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CAPITOLO II

L’ISTITUTO DELLA PERIZIA PSICHIATRICA

SULL’IMPUTABILITA’ NEL PROCESSO PENALE

PARTE PRIMA:

1. Premessa.

Per affrontare e risolvere gli aspetti pratici della perizia psichiatrica, è utile definire i motivi che spingono a ricorrere a tale istituto nonché delineare la collocazione della perizia nel suo contenuto più generico. Il processo penale ha come scopo principale quello della ricostruzione degli eventi così come si sono verificati in natura, ai fatti ricostruiti verrà poi assegnato un giudizio di valore ad opera della legge penale sostanziale. Il diritto penale sia sostanziale sia processuale è la prima delle scienze criminali, ovvero quegli studi che hanno ad oggetto il fenomeno delittuoso come loro fondamentale interesse. Ne fa parte anche la criminologia, la quale si occupa di studiare i fatti delittuosi, gli autori dei delitti, la reazione sociale messa in atto per combatterli e prevenirli e le analisi delle conseguenze del crimine sulla vittima; essa è in gran parte debitrice al diritto penale della definizione e della delimitazione stessa dell’oggetto su cui deve indirizzare la sua ricerca e il suo sapere128. La criminologia è una scienza129 dell’uomo, che si occupa di studiare la realtà complessa, articolata, multiforme che è il comportamento umano nei suoi infiniti aspetti. Ed è proprio l’uomo che a noi qui interessa, colui che viola la legge penale e che deve essere osservato per accertarne le condizioni che lo hanno spinto a delinquere e nel far questo ci portiamo dietro un approccio psichiatrico nello studio della criminologia, constatando il rapporto delitto/disturbo mentale da cui derivano connessioni e conseguenze su questioni cardinali del diritto, come l’imputabilità. Non v’è dubbio, invero, che i comportamenti delittuosi frequentemente sono

128PONTI G., MERZAGORA I. M., Compendio di criminologia, 2008, p. 3.

129Tuttavia va detto sin da ora che “la possibilità della scienza di fare previsioni esatte ha

portato straordinari successi nelle scienze fisiche, e ad altrettanti insuccessi nelle scienze sociali (Barrow,1988), proprio perché non si può mai sapere con certezza cosa un individuo deciderà di fare”. Ibidem.

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causati da disturbi psichiatrici, la cui consistenza pone il problema del loro accertamento processuale e delle conseguenze che ne discendono sul piano sanzionatorio130. Per raggiungere questi fini, posto che l’osservazione empirica è imprescindibile, nel corso del procedimento penale è sempre più frequente che il giudice e le parti debbano avvalersi di strumenti tecnico-scientifici, quindi dell’ausilio di esperti in determinati settori, al fine di una valutazione clinica dell’individuo e per acquisire quei dati di cognizione necessari per l’emanazione di una giusta sentenza; per questo scopo vengono introdotti nel circuito processuale due istituti, la perizia e la consulenza tecnica131. L’accertamento peritale ha il suo fondamento nella necessità di apportare al giudice le cognizioni indispensabili per la valutazione degli elementi probatori raccolti nel corso dell’istruttoria dibattimentale o nella fase delle indagini preliminari dal GUP. Lo scopo della perizia consiste nella ricerca e nella comprensione dell’accaduto a servizio del processo e per questo deve essere convincente, motivata, documentata, fruibile e comprensibile soprattutto a chi ha il pesante onere di giudicare una persona, deve essere basata su ragionamenti scientifici adeguatamente motivati e risolutivi, sulla scorta di elementi storico-clinici ed obiettivi, raccolti con cura e metodo. In generale essa è un parere tecnico motivato che l’esperto fornisce a specifici quesiti aventi rilevanza giuridica132. Il termine “parere” esprime il fisiologico ed inevitabile grado di soggettività che qualsiasi risposta professionale, per quanto possa essere obiettivamente ancorata al rispetto dello “stato dell’arte” della disciplina, non può non esprimere. La qualificazione di “tecnico” attiene alla specifica competenza scientifico-professionale che deve essere versata

130CENTONZE A., L’inquadramento dei disturbi mentali atipici, la capacità’ giuridica

penale e l’accertamento della pericolosità sociale dell’imputato. In Rassegna Penitenziaria.

131Cit. LEMBO M. S., La perizia nel processo penale. E ancora: La consulenza tecnica è

un istituto del diritto processuale italiano collegato al mezzo di prova della perizia. Le parti del processo, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa dal reato possono nominare uno o più consulenti tecnici affinché conferiscano al processo i dati o le valutazioni che richiedono specifiche cognizioni di una tecnica, scienza o arte. Possono essere disposte consulenze dopo la nomina del perito oppure senza che sia stata disposta perizia, si parlerà di consulenza extra peritale.

132È da condividere il rilievo che la definizione più soddisfacente della perizia sia quella

di “dichiarazione utile per la valutazione di un elemento di prova” resa al giudice. CORSO P., Periti e perizia in dir. proc. pen., XXXIII, 1983.

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nell’elaborazione del parere, sulla base di quelle regole scientifiche e procedurali che fondano e qualificano l’elaborato peritale come tale. Il termine “motivato” sottende il dovere del perito ad esplicitare chiaramente il percorso logico che ha portato a quelle specifiche conclusioni, in modo da renderle verificabili in ogni parte dai vari fruitori dell’elaborato.

Ergo, risultati a cui si perviene, sono solo pareri tecnici poiché la scienza, tutta la scienza non solamente quella psichiatrica di cui qui ci interessa, non fornisce verità, ma conoscenza, comprensione dell’accaduto, spesso solo tentativi di comprensione133. L’apporto del sapere scientifico alla giustizia penale si è rivelato fondamentale; tuttavia, occorre notare come l’utilizzazione progressivamente più ampia della scienza nel procedimento penale, con esiti giudiziari spesso inaspettati, generi la necessità di riflettere sulla relazione tra sapere scientifico e giustizia. Il complesso quadro dei rapporti tra diritto e scienza ha alimentato negli studiosi la consapevolezza di un’inevitabileinterazione, fino ad auspicare un modello “integrato” di scienze penalistiche basato su una stretta cooperazione tra dogmatica giuridica e scienze empiriche, pur trattandosi di ambiti differenti. Non è questa la sede per discutere di questi argomenti, essendo il mio intento specifico quello di delineare le caratteristiche della perizia psichiatrica come mezzo di accertamento delle condizioni di mente del periziando, pur tuttavia ritengo necessario tenere a mente questo costante aspetto scientifico che accompagna il tema della perizia e dell’elaborato.

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1.1 Un punto di vista storico.

Si avverte, innanzi tutto, che l’impiego della perizia come indagine diretta all’accertamento della capacità di un soggetto imputato non risulta essere presente né presso gli antichi greci prima (malgrado nella fiorente cultura greca si sia avuto il fondamento della medicina scientifica), né nel processo penale romano dopo. In quest’ultimo la prova peritale non è così largamente in uso come lo è oggi, poiché è una delle prove più difficili a regolarsi. Il diritto criminale si occupava delle condizioni dell’autore di reato malato di mente qualificandolo con le categorie “dell’insanus”, del “furius”, del “demens” per indicarlo come un “alieno”, considerando la malattia mentale una sorta di maledizione degli dei e in generale questi soggetti restavano impuniti. Tuttavia non mancano nella procedura Giustinianea esempi di perizie: il giudice incarnava le vesti del perito e talvolta era affiancato da un consilium che dava pareri su cui poi egli, libero nella sua scelta, decideva definitivamente. Uguale impostazione la troviamo presso gli ebrei in il giudice fungeva da perito e quando egli non possedeva cognizioni particolari, ricorreva ai leviti che erano assieme giudici e medici. Nel Medio Evo il malato di mente continua ad essere visto e vissuto (soprattutto dalla Chiesa cristiana), come una persona da eliminare dal contesto sociale. Grandi erano i pregiudizi nei confronti del malato di mente autore di reato, infatti la malattia mentale, lungi dal rappresentare una attenuante, era considerata addirittura un’aggravante tale da giustificare processi sommari che, passando attraverso indicibili torture in orride prigioni, portavano alla soppressione fisica del soggetto134. L’affermazione legale della perizia nel procedimento penale ha luogo con la Constitutio criminalis Carolina promulgata da Carlo V nel 1532. Fu richiesto l’intervento del tecnico nei reati di omicidio, di infanticidio, di procurato aborto e per l’accertamento degli errori professionali e si assiste al fatto che il progresso della perizia va di pari passo al progresso della medicina. Nelle decisioni della Sacra Rota è frequentemente menzionata la perizia, di cui Farinacio sviluppò la dottrina in ogni dettaglio anche sul

