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Il NIPT come progetto della Regione Toscana per la riduzione di procedure invasive nelle anomalie cromosomiche fetali: l'esperienza pisana come centro di riferimento dell'area vasta nord-ovest.

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale:

Il NIPT come progetto della Regione Toscana per la riduzione di

procedure invasive nelle anomalie cromosomiche fetali: l'esperienza

pisana come Centro di Riferimento dell’Area Vasta Nord-Ovest.

Relatore:

Chiar.mo Prof. Tommaso Simoncini

Correlatore:

Dott. Carlo Luchi

Candidato:

Carolina Passani

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INDICE GENERALE

RIASSUNTO………..…....3

1 INTRODUZIONE...5

1.1 ANEUPLOIDIE CROMOSOMICHE E DIAGNOSI INVASIVA………...5

1.2 STORIA DELLA DIAGNOSI PRENATALE NON INVASIVA...8

1.3 ULTERIORI MARKERS ULTRASONOGRAFICI...23

1.4 NIPT (Non Invasive Prenatal Test) ...36

1.4.1 GENERALITA’ E FRAZIONE FETALE...37

1.4.2 TECNICHE DI ANALISI DEL cfDNA………...40

1.4.3 SENSIBILITA’ E SPECIFICITA’ DEL TEST...43

1.4.3.1 Performance del test nelle aneuploidie autosomiche...43

1.4.3.2 Performance del test nelle aneuploidie dei cromosomi sessuali...47

1.4.3.3 Performance del test nelle microdelezioni...47

1.4.3.4 Performance del test nella triploidia...49

1.4.3.5 Performance del test nelle patologie mendeliane e varie....52

1.4.4 LIMITI DEL TEST...54

1.4.5 IMPLICAZIONI ETICHE...59

1.5 DIAGNOSI PRENATALE IN TOSCANA...63

2 PARTE SPERIMENTALE...70

2.1 OBIETTIVI DELLO STUDIO...70

2.2 MATERIALI E METODI...71

2.3 ANALISI DEL CAMPIONE………..………...73

2.4 RISULTATI………...77

2.5 DISCUSSIONE……….80

2.6 CONCLUSIONI………82

3 BIBLIOGRAFIA………..84

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RIASSUNTO

Lo screening prenatale non invasivo è diventato, nel corso degli ultimi dieci anni, un campo di studio e di interesse sempre crescente in virtù delle implicazioni etiche e della enorme carica emozionale che lo investe, rendendolo uno strumento di counseling ostetrico sempre più prezioso eppure delicato. La diagnosi prenatale ha assunto quindi un ruolo dirimente nella gestione moderna della gravidanza. Le anomalie cromosomiche sono le anomalie fetali più importanti. La loro incidenza varia intorno allo 0.5% nella popolazione mondiale. Circa l’80% di esse è rappresentato dalle principali Trisomie 13, 18 e 21 o Sindrome di Down. La diagnosi di tali patologie è, attualmente, ottenuta esclusivamente per mezzo di indagini invasive come la villocentesi o l’amniocentesi, le quali espongono, secondo i dati disponibili in letteratura, ad un incremento del rischio di aborto fisiologico di circa l’1 %.

Negli ultimi 5 anni, si sono sviluppate metodiche di ricerca di frammenti di DNA fetale circolante nel sangue materno che hanno fornito un enorme contributo nel sospetto di anomalie cromosomiche con una DR del 99.9%, al cospetto di un bassissimo tasso di falsi positivi, inferiore all’1%; queste metodiche prendono l’acronimo di NIPT (Non Invasive Prenatal Test).

La Regione Toscana, con la delibera 1371 del Dicembre 2018, ha inserito nel nuovo libretto della Gravidanza Fisiologica a partire dal 1° marzo 2019 la possibilità di accedere al test NIPT a determinate categorie di gestanti che si sono sottoposte precedentemente al Test Combinato. L’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, dopo corsi specifici organizzati dal tavolo tecnico regionale di riferimento, ha assunto il ruolo di collettore di pazienti riferite dai centri di diagnosi prenatale dell’Area Vasta Nord-Ovest per quanto riguarda il Percorso NIPT e le successive possibili diagnosi invasive.

In questo studio abbiamo voluto valutare la performance del NIPT per la determinazione del rischio di aneuploidie cromosomiche, nell’ottica di ridurre l’accesso inappropriato a procedure diagnostiche invasive. Sono stati presi in esame 288 casi raccolti in un periodo di tempo compreso tra gennaio 2018 e settembre 2019. La popolazione è composta da gravidanze singole inserite nel programma di screening del primo trimestre offerto dalla Regione Toscana. In base a quanto

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stabilito dal protocollo Regionale, deve essere in primo luogo eseguito il Test Combinato e questo può risultare ad alto rischio, a rischio moderato o a basso rischio per aneuploidie fetali. Abbiamo quindi valutato il rischio del Test Combinato che ciascuna gestante presentava e abbiamo confrontato i dati con il risultato del NIPT: sullo stesso campione abbiamo riscontrato una minor percentuale di alto rischio passando, di fatto, da un 13% del Test Combinato ad un 1% del NIPT. Dunque, abbiamo preso in considerazione le gestanti con un alto rischio al Test Combinato, alle quali viene normalmente indicata la necessità di eseguire un’indagine invasiva per poter ottenere una diagnosi. Ci è sembrato inoltre opportuno, vista la recente introduzione del NIPT nel libretto della Gravidanza Fisiologica, sottoporre un questionario alle gestanti ad alto rischio per indagare diversi aspetti: come fossero venute a conoscenza del test; quali motivazioni le avessero spinte verso un test non invasivo come il NIPT; quale fosse il loro indice di gradimento; se avessero eseguito successivamente una procedura invasiva; come stesse procedendo o come si fosse conclusa la gravidanza. I risultati ottenuti mostrano una riduzione delle indagini invasive attese e un atteggiamento delle gestanti sempre più propenso verso forme di screening meno invasive, come appunto il NIPT. Questo test, in virtù della sua elevata sensibilità e specificità per le principali aneuploidie degli autosomi e dei cromosomi sessuali e al contempo della sua minima invasività, infonde sicurezza alle pazienti. Infine, quando il NIPT, a fronte di un risultato del Test Combinato, fornisce un risultato a basso rischio le gestanti si sentono rassicurate e non si sottopongono, nella maggioranza dei casi, a una procedura invasiva, sebbene sia loro chiaro che non si tratti di una diagnosi ma di uno screening con un rischio probabilistico.

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1 INTRODUZIONE

Lo screening prenatale non invasivo è diventato, nel corso degli ultimi dieci anni, un campo di studio e di interesse sempre crescente in virtù delle implicazioni etiche e della enorme carica emozionale che lo investe, rendendolo uno strumento di counseling ostetrico sempre più prezioso eppure delicato. La diagnosi prenatale ha assunto quindi un ruolo dirimente nella gestione moderna della gravidanza. In pratica, tutte le gestanti vogliono sottoporsi a metodiche di screening od invasive per poter conoscere in anticipo le sorti e l’evoluzione del nascituro.

1.1

ANEUPLOIDIE

CROMOSOMICHE

E

DIAGNOSI

INVASIVA

La determinazione del cariotipo fetale è una sfida che ha avuto inizio a partire dal 1866 con gli studi sull’espressione fenotipica condotti dal medico inglese John Longdon Down in cui i neonati erano stati definiti con il termine di “idioti mongoli” (Down, 1866).

Spettò a Shuttleworth, nel 1909, capire la correlazione della malattia con l’età materna notando che gli “idioti mongoli” erano gli “ultimogeniti di madri vicino al climaterio”.

Nel 1956 Tjio e Levan stabilirono che il normale numero diploide del cariotipo umano è 46, mentre tre anni più tardi, nel 1959, Lejeune e Jacobs dimostrarono che nelle persone affette dalla malattia descritta da Down è presente un cromosoma soprannumerario (Lejeune, Gautier, & Turpin, 1959a). In studi successivi, il cromosoma soprannumerario è stato visto essere il 21, risultando così un numero aneuploide di 47 cromosomi. Cento anni dopo la scoperta di Longdon Down, è stato possibile isolare cellule fetali dal liquido amniotico e diagnosticare la trisomia 21 prima della nascita.

Le aneuploidie rimangono la maggiore causa di morte perinatale e di handicap neonatale. L’identificazione dei disordini cromosomici costituisce la principale indicazione all’esecuzione di test invasivi per la diagnosi prenatale. Le principali

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cromosopatie umane sono rappresentate dalla trisomia 21, dalla trisomia 18 e dalla trisomia 13 e dalla sindrome di Turner o Ulrich-Turner.

La trisomia 21 (sindrome di Down) è la più frequente tra le trisomie con un rischio di feto affetto di 1 su 4.700 nati vivi, sebbene questo dato risenta di varie influenze socioculturali; il rischio di avere un feto affetto nel secondo trimestre di gravidanza è stimato a 1 su 270 in donne dai 35 ai 40 anni e a 1 su 100 in donne oltre i 40 anni di età (Sherman, Allen, Bean, & Freeman, 2007). La sindrome di Down si associa a ritardo mentale, malformazioni cardiache, malformazioni del tratto gastrointestinale, del complesso craniofacciale oltre che allo sviluppo precoce di malattia di Alzheimer.

