in generale il movimento con cui il supplice assume la posizione abbassata propria del rito.

Pur essendo uno dei trati che si mantengono costanti nelle diverse varianti del rituale, il fato di cadere ricorre con più frequenza nella forma del rito che prevede il contato fsico tra le due parti.

Come abbiamo anticipato nel capitolo precedente, la variante della supplica fsica ricorre raramente al di fuori del repertorio dell'epica e della tragedia, e sembra connotata in un senso particolare. Rifetere prima di tuto sui molteplici valori dell'immagine di qualcuno che cade ci aiuterà, quindi, a capire come la rappresentazione del rito poteva essere percepita dagli spetatori.

(3)

2.1 Cadere e supplicare, la postura del supplice in Euripide

In Euripide il corpo dei supplici è spesso un corpo che cade.

Il gesto di cadere a terra per supplicare è espresso nella maggior parte dei casi dal verbo προσπίτνω, che tutavia non può essere defnito come termine tecnico del rituale, dato che non esiste una corrispondenza univoca tra il fato di cadere e quello di supplicare1.

Il numero di occorrenze di προσπίτνω in corrispondenza certa di una supplica2 è

abbastanza elevato, tanto da poter considerare il movimento di cadere a terra come l'alternativa più signifcativa, per quanto riguarda Euripide, al fato di sedersi e installarsi in un luogo.

Fata eccezione per un passaggio dell'Elena3, che discuteremo, il gesto è sempre

associato alla supplica compiuta senza il ricorso all'altare e in efeti, come ci si potrebbe aspetare, l'azione ricade nella maggior parte dei casi sulle ginocchia del supplicato.

Qando non si menzionano le ginocchia, la costruzione προσπίτνω τινα può essere tradota con “cadere addosso a qualcuno”, come ci testimonia un uso particolare che ricorre tre volte in Euripide4. Nell'Eletra, ad esempio, la

protagonista si geta tra le braccia di Oreste nel momento in cui riconosce di aver davanti il fratello5. Si può immaginare che, anche nel caso della supplica,

1 In Euripide si trovano atestati tuti i signifcati del verbo riportati da LSJ, sia quelli fgurati che quelli leterali. Non c'è, quindi, una corrispondenza direta tra il fato di προσπίτνειν e il supplicare. Inoltre alcuni tra i signifcati leterali del verbo, che si riconducono all'ato fsico di cadere, ricorrono sia in scene di supplica che in altri contesti.

2 Considerando tute le occorrenze euripidee di προσπίτνω in passaggi in cui ci siano altri riferimenti al rituale, e in cui il verbo sia pacifcamente riportato dagli editori del testo, si hanno sedici occorrenze: Eur. fr. 781, 72; Hyps. fr. 60, 25; Andr. 537; Hec. 274, 339, 737; Supp. 10, 43, 165; HF 986; Hel. 64, 947; Phoe. 1278; Or. 1332, 1338; IA 900. Insieme a προσπίτνω sono state conteggiate anche tute le occorrenze di πίτνω costruito con πρὸς. In qualche caso si può trovare, in contesti di supplica, semplicemente il verbo πίτνω, in altri casi il verbo è composto con un preverbo, in particolare προ- o ἀμφι-. Per la discussione su προπίπτω vd.

infra, per ἀμφιπίπτω vd. la discussione sulle due posture di Elena e Menelao, infra, p. 79.

3 Eur. Hel. 64, vd. infra.

4 Eur. Electr. 576, Tro. 762, IA 1191. È interessante notare che in tuti e tre i casi il gesto di abbracciarsi interviene a sotolineare un legame di parentela esistente, che per motivi diversi è in discussione.

(4)

προσπίτνω indichi un cadere ativo, uno slanciarsi verso qualcuno per stabilire il contato fsico necessario allo svolgimento del rito6.

La discussione sul testo di un passaggio dell'Eracle può servirci per rifetere sul rapporto tra l'uso del verbo προσπίτνω ed il gesto che gli corrisponde, in particolare riguardo alla necessità o meno di pensare che con il cadere si arrivi a stabilire un contato fsico.

Ai versi 1203-1210 dell'Eracle, Anftrione usa il linguaggio della supplica per cercare di ripristinare la comunicazione con il fglio, che sta a terra con la testa coperta. Eracle si è coperto il capo con il mantello per manifestare il suo dolore non appena ha appreso di avere ucciso i propri fgli in preda alla follia, scambiandoli per i suoi nemici.

{Αμ.} ὦ τέκνον, πάρες ἀπ' ὀμμάτων πέπλον, ἀπόδικε, ῥέθος ἀελίωι δεῖξον. 1205 βάρος ἀντίπαλον δακρύοις συναμιλλᾶται· 1207 ἱκετεύομεν ἀμφὶ γενειάδα καὶ 1209 γόνυ καὶ χέρα σὰν προπίτνων πολιὸν 1210 δάκρυον ἐκβαλών7.

Al verso 1208 προπίπτνων è una congetura di Wilamowitz8, accolta dalla

totalità degli editori dell'Eracle per sostituire il προσπίπτων riportato dal manoscrito9. Secondo lo studioso il verbo προπίτνων indicherebbe un'azione

diversa da quella della supplica: la scena vedrebbe cioè Anftrione prostrarsi ai piedi di Eracle.

Per ciò che riguarda la messa in scena, Maarit Kaimio10 pensa che questa

6 Sulla necessità e l'importanza del contato nella supplica vd. supra. 7 Eur. HF 1203-1210. Il testo è quello di DIGGLE 1981.

8 WILAMOWITZ-MOELLENDORFF 1959, p. 456.

9 Dobbiamo il testo dell'Eracle al manoscrito conservato alla Biblioteca Laurenziana: Cod.

Laur. Plut. 32.2, in cui sono conservate le cosiddete “alphabetical plays”. Secondo

Wilamowitz il testo sarebbe inaccetabile perché, dipendendo le determinazioni introdote da ἀμφὶ dall' ἱκετεύομεν del verso 1207, προσπίτνων verrebbe ad assumere un senso generico di “supplico”, che sarebbe quindi pleonastico.

(5)

supplica si realizzi anche per mezzo del contato fsico, suggerito dal lessico relativo alla lota utilizzato nei versi precedenti11. Per lo stesso motivo, West12

ritiene errata la congetura di Wilamowitz, in quanto essa renderebbe poco chiaro come Anftrione possa toccare Eracle stando prostrato.

Telò13 sostiene, invece, che la congetura di Wilamowitz debba essere accetata

con il signifcato di “prostrarsi”, perché in questa scena, con Eracle a volto coperto e in situazione di isolamento14, sarebbe impensabile lo svolgimento di un

rituale di supplica vero e proprio, che comporta l'instaurarsi di un contato comunicativo sia a livello fsico che a livello visivo15.

Telò sostiene a ragione che προπίτνω a diferenza di προσπίτνω non implichi un contato fsico16. Una prova in questo senso si può trovare in un passo

dell'Andromaca, in cui in dipendenza da πίπτω viene utilizzato πάρος, che ha un signifcato assimilabile a quello di πρό17, nel momento in cui Andromaca

supplica Peleo:

ἀλλ' ἀντιάζω σ', ὦ γέρον, τῶν σῶν πάρος πίτνουσα γονάτων – χειρὶ δ' οὐκ ἔξεστί μοι τῆς σῆς λαβέσθαι φιλτάτης γενειάδος –18

Le indicazioni di movimento in questo passo insistono sul fato che Andromaca, avendo le mani legate, non può toccare Peleo, ma si limia a cadergli davanti.

11 Per il lessico della lota vd. il commento di BOND 1981.

12 WEST, M. L. 1973 riporta come parallelo Supp. 42 “ἰκετεύω σε … πρὸς γόνυ πίπτουσα τὸ σόν”, per dimostrare la validità dell'associazione di προσπίτνω a ἱκετεύω. Nel passo delle Supplici, però, l'indicazione del ginocchio dipende sicuramente da πίπτω.

13 TELÒ 2002b, pp. 31-41, discute della messa in scena di questi versi. Per un'indicazione a

proposito di un gesto in questa scena vd. anche BOEGEHOLD 1999, p. 64.

14 Sul gesto di coprirsi il capo vd. CAIRNS 1993, pp. 293-295; sulla messa in scena del gesto vd.

TELÒ 2002a, pp. 41-42. Sul fato di nascondere o mostrare il corpo applicato alla supplica vd.

infra, par. 2.5.

15 Per la nozione di “contato comunicativo”, da cui parte l'interpretazione di Telò, vd. MASTRONARDE 1979. Sulla necessità del contato visivo per avviare il rituale di supplica vd.

infra.

