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La codificazione e la legislazione statutaria –

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CAPITOLO II

LE ORIGINI E L’ANALISI DEL MODELLO COSTITUZIONALE ITALIANO

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I primissimi accenni alla figura di un giudice non professionale. – 3. La codificazione e la legislazione statutaria – 4. Il giudice conciliatore e il vice pretore onorario, ossia gli antenati dei magistrati onorari oggi. – 5. L’art.106 II comma: dai lavori preparatori in assemblea costituente al commento alla costituzione. – 5.1 Dibattiti e compromessi nei lavori dell’assemblea Costituente. – 5.1.1 (Segue) Sul termine “onorari”. - 5.2 La magistratura onoraria: limiti e ratio della disposizione costituzionale. – 5.3 L’eventuale sistema elettivo. – 5.4 Indipendenza, imparzialità e giudizio di equità correlati al giudice non professionale. – 5.5 La difficile individuazione dei requisiti c.d “soggettivi” per la nomina. – 6. Per concludere sul giudice conciliatore. – 6.1 Il vice procuratore di udienza. – 7. Considerazioni finali

1. Premessa

Il giudice onorario trova le sue origini nella figura di un giudice minore specificatamente preposto alla conciliazione. Nonostante fin dall’antica Grecia ci siano state figure che potremmo ricondurre a quella del magistrato onorario, per caratteristiche funzionali ed organizzative, dobbiamo ricondurre la nascita di questo istituto, così come lo conosciamo oggi sebbene i nuovi tratti somatici definiti dalle numerose riforme intercorse, all’istituzione del giudice conciliatore, non professionale, che si pone a fianco di un giudice ordinario cercando di restaurare la pace sociale in modo alternativo alla controversia giudiziale. Esso ebbe fin da subito un duplice scopo: ammettere la partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia e ridurre il carico di lavoro incombente sui giudici togati affidando specifiche competenze a quelli c.d. “onorari”; vennero all’uopo reclutati dei magistrati senza concorso tra i laureati in legge con il massimo dei voti e tra i vicepretori onorari che avessero svolto almeno tre anni di servizio.

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Essendoci un grosso vuoto d’organico non c’era tempo per le “lungaggini” di un concorso per esami ma era necessario piuttosto reintegrare i posti e far ripartire la macchina della giustizia nel minor tempo possibile.

Come vedremo la magistratura onoraria, dopo lungo e controverso dibattito, venne poi codificata dalla Costituzione all’art.106 II comma in un ordine di soggetti che non svolgono funzione giurisdizionale a titolo di professione ma che sono tuttavia assimilati ai giudici togati in quanto hanno gli stessi doveri fissati nella legge dell’ordinamento giudiziario e rispondono allo stesso modo del loro operato davanti al Consiglio Superiore della Magistratura.

2. I primissimi accenni alla figura di un giudice non professionale

Se guardiamo al nostro percorso, ossia quello di matrice greco-romana, vediamo come questi sistemi di risoluzione delle controversie non siano stati percepiti fin dall’inizio come percorsi alternativi a quello giudiziale ma siano stati considerati sulle prime complementari ed integrativi ad esso1. Nell’antichità infatti l’idea di giustizia non era vicinissima a

quella che abbiamo oggi e la conciliazione ha avuto per secoli connotazioni marcatamente valutative; solo dagli anni ‘70 in poi è entrato in gioco come modello di risoluzione facilitata dei conflitti. La via dell’amichevole componimento delle liti è probabilmente antecedente alla nascita delle prime leggi scritte, anzi, costituiva l’unico mezzo di risoluzione dei contrasti nelle primitive forme di organizzate su base familiare e legate tra loro da vincoli di parentela e non da istituzioni politiche2. Come ad Atene quando nel periodo classico alcuni giudici, chiamati dieteti3, svolgevano insieme funzioni di arbitro e di

1 Estratto da "La mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali", Filodiritto Editore, 2011 di C. A. CALCAGNO;

2 A. NASCOSI, Il tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale nelle controversie di lavoro, Cap.I;

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conciliazione. Platone ne “Le Leggi” ci parla di giudici scelti dalle parti che è meglio definire arbitri e che costituiscono il grado inferiore dei primi giudici, i quali a loro volta hanno come corte di appello il Senato. Fin dai tempi dei filosofi moralisti quindi la conciliazione era vista come il mezzo ottimale per redimere i conflitti tra i cittadini4.

I primi giudici con funzioni conciliative vanno individuati ai tempi della Roma imperiale nei Difensori di città, magistrati locali con una limitatissima competenza in materia civile, occupandosi di cause di piccolo valore, e in sede penale avendo competenza per delitti minori. Erano eletti dal popolo e successivamente approvati dal Prefetto del Pretorio; la carica era gratuita e durava cinque anni. È con Giustiniano, dopo pochi anni dalla data che prendiamo come istitutiva di questa figura5, che l’istituto viene subito profondamente riformato; da mero conciliatore passa ad essere un vero e proprio giudice. Divennero eleggibili dal popolo solo un ristretto numero di cittadini iscritti in uno speciale elenco, la durata della carica si ridusse a due anni e aumentò il valore della loro competenza in materia civile da 50 a 300 aurei. Quando il corso della storia attraversò l’era medievale, vediamo come si perse in parte l’idea di un giudice con specifiche competenze conciliative e, superando la figura del Difensore di città, nacquero giudici minori con funzioni a loro simili ma con profonde differenze. Ad esempio i Conti riunivano a sé la giurisdizione civile e il comando militare, ovvero altri esempi sono gli Sculdasci dei Longobardi, gli Scabini dei Franchi o ancora i Baiuli dei Normanni.6 Tutte queste figure non erano giureconsulti e non applicavano il diritto; si limitavano a decidere le controversie secondo equità. Nel regime feudale figure simili potevano essere rinvenute nel “Castellano”, uomo di fiducia che poteva essere nominato dai vassalli per amministrate la giustizia minore.

4 G. SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Cap.XI. Par.3; 5 Un rescritto degli imperatori Valentiniano e Valente del 365 D.C; 6 Autori citati alla nota 2;

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Facciamo un grande passo in avanti. Fu il modello di giudice di pace che nacque in Francia a seguito della Rivoluzione francese ad essere esportato nella nostra penisola (così come la nostra esperienza romana del difensore di città influenzò la Magna Carta inglese dove venne istituzionalizzata la figura del giudice di pace), anche se con scarso successo. Nell’Italia pre unitaria infatti, quando i singoli Stati si dettero una più articolata organizzazione non presero molto in considerazione l’istituzione di un giudice onorario tra le fila del loro ordine giuridico; solo il Regno delle due Sicilie si dette una regolamentazione in materia agli inizi del XIX secolo.

3. La codificazione e la legislazione statutaria

Nel 1848 in un periodo di grande fermento rivoluzionario Carlo Alberto di Savoia, re del Regno di Sardegna, concesse al suo popolo lo “Statuto Albertino”; una carta costituzionale di carattere flessibile perché modificabile con leggi ordinarie del regno che conteneva diritti e doveri dei cittadini del Regno di Sardegna inizialmente e del Regno d’Italia dopo il 1861. Lo statuto albertino venne sostituito solo nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, all’alba del referendum del 1946 dove l’Italia divenne repubblica abbandonando per sempre la forma monarchica.

