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CIRCOLARE INFORMATIVA n. 13/2020

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CIRCOLARE INFORMATIVA n. 13/2020

Milano, 25 luglio 2020

Qui di seguito proponiamo un sintetico aggiornamento sui seguenti argomenti:

1. Ferie non godute: la normativa vigente

2. L’INAIL pubblica la guida alla compilazione del modello OT23 - 2021 3. Ripresa del versamento dei contributi e dei premi assicurativi 4. Il contratto di apprendistato nell'emergenza Covid-19 5. Inps, stop ai codici Pin per accedere ai servizi

6. Adeguamento ambienti di lavoro, sanificazione e acquisto di DPI: le regole di fruizione del bonus 7. La responsabilità solidale del committente per debiti contributivi

8. Diritto allo smart working solo se compatibile

9. Covid-19: nuovo servizio INAIL per la sorveglianza sanitaria eccezionale 10. Detrazioni per figli a carico e i soggetti non residenti

11. Lavoratore privato di ogni compito e mansione: responsabilità risarcitoria del datore 12. Applicazione limitata della tutela reale per i licenziamenti con giusta causa

13. Rassegna della cassazione

1. FERIE NON GODUTE:LA NORMATIVA VIGENTE

Quest'anno vengono a modificarsi le condizioni che impongono il versamento anticipato della contribuzione obbligatoria sulle ferie 2018 non godute, entro il 30 giugno 2020. La pandemia da COVID-19 ha determinato, quantomeno nella primissima fase emergenziale, il ricorso generalizzato ai contatori pregressi delle ferie e dei permessi retribuiti per coprire le prime assenze imposte dai provvedimenti governativi. Gli stessi provvedimenti, peraltro, oltre ad imporre il blocco a moltissime aziende considerate non essenziali o più a rischio diffusione contagio, raccomandavano i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti ad utilizzare le ferie per coprire le giornate di assenza, in attesa dei primi provvedimenti speciali in tema di cassa integrazione guadagni. Altro motivo che ha influito sulla scadenza dell'appuntamento contributivo annuale sulle ferie non fruite, è dato dal fatto che, essendo intervenuta una legislazione emergenziale che ha sterilizzato gran parte degli adempimenti fiscali e previdenziali, la canonica data fissata per il pagamento contributivo subirà, in taluni casi, uno slittamento

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2 La durata delle ferie

L’art. 10, D.Lgs. n. 66/2003 , fissa: il periodo di durata minima (almeno 4 settimane l'anno);

– l'obbligo di riconoscere comunque la retribuzione (ancorché il lavoratore non presti attività lavorativa); in tali casi si parla di retribuzione "indiretta", cioè di una retribuzione non posta a compensazione diretta della prestazione di lavoro;

- la modalità di distribuzione delle ferie nell'anno (due settimane nell'anno di maturazione e le restanti nei 18 mesi successivi, salvo quanto diversamente disciplinato dalla contrattazione collettiva);

– il divieto di monetizzazione in corso di rapporto di lavoro, ad eccezione del caso in cui il rapporto di lavoro cessi prima della totale fruizione delle ferie o si tratti di un contratto a termine inferiore ad un anno;

restano fuori dal divieto di monetizzare, inoltre, i giorni di ferie aggiuntive, rispetto a quelle legali, riconosciute dalla contrattazione collettiva. Infine, la disciplina della contrattazione collettiva, che può muoversi solo negli spazi lasciati liberi dalla legge e in melius per il lavoratore (riconoscimento di più giorni rispetto alle quattro settimane legali, collocazione dei periodi feriali nell'anno, modalità di computo della retribuzione durante il periodo di ferie, cause di interruzione delle ferie, ecc.).

La monetizzazione delle ferie contrattuali

L'obbligo di fruizione della metà delle ferie nei 18 mesi successivi all'anno di maturazione (o al più ampio periodo di differimento previsto dalla contrattazione collettiva), può comportare un cumulo progressivo di ferie per cui il lavoratore si ritrova, ogni anno, a dover fruire di più di 2 settimane di ferie. Infatti, alle 2 settimane minime da fruire nello stesso anno della loro maturazione (art. 10 del D.Lgs. 66/2003 ), si aggiungono solitamente le 2 settimane di ferie maturate e non godute nel corso dell'anno precedente, limitando la flessibilità della distribuzione delle ferie su più anni, di fatto esclusivamente per le ferie maturate nell'anno di assunzione. Il datore di lavoro, dunque, deve stare ben attento a tenere sotto controllo tale cumulo progressivo che, se non ben governato, può condurre ad una violazione "cronica" della legge. E' consentito, tuttavia, un piccolo spazio di manovra, ma limitatamente a coloro che applicano contratti collettivi che prevedono un numero di giorni di ferie superiore alle 4 settimane; la normativa comunitaria che ha dato origine alla rivisitazione totale dell'ampio tema dell'orario di lavoro, recepita nel D.Lgs. n.

66/2003, infatti, limita il divieto di monetizzazione delle ferie solo con riferimento al periodo minimo di quattro settimane e non si estende alle ferie che eccedono le quattro settimane minime legali. In definitiva possono essere monetizzate:

– le ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

– le settimane o i giorni previsti dalla contrattazione collettiva in misura superiore al periodo minino legale.

L'assoggettamento a contribuzione del compenso per ferie non godute subisce una deroga nel caso in cui il mancato godimento delle ferie sia imputabile a una prolungata assenza dovuta ad una causa legale di sospensione del rapporto di lavoro (es: malattia, infortunio, maternità etc). Il termine di 18 mesi, in tal caso, si deve intendere sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento. Il msg. n.

18850/2006 dell'INPS , infatti, così conferma: "Si ritiene che nelle ipotesi d'interruzione temporanea della prestazione di lavoro per le cause contemplate da norme di legge, verificatesi nel corso del termine di diciotto mesi, lo stesso rimanga sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento medesimo". Il predetto termine riprende a decorrere dal giorno in cui il lavoratore riprende l'attività lavorativa. Si ricomprende, tra gli eventi che sospendono il termine per l'assoggettamento contributivo di cui all'argomento, anche il caso di assenza per Cassa integrazione, come sta succedendo proprio in questo preciso momento storico, come sarà approfondito più avanti.

Obblighi del datore di lavoro

Il Ministero del lavoro, a un paio d'anni di distanza dalla pubblicazione del D.Lgs 66/2003, attraverso la circolare n. 8/2005 , ha cercato di semplificare la lettura e l'applicazione dei nuovi principi, fornendo ai datori di lavoro una sintesi degli obblighi e delle procedure da rispettare in tema di ferie:– l'obbligo inderogabile di concedere un periodo di ferie di due settimane nel corso dell'anno di maturazione;

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3 – l'obbligo di tenere unite tali settimane (due settimane consecutive) qualora il lavoratore ne faccia espressa richiesta; la richiesta del lavoratore dovrà intervenire nel rispetto dei principi dell'articolo 2109 del Codice civile , ovvero con tempestività e nel rispetto del contemperamento tra le esigenze dell'impresa e suoi interessi privati;

– l'obbligo di consentire al lavoratore di fruire del restante periodo di ferie nei 18 mesi successivi all'anno di maturazione (o altro periodo previsto dalla contrattazione collettiva).

