Introduzione
5
La matrice extracellulare (ECM) è una preziosa “rete” del nostro organismo alla cui integrità è legato lo stato di salute dell’uomo. Essa sottende a tutti gli epiteli e gli endoteli e circonda le cellule dei tessuti connettivi fornendo un supporto meccanico e resistenza fisica a tessuti e organi. Oltre a funzioni meccaniche, la ECM esercita una profonda influenza sul comportamento cellulare (adesione, diffusione, migrazione). Fra i costituenti strutturali della ECM vi sono molecole di collagene fibrillari e non, proteoglicani e fibre di elastina. Una differente composizione di questi elementi e una loro differente interazione comportano il costituirsi di tessuti diversi con differente ruolo funzionale e con differente risposta.
Il rimodellamento tissutale è un processo multifasico implicato sia in stadi fisiologici che patologici, legati ai meccanismi propri della guarigione delle ferite, dello sviluppo fetale, dei processi responsabili dell’infiammazione delle articolazioni, dell’invasione tumorale e delle metastasi. In condizioni fisiologiche cinque classi di proteasi (aspartato, cisteina, metallo, treonina e serina) intervenendo nell’idrolisi selettiva di legami peptidici sono coinvolte nel turnover del tessuto connettivo e nei suoi processi di riparazione. Tra queste cinque classi la più abbondante è quella delle Metalloproteasi per la quale nell’uomo sono stati caratterizzati circa 186 geni. Fra le ventisei differenti famiglie di Metalloproteasi possiamo ricordare alcuni importanti enzimi fra i quali le Amminopeptidasi (APs), gli ACEs (Angiotensin-Converting Enzimes) e le Metalloproteasi di Matrice (MMPs).
1Le MMPs, dette anche matricine, rappresentano una famiglia di proteasi
omogenee per struttura, localizzazione e funzioni. Una delle prime descrizioni di
6
questi enzimi risale al 1949, quando si ipotizzò che essi potessero facilitare la
crescita tumorale, rendendo più fluido lo stroma del tessuto connettivo, incluso
quello dei piccoli vasi sanguigni, favorendo quindi l’invasione delle cellule
maligne e il processo di metastasi. Nel 1962 è stato isolato e caratterizzato il
primo membro di questa famiglia, una collagenasi, responsabile del processo di
riassorbimento della coda del girino durante la metamorfosi. Negli anni
successivi, diversi enzimi sono stati parzialmente purificati, ed infine grazie
all’avvento delle tecniche di biologia molecolare, è stato possibile riconoscere le
omologie strutturali e caratterizzare molti nuovi membri di questa grande famiglia
enzimatica. Attualmente si conoscono 26 MMPs umane, implicate nella
degradazione dei componenti della matrice extracellulare.
2Un elenco dei processi
fisiologici e patologici a cui prendono parte le MMPs è riportato in Tabella 1.
7
Tabella 1. Ruolo delle MMPs nei processi fisiologici e patologici.
2Processi fisiologici Processi patologici
Angiogenesi Apoptosi Rimodellamento osseo
Risposta immunitaria Infiammazione Crescita delle fibre nervose
Morfogenesi degli organi Guarigione delle ferite Impianto della blastocisti
Sviluppo embrionale Ciclo uterino
Ovulazione Dilatazione della cervice Involuzione uterina post-parto
Artrite reumatoide Osteoartrite (OA)
Periodontite Morbo di Alzheimer Sindrome di Guillian-Barrè Rottura della barriera emato-encefalica
Disordini del SNC Sclerosi multipla Disordini neurologici
Aterosclerosi Malattie cardiovascolari
Cancro Metastasi Ulcera corneale
Enfisema Fibrosi polmonare
Ulcera gastrica Cirrosi epatica Fibrosi epatica
Nefrite
Ulcera della pelle
8
Classificazione e struttura
In base alla specificità e alle strutture primaria, secondaria e terziaria, le MMPs vengono generalmente suddivise in sei distinti sottogruppi
2:
Collagenasi: Collagenasi-1 o Interstiziale (MMP-1); Collagenasi Neutrofila (MMP-8); Collagenasi-3 (MMP-13); Collagenasi-4 (MMP-18). Queste MMPs sono in grado di degradare il collagene di tipo І, ІІ e ІІІ;
Gelatinasi: Gelatinasi A (MMP-2); Gelatinasi B (MMP-9). Questi enzimi utilizzano come substrato i diversi tipi di collagene denaturato, le gelatine, l’elastina ed il collagene di tipo IV e V;
Stromelisine: Stromelisina-1 o Proteogliconasi (MMP-3); Stromelisina-2 (MMP-10); Stromelisina-3 (MMP-11); MMP-27 che presenta una stretta omologia (51.6 %) con la MMP-10. Queste MMPs sono chiamate così perché in grado di interagire con una larga scala di componenti della matrice extracellulare, tra cui i proteoglicani, la fibronectina, la laminina e diversi tipi di collagene;
Matrilisine: Matrilisina-1 (MMP-7 conosciuta anche come PUMP);
Matrilisina-2 (MMP-26). Queste MMPs sono in grado di processare i componenti della matrice extracellulare e diverse molecole di superficie, tra i quali il pro- TNF-α e la E-caderina;
Metalloproteasi di membrana: MT1-MMP (MMP-14); MT2-MMP
(MMP-15); MT3-MMP (MMP-16); MT4-MMP (MMP-17); MT5-MMP (MMP-
24); MT6-MMP (MMP-25). Questi enzimi hanno un dominio transmembrana C-
terminale che permette loro di rimanere ancorate alla membrana cellulare e sono
capaci di degradare diversi componenti della matrice extracellulare e di attivare le
9 altre MMPs.