Andando a ricercare nello Statuto albertino le disposizioni riferite alla magistratura la nostra analisi deve guardare a tre norme, ossia l’art.6, l’art.68 e l’art.69.

L’art.67 si riferiva alla nomina dei funzionari pubblici riservandone la

facoltà al sovrano, depositario dell’esecutivo, l’unico in grado di valutarne le qualità e la responsabilità. Inoltre il complesso dei pubblici ufficiali costituisce la gerarchia per mezzo della quale il depositario

7 Art. 6. “Il Re nomina tutte le cariche dello stato: e fa i decreti e regolamenti necessari

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dell'Esecutivo esplica le proprie attribuzioni; è quindi il soggetto più indicato a nominarli. Tuttavia ciò che lo Statuto riserba al Re è unicamente il potere di nomina dei funzionari e i poteri ad esso collegati8, e non la creazione dei pubblici uffici, né le norme per il conferimento e l'esonero. Queste ultime attribuzioni rimangono al legislativo che dovrà quindi determinare quali sono gli impieghi dello Stato e quali le condizioni per potervi essere assunti; quali gli stipendi e gli obblighi; quali le condizioni per l'esonero, con o senza il diritto a percepire una proporzionata pensione di riposo.

La potestà di nomina attribuita al Re non toglie, anzi presume la potestà del Parlamento di stabilire le norme e le condizioni per l'esercizio della facoltà regia, visto che ogni attribuzione dell'Esecutivo è da esercitarsi entro i limiti e secondo le regole dettate dal potere legislativo.

L’articolo che più ci interessa però è l’art.689 dello Statuto del regno.

Dalla lettura di questa disposizione, potendo leggervi anche una definizione più generale della funzione giudiziaria per come era intesa durante il periodo monarchico10, vediamo alcuni aspetti da evidenziare con riferimento al metodo di selezione dei giudici.

Con una lettura coordinata con l’art.6 vediamo che nella disposizione in esame il testo utilizzi il termine “istituire” invece che “nominare” in relazione al potere esercitato dal Re nei confronti dei giudici. Questo perché appunto nell’art.6 in via più generale si era già affermato che spettava al Re nominare i funzionari pubblici tra cui vi rientrano anche i giudici.

Quello che lo Statuto prescrive necessariamente per tutti i giudici all’art.68 non è la nomina, ma l’istituzione regia. Ed è facile dedurre come queste siano intese come due cose distinte: la nomina è la designazione di una data persona ad un determinato ufficio mentre

8 Per un’analisi più approfondita v. F. RACIOPPI e I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del regno, Vol. I, Torino, 1909, 310 ss;

9 Art. 68. “La giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che

egli istituisce.”

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l’istituzione è l'attribuzione dell'autorità corrispondente all'ufficio medesimo, ovvero l'investitura ad esercitare la funzione giudiziaria in nome del Re. Bisogna però precisare che la distinzione risultava possibile solo perché la nomina era affidata ad un organo, e l'istituzione ad un altro diverso; infatti il popolo sceglieva le persone e il Re, in rappresentanza dello Stato, le riconosceva come investite d'un ufficio statuale. Con le successive Costituzioni, sparito il Re, scomparve anche l'istituzione distinta dalla nomina.

Dalla lettura di queste norme statutarie notiamo come nulla viene stabilito dallo Statuto circa il sistema di elezione che viene lasciato alla determinazione del legislatore ordinario.

4. Il giudice conciliatore e il vice pretore onorario, ossia gli antenati dei magistrati onorari oggi

Nel 1865 abbiamo la prima legislazione unitaria11 in tema di giudici onorari con l’istituzione del giudice conciliatore, e subito nacque sul punto un forte scontro ideologico tra chi sosteneva che questa figura fosse necessaria e benefica per la giustizia italiana e chi, di contro, affermava che come modello non fosse efficace e che era da preferirsi un sistema che affidasse tutta la funzione di risoluzione alternativa della lite al giudice ordinario competente.12

Il codice di procedura civile del 1865 prevedeva inizialmente che i conciliatori venissero nominati dal Re su proposta dei consigli comunali tra i cittadini che avevano compiuto il venticinquesimo anno di età, residenti nel comune interessato ed iscritti nelle liste elettorali comunali; ricoprire quest’ufficio serviva unicamente come merito, come “onore”, per ottenere pubblici impieghi. Da qui possiamo sottolineare come

11 Si legga a tal proposito il Regio Decreto 6 dicembre 1865, n.2626 sull’ordinamento giudiziario del Regno d’Italia che prevedeva l’istituzione presso ogni comune di un conciliatore di nomina regia.

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questa nuova figura di giudice non professionale sia stata inizialmente accolta con molta diffidenza nel panorama giuridico italiano. Quasi immediatamente dopo la legge istitutiva, iniziarono quindi a proliferare dei progetti di riforma che arrivarono a ridefinire completamente le disposizioni della legge. Curioso notare come già il 5 aprile 1867 veniva presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge del Guardasigilli Catucci intitolato «disposizioni relative alla sentenza dei conciliatori». Il Progetto Catucci si proponeva di risparmiare alle parti le spese derivanti dalla necessità di rivolgersi agli uscieri di pretura per l’esecuzione delle sentenze dei conciliatori. Prevedeva, nel suo testo originario, che agli inservienti comunali (incaricati, secondo l’allora vigente ordinamento giudiziario, di compiere atti giudiziari dinnanzi ai giudici conciliatori) venisse conferito il potere di compiere gli atti di esecuzione delle sentenze pronunciate dai conciliatori stessi. Ma in sede di lavori parlamentari questo progetto fu subito sottoposto a revisione critica: si segnalava che la procedura esecutiva era troppo complessa per essere applicata da conciliatori ed inservienti comunali e, in generale, inadatta alle liti ed alle esecuzioni di modico valore.13

Venne poi introdotta la regola del reclutamento per concorso per poter accedere alle funzioni di uditore; concorso riservato ai laureati in giurisprudenza. Ma la maggior parte degli uditori trascurava la carriera di pretore, preferendo optare per altri ruoli, così con Legge No. 2839 del 1875 si istituì un meccanismo di reclutamento alternativo a quello concorsuale per coloro che fossero laureati ma avessero anche qualche anno di esperienza professionale nell’avvocatura o nel notariato.

In seguito alla legge 16 giugno 1892, n.261 veniva regolato il funzionamento di un vero e proprio ufficio di conciliazione, retto da un giudice elettivo competente in materia di azioni personali, civili e commerciali fino ad un valore di 100 lire, di risarcimento danni fino alla

13 Per un’analisi più approfondita si legga A.A.V.V, Studi di diritto processuale civile e di diritto comparato, I, ARACNE editrice S.r.l., 2002;

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stessa somma e di locazioni di immobili. Ma la peculiarità di questo giudice conciliatore era la sua competenza municipale, caratteristica principale era invece la possibilità di decidere secondo equità, e quindi con criteri non tecnici che privilegiassero la “giustizia del caso concreto”.