Sanzioni

L'articolo 18-bis, comma 3, del D.Lgs. 66/2003 , aggiornato con le previsioni di un aumento del 20% delle misure sanzionatorie ad opera dell'art. 1, comma 445, lett. d), della Legge 30.12.2018, n. 145, ha previsto che in caso di violazione delle disposizioni in materia di ferie:

– si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 120 a 720 euro;

– se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero si è verificata in almeno 2 anni, la sanzione amministrativa è da 480 a 1.800 euro;

– se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero si è verificata in almeno 4 anni, la sanzione amministrativa è da 960 a 5.400 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.

Il Ministero del Lavoro nella nota del 26 ottobre 2006, in riferimento alle 4 settimane di ferie minime legali, ha affermato che le stesse, ove non godute entro il termine dei 18 mesi successivi all'anno di maturazione, ovvero nel diverso e più ampio termine fissato dalla contrattazione collettiva, potranno essere fruite dal lavoratore anche successivamente, ove il datore di lavoro rilasci il proprio consenso. Ciò a norma dell'art.

2109 del c.c. il quale, appunto, dispone che il "momento di godimento delle ferie è stabilito dal datore di lavoro che deve tener conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore", ferme restando le conseguenze sanzionatorie previste dal D.Lgs. n. 66/2003.

Nelle operazioni di computo delle ferie occorre fare attenzione all'incidenza che alcune assenze hanno sulla maturazione dei ratei mensili di ferie e ai diversi passaggi da full-time a part-time o viceversa. Inoltre, al tema delle ferie si collegano altri istituti quali quello delle ferie collettive e quello delle c.d. "ferie solidali", di recente introdotte nell'ordinamento giuslavoristico

I diversi criteri di computo delle ferie

Alcuni contratti fissano il periodo di ferie spettante in giorni di calendario, giorni lavorativi o ancora ad ore, ed altri, nel riproporre quanto stabilito dalle norme di legge, lo fissano in settimane. Normalmente la prassi amministrativa preferisce il riferimento a giorni, in quanto il godimento ad ore snatura la funzione propria dell'istituto, perché inteso a consentire, attraverso un periodo congruo di riposo, il recupero delle energie psicofisiche dopo un anno di lavoro. Sebbene la misura delle ferie spettanti per un anno ininterrotto di lavoro, corrisponde per tutti i lavoratori a minimo quattro settimane l'anno, ciascun contratto disciplina tale istituto in modalità diversificate e a volte considerando i giorni di ferie in misura crescente sulla base dell'anzianità di servizio.

Passaggio del lavoratore da Full-time a Part-Time

Nei casi di rapporti di lavoro a tempo parziale i criteri di computo delle ferie si arricchiscono di ulteriori regole di calcolo che devono, in ogni caso, rispettare il principio generale di non discriminazione del lavoratore in part-time. Il lavoratore con contratto di lavoro a tempo parziale deve godere dei medesimi benefici e diritti attribuiti ad un lavoratore a tempo pieno, salvo il necessario riproporzionamento in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Sebbene le ferie siano generalmente espresse in settimane, giorni di calendario o giorni lavorativi, si pone però un problema di ordine pratico nella gestione delle modifiche contrattuali che riguardano le modifiche dell'orario di lavoro, non essendo tale particolare situazione solitamente disciplinata dai CCNL. Al fine di non generare disparità e penalizzazioni economiche, è sempre consigliabile nei rapporti a tempo parziale utilizzare le ore come unità di misura per la maturazione e il godimento ferie, così da poter facilmente gestire anche eventuali variazioni dell'orario contrattuale della prestazione nel corso del rapporto lavorativo. In caso, dunque, di passaggio da orario Full-

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4 time a Part-Time, necessita effettuare una conversione da giorni, fino a quel momento maturati, a ore o viceversa senza che da ciò derivi alcuna penalizzazione, o vantaggio, in capo al dipendente.

Ferie Collettive

Il datore di lavoro può legittimamente decidere, in virtù del proprio potere di determinare il periodo di godimento delle ferie, di chiudere l'impresa, sospendendo in toto l'attività oppure di fermare solo alcuni reparti .Ciò avviene normalmente in agosto, specie per le attività industriali in cui si ferma l'attività produttiva di un settore, reparto o dell'intera azienda. In tali casi il lavoratore non può evitare di fruire delle ferie in coincidenza con il fermo produttivo. La fruizione delle ferie collettive comporta la possibilità del differimento del versamento contributivo (INPS, msg. n. 12442/2011 ). Il differimento è concesso dall'INPS a seguito di domanda del datore di lavoro, domanda che dovrà essere presentata esclusivamente tramite il canale telematico dell'Istituto previdenziale (INPS, determinazione 24 giugno 2011, n. 277 ), entro il 31 maggio di ciascun anno al fine di ottenere il differimento del versamento; la domanda vale anche nel caso in cui la chiusura per ferie collettive avvenga in periodi diversi da quello estivo.

Le ferie solidali

Al lavoratore è data facoltà di cedere le proprie ferie a colleghi che versano in situazioni di necessità familiare. Si tratta del c.d. istituto delle "ferie solidali". Una fase anch'essa oggetto di osservazione in tema di ferie e di impatti contributivi che ne derivano. Ai sensi dell'articolo 24 del D.Lgs. n. 151/2015 i lavoratori, fermi restando i diritti di cui al D.Lgs. n. 66/2003, possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie maturati a colleghi che hanno necessità di assistere figli minori bisognosi di cure continuative. La misura e la modalità di applicazione di tale atto di solidarietà sono stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Ferie e CIG in deroga no covid

L'Inps (circolare n. 107/2015 ) ha sottolineato che, allo scopo di fruire dei trattamenti di integrazione salariale in deroga, l'impresa deve comunque aver preventivamente utilizzato gli strumenti ordinari di flessibilità (esempio: permessi a qualsiasi titolo retribuiti, banca ore, ecc.), tra i quali rientrano anche le ferie maturate e non ancora fruite. Con riguardo al concetto di ferie "maturate e non fruite" deve intendersi le ferie residue dell'anno precedente e quelle maturate fino alla data di inizio delle sospensioni, eccezion fatta per le ferie programmate che coincidono, ad esempio, con le chiusure programmate (Min. Lav., nota prot. n. 5425 del 24 novembre 2014 ).L'Istituto previdenziale ritiene che la medesima prassi deve essere adottata anche con riferimento agli strumenti ordinari di flessibilità di fonte contrattuale (esempio ferie ulteriori rispetto alle quattro settimane di legge).

CIGO o CIGS in presenza di ferie non godute e differimento dei contributi.

La prassi in tema di smaltimento degli strumenti ordinari di flessibilità maturati dal lavoratore, preliminarmente alla richiesta di accesso alla CIG in deroga, è stata posta in discussione anche per gli strumenti ordinari di integrazione salariale (es: CIGO). Il Ministero ha affrontato il tema in occasione di un interpello proposto dal Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, che riconnetteva la problematica della preventiva fruizione delle ferie all'ulteriore problematica concernente il rilascio di un'eventuale autorizzazione al datore di lavoro in costanza di CIG, volta a differire il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali relativi alle ferie non godute. Il Dicastero, preliminarmente, ha rilevato che costituiscono ipotesi oggettive derogatorie all'ordinaria modalità di fruizione delle ferie i casi di sospensione del rapporto di lavoro, ovvero forme di protratta inattività quali ad esempio la maternità obbligatoria e facoltativa, l'infortunio, l'aspettativa, gli interventi a sostegno del reddito ordinari e straordinari. In quest'ultima fattispecie, pur permanendo il rapporto di lavoro tra prestatore e datore, si assiste ad una sospensione totale o parziale delle obbligazioni principali scaturenti dal rapporto medesimo, ossia l'espletamento dell'attività lavorativa e la corresponsione della retribuzione. Particolarmente, in caso di sospensione totale dell'attività lavorativa, ovvero nell'ipotesi di CIG a zero ore, il Ministero ha ritenuto che non sussista il presupposto della necessità di recuperare le energie psico- fisiche cui è preordinato il diritto alle ferie. Ne consegue che la necessaria fruizione preliminare delle ferie, prima di accedere al

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5 programma di integrazione salariale, non operi sulle ferie già maturate e su quelle infra - annuali in corso di maturazione, tenuto conto che, in ragione del principio sopra enunciato, possono essere posticipate al momento della cessazione dell'evento sospensivo coincidente con la ripresa dell'attività produttiva. In caso di CIG parziale, invece, l'eventuale differimento della fruizione delle ferie, residue ed infra-annuali, pone delle oggettive criticità. Ciò in quanto, in tali circostanze, deve comunque essere garantito al lavoratore il ristoro psico-fisico correlato all'attività svolta, anche in misura ridotta.