Altre MMPs: MMP-12 o Metalloelastasi dei macrofagi; MMP-19 o RASI-1; MMP-20 o Enamelisina; MMP-21; MMP-22; MMP-23; MMP-28 o Epilisina; MMP-29.
Tabella 2. Classificazione delle MMPs.
Famiglia Enzima Numero
MMP
Substrato
Collagenasi Collagenasi interstiziale MMP-1 Collagene I, II, III, VII, X, IGFBP-3 Collagenasi MMP-8 Collagene I, II, III
Collagenasi-3 MMP-13 Collagene I, II, III Collagenasi-4 MMP-18 Collagene I
Gelatinasi Gelatinasi A MMP-2 Gelatina, collagene IV, V VII, X e XI, fibronectina, laminina, plasminogeno Gelatinasi B MMP-9 Gelatina, collagene IV, V e XIV,
fibronectina, plasminogeno
Stromelisine Stromelisina-1 MMP-3 Gelatina, fibronectina, laminina, collagene III,IV, IX e X, vitronectina, proteoglicani, ECAD, IGFBP-3; attiva proMMP-1 Stromelisina-2 MMP-10 Fibronectina, collagene IV
Stromelisina-3 MMP-11 Fibronectina, laminina, collagene IV, gelatina
Enamelisina MMP-20 Amelogenina Metalloproteasi di
membrana
MT1-MMP MMP-14 Collagene I, II e III, fibronectina, laminina, vitronectina; attiva proMMP-2 e
proMMP-13
MT2-MMP MMP-15 Fibronectina, gelatina, laminina; attiva proMMP-2, collagene I e III, entactina, tenascina, aggrecano
MT3-MMP MMP-16 Collagene III, fibronectina, gelatina; attiva proMMP-2
MT4-MMP MMP-17 Gelatina, proMMP-2
MT5-MMP MMP-24 ProMMP-2
MT6-MMP (Leucolisina)
MMP-25 Collagene IV, gelatina, fibronectina, fibrina
Altre MMPs Matrilisina MMP-7 Fibronectina, gelatina, laminina, collagene IV, plasminogeno, proteoglicani
Metalloelastasi MMP-12 Elastina, plasminogeno
RASI-1 MMP-19 Fibronectina, gelatina, collagene I, IV Xenopus MMP (xMMP) MMP-21 Non conosciuto
Chicken MMP (cMMP) MMP-22 Caseina Cysteine array MMP
(ca-MMP)
MMP-23 Non conosciuto
Matrilisina-2 MMP-26 Fibrinogeno, fibronectina, vitronectina, gelatin, collagene I e IV, proMMP-9 MMP-22 umana MMP-27 Non conosciuto
Epilisina MMP-28 Caseina
10
La maggior parte delle MMPs presenta una struttura primaria costituita da quattro distinti domini (Figura 1):
il pre-dominio N-terminale
il dominio catalitico
la regione cerniera (peptide–hinge)
il dominio emopessina-simile C-terminale.
Figura 1. Struttura primaria delle MMPs.
Tutte le MMPs presentano una sequenza N-terminale (predominio), la cui
rimozione conduce alla forma attiva dell’enzima; infatti, dopo la sintesi a livello
del reticolo endoplasmatico, le MMPs sono rilasciate in uno stato di latenza
(zimogeni), che viene mantenuto grazie al legame tra lo ione zinco del sito
11
catalitico e il gruppo sulfidrile di un residuo di cisteina posto all’estremità N- terminale del dominio propeptidico: tale legame provoca l’espulsione di acqua e mantiene l’enzima latente. Lo spostamento del prodominio mediante alterazione o proteolisi disturba il legame cisteina-zinco, il gruppo tiolico viene sostituito dall’acqua, e l’enzima risulta nella sua forma attiva (Figura 2). La cisteina responsabile del mantenimento della latenza delle MMPs si trova all’interno di una sequenza conservata chiamata “cysteine switch motif” (PRCGXPD).
3Figura 2. Meccanismo che regola la latenza della MMP.
