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Il passaggio da un comportamento viscoso ad un comportamento elastico si ha in corrispondenza del trattamento di vulcanizzazione al quale vengono sottoposte le mescole “crude”, cioè non ancora vulcanizzate

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Un polimero presenta un buon comportamento elastomerico se soddisfa due condizioni generali:

- La temperatura di transizione vetrosa, temperatura per la quale un polimero amorfo passa dallo stato di solido rigido ad uno stato gommoso, è inferiore alla temperatura ambiente (in genere Tg<-20°C). Questa condizione è realizzata quando la catena macromolecolare possiede numerosi legami aventi grande libertà di rotazione interna, quindi in grado di conferire flessibilità alla catena.

- Assenza di interazioni intermolecolari forti, in pratica assenza di cristallinità a temperatura ambiente e allo stato di riposo.

Affinché risulti un elastomero di interesse industriale deve anche presentare alti pesi molecolari, M dell’ordine di 105-106, cosicché si abbiano buone proprietà meccaniche (Ciardelli, 1992).

Un elastomero, così come ottenuto (per sintesi o per coagulazione del lattice nel caso della gomma naturale) è detto “crudo” e si comporta come un fluido viscoelastico incomprimibile.

Gli elastomeri sono materiali visco-elastici, poiché possiedono sia proprietà elastiche sia proprietà plastiche (viscose).

Il passaggio da un comportamento viscoso ad un comportamento elastico si ha in corrispondenza del trattamento di vulcanizzazione al quale vengono sottoposte le mescole “crude”, cioè non ancora vulcanizzate.

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1.1 Le mescole

Con il termine mescola si intende l’insieme di elastomero, cariche di riforzo, additivi e dei diversi elementi che compongono il prodotto finito.

La gomma (elastomero) è un materiale che ha la capacità di poter essere allungato notevolmente, se sottoposto a trazione, per poi tornare rapidamente alla lunghezza iniziale, una volta rimosso il carico applicato (comportamento prevalentemente elastico).

Vi sono attualmente in commercio due tipi di gomme: quelle naturali e quelle sintetiche.

- Le gomme naturali, secondo la normativa UNI 7703, si ottengono coagulando il lattice ricavato da piante tropicali (in particolare Hevea brasiliensis), raccolte tramite incisione del tronco della pianta. Hanno ottime caratteristiche meccaniche, ma scarsa resistenza agli agenti atmosferici, alla temperatura ed a molti composti chimici.

- Le gomme sintetiche vengono prodotte a partire da semplici idrocarburi, generando tramite polimerizzazione lattici artificiali successivamente coagulati. Sono attualmente disponibili molti elastomeri artificiali, aventi caratteristiche meccaniche e di resistenza chimica assai diversificate.

Le proprietà degli elastomeri vulcanizzati tal quali sono in genere insufficienti a soddisfare le esigenze tecnologiche di elevate proprietà meccaniche, buone proprietà dinamiche, durata nel tempo, lavorabilità, costi contenuti. Questi requisiti sono ottenuti additivando l’elastomero di particolari ingredienti con differenti funzioni, quali zolfo, acceleranti, attivanti, cariche, plastificanti, ritardanti ed antinvecchianti. La dispersione di questi nell’elastomero “crudo” fornisce le mescole.

Anche i pneumatici, come tutti gli articoli in gomma, vengono prodotti a partire da particolari mescole (tab. 1.1).

Tabella 1.1 – Composizione tipica di una mescola per pneumatici

Ingredienti phr

Elastomero ( NR, SBR, EPDM…) 100

Zolfo 1 – 1.5

Acceleranti 2

Acido stearico 1 - 3 Attivanti

ZnO 3.5 - 5

Plastificanti 10 - 15

Ausiliari di lavorazione 2.5

Cariche rinforzanti 40 - 50

Antinvecchianti 2

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Vediamo nel dettaglio ciascun componente del sistema vulcanizzante.

1.1.1 La gomma

Con il termine gomma si definiscono un insieme di sostanze organiche, naturali o sintetiche, caratterizzate da alcune proprietà che le rendono adatte a particolari impieghi, se sottoposte ad un ciclo di opportune lavorazioni.

Le principali caratteristiche mostrate dalle gomme sono:

- capacità di notevoli allungamenti sotto l’effetto di tensioni applicate e rapido recupero della lunghezza iniziale alla rimozione del carico;

- elevato carico di rottura;

- resistenza ad abrasione, lacerazione ed invecchiamento;

- resistenza alla luce ed a diversi agenti chimici.

Le mescole analizzate nel corso di questo lavoro contengono come elastomero di base SBR o EPDM. Di seguito si riportano le principali caratteristiche dei due elastomeri.

 COPOLIMERO STIRENE BUTADIENE (SBR)

Nasce durante la seconda guerra mondiale quando, la carenza di gomma naturale dovuta all’espansione dei possedimenti giapponesi nel sud-est asiatico, costrinsero gli Stati Uniti ad adottare un programma governativo per la sintesi di nuovi tipi di gomma.

