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che individua il fondamento dell’indisponibilità del credito tributario nei principi di imparzialità

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~ 163 ~ 3.2.3. Indisponibilità del tributo e art. 97 Cost.

Le considerazioni svolte con riferimento agli artt. 23 e 53 Cost. ridondano anche, con diversità di accento, contro la tesi

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che individua il fondamento dell’indisponibilità del credito tributario nei principi di imparzialità

286

e buon

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MICCINESI, M., Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, cit., 3 ss.

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L’imparzialità esprime una sorta di equidistanza fra diversi fattori (interessi, idee, ecc.);

equidistanza che, ragionando in astratto, può essere originata da pari attenzione o da pari indifferenza (cfr. C. cost., 5.2.1996, n. 28). In questo secondo caso il termine imparzialità viene intercambiato con quello di neutralità, riservato sovente alla figura del funzionario amministrativo (cfr. anche PINELLI, C., Il “buon andamento” e l'“imparzialità”

dell’amministrazione, in AA.VV., La Pubblica Amministrazione, Commentario Cost., Bologna, 1994, 224 ss.; GALDI, M., Buon andamento, imparzialità e discrezionalità amministrativa, Napoli, 1996, 96 ss.; GARDINI, G., L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione, Milano, 2003, 103 ss.). È, dunque, parziale chi considera solo una parte dei valori del sistema (ALLEGRETTI, U., L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, passim) o chi considera, senza ragione, con diversa intensità interessi concreti pur avvalorati dalla medesima norma ed, ancora, chi considera interessi non avvalorati affatto (CERRI, A., Imparzialità ed indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973, 120; Id., Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in Lanfranchi, L., a cura di, Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, 1998, 182 ss.: SALA, G., Il principio del giusto procedimento nell’ordinamento regionale, Milano, 1985, 102). L’equidistanza, cioè, si riferisce, insieme, agli interessi delle persone ed alle norme, alle due “componenti prime” del diritto (cfr., anche per ulteriori riferimenti, CERRI, A., Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 2009, 6). In definitiva, l’imparzialità implica che la P.A. sia mossa dalla considerazione di tutti e soli gli interessi giuridicamente avvalorati, secondo criteri riconducibili ad un indirizzo politico coerente. Esige, dunque, la predeterminazione degli scopi e dei criteri dell’atto o dell’attività (C. cost., 12.3.1962, n. 14; C. cost., 9.12.1968, n.

123; C. cost., 29.5.1995, n. 209; C. cost., 26.6.1996, n. 225; C. cost., 12.12.1996, n. 417; C.

cost. n. 325/2011; CERRI, A., op. cit., 1973, 125), l’obbligo di astensione del funzionario

personalmente interessato (CASSESE, S., Imparzialità amministrativa e sindacato

giurisdizionale, Milano, 1973; cfr. anche, ad es., Cass., pen., 23.9.1998, n. 2662; Cons. St.,

sez. IV, 18.5.1998, n. 827; Cons. St., 28.1.2000, n. 442, ecc.), l’obbligo di parità di

trattamento a parità di condizioni, ossia il divieto di esercitare i poteri discrezionali in modo

diverso in casi similari (BARILE, P., Il dovere di imparzialità della pubblica

amministrazione, in Scritti in memoria di P. Calamandrei, IV, Padova 1958; COEN, L.,

Disparità di trattamento e giustizia amministrativa, Torino, 1998; vero è, peraltro, che un

problema di imparzialità sorge anche con riguardo ad attività vincolate, perché il vincolo

attiene al contenuto della decisione non all’attività del decidere con maggiore o minore

solerzia, zelo, ecc., che resterebbe discrezionale ove non fosse, a volte, disciplinata con

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andamento

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dell’attività della P.A., di cui all’art. 97 della Cost.

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, i quali, si afferma, rappresentano anch’essi un’emanazione diretta del più generale principio di uguaglianza dei cittadini di fronte agli Uffici pubblici

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.

criteri di imparzialità: l’estrazione a sorte dei soggetti da sottoporre ad indagini tributarie approfondite, talvolta previsto, ne è un esempio (CERRI, A., op. cit., 1998, 182, nota 32).

Ciò integra un “nucleo minimo”, tradizionale ed irrinunciabile di garanzia dell’imparzialità, cui si collegano anche istituti quali il concorso nell’assunzione dei pubblici dipendenti, la gara pubblica negli appalti, la composizione tecnica e la posizione indipendente delle commissioni che presiedono a questi concorsi ed a queste gare (C. cost., 26.9.1990, n. 453), ecc. Accanto a tali presidi minimi di imparzialità se ne affermano altri, come la motivazione degli atti, la trasparenza, il contraddittorio nel procedimento, ecc., che la coscienza giuridica interna e sovranazionale sempre più afferma.

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Il buon andamento si concreta in una serie di criteri (“indicatori”) riconducibili, tutti insieme, ai concetti di efficacia ed efficienza. Efficacia è la qualità del servizio reso, intesa quale corrispondenza dei risultati di un’attività pubblica agli scopi perseguiti; efficienza è il minimo costo ad una data qualità. La medesima efficacia può essere valutata per i risultati immediati, gli output, o per quelli mediati, gli outcome (cfr. MARTINI, A. – TRIVELLATO, U., Soldi ben spesi? La valutazione al di là dei controlli interni, Venezia 2011, 211 ss.;

SIGISMONDI, I., Il principio di buon andamento tra politica e amministrazione, Napoli, 2011, 249 ss., 252 ss., anche per ulteriori riferimenti). Le qualità di un servizio, inoltre, possono essere varie (TRIMARCHI BANFI, F., Il diritto ad una buona amministrazione, in Tratt. Chiti-Greco, I, Milano, 2007; SERIO, A., Il principio di buon andamento nella giurisprudenza comunitaria, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, spec. 293 ss.; PERFETTI, L.R., Diritto ad una buona amministrazione, determinazione dell’interesse pubblico ed equità, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010) e, sovente, fra loro in collisione (PINELLI, C., cit., 121 ss.); come lo sono, del resto, con i costi. Tra le varie qualità da conseguire rientrano anche quelle “giuridiche”, quali la legalità e l’imparzialità, l’obbligo di motivazione, di ascolto, la sollecitudine, l’accesso, lo scrupolo, ecc. La recente normativa (l. 7.8.1990, n.

241 e succ. modif.), pressata dalla congiuntura non favorevole, sviluppa le varie anime del buon andamento: e, dunque, non solo il giusto procedimento, la sua durata, l’autotutela, l’obbligo di motivazione, l’accesso ma anche l’autorizzazione generale, il silenzio assenso, la d.i.a., la s.c.i.a., l’irrilevanza dei vizi dell’atto in ipotesi di esito ineludibile, la misurata discrezionalità nel valutare le conseguenze di un’aggiudicazione illegittima (art. 121 ss., c.p.a.), fino a penetrare nell’esercizio medesimo della giurisdizione (cfr., ad es., C. cost., 18.6.2012, n. 158, e C. cost., 17.7.2012, n. 203; e, per dettagliati riferimenti, SIGISMONDI, I., cit., 101 ss., 161 ss., 182 ss.).

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Con quello di legalità, i principi di imparzialità e buon andamento costituiscono i canoni fondamentali dell’attività amministrativa, quale che sia la forma giuridica da questa assunta.

“La presenza di questi principi, rapportabili all’art. 97 della Costituzione (…), tende a

configurare l’attività delle pubbliche Amministrazioni come sempre finalizzata alla cura di

interessi della collettività; sia che si svolga secondo moduli propriamente procedimentali,

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Innanzitutto, l’art. 97 conferisce uno statuto costituzionale alla parità di trattamento che da decenni la giurisprudenza amministrativa aveva assunto come regola la cui violazione costituisce una delle manifestazioni tipiche dell’eccesso di potere

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.

che secondo moduli negoziali; pur con accentuazioni diverse” (CERULLI IRELLI, V., Note critiche in tema di attività amministrativa secondo modelli negoziali, in Dir. amm., 2003, 244).