Bisogna aspettare i lavori dell’assemblea costituente del 1946 per arrivare ad una definizione rigida della magistratura onoraria nella figura del conciliatore e del vice pretore onorario; disposizione quella dell’art.106 II comma, frutto anche in questo caso di un compromesso e che, come vedremo, ancora oggi presenta numerosi aspetti che destano significativi dubbi.

Il problema della giustizia bagatellare, che tuttora attanaglia il nostro ordinamento, è quindi di origini molto antiche e radicate nel tempo.

5. L’art.106 II comma: dai lavori preparatori in assemblea costituente al commento alla Costituzione

Fin dagli inizi della discussione all’interno della Commissione per la Costituzione14, notiamo come la figura del magistrato onorario sia stata

inserita nel nostro ordinamento con non poche difficoltà.

Da una lettura attenta dei lavori della Commissione possiamo infatti affermare che l’onorevole Giovanni Leone, esponente del gruppo democristiano, con i suoi interventi in sede di dibattito, è da considerarsi il fautore dell’ultima e definitiva stesura dell’art.106 della nostra Carta Costituzionale riferito appunto alla magistratura onoraria.

Il cambiamento di prospettiva di Leone nello svolgersi dei lavori preparatori del testo mise il punto finale ad una discussione che si protrasse per più di un anno. E nonostante molti dei dubbi che erano nati

14 Commissione speciale composta da 75 membri dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, istituita il 15 luglio 1946 e sciolta il 1 gennaio 1948.

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su questa disposizione siano stati risolti, sono numerosi i problemi che ancora oggi sono legati a questa norma.

Dobbiamo allora interrogarci su quali siano state le perplessità circa questa figura che hanno portato l’Assemblea Costituente a protrarre così tanto nel tempo i suoi lavori.

5.1 Dibattiti e compromessi nei lavori dell’Assemblea Costituente

La seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione chiamata a trattare la delicata ma importante questione del potere giudiziario si aprì il 5 dicembre del 1946 e in questa sede fu determinante, per iniziare ad analizzare i fatti, l’intervento di un altro illustre personaggio: Piero Calamandrei, esponente del gruppo autonomista.

Egli presentò alla Commissione un testo, redatto in articoli, riguardante il potere giudiziario e la Suprema Corte costituzionale precisando però che l’intento non era quello di avanzare delle proposte bensì solamente proporre una base da cui partire a ragionare, facilitando così la discussione sui vari punti. Come disse lo stesso Calamandrei presentando il progetto, questo testo doveva servire solamente da spunto di riflessione, essendo necessario che le norme nella loro formulazione finale fossero molto più semplici e svelte.15

È l’art.20 della suddetta relazione scritta quello che interessa la nostra analisi in quanto attiene ai meccanismi di reclutamento dei magistrati. In questa disposizione il costituente propugna il sistema di nomina per

15 “La formulazione di molte di queste disposizioni è troppo minuziosa e diffusa per corrispondere allo stile conciso e generico che è meglio appropriato ad una carta costituzionale. Nella formulazione definitiva gli articoli dovranno quindi essere semplificati e sveltiti, e molte disposizioni dovranno essere trasferite nella Legge sull'ordinamento giudiziario o nella Legge sulla Suprema Corte costituzionale, indispensabile complemento della Costituzione.” – in Atti dell’Assemblea Costituente,

terza avvertenza preliminare della Relazione sul potere giudiziario e sulla Suprema Corte costituzionale, intervento dell’onorevole P. CALAMANDREI;

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concorso come l’unico e solo metodo che garantisca l’accertamento di quei requisiti tecnici e culturali da ricercare nella figura del giudice16.

Accanto a questa regola egli pose la possibilità di nominare eccezionalmente senza concorso determinate categorie di magistrati tra cui quelli cosiddetti onorari. Recitava infatti l’ultimo comma dell’art.20 “Il Consiglio Superiore della Magistratura potrà, colle modalità fissate

dalla legge sull'ordinamento giudiziario, disporre la nomina di magistrati onorari per tutte quelle funzioni giudiziarie che la legge attribuisce alla competenza dei giudici singoli.”

Il metodo di scelta diverso dal concorso quindi può essere di qualsiasi tipo e la disposizione non accenna ad indicarne alcuno, lasciando la determinazione alla discussione in Commissione. Nonostante però l’onorevole Calamandrei abbia inserito questa previsione nel testo dell’articolo in esame, sostiene che tra i metodi alternativi al concorso quello elettivo possa essere una scelta completamente contro il senso del principio di legalità previsto dal nostro ordinamento là dove infatti nel nostro paese tutto è cristallizzato in leggi che i giudici si devono semplicemente limitare ad applicare.17 L’elezione è coerente con un

ordinamento giuridico dove vige il diritto libero, dove il magistrato è operatore della politica e non un tecnico reclutato mediante uno strumento che accerti la sua preparazione giuridica. Non si può quindi

16 “La nomina dei magistrati è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da un periodo di tirocinio. I requisiti per essere ammessi al concorso sono determinati dalla legge sull'ordinamento giudiziario: possono esservi ammesse anche le donne.” I

comma, ART.20, Relazione sul potere giudiziario e sulla Suprema Corte costituzionale; di P. CALAMANDREI;

17 “(…) D'altra parte l'elezione dei magistrati rappresenta un metodo logico e coerente ove non esiste il sistema della legalità, laddove cioè il diritto non è formulato e cristallizzato in leggi, ma vige il sistema del diritto libero. Ma nei paesi europei (compresa oggi anche la Russia, che pure aveva adottato nel periodo rivoluzionario il criterio della formulazione giudiziaria del diritto), dove sussiste il principio della legalità, per cui la politica si trasforma in diritto attraverso gli organi legislativi e i giudici debbono limitarsi all'applicazione della legge, il metodo elettivo sarebbe a suo avviso un controsenso. E ciò anche per i gradi inferiori della magistratura (pretori e conciliatori) nei cui riguardi non mancano fautori del sistema elettivo (…)” Intervento

di P. CALAMANDREI alla discussione del 5 dicembre 1946 della seconda

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fare affidamento su un metodo che non assicuri totalmente la fondamentale garanzia di imparzialità che deve avere un qualsiasi organo giurisdizionale.

Anche Giovanni Leone appoggiò questa ferma posizione contro l’utilizzo del metodo elettivo per le magistrature così dette inferiori sia con un intervento nella stessa seduta del 5 dicembre 1946 poiché generatore di forti dubbi circa l’imparzialità e la professionalità. L’onorevole Leone nella successiva seduta del 31 gennaio 1946 presentò addirittura un emendamento nel quale si professava profondamente discorde all’inserimento di una figura di magistrato diversa da quella di professione e chiedeva quindi l’abolizione delle magistrature onorarie in Italia. La denuncia di Leone su una totale mancanza di imparzialità è feroce. Egli allarga inoltre le sue motivazioni a favore dell’eliminazione di questa figura alternativa di giudice, al fatto che in quel momento era crescente la richiesta di impiego da parte di giovani promettenti giuristi appena laureati che avrebbero trovato sistemazione grazie ad un allargamento dei ruoli della magistratura ordinaria.18

L’emendamento tuttavia non venne approvato ma venne tolto ogni riferimento all’elettività come metodo di nomina alternativo al concorso.