L’SBR è un elastomero costituito da unità monomeriche di stirene (fig. 1.2) e butadiene (fig. 1.1). Ha buona resistenza all’abrasione e stabilità all’invecchiamento ed è stabile nei confronti di sostanze quali oli minerali, grassi e idrocarburi, acidi e basi organiche ed inorganiche. GRS e Buna S sono altri nomi commerciali di uso comune.

Tipicamente il rapporto ponderale tra le unità monomeriche del butadiene e dello stirene è di circa 72/28.

Fig. 1.1 – Unità monomeriche dei segmenti butadienici

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Fig. 1.2 – Unità monomerica dei segmenti stirenici

La percentuale di incorporazione e la distribuzione dei co-monomeri dipendono dalle condizioni di polimerizzazione.

La gomma SBR viene prodotta polimerizzando in emulsione i monomeri di base. Per effettuare la sintesi industriale, vengono utilizzati due processi: il metodo della gomma calda e il metodo della gomma fredda.

- Metodo della gomma calda: si opera a 50°C e per produrre l’iniziatore radicalico si sfruttano persolfato di potassio e un mercaptano

K2S2O7 + 2 RSH → KHSO3 + KHSO4 + 2 RS·

- Metodo della gomma fredda: si lavora a 5-8°C e il promotore radicalico è generato per reazione redox tra un idroperossido e ioni ferrosi

ROOH + Fe2+ → Fe3+ + OH- + RO·

In entrambi i casi, il butadiene copolimerizza con lo stirene soprattutto in 1,4 (sia cis che trans), ma anche in 1,2.

Le proprietà delle gomme SBR (fig. 1.10), se pur simili a quelle delle gomme naturali, ne differiscono in:

- una transizione vetrosa a temperature più elevate;

- maggiore isteresi (funzione del tenore di stirene);

- maggior sviluppo di calore per flessioni ripetute;

- minore resistenza alla lacerazione.

 CO-POLIMERI E TERPOLIMERI A BASE DI ETILENE E PROPILENE (EPM ed EPDM) Sono stati sintetizzati per la prima volta in Italia a metà degli anni ’50 per co-polimerizzazione di etilene e propilene in presenza di catalizzatori stereospecifici Ziegler-Natta.

Le gomme EPM (ethylene-propylene monomers) sono costituite da co-polimeri di etilene e propilene che sviluppano lunghe catene molecolari sature in grado di rendere la mescola adatta al contatto con molti fluidi di natura diversa. Aggiungendo come terzo monomero un diene insaturo alla mescola si ottiene la gomma EPDM (ethylene-propylene-diene monomers) che presenta catene molecolari

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più corte rispetto alla gomma satura. Se vulcanizzate, offrono prodotti con discrete proprietà meccaniche, ottima resistenza all’invecchiamento, all’attacco chimico e costi contenuti. Nel settore dei pneumatici possono essere impiegate soprattutto per le mescole del fianco, ma nel caso di pneumatici speciali possono essere impiegate anche nel battistrada.

1.1.2 Altri elementi costituenti la mescola

 ZOLFO

Lo zolfo è l’agente vulcanizzante più importante; la reticolazione è dovuta all’instaurarsi di legami polisulfidici fra le catene polimeriche costituite da elastomeri contenenti insaturazioni, con conseguente ottenimento di un reticolo tridimensionale. Lo zolfo infatti può essere usato come agente vulcanizzante solo per quei tipi di gomma che hanno doppi legami nella catena principale (copolimeri di tipo dienico).

Statisticamente, la distribuzione dei siti in cui si stabiliscono tali legami è la seguente:

- per il 60% tra i carboni dei gruppi -CH2- adiacenti al carbonio del doppio legame che reca il gruppo metilico;

- per il 25% tra i carboni dei gruppi metilenici adiacenti al CH del doppio legame;

- per il restante 15% tra i due carboni recanti il doppio legame.

Le fonti di zolfo possono essere varie: zolfo S8 elementare (poco reattivo), S2Cl2 (molto reattivo) o ultra-acceleranti solforati come (CH3)4N2(CS2)2Zn.

La percentuale di impiego varia a seconda della destinazione d’uso della mescola ed influisce marcatamente sulle caratteristiche meccaniche e sull’invecchiamento del prodotto vulcanizzato.

 ACCELERANTI

Gli acceleranti sono elementi introdotti nella mescola con lo scopo di favorire la vulcanizzazione, diminuendo la durata del processo e la temperatura di esercizio nonché la quantità di agente vulcanizzante da usare.

Sono classificabili in:

- acceleranti primari;

- acceleranti secondari.

Gli acceleranti primari svolgono la reale azione catalizzatrice, da soli o con aggiunta di acceleranti secondari, i quali hanno la funzione di esaltare alcuni aspetti della cinetica della vulcanizzazione e risultano particolarmente utili nella reticolazione di elastomeri con un basso livello di insaturazione.