134CARRIERI F., CATANESI R., La perizia psichiatrica sull’autore di reato:

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potere e nomina dei periti. Notevoli in proposito sono le decisioni della Sacra Rota: decisione 346 n. 5 e 6, in data 9 dicembre 1611 “e i medici periti depongono sull’infermità di alcuno che non videro né curarono, fanno prova quando non è richiesta la plena probatio”, “il giudizio del medico perito nell’arte propria, forma prova”. Decisione 300 n. 5 “bisogna attenersi al giudizio dei periti sulla causa di morte di alcuno” e ancora “non ha fondamento la pretesa dei periti di esercitare alcuna giurisdizione”. Decisione 37 n. 2 “più che ad ogni altro bisogna credere ai periti, quando depongono che qualcuno è sano di mente” e da ultimo la 353 n.7 “i periti possono essere sentiti come testimoni su ciò che hanno precedentemente esaminato”.

Perché si affermino principi che facciano parte della coscienza collettiva di ogni paese civile, bisogna attendere gli eventi che maturano intorno al ‘700 e all‘800, epoca dell’illuminismo francese, che porta con sé quei postulati di libertà, di uguaglianza e di fraternità collocandoli come elementi cardine della società e riconoscendo tali diritti indiscriminatamente a tutti gli esseri umani. È in questo momento storico che la concezione del malato di mente cambia. Costui non è più considerato folle e alienato come detto all’inizio, ma soggetto che riacquista la sua dimensione umana ottenendo legislativamente i diritti comuni agli altri cittadini e una responsabilità morale e penale. Furono rifiutate le spiegazioni demoniache e moralistiche e la follia fu intesa, per la prima volta, una malattia di mente e come tale curabile. Il pazzo è ora una persona da rieducare al vivere sociale, ma resta comunque il principio secondo cui questo soggetto doveva essere escluso dalla società e tenuto rinchiuso in apposite strutture. Tipico di questo momento è stato il grande sviluppo del sistema manicomiale. Foucault ci ricorda che in Francia la perizia classica era regolata all’art 64 del Codice Napoleonico del 1810: “non c’è crimine né delitto se l’individuo era in stato di demenza al momento del suo atto”. Questa regola aveva informato la perizia penale per tutto il XIX secolo. Sulla scia del Codice Napoleonico nascono quei codici figli di una ideologia liberale che pongono al centro delle questioni penali proprio il senso di quella libertà dell’uomo che a lungo era stata latente. Nello stesso tempo, uscendo dai secoli bui, le discipline

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psichiatriche si fanno spazio e acquisiscono dignità scientifica e clinica. Alla perizia psichiatrica verrà affidato il compito di tracciare una linea di demarcazione tra malattia e responsabilità. Tra casualità patologia e libertà del soggetto giuridico, tra terapia e punizione, fra terapia e prigione sulla ideologia che la follia cancella il crimine e la giustizia non può impadronirsi del folle135. Non è questa la sede per riaprire le polemiche mai sopite tra gli opposti estremismi di chi giura sulla assoluta libertà dell’uomo e chi postula la assoluta inesistenza del libero arbitrio136. È facile per noi, oggi, credere che esiste una via di mezzo tra queste due impostazioni, una via rappresentata sì dall’ammissione della libertà dell’uomo nel suo agire, ma dalla constatazione che detta libertà sia fortemente condizionata da tutta una serie di fattori di ordine biologico, psicologico, sociale, quegli stessi fattori che ritroviamo nella concezione integrata di malattia mentale. Di fronte a tale concezione, che ha portato ad una crisi del concetto stesso di malattia mentale, è andato disgregandosi anche il rapporto tra psichiatria e diritto che per lungo tempo era stato solido, mettendo in crisi il ruolo degli esperti nel procedimento penale. La psichiatria non era più in grado di assemblare certezze scientifiche ed indiscutibili, prolificavano nelle aule dei tribunali incertezze e dubbi a causa del simultaneo moltiplicarsi di opposte dottrine psichiatriche. Effetto conseguente è stato un progressivo disuso della perizia e secondo un approccio alquanto radicale, si tendeva ad eliminare dal processo la perizia psichiatrica sulla presunzione di parificare i soggetti incapaci ai soggetti “normali”. Nello stesso momento si stava infrangendo la considerazione della scienza come conoscenza assoluta e veniva in auge la considerazione popperiana della fallibilità della stessa secondo la quale “un numero qualsiasi di verificazioni non autorizzava a considerare vera una teoria”, gli enunciati per essere scientifici dovrebbero essere falsificabili137. In base a tali considerazioni la

135BIZZARRI C., Criminali o folli, nel labirinto della perizia psichiatrica, 2010, p.16. 136Di quest’ultima concezione è esponente Cesare Lombroso, padre dell’antropologia

criminale nel 1876. La concezione Lombrosiana, nell’ambito di quel filone culturale definito “determinismo”, mina proprio alla base il problema della libertà dell’uomo, postulando invece una assenza di libertà nelle sue scelte che ha come corollario logico l’affermazione che il criminale è necessitato al crimine, anzitutto da cause di ordine biologico.

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psichiatria veniva considerata una pseudoscienza. Ma facciamo un passo indietro.Il primo codice post unitario, il Codice Zanardelli entrato in vigore nel 1890, ignorando le polemiche in ambito scientifico, continua ad attenersi alla linea classica della ideologia liberale fondata sul dilemma imputabilità/non imputabilità del malato di mente autore di reato. Secondo l’art. 46 c.p., non era punibile colui che, nel momento in cui aveva commesso il fatto, si trovava in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti. Il codice, poi, escludeva dalla competenza del giudice penale il trattamento del malato di mente autore di reato. Dopo il proscioglimento infatti, la competenza passava alla discrezionalità del giudice civile, il solo che poteva disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico civile.

Il Codice Rocco, in vigore dal 1931, seppur modificato in molti punti, risulta fortemente incentrato ancora sul principio di libertà e di imputabilità, prevedendo il proscioglimento per gli infermi di mente. Questa volta però, il trattamento dei malati di mente autori di reati è affidato al giudice penale e viene eseguito nei manicomi criminali (nel 1896 ad Aversa viene istituito il primo manicomio criminale in Italia, la cui nascita è sancita solo dopo qualche anno con il Regio Decreto n. 260 del 1 febbraio 1891 che stabiliva la possibilità di internate nel manicomio criminale oltre ai delinquenti impazziti in carcere, anche i prosciolti perché folli al momento del reato). In buona sostanza, il “matto” non delinquente veniva ricoverato in manicomio civile e il “matto” delinquente in quello criminale, ma non in esecuzione di pena poiché era non imputabile, bensì come misura di sicurezza. Il concetto di non imputabilità per incapacità di intendere e volere nato per proteggere i pazienti dal carcere, ha determinato la separazione del percorso di giustizia dei malati di mente dal resto della popolazione. Vi era poi la presunzione iuris et de iure della pericolosità sociale con ricovero sempre presso il manicomio criminale. Era questo il momento di forte legame tra psichiatria e diritto, che abbiamo visto disgregarsi, come prima accennato, proprio nel momento in cui cambia la considerazione del malato di mente. Il mondo psichiatrico e quello giuridico procedevano in modo sincronico, mediante prospettive comuni e di difesa sociale, frutto