Il dominio catalitico (170 a.a.) contiene due atomi di zinco, uno con
funzione catalitica e uno con funzione strutturale, e due o tre atomi di calcio,
importanti per la stabilità e per l’espressione dell’attività enzimatica. Date le
numerose analogie tra i componenti di questa famiglia di enzimi, ci si può
avvalere di una descrizione generica per la loro classificazione. Questa profonda
similarità probabilmente è il risultato della duplicazione a partire da un unico gene
12
ancestrale, seguita dalla successiva differenziazione della proteina per sostituzione di più amminoacidi. Tre residui di istidina situati all’interno della sequenza conservata HEXXHXXGXXH del dominio catalitico, e il gruppo tiolico di un residuo di cisteina contenuto all’interno di una seconda sequenza conservata (PRCGXPD) situata all’interno del prodominio N-terminale, mantengono l’atomo di zinco catalitico in una disposizione stabile tetra-coordinata. In questa situazione la cisteina “switch” nasconde il sito catalitico al substrato, conservando così l’enzima nella forma latente. Affinché la MMP diventi attiva e possa così svolgere la sua attività proteolitica, questa interazione deve essere rotta per scissione del prodominio ammino terminale o per modificazione conformazionale (meccanismo switch-cisteinico).
Il centro catalitico è composto dallo ione zinco del sito attivo, coordinato a tre residui di istidina e a un residuo di acido glutammico, che facilita la catalisi.
4Tale dominio è importante perché si lega ai TIMPs (Tissue Inhibitors of Metallo Proteases), inibitori fisiologici con attività regolatoria sulle MMPs. Lo ione zinco del sito catalitico svolge un ruolo cruciale sia nel legame che nella rottura del substrato; in alcuni casi, il sito catalitico isolato mantiene la funzione endopeptidasica, ma non mostra attività verso i substrati naturali: questo è dovuto all’assenza delle altre porzioni strutturali, anch’esse presumibilmente coinvolte nel riconoscimento e nel legame del substrato.
5Legato al sito catalitico troviamo il dominio emopessinico C-terminale,
così chiamato per la sua notevole omologia con l’emopessina, proteina del plasma
sanguigno: esso ha la forma di un cilindro e presenta struttura a foglietto-β,
costituito da quattro moduli di emopessina (paralleli e antiparalleli) e tre α-eliche;
13
i quattro moduli, disponendosi a cuneo, formano un poro che contiene uno ione Ca(II). Solamente l’MMP-7 e l’MMP-26 sono prive del dominio conservato carbossi-terminale emopessina-simile. Il dominio C-terminale sembra essere importante nel determinare la specificità dell’enzima per il substrato e nell’interazione con gli inibitori naturali delle MMPs.
Un linker flessibile di natura peptidica, ricco di proline, detto peptide- hinge, unisce il dominio emopessinico con il sito attivo, tranne che nella MMP-21
e nella MMP-23, dove essi sono direttamente congiunti.
5Nella MMP-4 e -6 la regione cerniera è costituita da glicosilfosfatidilinositolo (GPIAs).
Una struttura primaria più complessa è, infine, presente in quelle MMPs legate alle membrane citoplasmatiche. Esse possono essere divise in due gruppi. Il primo gruppo (MMP-14, MMP-15, MMP-16, MMP-24) mostra un Linker Trans- Membrana (TML) legato al dominio C-terminale emopessin-like, ovvero un dominio transmembrana che attraversa la membrana citoplasmatica verso il citoplasma, e un dominio Citoplasmatico. Nel secondo gruppo (MMP-17, MMP- 25) i due enzimi sono uniti alle membrane citoplasmatiche da un TML che lega una sequenza ancorante un Glicosilfosfatidilinositolo (GPIAs).
1Nella Tabella 3 si riporta una rappresentazione schematica dei domini che costituiscono la struttura primaria delle MMPs.
Due sono i principali meccanismi regolatori delle MMPs: l’espressione
genica e l’attivazione proteica. La trascrizione dei geni delle MMPs è indotta da
una quantità di stimoli extracellulari come citochine (IL-4 e IL-10), fattori di
crescita (EGF, bFGF, TGF-α, TGF-β-1), e interazioni cellula-cellula e cellula-
matrice. Questi stimoli inducono a livello intracellulare una cascata di eventi
14
mediati dalle MAP (chinasi Mitogen-Activated Protein), in particolare dalla
proteina chinasi attivata da stress e dalla p38. L’attivazione di queste chinasi
induce l’attivazione del fattore di trascrizione nucleare AP-1, che attiva la
trascrizione dei corrispondenti geni MMP. L’inibizione delle MAP-chinasi
inibisce marcatamente l’espressione delle MMPs e il potenziale invasivo della
linea cellulare. La sintesi delle MMPs avviene all’interno delle cellule del tessuto
connettivo, successivamente la forma inattiva dell’enzima (zimogeno) viene
immagazzinata nell’apparato del Golgi, quindi secreta all’esterno della cellula e
attivata mediante rottura proteolitica. Alcune MMPs (MMP-1, MMP-2, MMP-3 e
MT1-MMP) possono essere attivate a livello intracellulare e svolgere un ruolo
nella degradazione di proteine importanti per le funzioni intracellulari.