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Alla prima categoria appartengono i sulfenammidi, come il N-cicloesil-benzotiazol-sulfenammide (CBS) e il N-terziario butil-2-benzotiazol-sulfenammide (TBBS), ed i tiazoli come il mercaptobenzotiazolo (MBT); mentre alla seconda categoria appartengono alcune guanidine ed alcuni tiocarbammati e tiofosfati.

 ATTIVANTI

Gli attivanti sono sostanze che aumentano l’efficacia degli acceleranti; i più importanti sono l’ossido di zinco (ZnO) e l’acido stearico (CH3(CH2)16COOH).

Si ritiene che l’acido stearico solubilizzi l’ossido di zinco (Grigoryeva, 2004), dal momento che si rileva la formazione di stearato di zinco, che rende disponibile lo ione Zn2+ per la formazione di un complesso con gli altri componenti; tuttavia è stato osservato che molti elastomeri vulcanizzano anche in assenza di acido stearico.

 PLASTIFICANTI

I plastificanti sono ingredienti aggiunti in quantità variabile per ridurre la viscosità e quindi aumentare la lavorabilità della mescola vergine prima della vulcanizzazione o per modificare alcune proprietà meccaniche del prodotto finito.

Esiste una quantità massima di plastificante al di sopra della quale non si riesce più ad ottenere mescole omogenee.

Sono generalmente costituiti da prodotti idrocarburici derivanti dal petrolio, come oli e cere.

 CARICHE RINFORZANTI

Le cariche rinforzanti sono, dopo gli elastomeri, gli ingredienti presenti in maggiori quantità nelle mescole. Sono costituite da particelle solide insolubili e stabili nelle condizioni di processo della mescola. Svolgono diverse funzioni tutte miranti al miglioramento delle caratteristiche meccaniche del prodotto vulcanizzato, quali durezza, resistenza a trazione, resistenza all’abrasione ed allungamento a rottura.

La carica rinforzante più utilizzata è il nerofumo (carbon black), costituito da carbonio elementare con struttura simile alla grafite, ma in cui l’orientazione degli strati molecolari è casuale (fig. 1.3).

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Fig. 1.3 – Struttura della grafite e del carbon black

Caratteristiche fondamentali dei carbon black usati come cariche nella produzione di pneumatici sono (Galimberti,2005):

- l’area superficiale specifica, che dipende dalle particelle primarie del carbon black stesso, determina l’area di contatto con il polimero; tale grandezza viene stimata tramite misure di absorbimento con apposite sostanze (Iodio, CTAB, Azoto);

- la struttura, cioè il grado con cui le particelle di carbonio sono legate insieme negli aggregati;

la compattezza della struttura è inversamente proporzionale al grado di vuoto della stessa. Il volume di vuoto tra aggregati ed agglomerati, è espresso come volume di di-isobutilftalato (DBP) adsorbito per un certa quantità di carbon black;

- l’attività superficiale, dipendente dai gruppi chimici presenti sulla superficie delle particelle, che determina l’interazione carica-carica e carica-polimero.

L’interazione tra carbon black ed elastomero è di due tipi:

- adsorbimento di tratti di polimero sulla superficie delle particelle favorito dalla struttura porosa del carbon black (interazioni di Van der Waals);

- legami chimici tra il polimero e i gruppi funzionali residui presenti sulla superficie del carbon black (interazioni dipolari o covalenti).

L’utilizzo del carbon black come carica di rinforzo in una mescola conferisce un aumento della rigidità e della durezza, una maggiore resistenza all’abrasione e un netto aumento della resistenza all’invecchiamento (il carbon black assorbe le radiazioni UV proteggendo la gomma dalla degradazione).

Un’altra carica rinforzante è la silice, recentemente usata nelle mescole per la fabbricazione di

“green tyres”, con lo scopo di ridurre il coefficiente di attrito al rotolamento del pneumatico limitando così il consumo di carburante. La silice è un ossido inorganico di natura polimerica con unità ripetitiva SiO2.

L’azienda Goodyear ha di recente brevettato e realizzato uno pneumatico con mescole contenenti un polimero naturale, derivato dall’amido di mais, in parziale sostituzione della silice. Tale prodotto

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manifesta una diminuzione del consumo di carburante unitamente a migliori prestazioni in frenata e su superfici bagnate.

 ANTINVECCHIANTI E ANTIOSSIDANTI

Gli antinvecchianti sono sostanze organiche usate con lo scopo di ritardare l’usura e l’invecchiamento del pneumatico attraverso azioni antiossidanti, antiozonanti e offrendo protezione nei confronti dell’azione della luce e del calore.

 RITARDANTI E INIBITORI

I ritardanti sono sostanze che inibiscono una possibile vulcanizzazione incontrollata nella mescola

“cruda”, ancor prima del processo di vulcanizzazione vero e proprio. Tra i più usati ci sono alcune ftalammidi come il polivinil-N-imidazolo (PVI) ed alcuni acidi (benzoico e salicilico).

1.2 Fasi della produzione degli pneumatici

Si descrivono brevemente le fasi che costituiscono il processo di fabbricazione degli pneumatici. In Fig.1.4 sono indicati gli elementi principali di uno pneumatico.