16 C'è da notare che προπίτνω, il cui signifcato sembra chiaro, ha comunque pochissime occorrenze in tragedia, alcune delle quali derivate da congeture metriche su προσπίτνω. 17 LSJ s.v. παρός, B.

(6)

D'altra parte, però, l'ipotesi di Telò che riguarda il passo dell'Eracle è debole nel momento in cui si suppone che una supplica non efcace o non del tuto correta dal punto di vista del rituale non possa comunque essere rappresentata sulla scena19.

Va considerato, infne, che se il verbo προσπίτνω implica un contato fsico, esso non esaurisce il suo signifcato nello stabilirsi di questo contato. Il signifcato leterale del verbo infati indica una forma del cadere, ed è evidente da un passo dell'Ecuba che προσπίτνω si aggiunge al gesto di toccare, da cui deve in qualche modo diferenziarsi, e ne precisa il signifcato: Ecuba, per descrivere la supplica che Odisseo le ha rivolto tempo prima, dice «ἥψω τῆς ἐμῆς, ὡς φήις, χερὸς /καὶ τῆσδε γραίας προσπίτνων παρηίδος20». In questo caso il fato di toccare è

signifcativo, tanto che Ecuba inizierà la sua supplica con il verbo ἀνθάπτομαι, “ti tocco a mia volta”, che replica i gesti di Odisseo21. Il verbo προσπίτνω indica

un secondo movimento: quello di getarsi addosso a qualcuno, cadendo.

È ancora il fato di cadere ad essere fondamentale in un passo dell'Elena, in cui προσπίτνω indica la supplica sulla tomba di Proteo22.

… τὸν πάλαι δ' ἐγὼ πόσιν

τιμῶσα Πρωτέως μνῆμα προσπίτνω τόδε ἱκέτις, ἵν' ἀνδρὶ τἀμὰ διασώσηι λέχη23

Elena sta descrivendo la propria condizione di supplice, ed il verbo al presente è usato in senso performativo. Tracce della possibilità di cadere sull'altare si trovano anche nell'Andromaca, nel momento in cui Ermione che si defnisce per diferenza rispeto ad Andromaca supplice, «οὐδὲ βώμιοι / πίτνοντες, αὐτοὶ τὴν δίκην ὑφέξομεν24».

19 Sull'efcacia delle suppliche in tragedia vd. infra e LEGANGNEUX 1999. In generale sul

problema dei rituali in tragedia vd. CALAME 1997, DI DONATO 2010.

20 Eur. Hec. 273-274.

21 La supplica di Ecuba verrà discussa più avanti in questo capitolo, vd. infra.

22 Per la possibilità di supplicare alla tomba e sulla somiglianza dei due arredi scenici che rappresentano la tomba e l'altare vd. infra.

23 Eur. Hel. 62-64. Il testo è quello di DIGGLE 1984.

(7)

Dato che il gesto di cadere è efcace, quindi, anche nella variante della supplica presso l'altare, sarebbe difcile sostenere che esso sia la modalità per indicare, in tragedia, la sola strategia della supplica fsica. Sembra che il gesto rappresenti un momento particolare del rituale, piutosto che una delle sue diverse soluzioni possibili.

Come abbiamo visto, il fato di raggiungere un luogo costituisce uno dei nuclei fondamentali nello svolgimento del rito25. Possiamo pensare che la supplica

implichi un approccio più o meno ritualizzato, e più o meno precipitoso a seconda delle circostanze26, verso un punto che è signifcativo per l'efcacia del

rituale, sia questo l'altare di un dio o un luogo sacro, oppure le ginocchia del supplicato27.

Il movimento di qualcuno che cade, in tragedia, svolge la funzione di segnalare il fato che il supplice si sta muovendo per supplicare, e suggerisce allo stesso tempo la postura tipica del rito, portando con sé il senso di pesantezza del corpo che cade e arresta il suo movimento, e permetendo il coinvolgimento del supplicato per mezzo del contato. Il supplice che cade arriva ad assumere la posizione abbassata che è una delle parti costitutive del rituale e ne determina alcuni trati di efcacia28.

Come abbiamo deto, l'immagine del supplice che cade ricorre tanto spesso in Euripide da potersi considerare l'alternativa principale rispeto al fato di sedersi presso un altare. Qesto dato perde di consistenza, però, se si allarga la prospetiva, e si confronta l'evidenza euripidea con le scene di supplica presenti nella leteratura non tragica. Nei testi degli storici e degli oratori, in particolare, si può osservare che le suppliche, che ricorrono con molta meno frequenza rispeto a quanto avviene nel repertorio tragico, non si svolgono spesso secondo

25 Il fato di raggiungere un luogo, o raggiungere qualcosa per stabilire un contato, è uno dei conceti che stanno alla base della supplica, che emerge anche dal punto di vista lessicale, vd.

supra, p. 7.

26 In tragedia si trovano casi in cui l'approccio all'altare non è rappresentato, e la tragedia inizia con una cancelled entry (vd. supra, p. 53), e casi invece in cui il supplice arriva all'altare correndo. Sull'approccio all'altare e la restituzione tragica del tempo del rituale vd. infra. 27 Vd. infra.

(8)

la modalità del cadere alle ginocchia di qualcuno: la maggioranza delle suppliche di cui abbiamo notizia, infati, segue piutosto la strategia del ricorso all'altare o ad un luogo sacro29.

Le rare atestazioni di questa forma fsica del rito al di fuori dell'epica e della tragedia sembrano avere una connotazione particolare: a cadere alle ginocchia di qualcuno per supplicare sono spesso donne, o schiavi.

In Erodoto, ad esempio, si può rintracciare una sola supplica fsica, nell'episodio che racconta la mancata uccisione del piccolo Ciro II. Il pastore incaricato di uccidere il bambino lo porta a casa e lo mostra alla moglie. La donna, che ha appena perso il proprio fglio, si geta alle ginocchia del marito, supplicandolo di non abbandonare il piccolo Ciro a morte certa. La supplica si svolge, quindi, secondo l'espressione già omerica, che indica l'azione di aferrare le ginocchia di qualcuno

ἣ δὲ ὡς εἶδετὸ παιδίον μέγα τε καὶ εὐειδὲς ἐόν, δακρύσασα καὶ λαβομένη τῶν γουνάτων τοῦ ἀνδρὸς ἐχρήιζε μηδεμιῇ τέχνῃ ἐκθεῖναί μιν30.

In un passo dell'orazione Per l'uccisione di Eratostene di Lisia, Eufleto, il citadino che pronuncia il discorso in propria difesa, racconta di aver costreto una serva a riferirgli tuto ciò di cui era a conoscenza a proposito dell'adulterio che sua moglie stava consumando con Eratostene. La donna, intimorita dalle minacce di morte, cade alle ginocchia di Eufleto e chiede che non le venga fato del male, prima di confessare tuto ciò che sa31.

In un passo dell'orazione Sulla falsa ambasceria di Demostene, infne, si racconta di un bancheto organizzato da Senofrone, uno dei trenta tiranni, al quale era stata invitata anche una donna di Olinto, prigioniera ma di origine libera: i partecipanti al bancheto si comportano in modo sempre più prepotente e

29 Sullo scarso numero di suppliche fsiche presenti nelle fonti, escludendo il caso dell'epica e della tragedia, vd. CANCIANI, PELLIZER, FAEDO 2005.

30 Hdt. I, 112. 31 Lys. I, 19.

(9)

violento verso la donna, che si geta alle ginocchia di Iatrocle per supplicare di aver salva la vita:

ἔξω δ᾽ αὑτῆς οὖσ᾽ ὑπὸ τοῦ κακοῦ καὶ τοῦ πράγματος ἡ γυνή, ἀναπηδήσασα προσπίπτει πρὸς τὰ γόνατα τῷ Ἰατροκλεῖ, καὶ τὴν τράπεζαν ἀνατρέπει32.

Come risulta da questi passi, sono principalmente le donne a compiere il gesto di cadere per supplicare. La rappresentazione del supplice come qualcuno che cade non trova un riscontro importante nei testi di quinto e quarto secolo, sopratuto se si tiene conto del gran numero di passi che invece si trovano nei testi tragici. Qesta carenza di materiale non ci permetere di rifetere sul signifcato del gesto di cadere inserito nel complesso del rituale e sulle sue implicazioni per quel che riguarda il corpo del supplice. È impossibile, infati, se ci si limita ai soli casi di supplica, comprendere il motivo della grande distanza tra il numero delle scene rappresentate in tragedia e quelle che ricorrono nelle atestazioni non tragiche.