1Le MMPs
sono mantenute nella forma inattiva mediante un legame tra lo zinco del dominio
catalitico e una cisteina localizzata nel pro-dominio; la rottura di questo legame in
seguito ad alterazione della struttura del prodominio N-terminale o intervento di
specifici enzimi, espone la proteina al substrato, rendendola attiva. L’espressione
e l’attivazione delle MMPs richiedono quindi tre passaggi: trascrizione del gene,
secrezione e attivazione dello zimogeno.
15
Tabella 3. Rappresentazione schematica dei domini costituenti la struttura
primaria delle MMPs.
16
Meccanismo d’azione delle MMPs
Il meccanismo d’azione attraverso cui le MMPs attuano la proteolisi è stato delineato sulla base di studi strutturali, ed è mostrato in Figura 3.
3Figura 3. Meccanismo d’azione delle MMPs.
3Come si nota in Figura 3, lo zinco è coordinato con tre residui di istidina dell’enzima e con una molecola d’acqua. Quest’ultima risulta anche legata mediante due legami a idrogeno al gruppo carbossilico di un glutammato conservato nelle varie MMPs (Gln-198 in MMP-8), che la rende particolarmente nucleofila. Il corretto allineamento del substrato nel sito catalitico dell’enzima rende possibile la coordinazione dello zinco al carbonile del legame peptidico che deve essere scisso. Questa coordinazione rende particolarmente elettrofilo il carbonile del substrato che subisce l’attacco nucleofilo dell’acqua. La molecola d’acqua dona così un protone al glutammato, che a sua volta lo trasferisce all’azoto ammidico. Il successivo trasferimento del rimanente protone della molecola di acqua all’azoto ammidico determina la rottura del legame peptidico.
Durante questo processo, la carica positiva dello ione zinco aiuta a stabilizzare la
17
carica negativa del carbonile ammidico, mentre un residuo di alanina (Ala-161 in MMP-8) presente nel sito aiuta a stabilizzare la carica positiva sull’azoto dell’ammide.
Sito attivo
Il sito attivo consiste di due regioni distinte:
un “canale” nella superficie della proteina contente lo ione zinco catalitico
un sito di selettività S1’.
Gli inibitori legati adottano conformazioni estese all’interno del “canale”, formano diversi legami a idrogeno “-structure-like” con l’enzima e forniscono il quarto legame per lo zinco catalitico.
2Intorno allo zinco catalitico del sito attivo sono presenti dei sottositi
leganti il substrato e nominati S1, S2, S3, S1’, S2’, S3’. Essi accolgono le catene
laterali del peptide da idrolizzare, quindi le caratteristiche strutturali ed
elettrostatiche dei singoli sottositi contribuiscono a determinare la specificità di
substrato. In particolare, il confronto tra le strutture delle MMPs ha rivelato
differenze significative nella dimensione e nella forma della tasca S1’, che
possiamo quindi identificare come il principale responsabile della specificità di
substrato.
5Il volume di questo sottosito varia considerevolmente: esso è
relativamente profondo per la maggior parte delle MMPs (MMP-2, MMP-3,
MMP-8, MMP-13, ecc.), ma per alcune di queste (MMP-1, MMP-7, MMP-11) è
parzialmente o completamente occluso a causa di un aumento delle dimensioni
della catena laterale dell’amminoacido in posizione 193 (secondo la numerazione
18
dell’MMP-8), che da una Leu nell’MMP-8 diviene una Arg nell’MMP-1, una Tyr nell’MMP-7 e una Gln nell’MMP-11.
3È stato dimostrato che per l’attività proteolitica delle MMPs è richiesto un substrato contenente almeno sei amminoacidi (tre da ogni lato del legame da idrolizzare).
6La Figura 4 mostra una rappresentazione schematica di un substrato esapeptidico legato al sito attivo della MMP-8. I gruppi presenti nel substrato o nell’inibitore seguono la nomenclatura dei corrispondenti sottositi dell’enzima coi quali si ha l’interazione (P1, P2, P3, P1’, P2’, P3’).
Figura 4. Rappresentazione schematica del sito attivo della MMP-8.
19
Selettività del substrato
Si è visto che le varie MMPs mostrano una differente selettività per le diverse proteine di matrice. Negli ultimi anni sono stati condotti vari studi per determinare la sequenza del sito di rottura nelle proteine substrato per ciascun enzima. Attualmente è disponibile un gran numero di dati strutturali riguardanti la maggior parte delle MMPs. Queste strutture hanno chiaramente rivelato sia caratteristiche comuni sia differenze significative nel sito attivo, che comportano una preferenza diversa di substrato, e quindi risulta interessante studiare tale specificità al fine di progettare inibitori selettivi per le MMPs.