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dell’accoglimento da parte di entrambe, del paradigma medico e nosografico: solo qualora fosse palese la sussistenza di un’anomalia e fosse possibile l’inquadramento di questa in uno dei cluster del DSM, veniva riconosciuto il vizio di mente. In questo contesto, la perizia psichiatrica veniva disposta in genere (si procedeva altrimenti in modo automatizzato all’internamento dell’infermo presso un OPG) solo nei casi in cui emergevano fondati sospetti di anormalità ed il ruolo del perito era così riduttivamente teso all’etichettamento del periziando, la cui sorte, nel caso in cui venisse riscontrata una malattia nosograficamente inquadrata, era presuntivamente proprio l’internamento nel manicomio criminale, evoluto poi nell’ ospedale psichiatrico giudiziario. Il perito in questa veste era considerato una longa manus del giudice essendo da questi condivisa la medesima visione della malattia mentale, una visione positivistica ed organicistica138. Era infatti questo il momento di pieno sviluppo delle idee positiviste, che accettavano l’idea che le alienazioni mentali fossero malattie del cervello e non della mente come si pensava pochi decenni prima. Il più autorevole rappresentante della psichiatria positivista, Cesare Lombroso ideatore della scuola dell’antropologia criminale, diffonde quelle tesi che si basano sulla criminalità innata e biologicamente determinata, il criminale è un malato poiché i suoi comportamenti sono determinati da predisposizioni di natura fisiologica, solo in parte condizionati socialmente e spesso di manifestano nell’aspetto esteriore, nella configurazione anatomica del corpo e in particolare nel cranio139. L’equazione uomo-delinquente, delinquente-nato è ormai avviata e da qui muove i primi passi la questione della difesa sociale in termini di pericolosità, associata a misure di sicurezza. Le origini dell’istituto della perizia psichiatrica così come la conosciamo oggi, con l’importantissima funzione di mediazione tra le esigenze del

138I positivisti consideravano l’attività mentale patologica e non come un prodotto del

cervello; l’attività mentale era considerata secrezione del cervello come la bile è secrezione del fegato. La causa dell’alterazione mentale era da ricercarsi in un’alterazione organica dell’organo del cervello. GIORDANO G., L’ influenza della perizia psichiatrica sulle decisioni del giudice e sui programmi di trattamento in www.altrodiritto.unifi.it.

139Lombroso aveva individuato una “fossetta” che riteneva espressione di un carattere

degenerativo tipico dei delinquenti. Il delinquente nato ha caratteristiche ataviche, regressive, che lo spingono a compiere reato e gli rendono difficile l’adattamento sociale. Il determinismo domina e l’uomo agisce in totale assenza di libertà.

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diritto e quelle della cura, risalgono quindi a due secoli, quando i cinque più importanti articoli del Codice Rocco, ovvero l’art. 42 (responsabilità), l’art. 85 (capacità di intendere e volere), l’art. 88 (vizio totale di mente, a cui segue l’art. 89 (vizio parziale di mente) e l’art. 90 (stati emotivi e passionali), sono le norme giuridiche con cui lo psichiatra forense deve ancora oggi fare i conti, nonostante i cambiamenti avvenuti nella psichiatria degli ultimi decenni, a partire dai contributi teorici della psicoanalisi, della fenomenologia, della sociologia che l’hanno resa una disciplina complessa per la quale i confini tra normalità e patologia mentale sono sempre più difficili da definire, con inevitabili riflessi sulla nozione di infermità e imputabilità.

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2. La perizia come mezzo di prova “neutro”.

Tracciare i confini entro cui la perizia psichiatrica si colloca nel nostro procedimento penale presuppone la conoscenza della sua natura giuridica. La formale collocazione tra i mezzi di prova consente di ritenere superata la vecchia questione dibattuta in dottrina e giurisprudenza circa la sua qualificazione processuale quale “prova”, “mezzo di prova” o “mezzo di valutazione della prova”. In passato, la giurisprudenza era orientata nel senso di considerare la perizia uno strumento tecnico per l’interpretazione e la soluzione di tutti i problemi e le questioni che richiedono una particolare conoscenza di materie tecniche, scientifiche, artistiche140. Successivamente, un diverso orientamento ha superato la concezione della perizia come mezzo per valutare elementi di prova già acquisiti, ammettendo che essa possa venire espletata anche per consentire l’acquisizione di nuovi dati conoscitivi e riconducendola, così, tra i mezzi di prova141. Questi, disciplinati negli artt. 194-243 c.p.p. (Libro III, Titolo II, che menziona la testimonianza, l’esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti), sono tutti caratterizzati dall’attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione e quindi hanno, in quel giudice, il loro naturale destinatario. In un procedimento penale una consulenza o una perizia o, più in generale, un qualsiasi apporto conoscitivo di matrice scientifica, si rendono necessari ai fini della valutazione di quello che è ritenuto dal giudice, dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria o dal difensore, un elemento rilevante nel procedimento: in altre parole, non è altro che uno strumento di acquisizione di fatti già rappresentati o valutazione di fatti già dimostrati e anche dati conoscitivi nuovi, ma non è, in sé, elemento di prova142.Dal momento della sua natura di mezzo di

140Cass. Pen., sez. IV, 18 febbraio 1994, in CED Cass., 197965

141P. FERRUA, E. MARZADURI, G. SPANGHER, La prova penale, Torino, p. 404;

CAPRIOLI F., La scienza “cattiva maestra”: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. Pen., 2008, p. 3523: “la vecchia concezione della perizia come strumento esclusivamente valutativo è superata e smentita dalla stessa lettera dell’art 220, comma 1, c.p.p., che chiama in causa il perito non solo quando si tratti di compiere valutazioni, ma anche quando occorra “svolgere indagini” o “acquisire dati”.

142Come riferito da ORLANDI R., L’attività argomentativa delle parti nel dibattimento

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prova, può essere assunta come tale nelle varie fasi del giudizio se è ritenuta convincente e metodologicamente corretta, oppure no.

Va poi affermato che per sua natura e per i suoi obiettivi, non può essere considerata mezzo di prova in senso stretto. Nell’ambito della giurisprudenza di legittimità si è affermata una lettura interpretativa della perizia quale mezzo di prova “neutro”, sottratto al potere dispositivo delle parti143 ed affidato esclusivamente alla discrezionalità del giudice, inidoneo ad essere collocato in una prospettiva di prova “a carico” o “a discarico” e, dunque, formare oggetto di esercizio del diritto alla prova contraria, specificamente tutelata nel ricorso in Cassazione ex art. 495 comma 2 c.p.p. Sottrarre la perizia al potere dispositivo delle parti non è considerato limitativo del diritto di difesa, posto che per l’imputato, è sempre possibile ricorrere alla nomina di un consulente tecnico. Non può parlarsi poi di accertamento peritale che conduce al concetto di “prova decisiva”144 la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 606 lettera d), c.p.p. Il carattere di neutralità attribuito alla perizia sottende un riconoscimento di oggettività ed imparzialità del sapere scientifico. Si tratta di un’impostazione epistemologica che vorrebbe descrivere la scienza come neutra in quanto oggettiva e avalutativa. Tale attribuzione, tuttavia, appare dissonante rispetto ai mutamenti che negli ultimi decenni hanno riguardato il concetto di scienza, attestandone la sua “limitatezza” e continua evoluzione145. Ne deriva che, ove con l’espressione “neutra” riferita alla perizia si volesse delineare una sorta di oggettività che promana dal sapere degli esperti, ci si troverebbe in grande difficoltà poiché qualsiasi attività

mezzo di prova ad attività come la perizia: il perito era concepito come un mero ausiliario dell’ufficio giudiziario, una sorta di “protesi intellettuale” della quale il giudice era costretto a servirsi per sopperire all’ignoranza di certe massime.