Ecco che alla vigilia del 1 febbraio 1947 la Commissione elabora un progetto definitivo di Costituzione che all’art.98 così recita circa il potere giudiziario dei magistrati onorari al suo secondo e ultimo comma “Il Consiglio Superiore della Magistratura può designare per la nomina

18 (…) Il magistrato onorario, vicepretore o conciliatore, che di regola è scelto prevalentemente tra elementi tecnici, non si presenta di fronte all'opinione pubblica circondato da quell'alone di imparzialità, del quale è circondato invece il magistrato ordinario. A questi motivi ne aggiunge uno di carattere pratico, che forse non si addice alla solennità dell'Assemblea, ma che merita di essere segnalato: di fronte ad una notevole disoccupazione di intellettuali, abolendo la magistratura onoraria, si darebbe la possibilità alla magistratura ordinaria di allargare i suoi ruoli e di assumere con retribuzione giovani laureati, che battono alle porte dello Stato per essere decorosamente utilizzati (…)” G. LEONE, Intervento in Assemblea costituente

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12 magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli; e può designare all'ufficio di Consigliere di cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università ed avvocati dopo quindici anni d'esercizio.”

Da questo momento deve ancora passare del tempo per arrivare all’attuale formulazione del nostro art.106 ma significativa è stata l’ultima lunga seduta dell’Assemblea, svoltasi il 26 novembre 1947 dove fondamentale ed illuminante è stato un altro intervento del relatore Giovanni Leone. Fu chiamato ad esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati all’art.98 ed egli, auspicando con slancio l’intervento successivo del legislatore ordinario con legge sull’ordinamento giudiziario, affermò di mantenersi contrario al metodo elettivo come metodo di reclutamento di tutta la magistratura ma di ritenerlo idoneo per quanto riguarda la magistratura onoraria. Rinunciava così all’emendamento da lui proposto circa la soppressione dell’intero istituto, motivo aggiunto a rafforzare la veridicità di quanto affermato. Leone giunse alla conclusione che a dispetto di una nomina dall’alto lo strumento dell’elezione fosse il più adatto a garantire quella fondamentale indipendenza dall’esecutivo che deve essere presente anche per tutti i magistrati cosiddetti inferiori.19 Sempre in questa seduta

l’Assemblea inoltre rigettò l’emendamento dei comunisti Gullo e Musolino nel quale essi propugnavano lo strumento della nomina elettiva per tutti i magistrati.

19 Sempre G. LEONE dagli Atti dell’Assemblea costituente: “(…) Ora, la nuova legge sull'ordinamento giudiziario, in base a questa formula, potrà, con maggiore meditazione e con maggiore libertà di discussione, stabilire se sia il conciliatore, o il giudice di pace, e dirla con l'espressione dell'onorevole Calosso. Anzi con la nostra formula perfino il vicepretore ordinario può essere elettivo. Per quanto attiene a questi giudici da assumere fuori carriera, cioè senza il concorso, io anzi preferisco l'elettività alla nomina dall'alto. Preferirei, invece, se si dovesse mantenere la magistratura onoraria (contro la cui ammissione ho presentato un emendamento che ritiro), se questa magistratura deve sopravvivere, preferirei che sopravviva con la garanzia dell'elettività. Proveniente da questa fonte, mi pare che questa affermazione debba avere per la Camera un certo valore, essendo noto il mio orientamento contrario al principio generale dell'elettività dei giudici. (…)”

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Dopo questo intervento di fine novembre dell’onorevole Leone, che rese coese le opinioni della maggioranza dei costituenti ecco che il 20 dicembre 1947 venne distribuito ai deputati un testo coordinato dal Comitato di redazione per la votazione finale in Assemblea. La votazione del testo cristallizzò la disposizione che venne così inserita all’art.106 nella carta costituzionale.

5.1.1 (Segue) Sul termine “onorari”

Prima di passare ad un breve commento circa l’attuale disciplina normativa in tema di magistratura onoraria riteniamo sia necessario operare una precisazione proprio sul termine “onorari”, anch’esso oggetto di discussione in sede di Assemblea costituente nonostante l’attuale formulazione costituzionale dia poi per scontata la definizione di tale lemma.

L’onorevole Calosso nella seduta del 26 novembre 1947 propose infatti di abolire dal testo approvato la parola “onorari” ma Giovanni Leone prontamente rispose riportando il parere dell’intera Commissione ed esplicitando chiaramente il significato dell’aggettivo “onorario” come sia identificativo di una partecipazione spontanea alla giustizia, allo stesso tempo sia fuori dalle normali occupazioni della vita sia fuori da un impiego professionale.20 Proprio la parola “onorari” sta a significare il diverso regime di reclutamento dei magistrati, ovvero una carica elettiva e non di carriera. Onorario significa infatti “di persona cui viene conferito un titolo, una carica, una qualifica a titolo di onore, senza gli

20 “(…) La parola «onorari» sta a indicare che la carica è elettiva e non di carriera. Se noi manteniamo il concetto del giudice onorario, allora avremo una distinzione anche agli effetti della carriera. Sia sotto questo profilo, sia sotto un diverso profilo — perché è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della propria vita — non si può accettare la soppressione della parola «onorario». (…)”, G. LEONE in Atti

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obblighi e i diritti inerenti alla qualifica e senza l’esercizio della carica”.21

Lo scopo della magistratura onoraria si risolve proprio nell’ammettere la partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia; oltre a ridurre il carico di lavoro incombente sui giudici togati, mediante l’attribuzione di specifiche competenze a magistrature inferiori.

5.2 La magistratura onoraria: limiti e ratio della disposizione costituzionale

Leggiamo ora il secondo comma dell’art.106 Costituzione: “La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”. Dobbiamo prima di tutto mettere in luce quelli che sono i tratti caratterizzanti questo sistema di nomina: l’eccezionalità, l’eventualità e se vogliamo anche la sussidiarietà rispetto al sistema concorsuale. La regola generale di nomina dei magistrati è stata perentoriamente individuata nel primo comma della disposizione nello strumento del concorso; i meccanismi di cui ai commi secondo e terzo si pongono quindi come nettamente derogatori rispetto al primo e sono inseriti in tutta una cornice di limiti e restrizioni. L’indicazione di carattere generale fornita dal primo comma quindi diventa vera e propria chiave di lettura per la restante parte dell’articolo in esame.22

Quello che era stato l’orientamento dell’Assemblea costituente viene versato nella disposizione costituzionale: il giudice onorario come competente per una “giustizia minore”.

