1 INTRODUZIONE
Fino a un anno fa non avevo mai sentito parlare di Harriette Simpson Arnow.
L’interesse suscitato da un corso di Lingue e Letterature angloamericane sulla letteratura della Working-Class statunitense mi ha spinto a incentrare la tesi di laurea su qualcosa di inerente. Leggendo brani antologici e informazioni su autori working-class, The Dollmaker ha suscitato la mia curiosità per una serie di motivi: innanzitutto la lingua che, da un punto di vista traduttivo, ha subito rappresentato una sfida irrinunciabile, un linguaggio considerato da molti sgrammaticato ma che in realtà affonda le sue radici nell’epoca elisabettiana; in secondo luogo la possibilità di conoscere l’impatto che il progresso ha avuto sulle donne e, nel caso specifico, sulla protagonista che, a un certo punto, si vedrà costretta a rinunciare ai propri sogni di indipendenza economica per seguire il marito in città. Purtroppo ancora oggi nessuno, o quasi, conosce l’autrice di questo romanzo e questo è dovuto all’atteggiamento della critica letteraria dell’epoca che, pur lodando le sue opere, le catalogò irrimediabilmente come “regionali”.
Arnow nasce in Kentucky nel 1907 e, nonostante trascorra gran parte della sua vita in diverse città del Nord, in particolare a Detroit, ha ambientato quasi tutti i suoi romanzi nelle zone collinari del Kentucky. Per questa ragione viene considerata fondamentalmente una "scrittrice regionale," e gli studi e i saggi su di lei sono pochissimi e di difficile reperimento. La sua bibliografia comprende cinque romanzi, due libri non fiction, una breve autobiografia, e diciannove fra saggi e recensioni di altri libri, oltre a un numero considerevole di opere mai pubblicate.
La scrittrice ottenne un discreto successo nell'immediato: Hunter's Horn (1949) e
The Dollmaker (1954) figurarono tra i best seller di quegli anni e con Seedtime on the
Cumberland (un saggio storico), si guadagnò un Award of Merit dall'American Association
of State and Local History nel 1961. Malgrado ciò, non le viene riconosciuto il valore che
2 merita e anzi viene ricordata soltanto come l'autrice di The Dollmaker, tuttora considerato dalla critica un capolavoro, ma gli altri suoi romanzi sono finiti nell’oblio.
Lo scopo di questa tesi è quello di “rendere giustizia” a una grande scrittrice che, nonostante il notevole valore letterario delle opere da lei scritte, è stata relegata nella categoria minore del "colore locale." In realtà, anche se le sue storie sono profondamente radicate nel Kentucky rurale, esse trascendono i confini regionali. In altre parole, l'autrice non si limita a documentare le peculiarità della sua regione, ma se ne serve come mezzo per esplorare i conflitti dell'animo umano: sono i personaggi che fanno la storia. Come vedremo, infatti, le trame dei romanzi sono piuttosto semplici – una giovane di città che trova lavoro in un remoto villaggio sulle colline del Kentucky; un uomo ossessionato dalla caccia alla volpe; una famiglia costretta a trasferirsi in città per seguire il capofamiglia – ed è solo grazie alla perfetta caratterizzazione dei personaggi che, all’epoca, ottennero un discreto successo.
In particolare, The Dollmaker dimostra quanto appena detto: nonostante in esso si trovino spesso alcuni aspetti regionali quali, per esempio, il dialetto tipico degli appalachiani, l'immancabile coltellino, considerato lo stereotipo del montanaro del Kentucky, e le descrizioni nostalgiche dei paesaggi, esso può essere analizzato da svariati punti di vista. Le interpretazioni sono state innumerevoli, da quelle marxiste, a quelle femministe, a quelle religiose, ma l’aspetto che appare più significativo è quello relativo al conflitto tra mondo naturale e mondo urbano, all'impatto cioè che il progresso ha avuto sulla natura e sui personaggi del romanzo. Questi, infatti, dopo essersi trasferiti da un contesto naturale (Kentucky) a uno urbano (Detroit), si vedranno costretti a fronteggiare nuove sfide, prima fra tutte la difficoltà di adattarsi alla nuova realtà cittadina.
Joyce Carol Oates, autrice di uno dei saggi più autorevoli su Arnow, a proposito del
romanzo scrive: "It is a legitimate tragedy, our most unpretentious American
3 masterpiece."1 Credo che sia una definizione perfettamente calzante poiché, a differenza di molti altri scrittori, Arnow non fa mai della morale, non dà mai giudizi, né cerca di appoggiare questa o quella dottrina. Si limita a raccontare una storia attraverso gli occhi dei suoi personaggi. Ho amato questo libro dalla prima all'ultima riga. È una di quelle storie che ti restano dentro, ti scuotono nel profondo. Si tratta di una storia semplice, commuovente, brutale, scritta in modo magistrale dall'autrice, che in certi momenti sembra un'ècfrasi, la descrizione letteraria di un dipinto: con poche pennellate di colore, Arnow dipinge un quadro, evoca un'immagine talmente vivida che pare quasi di poterla toccare. E la protagonista, Gertie Nevels, con tutti i suoi conflitti interiori, le difficoltà incontrate nell'esprimersi correttamente, la sua forza e i suoi timori, è un personaggio che lascia il segno: nonostante venga messa a dura prova dalla vita, non si lascerà mai abbattere, ma continuerà a lottare per il bene della famiglia.
Il primo capitolo di questo elaborato è una sorta di breve biografia dell'autrice che sottolinea quanto alcune esperienze da lei vissute abbiano influenzato i suoi romanzi e ci dà, inoltre, un’idea della sua bibliografia.
Il secondo capitolo illustra il contesto storico in cui Arnow ha cominciato a scrivere i primi romanzi. Si tratta di un periodo fondamentale per la storia degli Stati Uniti, vale a dire le tre fasi principali della Grande Migrazione da Sud verso le città dell'Ovest e del Nord: la prima fase durante il primo conflitto mondiale; la seconda fase è una sorta di migrazione "inversa", ovvero dalle città del Nord e dell'Ovest verso Sud, durante la Grande Depressione; e la terza fase ha invece inizio col secondo conflitto mondiale. Arnow scriverà il primo romanzo durante la seconda di queste fasi.
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