Il rispetto del sopra indicato principio costituisce, infatti, presupposto imprescindibile di ogni eventuale accordo contrattuale e/o sindacale finalizzato alla richiesta di forme di sostegno del reddito. Riguardo alla possibilità di differire il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per le ferie non godute, il Ministero ha ritenuto opportuno richiamare l'impostazione seguita dall'INPS con circolari n.

186/1999 e n. 15/2002 , ribadita peraltro con messaggio n. 118/2003 .In particolare, a fronte di una previsione sia di natura legale che di carattere contrattuale collettiva, volta alla regolamentazione del termine massimo di fruizione delle ferie, la scadenza dell'obbligazione contributiva per il trattamento economico afferente alle ferie non godute si va ad identificare necessariamente con il termine legale (art.

10, D.Lgs. n. 66/2003 ) o contrattuale. Ne consegue che il momento impositivo nonché il riferimento temporale dei contributi coincidono con il diciottesimo mese successivo all'anno solare di maturazione delle ferie o con il più ampio termine contrattualmente previsto. Occorre rilevare, che possono verificarsi ipotesi peculiari di interruzione temporanea della prestazione di lavoro per cause previste da norme di legge, ad esempio la malattia, la maternità, nonché la concessione di CIGO, CIGS e CIG in deroga (v.

anche messaggio INPS n. 18850/2006 ). In questi casi, qualora l'evento sospensivo intervenga nel corso dei 18 mesi di cui sopra, il termine per l'adempimento dell'obbligazione contributiva è da ritenersi sospeso per un periodo di durata pari a quello del legittimo impedimento, tornando a decorrere dal giorno in cui il lavoratore riprende l'ordinaria attività lavorativa. Dalla posizione espressa dal Ministero del lavoro, in definitiva, sembra evincersi che in caso di sospensione a zero ore, sicuramente il termine per l'adempimento dell'obbligazione contributiva slitta in avanti, per un periodo di durata pari a quello della sospensione. Lo stesso assunto, invece, non può essere confermato per il caso di riduzione dell'orario di lavoro, in ragione della logica già spiegata circa la possibilità di ristoro psico-fisico del lavoratore in CIG.

2. INAIL PUBBLICA LA GUIDA ALLA COMPILAZIONE DEL MODELLO OT23 -2021

I datori di lavoro che vogliono accedere alla riduzione del tasso INAIL, per avere adottato delle misure legate alla sicurezza e igiene sul luogo di lavoro migliorative rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. n.

81/2008, devono presentare all’Istituto apposita istanza utilizzando il modello OT23.

L’Istituto ha presentato una versione aggiornata del modello OT23-2021, nel quale sono stati uniformati con l’indicatore “P” tutti gli interventi pluriennali già previsti nella precedente versione.

Si ricorda che per poter accedere al beneficio le aziende devono possedere le seguenti condizioni:

Inizio dell’attività assicurativa da più di un biennio;

Sul modello OT23, ad ogni intervento migliorativo è attribuito un punteggio. Per poter accedere alla riduzione del tasso medio di tariffa è necessario aver effettuato interventi tali che la somma dei loro punteggi sia pari a 100;

Gli interventi devono essere effettuati nell’anno solare precedente quello di presentazione della domanda;

Essere in regola con la contribuzione (DURC) e con le norme sulla prevenzione e sicurezza.

La domanda di riduzione del premio deve essere presentata esclusivamente in modalità telematica.

L'articolo 23 delle "Modalità per l'applicazione delle Tariffe", approvate con Decreto interministeriale del 27 febbraio 2019, prevede la cosiddetta "riduzione del tasso medio per prevenzione" in relazione agli interventi migliorativi effettuati dall'azienda in materia di prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

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6 Nella sostanza, viene applicata una riduzione del tasso medio di tariffa al datore di lavoro in regola sia con gli adempimenti contributivi ed assicurativi che con le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro.

Il datore di lavoro, per ottenere il riconoscimento della riduzione prevista, deve presentare specifica istanza, fornendo tutti gli elementi, le notizie e le indicazioni definiti a tal fine dall'INAIL, relativi all'attuazione, nell'anno precedente quello di presentazione dell'istanza, di interventi migliorativi ulteriori rispetto alle prescrizioni della normativa vigente in materia.

Per accedere alla riduzione, l'azienda deve presentare il Modulo OT23, esclusivamente in modalità telematica, attraverso la sezione Servizi Online presente sul sito istituzionale www.inail.it; detta domanda può essere presentata a prescindere dall'anzianità dell'attività (minore, uguale o maggiore di un biennio) assicurata nella posizione assicurativa territoriale (PAT), purché gli interventi migliorativi, che possono essere realizzati su una o più PAT dell'azienda, siano stati messi in atto nell'anno precedente quello di presentazione

INTERVENTI MIGLIORATIVI

L'INAIL predefinisce gli interventi che sono considerati validi ai fini della concessione del beneficio in ragione della loro valenza ai fini della prevenzione, elencando gli interventi che ha attuato nell'anno solare precedente quello di presentazione della domanda (2020).

Il modulo di domanda riporta le seguenti sezioni:

A: PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI MORTALI (NON STRADALI) B: PREVENZIONE DEL RISCHIO STRADALE

C: PREVENZIONE DELLE MALATTIE PROFESSIONALI D: FORMAZIONE, ADDESTRAMENTO, INFORMAZIONE

E: GESTIONE DELLA SALUTE E SICUREZZA: MISURE ORGANIZZATIVE (in relazione a questa sezione, viene richiesta l'attuazione degli interventi su tutte le PAT in quanto, per garantire la massima efficacia, tali interventi devono essere applicati nell'azienda nel suo complesso)

F: GESTIONE DELLE EMERGENZE E DPI.

In linea generale, gli interventi possono essere realizzati in tutti i settori produttivi, tranne alcuni interventi che sono specifici per determinati comparti e possono essere selezionati solo se nella PAT su cui è stato realizzato l'intervento è presente il riferimento tariffario dello specifico settore.

PLURIENNALITÀ

Gli interventi che sul modulo sono contrassegnati dalla lettera (P) hanno valenza pluriennale; in caso di attuazione di tali interventi, il Modulo OT23 deve essere ripresentato ogni anno con idonea documentazione dalla quale risulti non soltanto la realizzazione degli interventi stessi, ma anche il mantenimento e la continuità di attuazione nell'anno precedente quello di presentazione della domanda.

PUNTEGGIO

Ad ogni intervento effettuato viene attribuito un punteggio e per poter accedere alla riduzione del tasso medio di tariffa è necessario che la somma dei punteggi sia pari almeno a 100.