Nelle poche scene di supplica fsica che abbiamo elencato in questo paragrafo ci è sembrato di trovare una traccia che accomuna tuti i racconti: questa forma del rito viene infati applicata principalmente ai supplici di sesso femminile. Seguendo questo spunto ci proponiamo, nei paragraf che seguono, di tratare l'immagine del supplice che cade come un'immagine polivalente, e di procedere per associazioni di immagini, per comprendere quali altri signifcati essa potesse racchiudere oltre alla connotazione femminile.

Il metodo della polivalenza delle immagini, ideato da Louis Gernet per lo studio dei racconti mitici, ci insegna che non vale la pena soltanto di rifetere sull'inserimento di singole immagini come frammenti nel complesso di un racconto, ma che anche una rifessione che associ il ricorrere della stessa immagine in contesti diversi può dare molti risultati33.

32 Dem. XIX, 198.

33 Per un'enunciazione del metodo della polivalenza delle immagini vd. i testi gernetiani raccolti in GERNET 2004.

(10)

Nel nostro caso abbiamo a che fare non tanto con immagini mitiche, ma con immagini che costituiscono i vari elementi di un rituale, a sua volta inserito nel racconto mitico atraverso la rappresentazione in tragedia. Lavorare quindi per associazioni, e rifetere sui motivi che portano l'immagine di qualcuno che cade a terra a inserirsi nel contesto di racconti e riti diversi, può aiutarci a capire qualcosa in più sulle scelte che vengono compiute per rappresentare il rito in tragedia. Qesto tipo di procedimento, inoltre, può aggiungere numerosi argomenti alla nostra rifessione su come la rappresentazione tragica del corpo dei supplici venisse percepita dagli Ateniesi del quinto secolo, spetatori della tragedia.

A partire dalla postura e dai movimenti del corpo del supplice si costruisce infati una rete di signifcati che non si esaurisce nella rappresentazione fedele del rituale. Addentrarci un poco a percorrere le diverse strade che si aprono atraverso un meccanismo di associazioni può dare qualcosa per comprendere come l'immagine del supplice che cade si inserisca nel complesso di gesti e parole del rito.

2.2 Le Supplici: tra supplica e lutto

Inizieremo la nostra rifessione analizzando la funzione del corpo e dei gesti nella prima parte delle Supplici euripidee, in cui il rituale riveste un ruolo di primaria importanza e infuenza i movimenti di tuti i numerosi personaggi che agiscono sulla scena.

In questa tragedia le supplici, che costituiscono il coro, invadono lo spazio scenico fn dal prologo, creando un'immagine di grande impato visivo, che doveva colpire l'immaginazione degli spetatori antichi, e che ha creato molti problemi agli interpreti moderni per ricostruire la messa in scena della prima parte della tragedia.

(11)

scenico del dramma, il letore moderno è obbligato a ricorrere al solo testo per ricostruire tuto ciò che riguarda l'aspeto visuale della tragedia. Nel caso delle

Supplici, in particolare, la distanza tra la nostra esperienza e quella dello

spetatore antico si misura considerando che le parole del prologo, pronunciate da Etra, madre di Teseo, servono soltanto da completamento e da didascalia ad un quadro che si trova già soto gli occhi di chi assiste alla rappresentazione teatrale.

Nel momento che per noi letori segna l'inizio della tragedia, infati, un numero consistente di personaggi ha già occupato la scena. I movimenti con i quali essi sono entrati nell'orchestra e hanno preso posizione sono destinati a rimanere al di fuori dei confni del dramma per come noi lo conosciamo, in assenza di informazioni sul modo in cui veniva segnalato agli spetatori l'inizio della rappresentazione in un teatro che non prevedeva nessuno strumento permanente che limitasse la visuale sull'area della rappresentazione34. Siamo

costreti, quindi, ad accogliere la defnizione pratica di “cancelled entry” di Oliver Taplin35: si suppone che gli atori abbiano preso le loro posizioni prima dell'inizio

codifcato della tragedia, posizioni mantenute per un tempo difcile da quantifcare, in un tableau che si sarebbe messo in movimento con i primi versi del prologo.

La ricostruzione della messa in scena delle Supplici, e in generale delle cosiddete

suppliant plays36, ha suscitato una discussione articolata tra gli studiosi.

34 Le tragedie venivano rappresentate nel teatro di Dioniso senza le soluzioni di continuità a cui siamo abituati come moderni spetatori di teatro: pubblico e atori erano illuminati allo stesso modo dalla luce del giorno (e gli atori erano quindi sempre visibili se si trovavano sulla scena), e certamente non c'era un sipario che scandisse i diversi momenti della rappresentazione. Per un'introduzione sugli aspeti “teatrali” del teatro greco, che dia qualche punto di riferimento per comprendere quella che doveva essere l'esperienza della tragedia per uno spetatore dell'età di euripide vd. ARNOTT 1962, PICKARD-CAMBRIDGE 1968, TAPLIN 1977, TAPLIN 1978, in particolare pp. 1-14, ARNOTT 1989, DI BENEDETTO, MEDDA 1997, WILES 1997, DI MARCO 2000, REHM 2002, in particolare pp. 50-90, LOSCALZO 2008.

35 TAPLIN 1977, pp. 134-136 discute la defnizione di “cancelled entries” in merito alla scena

iniziale dei Sete contro Tebe. Lo stesso procedimento viene riscontrato anche nell'Edipo a

Colono, e in cinque tragedie euripidee: Eraclidi, Andromaca, Eracle, Elena, Supplici. In ognuna

di queste tragedie il quadro che si crea, con le necessarie differenze in termini di numero e natura dei personaggi, è quello di una supplica presso l'altare. Fa eccezione soltanto l'Elena, in cui si supplica alla tomba di Proteo anziché all'altare.

(12)

Tracciamo qui le linee essenziali dell'immagine del prologo per come ci sembra più plausibile che questa apparisse37.

Al centro dell'orchestra38 si trova una strutura che rappresenta l'altare di

Eleusi39, su cui è seduta Etra. Almeno la metà dei membri del coro, le madri dei

Sete, sta supplicando, in una situazione che implica vicinanza e contato sia con Etra stessa che con l'altare su cui questa è seduta. La stessa situazione, lo vedremo, si ripete alla fne della parodo in cui le supplici stabiliscono di nuovo il contato con Etra.

Le parole del prologo integrano e completano questa immagine muovendosi tra passato e presente, per spiegare ciò che è accaduto prima che la tragedia iniziasse.

All'inizio del prologo Etra, vedendo le vecchie donne che sono cadute alle sue ginocchia con i rami dei supplici, invoca le dee di Eleusi:

aprono con una scena di supplica presso l'altare, nelle quali la presenza dei supplici condiziona fortemente l'organizzazione dello spazio scenico. Corrispondono alla defnizione le Supplici di Eschilo, l'Edipo re di Sofocle, e per quello che riguarda Euripide gli Eraclidi, l'Andromaca, le Supplici, l'Eracle e l'Elena.

37 Per la questione della messa in scena delle Supplici vd. COLLARD 1975, REHM 1988, SCULLY

1996, DI BENEDETTO, MEDDA 1997, pp. 131-132.

38 COLLARD 1975 suppone che l'altare fosse collocato su un palco rialzato, su cui si sarebbero

trovate anche le madri dei Sete all'inizio della tragedia. Il coro sarebbe quindi sceso per cantare e danzare la parodo nell'orchestra per poi risalire sul palco alla fne della parodo. Una ricostruzione del genere è difcile da sostenere sia dal punto di vista della gestione dello spazio scenico, in quanto sarebbe necessario immaginare tuti i personaggi del dramma, coro compreso, ammassati in prossimità della σκηνή, sia dal punto di vista dell'azione, che risulterebbe poco fuida con i movimenti di salita e discesa dal palco. SCULLY 1996 ipotizza la

presenza di un palco rialzato in legno, ma colloca l'altare dei supplici nell'orchestra. REHM

1988, al contrario, sposta l'azione nell'orchestra, immaginando così un'interazione più semplice tra coro e atori, interazione che risulta presupposta dal testo stesso. Con la ricostruzione di Rehm concordano anche DI BENEDETTO, MEDDA 1997. Sulla posizione

dell'altare nell'orchestra vd. POE 1989.