143TONINI P, Manuale di procedura penale, Milano, 2014, p.176: “la considerazione

secondo cui la perizia è sottratta al potere dispositivo delle parti contrasta non solo con il principio del diritto alla prova previsto dall’art. 190 c.p.p., ma anche con la lettera dell’art. 224 c.p.p., il quale stabilisce che la perizia può essere disposta “anche d’ufficio”, sottolineando in tal modo il potere residuale del potere del giudice”.

144Ex multis Cass. Pen., sez VI, 25 novembre 2008 n. 48379. Per approfondimento vedi

anche Cass. Pen., sez. IV, sent. 4 maggio 2011 n. 33734 in SCILLANTI M., URSITTI G., Perizie penali: strategie e vizi, 2014, p.163.

145In proposito, cfr. TONINI, Dalla perizia “prova neutra” al contraddittorio sulla

scienza, CONTI (a cura di), Scienza e processo penale, Milano, 2011, 3 ss.; RIVELLO P. P., Il processo penale di fronte alle problematiche dell’età contemporanea, Torino, 2010, 52 ss.

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scientifica comporta sempre una lettura interpretativa dei dati e necessariamente, una valutazione soggettiva degli stessi. Dati che, tra l’altro, possono mutare in base al metodo scientifico scelto, ai laboratori utilizzati, alle competenze non solo dell’esperto nominato, ma anche dei vari soggetti che intervengono nella c.d. catena di custodia. Sulla configurazione della perizia quale dato probatorio “neutro”, inoltre, influisce un malinteso della funzione del giudice. L’attribuzione del carattere di neutralità alla perizia deriva, invero, anche da una “vecchia” concezione del ruolo processuale attribuito al giudice, tipico del sistema “misto” affermatosi nel codice di rito del 1930. Si pensa, cioè, a una prova peritale neutra poiché si ha in mente un organo giurisdizionale attivo nella dinamica probatoria, ma pur sempre imparziale ed estraneo ai meccanismi probatori imputabili alle parti, che attribuisce un incarico di ricerca e valutazione al perito considerato organo ausiliario del giudice e, dunque, soggetto che mette a disposizione un sapere “neutro”146. In più c’è da dire, in concreto, che il carattere di neutralità si pone in contrasto con il quarto comma dell’art. 468 c.p.p. nel quale, tra le possibili citazioni a prova contraria che possono essere richieste dalle parti, si indica anche quella dei periti. E infine, la considerazione secondo la quale la perizia è sottratta al potere dispositivo delle parti contrasta non solo col principio del diritto alla prova previsto all’art. 190 c.p.p., ma anche con la lettura dell’art. 224 c.p.p. il quale stabilisce che la perizia può essere disposta “anche d’ufficio”, sottolineando in tal modo il potere discrezionale del giudice. Accanto alle specifiche competenze scientifiche, il legislatore del 1988 introduce il riferimento a quelle “tecniche”, dovuto al “continuo espandersi di tecniche sempre più differenziate e sofisticate”147. Posso qui aggiungere che, di regola, la perizia è ammessa su richiesta di parte; tuttavia, in deroga al principio dispositivo di cui all’art. 190, comma 1, primo periodo, il c.p.p., all’art. 224, comma 1, prevede che possa essere disposta dal giudice anche d’ufficio. Peraltro, nel corso delle indagini

146In questi termini, DOMINONI, La prova penale scientifica, cit., p. 342

147Relazione prog. prel. c.p.p., in G.U., 24 ottobre 1988, n. 250. In senso critico, MIUCCI

C., La testimonianza tecnica nel processo penale, Milano, 2011, p. 45, secondo cui il codice si limita a prevedere che il contributo offerto dagli esperti possa derivare da competenze scientifiche o tecniche, ma non anche da competenze “altrimenti specializzate”.

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preliminari e nell’udienza preliminare, l’operazione è disposta dal giudice unicamente su richiesta delle parti, con le forme previste per l’incidente probatorio. Ai sensi dell’art. 392 c.p.p., il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono richiedere al giudice che si proceda con tale incidente a una perizia in due casi:se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile (art. 392, comma 1, lett. f); o se la perizia è di una complessità tale che, se disposta durante il dibattimento, ne provocherebbe una sospensione per un tempo superiore a sessanta giorni (art. 392, comma 2).Al di fuori di tali casi, la perizia può essere disposta nel corso del dibattimento, d’ufficio o su richiesta di parte, ai sensi dell’art. 508 c.p.p.; e, in via eccezionale, come atto urgente, ex art. 467 c.p.p.

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2.1 Presupposti per la sua ammissione ed

inquadramento codicistico.

L’area di operatività dell’istituto della perizia ha conosciuto un costante allargamento, confermato dal divario esistente tra l’impostazione inizialmente accolta in materia dal c.p.p. del 1930 e quella delineata dal c.p.p. del 1988. Secondo la dizione originaria dell’abrogato art. 314 c.p.p., al giudice era concessa una larga discrezionalità in relazione all’effettuazione della perizia. L’art. 314, primo comma, recitava: “quando sia necessaria un’indagine che richieda particolari cognizioni di determinate scienze o arti, il giudice può disporre la perizia”148. Simile configurazione normativa risentiva di taluni atavici pregiudizi (il legislatore si era mostrato piuttosto restio, in linea generale, ad ammettere nel processo penale contributi di scienze non giuridiche) ed appariva basata sulla visione, ingenua ed irrealistica, volta ad individuare nel magistrato una sorta di soggetto onnisciente149, non costretto dunque ad avvalersi degli apporti specialistici provenienti da altri rami dell’umano sapere. Il richiamo alla figura del giudice quale peritus peritorum assumeva una valenza anacronistica e deformante qualora utilizzato al fine di lasciare al mero arbitrio dell’autorità giudiziaria la valutazione in ordine all’acquisizione di taluni dati conoscitivi fondamentali ai fini di una corretta ricostruzione dei fatti di causa. La concezione del legislatore del 1930 sul ruolo della perizia nel processo penale non si presenta attualmente secondo le linee originarie, in forza di una serie di ripensamenti che hanno indotto a ribaltare l’ottica di sfavore nei suoi confronti. Bisogna attendere la modifica dell’art. 314 c.p.p. 1930 ad opera dell’art. 15, legge 18 giugno del 1955, n. 517, perché si assista all’affermazione legislativa che, nel procedimento penale ordinario, la

148V. MORMILE, La rilevanza probatoria della perizia nel processo penale, Napoli,

2013, p. 12. Al riguardo, sottolineano come l’aver attribuito al giudice non l’obbligo ma la semplice facoltà di nominare un perito esprima una sorta di diffidenza e chiusura verso il sapere specialistico ed extra giuridico, P. CORSO, Periti e perizia, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 89.

149Si può cogliere una presunzione iuris et de iure di capacità del giudice di risolvere con

i propri strumenti culturali i dubbi sollevati dalla fattispecie concreta Cfr. CORSO P., La presunzione di preparazione psicologica dei magistrati quale background delle scelte normative in materia penale, in Psicologia e giustizia a cura di SERRA C., Milano, 1980, 89.