Qualora l'azienda abbia effettuato gli interventi solo su singole posizioni assicurative, il punteggio viene calcolato per ciascuna PAT e, quindi, sarà necessario raggiungere i 100 punti in riferimento alla singola PAT.

Per gli interventi della sezione E, che ricordiamo devono essere realizzati su tutte le PAT dell'azienda, il punteggio si intende conseguito per ognuna di esse.

DOCUMENTAZIONE

L'INAIL indica nel campo "Documentazione ritenuta probante", per ogni intervento, la documentazione ritenuta idonea a provare l'attuazione dello stesso nell'anno precedente quello di presentazione della domanda.

Pena l'inammissibilità, entro il 1° marzo 2021 tale documentazione deve essere presentata unitamente alla domanda, utilizzando l'apposita funzionalità disponibile nei Servizi online.

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7 PRESUPPOSTI APPLICATIVI

Nel modulo di domanda, l'azienda deve dichiarare di essere consapevole che il riconoscimento della riduzione è subordinato all'accertamento degli obblighi contributivi e assicurativi, all'osservanza delle norme di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro e all'attuazione di interventi di miglioramento delle condizioni di sicurezza e di salute nei luoghi di lavoro:

Regolarità contributiva;

Osservanza delle norme in materia di prevenzione infortuni e di salute sul lavoro.

DEFINIZIONE DELLA DOMANDA

In presenza dei requisiti richiesti, la domanda di riduzione viene accolta, salva la facoltà dell'INAIL di procedere, in sede d'istruttoria o successivamente, alla verifica di quanto dichiarato dal richiedente.

APPLICAZIONE DELLA RIDUZIONE

Nei primi due anni dalla data di inizio attività della PAT, la riduzione viene applicata nella misura fissa dell'8%, ha effetto solo per l'anno di presentazione della domanda e viene applicata in sede di regolazione del premio assicurativo dovuto per lo stesso anno, in misura uguale su tutte le voci della PAT.

Dopo il primo biennio di attività, la percentuale di riduzione viene determinata in relazione al numero dei lavoratori/anno del triennio, come dalla seguente tabella:

Lavoratori anno del triennio della PAT Riduzione

fino a 10 28%

da 10,01 a 50 18%

da 50,01 a 200 10%

oltre 200 5%

Anche in questo caso, la riduzione ha effetto per l'anno in corso alla data di presentazione dell'istanza e viene applicata in sede di regolazione del premio assicurativo dovuto per lo stesso anno.

VERIFICA ED ANNULLAMENTO

Qualora risulti, in qualsiasi momento, la mancanza dei requisiti prescritti, l'INAIL procede all'annullamento della riduzione in precedenza concessa ed alla richiesta delle integrazioni dei premi dovuti con applicazione delle relative sanzioni.

3. RIPRESA DEL VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI E DEI PREMI ASSICURATIVI

Entro il 16 settembre 2020 , è prevista la ripresa dei versamenti dei contributi e dei premi assicurativi sospesi durante l'emergenza da Covid-19.

L'INPS, di conseguenza, fornisce, per ciascuna gestione, le indicazioni per la ripresa degli adempimenti e delle modalità di versamento della contribuzione sospesa mediante rateizzazione. Per tutte le gestioni l'importo minimo di ciascuna rata non può essere inferiore a € 50,00. Il versamento delle rate successive alla prima deve essere eseguito entro il giorno 16 del mese successivo.

Entro le medesime decorrenze previste per la ripresa dei versamenti sospesi devono essere versate, in unica soluzione, anche le rate sospese dei piani di ammortamento già emessi, la cui scadenza sia ricaduta nel periodo temporale interessato dalla sospensione.

Infine, in calce al Messaggio in esame, sono disponibili le istruzioni contabili necessarie per la ripresa dei versamenti.

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8 Artigiani e commercianti

Per la ripresa dei versamenti (con riferimento alla prima rata del 2020 scaduta il 18 maggio) da effettuare entro il 16 settembre 2020 (in unica soluzione oppure tramite versamento di 4 rate in caso di rateizzazione) i contribuenti possono utilizzare apposita code line visualizzabile nel Cassetto previdenziale per Artigiani e Commercianti alla sezione Posizione assicurativa – Dilazioni: “Mod. F24 Covid19”, dove è possibile scaricare anche il relativo modello “F24” precompilato e da utilizzare per il versamento. Al fine di usufruire della sospensione, i contribuenti che hanno inteso o intendono effettuare il versamento di quanto dovuto in unica soluzione utilizzando i modelli di pagamento originariamente predisposti e messi a disposizione nel mese di maggio, sono comunque obbligati a presentare domanda di sospensione indicando, come sopra descritto, il codice fiscale dell'impresa che ha dato titolo all'iscrizione alla gestione di competenza.

Committenti tenuti al versamento alla Gestione separata

I committenti tenuti al versamento nella Gestione separata devono versare la contribuzione dovuta, riferita ai compensi effettivamente pagati nel periodo di sospensione e denunciati nel flusso Uniemens:

Domanda di rateizzazione

Per Aziende con dipendenti, Artigiani e Commercianti e Committenti tenuti al versamento dei contributi alla Gestione separata.

La comunicazione della volontà di avvalersi della rateizzazione deve essere trasmessa, esclusivamente in via telematica, direttamente dal titolare o dal legale rappresentante o dagli intermediari abilitati, per i datori iscritti alle seguenti gestioni:

- Datori di lavoro con dipendenti;

- Artigiani e Commercianti;

- Gestione separata committenti.

4. IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO NELL’EMERGENZA COVID 19

Premessa

Come da normativa ormai ben consolidata, i giovani assunti in contratto di apprendistato professionalizzante godono dell'accesso agli ammortizzatori sociali quali la CIGO, il FIS, la CIGS e la cassa in deroga, beneficiando del medesimo trattamento riservato a tutti gli altri lavoratori dipendenti.

Ma rispetto ad un ordinario rapporto di lavoro, nel periodo durante il quale riceve il trattamento, il rapporto di apprendistato risulta sospeso non solo relativamente agli aspetti retributivi ma anche in riferimento a tutti gli obblighi formativi (con riferimento sia alla formazione interna che esterna).

In particolare, poi, in questa fase emergenziale da Covid-19 a favore del contratto di lavoro in apprendistato c.d. di primo e terzo livello non è prevista la corresponsione di alcuna integrazione salariale e al contempo risulta bloccato ogni percorso formativo sia aziendale che presso le strutture formative scolastiche.

Apprendistato professionalizzante

L'art. 2 D.Lgs. 148/2015 stabilisce che i lavoratori assunti con contratto di apprendistato professionalizzante risultino anch'essi destinatari dei trattamenti di integrazione salariale.

Il dettato normativa sancisce però un diverso accesso agli ammortizzatori: tale categoria di apprendisti, infatti, se alle dipendenze di imprese che possono beneficiare sia delle integrazioni salariali ordinarie che di quelle straordinarie, oppure delle sole integrazioni salariali ordinarie, sono destinatari esclusivamente dei trattamenti ordinari (es. CIGO e assegno ordinario).

Se risultano, invece, alle dipendenze di imprese che possono usufruire delle sole integrazioni salariali straordinarie (es. CIGS o assegno di solidarietà), potranno a loro volta accedere dei trattamenti straordinari, ma esclusivamente per la causale di intervento per crisi aziendale (art. 21, c. 1 lett. b), D.Lgs.

148/2015).