39 PICKARD-CAMBRIDGE 1946, 172–246 ipotizza la presenza di un altare ritualizzato al centro

dell'orchestra, coinvolto nei riti precedenti alle rappresentazioni tragiche, in particolare nel sacrifcio del toro a Dioniso che concludeva la πομπή delle Grandi Dionisie. Anche ARNOTT

1962, p. 44, pensa che nell'orchestra ci fosse un altare sacro a Dioniso e quindi inutilizzabile a fni scenici, ed è di conseguenza costreto ad ipotizzare la presenza di un secondo altare. Secondo Arnot questo secondo altare si troverebbe sul palcoscenico in legno su cui secondo lui recitavano gli atori. REHM 1988 esclude la presenza del palco e dell'altare ritualizzato, che non ha lasciato nessuna traccia valida nelle fonti, e sostiene che al centro dell'orchestra si trovasse una strutura utilizzabile come altare a fni scenici. Secondo Rehm la strutura sarebbe stata fssa, e rifunzionalizzata all'occorrenza come altare o come tomba.

(13)

ἐς τάσδε γὰρ βλέψασ' ἐπηυξάμην τάδε γραῦς αἳ λιποῦσαι δώματ' Ἀργείας χθονὸς ἱκτῆρι θαλλῶι προσπίτνουσ' ἐμὸν γόνυ40.

Le vecchie sono le madri dei sete guerrieri argivi morti a Tebe, e costituiscono metà del coro, mentre l'altra metà è formata dalle schiave delle donne41.

Insieme al coro, sulla scena si trova anche Adrasto, che giace in disparte e piange, chiedendo ad Etra di convincere il fglio ad ascoltare la richesta delle donne argive.

Ἄδραστος ὄμμα δάκρυσιν τέγγων ὅδε κεῖται, τό τ' ἔγχος τήν τε δυστυχεστάτην στένων στρατείαν ἣν ἔπεμψεν ἐκ δόμων· ὅς μ' ἐξοτρύνει παῖδ' ἐμὸν πεῖσαι λιταῖς42.

Conosceremo solo più avanti nel testo un elemento che allo spetatore doveva essere evidente fn dall'inizio del dramma: Adrasto piange presso la porta del tempio, ed è circondato da un gruppo di ragazzi che sono i fgli dei Sete43.

Etra si è recata al recinto sacro del tempio delle due dee ad Eleusi per compiere un sacrifcio per il primo raccolto44 ed ha in mano il ramoscello da ofrire agli

dei. Il ramo di Etra è un δέσμον ἄδεσμον, un legame che non lega, che si contrappone ai rami d'ulivo coronati da bende portati dalle supplici. Le supplici, infati, circondano Etra con i rami e con le bende quasi ad impedirle di muoversi45, tanto che quando Teseo aiuterà la madre a lasciare l'altare chiederà

40 Eur. Supp. 8-10.

41 La ricostruzione che prevede due semicori nella parodo della tragedia è quella accetata dalla maggior parte degli editori delle Supplici, per la quale vd. COLLARD 1975. WILLINK 1990

sostiene, al contrario, che il coro fosse interamente formato da schiave, e che le madri dei Sete fossero personaggi muti.

42 Eur. Supp. 21-24. 43 Eur. Supp. 104-107.

44 Si trata probabilmente del sacrifcio di primizie che si compiva ad Eleusi durante la festa dei

Proerosia, vd. PARKE 1977, PARKER 2005, pp. 330-332. Vd. infra, par. 4.2.

45 Eur. Supp. 102-103 «ἱκεσίοις δὲ σὺν κλάδοις / φρουροῦσί μ', ὡς δέδορκας, ἐν κύκλωι, τέκνον».

(14)

alle donne di liberarle il passaggio, allontanando le bende e i rami46.

L'oggeto rituale diventa quindi elemento scenografco di rilievo; la presenza ingombrante dei rami e delle bende atorno all'altare riempe la scena e al tempo stesso restituisce l'immagine di una delle implicazioni del rituale della supplica, il vincolo che si crea atraverso il rito: Etra dice infati di essere costreta a rimanere presso l'altare delle dee in ragione del rispeto delle bende sacre e dalla pietà verso le madri dei Sete.

μένω πρὸς ἁγναῖς ἐσχάραις δυοῖν θεαῖν Κόρης τε καὶ Δήμητρος, οἰκτίρουσα μὲν πολιὰς ἄπαιδας τάσδε μητέρας τέκνων, σέβουσα δ' ἱερὰ στέμματ' … 47

Vale la pena, prima di occuparci nello specifco del rito della supplica, fssare qualche punto nello spazio e nel tempo, secondo i riferimenti dati dal prologo della tragedia48.

Lo spazio dell'orchestra rappresenta il recinto sacro di Eleusi, in cui si trovano il tempio e l'altare delle due dee49. Le due eisodoi collegano l'orchestra con lo spazio

extrascenico, e conducono ad Atene da una parte e ad Argo dalla parte opposta50.

Sulla strada tra le due cità si trova lo spazio sacro di Eleusi, che evoca alla mente

46 Eur. Supp. 359-361 «ἀλλ', ὦ γεραιαί, σέμν' ἀφαιρεῖτε στέφη / μητρός, πρὸς οἴκους ὥς νιν Αἰγέως ἄγω / φίλην προσάψας χεῖρα». Al v. 258 Adrasto chiede alle madri dei Sete di deporre i rami e le bende, e le madri si allontanano dall'altare al v. 271 per avvicinarsi a Teseo e supplicarlo. Il gesto di prendere la mano a qualcuno, che questo sia chino a terra o seduto sull'altare, per farlo alzare in piedi è uno dei gesti che accompagnano l'accogimento della supplica, vd. supra, p. 11.

47 Eur. Supp. 33-36. L'altare dei supplici viene nominato in questo caso ἐσχάρα e successivamente βωμός: in tragedia i due termini si alternano indiferentemente. È stato dimostrato, sopratuto grazie a dati archeologici, che i due termini non corrispondono a due tipologie diverse di altari, almeno per il periodo arcaico e classico. Sulla questione vd. VAN

STRATEN 1995, pp. 165-167, EKROTH 2001.

48 Per una tratazione approfondita di questi punti vd. infra, cap. 4.

49 Dell'altare abbiamo discusso ampiamente supra. Il tempio era probabilmente rappresentato dalla facciata della σκηνή, che nel caso delle Supplici non viene mai usata come ingresso e potrebbe, quindi, non essere stata provvista di porte, vd. COLLARD 1975, DI BENEDETTO, MEDDA 1997, p. 130.

50 Per la defnizione di spazio extrascenico lontano ed adiacente vd. DI BENEDETTO, MEDDA

(15)

degli spetatori ateniesi sia la festa dei Proerosia, a cui Etra dice di aver preso parte, sia l'episodio mitico della supplica degli Argivi ad Atene: ad Eleusi si trovano infati le tombe dei Sete eroi argivi, che erano quindi ben presenti nella memoria dei citadini ateniesi51.

L'ambientazione della tragedia ad Eleusi durante la festa dei Proerosia defnisce quindi per gli spetatori una geografa ed un tempo che appartengono contemporaneamente al passato mitico e al presente del culto, che si ripete ogni anno nella stessa stagione.

Il contesto festivo in cui si svolge l'azione crea un forte contrasto con gli abiti e l'ateggiamento atraverso i quali le donne del coro comunicano la propria condizione di supplici e di donne in luto. A metere in risalto il contrasto sono le parole di Teseo, che entra in scena richiamato dai canti lamentosi della parodo, e si trova davanti un'immagine simile a quella del prologo52:

μητέρα γεραιὰν βωμίαν ἐφημένην ξένας θ' ὁμοῦ γυναῖκας οὐχ ἕνα ῥυθμὸν κακῶν ἐχούσας· ἔκ τε γὰρ γερασμίων ὄσσων ἐλαύνουσ' οἰκτρὸν ἐς γαῖαν δάκρυ, κουραί τε καὶ πεπλώματ' οὐ θεωρικά53.

Le lacrime, i capelli ed il vestito non si integrano con il contesto di festa, richiamato sia dal sacrifcio che Etra ha dovuto interrompere sia dal fato che la vicenda si svolge di fronte al tempio delle due dee ad Eleusi54. Le madri stesse lo

51 Sulla notizia della presenza delle tombe ad Eleusi, riportata in Paus. I, 39, 2, vd. PARKER 1996

p. 35.

52 Sia COLLARD 1975 che REHM 1988 sostengono che le supplici abbiano ripreso il loro posto

dopo aver cantato la parodo. 53 Eur. Supp. 93-97.

54 Possiamo immaginare che il solo riferirsi al santuario di Eleusi evocasse alla mente degli spetatori ateniesi il culto dei Misteri. Nel testo non ci sono menzioni direte dei Misteri, ma si ricorda soltanto che le madri dei Sete hanno un ateggiamento non consono alla festa e al luogo sacro: «ὁσίως οὔχ … ἔμολον», v. 63, «πεπλώματ' οὐ θεωρικά», v. 97. Per il tema del piacere rituale e dell'inopportunità dell'ateggiamento lutuoso nel contesto del rito vd. TADDEI 2010, in particolare cfr. Eur. Ion. 639-645 in cui si contrappone l'ateggiamento festivo

(16)

ribadiscono nella parodo: il loro arrivare ad Eleusi non ha niente di festivo, vengono per supplicare e per fare una richiesta55.