Viene oltremodo esclusa la loro veste di strumento di partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia che invece viene prevista

21 Voce nell’Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989;

22 Sul punto cfr. F. BONIFACIO e G. GIACOBBE, Commento all’art.106, in A.A.V.V., Commentario alla Costituzione, a cura di G. BRANCA, Zanichelli e Società Edit. del

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per il terzo comma al solo fine del reclutamento dei consiglieri di cassazione. Rimane comunque sempre aperta la questione di una mancata perfetta armonizzazione tra l’art.102 ultimo comma23 e

l’art.106 secondo e terzo comma della Costituzione. Nonostante infatti si cerchi in entrambe le previsioni di rendere l’ordine giuridico collegato alla realtà sociale nella quale si esplicano le sue attribuzioni, grazie ad una apertura democratica alle istanze sociali, le finalità delle due norme sono profondamente diverse. L’art.102 ha il precipuo compito di consentire la partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, L’art.106 nei commi successivi al primo invece persegue l’obiettivo di integrare l’ordine giudiziario per il fine ultimo di rendere il più efficiente possibile il funzionamento degli uffici forensi. Ecco delineato il carattere di eccezionalità di questa magistratura.

Tutto questo perché le due facce della stessa medaglia che si chiama magistratura sono da una parte la professionalità, quindi la competenza tecnica del giudice, dall’altra l’indipendenza di giudizio, quindi l’imparzialità del suo intervento. Entrambi questi requisiti sono assicurati attraverso l’utilizzo del metodo concorsuale mentre per quanto riguarda gli altri metodi di nomina bisogna con esse coordinarli. Il carattere di eventualità della nomina dei magistrati onorari è dato dal fatto che la loro regolamentazione viene lasciata alla discrezionale determinazione del legislatore ordinario nell’ambito della normativa sull’ordinamento giudiziario. È per questo che da molti la norma contenuta nella nostra disposizione all’art.106 viene definita norma autorizzatoria e non precettiva, ovvero non contiene alcun precetto, per essere attuata necessita dell’intervento di un altro soggetto che in questo caso è il legislatore ordinario. Se volessimo interpretare la norma basandoci solamente sul dettato letterale potremmo quasi affermare che la Costituzione non impone l’istituzione di un giudice onorario. Da

23 “La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia” II comma, art.102 Costituzione;

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questo potremmo allora chiederci se il nostro ordinamento sarebbe in grado di funzionare anche senza l’istituzione di questa figura: la risposta che possiamo dare con estrema sicurezza è negativa.

Approcciandosi alla disposizione da un lato meramente letterale vediamo come siano subito evidenti i limiti posti dalla Costituzione a questa particolare categoria di giudici. Prima di tutto l’ambito di competenza ha una portata indubbiamente riduttiva, riconducendosi alle sole “funzioni attribuite al giudice singolo”; al tempo pretore e conciliatore. Tuttavia dovendo dare attuazione al precetto costituzionale nella sua portata effettiva non sembra che l’eventuale attribuzione a giudici onorari di competenze giurisdizionali possa essere effettuata esclusivamente con il criterio della monocraticità dell’organo al quale esse siano state precedentemente attribuite. Anche la Corte Costituzionale nel tempo ha più volte espresso il suo parere a favore di un allargamento delle funzioni del magistrato onorario prevedendo anche la possibilità del conferimento di un incarico di supplenza di magistrato professionale presso un organo collegiale, in quanto tale incarico non incide affatto sulla posizione istituzionale del magistrato onorario in ordine alla titolarità ed all'ambito delle ordinarie funzioni attribuitegli con l'atto di nomina.24 Il discrimine tra le competenze delle

due magistrature sarà allora quello di una distinzione tra tutto ciò che attiene alla giustizia minore per i giudici onorari e alla giustizia maggiore per i giudici professionali.

Non mancarono nel tempo interventi legislativi e giurisprudenziali con i quali si tentò quindi di aumentare la disciplina delle competenze di pretore e conciliatore.25 Il fine comune era quello di alleggerire il carico di lavoro dei tribunali.

Nel perseguire questa finalità di esercizio coordinato tra magistratura maggiore e minore un importante punto di attenzione è, come più volte

24 V. C.Cost. 7.12.1964, n°99 e C.Cost. 26.03.1998, n°103;

25 Sul punto facciamo riferimento alla L. 30.07.1984, n°399 recante modifiche agli artt.7/8 del codice di procedura civile;

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accennato, il sistema di nomina dei giudici onorari. Qualsiasi meccanismo il legislatore ordinario decida di adottare devono essere sempre garantite le due garanzie imprescindibili di indipendenza ed autonomia.26

5.3 L’eventuale sistema elettivo

Nota dolente della nostra previsione costituzionale è da sempre l’inciso presente al secondo comma dell’art.106 relativo alla nomina “anche elettiva” del magistrato onorario. Questo non verrà mai attuato dal legislatore rendendo ancora inconsciamente presenti alcuni retaggi dei dubbi che si perpetravano in assemblea costituente, nonostante l’apertura permissiva dei costituenti stessi a questo strumento.

Tuttavia il sistema elettivo potrebbe comunque essere adottato sempre tenendo conto di alcune dovute limitazioni. Prima di tutto vediamo che a seconda delle finalità che si vuole perseguire potrebbero essere ipotizzati diversi sistemi elettorali27, salva la tassativa esclusione delle elezioni di secondo grado affidate ad assemblee politico-amministrative o solamente politiche in quanto è facile rendersi conto di come l’intervento di questi soggetti leda il principio di autonomia dell’ordine giudiziario. In secondo luogo potremmo adottare un’interpretazione restrittiva del testo costituzionale e riconoscere il sistema elettivo come l’unica alternativa a quello di nomina da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Se si rispondesse affermativamente a questa lettura si verrebbe a delineare accanto ad una competenza costituzionalmente definita del CSM, riferibile anche alla magistratura professionale, una competenza specifica per la magistratura onoraria lasciata alla valutazione discrezionale del Parlamento. Per risponderci basta guardare alla realtà concreta delle singole figure di magistrato onorario

26 ART.104, Costituzione.

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e alla loro disciplina: nessuna ipotesi di nomina delle varie figure di magistrato onorario prevede il sistema elettivo.

È doveroso spendere due ulteriori parole circa il tanto discusso metodo elettivo e domandarci cosa succederebbe effettivamente nel nostro paese se venisse introdotto. La ratio che possiamo individuare alla base di quelle proposte volte ad inserire un magistrato elettivo sta nell’instaurare un rapporto tra giudicanti e giudicati, tra giudice e comunità.28Sono stati più volte sollevati dubbi di costituzionalità circa questa eventuale figura di giudice, soprattutto in nascenti da una lettura combinati di più principi costituzionali riguardanti l’ordinamento giudiziario nella sua completezza. Però, dalla lettura dell’art.106 II comma invece possiamo dissipare queste incertezze di costituzionalità chiarendo quelli che sono i due punti chiave della disposizione: il fatto che comunque il giudice elettivo assumerebbe la qualifica di giudice “onorario” e quindi di un soggetto legato non da un rapporto di pubblico impiego ma solo da una rapporto di servizio; il fatto che il giudice elettivo potrebbe esercitare solamente le funzioni dei giudici singoli. È chiaro quindi il senso dell’art.106 II comma, tutto sta nella corretta applicazione data a quest’articolo.