La trisomia 18 (sindrome di Edwards) è associata ad un rischio di un feto affetto su 12.500 ed è caratterizzata da basso peso alla nascita, ritardo nello sviluppo psico-motorio, ipotonia muscolare, pugno chiuso con indice sovrapposto al medio (a uncino), micrognazia, impianto basso dei padiglioni auricolari, malformazioni cardiache e renali, piede equino. Il 90% dei bambini affetti muore nei primi sei mesi di vita per problematiche cardiache (Irving, Richmond, Wren, Longster, & Embleton, 2011).

La trisomia 13 (sindrome di Patau) si presenta in un nato su 33.000 circa. La sindrome è associata a malformazioni quali labioschisi e palatoschisi, polidattilia, occhi piccoli, ritardo nello sviluppo psico-motorio, cardiopatia grave e malformazioni oculari come anoftalmia, criptoftalmia fino alla ciclopia. La maggior parte degli individui muore entro i primi tre mesi di vita (Irving et al., 2011). La sindrome di Turner si presenta in 1 su 2.000/2.500 nate femmine ed è caratterizzata da micrognazia, pterigium colli, bassa statura, valgismo, ipogonadismo che porta ad amenorrea primaria e una predisposizione maggiore ad ipotiroidismo, diabete, problematiche cardiache, osteoporosi (per via della ridotta densità ossea), malformazioni congenite a carico dei grossi sistemi come cuore, tratto urinario, oltre che a tumori del colon e del retto. Le malformazioni osservate a carico del cuore e del sistema dei grossi vasi sono la coartazione aortica, valvola aortica bicuspide, prolasso della valvola mitralica che possono dunque predisporre la popolazione affetta da sindrome di Turner a ipertensione, ischemia cardiaca e arteriosclerosi (Gravholt, 2005).

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Attualmente è possibile effettuare diagnosi di sindrome di Down e di altre cromosopatie principalmente per mezzo di due tecniche invasive: la villocentesi e l’amniocentesi. Facendo riferimento alle linee guida della Società internazionale di Ecografia Ostetrica e Ginecologica (Ghi et al., 2016):

1. La villocentesi viene effettuata dalla 10ima settimana + 0 fino alla 13esima settimana di gravidanza mediante una puntura transaddominale, sotto controllo ecografico e va a prelevare il trofoblasto (< 25.000 prelievi/ anno in Italia). Il tessuto ottenuto viene utilizzato per l’analisi citogenetica, direttamente sulle cellule del citotroflobasto o sulle colture (cellule mesenchimali del villo). L’uso combinato delle due tecniche consente di ottenere informazioni su popolazioni cellulari che hanno un’origine embrionale diversa, consentendo, nella maggior parte dei casi, di risolvere il possibile problema delle discrepanze tra il cariotipo placentare e fetale, che è riconducibile ad una condizione di mosaicismo post zigotico. Questo tipo di tecnica invasiva permette l’acquisizione di quantità relativamente abbondanti di materiale biologico e risulta per questo la tecnica di lezione per la diagnosi molecolare di geni-malattia e per analisi biochimiche. Il vantaggio della precocità della tecnica, in confronto all’amniocentesi, è controbilanciato da una maggiore invasività e dal fatto che venga acquisito tessuto placentare e non fetale.

2. L’amniocentesi si effettua a partire dalla 15esima settimana +0 fino alla 18esima settimana e risulta essere la tecnica invasiva di diagnosi prenatale maggiormente utilizzata (100.000 prelievi/anno in Italia): viene prelevato un certo quantitativo di liquido amniotico mediante una puntura transaddominale, sotto controllo ecografico. Il liquido amniotico prelevato contiene una porzione non corpuscolata, cioè priva di cellule, che viene isolata per la centrifugazione del campione, e una porzione corpuscolata, formata dagli amniociti, cioè dalle cellule che derivano dalla cute, dalle mucose, dall’apparato genito urinario, dall’apparato gastrointestinale del feto e dalle membrane amniotiche. Sulla parte non corpuscolata è possibile dosare diversi markers biochimici come ad esempio l’alfafetoproteina (AFP) mentre sulla parte corpuscolata vengono svolte in primis analisi

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citogenetiche ed eventualmente analisi molecolari e biochimiche, sia direttamente sia su cellule coltivate.

Entrambe le metodiche comportano un aumento del rischio di aborto fisiologico, descritto in letteratura, di circa 1% (Tabor & Alfirevic, 2010) ed è per questo che vengono svolte esclusivamente in quelle gravidanze considerate ad alto rischio per anomalie cromosomiche.

1.2 STORIA DELLA DIAGNOSI PRENATALE NON INVASIVA

Se la diagnosi della sindrome di Down ha impiegato 100 anni di ricerche, determinare il rischio che nasca un bambino affetto forse non avrà mai fine. Negli anni Settanta, il principale metodo di screening per le aneuploidie era rappresentato dall’età materna. L’età materna avanzata risulta essere uno dei maggiori fattori di rischio per la gran parte dei difetti genetici nell’uomo. Da studi di biologia molecolare condotti su modelli animali si è evidenziato che esistono diversi meccanismi correlati all’età nell’insorgenza di aneuploidie: difetti nella formazione del complesso sinaptonemico (Yuan et al., 2002), nel mantenimento dei telomeri (Keefe & Liu, 2009), nei livelli di acetilazione degli istoni (Akiyama, Nagata, & Aoki, 2006), nella forza di coesione dei cromatidi e a livello del SAC (spindle assembly checkpoint) (Vogt, Kirsch-Volders, Parry, & Eichenlaub-Ritter, 2008). Inoltre, non sembrerebbero interessati solo i processi di meiosi data la presenza di difetti sia di ricombinazione sia a livello delle sinapsi negli oociti fetali. Sembra probabile che una quota parte di oociti siano settati sulla non disgiunzione a causa di eventi che si sviluppano già nell’ovaio fetale (Tease, Hartshorne, & Hulten, 2006).

La prima osservazione riguardante l’età materna e il rischio di feti con alterazioni cromosomiche risale al 1933 – un quarto di secolo prima dell’identificazione della trisomia 21 da parte di Lejeune e collaboratori (Lejeune, Gautier, & Turpin, 1959b) – quando Penrose dimostrò che la sindrome di Down era maggiormente frequente nelle donne di età avanzata (Penrose, 2009). Successivamente, diversi studi osservazionali condotti a cavallo degli anni 60-70 e fino agli anni 80 confermarono ed integrarono tale associazione (Hook, 1981; Hook, Cross, & Schreinemachers,

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1983) . Si iniziò dunque a proporre l'analisi del cariotipo fetale alle donne di età superiore a 35 anni, ritenute arbitrariamente “a rischio”, poiché i primi dati sul reale rischio di sindrome di Down in base all'età materna si avranno solo a metà degli anni Ottanta. Il rischio di aneuploidie, sebbene presenti una correlazione proporzionale con l’età materna, diminuisce con l’età gestazionale, dal momento che risulta maggiormente probabile che i feti aneuploidi muoiano in utero rispetto a quelli euploidi (Figura 1 e 2). Infatti, il tasso di morte fetale tra la 12esima settimana di amenorrea e il termine di gravidanza è del 30% per la trisomia 21 e dell’80% per le trisomie 18 e 13 (Morris, Wald, & Watt, 1999; Snijders, Holzgreve, Cuckle, & Nicolaides, 1994; Snijders, Sebire, & Nicolaides, 1995; Snijders, Sundberg, Holzgreve, Henry, & Nicolaides, 1999).

Figura 1: rischio di anomalie cromosomiche in base all’età materna.

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Snijders et al. (Snijders et al., 1999) esaminarono la prevalenza della trisomia 21 in 57.614 donne in un’epoca gestazionale compresa tra la nona e la sedicesima settimana, con indicazione allo studio del cariotipo fetale per la sola età materna. Nel gruppo furono trovati 538 casi di trisomia 21. La prevalenza della aneuploidia risultava più alta in una fase precoce della gravidanza rispetto al momento della nascita e il tasso di perdita fetale era stimato al 36% a 10 settimane, al 30% a 12 settimane, al 21% a 16 settimane. Il rischio stimato di trisomia 21 in una donna gravida a 20 anni e a 12 settimane di amenorrea era di 1 su 1000 mentre la stessa donna a 35 anni e alla stessa epoca gestazionale aveva tuttavia un rischio stimato a 1 su 250. Dunque, a seconda dell’età materna ed epoca gestazionale il rischio per trisomia 21 cambia, come è riassunto nella Tabella 1.

Tabella 1: rischio stimato di trisomia 21 in base ad età materna ed epoca gestazionale (Snijders et al., 1999).