Il problema delle lacrime viene sollevato anche più avanti, da Teseo. Dopo che il coro ha cantato e danzato la parodo e dopo che Adrasto ha tentato senza successo di supplicare Teseo, le madri dei Sete si getano alle ginocchia del re di Atene, per fare un ultimo disperato tentativo di persuaderlo. Le parole delle supplici hanno mosso a pietà Etra, tanto da coinvolgerla nell'atmosfera di luto che pervade tuta la scena: la madre di Teseo si è coperta il capo con la veste, come aveva fato Adrasto all'inizio della tragedia, e piange rimanendo seduta sull'altare.

Teseo si rivolge alla madre in questi termini:

{Θη.} μῆτερ, τί κλαίεις λέπτ' ἐπ' ὀμμάτων φάρη βαλοῦσα τῶν σῶν; ἆρα δυστήνους γόους κλύουσα τῶνδε; κἀμὲ γὰρ διῆλθέ τι. ἔπαιρε λευκὸν κρᾶτα, μὴ δακρυρρόει σεμναῖσι Δηοῦς ἐσχάραις παρημένη56.

Il pianto in questo caso viene messo in contrasto non tanto con il tempo, quanto con il luogo in cui si trova Etra, cioè l'altare delle due dee.

La contrapposizione tra l'ateggiamento lutuoso dei supplici e il contesto della festa ci dà modo di accennare qui una rifessione che riprenderemo in termini generali a proposito del corpo del supplice. Il contrasto non funziona soltanto entro i limiti degli eventi del dramma: la tragedia si inserisce nel contesto di una festa in onore di Dioniso, e gli spetatori assistono alla rappresentazione prima di tuto in quanto partecipanti alla festa. Tenendo presente questo punto, possiamo

che indossa vesti povere, non è nelle condizioni di partecipare alla festa.

55 Eur. Supp. 63 «ὁσίως οὔχ, ὑπ' ἀνάγκας δὲ προπίπτουσα προσαιτοῦσ' / ἔμολον δεξιπύρους θεῶν θυμέλας». Il fato di arrivare in un luogo è un elemento costitutivo del rituale della supplica, che emerge anche dall'analisi etimologica, di BENVENISTE 1969, vd. supra. Ha un signifcato particolare, quindi, che qui sia specifcata la modalità con cui si arriva al santuario, che è ancora una volta in contrasto con la festa e con il culto.

(17)

immaginare che le afermazioni sull'inopportunità di certi ateggiamenti lutuosi metessero in contato i personaggi e gli spetatori del dramma, sotolineando la distanza tra gli uni e gli altri57.

Nelle Supplici, la parodo è la prima rappresentazione in movimento del rituale di supplica.

Il metro del canto corale segue la forma del θρῆνος58, ma nel canto il rito del

lamento funebre si lega stretamente a quello della supplica. Le donne chiedono ad Etra di guardarle e di prendere ato della loro condizione59, che viene

richiamata da una parte per creare un legame, e dall'altra per suscitare pietà: le donne sono vecchie madri, come Etra, ma hanno perso i loro fgli.

I supplici hanno l'obietivo di creare una simpatia con il supplicato, e cercano quindi di far sì che questo si identifchi nel loro dolore e provi pietà della loro condizione60.

La danza con cui il coro accompagnava il canto doveva riprendere, in forma mimetica, qualche gesto del pianto rituale. Nella prima antistrofe si legge, ad esempio:

ἐσιδοῦσ' οἰκτρὰ μὲν ὄσσων δάκρυ' ἀμφὶ βλεφάροις, ῥυ- σὰ δὲ σαρκῶν πολιᾶν

καταδρύμματα χειρῶν. τί γάρ; ἃ φθιμένους παῖ -δας ἐμοὺς οὔτε δόμοις

57 Le testimonianze sull'abbigliamento e sull'ateggiamento degli spetatori a teatro non sono numerose, e derivano sopratuto dalla commedia. Il pubblico era senz'altro piutosto rumoroso; in particolare una testimonianza dello storico Filocoro, riportata da Ateneo (FGrHist 328 F 171), riferisce dell'usanza che gli spetatori indossassero corone e bevessero vino, in una sorta di simposio allargato nel teatro di Dioniso. A questo proposito vd. CSAPO,

SLATER 1994, pp. 286-305, LOSCALZO 2008. Per una rifessione ugli efeti e sulle funzioni della

voce lutuosa della tragedia vd. LORAUX 1999.

58 Vd. a questo proposito MIRTO 1984 e il commento di COLLARD 1975.

59 Il supplice che chiede di essere guardato è un elemento ricorrente del rituale in tragedia. Il fato di stabilire un contato visivo permete di avviare il dialogo e di getare le prime basi per stabilire un legame di reciprocità tra supplice e supplicato. Vd. infra.

60 Per il ruolo della persuasione e della pietà nella supplica vd. supra. Per il caso particolare in cui è lo status del supplice a creare il legame, l'esempio più calzante è oferto dalla supplica di Priamo ad Achille, nella quale è Peleo, che come Priamo è vecchio e come lui verrà privato del fglio, a fare da legame tra supplice e supplicato. Per la discussione del passo vd. GIORDANO 1999a, pp. 135-159.

(18)

προθέμαν οὔτε τάφων χώματα γαίας ἐσορῶ61.

Insieme alle lacrime, anche il gesto di grafarsi il viso appartiene alla sfera del lamento rituale, e fa parte del complesso di azioni di abbassamento e di umiliazione compiute da chi piange il morto, come strapparsi i capelli, cospargersi il capo di polvere, rotolarsi a terra, batersi il peto e il capo62.

Mentre i gesti della danza riprendono quelli del rito funebre, le madri lamentano l'impossibilità di dare forma rituale al loro luto: la πρόθησις, l'esposizione rituale del morto durante la quale si svolgeva la lamentazione, è negata, ed è di conseguenza negata la sepoltura.

Punto chiave della parodo è l'assenza dei corpi degli eroi argivi su cui si dovrebbe svolgere la lamentazione, e più volte le madri esprimono il desiderio di poter avere tra le braccia i cadaveri dei fgli:

παράπεισον δὲ σόν, ὤ, λίσσομαι, ἐλθεῖν τέκνον Ἰσμη-νὸν ἐμάν τ' ἐς χέρα θεῖναι νεκύων θαλερῶν σώματ' ἀλαίνοντ' ἄταφα … καθελεῖν· οἰκτρὰ δὲ πάσχουσ' ἱκετεύω σὸν ἐμοὶ παῖ-δα ταλαίναι 'ν χερὶ θεῖναι νέκυν, ἀμ-φιβαλεῖν λυγρὰ μέλη παιδὸς ἐμοῦ63.

Qesti versi chiudono la strofe e l'antistrofe della seconda coppia strofca. In particolare i versi in cui le madri chiedono di poter abbracciare i fgli si trovano in responsione. Alla corrispondenza del metro, e quindi del canto, possiamo pensare che si aggiungesse una corrispondenza nella danza, che probabilmente

61 Eur. Supp. 49-54. Il testo e la colometria dei passi delle Supplici sono quelli dell'edizione di DIGGLE 1981a.

62 Per un'analisi sui modi e sulla funzione del pianto rituale il riferimento rimane DE MARTINO

1958, che interpreta i gesti di avvilimento come rappresentazioni più o meno atenuate della volontà di farsi uguale al morto, sostituti rituali dell'impulso suicida, vd. pp. 186-188. Su Ernesto De Martino vd. DI DONATO 1999, pp. 85-96. Per una rifessione sui temi del luto e della lamentazione nelle Supplici euripidee vd. MIRTO 1984. Sul luto ed i rituali funerari nelle

Supplici cfr. anche TOHER 2001.

(19)

mimava il gesto rituale. Il contato con il cadavere è signifcativo nel rito funebre64, ed il fato che qui i gesti del rituale siano messi in ato senza la

presenza del corpo del morto visualizza la condizione di dolore irrisolto delle donne65.

Per quanto riguarda la supplica, a livello verbale l'uso di ἰκετεύω, in questo caso utilizzato in senso performativo, segnala per due volte il caratere rituale della richiesta66. A livello gestuale un solo movimento, ripetuto anch'esso due volte,

segnala il compiersi del rito: le madri supplicano cadendo alle ginocchia di Etra67.