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9 In tale ultima ipotesi, pertanto, come per tutte le altre situazioni in cui siano coinvolti i contratti di apprendistato professionalizzante (esempio aziende de terziario, studi professionali ecc.), gli stessi potranno accedere a trattamenti di integrazione salariale in deroga secondo le previsioni dettate dalle singole Regioni.

E' qui necessario considerare come durante il periodo di intervento dei vari strumenti di integrazione salariale, l'apprendista non può svolgere le attività formative stabilite e in particolari quelle c.d. “on the job”. Inoltre, nell'attuale fase di stato di emergenza da Covid-19 anche la formazione esterna trasversale – offerta dalle strutture pubbliche accreditate – risulta del tutto sospesa.

Per quanto qui attiene alla formazione specifica da gestire in azienda, lo stesso art. 2 D.Lgs 148/2015 ne regolamenta le “conseguenze”: la durata del periodo di apprendistato sarà successivamente prorogata per un tempo corrispondente alle ore totali di integrazione salariale fruite.

Tale proroga, è bene qui specificarlo, causata per l'appunto dalla mancata erogazione della formazione e quindi della sospensione del percorso formativo a suo tempo stabilito nel piano formativo individuale (PFI), sarà determinata per un periodo ulteriore di apprendistato da stabilirsi – come recita la normativa – in ore anche là ove sia intervenuta la riduzione (e sospensione) dell'orario di lavoro.

Sembra possibile affermare che tale ulteriore periodo a recupero possa collocarsi in coda al periodo di intervento dell'ammortizzatore sociale ovvero al termine del periodo di emergenza sanitaria.

Tale convinzione, infatti, è suffragata da quanto riportato negli interpelli del ministero del Lavoro (in particolare Risp. Interpello Min. Lav. 15 ottobre 2010 n. 34; Risp. Interpello Min. Lav. 11 luglio 2007 n. 17) nei quali viene sottolineato tale principio, affermando la possibilità di prolungamento del rapporto di apprendistato se, a causa di una rilevante e prolungata interruzione, l'apprendista non abbia potuto ricevere la formazione prevista.

L'azienda, comunque, può erogare formazione interna a distanza se l'apprendista sia dedicato alla propria prestazione lavorativa con le modalità “smart working” purché, con tale metodo, contenuti e monte ore di formazione siano previsti dalla contrattazione collettiva e riportati anche all'interno del PFI.

Se, per contro, il datore di lavoro non dovese essere in grado di erogare la formazione interna nemmeno con la modalità a distanza, poiché oggettivamente la stessa deve essere svolta indispensabilmente in presenza, sembra corretto condividere che il periodo formativo non svolto possa essere successivamente erogato, mentre il lavoratore potrà continuare al propria prestazione lavorativa in modalità on line, se fattibile, e seguire le attività di formazione esterna erogate dall'istituzione formativa sempre in modalità da remoto, qualora offerte.

Infatti, per quanto concerne, la formazione esterna (c.d. trasversale), finalizzata alla trasmissione di competenze di base e trasversali, la stessa è svolta sotto la responsabilità delle Regioni ed è da considerarsi obbligatoria se finanziata, accessibile sia per il datore di lavoro che per l'apprendista e se avviabile entro 6 mesi dalla data di assunzione dell'apprendista.

E' da ricordare come la sua regolamentazione rimane in capo alle Regioni, che ne definiscono le particolari modalità di accesso.

Nell'attuale scenario due possono essere, pertanto, le possibilità che vengo a presentarsi.

Da un lato gli enti formatori si avvalgono della facoltà di sospensione dei percorsi formativi.

Se, infatti, è la Regione o Provincia Autonoma che, per diversi motivi, non rende accessibile l'offerta di formazione pubblica, il datore di lavoro può ritenersi esonerato dall'impartire all'apprendista la formazione di base e trasversale, fatto salvo quanto disposto dalle regolamentazioni regionali e dalla contrattazione collettiva e ferma restando la possibilità (non l'obbligo) di erogare anche la formazione di base internamente, ma con spese a proprio carico.

Pertanto, salvo le eccezioni sopra individuate, nulla potrà essere eccepito al datore di lavoro per mancata formazione trasversale poiché la stessa non può svolgersi a causa di forze maggiore e tanto meno potrà essere avanzata una pretesa di “proroga” del contratto.

Dall'altro, qualora le disposizioni regionali lo permettono, sarà fattibile far partecipare l'apprendista a percorsi formativi a distanza: in tal caso, nel caso in cui l'apprendista non dovesse parteciparvi (salvo per

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10 motivazioni particolari come la malattia), il datore di lavoro potrebbe esporsi al rischio di vedere applicate a suo danno le sanzioni di cui all'art. 47 c. 1, D.Lgs. 81/2015.

Infatti, se la formazione risulta disponibile ed accessibile ma il datore di lavoro non permette all'apprendista di usufruirne adducendo come motivazione la sospensione dell'attività lavorativa o formativa

“on the job” per intervento degli ammortizzatori, potrebbero sussistere le condizioni secondo le quali, in sede giudiziaria, il rapporto possa essere convertito in normale rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, data la mancanza della dimensione formativa (condizione basilare per i contratti di apprendistato).

In merito alla risoluzione del rapporto di lavoro del contratto di apprendistato al termine del percorso formativo, così come disposto dall'art. 42, c. 4, D.Lgs. 81/2015, alcune considerazioni sembrano d'obbligo.

Infatti, seppure il dettato normativo del citato art. 42 permette alle parti di recedere liberamente alla conclusione del periodo di apprendistato osservando il periodo di preavviso di cui all'art. 2118 c.c., in ipotesi di pregressa sospensione del contratto per cause riconducibili ad eventi che abbiano richiesto l'intervento degli ammortizzatori sociali (come di eventuali altre tipologie interruttive di rilievo), il datore di lavoro non sembra possa considerare concluso il percorso formativo ma dovrà necessariamente permette il prolungamento dello stesso in considerazione delle riflessioni sopra avanzate.

Ricordiamo che al contratto di apprendistato (di ogni tipologia) sono applicabili le disposizioni vigenti in tema di licenziamento illegittimo valide per gli ordinari rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (art.

42 D.Lgs. 81/2015).

Nell'attuale contesto, comunque (art. 46 DL 18/2020 conv. in L. 27/2020; art. 80 DL 34/2020 conv. in L.

77/2020) vi è da considerare il “blocco” dei recessi da tutte le tipologie contrattuali – compreso pertanto anche quello di apprendistato – per giustificato motivo oggettivo e della sospensione delle procedure di cui all'art. 7 L. 604/66.

Resta comunque salva la facoltà del datore di lavoro al ricorso del licenziamento dell'apprendista per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo o nell'esercizio della facoltà di recesso (art. 42, c. 4, D. Lgs.

81/2015), purché giunto a conclusione. In tale ultima ipotesi, infatti, qualora il termine del periodo di apprendistato sopraggiunga in pendenza delle misure restrittive – ma non durante un periodo di sospensione o riduzione dell'orario di lavoro per intervento degli ammortizzatori sociali - le parti possono comunque

“recedere dal contratto, ai sensi dell'articolo 2118 del codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine”.

Apprendistato di primo livello

Parzialmente diversa è la disciplina relativa all'apprendistato di primo livello, per il quale va posta una fondamentale distinzione.

Se l'intervento dell'ammortizzatore avviene durante il periodo di formazione (presso un istituto scolastico) il percorso di apprendistato seguirà le disposizioni in materia di attività scolastiche e formative, sarà quindi sospeso e riprenderà simultaneamente alla formazione presso l'istituto.