Allo stesso modo Snijders et al. (Snijders et al., 1995) stimarono i rischi per le altre anomalie cromosomiche: come per la trisomia 21, il rischio per la trisomia 18 e per la trisomia 13 aumenta con l’età materna e diminuisce con l’epoca gestazionale. I rischi stimati di trisomia fetale in una donna gravida di 20 anni di età a 12 settimane di amenorrea per la trisomia 18 e 13 sono rispettivamente1 su 2.500 e 1 su 8.000 mentre i rischi per questa donna di partorire un feto affetto a termine sono rispettivamente 1 su 18.000 e 1 su 42.000. La stessa donna a 35 anni di età e alla

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stessa epoca gestazionale avrebbe un rischio di trisomia 18 e 13 rispettivamente di 1 su 600 e di 1 su 1.800, così come il rischio di partorire un feto affetto a termine rispettivamente di 1 su 350, 1 su 4.000 e di 1 su 10.000 (Tabella 2, Tabella 3). La triploidia al contrario, non presenta correlazione alcuna con l’età materna: viene riscontrata in meno dell’1% dei feti esaminati con elevata mortalità in utero in epoca gestazionale precoce con una prevalenza di circa 1 su 2000 a 12 settimane che tuttavia scende drasticamente a 1 su 250.000 raggiunte le 20 settimane (Snijders et al., 1995). Anche la sindrome di Turner non trova correlazione con l’età materna e la sua prevalenza è di circa 1 su 1.500 a 12 settimane di amenorrea e di 1 su 2.500 a 40 settimane. Per tutte le altre anomalie cromosomiche sessuali – come 47, XXX/ 47, XXY e 47, XYY– non ci sono correlazioni significative con l’età materna e, dal momento che il tasso di mortalità neonatale non è più alto rispetto ai feti euploidi, la prevalenza totale – circa 1 su 500 – non diminuisce con l’epoca gestazionale.

Tabella 2: rischio stimato di trisomia 18 in base ad età materna ed epoca gestazionale (Snijders et al., 1995).

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Tabella 3: rischio stimato di trisomia 13 in base ad età materna ed epoca gestazionale (Snijders et al., 1995).

È chiaro quindi che considerare esclusivamente l’età materna come metodo per identificare la popolazione ostetrica ad alto rischio sia poco attendibile. Negli anni Settanta le gravide di età superiore a 35 anni costituivano solo il 6-8% della popolazione ostetrica generale ed inoltre partorivano non più del 25-30% dei bambini con sindrome di Down. Da ciò si è potuto dedurre che circa il 70% dei feti affetti nasce da donne con età inferiore ai 35 anni e quindi considerate non a rischio elevato. Pertanto, l’età materna riesce a identificare solo il 30% dei feti affetti da aneuploidia con una percentuale di falsi positivi del 5%.

Alla fine degli anni Ottanta si diffusero i primi metodi di screening per le anomalie cromosomiche basati sull’integrazione di diversi dati: l’età materna, lo studio ultrasonografico del feto e alcuni fattori feto-placentari presenti nel sangue materno e misurati nel secondo trimestre di gravidanza. Le gravidanze con feti aneuploidi sono infatti correlate a modificazioni di diversi marcatori sierici materni, inclusa la alfafetoproteina (AFP), la gonadotropina corionica umana (hCG o la sua frazione libera beta), l’inibina A, l’estriolo non coniugato (uE3) e la proteina plasmatica A associata alla gravidanza (PAPP-A) (Merkatz, Nitowsky, Macri, & Johnson, 1984) (Aitken et al., 1996; Canick et al., 1988; De Jong, Maya, & Van Lith, 2015; Macri et al., 1990; J. M. M. Van Lith, Pratt, Beekhuis, & Mantingh, 1992).

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La alfafetoproteina (AFP) fu identificata per la prima volta nel 1956 come una globulina fetale specifica. Questa proteina viene sintetizzata dal sacco vitellino, dal tratto gastrointestinale e dal fegato fetale. Il picco plasmatico fetale si registra dalle 10 alle 13 settimane di amenorrea per poi ridursi progressivamente fino al termine della gravidanza, quando i livelli plasmatici materni raggiungono i loro massimi nel terzo trimestre (Merkatz et al., 1984). L’integrazione della sola AFP con l’ecografia ostetrica riconosce il 21% delle gravidanze affette da trisomia 21, tuttavia esponendo anche il 5% delle gravidanze euploidi all’amniocentesi (Cuckle, Wald, & Lindenbaum, 1984). L’aumento dei suoi livelli, invece, risulta essere un ottimo strumento nell’ambito del triple-test per l’identificazione dei difetti del tubo neurale, arrivando a riconoscere fino al 90% delle gravidanze anencefaliche e fino all’80% dei casi di spina bifida, sebbene tale reperto biochimico si associ anche ad altre condizioni.

La hCG è una glicoproteina con azione ormonale prodotta esclusivamente dal sincizio trofoblasto subito dopo l’impianto all’ interno della cavità uterina ed ha la funzione fondamentale di mantenere un ambiente adeguato allo sviluppo embrionale. I suoi livelli aumentano rapidamente fino a 8 settimane di amenorrea per poi diminuire progressivamente fino a 20 settimane, epoca nella quale raggiungono un plateau di concentrazione (Macri et al., 1990). I livelli plasmatici sono influenzati dal peso materno e dalla parità. Livelli aumentati di hCG sono riscontrati in feti affetti da trisomia 21 diventandone un ottimo marker (MacDonald, Wagner, & Slotnick, 1991) mentre livelli ridotti si rilevano nella trisomia 18 e 13 (Saller & Canick, 1996). Nelle gravidanze affette da difetti del tubo neurale invece non si registrano modificazioni dei livelli plasmatici di hCG. L’aggiunta della hCG alla AFP nello screening per sindrome di Down consente di incrementare la detection rate di circa il 45% (Reynolds & Penney, 1990) (Figura 3).

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Figura 3: rischio di trisomia 21 a 12 settimane sulla base dell’età materna e del valore di hCG nel sangue materno.

La PAPP-A, ovvero la proteina A associata alla gravidanza, è una glicoproteina che compare nel sangue materno dopo circa 33 giorni dal concepimento; secondo alcuni autori la sua origine sarebbe da ricercare nel trofoblasto e nell’endometrio, secondo altri è prodotta dal fegato della madre. Nel corso della gravidanza i suoi valori tendono ad aumentare in modo esponenziale, con un tempo di raddoppiamento di tre giorni (Pescetto, De Cecco, Pecorari, & Ragni, 2018). Bassi i valori di PAPP-A si associano ad un maggior rischio di aneuploidia (Figura 4).

Figura 4: rischio di trisomia 21 a 12 settimane sulla base dell’età materna e del valore della PAPP-A nel sangue materno.

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L’estriolo non coniugato (uE3) è un ormone steroideo che viene prodotto dalla placenta da precursori provenienti dalle ghiandole surrenali e dal fegato fetali. I suoi livelli aumentano progressivamente per tutto l’arco della gravidanza fino a raggiungere livelli plasmatici più alti di quelli solitamente prodotti dalle ovaie (Saller & Canick, 1996). I suoi livelli risultano invece diminuiti nella trisomia 21 e 18 (Reynolds & Penney, 1990).

L’inibina A, infine, una glicoproteina prodotta dalle gonadi, dal corpo luteo, dalla decidua e quindi dalla placenta, è stata uno degli ultimi marker introdotti nei test di screening per cromosopatie in diversi studi clinici (Spencer, Wood, & Anthony, 1993; Wallace, Grant, Swanston, & Groome, 1995).

Nell’ambito della diagnosi prenatale tutti i test di screening che integrano markers biochimici si basano sullo stesso principio matematico (il teorema di Bayes) e funzionano combinando una precedente probabilità derivata esclusivamente dall’età materna ad una data epoca gestazionale con un quoziente di probabilità basato su due funzioni di distribuzione Gaussiana multivariata. Nel caso specifico dello screening combinato del primo trimestre, il rischio correlato all’età materna per trisomia viene calcolato e quindi aggiustato per l’epoca gestazionale al tempo dell’esecuzione dello screening. La translucenza nucale (NT) misurata e i valori biochimici vengono convertiti in multipli della mediana (MoM) per quella specifica epoca gestazionale e viene quindi calcolato un quoziente di probabilità (LR) a partire dalle due distribuzioni Gaussiane che si ottengono dai log10 di questi MoM nelle gravidanze affette e in quelle sane. A questo punto il LR ottenuto viene moltiplicato per il rischio materno legato alla sola età a priori ottenendo una ragionevole stima del rischio di avere un feto affetto da aneuploidia e riservando test invasivi diagnostici solo a quella sottopopolazione ostetrica il cui rischio supera uno specifico valore cut-off (Cuckle, Benn, & Wright, 2005).