Vigoriti parlando sul metodo di reclutamento del giudice elettivo afferma che “l’elezione non è espressione di parzialità faziosa, ma, per la grande maggioranza di coloro che vi prendono parte, essa vale come scelta civile e consapevole”. Ci offre quindi un punto di vista favorevole a questo strumento reclutativo poiché un’elezione diretta di un giudice implica una partecipazione e una discussione che parte proprio dalla comunità nella quale il giudice stesso sarà chiamato ad operare; tutto questo andrebbe a beneficio dell’amministrazione della giustizia. In più sempre Vigoriti è favorevole a subordinare l’elezione alla presenza di una maggioranza qualificata, sostenendo che “questa varrebbe ad

28 V. VIGORITI, A favore del giudice onorario elettivo: spunti e proposte per una riforma, in Rivista Trimestrale di Procedura Civile, 1978, p. 357 ss.;

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assicurare al giudice eletto un numero di consensi tali da garantirgli il gradimento della comunità tutta; eviterebbe l’obiezione che il giudice è espressione di un solo partito, fugando così timori di parzialità partitica; contribuirebbe a diminuire il numero dei candidati, favorendo una qualificazione ideologica non esasperata”.

Possiamo quindi affermare che se in futuro il legislatore vorrà dare attuazione a questa previsione costituzionale dovrà comunque sempre tenere ben presenti due esigenze che devono essere necessariamente soddisfatte: in primo luogo la preventiva determinazione e verificazione di precise condizioni di formazione ed esperienza degli eleggibili; in secondo luogo l’eliminazione di quel condizionamento insito nel sistema elettorale tra elettori e giudice eletto, soprattutto in vista di una possibile rielezione.

In attesa di un intervento del legislatore ordinario vediamo come siano stati previsti altri sistemi di nomina, diversi da quello elettivo e al tempo stesso ugualmente alternativi rispetto al metodo concorsuale, che vanno dalla designazione da parte di organi interni all’ordine giudiziario alla designazione da parte di organi espressione delle comunità locali. Di questi diversi sistemi parleremo più avanti, nel capitolo dedicato alle tipologie di magistrato onorario.29 Non essendoci delle procedure

oggettive di valutazione non è escluso che anche questi metodi vengano utilizzati sempre nel rispetto, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, dell’autonomia ed indipendenza dell’attività giurisdizionale che deve essere tenuta immune da qualsiasi dimensione politica.

5.4 Indipendenza, imparzialità e giudizio di equità correlati al giudice non professionale

È interessante iniziare a trattare sul punto, rivolgendo l’attenzione a tre diversi interventi della Corte costituzionale tutti del 1982. Se ne deduce

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infatti come la giurisprudenza costituzionale sia univoca sul ricercare ed assicurare per la figura del magistrato onorario le garanzie tipiche dell’autorità giudiziaria.30

La prima sentenza31 della Corte che ci apprestiamo a citare riguarda la posizione del giudice e del perito nel processo penale. La Corte afferma che essi si differenziano radicalmente poiché al primo spetta la definizione del giudizio mentre al secondo compete la sola funzione di portare al giudice elementi utili ai fini della decisione. Sostiene ancora la Corte che l'art. 108, che è diretto a tutelare l'indipendenza di chiunque partecipi all'amministrazione della giustizia con poteri e funzioni di natura giurisdizionale, non si estende al perito che, pacificamente, non svolge funzioni giurisdizionali ma è investito del compito di svolgere un'attività ausiliaria il cui regolare svolgimento il legislatore ordinario ha inteso garantire con lo strumento della ricusazione, a prescindere dalla esigenza costituzionale garantita dall'art. 108 Costituzione. Con una seconda sentenza32 la Corte sottolinea come il comune dovere di imparzialità non permetta di parificare i magistrati ai pubblici dipendenti, essendo dalla Costituzione riservata solo ai primi, per la natura della loro funzione, una disciplina del tutto particolare che, da un lato, assicura una posizione peculiare, e, dall'altro, comporta correlativamente l'imposizione di speciali doveri. Soprattutto non viola quindi il principio di eguaglianza la norma che sancisce soltanto per i magistrati e non anche per i dipendenti della pubblica amministrazione il divieto di esercitare le funzioni nella circoscrizione in cui si sono svolte le elezioni per cinque anni dalla mancata elezione. Tale divieto

30 ART.108, Costituzione “Le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.”

31 Corte Cost., sent. N. 135/1982, in http://juriswiki.it/provvedimenti/sentenza-corte-costituzionale-135-1982-it;

32 Corte Cost., sent. N. 172/1982, in http://juriswiki.it/provvedimenti/sentenza-corte-costituzionale-172-1982-it;

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concerne soltanto i magistrati non appartenenti alle giurisdizioni superiori, in quanto questi, se non vi fosse l'incompatibilità in esame, dovrebbero necessariamente ed esclusivamente occuparsi di processi relativi alla circoscrizione in cui hanno posto la propria candidatura, mentre per il magistrato della giurisdizione superiore, che ha competenza su tutto il territorio nazionale, la cognizione di tali processi è puramente eventuale ed episodica, e comunque evitabile.

Nel terzo intervento33 la Corte con sentenza si esprime a riguardo della composizione delle commissioni tributarie e la sussistenza o meno di un contrasto con l’art.108, in quanto suddette commissioni possono essere presiedute anche ad esempio da intendenti di finanza e composte quanto a metà dei componenti da persone designate da province e comuni, i quali sono direttamente interessati poiché sono i destinatari di un’aliquota del gettito tributario; l’altra metà dei componenti sono persone strettamente collegate ad una delle parti del procedimento tributario. La Corte a riguardo sostenne che l'indipendenza del giudice va verificata, più che sulla base delle norme che disciplinano la sua nomina, sulla base delle norme che regolano la sua funzione, e tale indipendenza è garantita quando la legge affida ad un magistrato la scelta delle persone chiamate a comporre le Commissioni tributarie sia pure su designazione di enti ed uffici pubblici e stabilisce tassativamente i casi in cui i detti membri debbano cessare dal servizio o essere dichiarati decaduti.

Alla luce di questi tre differenti esempi di applicazione delle garanzie di autonomia ed indipendenza a qualsiasi soggetto svolga funzioni giurisdizionali possiamo senza alcun dubbio affermare che l’esercizio della giurisdizione onoraria, in tutte le sue molteplici espressioni, deve necessariamente svolgersi nel rispetto dell’indipendenza della funzione stessa da qualsivoglia influenza da parte ogni altro potere.