Nel caso in cui, invece, l'ammortizzatore intervenga durante il periodo di svolgimento dell'attività lavorativa, l'apprendista non potrà essere destinatario di ammortizzatori, (nemmeno della cassa integrazione in deroga) salvo la possibilità di godere di eventuali periodi residui di ferie e permessi, ed eventualmente avanzare richiesta di permessi non retribuiti e aspettativa non retribuita.

Vista la particolare situazione dovuta all'emergenza Covid-19, il contratto di apprendistato potrebbe giungere a conclusione nel momento in cui lo studente consegua il suo titolo di studio o la qualifica, ma il datore di lavoro, per effetto di una sospensione o di una riduzione dell'orario di lavoro, non abbia potuto erogare il monte complessivo di ore di formazione interna.

La strada più semplice e conveniente per il datore sarà, in tal caso, una proroga del contratto di apprendistato: infatti “i datori di lavoro hanno la facoltà di prorogare fino ad un anno il contratto di apprendistato dei giovani qualificati e diplomati, che hanno concluso positivamente i percorsi di cui al comma 1, per il consolidamento e l'acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche”.

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11 Sarebbe, quindi, sufficiente una proroga di 30 o 60 giorni per il recupero delle ore di formazione interna (non erogate a causa delle misure adottate a causa dell'emergenza sanitaria). In tal modo il datore di lavoro si porrebbe anche al riparo da eventuali condanne, da parte del giudice, al versamento dei contributi maggiorati (art. 47, c. 1, D.Lgs. 81/2015) o alla conversione del contratto di apprendistato in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Vi è anche da considerare come il datore di lavoro non potrebbe essere considerato responsabile dell'inadempimento formativo: sempre l'art. 47, c. 1, D.Lgs. 81/2015, infatti, prevede la sanzionabilità della mancata erogazione della formazione interna soltanto quando sia esclusivamente imputabile al datore di lavoro, principio confermato anche dalla Circ. Min. Lav. 14 ottobre 2004 n. 40.

Oltre a tale requisito di esclusività, inoltre, va valutata anche la gravità della violazione da parte del datore di lavoro, che deve essere tale da impedire il raggiungimento dell'obiettivo formativo (ma non è questo il caso, dato che l'apprendista ha conseguito il titolo di studio). Senza qui dimenticare che l'art. 1256 c.c. sulle obbligazioni, contiene il principio per cui il debitore (qui il datore di lavoro) non può considerarsi obbligato alla prestazione se questa sia diventata impossibile per causa a lui non imputabile, causa ravvisabile in questo caso nelle misure di contenimento imposte dal c.d. Decreto Cura Italia (DL 18/2020 conv. in L. 27/2020) e dai vari DPCM promulgati.

In conclusione, nel caso in cui il datore di lavoro non voglia confermare il contratto all'apprendista, al quale non ha erogato tutte le ore di formazione previste, sembra potersi ammettere la possibilità di procedere con la proroga dell'apprendistato per il tempo utile ad adempiere agli obblighi formativi, oppure recedere dal contratto, senza avere la responsabilità esclusiva della mancata formazione.

Nel caso in cui l'apprendista non svolga alcuna ora di formazione interna, l'istituto scolastico potrà valutare in sede di scrutinio il percorso scolastico e decidere per l'ammissione all'anno scolastico successivo.

In particolare, può concordare con il datore di lavoro che, in pendenza delle misure restrittive che non permettono la formazione in azienda, lo studente partecipi alle attività scolastiche a distanza.

Inoltre, il DPR 122/2009, contenente il “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni”, dispone come per la valutazione di uno studente sia necessaria la frequenza ad almeno tre quarti dell'orario scolastico e le istituzioni scolastiche possono stabilire per casi eccezionali

“motivate e straordinarie deroghe al suddetto limite” (art. 14 DPR 122/2009).

Relativamente alla prima soluzione, ovvero alla frequenza delle attività didattiche a distanza, si precisa che il monte ore è determinato dalla normativa regionale o, in assenza, dal DI 12 ottobre 2015. Ciascun istituto ha adottato diversi criteri utili alla registrazione delle presenze nelle attività svolte: dal tradizionale

“appello” ai registri elettronici, considerando che al momento non esiste specifica disciplina al riguardo.

Altra questione attiene all'ipotesi in cui l'apprendista svolga più ore di formazione esterna rispetto a quanto previsto (per esempio una eventuale proroga della conclusione dell'anno scolastico): avendo già esaurito il monte ore previsto, continuerà a seguire le lezioni o ne sarà esonerato?

La strada più conveniente sembra quella di registrare le sole attività didattiche svolte in modalità sincrona, salvo computare successivamente quelle svolte in modalità asincrona. Inoltre, vi è la possibilità di modificare il piano formativo individuale in modo da rispondere alle esigenze del periodo.

Apprendistato di alta formazione

All'apprendistato di Alta Formazione (c.d. terzo livello) sembra possano ricondursi le riflessioni sopra discusse in merito all'apprendistato di primo livello.

Infatti, se l'azienda si avvale della sospensione della propria attività, l'apprendista non potrà né svolgere la propria prestazione lavorativa né seguire le attività di formazione interna per tutto il periodo di intervento degli ammortizzatori sociali (che non gli spettano).

Inoltre, anche in tale fattispecie contrattuale (art. 42, c. 5, D.Lgs 81/2015), le sospensioni di durata superiore a 30 giornate permettono il prolungamento del contratto per una pari durata.

Come già accennato per l'apprendistato di primo livello, anche se l'azienda sospende attività e formazione durante gli interventi di integrazione salariale, l'apprendista durante il periodo di sospensione può comunque accedere alle attività didattiche in formula “a distanza” qualora offerta dell'istituzione formativa a cui risulta iscritto (continuando così il proprio percorso e concludere il piano di studi). In tal senso la quota di

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12 formazione esterna potrebbe essere riconosciuta ex post, alla ripresa del periodo di apprendistato ma avendo l'accortezza di integrare e rimodulare il Piano Formativo Individuale.

Qualora invece l'azienda volesse proseguire l'attività in regime di smart working si possono configurare due possibili alternative. Da un lato l'apprendista svolgerebbe sia la formazione interna che prestazione a distanza, dall'altro – qualora l'azienda non fosse in grado di erogare la formazione interna (o far prestare l'attività) a distanza, a causa di motivi oggettivi che rendono indispensabile le attività in presenza per raggiungere gli obiettivi formativi previsti - l'apprendista potrà lavorare anche in modalità smart working e seguire le attività di formazione esterna a distanza, rinviando la parte formativa interna (e viceversa).

Anche in tale contesto dovranno essere rivisti i contenuti del PFI.

Infine, particolare attenzione deve essere posta al ruolo del tutor (in tutte le tipologie di apprendistato).

Fatta salva la fattibilità, come sopra ampiamente descritta, della formazione interna svolta a distanza, la stessa deve esser necessariamente assistita dal tutor che svolge, per l'appunto, il ruolo di formatore nei confronti dell'apprendista.

Come ampiamente affermato dal ministero del Lavoro in numerosi interventi, la presenza del tutor in affiancamento continuo all'apprendista non risulta rigorosamente necessaria, ma, per contro, non deve al contempo venir totalmente meno. Pertanto, in un regime di eventuale sospensione dell'attività lavorativa ma con possibilità di formazione a distanza, sembra possibile affermare come tale modalità di insegnamento debba vedere comunque coinvolta, almeno per una certa durata, anche la figura del tutor.