L’integrazione di questi marcatori nello screening per aneuploidie nel secondo trimestre dimostrò un sostanziale miglioramento nella identificazione della trisomia 21, comparata con il solo screening effettuato mediante l’età materna. Infatti, come riportato nella Tabella 4, con una percentuale di falsi positivi del 5%, la detection rate passa dal 30%, ottenuta solo mediante il cut-off dei 35 anni dell’età materna, al 60-65% combinando l’età materna con la AFP sierica e la free β-hCG (bi-test), al 65-70% con l’aggiunta dell’uE3 (tritest) e fino al 75% con l’aggiunta dell’inibina

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A (test quadruplo). Invece, se si utilizza la hCG al posto della free β-hCG la detection rate si riduce di circa il 5% (Nicolaides, 2011) (Cuckle et al., 2005; Wald, Huttly, & Hackshaw, 2003; Wald, Watt, & Hackshaw, 1999).

Tabella 4: performance dei differenti metodi di screening per trisomia 21, (Nicolaides, 2011).

Nell’ ultimo ventennio l’obiettivo è stato riuscire ad anticipare lo screening per le aneuploidie al primo trimestre. Infatti, grazie all’introduzione di apparecchi ecografici con risoluzione maggiore e all’introduzione della sonda endovaginale, è stato possibile studiare l’anatomia normale del feto e diagnosticare o sospettare un gran numero di anomalie fetali maggiori già al primo trimestre. Si è giunti cosi a dimostrare come gran parte dei difetti cromosomici fetali potesse essere diagnosticata tramite l’associazione di due parametri: l’età materna e la misurazione dello spessore del fluido presente in regione retro-nucale ottenuto per via ultrasonografica nel corso del primo trimestre– ovvero con la misurazione della NT. Nel 1866 John Langdon Down osservò alcune caratteristiche che ricorrevano negli individui affetti da trisomia 21: un volto piatto, un naso piccolo e una cute poco elastica, particolarmente ridondante in alcuni punti come la nuca (Down, 1866). Solo negli anni 90 si è iniziato a comprendere che questo eccesso di cute potesse essere dovuto ad un accumulo di liquidi nello spazio sottocutaneo e che, dunque, fosse possibile riscontrarlo ecograficamente come incremento dello spessore della plica nucale nel terzo mese di vita intrauterina (Nicolaides, Azar, Byrne, Mansur, & Marks, 1992) (Figura5). La ricerca ha dimostrato come la translucenza nucale

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fetale (NT) sia un ottimo strumento per lo screening precoce delle maggiori anomalie cromosomiche e per un gran numero di anomalie fetali maggiori (Nicolaides, 2004; Snijders, Noble, Sebire, Souka, & Nicolaides, 1998; Wald, Watt, et al., 1999). Di fatto quando la NT viene stimata correttamente da parte di ultrasonografisti e ostetrici che hanno preso parte ad un preciso programma di training e di successivi audit e viene poi combinata con l’età materna, si raggiunge una detection rate del 70-75% a fronte di una FPR del 5% per trisomia 21 e in maniera simile per le trisomie 13 e 18. L’organo supervisore di riferimento è rappresentato dalla Fetal Medicine Foundation (FMF). Si tratta di una fondazione no profit che, grazie alla ricerca scientifica, da più di venti anni, ha fornito e continua a fornire corsi di apprendimento su diversi aspetti dello screening prenatale e ha elaborato degli algoritmi specifici fornendo successivamente il software per il calcolo del rischio delle maggiori aneuploidie solo a quei medici ecografisti diventati competenti nell’esecuzione dell’esame per la translucenza nucale. Per ottenere una corretta misurazione dello spessore della plica nucale nel feto la FMF ha stabilito i seguenti criteri:

• L’epoca gestazionale ottimale per la misurazione dello spessore della translucenza nucale (NT) è compresa tra 11 e 13 settimane e 6 giorni di amenorrea.

• La lunghezza vertice-sacro (crown-rump length o CRL) deve andare da un minimo di 48 mm fino ad un massimo di 84 mm. Il limite inferiore è stabilito per consentire all’ecografista di porre diagnosi della maggior parte delle anomalie fetali che altrimenti andrebbero perse per la piccola epoca gestazionale mentre quello superiore è stabilito in modo tale da permettere a donne con feti affetti, in base alla loro volontà, l’interruzione della gravidanza stessa in tempi precoci. • La misurazione ecografica della NT può essere ottenuta o per via trans

addominale o per via vaginale e con risultati sovrapponibili. È indicato ottenere una adeguata visiona sagittale della testa fetale in posizione neutra quindi procedere alla quantificazione dello spessore della translucenza sottocutanea tra la pelle e i tessuti molli che ricoprono il tratto cervicale della colonna vertebrale. • L’immagine ecografica deve essere ingrandita prima della misurazione per una migliore risoluzione degli spazi sopradetti comprendendo solo la testa e la parte superiore del torace (Figura 6).

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• La visione medio - sagittale della testa fetale è definita anteriormente dalla presenza della punta ecogena del naso e dalla forma quadrangolare del palato, nel mezzo dal diencefalo translucente e posteriormente dalla membrana nucale (Plasencia, Dagklis, Sotiriadis, Borenstein, & Nicolaides, 2007). Deviazioni dall’esatto piano mediano risultano in una non visualizzazione della punta del naso fetale e dalla visibilità del processo zigomatico della mascella.

Figura 5: feto con accumulo di liquido retronucale, Dr. Eva Pajkr (University of Amsterdam).

Figura 6: immagine ecografica di un feto a 12 settimane con trisomia 21 con aumento dello spessore della translucenza nucale (Nicolaides, Heath, & Liao, 2000).

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La misurazione non è scevra da possibili errori commessi dall’operatore ecografista, potendola sia sovrastimare sia sottostimare, aumentandone così la sua variabilità e interferendo con la sua riproducibilità. I principali elementi che introducono bias sono la scelta dello spazio esatto dietro il collo fetale contenente la massima distanza verticale tra la membrana nucale e il margine dei tessuti molli che ricoprono il tratto cervicale della colonna vertebrale, la scelta del settaggio ottimale della macchina per ridurre lo spessore di queste linee ed infine l’esatto posizionamento dei calipers. In modo da evitare questi problemi che porterebbero ad una misurazione scorretta, è stato messo a punto un sistema semiautomatico di misurazione della NT che ha l’importante compito di ridurre la variabilità inter e intraoperatore a partire però da una corretta immagine ecografica (Moratalla et al., 2010). Nell’ambito dello screening combinato, ci sono essenzialmente due approcci per quantificare la deviazione della NT dalla linea mediana. Il primo approccio consiste nel dividere il valore mediano per la NT misurata così da produrre un valore multiplo della mediana (MoM) (Nicolaides, Snijders, & Cuckle, 1998). Il secondo approccio invece va a sottrarre il valore mediano dalla misurazione della NT producendo una deviazione in millimetri definita come delta NT (Spencer, Souter, Tul, Snijders, & Nicolaides, 1999) (Pandya, Hilbert, Snijders, & Nicolaides, 1995). Nel primo caso, dove si utilizza il valore MoM, si assume che la distribuzione dei logaritmi dei valori MoM sia Gaussiana nella popolazione affetta da trisomia 21 e in quella non affetta; diversamente, con il secondo metodo si assume che ci sia una distribuzione dei valori di delta NT indipendente dal CRL nelle gravidanze affette da trisomia 21 e una diversa distribuzione nelle gravidanze senza anomalie cromosomiche. Esistono diversi meccanismi ritenuti responsabili di una NT aumentata:

• scompenso cardio-circolatorio associato a malattie del cuore e/o dei grossi vasi;

• congestione venosa dell’estremo cefalico fetale per compressione del mediastino o del corpo fetale stesso;

• alterata composizione della matrice extracellulare; • ipoplasia del sistema di drenaggio linfatico;

• patologia muscolare fetale che causi ipocinesia e ritardato drenaggio linfatico;

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• infezioni congenite.