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E, quindi, unitamente al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, co. 1, Cost., anche nell’ambito dei rapporti tributari (cfr. Corte dei conti, sez. reg. contr. Piemonte, parere n. 15/2007; Id., sez. reg. contr. Emilia Romagna, parere 1/2007; più recentemente, Id., sez.

reg. contr., Lombardia, parere n. 140/2018). Il principio di imparzialità della P.A. esplicita, con particolare riferimento all’attività di esecuzione del comando legislativo da parte di apparati pubblici, il principio di eguaglianza di fronte alla legge di cui all’art. 3 Cost., tant’è che frequente è l’invocazione congiunta degli artt. 3 e 97 Cost. dinanzi al giudice delle leggi:

ad es. C. cost. 136/2004, 315/2003 e 220/2003. L’imparzialità è poi strumento del buon andamento, in quanto garanzia che siano adottate scelte ottimali secondo criteri oggettivi (CANNADA BARTOLI, E., Imparzialità e buon andamento in tema di scrutini di merito comparativo, in Foro amm., 1964, II, 72). Come fu autorevolmente osservato, il principio in questione “si pone come un autentico vincolo o limite generale (o, come forse è preferibile, come modo di essere generale) del potere discrezionale in tutti i campi in cui tale potere è demandato alla pubblica amministrazione” (BARILE, cit., 32). Infatti, “se è vero che la imparzialità può essere vista sotto un profilo oggettivo come norma di comportamento dell’amministrazione e come tutela della stessa amministrazione, collegandosi così al principio di legalità ed a quello di eguaglianza, non può nemmeno escludersi che essa debba essere vista sotto il profilo soggettivo che, in definitiva, significa non tanto che l’amministrazione debba proporsi il perseguimento di interessi obiettivi quanto il dovere della adozione di criteri di equità, di buona fede, di parità di trattamento, ciò che qualifica la sua azione come quella di un soggetto teso alla soddisfazione di fini pubblici”

(BENVENUTI, F., Per un diritto amministrativo paritario, in Scritti in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, 818 ss.).

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L’eccesso di potere può essere definito come il cattivo uso della discrezionalità da parte

di un’amministrazione pubblica, il quale si verifica tutte le volte in cui la facoltà di scelta

spettante alla P.A. non sia correttamente esercitata. Tale vizio, comportante l’annullabilità

del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 21-octies della Legge n. 241 del 1990, è

costruito logicamente sul vincolo di scopo, sul carattere funzionale degli atti amministrativi,

ovverosia sull’attinenza dell’azione pubblica ai suoi fini istituzionali anche al di là di

specifiche indicazioni normative (PIRAS, A., Invalidità (dir. amm.), in Enc. dir., XXII,

Milano, 1972; D’ALBERTI, M., Gli studi di diritto amministrativo: continuità e cesure fra

primo e secondo novecento, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 1295; CIOFFI, A., Due problemi

fondamentali della legittimità amministrativa (a proposito di Santi Romano e di M. S.

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Benché quest’ultimo sia da sempre considerato il risvolto patologico della discrezionalità, la disparità di trattamento (o, se si vuole, la violazione del Giannini), in Dir. amm., 2009, 605). Si supera in questo modo la risalente configurazione dell’eccesso di potere come vizio della causa o dei motivi dell’atto, a favore della ricostruzione, prevalente, di “vizio della funzione” (BENVENUTI, F., Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1959, I, 1). L’“eccesso di potere” si collega dunque allo “sviamento” della funzione dalla finalità “tipica” (detournment de pouvoir). Attorno allo sviamento la giurisprudenza ha configurato altre figure (cd. “sintomatiche”) di eccesso di potere che integrano il non corretto esercizio della funzione, vuoi sotto il profilo dell’istruttoria difettosa, vuoi per gli aspetti connessi ai principi di imparzialità, logicità, proporzionalità e ragionevolezza. Il “sintomo” di eccesso di potere si presenta perciò quando l’operato dell’amministrazione non appare pienamente rispettoso del complessivo regime della pubblica funzione, intesa quest’ultima come attività vincolata nel fine, doverosamente rivolta al perseguimento dell’interesse pubblico.

Particolare rilievo assume, in questo contesto, il vizio della motivazione che, oltre ad integrare una violazione di legge (art. 3, L. n. 241/1990), dimostra, non di rado, una grave disfunzione procedimentale sub specie, ad esempio, di mancata considerazione di fatti o interessi rilevanti, di irragionevolezza o illogicità della scelta, di contraddittorietà tra più provvedimenti o tra più parti dello stesso provvedimento, ecc. Il “sintomo” di eccesso di potere – proprio per la sua particolare struttura – può essere superato con l’indicazione dei motivi che giustificano (o rendono “ragionevole”) l’apparente anomalia. Attraverso l’eccesso di potere, e per il tramite della motivazione, si apre il quadro giuridico e fattuale della vicenda amministrativa analizzata mediante la chiave logica del procedimento. Ciò significa che l’assetto determinato dal provvedimento, nella sua stabilità e “tenuta”

giuridica, dipende massimamente dalla motivazione che risulta, a sua volta, legata alla completezza del procedimento, nonché, infine, alla coerenza logica tra risultanze istruttorie e scelta finale (LEDDA, F., Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1993, 133; LEVI, F., L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 12, 26 e 161).

Motivazione e procedimento costituiscono perciò prezioso strumento per la verifica della legittimità dell’atto, nella prospettiva della legalità sostanziale: il provvedimento potrà essere considerato illegittimo anche per vizi esterni alla manifestazione di volontà ma che, intervenuti nel procedimento, ne costituiscono il motivo (erroneo). Da qui la cd. “invalidità derivata” che dai vizi del procedimento si contagia al provvedimento finale.

Attorno all’eccesso di potere, e per il tramite dei principi istituzionali, sono dunque

configurati vizi della funzione, ulteriori e diversi dalla puntuale violazione di legge, che

consistono, soprattutto, in difetti ed insufficienze dell’istruttoria o della motivazione, come

anche in ipotesi di travisamento ed erronea valutazione di fatti, di illogicità ed incoerenza

del comportamento dell’amministrazione, di inosservanza della prassi, di disparità di

trattamento, ecc. (ROMANO, A., Art. 26, t.u. Cons. St, (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054), in

Romano, A. - Villata, R. (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia

amministrativa, III ed., Padova, 2009, 1133).

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dovere di imparzialità), può configurarsi anche in relazione ad attività amministrative tradizionalmente ritenute “vincolate” – come l’accertamento e, salvo alcuni profili, la riscossione dei tributi – nelle quali tutti gli elementi da acquisire e valutare, ai fini dell’adozione del provvedimento, sono già predeterminati rigidamente da una disposizione normativa (nell’an, nel quando, nel quid e nel quomodo), sicché l’Amministrazione è chiamata semplicemente a verificare la sussumibilità del caso concreto nella previsione, generale ed astratta, stabilita dall’ordinamento

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.

In secondo luogo, l’imparzialità evoca l’idea di parti tra le quali l’Amministrazione deve essere neutrale. Ciò è evidente quando essa è chiamata a risolvere un conflitto: come quando più soggetti aspirano ad una concessione o ad un posto di lavoro o all’assegnazione di un appalto. Tuttavia, la neutralità è richiesta anche quando l’Amministrazione ha un solo interlocutore, come accade quando espropria il terreno di un unico

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Invero, come si è già rilevato diffusamente nel testo, la legge non può disciplinare nei minimi dettagli qualsiasi aspetto dell’attività degli uffici finanziari. Qualunque funzione istituzionale, anche quelle storicamente considerate “vincolate”, presentano margini più o meno ampi di discrezionalità valutativa, che neppure la prassi amministrativa può eliminare del tutto.