Proroga per emergenza Covid-19

Tenuto conto di quanto già sopra discusso, è interessante richiamare la recente disposizione introdotta dalla legge di conversione del Decreto Rilancio (L. 77/2020) relativa alla sospensione dei contratti di apprendistato di primo livello e di alta formazione in conseguenza dell'emergenza da Covid-19.

Il legislatore, infatti, dopo aver verificato che un eventuale periodo di sospensione poteva essere riconosciuto quale proroga del contratto solo a favore dell'apprendistato professionalizzante (art. 2 D.Lgs. 148/2015), ha voluto tutelare anche le altre tipologie di apprendistato.

Pertanto, viene ora stabilito che “il termine dei contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 (primo livello) e 45 (alta formazione) del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, (...) è prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell'attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19” (art. 93, c. 1 bis, DL 34/2020conv. in L.

77/2020).

5. INPS STOP AI CODICI PIN PER ACCEDERE AI SERVIZI

Dal 1.10.2020 gli utenti dovranno dotarsi di Spid, con un periodo transitorio di validità per le credenziali già attive.

L'Inps annuncia che dal 1.10.2020 non saranno più rilasciati i codici Pin per accedere ai servizi telematici del portale istituzionale. Dovranno essere gli utenti a dotarsi di Spid, il sistema pubblico di identità digitale.

La circolare 17.07.2020, n. 87 fornisce anche le istruzioni per la fase transitoria.

Minorenni e stranieri - I soggetti che non possono avere accesso alle credenziali Spid, come i minorenni o gli extracomunitari, potranno continuare a utilizzare il codice Pin solamente per i servizi dedicati. L'Inps consiglia di richiedere direttamente le credenziali Spid per i nuovi accessi.

Fase transitoria - E' prevista una fase transitoria che garantirà comunque l'accesso ai servizi che l'Inps fornisce sul proprio sito. Durante questo periodo, però, non saranno rilasciati nuovi Pin agli utenti, tranne a coloro che non hanno accesso allo Spid.

I Pin già in possesso degli utenti manterranno validità fino al termine della fase transitoria, che verrà stabilito in base all’andamento del processo di migrazione, di concerto con il Ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, l’AGID e il Ministero del Lavoro, fissando la data di cessazione definitiva di validità dei PIN.

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13 6. ADEGUAMENTO AMBIENTI DI LAVORO ,SANIFICAZIONE E ACQUISTO DPI: LE REGOLE DI

FRUIZIONE DEL BONUS

Con il provvedimento del 10 luglio 2020, n. 259854, l’Agenzia delle Entrate ha definito i criteri e le modalità di applicazione e fruizione dei crediti d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro e per la sanificazione e l’acquisto dei dispositivi di protezione ( artt. 120 e 125 del DL Rilancio, in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Inoltre, ha definito anche le modalità per la comunicazione dell’opzione per la cessione del credito (art. 122, co. 2, lett. c) e d), del citato decreto-legge).

La disciplina del DL Rilancio

Ai sensi dell’art. 120 del D.L. n. 34/2020, al fine di sostenere ed incentivare l'adozione di misure legate alla necessità di adeguare i processi produttivi e gli ambienti di lavoro, ai soggetti esercenti attività d'impresa, arte o professione in luoghi aperti al pubblico, alle associazioni, alle fondazioni e agli altri enti privati, compresi gli enti del Terzo settore, è riconosciuto un credito d'imposta in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020, per un massimo di 80.000 euro, in relazione agli interventi necessari per far rispettare le prescrizioni sanitarie e le misure di contenimento contro la diffusione del virus COVID-19, ivi compresi quelli edilizi necessari per il rifacimento di spogliatoi e mense, per la realizzazione di spazi medici, ingressi e spazi comuni, per l'acquisto di arredi di sicurezza, nonché in relazione agli investimenti in attività innovative, ivi compresi quelli necessari ad investimenti di carattere innovativo quali lo sviluppo o l'acquisto di strumenti e tecnologie necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa e per l'acquisto di apparecchiature per il controllo della temperatura dei dipendenti e degli utenti. Inoltre, ai sensi dell’art.

125 del D.L. n. 34/2020, al fine di favorire l'adozione di misure dirette a contenere e contrastare la diffusione del virus COVID-19, ai soggetti esercenti attività d'impresa, arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, spetta un credito d'imposta in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati, nonché per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti. Il credito d'imposta spetta fino ad un massimo di 60.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 200 milioni di euro per l'anno 2020.In proposito, l’articolo 122 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 prevede tra l’altro che i soggetti beneficiari dei crediti d’imposta indicati sopra fino al 31 dicembre 2021 possono, in luogo dell’utilizzo diretto, optare per la cessione, anche parziale, degli stessi crediti ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari. La materia trattata ha natura fiscale per approfondimenti Vi preghiamo di contattare il Vostro consulente di riferimento

Spese ammissibili

I soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge per accedere ai crediti d’imposta in questione comunicano all’Agenzia delle entrate l’ammontare delle spese ammissibili sostenute fino al mese precedente alla data di sottoscrizione della comunicazione e l’importo che prevedono di sostenere successivamente, fino al 31 dicembre 2020, utilizzando il modello di "Comunicazione delle spese per l’adeguamento degli ambienti di lavoro e/o per la sanificazione e l’acquisto dei dispositivi di protezione". Con una stessa Comunicazione è possibile indicare le spese relative a entrambi i crediti d’imposta, oppure a uno solo di essi. La Comunicazione è inviata esclusivamente con modalità telematiche, direttamente dal contribuente oppure avvalendosi di un intermediario, mediante:

a) il servizio web disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate;

b) i canali telematici dell’Agenzia delle entrate.

A seguito della presentazione della Comunicazione è rilasciata, al massimo entro 5 giorni, una ricevuta che ne attesta la presa in carico, ovvero lo scarto, con l’indicazione delle relative motivazioni. La ricevuta viene messa a disposizione del soggetto che ha trasmesso la Comunicazione, nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

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14 Credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro (art. 120, D.L. n. 34/2020) La Comunicazione può essere inviata dal 20 luglio 2020 al 30 novembre 2021. Nel caso in cui sia inviata dopo il 31 dicembre 2020, sono indicate esclusivamente le spese ammissibili sostenute nel 2020.Nello stesso periodo di cui sopra è possibile:

a) inviare una nuova Comunicazione, che sostituisce integralmente quella precedentemente trasmessa.

L’ultima Comunicazione validamente trasmessa sostituisce tutte quelle precedentemente inviate. Se l’ultima Comunicazione inviata contiene le spese relative a entrambi i crediti d’imposta e la Comunicazione successiva si riferisce solo a uno dei due crediti d’imposta, per l’altro credito d’imposta resta valida l’ultima Comunicazione;

b) presentare la rinuncia integrale al credito d’imposta precedentemente comunicato, con le stesse modalità telematiche della presentazione della Comunicazione. La Comunicazione sostitutiva e la rinuncia non sono ammesse se il credito precedentemente comunicato risulti ceduto. I soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni indicano, nell’apposito campo del modello di Comunicazione, il tipo di attività economica svolta.

Credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto dei dispositivi di protezione (art. 125, D.L. n. 34/2020)

La Comunicazione può essere inviata dal 20 luglio al 7 settembre 2020. Nello stesso periodo è possibile:

a) inviare una nuova Comunicazione, che sostituisce integralmente quella precedentemente trasmessa.