Fig.1.4 – Elementi principali di uno pneumatico Battistrada

Spalla Carcassa

Cinture in acciaio

Tallone

Fianco

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Preparazione delle mescole

La produzione di una mescola avviene per stadi:

 fluidificazione (detta anche “masticazione”) dell’elastomero grezzo;

 incorporazione delle cariche e dei plastificanti;

 incorporazione del sistema vulcanizzante.

La fluidificazione è un processo di demolizione controllata del peso molecolare dell’elastomero che avviene per via meccanico-chimica. Si attua sottoponendo la gomma a violenti sforzi di taglio che causano la rottura di alcuni legami delle macromolecole, diminuendo così la viscosità.

Durante il miscelamento, a causa dell’elevata viscosità del sistema, si ha un forte sviluppo di calore con conseguente aumento della temperatura; questo fatto comporta la necessità di incorporare gli agenti vulcanizzanti separatamente rispetto agli altri ingredienti, alla fine del ciclo di miscelamento in modo tale da evitare il rischio di pre-reticolazioni. Le macchine usate per queste operazioni sono i miscelatori.

Il risultato finale, che si vuole ottenere nel minor tempo possibile, è una mescola altamente omogenea senza innescare alcun fenomeno di degradazione/reticolazione non desiderate, garantendo inoltre l’omogeneità di dispersione delle cariche nella mescola, in modo da evitare l’insorgere di meccanismi dissipativi. Infatti i granuli di molti ingredienti hanno la tendenza a formare agglomerati, che generano mescole con caratteristiche non

ottimali e localmente variabili. La miscela che ne deriva è chiamata "mescola madre", essa viene trasformata in fogli di gomma e poi raffreddata. Una parte della gomma viene usata per processi supplementari mentre la maggior parte viene preparata per la fase di estrusione.

Estrusione del battistrada

La gomma viene riscaldata per renderla più elastica. In seguito viene messa all'interno di una macchina dove il battistrada e il fianco, che richiedono due differenti mescole di gomma, acquisiscono la forma finale. La macchina produce un foglio continuo di gomma che viene poi tagliata nelle lunghezze specifiche.

Fig.1.5 – Fogli di gomma

Fig.1.6 – Fase del processo produttivo

(10)

Tessitura della tela

Alcune tortiglie tessili come ad esempio quelle di rayon, nylon, acciaio e poliestere subiscono un

processo chiamato

"calandratura", in cui vengono tessuti in fogli e rivestiti in gomma su entrambi i lati. Una volta che questo processo è finito, i fogli vengono tagliati secondo un’opportuna inclinazione ed una larghezza specifica. Essi formeranno la carcassa dello pneumatico, mentre le tortiglie di acciaio vengono usate per le cinture.

Il centro del tallone viene formato allineando e poi rivestendo i fili placcati in acciaio con la gomma.

Tali fili vengono poi avvolti su di un rotolo un certo numero di volte fino a formare gli anelli del tallone il quale consente l’accoppiamento tra pneumatico e cerchio.

Fig.1.7 – Tessitura della tela

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Processo di costruzione

Il processo di costruzione è costituito da due fasi.

Nella prima i fogli tessuti, il tubo interno, gli strati di tela e le pareti laterali vengono posizionati sul tamburo. Gli anelli del tallone posizionati correttamente vengono poi attaccati, e daranno come risultato l'avvolgimento automatico dello strato di tela attorno al centro del tallone.

Nella seconda fase il pneumatico prende forma gonfiando la

gomma e applicando la gomma al battistrada laterale, due cinture di acciaio e uno strato di tela di battistrada applicato, per avere uno pneumatico "crudo".

Vulcanizzazione

Il pneumatico "crudo" viene posizionato in una pressa termica per un certo periodo di tempo (10-15 minuti) ad una certa pressione e a una specifica temperatura. Il pneumatico viene poi rimosso dallo stampo, una volta che ha acquisito la dimensione, la forma e il disegno finali.

Fig. 1.10 - Stampo Sbavatura

La gomma in eccesso nel processo di vulcanizzazione viene rimossa, e il pneumatico viene sbavato secondo le necessità;

Controllo finale

Ogni pneumatico viene ispezionato visivamente ed elettronicamente per verificarne l'equilibrio, la qualità e l'uniformità. Il controllo finale assicura che le prestazioni siano consistenti ed affidabili.

Fig.1.8 – Particolare del tamburo

Fig.1.9 – Fase di vulcanizzazione

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1.3 Il processo di vulcanizzazione

La vulcanizzazione è una trasformazione chimico-fisica che consiste in un trattamento a caldo della gomma miscelata con opportuni additivi, quali zolfo e acceleranti. Durante questo processo avviene la reticolazione della gomma: si formano dei legami covalenti (ponti zolfo) tra le catene polimeriche che la costituiscono. Il processo di vulcanizzazione comporta variazioni delle proprietà fisiche nel materiale: si ha infatti una maggiore resistenza alla trazione, all’abrasione, alle temperature elevate e una ridotta solubilità nei comuni solventi. Le gomme elastiche, o elastomeri vulcanizzati, si distinguono nettamente dalle altre materie plastiche perché, se sottoposte a trazione, sono in grado di subire deformazioni elevatissime, raggiungendo senza rompersi lunghezze pari a molte volte la lunghezza iniziale, con allungamenti a rottura dell’ordine anche del 1000%. Inoltre questi materiali sono capaci, una volta rimosso il carico, di tornare quasi istantaneamente alle dimensioni originarie senza quasi subire deformazioni permanenti.