Del resto, come osserva LUPI, R., Manuale professionale di diritto tributario, cit., 235, contemperare interessi diversi, o modalità di soddisfare un interesse unico, comporta spesso un “ambito di ragionevolezza”, connaturato a qualsiasi funzione, pubblica o privata che sia.

Dal punto di vista tributario, ciò si traduce nel fatto (ibidem, 232) che nell’azione di

controllo, come anche nella gestione delle controversie, gli uffici devono inevitabilmente

contemperare vari profili sotto cui considerare l’interesse erariale, nei tempi e nei modi,

valutando sia gli aspetti del gettito, sia doveri di trasparenza, imparzialità, efficienza della

propria azione, anche in relazione all’offensività dei comportamenti dei contribuenti, al

danno per l’erario, all’effetto dissuasivo rispetto all’evasione. Profili analoghi sussistono

nella valutazione di tendenze giurisprudenziali in atto per stabilire se proseguire un

contenzioso o prestare acquiescenza ad una sentenza sfavorevole. Lo stesso accade quando

si tratta di concedere rateazioni d’imposta o anche transigere con debitori in stato di

insolvenza, come pure di modificare il domicilio fiscale di un contribuente in relazione alle

esigenze di snellezza e proficuità dei controlli. In genere, tutti questi profili mutano di

contenuto a seconda dei casi concreti, e si intrecciano con le incertezze, di fatto e di diritto,

con cui gli “addetti ai lavori” devono costantemente fare i conti.

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proprietario, prende in esame un’istanza di autorizzazione o valuta l’opportunità di prevenire o definire in via consensuale un contenzioso di natura tributaria

292

.

292

Anche in questi casi il privato è parte, e come le parti di un processo, non soltanto ha diritto ad un trattamento equanime, ma ha diritto anche a far sentire la sua voce: ha diritto cioè al contraddittorio o alla partecipazione in seno al procedimento amministrativo. Un diritto, va aggiunto, che oggi è espressamente riconosciuto, in linea generale, dalla l. n.

241/1990: diritto di ricevere comunicazione dell’avvio del procedimento, diritto di presentare memorie e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di prendere in considerazione, diritto, eventualmente, di partecipare all’istruttoria (per es. alla conferenza di servizi), diritto ad avere anticipata l’intenzione dell’amministrazione di respingere la sua istanza, con correlativo diritto di controdedurre. Tutto questo avviene nell’ambito del procedimento. Il procedimento è anch’esso applicazione del principio di imparzialità. Non che il procedimento amministrativo fosse sconosciuto prima della Costituzione: solo che l’art. 97 ha fatto di quella che era la normale morfologia dell’azione amministrativa uno schema costituzionalmente obbligato per lo svolgimento di tale attività. Nello stato di diritto, il procedimento è il naturale alveo per l’adozione di qualsiasi decisione amministrativa e dunque per l’esercizio di qualsiasi funzione pubblica (SANDULLI, A., Procedimento amministrativo, in Diz. dir. pubbl., cit., 4510).

Naturalmente anche l’agire dell’Amministrazione finanziaria si articola in atti ed attività

(per lo più) di natura pubblicistica, diretti al perseguimento di un fine pubblico (l’attuazione

del prelievo tributario), ed è certamente riconducibile all’azione amministrativa ed al

procedimento amministrativo. Tuttavia in materia tributaria la dottrina e la giurisprudenza

risultano spesso condizionate da logiche “particolaristiche” e da approcci settoriali, per cui

si tende a svalutare il riferimento dell’azione impositiva all’azione amministrativa e del

procedimento tributario al procedimento amministrativo. Nei risalenti dibattiti dogmatici

che hanno lungamente caratterizzato la materia, sia le teorie dichiarativiste (che ricollegano

la nascita dell’obbligazione tributaria al verificarsi del presupposto dell’imposta), sia quelle

costitutiviste (che la ricollegano ad un successivo atto di imposizione dell’A.F.), hanno

inquadrato nello schema procedimentale lo svolgersi, rispettivamente, del rapporto di

imposta o dell’esercizio del potere di imposizione; tale schema è stato ritenuto idoneo a

ricomprendere attività ed atti, anche di carattere strumentale, tanto dell’A.F. quanto del

contribuente o di terzi, necessari o meno, previsti dalle norme che disciplinano i diversi

tributi (SALVINI, L., La partecipazione del privato all’accertamento, cit., 38 ss.). Il

riferimento al procedimento è quindi diffuso, ma le accezioni e le opzioni dogmatiche sono

molto differenziate. Certo è che l’evoluzione della legislazione tributaria, maturata sulla

base della riforma dei primi anni settanta, ha comportato l’abbandono del tentativo di

ricostruire l’attività dell’A.F. secondo un unico modello procedimentale e di subordinare, in

ogni caso, allo svolgimento del procedimento impositivo la nascita dell’obbligazione

tributaria (MICHELI, G.A., Considerazioni sul procedimento tributario d’accertamento

nelle nuove leggi di imposta, cit., 620 ss.). Le teorie costitutive attraversano quindi una fase

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critica, segnata: dalla sempre maggiore articolazione delle diverse modalità di attuazione dei tributi; dalla marcata connotazione dell’attività dell’A.F. come controllo degli adempimenti del contribuente; dalla centralità delle molteplici e variegate situazioni soggettive del contribuente e dell’A.F., che si articolano in modalità difficilmente riconducibili allo schema del procedimento, sempre più incentrate sul sistema dell’autoliquidazione in base a dichiarazione (BASCIU, A.F., Imposizione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 7). In tale prospettiva il procedimento è stato spesso depotenziato e ridotto a valenza descrittiva di un’attività dell’A.F. meramente eventuale; la nozione di procedimento tributario è risultata talmente sfumata da risultare inutile, o comunque atecnica, ovvero estranea alle categorie del diritto amministrativo (RUSSO, P., Manuale di diritto tributario, cit., 123 ss.; LA ROSA, S., Il giusto procedimento tributario, in Giur. imp., 2004, 763).

Comunque, a partire dagli anni novanta, la contrapposizione tra teorie dichiarativiste e teorie costitutiviste si è andata attenuando; oggi il problema centrale della materia tributaria non è più quello della fonte dell’obbligazione tributaria, e della natura dichiarativa o costitutiva degli atti impositivi, quanto piuttosto quello dell’equilibrio tra autoritatività dell’azione impositiva e pariteticità del rapporto obbligatorio. In tale ottica non può essere sottovalutato il fatto che il ricorso alla nozione di procedimento ha permesso di evidenziare, accanto alle situazioni soggettive del contribuente e dell’A.F. direttamente collegate all’attuazione del prelievo, numerose altre situazioni di carattere strumentale, che si attuano in procedimenti collegati, consentendo altresì di dare a tali situazioni il giusto risalto ed una organica collocazione (SALVINI, L., Procedimento amministrativo (dir. trib.), in Diz. dir.

pubbl., cit., 4532-4533).

Con l’emanazione della legge generale sul procedimento amministrativo, 7.8.1990, n. 241, l’attenzione per i profili procedimentali dell’attuazione del tributo ha trovato nuovi spunti (SELICATO, P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 269 ss.), ma la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno continuato a svalutare il procedimento tributario (PERRONE, L., Riflessioni sul procedimento tributario, cit., 52 ss.;

Id., La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, ibidem, 2011, I, 563; COMELLI, A., Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova 2012, 58 ss,), basandosi su asserite peculiarità delle procedure tributarie, tali da distaccarle dal modello del procedimento amministrativo.

Negli ultimi anni si è aperta una nuova fase, che ha posto le basi per la rivisitazione dell’azione impositiva: - nel 2000 lo Statuto dei diritti del contribuente (l. 27.7.2000, n. 212) è stato emanato espressamente in attuazione, non solo degli art. 23 e 53, ma, anche degli artt.