5Si è osservato che solo poche variazioni della sequenza implicano significative variazioni della selettività tra gli enzimi. Per esempio l’amminoacido preferito al sottosito P3 è la prolina, per tutti i tipi di enzimi esaminati. La MMP-2 risulta particolarmente selettiva per il substrato che presenta una Arg al sottosito P2, mentre la MMP-7 per il substrato che presenta una Leu o una Met al medesimo sottosito.
2Ad oggi, la selettività della maggior parte degli inibitori delle MMPs
conosciuti si basa su due importanti caratteristiche molecolari: una porzione
chelante che interagisce con lo ione zinco catalitico e delle estensioni idrofobiche
che si inseriscono nella larga e idrofobica tasca S1’. Poiché le differenze
strutturali tra le varie MMPs si hanno maggiormente nel sottosito S1’, le
modifiche del gruppo P1’ sono state utilizzate per introdurre una selettività tra gli
inibitori. Così, introducendo nella struttura dell’inibitore gruppi P1’ estesi, come
per esempio un bifenile, sono stati ottenuti composti selettivi per gli enzimi a
tasca profonda. Al contrario, la presenza di gruppi P1’ più piccoli conduce ad
20 inibitori ad ampio spettro.
Il sottosito S2’ è una fessura esposta al solvente con una preferenza per i residui P2’ idrofobici, sia nel substrato che negli inibitori. Il sottosito S3’ è una regione esposta al solvente, non molto ben definita. S2’ e S3’ non hanno un ruolo dominante nel legame all’inibitore ed è difficile utilizzarli per ottimizzare la selettività. Sostituzioni a livello di questi sottositi hanno invece permesso di migliorare la biodisponibilità per via orale e la solubilità.
6L’inibizione delle MMPs
La regolazione dell’attività delle MMPs può avvenire a tre diversi livelli:
a livello trascrizionale, dove le MMPs possono essere stimolate da una varietà di citochine e fattori di crescita, come il fattore di crescita insulino-simile (IL-1), il fattore di necrosi tumorale TNF-, il fattore di crescita epidermico (EGF) e il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF);
a livello dell’attivazione del precursore inattivo, dove è richiesta l’attività di proteinasi come la tripsina, l’elastasi e la callicreina, che rimuovono il pro-dominio N-terminale;
per intervento di specifici inibitori fisiologici tissutali (TIMP) o di
specifici inibitori sintetici.
21
Gli inibitori fisiologici tissutali
Gli inibitori fisiologici tissutali (TIMPs) costituiscono un gruppo di quattro proteine strutturalmente correlate, identificate come TIMP-1, TIMP-2, TIMP-3, TIMP-4. In condizioni normali sono in grado di reagire con le MMPs in rapporto 1:1, inibendo sia la loro forma attiva sia il loro processo di attivazione.
1I TIMPs sono prodotti da un’ampia varietà di cellule e la loro attività è regolata da diversi fattori di crescita quali EGF, TNF-, citochine, retinoidi e glucocorticoidi. L’espressione dei TIMPs presenti nella matrice è finemente regolata durante lo sviluppo ed il rimodellamento tissutale. In condizioni fisiologiche i TIMPs sono responsabili della regolazione del dinamismo metabolico della matrice extracellulare.
La perdita del bilanciamento TIMPs-MMPs è associata a variazioni del
turnover della matrice e all’instaurarsi di patologie quali artrite, cancro, malattie
cardiovascolari, nefriti, disordini neurologici, ulcerazioni tissutali e fibrosi. Nel
caso particolare del cancro i TIMPs possono assumere un ruolo di anti-oncogeni
(Figura 5).
22
Figura 5. Inibitori delle MMPs nell’ambiente pericellulare.
7Si è visto che l’espressione di questi inibitori è associata a un comportamento meno aggressivo del tumore e, quindi, a prognosi più favorevole.
L’uso dei TIMPs potrebbe essere utile da un punto di vista terapeutico, ma è
difficile pensare di riuscire a controllare il sistema genetico di questi inibitori
fisiologici tissutali.
7Inoltre, finché non saranno comprese pienamente tutte le
attività fisiologiche dei TIMPs, il loro uso come agenti terapeutici appare di
difficile realizzazione. Alcuni di essi infatti sopprimono la formazione del tumore,
mentre, paradossalmente, altri sono associati alla sua progressione. I TIMPs
hanno anche effetti divergenti sulla morte cellulare programmata (apoptosi). Ad
23
esempio, il TIMP-2 in un modello in vivo di cancro colon-rettale può promuovere l’apoptosi, ma protegge le cellule di melanoma B16 da quest’ultima. Il TIMP-4 può indurre l’apoptosi nei fibroblasti cardiaci modificati, ma la inibisce in vitro nelle cellule umane del cancro al seno e in vivo nei tumori mammari.