L’ipotesi che lo scompenso cardiaco contribuisca ad aumentare lo spessore della translucenza nucale nasce dall’osservazione che sia nei feti euploidi sia in quelli con anomalie cromosomiche vi sia una ampia associazione tra aumentata NT e anomalie del cuore e dei grossi vasi. Tuttavia, la validità di tale ipotesi viene meno notando che tra i feti con difetti cardiaci non esiste, con o senza aumentata NT, differenza sia per quanto riguarda il tipo di difetto cardiaco, sia per la dimensione del cuore che per la frazione di eiezione ventricolare (Simpson & Sharland, 2000) (Daskalakis, Sebire, Jurkovic, Snijders, & Nicolaides, 1997). Studi Doppler hanno invece mostrato un anomalo flusso nel dotto venoso in feti con anomalie cromosomiche e/o cardiache ed aumentata NT (Matias, Gomes, Flack, Montenegro, & Nicolaides, 1998) (Matias, Huggon, Areias, Montenegro, & Nicolaides, 1999). Molte delle proteine della matrice extracellulare sono codificate da geni presenti sui cromosomi 21, 18 e 13, come evidenziato da studi di immunoistochimica (von Kaisenberg et al., 2003). Tra i componenti della matrice extracellulare l’acido ialuronico è quello maggiormente espresso a livello della regione nucale dei feti affetti da sindrome di Down per via della sovra espressione dell’enzima superossido dismutasi, il cui gene si trova proprio sul cromosoma 21: l’acido ialuronico capace di intrappolare una grande quantità di acqua, determina quindi un aumento dello spazio sottocutaneo visibile ecograficamente come incremento della NT. Inoltre, l’alterata composizione della matrice extracellulare può essere il meccanismo alla base di un gran numero di sindromi genetiche associate al metabolismo del collagene (come la acondrogenesi tipo II), ad anomalie dei recettori per fattori di crescita per fibroblasti (come la displasia tanatoforica) o all’alterato metabolismo del fattore di biogenesi per perossisomi (come nella sindrome di Zellweger) (Johnson, Babul-Hirji, & Chitayat, 2001; Tonni et al., 2010). Un ulteriore meccanismo che può determinare l’aumento della NT è rappresentato dalla dilatazione dei vasi linfatici giugulari che può a sua volta essere causato da un ritardato sviluppo delle connessioni con il sistema venoso, da una anomala dilatazione primaria dei canali linfatici o da una proliferazione anomala dei vasi linfatici stessi con un flusso normale tra il sistema linfatico e quello venoso ma con alterata espressione dei proteoglicani responsabile dell’accumulo di liquido (von Kaisenberg et al., 2003).

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Per quanto riguarda le infezioni l’unica che è stata descritta in associazione con NT aumentata è quella da parvovirus B19. In questa condizione, l’aumento della NT è stato attribuito o all’anemia fetale determinata dalla soppressione dell’emopoiesi ad opera del virus infettante o alla disfunzione del miocardio (Smulian, Egan, & Rodis, 1998; Sohan, Carroll, Byrne, Ashworth, & Soothill, 2000). Infine, anche l’anemia fetale sembrerebbe determinare un aumento della NT per via del circolo iperdinamico che si instaura. Infatti, anche cause genetiche di anemia fetale come l’alfa-talassemia, la porfiria eritropoietica congenita, l’anemia di Fanconi e verosimilmente l’anemia correlata ad una possibile infezione congenita, possono presentarsi in feti con NT aumentata (Lam, Tang, Lee, & Tse, 1999).

Al fine di migliorare ulteriormente la performance dello screening combinato del primo trimestre sono stati successivamente introdotti due modelli matematici che sfruttano l’aggiunta dei markers del secondo trimestre in maniera integrata: lo screening sequenziale e lo screening integrato.

Nello screening sequenziale la translucenza nucale viene utilizzata come metodo di screening nella popolazione ostetrica fissando il cut-off ad un valore maggiore o uguale a 2.5 mm: così facendo la detection rate raggiunta è del 58% mentre la percentuale di esecuzione di test invasivi diagnostici si attesta ad un valore molto basso (attorno al 2.4%). Qualora la NT risultasse inferiore a questo cut-off, viene eseguito attorno alle 16 settimane il triplo test nel quale, utilizzando come valore cut-off un rischio di 1 a 250, si ottiene una detection rate finale di circa il 95% a fronte di una percentuale di screening invasivo del 7.2% (Schuchter, Hafner, Stangl, Ogris, & Philipp, 2001).

Nello screening integrato invece il rischio viene calcolato unendo il risultato ottenuto nel primo trimestre dalla misurazione della translucenza nucale con la free β-hCG e la PAPP-A con quello ottenuto dal triplo test o dal test quadruplo nel secondo trimestre. Avendo come obiettivo una detection rate dell’85%, il valore cut-off dovrebbe essere scelto da 1 a 120, ottenendo una percentuale di falsi positivi dello 0.9%. Se utilizzassi il miglior test di screening nel secondo trimestre (quadruple test) o quello migliore nel primo trimestre (Test Combinato), sarebbe necessario un valore cut-off più basso (1 a 630 o 1 a 540, rispettivamente) per ottenere la stessa detection rate con una percentuale di falsi positivi però notevolmente più alta (9.8% e 4.9%).

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Nonostante i suddetti risultati, non si possono trascurare gli svantaggi che questi approcci integrati comportano: in primo luogo, fatto eticamente non accettabile, molte donne con feti affetti sono private della loro possibilità ad interrompere quanto più precocemente e in maniera più sicura la propria gravidanza; in secondo luogo, la rassicurazione nei confronti di coppie con basso rischio di aneuploidia è ritardata di qualche settimana e in ultimo molte donne non completano il test di screening a due step, essendo sostanzialmente private di un vero screening.

Studi condotti nel corso del primo decennio del 2000 hanno evidenziato come lo screening combinato del primo trimestre identifichi circa il 90% dei feti affetti da trisomia 21 con un FPR del 3-5% (Kagan, Etchegaray, Zhou, Wright, & Nicolaides, 2009; Nicolaides, Spencer, Avgidou, Faiola, & Falcon, 2005; Spencer, Spencer, Power, Dawson, & Nicolaides, 2003). Una possibilità per lo screening combinato del primo trimestre è rappresentata da un insieme di misurazioni, quali la translucenza nucale e il prelievo biochimico, e dal counseling eseguito in una struttura ospedaliera al fine di valutare one-stop il rischio clinico di aneuploidia (OSCAR) (Bianchi, Wilkins-Haug, Enders, & Hay, 1993; Bindra, Heath, Liao, Spencer, & Nicolaides, 2002). Questa modalità è stata resa possibile dall’introduzione di macchine capaci di fornire misurazioni precise, automatiche e riproducibili entro 30 minuti dall’esecuzione del prelievo ematico (Kryptor system, Brahms AG, Berlin, Germany or Delfia Express System, Perkin Elmer, Waltham, MA, USA). L’epoca gestazionale ideale per il modello OSCAR è la 12esima settimana dal momento che lo scopo della valutazione ecografia al primo trimestre non è solo individuare le gravidanze affette da trisomia ma anche diagnosticare un numero sempre crescente di malformazioni fetali e, in questa ottica, la finestra considerata è adeguata a una visualizzazione chiara dell’anatomia fetale (Souka et al., 2004).

Una ulteriore possibilità è rappresentata dall’esecuzione del test biochimico a 9-10 settimane di gestazione e dall’esecuzione dello screening ecografico a 12 settimane (Kirkegaard, Petersen, Uldbjerg, & Torring, 2008). È stato stimato che la detection rate con FPR del 3% o del 5% diventa rispettivamente del 94% e del 96%. Una strategia alternativa consiste nel dosare la PAPP-A a 9 settimane e la freeβ-hCG all’epoca del controllo ecografico a 12 settimane o addirittura più avanti ed effettuare la misurazione ecografica della translucenza nucale a 12 settimane di

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gestazione con una detection rate del 96% circa a fronte di una FPR ridotta di quasi un punto percentuale. Questi due metodi sono nati a seguito dell’osservazione fatta nello studio FASTER e confermata successivamente da ampi studi prospettici in cui emerge l’esistenza di una variazione temporale delle concentrazioni dei markers biochimici nel primo trimestre di gestazione in feti affetti da trisomia 21 (Spencer et al., 2002; Spencer, Crossley, et al., 2003). Ad ogni modo, il potenziale vantaggio del metodo di screening combinato a due o tre step in termini di detection rate è sicuramente annullato dalla scarsa compliance delle pazienti a seguire gli step diagnostici successivi.

È inoltre stato dimostrato che nello sviluppo degli algoritmi di rischio per lo screening combinato la stima del rischio paziente-specifico necessiti di aggiustamenti nei valori misurati della freeβ-hCG e della PAPP-A che tengano in considerazione anche la parità, l’epoca gestazionale, l’etnicità, il peso materno, il metodo di concepimento e l’abitudine al fumo. Ad esempio, i livelli sia di PAPP-A sia di freeβ-hCG sono fortemente influenzati dall’etnicità della madre: infatti, sono stati osservati incrementi maggiori del 50% nei livelli di PAPP-A e del 10% circa in quelli di free β-hCG in donne di origine afro-caraibica rispetto a donne di origine caucasica. Dunque, non prendere in considerazione l’etnicità porterebbe ad una sostanziale sottostima del vero rischio di trisomia 21 nelle donne di origine afro-caraibica. Allo stesso modo, si otterrebbero valutazioni errate del rischio di aneuploidia non prendendo in considerazione l’abitudine al fumo e il metodo di concepimento; di fatto, sia le donne fumatrici sia le donne che hanno concepito tramite PMA presentano livelli di PAPP-A più bassi che potrebbero essere interpretati come fattore di rischio aumentato per trisomia 21 e comportare, inoltre, un sostanziale aumento della FPR.