3 e 97 Cost., e quindi in una prospettiva che rafforza la connotazione amministrativistica

dell’azione impositiva; - la l. n. 241/1990 è stata significativamente modificata dalla novella

11.2.2005, n. 15, e trasformata in una legge generale sull’azione ammnistrativa; - la recente

valorizzazione dei profili consensualistici nel rapporto Fisco - contribuenti, è risultata

pressoché contestuale alla analoga vicenda dei rapporti fra pubblica amministrazione e

cittadini, ed è stata riassorbita nella logica dell’azione amministrativa, piuttosto che subire

derive paracivilistiche; - i principi del diritto comunitario hanno influenzato indistintamente

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e costantemente l’azione amministrativa e l’azione impositiva, rafforzandone l’osmosi (DEL FEDERICO, L., Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea.

Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano 2010, 220 ss.). Su tali basi è ormai ineludibile ricondurre l’azione impositiva all’azione amministrativa, e poi concepire unitariamente l’agire funzionalizzato della pubblica amministrazione, si realizzi esso mediante provvedimenti autoritativi, discrezionali o vincolati che siano, ovvero mediante atti consensuali, pur con tutte la peculiarità della funzione impositiva. L’A.F deve attenersi sempre al principio di legalità ed orientare la propria azione secondo i canoni di imparzialità e buon andamento, così da garantire, in ogni caso, la finalizzazione dei propri atti alla cura dell’interesse fiscale ex art. 53 Cost. (“sul piano normativo generale si deve tener presente che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è forma della funzione”, cui è riconducibile anche l’accertamento tributario; così Cass., sez. trib., 23.1.2006, n. 1236, in Dir. prat. trib., 2006, II, 731). Ciononostante è ancora molto diffuso l’orientamento che, partendo dalla innegabile assenza di discrezionalità nel procedimento tributario di accertamento per quanto concerne la determinazione del tributo, sovraespone la natura vincolata della funzione impositiva, anche a scapito di quei significativi margini di discrezionalità rinvenibili in alcuni peculiari segmenti dell’azione impositiva (si pensi alla scelta del contribuente da sottoporre a controllo e poi alle modalità dell’istruttoria, allo scambio di informazioni fra autorità fiscali, all’accertamento con adesione, alla mediazione- reclamo, alle rateizzazioni, alle misure cautelari ed ai variegati accordi in tema di riscossione, all’annullamento in sede di autotutela, ecc.). Secondo un’opinione, l’assenza di discrezionalità giustificherebbe una netta differenziazione tra procedure tributarie e procedimento amministrativo, rendendo inapplicabili alla materia tributaria la l. n. 241/1990 (PERRONE, L., op. ult. cit., 569 ss.).

Comunque, la tesi che riconduce il procedimento tributario al procedimento amministrativo, e che riconosce la natura provvedimentale dell’accertamento tributario, del provvedimento sanzionatorio, del ruolo e degli altri atti impositivi è assolutamente prevalente (v. per tutti FANTOZZI, A., Il diritto tributario, cit., 358 ss., il quale evidenzia come sia ormai “sterile insistere sull’improprietà della nozione di “procedimento d’imposizione”, affermando l’assenza di un necessario provvedimento finale”, argomentando sotto diversi profili sull’opportunità di utilizzare le nozioni di procedimento e di provvedimento). La l. n.

15/2005 ha introdotto molteplici innovazioni, con notevoli ricadute sull’azione impositiva e

sul procedimento tributario; la legge generale sull’azione amministrativa si pone ormai

come pilastro di tutta l’attività delle pubbliche amministrazioni, ed anche dell’attività

amministrativa in materia tributaria. Sul piano sistematico assume particolare interesse il

rafforzamento dei principi generali di cui all’art. 1, co. 1. Tale norma, certamente

applicabile alla materia tributaria, attribuisce fondamentale rilievo ai principi di economicità,

efficacia, pubblicità e trasparenza, nonché ai principi dell’ordinamento comunitario. Infatti

risulta estremamente significativa la previsione del passante legislativo che consente

l’ingresso nel nostro ordinamento di tutti i principi dell’ordinamento comunitario, e quindi

per es. anche del principio di proporzionalità, nonché di quel principio del contraddittorio,

ampiamente recepito, sin dal 1990, nel Capo III della legge, ma oggi rilevante per l’intera

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azione amministrativa anche a prescindere dagli artt. 7-12 di cui al cit. Capo III. Pertanto, per la materia tributaria, ferma l’inapplicabilità delle specifiche disposizioni del Capo III sulla “partecipazione al procedimento amministrativo” (in virtù delle forti connotazioni inquisitorie che i procedimenti tributari, per via delle peculiari esigenze investigative, normalmente assumono), dovrà comunque essere osservato anche il principio del contraddittorio, sia pure senza i formalismi e le minuziose disposizioni legislative degli artt.

7-12. Sotto tale profilo, lo Statuto dei diritti del contribuente grava l’Agenzia delle entrate, a pena di nullità, dell’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti o documenti prima di procedere all’iscrizione a ruolo (art. 6, co. 5); viene poi riconosciuto il diritto del contribuente di presentare deduzioni dopo la notifica del processo verbale di constatazione, gravandosi l’Agenzia di specifici obblighi di vaglio istruttorio prima di emanare l’atto di accertamento (art. 12, co. 7,). La dottrina ne ha desunto la generalizzata, sia pure implicita, implementazione del principio del contraddittorio (MARONGIU, G., Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2008, 140-143). Per quanto riguarda la giurisprudenza, a fronte dei risalenti orientamenti svalutativi del contraddittorio, sembravano ormai risolutive le sentenze 1.12-18.12.2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, con le quali le Sezioni Unite, in tema di accertamenti standardizzati, hanno riconosciuto che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa…”.

Massima coerente con il successivo arresto delle SS.UU., sentenza n. 18184/13, giusta la quale l’art. 12, co. 7, della L. n. 212 del 2000 va interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni (dal rilascio di copia del p.v.c. di chiusura delle operazioni) per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina, di per sé, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus (salva la ricorrenza, da comprovarsi dall’Ufficio, di oggettive specifiche ragioni d’urgenza) sul presupposto che tale violazione procedimentale si risolve in un’intollerabile deviazione dal modello normativo perentoriamente prescritto.

Modello normativo che – sotto la rubrica “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” ed introiettando, con riguardo all’ambito di applicazione di riferimento, principi (di collaborazione e buona fede nei rapporti tra Amministrazione e contribuente) di derivazione costituzionale e comunitaria – configura il contraddittorio endoprocedimentale, nelle verifiche considerate, quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del migliore esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione. Tuttavia, varie pronunce delle sezioni semplici (v., ad es., Cass., sez.

trib., 28.2.2013, n. 15319) e, soprattutto, la sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015

(cui si rimanda per un puntuale e completo excursus degli orientamenti espressi dalla

giurisprudenza sul tema del contraddittorio preventivo), hanno recisamente escluso che,

anche dopo l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, possa ravvisarsi un obbligo

generalizzato dell’Amministrazione fiscale di attivare il contraddittorio endoprocedimentale,

ogni qualvolta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente,

pena l’invalidità dell’atto. In base a tale ultimo decisum, un obbligo siffatto sussiste soltanto

in relazione ai tributi armonizzati (pur con significativi temperamenti), e a quelle ipotesi,

(10)

~ 172 ~

contemplate dal diritto nazionale, in cui è espressamente sancito (ad es., negli accertamenti fondati sull’abuso del diritto).