Tale comportamento è definito elasticità elastomerica e si presenta in materiali con:

- elevata mobilità delle macromolecole, consentita dall’assenza di gruppi ad elevato ingombro sterico all’interno delle unità monomeriche (anelli aromatici, lunghe catene) e di gruppi che diano forti interazioni intermolecolari (gruppi polari capaci di formare ponti ad idrogeno);

- temperatura di transizione vetrosa dell’ordine di -70 / -90° C;

- presenza nel polimero di una certa struttura reticolata permanente.

Le reticolazioni aumentano la resistenza della gomma e fungono in un certo senso da “memoria” in quanto aiutano il polimero a riprendere la forma originale dopo uno stiramento. In genere l’elasticità del polimero “crudo” decade a temperature superiori a 80° C, invece attraverso la vulcanizzazione il campo elastico si estende fino a circa 200°C (Sini, 2001).

In altre parole, con la vulcanizzazione, le catene di macromolecole costituenti gli elastomeri “crudi”, libere di eseguire moti traslazionali relativi, vengono invece vincolate le une alle altre (fig. 1.11), conferendo al sistema caratteristiche di stabilità dimensionale, insolubilità, infusibilità ed elevata elasticità.

Fig. 1.11 – Schematizzazione del processo di vulcanizzazione

(13)

La formazione di legami trasversali (cross-links) è casuale, perciò il reticolo che si forma è composto da segmenti macromolecolari di lunghezza variabile, dette catene elasticamente attive, che fanno capo a due punti di giunzione. Possono formarsi anche catene facenti capo ad un solo punto di giunzione, dette catene elasticamente non attive, anelli intramolecolari ed intrappolamenti di due catene in un nodo, originando un legame trasversale addizionale.

Il tipo di reazione chimica che si impiega per effettuare la vulcanizzazione dipende dalla natura chimica dell’elastomero utilizzato, in particolare dalla presenza di siti reattivi quali doppi legami (o meglio atomi di idrogeno allilici) o gruppi funzionali opportuni (atomi di cloro allilici e gruppi esterei).

Nei casi in cui si trattino gomme insature, la vulcanizzazione può essere effettuata con zolfo elementare o composti organici donatori di zolfo. Nel caso di elastomeri saturi, l’assenza di doppi legami non permette una vulcanizzazione con zolfo, per cui vengono impiegati iniziatori radicalici, come i perossidi (Ciardelli, 1992).

1.3.1 Vulcanizzazione a base di zolfo

Lo zolfo (S) è l’elemento più utilizzato nei processi di vulcanizzazione grazie alla sua capacità di formare catene che contengono un numero variabile di atomi di zolfo legati con legami semplici. Tale caratteristica è dovuta alla maggior stabilità termodinamica dei legami semplici S–S rispetto ai doppi legami S=S (Galimberti, 2005).

In natura lo zolfo si trova puro allo stato elementare, oppure combinato in solfuri e solfati, o sotto forma gassosa come SO2 e H2S.

Allo stato elementare lo zolfo è un solido dal colore giallo pallido e si trova in forma di cristalli, polvere ed incrostazioni. Lo zolfo si presenta in più forme allotropiche, cioè in più forme che differiscono per struttura e proprietà chimico-fisiche.

Per la vulcanizzazione con zolfo si usano due forme allotropiche diverse:

- zolfo rombico cristallino S8 (α-sulfur), i cui anelli composti da otto atomi si dispongono in una struttura ortorombica; è stabile e solubile nelle gomme (fig. 1.12 a);

- zolfo amorfo (λ-sulfur), che consiste in una miscela di catene ed anelli con alto peso molecolare (da 100.000 a 3.000.000); tale forma è insolubile nelle gomme e all’aumentare della temperatura perde stabilità, convertendosi in zolfo rombico cristallino (fig. 1.12 b). Lo zolfo amorfo viene utilizzato nei semilavorati, perché, data la sua bassa solubilità, non c’è migrazione di zolfo.

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(a) (b) Fig. 1.12 – Zolfo ortorombico (a) e zolfo amorfo (b)

Il meccanismo di reazione di vulcanizzazione con lo zolfo si realizza in tre stadi successivi:

Dissoluzione dello zolfo nella gomma.

In questa fase lo zolfo viene incorporato nella gomma; se lo zolfo si presenta ortorombico cristallino S8, essendo solubile,si disperde nella gomma senza particolari difficoltà entro il limite di solubilità, mentre se si presenta nella forma amorfa si tratta di una pura dispersione dello zolfo in un fluido alto viscoso e l’incorporazione può essere più difficoltosa.