7Infine ci sono altri inibitori endogeni dell’attività delle MMPs come l’-2- macroglobulina, piccole molecole con domini TIMPs-like e il RECK (REversion inducing Cysteine-rich protein with Kazal motifs). Tuttavia il loro significato fisiologico non è ancora del tutto chiaro.
7Le principali proprietà dei TIMPs sono riassunte nella Tabella 4.
Tabella 4. Caratteristiche dei TIMPs.
24
Gli inibitori sintetici
Gli inibitori sintetici delle MMPs rappresentano una nuova classe di agenti antitumorali che sono sotto un attento studio per un potenziale utilizzo nella terapia di un elevato numero di tumori maligni. Molte di queste molecole hanno superato con successo le prime fasi di sperimentazione clinica. Gli inibitori di ultima generazione sono caratterizzati da un’elevata selettività verso i diversi sottotipi di MMPs, aspetto fondamentale dal punto di vista della tossicità e dell’efficacia.
1In generale, i requisiti necessari affinché un composto possa essere un inibitore efficace delle MMPs sono:
la presenza di un gruppo funzionale capace di chelare l’atomo di zinco catalitico presente nel sito attivo dell’enzima, detto Zinc-Binding-Group (ZBG);
la presenza di almeno un gruppo funzionale capace di formare legami a idrogeno con l’enzima;
la presenza di una o più catene laterali in grado di stabilire interazioni di Van der Waals con i sottositi dell’enzima.
Gran parte degli inibitori è quindi costituita da composti in grado di chelare lo zinco caratterizzati da raggruppamenti di tipo idrossammico, carbossilico, o fosfinico.
3I primi inibitori delle MMPs descritti in letteratura sono stati composti
peptidomimetici, progettati per omologia con la sequenza amminoacidica del
collagene. Uno dei più potenti tra questi composti, ma non selettivo per i vari
enzimi, è il BATIMASTAT (1), progettato dalla British Biotech (Figura 6).
25
O NHMe O NH S
HOHN O S
Figura 6. Struttura del Batimastat.
Sono state in seguito sviluppate tre classi di composti:
1. composti in cui lo ZBG è circondato da residui amminoacidici da entrambi i lati,
2. composti in cui i residui sono presenti solo sul lato sinistro,
3. composti in cui i residui sono presenti solo sul lato destro dello ZBG (Figura 7).
In generale, i composti che mimano la sequenza amminoacidica presente alla destra del sito di idrolisi (P1’ e P2’) e che possiedono uno ZBG costituito da un acido idrossammico mostrano una maggiore attività.
Figura 7. Progettazione di inibitori peptidomimetici.
31
BATIMASTAT
26
Infatti, paragonando inibitori che differiscono solo per lo ZBG, l’attività inibitoria si riduce secondo l’ordine: idrossammato > fosfinato > carbossilato. Il gruppo idrossammato agisce come un chelante bidentato, con ciascun atomo di ossigeno ad una distanza ottimale (1.9-2.3 Å) dallo zinco catalitico; la posizione dell’azoto suggerisce che esso sia protonato e che formi un legame a idrogeno con un ossigeno carbonilico dello scheletro dell’enzima disponendosi con una geometria trigonale bipiramidale distorta.
3I composti contenenti un gruppo idrossammato risultano quindi gli inibitori più potenti. Essi, tuttavia, presentano gli inconvenienti di una bassa biodisponibilità e della suscettibilità all’idrolisi al corrispondente acido carbossilico in vivo, fattori che possono limitare la loro utilità come agenti terapeutici. Un altro problema è rappresentato dalla tossicità degli idrossammati, dovuta alla degradazione metabolica a idrossilammina. La sostituzione del gruppo idrossammato con altri gruppi, come tiolo o fosfonato, conduce a composti con gli stessi problemi farmacocinetici. Al contrario, gruppi come il carbossilato, pur presentando affinità di legame per l’enzima significativamente ridotta, danno luogo a composti meno tossici e quindi più sicuri.
8,9L’acquisizione di informazioni strutturali dettagliate dai complessi
enzima-inibitore cristallizzati e analizzati con la cristallografia a raggi X e con
tecniche di NMR funzionale multidimensionale ha permesso la progettazione di
inibitori a struttura non peptidica. Inoltre, la conoscenza delle strutture
tridimensionali e delle interazioni enzima-inibitore ha reso possibile un design
razionale di nuovi inibitori altamente selettivi. La selettività è diventata una
caratteristica fondamentale, poiché l’inibizione delle MMPs condotta con
27
composti non selettivi può causare seri problemi durante la terapia, dovuti ad uno squilibrio nel normale rimodellamento tissutale.
Attualmente è possibile raggruppare gli inibitori delle MMPs in tre diverse categorie:
inibitori contenenti Zinc-Binding-Groups Classici;
inibitori con “nuovi” Zinc-Binding-Groups;
inibitori non chelanti lo Zinco.