Venendo alle forme partecipative, l’autorevole dottrina che più attentamente ha studiato il tema (SALVINI, L., La partecipazione del privato all’accertamento, cit.; Id., La «nuova»

partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in Riv. trib., 2000, 1, 13 ss.; Id., Procedimento amministrativo (dir. trib.), cit., 4540) ne identifica due distinte tipologie: - la partecipazione collaborativa, mediante la quale l’A.F. può acquisire nei confronti del contribuente, partecipe, ma sottoposto a poteri autoritativi, elementi probatori utili ai fini del controllo (MULEO, S., Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, cit.; VIOTTO, A., I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002; CIPOLLA, G.M., La prova tra procedimento e processo tributario, cit.); - la partecipazione difensiva, mediante la quale l’A.F. consente al contribuente di apportare motivi, eccezioni, prove, ecc., a tutela dei propri interessi, affinché vengano valutati prima di emettere il provvedimento impositivo (si pensi all’accertamento antielusivo ex art. 10-bis, L. n. 212/2000, all’iscrizione a ruolo a seguito di liquidazione della dichiarazione ex art. 6 ed alle deduzioni a fronte del P.V.C. ex art. 12, co.

7, del medesimo Statuto del contribuente; alle deduzioni nel procedimento sanzionatorio ex art. 16, d. lgs. 18.12.1997, n. 472, ecc. (RAGUCCI, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009). Tuttavia, tale bipartizione risulta scarsamente utile sul piano applicativo; in entrambe le forme partecipative si sovrappongono ed ibridano acquisizioni conoscitive proficue per l’A.F. ed iniziative del contribuente a tutela dei propri interessi.

Chiarito che nei procedimenti tributari la partecipazione del privato (contribuente, terzo, ecc.) assume peculiari forme, notevolmente delimitate, circoscritte e depotenziate rispetto alla disciplina base della legge generale, acclarato che tali limitazioni trovano giustificazione nella natura marcatamente inquisitoria ed autoritativa dei controlli, enucleate le differenze tra forma della partecipazione e nucleo del contraddittorio, sembra che a questo punto – in ragione del nuovo regime dei vizi formali e procedimentali e dell’ormai indiscutibile sussunzione dell’azione impositiva nella attività amministrativa – l’analisi dei procedimenti tributari debba essere incentrata sulla loro tipologia, sui contenuti e sugli effetti.

Ai nostri fini presenta poi grande interesse la codificazione dei vizi dell’atto amministrativo e il depotenziamento delle violazioni procedimentali e formali attuati con la Legge n.

15/2005. Innovazioni, queste, che insieme alla conseguenziale valorizzazione

dell’amministrazione di risultato, risultano condivisibili per i procedimenti ed i

provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, nonché per quelli di governo del

territorio, di gestione dei servizi pubblici, ecc., ma suscitano perplessità per quanto riguarda

i procedimenti ed i provvedimenti direttamente limitativi della sfera giuridica dei privati. Il

passaggio dall’amministrazione come mera esecuzione della legge, all’amministrazione di

risultato, convince laddove l’amministrato esprime un interesse pretensivo, allarma laddove

l’amministrato esprime un interesse oppositivo. Sintomatica è la situazione che si verifica

nella materia tributaria in cui mancano i controinteressati ed i contribuenti esprimono

interessi oppositivi (salvo che in tema di rimborso, di esenzioni ed agevolazioni, ecc.).

(11)

~ 173 ~

Tuttavia, proprio laddove sono più forti e caratterizzanti le connotazioni autoritative, la portata limitativa dei provvedimenti, gli effetti di decurtazione patrimoniale e la natura oppositiva degli interessi, assume un fondamentale ruolo di riequilibrio lo Statuto dei diritti del contribuente, quale secondo pilastro dell’azione impositiva e baluardo garantistico. In merito è stato convincentemente evidenziato che “ad alcuni dei principi generali dell’azione amministrativa, codificati nella L. n. 241/1990, potrebbero … opporre resistenza i principi statutari, se difformi, alla stregua di un singolare rapporto di specialità tra normative entrambe di carattere generale, delle quali una ha però una valenza (con i relativi limiti, ma anche con la connessa capacità di resistenza) di regolazione settoriale” (così BASILAVECCHIA, M., La nullità degli atti impositivi. Considerazioni sul principio di legalità e funzione impositiva, in Riv. dir. fin., 2006, I, 357-358; per analoghe considerazioni v: MARONGIU, G., op. ult. cit., 202; RAGUCCI, G., op. cit., 222; PIANTAVIGNA, P., Osservazioni sul “procedimento tributario” dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo, in Riv. dir. fin., 2007, I, 88-89; degna di particolare attenzione risulta la diffusa tesi, elaborata ed argomentata da PERRONE, L., op. ult. cit., 569 ss., secondo cui ormai lo Statuto avrebbe superato alla radice ogni esigenza e plausibile margine per l’ipotetica applicabilità in materia tributaria della l. n. 241/1990). Il legislatore ha ritenuto di dover individuare una griglia di norme e principi posti specificamente a garanzia del contribuente, il quale evidentemente per la peculiare connotazione marcatamente autoritativa ed ablatoria della potestà impositiva, meritava un apposito “statuto” rafforzativo ed ampliativo del normale quadro garantisco assicurato all’amministrato dalla l. n. 241/1990.

Le norme ed i principi posti dallo Statuto si configurano quindi come parte qualificante delle garanzie fondamentali del contribuente (si configura una superiorità assiologia dei principi statutari, cui fa capo la loro funzione di orientamento ermeneutico vincolante per l’interprete (su tale approccio v. per tutti MARONGIU, G., op. ult. cit., 54 ss.). Tali garanzie non possono essere del tutto svuotate per via indiretta, mediante il depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti ex art. 21 octies, co. 2, della novellata l. n. 241/1990 (previsione in base alla quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti “qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”). Risulterebbe arbitrario ed irragionevole stravolgere le fondamentali garanzie specificamente poste dallo Statuto in ragione di una norma che attiene al generale regime delle garanzie dell’amministrato (se è vero che il contribuente necessitava di un apposito Statuto). Certo, l’applicabilità della regola generale del depotenziamento della violazione di norme sul procedimento o sulla forma non può essere in assoluto esclusa in materia tributaria, giacché l’azione impositiva appartiene al genus dell’azione amministrativa, ma la sua operatività può e deve essere esclusa a fronte della violazione delle specifiche norme statutarie, che in quanto norme fondamentali di garanzia non possono essere riduttivamente considerate mere norme sul procedimento o sulla forma degli atti, svilite nella logica delle irregolarità non invalidanti.

Resta fermo che il depotenziamento delle violazioni ex art. 21 octies, potrà operare, con tutti

i suoi normali limiti, ed alle condizioni previste, a fronte delle semplici norme

(12)

~ 174 ~

procedimentali o formali disseminate nella legislazione tributaria, laddove non risultino rafforzate dal baluardo statutario. Si ritiene quindi che la l. n. 241/1990, così come novellata dalla l. n. 15/2005 – e segnatamente il nuovo regime dei vizi di cui al nuovo Capo IV bis – si applichi anche in materia tributaria, in quanto compatibile e salvo deroghe, dovendosi risolvere ogni problema interpretativo salvaguardando la fondamentale e specifica funzione garantistica dello Statuto (TESAURO, F., L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll.

trib., 2005, 1447 ss.; BASILAVECCHIA, M., op. ult. cit., 356 ss.; PIANTAVIGNA, P., op.

cit., 75 ss; ZAGA’, S., Le invalidità degli atti impositivi, Padova, 2012, 33 ss.). La prevalente dottrina tributaria evita di affrontare il tema; tuttavia contro l’applicabilità del nuovo regime dei vizi v.: MULEO, S. – LUPI, R., Motivazione degli atti impositivi e (ipotetici) riflessi tributari delle modifiche alla legge n. 241/90, in Dial. trib., 2005, 533;

PERRONE, L., op. ult. cit., 574; FEDELE, A., Appunti, cit., 355, il quale tuttavia, in un successivo contributo, pur conservando ampie riserve sul nuovo regime dei vizi, riconosce l’operatività nella materia tributaria delle norme e dei principi del diritto amministrativo, parlando di “risultato positivo, almeno in parte imputabile … all’indirizzo dato da Micheli agli studi sull’attuazione dei tributi” (Diritto tributario ed evoluzione del pensiero giuridico, in AA.VV., Studi in memoria di G.A. Micheli, Napoli, 2010, 18; in giurisprudenza, per l’applicabilità dell’art. 21-octies in materia tributaria, v. Cass., sez. trib., 31.1.2013, n. 2373, in banca dati fisconline).