33 Corte Cost. N.196/1982, in http://juriswiki.it/provvedimenti/sentenza-corte-costituzionale-196-1982-it;

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Inoltre, altro delicato problema che possiamo sollevare attiene al fatto che il contenuto dei poteri esercitabili da questa categoria di giudici, che come abbiamo detto è limitato alle questioni di “valore minore”, deve essere indirizzato all’imparzialità. Tale giudice è parte essenziale dell’ordine giudiziario e come tutti i giudici deve quindi ritenersi soggetto soltanto alla legge.34 È opportuno allora domandarsi se il magistrato non professionale possa giudicare secondo equità, svincolandosi dall’applicazione tassativa del sistema legislativo. La sopracitata legge di riforma del 1984 che ampliò le competenze dei pretori e dei conciliatori tentò di attribuire al giudice onorario – in via esemplificativa maggioritaria al giudice conciliativo - il potere di decidere secondo equità; entro certi limiti. Non si prevedono infatti i limiti classici del giudizio di equità35 che lo rendono anche insuscettibile di controllo di legittimità, ma si riconduce l’esercizio di questo potere entro le linee dei principi propri della materia nell’ambito della quale il rapporto controverso si inserisce. Così facendo è vero che si limita la competenza ma allo stesso tempo si superano tutte le difficoltà legate ad un eventuale controllo di legittimità costituzionale consentendo infatti il ricorso per cassazione ai sensi dell’art.111 Costituzione.

Rimangono tuttavia dei problemi irrisolti in materia come ad esempio il rapporto tra determinazione equitativa della decisione e rispetto dei principi costituzionali e dei principi propri nei quali si inserisce la controversia.

5.5 La difficile individuazione dei requisiti c.d. “soggettivi” per la nomina

Indipendentemente dal sistema adottato ci chiediamo se debbono essere richiesti particolari requisiti soggettivi per essere nominato giudice

34 Leggi art.101 II comma Costituzione;

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onorario. La risposta a questo quesito trova le sue fondamenta giuridiche prima di tutto nella definizione del tipo di competenza equitativa che viene attribuita al giudice non togato. Quanto più si estende l’ambito di giudizio di equità lasciato al magistrato non professionale tanto più si deve adottare come criterio quello del possesso di requisiti di natura tecnica-operativa. Di contro se il magistrato onorario decide secondo diritto si dovrà richiedere un’adeguata capacità giuridico-professionale. La scelta fatta dal legislatore del 1984 pare quantomeno ambigua: da un lato si attribuisce al giudice conciliatore la competenza a decidere secondo equità e quindi si richiede soprattutto requisiti tecnici, dall’altro si è imposto che questo giudizio sia svolto nel rispetto dei principi generali della materia, ritenendo implicitamente che il soggetto in questione abbia le capacità giuridico-professionali per individuare questi principi.

6. Per concludere sul giudice conciliatore

Prima di arrivare all’intervento normativo di inizio anni ’90 che introdusse il giudice di pace ed eliminò per sempre la figura del conciliatore il nostro legislatore provò ad effettuare svariati tentativi di introduzione di un nuovo giudice onorario diverso dal suddetto conciliatore, tutti in qualche modo insoddisfacenti.

I primi esperimenti si ebbero fin dagli anni 70 con i significativi progetti del guardasigilli Bonifacio elaborati tra il 1976 e il 1977 che, anche se poi non vennero mai formalmente presentati, sebbene diversi avevano come costanti la soppressione del conciliatore e del pretore, l’istituzione di un nuovo giudice onorario con competenza civile e penale e l’incompatibilità dell’incarico di giudice onorario con l’esercizio della professione forense. Questa figura molto simile al giudice conciliatore veniva istituita con il chiaro fine di trattare la maggior parte delle controversie bagatellari, incarnando così l’essenza di quel modello c.d.

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“debole” sostenuto dalla maggior parte della dottrina – e tuttora sostenuto dai più – che si prefissava di realizzare un aumento di efficienza della magistratura professionale attraverso lo sgravio del carico di lavoro ad esse attribuito grazie all’affidamento delle controversie minori ai giudici onorari. Ma già nel 1978 sempre Bonifacio presentò un progetto di legge36 che dava segno di arretramento rispetto alle proposte degli anni precedenti poiché abbandonava la visione di un giudice onorario con il compito principale di deflatore della giustizia togata e proponeva di istituire un giudice di pace rispondete a quella “prospettiva sociale” propria di chi sosteneva un modello “forte”37 di magistrato onorario. Desumendolo anche

logicamente dalla contrapposizione semantica delle due correnti dottrinali esse si pongono in una posizione fortemente critica l’una verso l’altra. Il progetto del 1978 era mosso dalla volontà di evitare una stabilizzazione della figura del magistrato onorario e per questo prevedeva come punto fondamentale la temporaneità dell’incarico, sia come periodo di carica vigente con divieto di riconferma, sia come impegno quotidiano garantendo un impiego parziale. Il tutto per tenere ben distinto lo status e il modus operandi del giudice onorario da quello del giudice togato. Precisiamo che il progetto suddetto non ebbe alcun seguito concreto.

Elemento comune di tutti queste proposte è l’eliminazione di meccanismi elettivi nei sistemi di nomina del nuovo giudice onorario, preferendo criteri di designazione istituzionale.

36 Vedi Disegno di legge n.1372 recante “Modificazioni alle disposizioni sulla nomina del conciliatore e del vice pretore”;

37 Il fine sociale doveva valorizzare il profilo della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia e per questo il giudice onorario doveva essere elettivo. Si prevedeva di attribuirgli materie particolarmente significative come i problemi della famiglia, dell’ambiente e del territorio; materie aventi una certa rilevanza sociale;

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L’ultima importante legge di riforma che ha interessato il giudice conciliatore è stata la legge 30 luglio 1984, n.399 intitolata “Aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore”, che non si limitava a prevedere un adeguamento della competenza per valore del pretore e del conciliatore al deprezzamento della moneta (come le leggi di riforma precedenti) ma prevedeva delle vere e proprie innovazioni consistenti nel nuovo limite di valore di un milione di lire, nella nuova competenza per materia, nel giudizio secondo equità e nell’inappellabilità delle sentenze emesse dal conciliatore. Certamente non mancarono i dubbi e le critiche nei confronti di questo intervento legislativo che apparve fin da subito insoddisfacente ed ambiguo. Ad esempio si denunciava come da un lato si fosse data al conciliatore la possibilità di un giudizio secondo equità e dall’altra si fossero tolte dalla sua competenza le cause di maggior valore che meglio si prestavano ad un giudizio equitativo rimanendo quindi competente solo per gli small

claims che venivano oltretutto sottoposti ad un controllo di legittimità

meno rigoroso. Il fine sembrava tutto quello di emarginare dal sistema le controversie di modesto valore.38 In più vediamo come, date le

modifiche agli artt. 7 e 8 del codice di procedura civile riguardanti le competenze del conciliatore e del pretore, si è crearono solo ulteriori ambiguità senza muoversi di un passo nella direzione di una sistemazione organica delle due figure di pretore e conciliatore. L’art.1 1° comma invero, dopo aver aumentato la competenza per valore del conciliatore da 50000 lire ad un milione, mantiene intatto l’inciso “quando dalla legge non sono attribuite ad altro giudice”. I casi in cui la legge assegna competenze ad altro giudice sono quando prevede che queste siano del pretore e questo accade secondo il nuovo (all’epoca) art.8 “per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinque milioni”. La modifica all’art.8 eliminava la