1.3 ULTERIORI MARKERS ULTRASONOGRAFICI

Nel corso degli anni sono stati proposti ulteriori markers ultrasonografici, altamente specifici, capaci di affiancare la misurazione dello spessore della plica nucale (NT) nella rilevazione delle principali trisomie. Tra questi vi sono l’aumentata impedenza del dotto venoso, la frequenza cardiaca fetale, l’assenza dell’osso nasale, il rigurgito tricuspidale e l’angolo facciale. Su questa scia la Fetal Medicine Foundation ha

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sviluppato nuovi algoritmi per poter integrare i nuovi markers con il Test Combinato del primo trimestre, ottenendo una detection rate del 95% a fronte di una FPR del 2.5 %, migliorando così la performance del test sia nel caso vi si sottoponga l’intera popolazione ostetrica sia nel caso in cui vi si sottoponga solo la popolazione a rischio intermedio- ovvero quella con un rischio di aneuploidia tra 1 a 51 e 1 a 1.000- e questo per ognuno dei markers in questione. Diversi studi hanno dimostrato una correlazione significativa tra la NT aumentata ed anomalie del flusso nel dotto venoso, sistema unico di shunting che trasporta il sangue ossigenato dalla vena ombelicale verso la circolazione coronarica e cerebrale veicolandolo preferenzialmente attraverso il forame ovale nell’atrio sinistro (Bilardo, Muller, Zikulnig, Schipper, & Hecher, 2001; Borrell et al., 2003; Maiz, Valencia, Emmanuel, Staboulidou, & Nicolaides, 2008). Molti feti affetti da trisomia 21 o da altre cromosopatie presentano alterazioni di flusso nel dotto venoso a 11-13 settimane di gestazione. Flusso assente o invertito durante l’onda a o valori Doppler alterati a livello del dotto venoso si osservano nel 65% dei feti aneuploidi e nel 70% circa dei feti con un outcome avverso. Nello specifico un flusso anomalo nel dotto venoso si osserva rispettivamente in circa il 70%, 72%, 80% e 60% dei feti affetti da trisomia 21, 18, 13 e nella sindrome d Turner (Tabella 5) (Antolin et al., 2001; Martinez et al., 2010; Matias et al., 1998; Murta, Moron, Avila, & Weiner, 2002)

Tabella 5: incidenza di un flusso anomalo nel dotto venoso nel primo trimestre sia in feti euploidi sia in feti con trisomia 21, 18, 13 e altre anomalie cromosomiche.

Combinando i risultati di otto studi che hanno esaminato il dotto venoso fetale in 791 feti euploidi con aumentata NT, alterazioni flussimetriche nel dotto venoso

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sono state osservate nell’87% di feti con difetti cardiaci congeniti e nel 20% circa di quelli senza malformazioni cardiache e dei grossi vasi (Maiz & Nicolaides, 2010). L’alterazione del valore flussimetrico a livello del dotto venoso costituisce, dunque, un ottimo strumento indipendente rispetto alla sola NT nello screening per malattie cardiache congenite ma può anche essere utilizzato come strumento integrativo alla NT nello screening per aneuploidie, oltre a risultare uno degli indicatori per un esame ecocardiografico di secondo livello attuato da uno specialista (Martinez et al., 2010). Inoltre, l’associazione tra anomalie flussimetriche del dotto venoso e un valore di NT aumentato supporta l’ipotesi che alla base dell’aumento della translucenza nei feti aneuploidi vi sia una precoce disfunzione cardiaca (Montenegro, Matias, Areias, Castedo, & Barros, 1997). Valori di NT elevati e/o anomalie di flusso nel dotto venoso non sembrano essere confinate a determinati difetti cardiaci congeniti (Antolin et al., 2001), sebbene nei feti euploidi con un valore normale di translucenza nucale tutti i difetti siano a carico del cuore di destra. La prevalenza del flusso invertito sul dotto venoso durante la contrazione atriale (onda a) non è determinata esclusivamente dal cariotipo fetale ma anche dall’etnicità materna, essendo maggiormente frequente in donne di origini afro-caraibiche rispetto a quello del ceppo caucasico e sembra anche essere inversamente correlata al CRL fetale e ai valori di PAPP-A (Maiz, Valencia, Kagan, Wright, & Nicolaides, 2009).

Per garantire la massima riproducibilità e la migliore interpretazione del marker ultrasonografico, la misurazione del Doppler del dotto venoso deve seguire determinate regole. L’ esame deve essere eseguito in condizioni di quiescenza fetale ed è necessario ottenere un’immagine ecografica a pieno schermo che contenga il torace e l’addome fetale per mettere in evidenza in maniera ottimale il dotto venoso; il piano di scansione desiderato è quello che consente la visione medio - sagittale del tronco fetale di modo da applicare successivamente il Doppler al fine di identificare il dotto venoso, la vena ombelicale e il cuore fetale (Figura 7). In questo caso, il campionamento Doppler pulsato deve essere piccolo (0.5–1 mm) così da evitare contaminazioni da parte dei vasi sanguigni vicini e deve essere applicato nella porzione del torace fetale immediatamente sopra il seno ombelicale; inoltre, l’angolo di insonazione non deve essere inferiore ai 30° ed è bene settare l’ecografo a basse frequenze (50–70 Hz) di modo che l’onda a sia ben visibile e abbia una opportuna velocità di campionamento (2–3 cm/s), allo scopo di una ottenere una

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miglior valutazione della onda a (Borrell, 2009; Hecher, Campbell, Snijders, & Nicolaides, 1994). La morfologia delle onde determinate dalla velocità del flusso sanguigno attraverso il dotto venoso di Aranzio viene studiata facendo ricorso al pulsatility index (P.I) in maniera quantitativa o in maniera qualitativa, definendo l’onda a positiva, assente o con flusso invertito (Matias et al., 1998) (Figura 8a e 8b).

Figura 7: Eco-color Doppler che mostra l’anatomia dei vasi fetali in sezione medio sagittale.

8a 8b

Figura 8a e 8b: nella figura a sinistra si vede il Doppler del dotto venoso normale con onda

a positiva; nella figura a destra si vede il Doppler di un dotto venoso patologico con onda a invertita (S=sistole, D= diastole; A = contrazione atriale).

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Grazie alla integrazione della valutazione qualitativa del flusso a livello del dotto venoso a 11-13 settimane di gestazione, la performance dello screening del primo trimestre per la trisomia 21 risulta migliorata con un incremento della detection rate fino al 96% dei feti affetti da trisomia 21, al 92% dei feti affetti da trisomia 18 e al 100% dei feti affetti da trisomia 13 e dalla sindrome di Turner, riducendo la FPR a circa il 2,5% (Maiz et al., 2009) (Tabella 6 ).

Tabella 6: Detection ratecon FPR fisse nello screening combinato del primo trimestre, con o senza valutazione del dotto venoso (Maiz & Nicolaides, 2010).

Un altro marker da considerare è il rigurgito della valvola tricuspide. Questo reperto è stato osservato in misura variabile, a seconda dalla popolazione scelta per l’analisi e dalla grandezza del campione, in circa il 3% dei feti euploidi, nel 65-75% dei feti affetti da trisomia 21, nel 50% di quelli affetti da trisomia 18 e in circa un terzo di quelli affetti da trisomia 13 e sindrome di Turner. In aggiunta, un reperto di rigurgito tricuspidale in feti euploidi aumenta di circa 8 volte il rischio di cromosopatie (138-140). Questa elevata associazione trova un riscontro nei risultati di uno studio ecocardiografico condotto su topi a 11-14 giorni di gestazione, dove il rigurgito tricuspidale (TR) era presente in circa il 25% dei 20 topi affetti da trisomia 16; questo studio rappresenta il modello animale di studio della trisomia 21 nell’uomo (Gui, Linask, Khowsathit, & Huhta, 1996).

È stato inoltre osservato che la prevalenza di questo reperto diminuisce al crescere dell’epoca gestazionale e aumenta all’aumentare della NT, essendo sostanzialmente più alta in quei feti con una concomitante malformazione cardiaca e/o dei grossi vasi anziché in quelli senza. In aggiunta, tale parametro non è influenzato solo dal cariotipo fetale ma anche dall’abitudine al fumo materno – essendo più alta nelle pazienti fumatrici - e dal peso materno – diminuendo all’aumentare del peso