Come risulta dal contesto teorico nel quale è maturata la novella, tutto ruota su una nuova concezione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., impregnato non più dal formalismo legalitario, ma da finalità di risultato ed efficienza nella gestione dei rapporti. Anche nell’ambito della funzione impositiva e della giustizia tributaria la nuova filosofia dell’amministrazione di risultato, il favor per gli interessi pubblici e collettivi, il nuovo regime dei vizi ed il depotenziamento dei vizi formali possono trovare adeguata implementazione. Infatti, nella nostra materia lo Statuto dei diritti del contribuente costituisce uno solido baluardo, che si innesta nella disciplina generale dell’azione amministrativa, orienta in chiave garantistica l’interpretazione e l’attuazione di tutte le leggi tributarie, pone specifiche garanzie procedimentali in favore del contribuente.

Comunque, la funzione impositiva è caratterizzata da alcune specificità, che consentono un innesto armonioso ed equilibrato del nuovo regime dei vizi, con significativi margini di recupero a favore degli interessi oppositivi dei contribuenti: i poteri impositivi debbono essere esercitati entro termini decadenziali, per cui, a prescindere dai limitati casi di azione di nullità, la normale azione di annullamento ad effetto costitutivo non potrà che produrre effetti caducatori del provvedimento impositivo impugnato; l’accesso al rapporto è precluso al giudice tributario in quanto è l’A.F. a dover emanare l’atto idoneo ad evitare la decadenza.

Enucleati i tratti essenziali del dibattito nella dottrina tributaria e della contrapposizione tra

gli altalenanti orientamenti giurisprudenziali, è ormai necessario tener conto del mutato

quadro normativo e teorico a seguito della novella alla l. n. 241/1990, del generalizzato

depotenziamento dei vizi procedimentali e formali, dell’affermarsi della nuova logica

dell’amministrazione di risultato in luogo del tradizionale approccio legalistico-formale.

(13)

~ 175 ~

Nelle sue accezioni più evolute, tuttavia, il concetto di imparzialità si traduce non solo e non tanto nel senso di “non parzialità” dell’attività amministrativa Per quanto riguarda la materia tributaria, va certamente riconosciuto il ruolo fondamentale dell’interesse fiscale, desumibile dall’art. 53 Cost., inteso quale interesse alla percezione dei tributi, pronta e perequata, mediante l’esatto funzionamento del sistema tributario; ma non può essere obliterato il principio di capacità contributiva espressamente posto al centro del sistema dei valori costituzionali. Interesse fiscale e capacità contributiva vanno però contemperati in modo coerente. In una prospettiva formalistica, l’equilibrio e la reciproca salvaguardia rispondono a logiche formali, mentre in una prospettiva sostanzialistica dovranno necessariamente rispondere a logiche sostanziali. Il principio di uguaglianza, il diritto di difesa, le regole del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, impongono un’interpretazione equilibrata e coerente della salvaguardia dell’interesse fiscale e del principio di capacità contributiva. È specificamente il dovere di imparzialità ad imporre all’A.F. di tollerare nei confronti del contribuente quegli stessi vizi procedimentali e formali, che ad essa sono tollerati dall’art. 21-octies della l. n. 241/1990. Su tali basi va fondato il rifiuto di interpretazioni formalistiche ed il doveroso rispetto dei comportamenti sostanzialmente corretti dei contribuenti. Ma tutto ciò non comporta affatto una svalutazione del procedimento: tanto nel diritto amministrativo, quanto nel diritto tributario, se è vero che è recessivo il garantismo procedimentale, è innegabile che emergono i qualificanti valori dell’economicità, dell’efficacia, della pubblicità, della trasparenza, ecc.

Il procedimento resta il naturale ambito di emersione degli interessi, pubblici e privati, investiti dalla decisione dell’autorità, che va assunta nel rispetto di tali principi. Del procedimento si attenua la tutela garantistica, ma si esalta la funzione amministrativa- gestoria. Nonostante i suindicati profili di depotenziamento dell’invalidità, le norme procedimentali continuano ad avere una notevole rilevanza: sul piano della validità per tutti i provvedimenti discrezionali o che comunque non siano integralmente vincolati, ed entro i limiti posti dall’art. 21-octies, anche per i provvedimenti del tutto vincolati; sul piano della responsabilità disciplinare; sul piano della responsabilità per danno erariale; sul piano della responsabilità risarcitoria in favore dei cittadini danneggiati; sul piano penale, ecc.

Per quanto riguarda la fiscalità, tutto il sistema dell’azione impositiva, dell’attuazione delle norme tributarie e dei controlli resta incentrato sul procedimento; la dichiarazione e l’autoliquidazione rivestono un ruolo fondamentale, ma di certo lungi dall’essere autosufficiente, come dimostrano la marcata connotazione autoritativa dei rapporti tributari e l’innegabile rilevanza dei controlli e della repressione degli illeciti.

Comunque, soltanto nella logica del procedimento e del provvedimento è configurabile un

controllo sull’esercizio dell’azione impositiva: controllo orientato non solo

garantisticamente a tutela dell’interesse del contribuente (mediante la partecipazione al

procedimento e, se del caso, mediante il sindacato giurisdizionale – del tutto eventuale), ma

anche e soprattutto controllo (interno, diretto e costante) a tutela dell’interesse pubblico, sia

in termini di buon andamento ed imparzialità, sia in termini di efficacia e verifica della

corretta attuazione della capacità contributiva e dei risultati amministrativi. Risulta quindi

indubbia e persistente la centralità del procedimento nell’azione impositiva.

(14)

~ 176 ~

– intesa come divieto di discriminazioni e favoritismi nell’esercizio delle funzioni istituzionali – ma, piuttosto, come ragionevolezza, adeguatezza, coerenza della stessa, e si impone come canone alla cui stregua procedere alla composizione di tutti gli interessi coinvolti nella fattispecie.

Dunque, viene in rilievo proprio nelle circostanze in cui può riconoscersi un potere dispositivo in capo all’Amministrazione.

Ciò posto, far derivare l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria dall’art. 97 Cost. sembra una contraddizione in termini. Sennonché, in base a siffatto indirizzo, il principio dell’indisponibilità in materia tributaria discenderebbe non già da un’incompatibilità in astratto tra l’imparzialità dell’azione amministrativa ed il potere negoziale di rinuncia al credito d’imposta – i quali, invero, ben potrebbero conciliarsi in vista dell’interesse pubblico alla pronta e definitiva percezione del tributo – bensì in conseguenza della difficoltà, tutta pratica, di assicurare che l’attività dell’Amministrazione finanziaria, nel concreto esercizio dei poteri di disposizione, resti informata ai canoni dell’imparzialità e del buon andamento

293

. Ma, com’è facile intuire, così ragionando si incorre in un evidente slittamento di piani – da quello del

“dover essere” a quello dell’“essere” – postulandosi un rapporto di derivazione niente affatto necessitato e, anzi, escluso dalla fisiologia dell’azione amministrativa, tra l’indisponibilità del credito tributario e i principi sanciti dall’art. 97 Cost

294

. Questi ultimi, infatti, non sono

293

Così, MICCINESI, M., Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, cit., 5 ss., il quale osserva che “in concreto il nostro ordinamento ha sempre negato l’attribuzione all’amministrazione di un simile potere” (di disposizione del credito d’imposta) perché

“difficile da gestire nel rispetto dei principi di assoluta imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa che nel settore tributario non tollerano alcuna compressione”.

294

RUSSO, P., Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, cit.,

89 ss. Del resto, la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 433/2000) ha già avuto occasione di

pronunciarsi su una questione di costituzionalità, sollevata in relazione anche all’art. 97, con

riferimento all’istituto della conciliazione giudiziale, esprimendosi nel senso della non

fondatezza della censura.