La velocità di dissoluzione dello zolfo nella mescola è direttamente proporzionale alla sua solubilità nell’elastomero, che varia in funzione del tipo di elastomero impiegato ed in genere aumenta con l’aumentare della temperatura di dissoluzione.

Apertura dell’anello.

L’apertura dell’anello può avvenire per meccanismo ionico oppure per meccanismo radicalico (fig. 1.13).

Fig. 1.13 – Meccanismi di apertura dell’anello di zolfo

Reazione dello zolfo con l’elastomero.

L’addizione dello zolfo sull’elastomero (fig. 1.14 a) può verificarsi in corrispondenza di un doppio legame (freccia rossa), in corrispondenza di un gruppo α-metilenico adiacente ad un doppio

S (S)6 S

radical splitting

S(S)6 S

ionic splitting

(15)

legame (freccia verde), o in corrispondenza di un gruppo metile adiacente ad un doppio legame, se presente, come nel caso dell’isoprene (frecce gialla ed arancio).

(a) (b)

Fig. 1.14 – Meccanismo di addizione dello zolfo su un elastomero (Galimberti, 2005)

In generale lo zolfo sostituisce un atomo di idrogeno in posizione allilica rispetto ad un doppio legame (cerchiate in rosso in fig. 1.14 b); il numero di atomi di idrogeno allilici fornisce un’indicazione della reattività di una determinata gomma con lo zolfo.

Il meccanismo di addizione dello zolfo può quindi essere di tipo radicalico o di tipo ionico:

e la reazione generica diventa:

X

X 8

2

8 (RH) S S

S

2RH

Lo zolfo si può quindi attaccare a 2 differenti siti: in molecole distinte, originando un cross-link, oppure nella stessa molecola formando un anello chiuso.

Inoltre si possono formare gruppi mercaptanici secondo la reazione di ossidazione:

R S S R H

S

2R X O X X

Quando lo zolfo si comporta come un ossidante, si ha anche formazione di acido solfidrico secondo la reazione:

S H R

CH S S CH R S

SH CH

2R2 2 2 2

CHS CHS 

CH( ) CH( ) S S

CH(.) CH(.) S S

(16)

Per garantire velocità di reazione convenienti al processo, a parità di temperatura, è necessario aggiungere al sistema vulcanizzante acceleranti ed attivanti. Il meccanismo che coinvolge anche questi agenti passa attraverso la formazione di un complesso intermedio (Galimberti, 2005):

Al termine del processo di vulcanizzazione avremo ottenuto un reticolo il cui aspetto schematico è rappresentato in figura 1.15.

Fig. 1.15 – Reticolo polimerico dopo la vulcanizzazione

(17)

1.3.2 Altri meccanismi di vulcanizzazione

Gli elastomeri saturi, quali i copolimeri etilene-propilene, possono essere vulcanizzati con un sistema costituito da zolfo ed acceleranti solo introducendo un certo numero di doppi legami nelle catene, ricorrendo alla terpolimerizzazione. Altri metodi di vulcanizzazione di questi prodotti consistono nella clorurazione o nella solfoclorurazione e successiva deidroclorurazione per azione dello zolfo o di ossidi metallici, oppure nel trattamento con perossidi organici.

In quest’ultimo caso, i radicali che si liberano dai perossidi organici deidrogenano gli atomi di carbonio delle catene macromolecolari adiacenti. Per accoppiamento di radicali polimerici si formano legami trasversali (ponti C-C).

Gli elastomeri contenenti alogeni, ad esempio il policloroprene, vengono reticolati mediante ossidi metallici come ZnO, CaO, MgO e PbO, oppure con basi organiche come poliammine.

Alcuni tipi di poliesteri (ad esempio i derivati acrilici) possiedono la proprietà di vulcanizzare spontaneamente in opportune condizioni, dando origine a legami trasversali, per eliminazione di molecole di alcoli tra due catene adiacenti.

Anche le radiazioni ad alta energia sono capaci di produrre legami trasversali tra molecole adiacenti di polimeri organici, favorendo quindi la reticolazione. Questo procedimento tuttavia è poco usato, vista la forte tendenza alla degradazione degli elastomeri sottoposti a radiazioni e per la difficoltà di controllare le dinamiche di reticolazione.

1.3.3 Vulcanizzazione di miscele elastomeriche

Circa il 75% di tutti gli elastomeri impiegati nei processi di vulcanizzazione sono utilizzati non singolarmente, ma in miscela tra loro; ciò perché gli elastomeri conosciuti non esibiscono da soli tutte le proprietà desiderate. È quindi molto frequente miscelare un elastomero con un secondo elastomero in fase di trasformazione; ad esempio la gomma etilene-propilene (EPDM) viene aggiunta alle formulazioni elastomeriche per migliorare l’assorbimento degli oli idrocarburici e la resistenza all’ozono; la gomma acrilonitrile-butadiene (NBR) per migliorare la resistenza agli oli; la gomma cloroprene (CR) per una migliore resistenza alle fiamme; il polibutadiene (BR) per aumentare la flessibilità a bassa temperatura; la gomma butile (IIR) per migliorare l’impermeabilità ai gas.