38 C. E. BALBI, Il processo davanti al giudice conciliatore dopo la legge 30 luglio 1984, n.399, in Giur.it, IV, 1985, pg. 114 s.s;

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limitazione presente nella disposizione che indicava “in quanto non siano di competenza del conciliatore” configurando una sorta di doppia competenza in capo al conciliatore e al pretore che se applicata avrebbe finito per generare unicamente delle equivocità in capo in capo all’attore e al convenuto in un eventuale processo.39 Infine una delle novità più importanti di questa legge fu l’aver previsto la possibilità di decidere secondo equità osservando i principi regolatori della materia (andando quindi a modificare l’art.113 del codice di procedura civile). Un sistema di equità generale, vincolato ai principi giuridici obiettivi che regolano la controversia e che si differenzia dal giudizio secondo equità previsto all’art.114 che invece è più ancorato a valutazioni sul caso singolo e sull’accordo delle parti. Si parla anche, nel primo caso, di giudizio secondo equità obbligatorio dove il conciliatore è tenuto a conoscere il diritto ma è anche invitato a fare un’analisi delle norme, individuare i principi fondamentali ai quali l’ordinamento si è ispirato nel regolamentare l’istituto nel cui ambito bisogna inquadrare la fattispecie in esame. Il giudizio equitativo per quanto riguarda l’art.114 è il frutto di un accordo tra le parti, mentre nel caso dell’art.113 è una scelta di opportunità per cui in questa seconda circostanza si decise di escludere un ulteriore grado di giudizio, per la precisione l’appello, per le cause di modico valore rendendo appunto la decisione inappellabile. Il ricorso per Cassazione avrà ad oggetto l’accertamento dei principi regolatori della materia e la conformità ad essi della sentenza del conciliatore. Accanto al giudice conciliatore era presente anche, nel novero dei magistrati onorari, il vice pretore onorario con l’essenziale funzione di supplenza del giudice togato inquirente; nonostante gli fosse preclusa, salvo casi assolutamente eccezionali, la potestà decisionale. Era un po’ ambiguo il compito del vice pretore onorario poiché aveva le stesse funzioni del pretore di carriera ma mancava della qualificazione tecnica

39 C. MANDRIOLI, Prime perplessità sulla nuova disciplina dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore in materia civile, Giur.it., IV, 1985, pg. 1 s.s;

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e della retribuzione; nei suoi confronti era prevista invero la completa gratuità della funzioni. Inoltre questo ruolo veniva affidato a persone esercenti la professione legale quindi oltre ad una anomala disparità di trattamento poteva essere denunciato nei confronti del vicepretore una mancanza di obiettività nella sua attività di giudice, contaminata se vogliamo dall’attività di procuratore legale.40 La figura del Vice Pretore

Onorario venne meno con la soppressione dell’ufficio giudiziario del Pretore nella riforma del Giudice unico del 1998.

6.1 Il vice procuratore di udienza41

Personalità transitoria nelle cause pretorili sino al 1989, sino alla riforma del codice di procedura penale di quegli anni, aveva il compito di procedere alle indagini in fase istruttoria nelle questioni di competenza del Pretore, rappresentando anche la pubblica accusa. Necessariamente in sede di udienza, il ruolo veniva ricoperto da altre figure, segnatamente avvocati o ufficiali di polizia giudiziaria che, di volta in volta, si prestavano a tale ufficio, con nomina però attribuita in udienza.

7. Considerazioni finali

Vogliamo concludere questa analisi guardando in generale i profili di

comunanza e interdipendenza tra quelle che sono da intendersi come “le due magistrature”42, ovvero quella professionale e quella non

professionale.

Esse sono tra loro autonome e indipendenti - ferme restanti le limitazioni previste per il giudice non professionale - e questo non va mai dimenticato anche quando nei confronti della materia penale è stata più

40 A. C. MORO, La magistratura onoraria, in «Iustitia», 1965, n. 3, pp. 307-332; 41 Per un’analisi più completa si veda la proposta dell’Aiga sulla Magistratura Onoraria; Giunta Nazionale AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati), aprile 2011;

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volte denunciata l’inesistenza di una distinzione tra giustizia maggiore e giustizia minore; questo rimane titolo legittimante dell’istituzione del giudice onorario.

Se diamo uno sguardo alla disciplina delle singole figure di magistrato non professionale notiamo che esso non può non essere prevalentemente, se non esclusivamente, giudice di equità. E dal momento che il giudizio secondo equità è, in relazione a questa figura, fortemente limitato possiamo dire che la magistratura professionale è considerata come superiore rispetto a quella onoraria. Ecco che i giudici non togati nella visione della gerarchia giuridica -se così possiamo chiamare la struttura processuale del nostro ordinamento- sono visti come “giudici di serie B”.

Inoltre vediamo che se da un punto di vista funzionale il magistrato onorario è una figura essenziale per il buon funzionamento dell’ordinamento giudiziario dal punto di vista strutturale sono molti gli aspetti che non coincidono con questa essenzialità data alla figura. Ad esempio il fatto che i giudici onorari non siano né elettori ne eleggibili al Consiglio Superiore della Magistratura nonostante questo organo di autogoverno eserciti su di essi delle competenze dettate direttamente dalla nostra Carta costituzionale. Accanto a questo aspetto per così dire amministrativo, un altro punto di differenziazione dai magistrati professionali è da rinvenire nell’aspetto retributivo che ancora oggi è fonte di denuncia da parte dei magistrati onorari che si battono per una parificazione di retribuzione con i magistrati ordinari.

Insomma il modello sotteso all’art.106 II comma è quello delle questioni bagatellari, il cui intervento riduca il carico di lavoro del magistrato professionale e dia efficienza alla giustizia “maggiore”43.

Concludendo sui commenti che possono derivare dalla lettura di questo comma così controbattuto, l’espresso riferimento alle sole funzioni

43 Cfr. F. RIGANO, Commento all’art.106 Cost., in Commentario alla Costituzione, R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), p. 2044 e ss;

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giudicanti ha consentito alla Corte di concludere che l’attribuzione delle funzioni requirenti a magistrati onorari non ha “analoga valorizzazione costituzionale” ma ciò non significa che detti soggetti debbano essere esclusi dall’esercitarle. Citando, esemplificativamente, un’ordinanza44

del 1998 vediamo come la Corte afferma che le udienze di esecuzione penale possono essere presiedute da vice pretori onorari poiché la materia non presenta in se un livello di delicatezza o tecnicità tale da comportare l’esclusione di dette figure dal ruolo di pubblico ministero; tali preclusioni infatti lederebbero il buon andamento dell’amministrazione giudiziaria. Proprio in base all’art.106 II comma della Costituzione la Corte invoca la comparazione tra le funzioni giudicanti attribuite ai magistrati onorari e quelle requirenti.

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