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perizia deve essere la regola (e non l’eccezione) “qualora sia necessaria un’indagine che richieda particolari cognizioni di determinate scienze o arti”. La formula “il giudice dispone la perizia”, invece che “può disporre”, è stata voluta dal legislatore del 1955 proprio per ridurre all’apprezzamento dell’esistenza della necessità quella facoltà del giudice di procedere a perizia. L’art. 220 c.p.p. 1988 si pone lungo questo percorso ideale, configurando un’ipotesi di discrezionalità vincolata: ravvisata la sussistenza dei presupposti della perizia, il giudice non potrà

ora non ammetterla. Ai sensi dell’art. 220 c.p.p., “la perizia è ammessa quando occorre

svolgere indagini o acquisire dati che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (…)”. La dottrina, ha interpretato tale espressione, tra l’altro diversa da quella dell’art. 314 c.p.p. abrogato che parlava di “necessarietà della perizia”, limitandone quindi l’ammissibilità, nel senso che il giudice sia obbligato ad ammettere e a disporre anche d’ufficio la perizia (art. 224, comma 1, c.p.p.), se si trova nelle condizioni di non poter svolgere indagini o accertamenti sulla base delle sole sue competenze (ovviamente non può disporre perizia per la soluzione di una quaestio iuris che rientra in quanto tale nelle sue normali competenze). Per meglio dire, la perizia è ammessa quando la situazione lo richiede, sintomatico della volontà del legislatore di limitarne uso e ammissibilità. L’ampliamento dell’ambito di applicazione della prova peritale si giustifica, da un lato, in virtù della graduale apertura dell’ordinamento verso il sussidio delle scienze nel processo; dall’altro, alla luce di alcuni aspetti innovativi del codice di rito del 1988, tendenzialmente ispirato ad un modello accusatorio nel quale, la perizia, come ogni mezzo di prova, è rimessa all’iniziativa delle parti, poiché anche le nozioni tecnico-scientifiche funzionali al processo devono poter formare oggetto di contraddittorio150. La giurisprudenza ha avuto modo di precisare i limiti entro i quali si può parlare di obbligo o di diritto di

150GAITO A., La prova penale, Milano, 2008, p. 593; Sul punto, concepisce “l’apporto

del sapere scientifico a vantaggio non già del solo giudice, un tempo solitario signore della prova, ma del contraddittorio delle parti, metodo cardine ai fini della formazione del materiale probatorio, linfa di cui si nutre l’intera esperienza, eminentemente relazionale, del processo”.

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perizia: indagine necessaria è quella cui non si può rinunciare ai fini della decisione; tale indagine deve essere “peritale” quando si debba procedere ad accertamenti che richiedono particolari cognizioni di determinate scienze o arti151. Tornando al dettato dell’art. 220, il perito può essere incaricato sia di accertare, attraverso specifiche competenze, fatti non altrimenti accertabili, in tal modo svolgendo un’attività avente natura direttamente probatoria (c.d. perito “percipiente”); sia di valutare fatti già accertati o dati già acquisiti nel processo, mediante l’indicazione dei criteri di analisi o l’effettuazione di un esame tecnico-scientifico diretto a consentirne una valutazione adeguata (c.d. perito “deducente”)152. Quelli indicati nell’articolo in commento sono parametri specifici che riguardano la prova peritale, ma che non la sottraggono agli ordinari criteri di ammissione della prova prescritti dall’art. 190 c.p.p., secondo i quali si esclude l’ammissione di quelle prove, richieste dalle parti, che risultino “vietate dalla legge e manifestamente (…) superflue o irrilevanti”. Ne deriva che, mentre l’art. 220, comma 1, c.p.p. si esprime in positivo dettando finalità ed obiettivi perseguibili tramite la perizia, l’art. 190, comma 1, c.p.p. fissa, in negativo, i criteri alla cui stregua deve muoversi il giudizio di ammissione della prova da parte dal giudice. In sintesi poi, il concetto di “occorrenza” cui fa riferimento l’art. sta ad indicare la finalità perseguita con la perizia. Ne discende che questa, per essere ammessa, dovrà rivelarsi utile alla luce del contesto probatorio emerso153.

Vediamo ora quale è il giusto momento per disporla. Nonostante il codice di procedura penale si ispiri al principio che la prova si formi durante la fase dibattimentale e nel contraddittorio delle parti al cospetto del giudice (la nomina del perito psichiatra in fase dibattimentale nasce dalla

151Cass. 1 ottobre 1975, in Cass. pen. mass., 1976, 884, m. 1067; Cass. 31 gennaio 1974,

in Giur. it., 1976, II, 16

152P. FERRUA, E. MARZADURI, G. SPANGHER, La prova penale, Torino, p. 413; Sul

punto, O. DOMINIONI, La prova penale scientifica, cit., p. 21: il perito può ricevere “l’incarico di percepire un dato di realtà impiegando specifiche competenze ...o di inferire, sempre in base a specifiche competenze, un fatto dalla conoscenza di un altro, guadagnata dallo stesso esperto mediante proprie indagini o ricavata dal patrimonio conoscitivo di un determinato campo della scienza o della tecnica oppure già introdotta nel processo con operazioni probatorie in precedenza espletate”.

153MONTAGNA M., La perizia come prova neutra (The Expertise as “Neutral”

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presenza di gravi e fondati indizi che rendono necessaria una indagine sullo stato di mente dell’imputato), l’istituto dell’incidente probatorio consiste in un’eccezione: attraverso l’intervento incidentale del giudice è possibile acquisire la prova, nelle forme del contraddittorio, già durante la fase delle indagini preliminari. La necessità di questo istituto è quella di scongiurare che il rinvio dell’acquisizione delle prove, fino al dibattimento, limiti la dispersione o l’inquinamento delle stesse. È l’art. 392 c.p., punto f) che disciplina l’istituto dell’incidente probatorio, che quindi possiamo elevare a momento ideale per disporre la perizia psichiatrica, in cui il pubblico ministero o il G.I.P., anche su sollecitazione della parte offesa e della difesa dell’indagato, possono chiedere al giudice di procedere all’espletamento di una perizia ogni qualvolta la prova riguardi una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto ad un’inevitabile modificazione. La possibilità di espletare la perizia in incidente probatorio accade perché nel nostro ordinamento, dopo la riforma del 1989, si prevede che tutte le prove raccolte e supervisionate dal G.I.P. nelle indagini preliminari, non possano essere adoperate in seguito durante il dibattimento. Pertanto il PM e/o la difesa, possono chiedere congiuntamente o disgiuntamente di poter congelare la prova, per farla poi pervenire in aula durante il dibattimento sempre con valore di prova. Il ricorso all’incidente probatorio può essere concesso anche nel corso dell’udienza preliminare, qui è il GUP che procede. Facile deduzione è, quindi, che la sede della perizia sia proprio l’istruzione, dove più serenamente la ricerca, l’osservazione, la valutazione dei reperti, può essere fatta. Oltre a trovare spazio anche in udienza preliminare, dove si muove nell’ambito di una integrazione probatoria ai sensi dell’art. 422 c.p.p., è ammessa in appello nei casi previsti di rinnovazione dell’istruzione ai sensi dell’art. 603 c.p.p., solo quando vi è assoluta necessità (art. 520 c.p.p.) ed utilità. La richiesta di perizia psichiatrica per l’accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è poi in astratto inconciliabile con il rito abbreviato, la cui ammissione presuppone che l’imputato abbia la piena capacità di intendere e di volere; spetta tuttavia al giudice di merito la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto

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personale incompatibile con l’esistenza di vizi di mente, per apprezzare con giudizio insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, l’ammissione della richiesta di perizia psichiatrica; tuttavia se nessuna richiesta è effettuata ai giudici di merito e nessun accertamento è stato disposto d’ufficio, la relativa questione risulta inammissibile se proposta per la prima volta in sede di legittimità, in quanto sono necessarie valutazione di merito incompatibili con il giudizio di legittimità154. Con la sentenza n. 430 dell’11 gennaio 2012, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di un uomo che chiedeva una nuova perizia psichiatrica con la quale accertare la sua imputabilità. L’imputato, accusato di molestie nei confronti della nipotina, aveva aderito all’abbreviato, ma in ogni caso sosteneva che, in seguito ad un incidente stradale occorsogli, che gli aveva causato gravi lesioni alla testa, era stata compromessa la sua capacità di intendere e di volere. Al riguardo, la Cassazione ha precisato che il rito sommario non può in nessun caso precludere una nuova richiesta di perizia in fase di appello. Infatti, ad avviso dei giudici di legittimità, l’imputato che chiede il giudizio abbreviato rinuncia (ove non abbia subordinato la richiesta ad una integrazione probatoria) all’acquisizione di ulteriori elementi di prova concernenti la sussistenza del fatto e la responsabilità che ne deriva. Non rinuncia, però, né potrebbe rinunciare, all’accertamento dell’imputabilità, che è inderogabilmente affidato al giudice, il quale, ove nel corso del giudizio abbreviato sorga il problema della capacità di intendere e di volere delgiudicabile così come quello della sua cosciente partecipazione al processo, cui fa riferimento l’art. 70 c.p.p., può disporre i necessari accertamenti. Qualora poi il giudice ritenga di rigettare una richiesta di revoca della misura cautelare motivata dalla sussistenza delle condizioni di salute del detenuto, può disporre perizia medica nominando un perito, secondo i criteri dell’art. 220 e ss. Ecco che la perizia è un istituto che possiamo trovare anche in fase cautelare. Infatti, secondo il disposto dell’art. 299 c.p.p., in ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di

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ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell’imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Se la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere è basata sulle condizioni di salute di cui all’articolo 275, comma 4 bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone con immediatezza e comunque non oltre il termine previsto nel comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando un perito. C’è poi un’ulteriore ipotesi di ammissibilità della perizia, stavolta in fase esecutiva: qualora l’infermità psichica sopravvenga al condannato prima dell’esecuzione della pena, il giudice dell’esecuzione ammette la perizia, disponendo prima il differimento dell’esecuzione. Se, invece, l’infermità sopravviene durante l’esecuzione, il giudice di sorveglianza dispone la sospensione e ordina la perizia.

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3. La perizia psichiatrica sull’autore di reato: una

prima introduzione.

Ciò da cui si prende le mosse è il comportamento umano che ubbidisce ad una serie di norme sociali. Se e quando dette regole vengono infrante, possono intervenire, se interpellati, periti e consulenti per fornire i loro contributi specifici in risposta ai quesiti posti dai diversi operatori del diritto. Esiste una psichiatria forense155 che si identifica nell’accertamento tecnico di natura psichiatrica volto a scoprire le dinamiche sottese a qualsiasi condotta per spiegare il perché di quell’azione o omissione che diviene oggetto dell’indagine affidata dal magistrato al perito, il quale può far luce sulle motivazioni consapevoli ovvero inconsce che hanno portato a quel particolare comportamento156. Tale giudizio consiste nello stabilire le condizioni di mente della persona in riferimento ad una determinata fattispecie di reato e ad un preciso momento del suo iter giudiziario, in ogni stato e grado del procedimento. La perizia psichiatrica è, nel suo contenuto essenziale, una consulenza psichiatrica disposta dal giudice che si rivolge ad uno psichiatra forense chiamato a svolgere un’indagine che deve sì, avere empiricamente come base una situazione attualmente esistente, ma che non può esaurirsi nell’apprezzamento di quest’ultima, poiché l’operatore deve assumere la medesima come punto di partenza per una valutazione concernente il passato, quel “momento del fatto” (ormai avvenuto) in relazione al quale si tratta di stabilire la pregressa capacità di intendere e di volere di colui che è stato individuato come l’autore materiale del fatto157. Soggetto di indagine della perizia psichiatrica è un individuo (l’autore di un reato, la vittima, un testimone, il condannato, l’internato) che deve essere

155Esiste poi una psichiatria giudiziaria e penitenziaria che deve occuparsi degli aspetti

diagnostici e terapeutici inerenti l’autore del reato affetto da disturbi mentali. Una psichiatria medico-legale che tratta i temi e si occupa dei problemi relativi alle conoscenze e all’applicazione di norme deontologiche e alla responsabilità degli operatori della salute mentale, dei consulenti, dei periti.

156FORNARI U., Trattato di psichiatria forense, 2015, p. 64.

157“La valutazione psichiatrica deve retrocedere nel passato, al momento del fatto di reato,

attualizzarsi al momento dell'indagine peritale e proiettarsi sul futuro comportamento dell'imputato”, in BERTOLINO M., Le incertezze della scienza e le certezze del diritto a confronto sul tema della infermità mentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 567.

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esaminato in rapporto alle sue condizioni fisico-psichiche e nell’ambito dell’evento criminoso

ascrittogli, in quanto proprio la sua condotta ha suscitato l’ipotesi della presenza di una condizione psicopatologica. L’oggetto specifico di essa (anzi più di uno) è la capacità di intendere e di volere dell’imputato, la sua condizione psicofisica al momento del reato, la pericolosità sociale, la sua capacità cognitiva di stare in giudizio ossia di comprendere finalità e metodi del processo in cui è coinvolto, o la sua compatibilità col sistema carcerario (l’adozione o il mantenimento della custodia in carcere sono impedite quando si ravvisa una grave patologia). Non è facile dire se il perito opera per colmare una lacuna conoscitiva del giudice o per integrare la decisione del giudice, tuttavia possiamo con certezza dire che la sua presenza nel diritto penale costituisce l’adempimento di una esigenza processuale, malgrado la conoscenza specializzata del giudice. Ammesso che il perito entri nel processo come figura necessaria, egli è soggetto di indagine, di osservazione e di valutazione accanto al giudice, quindi è soggetto processuale collaboratore del giudice158. A seconda delle risposte del perito variano le conseguenze sul piano trattamentale penale, sempre che il giudice le condivida perché è a lui, in qualità di peritus peritorum, che compete comunque il giudizio. Se l’autore è considerato capace di intendere e volere, è pienamente imputabile e gli viene applicata una pena corrispondente alla gravità del reato. Se invece viene riconosciuto un vizio parziale di mente il soggetto è ritenuto imputabile, ma la pena viene ridotta (generalmente di un terzo) e, in caso di riconoscimento della pericolosità sociale, sarà disposta una misura di sicurezza. Infine, se l’imputato non è considerato incapace di intendere e volere e socialmente pericoloso, non è imputabile e, nei suoi confronti, viene adottata la misura di sicurezza del ricovero presso le comunità terapeutiche dei servizi psichiatrici territoriali. Nel caso, seppur molto raro, in cui il soggetto ritenuto non imputabile non venga considerato socialmente pericoloso, non viene sottoposto ad alcuna misura ed esce dal circuito giudiziario. Una perizia psichiatrica è fatta di colloqui, di esami

158CARRIERI F., CATANESI R., La perizia psichiatrica sull'autore di reato:

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psichici, somministrazione di test, valutazione internistica, esami strumentali come ECG, TAC, studio della documentazione processuale. È dunque uno studio, una valutazione delle condizioni psichiche del soggetto. Compito del perito non è di dimostrare se quel soggetto è sano di mente al momento del fatto, ma al contrario di evidenziare se quell’azione, giuridicamente rilevante, sia stata sintomatica o meno di un disturbo psicopatologico che ha intaccato la capacità di intendere e volere. Si tratta di un accertamento comunque estremamente difficile e complesso, il cui punto delicato è la traducibilità di una diagnosi psichiatrica in una definizione di imputabilità, pur tuttavia è necessario. Come ha affermato anche Maria Teresa Collica, è ormai assodato che l’apporto di queste scienze in questo settore è irrinunciabile per il giudice e per il diritto penale159. Ne deriva il rapporto necessario tra scienza psichiatrica e giurisprudenza.

159COLLICA M. T., Il giudizio di imputabilità tra complessità fenomenica ed esigenze

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3.1 L’accertamento di un’infermità di mente.