Nelle mescole impiegate per la produzione di pneumatici sono usate quasi esclusivamente miscele di gomma naturale (NR) e del copolimero statistico stirene-butadiene (SBR).

L’SBR possiede infatti migliore resistenza alla rottura e migliore resistenza alle condizioni atmosferiche rispetto alla gomma naturale ed è importante per conferire un maggior controllo sul bagnato; mentre la gomma naturale rispetto all’SBR mostra una migliore resistenza meccanica, un minore sviluppo di calore e un miglior comportamento alle basse temperature.

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Durante il mescolamento, gli ingredienti di vulcanizzazione stabiliscono più spesso un primo contatto con la fase a minore viscosità, poiché questa tende ad occupare le regioni esterne della massa di gomma che fluisce. Inizialmente gli ingredienti di vulcanizzazione vanno quindi a collocarsi all’interno della fase continua, in quanto il componente a minore viscosità tende a diventare proprio la fase continua.

Dal momento che i livelli di zolfo e di accelerante tipicamente usati per gli elastomeri sono inferiori ai loro limiti di solubilità, si verifica una migrazione degli ingredienti di vulcanizzazione all’interno della gomma.

A causa della maggiore solubilità dello zolfo negli elastomeri insaturi e della più elevata affinità di molti acceleranti negli elastomeri più polari, possono originarsi significative differenze nella densità di reticolazione delle fasi di miscele elastomeriche.

Inoltre se la velocità di vulcanizzazione varia notevolmente tra gli elastomeri della miscela, l’esaurimento degli ingredienti di vulcanizzazione nel componente a maggiore velocità di reticolazione può causare una migrazione degli stessi ingredienti ed una ulteriore disuniformità di vulcanizzazione.

È importante notare quindi che il premiscelamento degli ingredienti di vulcanizzazione all’interno dei rispettivi elastomeri a concentrazioni ottimali, prima del miscelamento degli elastomeri tra loro, può migliorare la distribuzione della reticolazione della miscela; nonostante ciò la procedura standard industriale prevede di incorporare gli ingredienti solo alla fine del miscelamento, in modo da evitare problemi di prevulcanizzazione.

La disuniformità di vulcanizzazione può essere superata attraverso la modificazione chimica degli acceleranti, in modo che le rispettive solubilità nei componenti di una miscela siano quasi simili, e attraverso l’attacco diretto degli ingredienti alla catena polimerica.

È possibile operare una divisione generale dei sistemi di vulcanizzazione usati per le miscele elastomeriche nel seguente modo:

1. sistemi convenzionali, che contengono una concentrazione di zolfo maggiore rispetto all’accelerante;

2. sistemi a vulcanizzazione efficiente (sistemi EV), in cui la concentrazione di zolfo è considerevolmente inferiore a quella dell’accelerante;

3. sistemi intermedi tra le due precedenti situazioni (sistemi semi-EV).

Il rapporto di ogni accelerante nei confronti dello zolfo determina ampiamente il tipo di reticolazione dovuta a legami sulfidici: rapporti più bassi favoriscono i legami traversali polisulfidici, rapporti più alti favoriscono invece legami principalmente monosulfidici.

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In linea generale le reticolazioni monosulfidiche sono più stabili al calore rispetto a quelle polisulfidiche, pertanto i sistemi reticolati in modo EV presentano una maggiore resistenza all’invecchiamento termico ed una più elevata resistenza rispetto ai sistemi convenzionali.

Studi su questi sistemi sono stati eseguiti da R. Joseph, K.E. Gorge e D. Francis, che hanno analizzato sperimentalmente sistemi NR/SBR 50-50 (% in peso) vulcanizzati utilizzando alcuni sistemi convenzionali e semi-EV, confrontando poi le caratteristiche di vulcanizzazione e le proprietà dei vulcanizzati.

Per quel che riguarda le caratteristiche di vulcanizzazione, essi hanno riscontrato che, aumentando la quantità di accelerante impiegato (CBS) per livelli costanti di zolfo, aumenta la velocità di vulcanizzazione sia per il sistema convenzionale sia per quello semi-EV; al contrario quando viene variata la quantità di zolfo mantenendo costante quella dell’accelerante CBS, non si riscontra alcun cambiamento nelle caratteristiche di vulcanizzazione.

Il momento torcente rilevato in fase di miscelazione, che è una misura della densità di reticolazione, aumenta costantemente con l’aumentare della quantità di zolfo o di CBS nel sistema convenzionale come nel sistema semi-EV. Quindi la densità di reticolazione delle mescole vulcanizzate con il sistema convenzionale aumenta con l’aggiunta di zolfo o di CBS ed in questo caso i legami trasversali polisulfidici costituiscono la maggior parte delle reticolazioni.