Risulta chiaro, pur soto la forma del canto corale, sotoposta alle sue norme e quindi meno stretamente mimetica rispeto all'azione drammatica68, che ci

troveremmo in difcoltà a voler mantenere una distinzione neta tra supplica presso l'altare e supplica fsica. Anche se, all'inizio della tragedia, sia Etra che le supplici si trovavano in prossimità dell'altare, nel momento del canto il rituale assume una forma ibrida, che si focalizza sulle ginocchia di Etra come punto di contato tra supplice e supplicato, ma che coinvolge indiretamente anche l'altare su cui questa è seduta.

Il verbo προσπίτνω, che abbiamo visto ricorrere spesso in contesti di supplica, si trova nelle Fenicie associato al registro del luto. Giocasta accorre fuori dalle mura per fermare il duello mortale tra Eteocle e Polinice. Sappiamo dal lamento

64 Nell'Iliade chi è più vicino al morto si fa primo ἔξαρχος del lamento, secondo la formula di lamento individuale a cui risponde il planctus colletivo rilevata da DE MARTINO 1958. È il

primo ἔξαρχος a compiere il gesto rituale di prendere contato con il morto: Achille tocca il peto di Patroclo ed Andromaca tocca la testa di Etore, Il XXIII 18, XXIV 724. Nelle rappresentazioni fgurate già di età geometrica si trovano donne che toccano il cadavere. Per una descrizione della πρόθησις e del lamento funebre sia nei testi che nei documenti fgurati vd. GARLAND 1985, pp. 23-31, PEDRINA 2001, ALEXIOU, YATROMANOLAKIS, ROILOS 2002, p. 6 e ss., MIRTO 2007.

65 Qesto trato è ben evidenziato da MIRTO 1984 che nota anche che quando i corpi vengono

portati sulla scena, più avanti nella tragedia, la lamentazione femminile verrà sostituita da quella maschile e le madri dei Sete rimarranno sostanzialmente in disparte rispeto al rito funebre. Sull'esposizione del corpo nelle Supplici vd. KORNAROU 2008. La distinzione tra

compianto maschile e femminile è molto signifcativa per il V secolo (vd. a questo proposito PEDRINA 2001 per il mutamento della rappresentazione delle scene di luto sui vasi proprio

durante il V secolo). La tragedia rappresenta uno dei campi principali in cui questa distinzione diventa operativa e viene discussa, e proprio grazie alla tragedia la voce addolorata femminile emerge con forza. Vd. a questo proposito lo studio di LORAUX 1999. 66 Eur. Supp. 42, 78.

67 Eur. Supp. 43 «πρὸς / γόνυ πίπτουσα τὸ σόν», 63 «προπίπτουσα προσαιτοῦσ' / ἔμολον». 68 Sulla pluralità di istanze enunciative del canto corale in tragedia vd. CALAME 1997.

(20)

di Antigone che l'intenzione della madre era quella di fermare i due fgli con una supplica, mostrando loro il seno69. Qando Giocasta arriva sul campo di

bataglia, il duello si è già concluso, sia Eteocle che Polinice sono a terra feriti a morte. τετρωμένους δ' ἰδοῦσα καιρίους σφαγὰς ὤιμωξεν· “Ὦ τέκν', ὑστέρα βοηδρόμος πάρειμι.” προσπίτνουσα δ' ἐν μέρει τέκνα ἔκλαι', ἐθρήνει τὸν πολὺν μαστῶν πόνον στένουσ' … 70

Il seno della madre, che nella supplica sarebbe stato mezzo di persuasione per ricordare ad Eteocle e Polinice il legame di sangue che li unisce, diventa centro del dolore causato dalla morte dei fgli71.

Giocasta si geta sul corpo dei fgli feriti a morte e dà inizio al θρῆνος.

In questo passo il gesto di cadere si inserisce nel complesso di immagini e suoni che compongono il codice del luto, insieme al fato di prendere contato con il corpo del morto e al lamento funebre.

Nella parodo delle Supplici, la performance corale non ha lo scopo di rappresentare fedelmente né il rito della supplica né quello del lamento funebre; sia dal punto di vista vocale che da quello gestuale assistiamo ad uno scarto del rituale tragico rispeto al rituale per come veniva praticato nel quinto secolo. Il lamento funebre risulta frustrato ed incompleto per l'assenza del cadavere, e d'altra parte la supplica appare non compiuta dal punto di vista gestuale: all'ato di cadere alle ginocchia non segue un contato fsico con il supplicato, e la rappresentazione del rito sembra arrestarsi ad una fase iniziale72.

69 Eur. Phoen. 1567-1569. 70 Eur. Phoen. 1431-1435.

71 Sulla supplica della madre che mostra il seno vd. infra, p. 105. Nell'Eletra Clitemestra mostra il seno ad Oreste per supplicarlo di non ucciderla, Eur. Electr. 1206 ss.

72 Il contato fsico, cui pure si accenna nel canto corale, non può essere considerato regolare e corrispondente a quello previsto nel rito, poiché abbiamo a che fare con un gruppo intero che dovrebbe stabilire un contato con una sola persona, immagine difcile da pensare restituita sulla scena in maniera efcace. Sulle implicazioni che questa modalità di

(21)

Oltre a risultare incompleti, i due rituali si contaminano a vicenda, creando un'interferenza non priva di signifcato, che si inserisce perfetamente nello svolgimento dell'azione della tragedia, di cui supplica e luto sono nuclei tematici centrali. Abiti, ateggiamento, voce e gesti assumono una doppia valenza.

Per comprendere l'uso del rituale in tragedia è utile tentare di seguire la trama della rete di riferimenti e connessioni all'interno dell'intero dramma o di sue sezioni, ma è ugualmente utile associare l'immagine, per intero o nei suoi elementi, con immagini parallele contenute in altre tragedie.

Partendo dalla parodo delle Supplici si può rifetere sulle associazioni possibili che si ativano con l'immagine di qualcuno che cade, in particolare quando si trata del coro. Il gesto si confgura sia come l'ato iniziale di una supplica sia come parte di immagini diverse, in cui spesso ricopre un ruolo signifcativo anche dal punto di vista della percezione dei Greci come spetatori della tragedia.

2.3 Il corpo che cade, polivalenze

Nelle Supplici, la polivalenza dell'immagine del corpo che cade si concretizza nell'interferenza tra due rituali, quello della supplica e quello del lamento funebre. Lasciando da parte il contesto del rito, tutavia, si possono ricavare altre associazioni, altretanto interessanti per la caraterizzazione del corpo del supplice.

Il fato di cadere a terra può ricorrere in contesti diversi in cui entrano in gioco le dinamiche di relazione tra uomini, o tra uomini e dei. Nei paragraf che seguono rifeteremo, quindi, sul signifcato del gesto di cadere ai piedi di un uomo, che ha una connotazione servile, e il gesto di cadere durante una preghiera, che viene connotato talvolta come ateggiamento femminile.

rappresentazione del rito ha per ciò che riguarda la percezione della temporalità del rituale vd. infra.

(22)

2.3.1 Ai piedi degli uomini: cadere e prostrarsi

Nell'Andromaca, tragedia che appartiene alla categoria delle suppliant plays per il fato di aprirsi con una scena di supplica73, il gesto di cadere si trova per due

volte a defnire un ateggiamento servile. Nel primo caso esso si pone come alternativa allo stare sull'altare del supplice. Nella prima parte della tragedia, Andromaca supplica sull'altare di Teti per trovare rifugio dall'aggressione di Ermione, che ha intenzione di punirla perché pensa che questa la stia avvelenando per renderla sterile.

La fgura della donna troiana, resa schiava, si contrappone a quelle della fglia di Elena, ricca e prepotente. Il contrasto fa forza su più punti, in particolare sull'abbigliamento e sul modo di parlare, e deve trovare un riscontro anche nell'ateggiamento fsico dei due personaggi74. Il modo in cui Andromaca sta

sull'altare si può immaginare diverso da quello dei supplici che cadono e si abbassano, dato che Ermione, che la minaccia di non accetare la sua richiesta e le preannuncia un destino servile, può usare l'immagine del cadere per indicare il momento in cui la schiava dovrà piegarsi ed obbedirle75:

ἀντὶ τῶν πρὶν ὀλβίων φρονημάτων πτῆξαι ταπεινὴν προσπεσεῖν τ' ἐμὸν γόνυ σαίρειν τε δῶμα τοὐμὸν …76.

In questo caso l'immagine di Andromaca che cade ai piedi di Ermione non può rimandare al rito della supplica: Andromaca ha già tentato la strada del rituale, che non ha avuto però esito positivo.