(15)

~ 177 ~

incompatibili con una ipotetica disponibilità del credito d’imposta, potendo semmai assumere rilievo sul diverso piano della responsabilità dei funzionari pubblici per gli atti di disposizione del tributo posti in essere senza valida ed effettiva motivazione.

D’altra parte, l’art. 97, insieme con l’art. 113, rappresenta il fondamento costituzionale dell’obbligo di motivazione degli atti della P.A., del dovere cioè di dar conto delle ragioni che hanno determinato la decisione dell’autorità pubblica, onde consentire alla parte, cui il provvedimento è rivolto, di sollecitare il sindacato giurisdizionale su di essa; di verificare, innanzitutto, se sia stato osservato il principio di imparzialità nello svolgimento dell’azione amministrativa. Anche qui la Costituzione interviene a formalizzare e generalizzare un elemento che la giurisprudenza sull’eccesso di potere aveva da decenni isolato: un elemento che oggi l’art. 3 della l. n. 241/1990 richiede a tutti i provvedimenti amministrativi, ad eccezione degli atti normativi e degli atti generali.

La motivazione rende esplicite le ragioni che hanno spinto l’Amministrazione a decidere in un certo modo: consente agli interessati di conoscere il processo mentale che sta all’origine dell’atto amministrativo e perciò mira a rendere l’attività amministrativa trasparente. In ambito tributario, è opinione comune che l’obbligo di motivazione non sia sempre e comunque funzionalizzato all’eventuale esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente, destinatario degli effetti di un provvedimento impositivo

295

. Una adeguata motivazione si rivela vieppiù indispensabile per gli atti a rilevanza essenzialmente interna; ciò non soltanto per intuibili ragioni di imparzialità e

295

Il profilo è ben evidenziato da MICCINESI, M., op. cit., 20, oltre che da VERSIGLIONI,

M., Le “ragioni” del frequente utilizzo degli istituti deflattivi, anziché del processo

tributario, in Neotera, n. 3-bis, 2009, 34 ss., ed ivi per altri riferimenti bibliografici pro e

contra.

(16)

~ 178 ~

di buon andamento dell’azione impositiva, ma anche per prudenziali esigenze interne agli Uffici, attinenti all’esplicitazione delle scelte operative.

In definitiva, è la trasparenza la principale garanzia contro i favoritismi e gli abusi: costringere i funzionari dell’Amministrazione finanziaria ad illustrare passo per passo il procedimento logico che li ha condotti a formulare o ad accettare determinate proposte di revisione della pretesa tributaria, mettendo nero su bianco le ragioni che, a loro avviso, fanno dell’accordo con il contribuente la migliore approssimazione possibile alla verità, per come ricostruita in contraddittorio, costituisce il rimedio più efficace contro il rischio di intese fraudolente sull’an e sul quantum dell’obbligazione d’imposta

296

.

Del resto, è opinione condivisibile che la corruzione, autentico convitato di pietra nei dibattiti dottrinali su imparzialità dell’azione amministrativa, vincolatezza della funzione impositiva ed irrinunciabilità del credito tributario, non si combatte negando alla radice la legittimità costituzionale di istituti volti a favorire la definizione concordata del tributo. Accordi, questi, che nell’ottica di superare lo stato di incertezza in ordine alla debenza delle somme pretese dal Fisco, possono ben fondarsi su valutazioni di opportunità

296

Tesi ampiamente condivisa in dottrina; si veda, in particolare, RUSSO, P., op. ult. cit., loc.

cit., secondo il quale tutti gli atti posti in essere in attuazione di istituti aventi una ratio

deflattiva del contenzioso (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, non ultima

l’autotutela tributaria) debbono “essere forniti di apposita ed adeguata motivazione; la quale,

invero, non può che intendersi prevista nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria

piuttosto che del contribuente, essa servendo a valutare il comportamento del funzionario ai

fini di una sua eventuale responsabilità, per l’ipotesi in cui egli abbia agito al di fuori dei

parametri della normale diligenza, di tal guisa provocando una danno all’Erario. Di parere

concorde, tra gli altri, BATISTONI FERRARA, F., Profili di incostituzionalità

dell’accertamento con adesione, cit., 1954 ss., e LUPI, R., Manuale professionale di diritto

tributario, cit., 238-239, 377-378.

(17)

~ 179 ~

legate ai rischi e alle probabilità di successo di un contenzioso giurisdizionale (c.d. analisi costi-benefici)

297

.

L’importante, onde scongiurare le degenerazioni del regime anteriore al 1973, con il concordato fiscale spesso gestito come uno sconto, partendo dalla cifra da pagare anziché dalla motivazione dell’accertamento

298

, è mantenere traccia documentale dei passaggi logici alla base delle scelte amministrative di rimodulare o meno la pretesa tributaria, ciò che ne assicura, almeno in linea teorica, un’adeguata ponderazione ex ante ed un’agevole controllabilità ex post sotto il profilo dell’imparzialità e della ragionevolezza.

4. L’altra faccia dell’indisponibilità tributaria: la vincolatezza (o assenza di discrezionalità) della funzione impositiva.

Qualunque scritto che si prefigga la trattazione sistematica di un tema di così ampio respiro dogmatico come l’indisponibilità del credito d’imposta, non può non affrontare anche il collegato profilo della mancanza di discrezionalità nell’agire dell’Amministrazione finanziaria volto alla determinazione del tributo.

La dottrina

299

considera le nozioni di indisponibilità (riferita alla prestazione impositiva) e di vincolatezza (riguardante la potestà di imposizione) talmente

297

Per un rilievo critico generalizzato alle tesi che invocano gli artt. 23, 53 e 97 Cost. a sostegno del principio dell’indisponibilità, si veda RUSSO, P., op. ult. cit., loc. cit., il quale, muovendo dalla constatazione che ciascuna delle norme costituzionali richiamate impone vincoli al legislatore a tutela e garanzia del privato-cittadino, fa notare che è un controsenso ritenere le stesse disposizioni idonee a fondare l’indisponibilità del credito tributario e, quindi, a delegittimare atti posti in essere dall’Amministrazione finanziaria e dal contribuente, dunque con il consenso di quest’ultimo.

298

LUPI, R., op. ult. cit., 378.

299

Nel senso che la inderogabilità o indisponibilità della obbligazione tributaria si risolve

esclusivamente nella vincolatezza dell’attività amministrativa di imposizione, regolata in

ogni suo aspetto dalla legge, al cui rispetto sono tenute tutte le parti del rapporto si veda

TESORO, G., op. ult. cit., 55 ss.; Id., Principii, cit., 52-53; PUGLIESE, M., Istituzioni di

(18)

~ 180 ~

avvinte da configurare non già attributi diversi del fenomeno tributario, bensì lo stesso attributo o lo stesso carattere che muta nome “sol perché da alcuni il tributo è concepito e costruito come rapporto giuridico e da altri come funzione giuridica”.

Dunque, ancora una volta, la diversità di nome riflette più l’angolo di osservazione del fatto che il fatto in sé

300

.

Se dal rapporto di imposta si passa alla funzione impositiva (Allorio, Tesauro, Glendi, Micheli, Fantozzi), si può rilevare che codesta funzione è un’attività amministrativa deputata a soddisfare il fine del prelievo fiscale, che è la ripartizione di carichi pubblici. Se poi si riflette sull’essenza del potere discrezionale, non si fa fatica a capire il perché, secondo la dottrina tradizionale, la funzione di imposizione–ripartizione tributaria sia considerata vincolata

301

.

diritto finanziario, Padova, Cedam, 1937, 37; GIANNINI, A.D., Istituzioni di diritto tributario, Milano, Giuffrè, 1951, 20, 57 e nota 5; MICHELI G.A. – TREMONTI G., Obbligazioni (dir.trib.), cit., 453, nota 244.