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materno - mentre, sia nei feti aneuploidi sia nella controparte euploide, i livelli sierici di freeβ-hCG e di PAPP-A sono indipendenti dalla presenza o assenza di rigurgito tricuspidale (Kagan, Valencia, Livanos, Wright, & Nicolaides, 2009). Dal momento che la prevalenza delle anomalie cromosomiche e dei difetti cardiaci aumenta in maniera direttamente proporzionale allo spessore della plica nucale fetale sia nei feti aneuploidi sia nella controparte euploide (Atzei, Gajewska, Huggon, Allan, & Nicolaides, 2005; J. Hyett, Perdu, Sharland, Snijders, & Nicolaides, 1999; Respondek, Kammermeier, Ludomirsky, Weil, & Huhta, 1994), l’elevata prevalenza di TR in feti aneuploidi può essere in parte attribuita alla concomitante presenza di difetti cardiaci (Huggon, DeFigueiredo, & Allan, 2003). Per quanto riguarda l’associazione tra NT aumentata e rigurgito tricuspidale, anche nei feti euploidi esistono diverse condizioni patologiche caratterizzate da alterazioni del precarico come ad esempio l’idrope fetale non-immune, le fistole arterovenose e il feto accettore nella sindrome da trasfusione tra gemelli (twin-to-twin transfusion syndrome) o da alterazioni del postcarico cardiaco, come il ritardo di crescita severo (Gudmundsson et al., 1991; Tulzer et al., 1991). In aggiunta, tale alterazione emodinamica si può anche sviluppare in un cuore con una comune valvulopatia atrioventricolare o con un’anomalia di Ebstein (Oberhoffer et al., 1992). Alla luce di queste premesse, la presenza o l’assenza di rigurgito tricuspidale può essere utilizzata per modificare il rischio di aneuploidia legato all’età materna e alla NT fetale e, in seconda istanza, per modificare il rischio di difetti cardiaci congeniti correlato ad una NT aumentata nei feti con corredo cromosomico normale. La valutazione del TR può essere integrata tramite opportuno algoritmo assieme alla NT fetale e markers biochimici nell’ambito del Test Combinato migliorando la detection rate dal 90% circa al 95% con la stessa FPR del 5%, oppure con una detection rate fissa del 90% diminuendo la FPR del 60% per la trisomia 21, con l’identificazione simultanea del 90% dei feti affetti da trisomia 18 e del 100% dei feti affetti da trisomia 13 e da sindrome di Turner (Falcon, Auer, Gerovassili, Spencer, & Nicolaides, 2006) (Tabella 7 e Tabella 8).

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Tabella 7: prevalenza di rigurgito tricuspidale in feti aneuploidi e in feti euploidi in presenza o assenza di un concomitante difetto cardiaco.

Tabella 8: Detection rates per valori fissi di FPR nello screening del primo trimestre con età materna, NT, FCF, markers biochimici con o senza valutazione del flusso attraverso la tricuspide in tutte le gravidanze.

Per fare diagnosi di rigurgito tricuspidale a 11-13 settimane di gestazione è necessaria una corretta visualizzazione apicale delle quattro camere e degli efflussi ed afflussi tramite color-Doppler, utilizzando il Doppler pulsato a livello dell’orificio della valvola tricuspide nell’atrio destro. Il volume di campionamento di 2.0-3.0 mm è posto con un angolo di insonazione inferiore a 30°. Risulta

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necessario che il flusso da rigurgito si presenti a circa almeno la metà della fase sistolica e con una velocità minima di flusso di 80 cm/s (Nicolaides, 2004) . Questi criteri sono essenziali per evitare erronee diagnosi in presenza di un jet da rigurgito fino a 50 cm/s prodotto dal flusso aortico o da quello dell’arteria polmonare oppure dallo spike inverso generato dalla chiusura della stessa cuspide valvolare sul tracciato flussimetrico.

Esiste un rischio teorico di danno termico al feto in via di sviluppo per quanto riguarda il ricorso al Doppler per la valutazione del dotto venoso e del rigurgito tricuspidale. Alcuni studi, tuttavia, hanno dimostrato che si applica solo alla sonografia transvaginale prima delle 10 settimane di gestazione e che, in ogni caso, non esistono studi epidemiologici che confermino un tale sospetto. Ad ogni modo, come ben sappiamo, nello screening del primo trimestre si ricorre al Doppler dopo le 11 settimane e l’eventuale pericolosità di un danno termico viene ovviata applicando settaggi che producono valori di indice termico e di indice meccanico al di sotto di 0.6 secondo il principio ALARA (as low as reasonably achievable) (Campbell & Platt, 1999).

Per quanto riguarda la frequenza cardiaca, nell’intervallo tra la decima e 14esima settimana di gestazione assistiamo ad una diminuzione del suo valore, passando dai 110 bpm a 5 settimane ai 170 bpm registrati alla 9 settimana per poi scendere progressivamente ai 150 bpm della 13esima settimana (Chesnais et al., 2018; Robinson & Shaw-Dunn, 1973). L’incremento iniziale sarebbe legato allo sviluppo morfologico del cuore mentre la sua successiva diminuzione sarebbe il risultato della maturazione funzionale del sistema parasimpatico (Wladimiroff, 1972). La frequenza cardiaca fetale (FHR) è presente con valori superiori al 95esimo percentile nel 67% dei feti affetti da trisomia 13, nel 52% dei feti affetti da sindrome di Turner e nel 10- 20% dei feti con trisomia 21. La trisomia 18 risulta, invece, solitamente associata a valori di FHR inferiori al 5° percentile nel 40% dei casi (A. W. Liao, Snijders, Geerts, Spencer, & Nicolaides, 2000). Nel caso della trisomia 21 due sono le possibili spiegazioni per la tachicardia fetale: da una parte, potrebbe essere dovuta ad un alterazione del normale sviluppo del sistema parasimpatico, determinando così un ritardo nel declino fisiologico della frequenza cardiaca riscontrato a 9 settimane (J. M. Van Lith, Visser, Mantingh, & Beekhuis, 1992), dall’altra, potrebbe essere dovuta all’attivazione di un meccanismo compensatorio

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per uno scompenso cardiaco precoce che ha determinato a sua volta un aumento della NT (J. A. Hyett et al., 1996). Di contro, nei feti affetti da trisomia 18 la bradicardia sarebbe conseguenza del quadro di severo ritardo di crescita embrionale tipico della sindrome (Bahado-Singh et al., 1997). Questo ritardo nello sviluppo è, infatti, più marcato e severo nei feti con trisomia 18 rispetto a quelli trisomia 13 o con trisomia 21 tanto che la maturazione della FHR in tali feti sarebbe equivalente a quella dell’8° settimana di gestazione. Pertanto, la bradicardia osservata in alcuni di questi feti potrebbe anche rappresentare un quadro preagonico (Sherod, Sebire, Soares, Snijders, & Nicolaides, 1997) (Tabella 9a). Le detection rate stimate per la trisomia 21, 18 e 13 usando l’algoritmo specifico per la trisomia 21 sono rispettivamente del 90%, 74% e 77%, fissando la FPR al 3%. Quando si prende in considerazione la frequenza cardiaca fetale all’interno dello screening combinato e si prendono in considerazione gli algoritmi specifici per trisomia 18 e 13 assieme all’algoritmo specifico della trisomia 21 si passa ad una detection rate rispettivamente di circa il 91% dei feti con trisomia 21 e del 97% e del 94% di quelli affetti da trisomia 13 e 18 con una FPR totale del 3.1%.

Includere la frequenza cardiaca fetale all’interno dell’algoritmo dello screening combinato del primo trimestre comporta, comunque, un miglioramento molto esiguo della detection rate della trisomia 21 e 18, sebbene aumenti dello 0,1% la FPR complessiva ed abbia un impatto considerevole nella detection rate delle trisomie 13, portandola dal 77 all’88%. Integrando gli algoritmi di screening per trisomia 21, 18 e 13 a fronte di una FPR del 3.1% la detection rate addirittura passa rispettivamente al 91%, 97% e 94% (Tabelle 9a e 9b). Inoltre, la valutazione della frequenza cardiaca fetale risulta dirimente nella diagnosi differenziale tra trisomia 18 e 13, altrimenti accomunate da valori elevati di NT e ridotti livelli sierici di free b-hCG e di PAPP-A (Kagan, Wright, Valencia, Maiz, & Nicolaides, 2008).

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Tabella 9a: detection rate con FPR fissi per le trisomie 21, 18, 13 utilizzando insieme Test Combinato e valore della frequenza cardiaca (Kagan et al., 2008).

Tabella 9b: FPR complessive e detection rates combinando tra loro gli algoritmi per trisomia 21, 18, 13. (Kagan et al., 2008).

I soggetti affetti da trisomia 21 si caratterizzano per un aspetto craniofacciale particolare, caratterizzato da fronte prominente, complesso craniofacciale di dimensioni ridotte e sottosviluppo della regione frontonasomascellare con osso nasale piccolo o addirittura assente (Frostad, Cleall, & Melosky, 1971). In virtù di ciò, sono stati introdotti altri due markers ecosonografici: l’osso nasale e l’angolo

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frontonasomascellare. Per quanto concerne l’osso nasale il suo sviluppo si verifica a partire dalla decima settimana di gestazione da entrambi i lati dell’abbozzo cartilagineo del setto nasale, quindi la sua mancata visualizzazione non può essere totalmente giustificata dalla precoce età gestazionale. Diversi studi ultrasonografici condotti a 11-14 settimane mostrano come fino al 70% dei feti affetti da sindrome di Down non presentino l’osso nasale o questo sia ipoplasico (100-105). Con un valore cut-off di 1 a 100 sul rischio totale di trisomia 21, 18, 13 e della sindrome di Turner, la detection rate è del 91% con una FPR del 3%, ottenuta combinando l’età materna, i markers biochimici, la misurazione dello spessore della plica nucale e la valutazione della frequenza cardiaca fetale (Tabella 10) (Kagan, Cicero, Staboulidou, Wright, & Nicolaides, 2009). Sull’assenza dell’osso nasale influisce non solo il cariotipo fetale ma anche l’etnicità materna – più frequente in donne di origini afro-caraibiche rispetto a donne bianche -, il CRL fetale e i livelli sierici di PAPP-A – essendo inversamente correlata ad essi-, e la NT fetale – essendo ad essa direttamente correlata. Conseguentemente, la sua incidenza risente del ceppo di origine materna e dalla distribuzione di CRL, NT e PAPP- A (Kagan, Cicero, et al., 2009) .