La sposa di Etore deve dimenticare la vita e le ricchezze di un tempo: ora che è schiava di Ermione, non le resta che inchinarsi ai suoi piedi, e comportarsi come

73 Per la defnizione delle suppliant plays vd. REHM 1988, e vd. supra.

74 Per i costumi nell'Andromaca vd. WYLES 2011, pp. 91-92. In generale sul confronto tra

Andromaca ed Ermione vd. i commenti di STEVENS 1971, LLOYD 1994.

75 L'ateggiamento di Andromaca da supplice è paragonabile a quello dei supplici minacciosi, che usano l'altare per proteggersi dall'aggressione del supplicato. Per un parallelo vd. l'esempio di Creusa nello Ione, infra.

(23)

una schiava.

I gesti della supplica vengono associati alla condizione servile anche più avanti nel dramma, ai versi 859-860 in cui Ermione considera il modo in cui sfuggire all'ira di Neotolemo: «τίνος ἄγαλμα θεῶν ἱκέτις ὁρμαθῶ; / ἢ δούλα δούλας γόνασι προσπέσω;77». Qi il fato di cadere alle ginocchia è presentato come

modalità di supplica alternativa a quella presso l'altare. A preoccupare Ermione è il disonore di essere, getandosi a supplicare Andromaca, schiava ai piedi di una schiava.

L'immagine in questo caso sembra indicare, quindi, non tanto la supplica in senso streto, quanto una modalità di relazione asimmetrica tra due individui, uno dei quali è sotomesso all'altro.

Anche nell'Oreste euripideo il gesto di cadere viene defnito come servile, con una variante: in questo caso alla connotazione servile viene aggiunta anche una connotazione etnica, associando il gesto di cadere ai piedi di qualcuno alla pratica barbara della προσκύνησις.

L'immagine che ci interessa si inserisce alla fne di un lungo confronto tra il coro, composto da anziani argivi, e uno degli schiavi frigi al servizio di Elena. Il Frigio è scampato all'agguato che Oreste ha teso all'interno della casa, e racconta al coro l'accaduto.

Il pretesto con cui Oreste e Pilade atirano Elena per caturarla è quello della supplica: i due sfrutano la forma del rito per raggiungere un contato con la donna. οἱ δὲ πρὸς θρόνους ἔσω μολόντες ἇς ἔγημ' ὁ το-ξότας Πάρις γυναικός, ὄμ-μα δακρύοις πεφυρμένοι, ταπείν' ἕζονθ', ὁ μὲν τὸ κεῖθεν, ὁ δὲ τὸ κεῖθεν, ἄλ-77 Eur. Andr. 859-860.

(24)

λος ἄλλοθεν δεδραγμένοι, περὶ δὲ γόνυ χέρας ἱκεσίους ἔβαλον ἔβαλον Ἑλένας ἄμφω78.

Il confronto tra il coro e lo schiavo frigio gioca sul dato etnico dei personaggi: mentre il coro recita i suoi versi in trimetri giambici, il Frigio canta una parte lirica, mentre gli Argivi si preoccupano per la sorte di Elena, il Frigio viene connotato come un servo codardo, che segue il costume dei barbari79.

Al verso 1507 il Frigio vede Oreste uscire armato dalla porta del palazzo, teme per la propria vita e gli si geta ai piedi: «προσκυνῶ σ᾽, ἄναξ, νόμοισι βαρβάροισι προσπίτνων80» È il Frigio stesso, che compie il gesto, a

caraterizzarlo come non greco. Oreste risponderà che l'ateggiamento, che a Troia sarebbe ammesso, ad Argo è fuori luogo.

Il passo viene interpretato da Naiden81 come una scena di supplica in cui

intervengono gesti di ossequio tipici dell'adorazione orientale. L'ateggiamento del Frigio nei confronti di Oreste, ed il fato che i gesti vengano compiuti nella speranza di otenere la pietà di un aggressore, sembrano suggerire una connessione con il rito.

In questa scena, tutavia, i movimenti del Frigio non vengono sviluppati e pensati come rituali: il solo punto che rimanda alla supplica è il fato di cadere espresso con il verbo προσπίτνω, che non essendo un verbo tecnico non può servire da solo ad indicare che si sta ricorrendo al rituale.

La reazione ostile di Oreste, poi, sembra marcare una diferenza: poco più di cento versi prima si dice che sarebbe stato lui a cadere supplice ai piedi di Elena82, anche se solo nella fnzione dell'inganno. Oreste ha compiuto i gesti del

78 Eur. Or. 1408-1415. Il verbo usato per indicare la posizione di Oreste e Pilade è ἕζομαι, che indica il fato di sedersi e rimanere in uno stato di atesa e di assenza di movimento. Utilizzato per la supplica, ἒζομαι ha anche il senso di “stare in agguato”, che sembra implicito nella scena dell'Oreste.

79 Vd. WEST, M. L. 1987; WILLINK 1986 ad vv. 1369-1502. 80 Eur. Or. 1507.

81 NAIDEN 2006, 238.

(25)

rito, senza che questo generasse alcun problema per la sua origine greca83.

Se ciò che fa il Frigio è diverso da ciò che Oreste dice di aver fato84, la diferenza

tra i due comportamenti deve stare nel προσκυνεῖν.

I due verbi προσπίτνω e προσκυνέω sono spesso utilizzati nelle fonti greche in contesti che hanno a che fare con le forme di ossequio praticate dai barbari. Non è chiaro, tutavia, se i due verbi indichino lo stesso gesto, quello di prostrarsi, o due gesti in qualche modo diversi. In un passo delle Fenicie ad esempio, al verso 293, il coro dice, rivolgendosi a Giocasta: «γονυπετεῖς ἕδρας προσπίτνω σ᾽, ἄναξ, / τὸν οἴκοθεν νόμον σέβουσ᾽85». I commentatori sostengono, a ragione, che

il coro delle Fenicie potesse compiere, danzando, dei movimenti che ricordavano le pratiche barbare di adorazione del sovrano. Forse con troppa facilità, tutavia, gli studiosi associano queste pratiche al termine greco προσκύνησις, che in questo passo non compare, e sostengono di conseguenza che nelle Fenicie Euripide intendesse rappresentare fedelmente la pratica, nota come προσκύνησις86.

Dato che per noi il problema della comprensione dei due gesti di προσπίτνειν e προσκυνεῖν si pone a partire dalla tragedia di Euripide, dobbiamo tenere presente che non si può considerare ciò che si ricava dalle nostre fonti come la fedele riproduzione delle pratiche di ossequio che i barbari, i Persiani in particolare, rivolgevano al sovrano. L'uso stesso del termine “barbari” non è casuale: se si mantiene una prospetiva ellenocentrica è chiaro che si oterrano risultati che ricalcano le impressioni dei Greci a proposito di forme di relazione da loro stessi percepite come altre.

83 Il rispeto delle regole della supplica viene anzi percepito dai Greci come un comportamento virtuoso totalmente greco, vd. l'esempio degli Eraclidi in cui Demofonte accusa l'araldo argivo, che ha fato violenza ai supplici, di comportarsi come un barbaro. Vd. infra.

84 SAID 1984 al contrario, interpreta l'ateggiamento del Frigio come caricaturale rispeto a

quello di Oreste, sostenendo che in questo passo Euripide avrebbe voluto metere in parallelo la codardia dello schiavo barbaro con quella dell'eroe greco.

85 Eur. Phoen. 293. Anche in questo caso chi parla defnisce il gesto come non greco.

86 CRAIK 1988 e AMIECH 2004 parlano rispetivamente di prostrazione e di genufessione e insistono sul caratere orientale di questo stasimo. MASTRONARDE 1988 collega l'ato di inginocchiarsi con la pratica della προσκύνησις e sostiene che esso venisse percepito come straniante dai Greci perché non inserito nel contesto rituale della supplica. Il passo viene solitamente messo in parallelo con Aesch. Pers. 152, per il quale vd. infra.

(26)

Erodoto, nell'episodio dell'ambasceria spartana alla corte di Susa, restituisce l'immagine della percezione greca della forma di ossequio composta da προσπίτνειν e προσκυνεῖν: Ἐνθεῦτεν δὲ ὡς ἀνέβησαν ἐς Σοῦσα καὶ βασιλέϊ ἐς ὄψιν ἦλθον, πρῶτα μὲν τῶν δορυφόρων κελευόντων καὶ ἀνάγκην σφι προσφερόντων προσκυνέειν βασιλέα προσπίπτοντας, οὐκ ἔφασαν ὠθεόμενοι πρὸς αὐτῶν ἐπὶ κεφαλὴν ποιήσειν ταῦτα οὐδαμά· οὔτε γάρ σφι ἐν νόμῳ εἶναι ἄνθρωπον προς-κυνέειν οὔτε κατὰ ταῦτα ἥκειν87.