Inibitori contenenti degli Zinc-Binding-Groups Classici
Questa categoria può essere ulteriormente suddivisa in tre gruppi principali:
Acidi Idrossammici Sulfonamido-Based;
Succinil-Idrossammati;
Non-Idrossammati
Una serie di composti (2-7) appartenenti al primo gruppo è illustrata in Figura 8. Il composto 2 mostra un’attività nanomolare verso MMP-2 e MMP-13.
Il composto 6 si è invece dimostrato un inibitore potente e selettivo per MMP-2 e MMP-9.
1Passando al secondo gruppo, alcuni succinil-idrossammati selettivi per la MMP-2 (es. composto 9) sono stati ottenuti apportando alcune modifiche alla struttura dell’ ILOMASTAT 8 (Figura 9).
Per quanto riguarda l’ultimo gruppo, esso comprende molecole che
presentano uno ZBG diverso dall’idrossammato. Questo può essere, per esempio,
28
un fosfinato (composto 10, Figura 10), oppure un carbossilato, come nel caso del BAY 12-9566 (composto 11) che è arrivato alla III fase della sperimentazione clinica, è stato proposto per la cura dell’osteoartrite e del cancro, ma attualmente è stato ritirato dal commercio a seguito di risultati non soddisfacenti ottenuti sul cancro al pancreas e al polmone (Figura 10).
10F
NH OH O
S N O O
O
CF3
NH OH O
N SO2
O
N
O
O2S
N
N
N
O O NH HO
O
O
O2S N
N O NH HO
O
N S O O
N HN
HO O
N OH
S O
O
F
Cl O
2 3 4
5 6 7
HN OH O
Figura 8. Acidi idrossammici Sulfonamido-Based.
29
NH H O
N N H HO
O O
NH H O
N N H HO
O O
8
ILOMASTAT
N9
H N
H
Figura 9. Il composto 9 confrontato con l’Ilomastat, 8.
O S
HN
NH2 O
O
NH H P
N O
O O OH
Cl
HO S O O
10
11 BAY 12-9566
Figura 10. Inibitori Non-idrossammati.
Infine rientrano in questo gruppo anche i derivati delle tetracicline. Questi inibiscono non solo l’attività ma anche la produzione delle MMPs.
Questa famiglia comprende sia i classici antibiotici, che tetracicline modificate in cui è stata eliminata la funzione antibatterica. Queste molecole inibiscono MMP-1 e MMP-3 e le gelatinasi MMP-2 e MMP-9. Agiscono mediante diversi meccanismi:
bloccano l’enzima mediante la chelazione dello zinco;
bloccano l’attivazione proteolitica;
30
riducono l’espressione delle MMPs.
La Doxaciclina (12, Figura 11) è in commercio con il nome di Periostat
®ed è stata approvata dalla FDA nel 1988. È usata nel trattamento della periodontite, causa della perdita dei denti in almeno un terzo degli americani sopra i trentacinque anni. Questo farmaco è usato anche per il trattamento di alterazioni dermatologiche, per la rosacea, per l’osteoporosi in menopausa e per le sindromi coronariche acute. È una delle classiche tetracicline antimicrobiche studiate in maniera estensiva nei pazienti affetti da cancro. Su alcune linee cellulari agisce inibendo la secrezione di MMP-2 e MMP-9, la proliferazione cellulare e inducendo l’apoptosi. Le tetracicline modificate comprendono almeno dieci analoghi che differiscono in specificità e potenza. Il Metastat (13, Figura 11) è il più studiato e ha mostrato attività antitumorale sia in vitro che in vivo, inibendo l’espressione e l’attività di MMP-2 e MMP-9. Attualmente si trova in fase clinica II, ma sfortunatamente ha mostrato una scarsa solubilità e un profilo instabile.
1OH
O O NH2 N
OH
O OH
OH
OH
O O NH2 OH
O OH
OH
12 DOXACICLINA 13 METASTAT (COL-3)
Figura 11. Struttura della Doxaciclina e del Metastat.
Inibitori con “nuovi” Zinc-Binding-Groups
Tra gli ZBGs classici, l’idrossammato è, come già detto, sicuramente
quello che permette di ottenere gli inibitori più potenti. Tuttavia, esso è correlato a
31
una farmacocinetica sfavorevole e a una tossicità cronica risultante dall’attivazione metabolica della funzione idrossammica. Questi inconvenienti hanno spinto i ricercatori a cercare ZBGs alternativi. In questo campo un vasto lavoro è stato condotto da Puerta et al., proponendo nuovi gruppi (Figura 12) capaci di coordinare lo zinco catalitico in maniera bidentata, mostrando però una migliore tolleranza biologica.
1,11Tra questi nuovi gruppi sono stati particolarmente studiati i pironi, grazie alla loro biocompatibilità e alla buona solubilità in acqua.