Tabella 10: Detection e FPR per valori cut-off fissi nello screening per il rischio totale di trisomia 21,18 e 13 basato sul modello introdotto da Kagan KO et al con o senza la valutazione qualitativa dell’osso nasale (X/Y in ogni casella).

La valutazione qualitativa dell’osso nasale necessita di un opportuno training degli ecografisti e dell’aderenza ad una specifica tecnica di visualizzazione del profilo fetale come precedentemente descritto per la misurazione della NT (Figura 9a e 9b). La valutazione dell’osso nasale è persino più difficile di quella della translucenza nucale e, pertanto, è categorico che i medici ecografisti che si dedicano alla valutazione del rischio per aneuploidie attraverso la valutazione del profilo fetale

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ricevano un accurato training e la certificazione di competenza. È stato infatti calcolato che un ecografista accreditato per la misurazione della NT necessita di almeno 80 scansioni ecografiche dell’osso nasale per esser competente in questo tipo di esame (Cicero, Dezerega, Andrade, Scheier, & Nicolaides, 2003).

Figura 9a: osso nasale (NB) correttamente visibile e translucenza nucale (NT) normale in un feto euploide a 12 settimane di gestazione (Nicolaides, 2004).

Figura 9b: osso nasale (NB) assente e translucenza nucale (NT) aumentata in un feto affetto da trisomia 21 a 12 settimane di gestazione (Nicolaides, 2004).

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Per quanto concerne l’angolo faciale frontomaxillare, ovvero l’angolo compreso tra l’osso frontale e la parte superiore del palato in una scansione medio-sagittale del volto, è emerso da alcuni studi che nei feti affetti da trisomia 21 questo angolo sia maggiore rispetto ai feti euploidi, sia nel primo che nel secondo trimestre (Molina, Persico, Borenstein, Sonek, & Nicolaides, 2008; Sonek, Borenstein, Dagklis, Persico, & Nicolaides, 2007; Sonek, Borenstein, Downing, et al., 2007). In uno studio di imaging 3D su 100 feti con trisomia 21 e 300 feti euploidi tra le 11-13+6 settimane di gestazione un angolo FMF superiore al 95esimo percentile del range di normalità è stato osservato nel 69% dei feti affetti da sindrome di Down e nel 5% dei feti euploidi, non riscontrando una associazione significativa con lo spessore della translucenza nucale (Sonek, Borenstein, Dagklis, et al., 2007). È stato osservato che l’angolo FMF in feti euploidi tende a diminuire al crescere del CRL passando da un valore medio di 84° in feti con CRL 45 mm ad un valore medio di 76.5° in feti con CRL 84 mm – e che tale diminuzione sembra essere dovuta ad uno sviluppo in avanti dell’osso mascellare rispetto alla fronte o ad una dislocazione in senso craniale del palato. Inoltre, esso non presenta una associazione statisticamente significativa neanche con i markers biochimici del Test Combinato, rendendolo di fatto uno strumento aggiuntivo e potenzialmente utile nello screening della sindrome di Down (Borenstein, Persico, Kaihura, Sonek, & Nicolaides, 2007). Da un ulteriore studio è poi emerso che l’integrazione di questo marker nel Test Combinato del primo trimestre consente di portare la DR da 90 al 94% con un FPR del 5% o con un FPR al 3% dal 85% al 92% (Borenstein, Persico, Kagan, Gazzoni, & Nicolaides, 2008) (Tabella 11).

Tabella 11: Performance stimata dello screening in una popolazione con la distribuzione dell’età materna secondo quelle di Inghilterra e Galles 2000-2002.

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Discussione a parte meritano le trisomie 13 e 18. Nella trisomia 13 l’angolo FMF risulta normale ad eccezione dei feti che presentano oloprosencefalia ed è quindi improbabile che la misurazione dello stesso possa significativamente migliorare la detection rate degli attuali test di screening per aneuploidie al primo trimestre. Tuttavia, se nel corso dello screening per trisomia 21 viene identificato un FMF con valori al di sopra del 95esimo percentile, ciò deve rappresentare un campanello d’allarme per una sottostante oloprosencefalia o altri dismorfismi faciali e dunque indurre ad un esame più accurato dell’anatomia fetale da parte del medico esecutore (Borenstein, Persico, Dagklis, Faros, & Nicolaides, 2007). Nel caso della trisomia 18 alcuni autori hanno valutato un ulteriore marker ultrasonografico detto MMF, ovvero angolo mandibolo-faciale, per l’identificazione precoce di micrognatia e/o retrognatia, caratteristica tipica della trisomia 18 (Borenstein, Persico, Strobl, Sonek, & Nicolaides, 2007) . È stato dimostrato che in feti euploidi l’FMF e l’MMF diminuiscono con la gestazione e dunque con l’aumento del CRL, questo dovuto probabilmente ad una dislocazione in avanti del palato anteriore rispetto alla fronte e alla mandibola. Nella trisomia 18, come nella trisomia 21, si osservano FMF superiori al 95esimo percentile, dunque in entrambe le cromosopatie si verificano dislocazioni dorsali del complesso mascellare rispetto alla fronte. Inoltre, il riscontro aggiuntivo di valori inferiori alla norma di MMF ed un rapporto FMF/MMF aumentato dimostrano come la micrognatia e/o la retrognatia siano evidenti già al primo trimestre. Pertanto, se nel corso dello screening combinato del primo trimestre si osserva un valore di FMF superiore al 95esimo percentile, è bene valutare anche altri segni ecografici per trisomia 18 come l’MMF, la presenza di onfalocele o di mega vescica.

1.4 NIPT (Non Invasive Prenatal Test)

Il NIPT (Non Invasive Prenatal Test) è un test innovativo che in pochi anni è riuscito a rivoluzionare lo screening del primo trimestre di gravidanza. Attraverso un semplice prelievo di sangue e con l’analisi del DNA libero circolante nel plasma materno, è possibile rilevare con elevata accuratezza le principali trisomie (21, 18, 13) e le aneuploidie dei cromosomi sessuali. Nei seguenti paragrafi andremo ad analizzare le generalità, le tecniche di analisi, la sensibilità e la specificità del test ed infine i limiti e le implicazioni etiche.

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1.4.1 GENERALITA’ E FRAZIONE FETALE

Il passaggio di cellule nucleate dalla madre al feto era un fenomeno ben noto (Lo et al., 1996; Lo et al., 1989; Walknowska, Conte, & Grumbach, 1969) quando nel 1997 Lo et al. descrissero per la prima volta la presenza di DNA libero (cfDNA) derivante da un cromosoma maschile Y nel plasma o nel siero di alcune donne gravide (Lo et al., 1997), spinti dagli ultimi studi che avevano trovato, grazie a tecniche molecolari, DNA tumorale nel plasma e nel siero di pazienti malati di cancro (Anker et al., 1997; X. Q. Chen et al., 1996; Nawroz, Koch, Anker, Stroun, & Sidransky, 1996) .Venne successivamente dimostrata la possibilità di ritrovare, impiegando una PCR real time quantitativa, concentrazioni sufficienti di cfDNA nel plasma e nel siero materno, sia nel primo che nel terzo trimestre di gravidanza, da poter utilizzare nell’ambito di una diagnosi prenatale non invasiva (Lo, Tein, et al., 1998).

Il sesso, in base alla presenza/assenza nel plasma materno di sequenze di SRY e DYS14 del cromosoma Y, e il gruppo sanguigno Rh del feto furono le prime informazioni ottenute proprio a partire da quel cfDNA (Faas, Beuling, Christiaens, von dem Borne, & van der Schoot, 1998; Lo, Hjelm, et al., 1998). Iniziarono così numerose ricerche e trials clinici per sviluppare un test non invasivo prenatale che fosse accurato ed efficace per la ricerca delle aneuploidie. All’inizio del 2011 in Cina e nell’ottobre dello stesso anno negli Stati Uniti venne introdotto il NIPT (Non Invasive Prenatal Testing) per individuare la sindrome di Down, rapidamente seguito da test analoghi in grado di rilevare anche altre aneuploidie fetali. La diffusione fu senza precedenti: è stimato che solo negli USA nel 2013 vennero effettuati 500.000 NIPT in donne ad alto rischio. Sebbene non diagnostico, l’introduzione del NIPT ha consentito di ridurre il divario tra la performance dei classici test di screening (markers materni e US) e i test diagnostici invasivi (villocentesi e amniocentesi) (Benn, Cuckle, & Pergament, 2013).

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