Il concetto di imputabilità rappresenta l’elemento cardine di ogni sistema penale europeo160, rappresenta una condizione intrinseca alla persona che la rende idonea e suscettibile a subire l’azione penale conseguente al reato di cui è stata autore ed a subirne, come soggetto passivo, la sanzione o la pena. Essa ha a che fare quindi, con l’essere responsabili delle proprie azioni, ravvisabile laddove lo stato di coscienza neurologica, quello della coscienza in sé, unitamente all’esame della realtà, siano sufficientemente integri da consentire la gestione della volontà e dei suoi agiti comportamentali all’interno della cornice dei legami sociali e personali161. Ricordiamo che la disciplina dell’imputabilità nel diritto italiano ruota attorno ad una norma dalla portata generale (l’art. 85 c.p.), la quale richiede la capacità di intendere e di volere al momento del fatto e si specifica in un grappolo di disposizioni che ora applicano, ora (più spesso) derogano a tale regola (artt. 88 ss. c.p.)162. Il caso più problematico dal punto di vista probatorio è sicuramente quello del vizio di mente (art. 88 c.p.), che astrattamente potrebbe derivare da un’infermità sia fisica sia mentale che induce effettivamente in una condizione psichica tale da dover esser ritenuta incompatibile con l’idoneità a comprendere il significato dei propri atti e quindi ad autodeterminarsi liberamente in modo coerente (la libertà sussiste se non ci sono cause che la escludono). Si è molto discusso, specie da parte degli psichiatri forensi, sulla normativa italiana che prevede il riconoscimento di un’infermità che escluda o limiti grandemente la capacità di intendere o di volere al momento del reato. Il concetto di infermità oggi, distaccato oramai dal termine follia, è divenuto vago e indeterminato ed ha perduto

160Un caso particolare è invece quello del Belgio e della Svezia due paesi nei quali il

problema della responsabilità penale (dell’imputabilità) non si pone. In questi paesi, infatti, non rileva stabilire se il delinquente sia normale o meno, responsabile o irresponsabile, poiché i loro ordinamenti penali non forniscono definizioni di normalità, d’imputabilità e di responsabilità. Il solo problema che si pone è quale sia la sanzione più adeguata al caso concreto.

161PONTI G., La perizia sull’imputabilità, in Gulotta G. (a cura di), Trattato di psicologia

giudiziaria, Milano, 1987. E ancora: l’imputabilità costituisce il perno attorno al quale ruotano le “esigenze socialdifensive e generalpreventive da un lato, ed istanze individualgarantistiche dall’altro” MANNA A., L’imputabilità tra prevenzione generale e principio di colpevolezza, in Leg. pen., 2006, cit., p. 220.

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per la psichiatria ogni valore da quando si è preso coscienza che il disturbo mentale non è solo malattia, ma è un’entità complessa, non definibile, in ordine alla quale vi sono poche certezze circa l’eziologia e che in definitiva è la risultante di una condizione sistemica nella quale concorrono il patrimoniogenico, la costituzione, le vicende di vita, gli stress, il tipo d’ambiente, l’individuale plasticità dell’encefalo, i meccanismi psicodinamici, la peculiare modalità di reagire, di opporsi, di difendersi. Oggi non esiste più la malattia mentale nel senso antico del termine e nessuno psichiatra potrebbe onestamente darne una definizione; oggi esiste una visione pluri-fattoriale integrata della malattia mentale che tenga conto di tutte queste variabili.

Tornando al discorso, non può essere considerato “attore” consapevole del fatto-reato e quindi responsabile, la persona che non si muove liberamente, con coscienza e libertà, nelle proprie valutazioni e scelte individuali e che non abbia piena volontà nel decidere le azioni da compiere163. Va poi tutelata la persona da un possibile danno di subire una sanzione insopportabile, o che la stessa sanzione non sia in grado di esercitare quella funzione emendatrice e di espiazione della colpa che è insita nel concetto e nel significato di pena. Il codice penale si basa sul principio che sarebbe ingiusto comminare sanzioni ad una persona che di per sé sia affetta da malattia mentale che diminuisca o escluda del tutto l’imputabilità. La necessità di garantire le persone non imputabili da sanzioni ingiuste, perché comminate a persone non consapevoli o libere, si fonda su una serie di assunti che prendono in considerazione alcuni elementi ineliminabili che la persona deve possedere: libero arbitrio, requisito per essere considerati consapevoli di scegliere; la normalità, cioè rientrare nella norma per cui tutti gli uomini si comportano in maniera conforme alle regole e chi non le rispetta rappresenta una deviazione; l’identità, per cui l’imputabilità sussiste ogni volta che l’atto commesso dal soggetto sia riconducibile alla sua personalità, come un manifestarsi della specificità del proprio Io, non influenzata da cause patologiche od esogene; la percezione del disvalore del gesto e della

163MOSCARDINI P., La verifica dell’infermità mentale nell’accertamento giudiziario

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deterrenza connessa alla sanzione, per cui solo la persona dotata di tale consapevolezza può davvero comprendere l’efficacia intimidatoria della pena. Per sintetizzare, appare chiaro quindi che il principio, il paradigma su cui si regge tutta la nostra impalcatura culturale, giuridica e morale, è il principio di responsabilità che ha come premessa la libertà dell’autore del fatto delittuoso164.Ogni persona acquisisce naturalmente per legge la capacità di intendere e volere nel momento in cui raggiunge la maggiore età, cioè 18 anni nel vigente ordinamento italiano e di conseguenza, l’imputabilità. La mancanza di tale capacità è una condizione che esclude il requisito giuridico dell’imputabilità, cioè di quell’elemento che consente l’avvio e lo sviluppo del procedimento penale, comportando nel giudice la necessità di non comminare una pena detentiva, ma di applicare una misura di sicurezza se poi la persona è riconosciuta socialmente pericolosa. Il giudizio sull’imputabilità è strutturato, nel nostro ordinamento, su due livelli in base al c.d. metodo bio-psicologico o misto, per cui non è sufficiente di per sé ad escludere l’imputabilità di chi ha commesso il reato la semplice esistenza di una infermità di mente, poiché occorre verificare se e fino a che punto la devianza abbia compromesso la capacità di intendere e volere165. È necessaria la diagnosi del disturbo, ma più di tutto è essenziale poter capire quali sono le ipotesi di totale esclusione dell’imputabilità, i casi in cui risulta intaccata solo in parte ed i casi in cui, nonostante il disturbo sia presente, la capacità di quel soggetto al momento del fatto non appaia alterata166.

164GIORDANO G., La perizia psichiatrica

165COLLICA M. T. Il giudizio di imputabilità tra complessità fenomenica ed esigenze di

rigore scientifico, in Riv. It. Dir. e proc. Pen., fasc. 3, 2008, p. 1170.

166GASPARINI, “Perizia, consulenza tecnica ed altri mezzi di ausilio

tecnico-scientifico”, in le prove, II, Giur. sist. dir. proc. pen. Chiavario e Marzaduri, Padova, 1999. Ancora: La consulenza tecnica è un istituto del diritto processuale italiano collegato al mezzo di prova della perizia. Le parti del processo, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa dal reato possono nominare uno o più consulenti tecnici affinché conferiscano al processo i dati o le valutazioni che richiedono specifiche cognizioni di una tecnica, scienza o arte.