N
HN
N
N
HO O
S
O OH
HO
O OH
O O
OH N
O OH
Figura 12. Esempi di nuovi ZBGs.
1I risultati ottenuti testando questa nuova famiglia di ZBGs eterociclici hanno suggerito che essi sono delle potenti, non tossiche e biocompatibili porzioni chelanti, da poter utilizzare per la costruzione di nuovi MMPIs non idrossammati (14, 15 in Figura 13).
32
O N
H
O CN
O
OH
O N
H O
O
OH
14 15
Figura 13. Inibitori “Pyrone-Based”.
Inibitori non chelanti lo Zinco
I cosiddetti exosite binders sono degli inibitori delle MMPs allosterici e non competitivi, che si legano a siti lontani dal sito attivo dell’enzima. È stato suggerito che il legame di questi inibitori possa irrigidire il sito attivo in una conformazione specifica, che risulterebbe meno adatta a legare il substrato, diminuendo in questo modo la velocità di catalisi. Essi rappresentano un promettente e innovativo approccio per ottenere la selettività, in quanto si minimizza o si elimina l’interazione con lo zinco del sito catalitico, che è la caratteristica comune a tutte le MMPs.
1,11Gli esempi di questo nuovo tipo di inibitori, anche se molto incoraggianti, non sono numerosi.
I composti 16 e 17 (Figura 14) appartengono a una nuova classe di inibitori selettivi per MMP-12. La loro selettività può essere attribuita al loro posizionamento nella tasca S1’ che è nota essere la regione più variabile di questi enzimi.
Il composto 18 (Figura 14) è invece rappresentativo di una serie di
Pirimidin-dicarbossiamidi selettive per MMP-13.
33
Inoltre gli inibitori allosterici possono anche essere uniti ai tradizionali inibitori chelanti lo zinco al fine di ottenere dei potenti e selettivi inibitori mixed (composto 19, WAY-170523).
1N
S HN
OH
O
O
O N
N S O
O O
N
NH
N N NH
N
O O
16
17
18
O NNH HO
S O
O
O N
H O
O
19
WAY-170523
Figura 14. MMPIs non chelanti lo zinco.
Infine, per ottenere una selettività per MMP-9 sono stati sintetizzati dei derivati benzensolfonammidici differentemente ramificati, capaci di bloccare l’accessibilità al sito attivo dell’enzima senza introdursi dentro le sue tasche.
Questi inibitori contengono degli spaziatori a catena corta che terminano con delle
porzioni imminodiacetate IDA-Cu
2+, che interagiscono preferenzialmente con il
gruppo imidazolico dei residui di istidina esposti sulla superficie dell’enzima. In
particolare, il numero di questi residui è maggiore nella MMP-9 rispetto alle altre
34
MMPs, quindi il composto 20 (Figura 15) mostra una buona selettività per questo enzima.
1O2NO2S
HN
NH O
O
N(CH2COO-)Cu2+
N(CH2COO-)Cu2+ NH
3
O
N(CH2COO-)Cu2+
N(CH2COO-)Cu2+
20
Figura 15. Composto 20.
Di seguito è riportata la tabella (Tabella 5) contenente un elenco di
inibitori MMP in diversi stadi di sviluppo clinico utilizzati per il trattamento di
cancro ed artriti.
35
Tabella 5. Inibitori delle MMPs in sperimentazione clinica.
2N. Inibitori
MMP
Struttura Società Commenti Stato
1 ABT-518
O O
N S H O HO
O O
O
OCF3
Abbott Cancro Fase I
2 AG-3340
(Prinomastat)
N O
S O
N
S NH
HO
O O
Agouron Cancro Fase III
3 AG-3433
CN
HO O
NH
O O
O
Agouron Cancro Fase I
4 BAY 12-9566
Cl
HO S O O
Bayer Cancro
Artrite
Fase III Fase II
*
5 BB-94
(Batimastat)
ONHMe NH O
S HOHN O S
British Biotech
Cancro Fase II
36
6 BB-2516
(Marimastat)
NH O
OH HN
NH O
O
HO
British
Biotech
Cancro Fase III
7 BB-3644 Non rilasciata British
Biotech
Cancro Fase I
8 CGS-27023A
OCH3N S NH
N
O O O
HO
HCl
Novartis Artrite Cancro
Fase I Fase I
9 D-1927
NO
O
NH
HN SH
O
O
NH O
Chiroscience Cancro.
Infiam.
Fase Preclinica
10 D-2163
(BMS-275291)
N N
O
O
N H
HN
SH O
O
N H O
Chiroscience Cancro Fase III
11 Metastat Non rilasciata CollaGenex Cancro Fase II
12 RS-130,830
O
Cl S
NH
O
O O O
HO
Roche
Bioscience
Artrite Fase II
13 RO 32-3555
N N
H O
O HO
N N
O
O