Tuttavia i sistemi descritti mostrano durante l’invecchiamento una notevole conversione dei legami polisulfidici a di- e monosulfidici, e questo probabilmente spiega in parte la diminuzione della resistenza meccanica con l’invecchiamento.

Le mescole vulcanizzate con il sistema semi-EV mostrano una densità di reticolazione che aumenta con l’aumentare della quantità di zolfo o CBS, proprio come nel caso del sistema convenzionale; la quantità di legami polisulfidici è invece molto inferiore rispetto al sistema convenzionale, anche se si ha una significativa conversione di tali legami a di- e monosulfidici con l’invecchiamento.

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1.3.4 Il grado di reticolazione

Lo studio della cinetica di formazione dei legami trasversali, nella pratica, si basa sul fatto che il modulo elastico aumenta al crescere del grado di reticolazione e quindi ne è una misura indiretta.

Lo sforzo da applicare per ottenere una determinata deformazione è proporzionale al numero ed alla distanza dei cross-link creati durante la fase di vulcanizzazione; tale caratteristica permette di valutare il grado di cura raggiunto durante il processo tramite uno studio con reometri a rotori oscillanti con geometria piatto-cono e piatto-piatto.

Al crescere del grado di reticolazione aumenta anche il momento torcente (torque) da applicare al reometro, necessario a mantenere il rotore in oscillazione per imporre una deformazione controllata.

Dalla registrazione continua del momento torcente in funzione del tempo si ottengono delle curve sigmoidali, dette curve reometriche, che forniscono una descrizione grafica della cinetica di reticolazione. I diversi tratti di queste curve sono originati dal prevalere di fenomeni diversi (fig. 1.16).

Fig. 1.16 – Curva reometrica di un sistema vulcanizzante

Dalla figura precedente si possono notare:

- ML: punto di minimo correlato con la viscosità;

- MH: punto di massimo correlato con il modulo;

- Reversion:

100

ML MH

M

MH finale

.

Nella parte iniziale della curva (1) si assiste ad una fluidificazione del materiale alla temperatura di vulcanizzazione, con conseguente diminuzione del momento torcente applicato dal reometro, fino al raggiungimento di un punto di minimo ML.

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Nella seconda parte della curva (2) l’aumento del momento torcente applicato è conseguenza dell’instaurarsi delle dinamiche di crosslinking.

Superato il punto di massimo MH, che corrisponde all’optimum di vulcanizzazione, si assiste ad una flessione della curva (3) dovuta all’instaurarsi di fenomeni di reversione (reversion) che portano ad un decadimento prestazionale delle mescole.

Tutte le proprietà meccaniche della gomma dipendono dal grado di reticolazione.

Fig.1.17 – Andamento delle proprietà meccaniche rispetto al grado di reticolazione

Come riportato in fig. 1.17, l’aumento del grado di reticolazione produce un incremento del modulo statico, dinamico e della durezza; di contro si può notare una netta diminuzione dell’allungamento a rottura

Il carico a rottura e la resistenza a fatica mostrano (oltre un certo grado di cross-link) un andamento anomalo che può essere attribuito ad una più difficile orientazione delle macromolecole all’aumentare del grado di reticolazione e conseguentemente ad una maggiore difficoltà del materiale a cristallizzare sotto sforzo, oppure a possibili reazioni secondarie che coinvolgono atomi di zolfo, o infine alla presenza di legami irregolari che possono portare a tensioni interne in alcune aree del materiale.

Altre proprietà modificate dal processo di vulcanizzazione:

- gli elastomeri vulcanizzati perdono la propria capacità di swelling (rigonfiamento) e solubilità che li caratterizzavano prima del processo;

- una minore permeabilità ai gas al crescere del grado di cura;

- la resistenza all’abrasione ed all’invecchiamento risultano essere basse per materiali poco o troppo curati.

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1.3.5 Metodi di vulcanizzazione

Tecnologicamente la vulcanizzazione è un processo di stampaggio a compressione di un semilavorato “crudo” associato ad un trattamento termico per un periodo di tempo abbastanza lungo da conferire alla mescola le proprietà desiderate.

Tale processo può essere condotto in continuo o in discontinuo (batch).

La vulcanizzazione discontinua è eseguita per riscaldamento dello stampo di formatura dell’oggetto.

Lo stampo può essere: a pressione; con trasferimento della mescola non trattata dalla cavità di formatura a quella di vulcanizzazione, permettendo l’ottenimento di oggetti di forma più complicata;

con riempimento per estrusione della mescola.

Può essere condotta anche su oggetti già formati con le stesse tecniche di stampaggio ed estrusione in forni ad aria aperti o in autoclavi a vapore d’acqua saturo (ad esempio nel caso di tubi) oppure per semplice immersione.

La vulcanizzazione continua è realizzata facendo passare l’estruso in un fluido caldo.

Oltre che a caldo, può essere condotta anche a freddo, attraverso l’esposizione di oggetti preformati ai vapori di cloruro di zolfo (S2Cl2) o di cloruro di tionile (SOCl2) o per immersione in loro soluzioni.

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