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PARTE SECONDA

4. Il perito psichiatra

La perizia può essere affidata ad uno psicologo, ad uno psichiatra o ad un criminologo. Nella perizia lo psicologo valuta gli aspetti del processo evolutivo; lo psichiatra valuta l’esistenza di una patologia in atto o in via di strutturazione, con lo scopo di poter avviare cure adeguate e di emettere un giudizio di imputabilità. Il criminologo lavora sfruttando la sua conoscenza epidemiologica dei reati e la conoscenza dei profili. La figura che a noi qui interessa è quella dello psichiatra forense, uno psichiatra specializzato a supporto della magistratura, che ha un particolare rilievo per la messa a punto del profilo mentale del soggetto chiamato in giudizio, che dovrà valutare la eventuale presenza di disturbi psicopatologici tali per cui la condotta non deve essere tanto intesa come espressione di criminalità, ma piuttosto di malattia mentale che incide sulla capacità di intendere e volere. “Il perito deve ricordare che non è né un dispensatore di vizi di mente, né un funambolo della psicologia o della psichiatria, tanto meno gli compete accertare la verità o indurre il periziando a confessare, giocando su proprie, presunte o reali abilità inquisitorie. Egli è e deve essere solo un attento, scrupoloso, corretto esecutore del suo dovere peritale, al quale limiti perentori sono stabiliti, de jure condito, dal codice”167. La scelta del perito è il risultato di una attività critica comparativa fatta dal giudice fra più soggetti, per la designazione di quello (o di quelli) che sono ritenuti più adatti all’ufficio. Secondo il codice di procedura penale il giudice è libero, almeno di regola168, di scegliere il perito “tra le persone che egli reputa idonee e preferibilmente tra coloro che hanno conseguito la qualifica di specialista” (art. 314, comma 4, c.p.p.). Ai sensi dell’art. 221 c.p.p., il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi, ovvero potrà avvalersi di soggetti non iscritti se individua in questi particolari competenze nella specifica disciplina (art. 69 disp. att.). Il combinato disposto dell’art. in

167FORNARI U., Psicopatologia e psichiatria forense, Torino, 1997. 168L’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali con sede a Siracusa (ISISC),

ha elaborato nel 2008 delle linee guida su quali sono i criteri di scelta del perito da parte del giudice.

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commento con l’art. 67 disp. att., in parte riproponendo la disciplina del processo civile, è orientato nel senso di garantire innanzi tutto la competenza del perito, essendo ancorato ad un elemento oggettivo quale è l’iscrizione negli appositi albi istituiti presso ogni Tribunale. Ogni albo è diviso in otto categorie professionali di cui sono obbligatorie quelle che comprendono: esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafica. L’iscrizione ha la ratio di attuare un controllo sulla competenza specifica e sulla professionalità degli iscritti, non solo nella fase di ammissione, ma anche nelle fasi successive e a scadenze periodiche (l’art. 68 disp. att. c.p.p. prevede che il comitato preposto alla formazione dell’albo provveda ogni due anni alla sua revisione per cancellare gli iscritti per i quali è venuto meno uno dei requisiti richiesti o è sorto un impedimento ad esercitare l’ufficio), offre cioè maggior garanzia di preparazione e di serietà degli iscritti. Nei casi di insufficiente disponibilità di esperti iscritti, in presenza di specifiche necessità di impiegare tecnici altamente qualificati, il giudice nomina come perito una persona che svolge la propria attività presso un ente pubblico (art. 67, comma 3, disp. att. c.p.p.). Al magistrato è comunque imposto l’obbligo di dare, nell’ordinanza di nomina, specifica ed adeguata motivazione delle ragioni della scelta effettuata al di fuori degli albi, l’omissione di tale è causa di nullità relativa ex art. 181 c.p.p. Nel caso in cui si verifichi una declaratoria di nullità, il giudice, ove possibile, affida l’incarico ad altro perito (se nominasse nuovamente quello precedente non si verificherebbe una situazione di incompatibilità, invero, non costituisce causa di incompatibilità del perito ai fini del conferimento di un nuovo incarico nel medesimo procedimento169). Nei casi in cui nelle indagini le valutazioni risultino di particolare complessità o richiedano distinte conoscenze e discipline, il giudice può nominare più periti. In proposito, l’art 221 c.p.p. non prevede un limite al numero dei periti. Quanto detto non va confuso col secondo comma del medesimo articolo, che tratta della perizia collegiale, poiché ciò che intendevo dire prima si sostanzia

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nella possibilità di affidare distinti incarichi peritali sul medesimo oggetto, cioè sul medesimo accertamento scientifico, a più persone. Nella perizia collegiale, poi, gli apporti dei singoli esperti confluiscono in un risultato unitario. Il giudice dispone la perizia con ordinanza motivata la quale deve contenere: la nomina del perito, la sommaria indicazione dell’oggetto delle indagini, l’indicazione del giorno, ora e luogo fissati per la sua comparizione. Nella medesima ordinanza il giudice spiega il perché della nomina di un perito, ossia quali competenze specifiche e tecniche occorrano ed è questa una attività informativa che consente alle parti di nominare consulenti tecnici con specializzazioni corrispondenti da contrapporre a quelle dei periti appena nominati. L’art. 224 comma 2, stabilisce che il giudice dispone la citazione del perito e dà gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte al suo esame. Egli, inoltre, adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali. Il perito viene avvisato degli obblighi e delle responsabilità che va ad assumere con il giuramento, questa la formula: Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con il mio incarico, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è in mia conoscenza. La formula di tale giuramento nella sua concisione solenne e perentoria, racchiude l’impegno del perito di procedere secondo scienza e coscienza alla ricerca della verità. La prestazione di queste parole solenni determina l’acquisto della veste di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) poiché è con il giuramento che si concreta il primo atto della pubblica funzione. Il conferimento dell’incarico è disciplinato dall’art. 226 c.p.p. Il giudice chiede al perito se quest’ultimo si trovi in una delle situazioni di incapacità previste dall’art. 222, oppure se debba astenersi ex art. 223, lo avverte degli obblighi relativi all’incarico peritale nonché delle responsabilità previste dalla legge penale e lo invita a rendere una dichiarazione con cui si impegna ad adempiere all’ufficio “senza altro scopo che quello di far conoscere la verità”, nonché a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali. Il perito ha il dovere di trovare una giusta misura di equilibrio tra la disponibilità e il non coinvolgimento, fra capacità empatica e neutralità, per evitare che si renda acuta l’incompatibilità che alla fine sempre esiste,

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fra il comprendere ed il giudicare, posto che anche il perito in definitiva giudica170. Il giudice formula i quesiti dopo aver sentito il perito, i consulenti tecnici, il pubblico ministero e i difensori presenti. Una volta concluse le formalità di conferimento dell’incarico, il perito, ai sensi dell’art. 227 c.p.p., deve procedere immediatamente ai necessari accertamenti e rispondere ai quesiti con parere orale messo a verbale ed è sottoposto ad esame: invero questa immediatezza comporta una valutazione ottimistica sui tempi della perizia del tutto ingiustificata. Nella prassi la disposizione che trova attuazione è quella del comma 2 dell’art. 227, che prevede la concessione di un termine allorquando il perito non ritenga di poter dare una immediata risposta. Tale termine (del quale debbono essere avvertiti le parti e i consulenti tecnici) non può superare i novanta giorni e può essere prorogato dal giudice (sempreché risultino necessari accertamenti di particolare complessità) su richiesta motivata del perito. Le proroghe non possono essere superiori ognuna a trenta giorni e in ogni caso, non possono determinare il superamento del limite massimo di sei mesi dal conferimento dell’incarico. E’ opportuno evidenziare che “qualora sia indispensabile illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato a presentare relazione scritta (art.227, comma 5, c.p.p.). L’art. 511, comma 3, c.p.p. dispone poi, che “la lettura della relazione peritale è disposta solo dopo l’esame del perito” (l’acquisizione della relazione senza il previo esame orale del perito viene ritenuta una mera irregolarità, non essendo prevista una specifica sanzione di nullità e non costituendo una nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 c.p.p.) Con la risposta al quesito il perito adempie all’incarico; si tratta di un momento necessario nella scansione della procedura. L’esame costituisce il veicolo attraverso cui si realizza la dialettica del procedimento probatorio, in quanto con esso il perito si sottopone alle domande delle parti e del giudice, di chiarimento o di integrazione rispetto alla risposta ai quesiti; è una fase eventuale in quanto le parti e il giudice potrebbero ritenersi soddisfatti della sola risposta. Dopo l’esame e il controesame delle parti, il perito procede alla lettura

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della relazione che sarà poi valutata dal giudice, con la sua saggezza, la sua esperienza professionale e il suo apprezzamento personale.

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