300

Così si esprime FALSITTA, G., Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, cit., 66, e Id., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, cit., 62-63. La riconducibilità della vincolatezza dell’agire dell’Amministrazione finanziaria e dell’indisponibilità del credito d’imposta al medesimo ceppo teorico è evidenziata dall’Autore anche in Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 364. Cfr. anche GUIDARA, A., Indisponibilità, cit., 161 ss., per il quale vi è perfetta equipollenza e fungibilità tra i concetti di “indisponibilità del tributo” e di “vincolatezza (o assenza di discrezionalità) dell’azione amministrativa in ordine ad an e quantum debeatur”.

Di opinione parzialmente diversa, PORCARO, G., Riflessioni sulla natura del potere amministrativo, cit., secondo cui i due fenomeni, seppur simili per il loro atteggiarsi quali corollari della disciplina legale dell’obbligazione tributaria, nel corso degli anni hanno visto indebolire la loro correlazione, complici i radicali mutamenti che hanno interessato il diritto positivo (in specie, l’A. fa riferimento ai cc.dd. istituti deflattivi del contenzioso tributario).

301

La sostanziale sovrapponibilità, nel diritto tributario, delle nozioni di vincolatezza e di indisponibilità, risulta confermata dalla circostanza che entrambe vengono ricondotte, quanto al loro fondamento, alle medesime disposizioni costituzionali.

Il carattere vincolato del potere di imposizione viene fatto discendere, in particolar modo,

dal principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (GIANNINI, A.D., Istituzioni di

diritto tributario, Milano, Giuffrè, 1972, 78 ss.; BERLIRI, A., Corso, cit., 168; MICHELI,

(19)

~ 181 ~

Questo perché coincide perfettamente con le motivazioni addotte per negare l’esistenza, in capo all’Amministrazione finanziaria, di una libera facoltà di scelta circa il perseguimento degli interessi pubblici istituzionalmente affidati alla sua tutela.

Il primo fondamentale risvolto della vincolatezza consiste quindi nell’impossibilità per l’A.f. di rinunciare a priori all’azione impositiva, attesa la doverosità di quest’ultima, sulla quale la dottrina è concorde

302

. In quest’ottica, la vincolatezza finisce per riguardare l’an dell’agire; in particolare, il concetto è impiegato per chiarire che l’esercizio del potere impositivo non è libero, ma vincolato nel fine

303

.

Sotto tale profilo, la nozione in esame, utilizzata per qualificare la funzione tributaria, assume una portata ed un significato circoscritti, risolvendosi nel divieto di abdicare preventivamente e in astratto al potere di attuare il prelievo in via autoritativa, una volta verificatasi la fattispecie impositiva legalmente prevista e riscontrato l’inadempimento del contribuente al dovere di concorso G.A., Corso, cit., 107, e, più recentemente, LA ROSA, S., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, cit., 30), ma assume rilievo anche il richiamo all’art. 53 Cost. quale fonte indiretta della vincolatezza; non dovrebbe infatti costituire interesse giuridicamente rilevante quello di trattenere somme acquisite in virtù di provvedimenti illegittimi sotto il profilo del rapporto d’imposta sottostante (in questo senso, ALLORIO, E., Diritto processuale tributario, cit., 19; FANTOZZI, A., Accertamento tributario, cit., 11;

MOSCHETTI, F., Avviso di accertamento tributario e garanzie del cittadino, in Dir. prat.

trib., 1983, I, 1928 ss.; STEVANATO, D., Autotutela (diritto tributario), in Enc. dir., vol. III, Agg., Milano, 1999, 297).

La vincolatezza dell’azione impositiva potrebbe peraltro giustificarsi anche al di fuori degli eventuali riferimenti normativi, bensì ricarvarsi in negativo dalla verifica della (in)sussistenza di discrezionalità nell’attuazione delle norme tributarie (PERRONE, L., Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano, 1969, 22 ss.).

302

Il che equivale ad escludere qualunque connotazione dispositiva della potestà di imposizione, come già riferito nei paragrafi 1. e 3.1.1.

303

Tale precisazione è importante poiché vincolatezza non significa mancanza di

discrezionalità in ogni ambito del potere amministrativo. Quando cioè si afferma che tale

carattere riguarda solo l’an dell’esercizio del potere impositivo, si ammette implicitamente

la possibilità che non di vincolatezza si debba argomentare con riferimento a tutte le altre

sfaccettature del potere stesso.

(20)

~ 182 ~

alle spese pubbliche

304

. Nondimeno, affermare che l’attività del Fisco è rigidamente vincolata alla legge sembra evocare conseguenze ulteriori e più

304

È solo in questi termini, ossia di fronte all’asserita sussistenza dei presupposti per procedere all’emissione di un atto di accertamento, che va inteso il divieto, per l’Amministrazione finanziaria, di rinunciare a priori all’esercizio del potere impositivo.

Diverso è il caso, del tutto fisiologico, in cui l’Amministrazione, nella fase di programmazione dell’attività di controllo, perviene, in base ad una valutazione prognostica del rischio di evasione, alla scelta di sottoporre a verifica determinati contribuenti e non altri, ovvero quando, individuato il soggetto da controllare, l’Ufficio competente ritenga preferibile limitare l’indagine solo ad alcuni dei periodi di imposta astrattamente suscettibili di accertamento, alla luce dell’esigenza di ottimizzare l’impiego delle proprie risorse. In tali situazioni si assiste, con ogni evidenza, alla rinuncia de facto all’esercizio dei poteri di controllo relativamente a taluni contribuenti (che costituiscono la massima parte) e anni d’imposta, contribuenti e anni d’imposta rispetto ai quali l’Amministrazione, nel quadro di una visione d’insieme dei propri obiettivi istituzionali, non reputa proficuo attivare iniziative istruttorie, per non distogliere risorse da quei contesti investigativi ritenuti più promettenti. Come è facile intuire, la rinuncia al controllo di svariate posizioni fiscali, implicita nella scelta di verificarne altre considerate più meritevoli di attenzione, comporta, quale logica conseguenza, la rinuncia del Fisco a far valere una parte delle pretese impositive che avrebbe potuto vantare nella velleitaria ipotesi in cui fosse stato in grado di intercettare e reprimere qualunque condotta fiscalmente illecita.

Tutto questo per sottolineare che, in una certa misura, la rinuncia all’esercizio dell’azione impositiva è connaturale alla stessa funzione amministrativa di accertamento dei tributi, una volta preso atto che è praticamente impossibile controllare ciascun singolo contribuente per ogni singolo periodo di imposta. Là dove si impone una scelta, vi è sempre un margine di errore, ed anche riconoscendo il formidabile lavoro di intelligence svolto da Agenzia delle entrate e Guardia di finanza per rendere sempre più efficace il processo di selezione dei soggetti da controllare, una parte rilevante dell’evasione (e dell’elusione) fiscale non viene portata alla luce, come ci ricordano costantemente le statistiche sulle dimensioni del fenomeno nel nostro Paese.

La “rinuncia” in parola – a differenza di quella riferita nel testo, che la nozione di vincolatezza mira ad escludere – non sembra scaturire direttamente da una vera e propria volontà abdicativa, quanto piuttosto dal congiunto operare delle circostanze di fatto che impediscono l’effettuazione di controlli sostanziali “di massa”, e del potere di scelta, riservato agli organi di controllo, seppur nel tendenziale rispetto dei criteri selettivi fissati annualmente dal Ministero delle finanze, dei soggetti da sottoporre ad indagini.

Una rinuncia sui generis quindi, implicita, pressoché necessitata, che non viene

formalizzata in un atto recettizio (la mancata inclusione di un contribuente nel piano

annuale dei controlli non è notificata all’interessato), ed è senz’altro revocabile, finché

permane il potere di svolgere l’azione accertatrice, ogni qualvolta l’Amministrazione

finanziaria venga in possesso, magari a seguito di un processo verbale di constatazione

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