Il rifuto degli Spartani è detato dal fato che il costume greco non prevedeva di indirizzare la προσκύνησις ad un uomo. Ciò che scandalizza gli ambasciatori spartani è che i Persiani applichino alle relazioni umane un ateggiamento che per i Greci era proprio delle relazioni tra uomini e dei e che faceva parte delle dinamiche della preghiera. Si potrebbe dire, in altri termini, che i Persiani rispetano la ripartizione tra le τιμαί degli uomini e quelle degli dei88.

Il verbo προσκυνέω viene usato in riferimento ad un gesto rivolto ad una divinità, in efeti, nell'unica sua atestazione precedente allo scontro tra Greci e Persiani, un frammento di Ipponate in cui il verbo ha come oggeto il dio Ermes, ed è ancora scomposto nei suoi due elementi, la preposizione πρός ed il verbo κυνέω, “baciare”89.

Proprio l'etimologia del verbo, che indica altro rispeto al fato di prostrarsi, ha fato pensare che i signifcati di προσπίτνω e προσκυνέω non fossero totalmente sovrapponibili.

Se si toglie il fltro greco alla rappresentazione di questo ateggiamento, per concentrarsi soltanto sulle fonti che provengono diretamente dall'impero

87 Hdt. VII, 136.

88 Il fato che la προσκύνησις costituisca un problema, in quanto violazione della ripartizione delle τιμαί, è argomento del discorso di Callistene ad Alessandro, riportato in Arr. Alex.

Anab. IV, 11, 2-9.

89 Hippon. fr. 24 Diehl «παρ' ᾧ σὺ λευκόπεπλον ἡμέραν μείνας / πρὸς μὲν κυνήσειν τὸν Φλυησίων Ἑρμῆν».

(27)

achemenide, emerge tutavia la possibilità che la προσκύνησις fosse cosa diversa da ciò che appare nei testi greci.

Un rilievo dell'Apadana90, in particolare, rappresenta un alto dignitario di corte,

che di fronte al re si porta la mano alla bocca91. Il gesto andrebbe nella direzione

di un baciare rituale che ben si concilia con l'etimologia del verbo προσκυνέω92.

Le corrispondenze che si trovano tra l'etimologia del termine greco ed il gesto persiano dei rilievi non si riscontrano con la stessa facilità, purtroppo, nelle fonti archeologiche, nelle quali non ci sono atestazioni di un gesto di devozione che rifeta quello che gli Spartani dovrebbero tributare al re nel passo erodoteo. Non c'è, in altri termini, la prova che lo stesso bacio rituale che nel rilievo si rivolge al re corrispondesse, in Grecia, ad una pratica di venerazione degli dei93.

Ciò che resta da fare è constatare che sia nella resa greca degli usi persiani che nelle immagini della preghiera94, la προσκύνησις è cosa diversa dal fato di

cadere espresso dal προσπίτνω95 e che, d'altra parte, per i Greci le due cose erano

stretamente connesse.

I due verbi si trovano associati anche in un passo erodoteo, che descrive le abitudini dei Persiani nel salutarsi:

Ἐντυγχάνοντες δ' ἀλλήλοισι ἐν τῇσι ὁδοῖσι, τῷδε ἄν τις διαγνοίη εἰ ὅμοιοί εἰσι οἱ συντυγχάνοντες· ἀντὶ γὰρ τοῦ προσαγορεύειν ἀλλήλους φιλέουσι τοῖσι στόμασι. Ἢν δὲ ᾖ οὕτερος ὑποδεέστερος ὀλίγῳ, τὰς παρειὰς φιλέονται. Ἢν δὲ πολλῷ ᾖ οὕτερος

90 Il rilievo risale agli ultimi anni del regno di Dario ed è riprodota in ROOT 1979 fg. 17,

descrita a p. 227 e seguenti.

91 BICKERMAN 1963, pp. 250-251 studia il gesto, che viene messo in parallelo con immagini

simili in rilievi del Vicino Oriente. Secondo il Bickerman il gesto di baciare poteva occasionalmente essere associato al fato di prostrarsi, ma non sistematicamente: le fgure rappresentata prostrate sui rilievi sarebbero soltanto schiavi o vinti.

92 Vd. CHANTRAINE 1968, s.v. κυνέω.

93 La descrizione di una pratica simile si trova nell'Elogio di Demostene atribuito a Luciano (Dem. Enc. 49). Riunire, come fa BICKERMAN 1963 i due punti estremi, le atestazioni di

Ipponate e di Luciano, per pensare ad una pratica del baciare rituale difusa nel mondo greco, a fronte di una mancanza completa di testimonianze archeologiche, appare difcile. 94 Sul gesto della προσκύνησις in contesti di preghiera vd. AUBRIOT-SÉVIN 1992, p. 132 e

PULLEYN 1997 pp. 191-194.

95 HALL 1989 propende per la genufessione, praticata secondo VAN STRATEN 1974 di fronte a

(28)

ἀγεννέστερος, προσπίπτων προσκυνέει τὸν ἕτερον96.

Il contesto in questo caso non è quello della corte: Erodoto sta restituendo un'immagine delle diferenti modalità di relazione tra i Persiani, che sono descrite come completamente altre rispeto alla modalità greca che si fonda sull'esercizio della parola97.

Nel Panegirico di Isocrate si elencano alcuni comportamenti che manifestano quanto le ψυχαί dei Persiani siano rese misere dalla monarchia:

τὰς δὲ ψυχὰς διὰ τὰς μοναρχίας ταπεινὰς καὶ περιδεεῖς ἔχοντες, ἐξεταζόμενοι πρὸς αὐτοῖς τοῖς βασιλείοις καὶ προκαλινδούμενοι καὶ πάντα τρόπον μικρὸν φρονεῖν μελετῶντες, θνητὸν μὲν ἄνδρα προσκυνοῦντες καὶ δαίμονα προσαγορεύοντες, τῶν δὲ θεῶν μᾶλλον ἢ τῶν ἀνθρώπων ὀλιγωροῦντες98.

Il giudizio di valore sui Persiani si basa, anche in questo caso, sulla restituzione di un ateggiamento che contamina gli onori degli uomini, che per un greco si riassumono nel fato di προσαγορεύειν, con quelli riservati agli dei. Il cadere a terra in questo caso è più di un semplice prostrarsi: si usa προκυλινδέομαι che signifca “rotolarsi ai piedi di qualcuno99”.

In questo senso si può pensare che l'associazione del prostrarsi e del προσκυνεῖν non sia una restituzione fedele che deriva dall'osservazione di una pratica reale, ma che essa faccia parte di una costruzione dell'alterità persiana che associa un gesto alla percezione greca di una diferenza di atitudine e di valore, applicata alla descrizione di dinamiche sociali e politiche diverse da quelle della Atene del quinto secolo.

96 Hdt. I, 134. Pulleyn 1997, p. 192 nota che il fato che nel passo ci si riferisce a due tipi di bacio fa propendere per l'interpretazione nella direzione del bacio rituale. La sua discussione dei due passaggi di Erodoto, Hdt. I, 134 e VII, 136 è però viziata da una letura sbagliata di questo brano, che Pulleyn legge come riferito agli Spartani.

97 Per le modalità di costruzione dell'alterità in Erodoto vd. HARTOG 1980 in particolare pp. 225 e ss.

98 Isocr. IV 151.

Riferimenti

Documenti correlati

«sia nella giurisprudenza penale che in quella amministrativa, è consolidato il c.d. principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti. Ciò comporta

mento in modo positivo è lalvolta con qualche connotazione meno limpida, come la diffusione del la- voro nero a domicilio negli Anni 50.6 60, l'ultimo mezzo secolo

A queste tecniche se ne possono aggiungere altre, pur se meno convenzionali: la dilatazione spettrale, ovvero un’espansione dello spettro di un suono ma non della durata (in

Noi adunque molto commendando le salutari e proficue cure del pre- detto nostro amato figliuolo, affinché con il divino aiuto vie maggiore in- cremento di giorno in giorno prenda

[r]

Da quella pionieristica impresa prese il nome il Festival Orestiadi di Gibellina, tuttora attivo, che tra i molti spettacoli (classici e non) annovera anche adattamenti siciliani

Dipartimento Lavori Pubblici, Finanza di Progetto e Partenariati - Servizio Gestione Patrimonio Immobiliare,. passo Costanzi 1 — cap

Molto più importante appare il riconoscimento – che dalle élites si diffonde all’intero corpo sociale – della sessualità femminile, del diritto delle donne a