L’ultima Comunicazione validamente trasmessa sostituisce tutte quelle precedentemente inviate. Se l’ultima Comunicazione inviata contiene le spese relative a entrambi i crediti d’imposta e la Comunicazione successiva si riferisce solo a uno dei due crediti d’imposta, per l’altro credito d’imposta resta valida l’ultima Comunicazione;

b) presentare la rinuncia integrale al credito d’imposta precedentemente comunicato.

Il credito d’imposta, per ciascun beneficiario, è pari al 60 per cento delle spese complessive risultanti dall’ultima Comunicazione validamente presentata, in assenza di successiva rinuncia. In ogni caso, il credito d’imposta richiesto non può eccedere il limite di 60.000 euro. Ai fini del rispetto del limite di spesa, l’ammontare massimo del credito d’imposta fruibile è pari al credito d’imposta richiesto moltiplicato per la percentuale da emanare entro l’11 settembre 2020. Detta percentuale è ottenuta rapportando il limite complessivo di spesa all’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti. Nel caso in cui l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti risulti inferiore al limite di spesa, la percentuale è pari al 100 per cento.

Il credito d’imposta, in relazione alle spese effettivamente sostenute, può essere utilizzato dai beneficiari fino all’importo massimo fruibile:

a) nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa;

b) in compensazione a partire dal giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento di cui al punto precedente.

Cessione (art. 122, co. 2, lett. c) e d), D.L. n. 34/2020)

Fino al 31 dicembre 2021 i soggetti aventi diritto ai crediti d’imposta in questione possono optare per la cessione, anche parziale, degli stessi crediti ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari. La cessione può riguardare esclusivamente la quota del credito relativa alle spese effettivamente sostenute, nei limiti dell’importo fruibile. La comunicazione della cessione avviene esclusivamente a cura del soggetto cedente con le funzionalità rese disponibili nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

La comunicazione della cessione del credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro può avvenire a decorrere dal 1° ottobre 2020, ovvero, se la Comunicazione è inviata successivamente al 30 settembre 2020, a decorrere dal giorno lavorativo successivo alla corretta ricezione della Comunicazione stessa.La comunicazione della cessione del credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto dei dispositivi di protezione può avvenire a decorrere dal giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento

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15 da emanare entro l’11 settembre 2020, di cui sopra. Il cessionario è tenuto a comunicare l’accettazione del credito ceduto utilizzando direttamente le funzionalità rese disponibili nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

Dopo l’accettazione, alle stesse condizioni applicabili al cedente e nei limiti dell’importo ceduto, il cessionario utilizza:- il credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro esclusivamente in compensazione dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021;- il credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto dei dispositivi di protezione:

a) nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è stata comunicata la cessione;

b) in compensazione, entro il 31 dicembre dell’anno in cui è stata comunicata la cessione.

La quota del credito d’imposta ceduto che non è utilizzata dal cessionario non può essere utilizzata negli anni successivi, né richiesta a rimborso, oppure ulteriormente ceduta.

In alternativa all’utilizzo diretto, i cessionari possono ulteriormente cedere i crediti d’imposta ad altri soggetti.

La comunicazione dell’ulteriore cessione del credito avviene esclusivamente da parte del soggetto cedente con le funzionalità rese disponibili nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

Il successivo cessionario utilizza il credito d’imposta secondo gli stessi termini, modalità e condizioni applicabili al cedente, dopo l’accettazione della cessione da comunicare esclusivamente a cura dello stesso cessionario con le medesime funzionalità di cui sopra.

Controlli

Nello svolgimento dell’ordinaria attività di controllo l’amministrazione finanziaria verificherà:

a) in capo al beneficiario originario, l’esistenza dei presupposti, delle condizioni previste dalla legge per usufruire dell’agevolazione, la corretta determinazione dell’ammontare del credito e il suo esatto utilizzo.

Nel caso in cui venga riscontrata la mancata sussistenza dei requisiti, si procederà al recupero del credito nei confronti del beneficiario originario;

b) in capo ai cessionari, l’utilizzo del credito in modo irregolare o in misura maggiore rispetto all’ammontare ricevuto in sede di cessione.

7. LA RESPONSABILITA’ SOLIDALE DEL COMMITTENTE PER DEBITI CONTRIBUTIVI

L'art. 29, c. 2 D.Lgs. 276/2003, sancisce il principio della responsabilità solidale del committente di un appalto di opere o servizi per i crediti retributivi e contributivi vantati dal lavoratore dipendente verso il proprio datore di lavoro/appaltatore, stabilendo che “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”. La ratio della norma è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore e agli istituti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti di un soggetto terzo, il committente, che di fatto ha beneficiato della prestazione lavorativa nell'ambito della quale tali crediti sono maturati. In relazione al regime di responsabilità solidale, occorre distinguere i crediti retributivi dei lavoratori dai crediti contributivi degli istituti previdenziali, al fine di individuare i termini per l'esercizio delle relative azioni. Al riguardo, si legge nella nota dell'Ispettorato nazionale del lavoro, la Corte di Cassazione ha recentemente affermato che il regime di decadenza dei 2 anni trova applicazione esclusivamente all'azione esperita dal lavoratore. La Corte argomenta partendo dalla considerazione, consolidata in giurisprudenza, secondo cui il rapporto di lavoro e il rapporto previdenziale, per quanto connessi, sono tra loro distinti, atteso che l'obbligazione contributiva, facente capo all'Inps, a differenza di quella retributiva, deriva dalla legge, ha natura pubblicistica e risulta pertanto indisponibile.

La Corte, inoltre, evidenzia come l'oggetto dell'obbligazione contributiva coincida con il “minimale contributivo strutturato dalla legge in modo imperativo”, ritenendo pertanto che l'applicazione estensiva

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16 del termine di decadenza dell'art. 29, c. 2, porterebbe a un effetto contrario rispetto a tale assetto normativo, ovvero alla possibilità che “alla corresponsione di una retribuzione a seguito dell'azione tempestivamente proposta dal lavoratore, non possa seguire il soddisfacimento anche dell'obbligo contributivo solo perché l'ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell'appalto”, con conseguente vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l'art. 29 cit. ha voluto potenziare (confronta le sentenze 4.07.2019, n. 18004, 4.07.2019, n. 22110, 28.03.2019, n. 8662 e 21.05.2019, n. 13650). Sulla base di tali argomentazioni, quindi, la Corte ha affermato il principio in virtù del quale il termine di decadenza di 2 anni, previsto dall'art. 29, c. 2, riguarda esclusivamente l'esercizio dell'azione nei confronti del responsabile solidale da parte del lavoratore, per il soddisfacimento dei crediti retributivi e non è applicabile, invece, all'azione promossa dagli Enti.

8. DIRITTO ALLO SMART WORKING SOLO SE COMPATIBILE

Vi sono limitate ipotesi nelle quali, «fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica», i dipendenti hanno diritto a lavorare in smart working. Due casi su tutti: a beneficio dei genitori con figli minori di 14 anni (articolo 90, Dl n. 34/2020) e in presenza di un familiare disabile in condizione di gravità (articolo 39, Dl n. 18/2020). In entrambe queste ipotesi, il diritto presuppone che la mansione del dipendente abbia caratteristiche compatibili con il lavoro agile. Due decisioni dei giudici del lavoro chiariscono i confini di queste deroghe. La prima decisione è del Tribunale di Roma, per il quale i dipendenti chiamati a far parte di una task force costituita per fronteggiare il rischio pandemico hanno diritto a svolgere la prestazione in lavoro agile se, e solo se, le loro mansioni possono essere rese, in tutto o in gran parte, da remoto. L’ordinanza del 20 giugno 2020 ha accolto il ricorso d’urgenza di una dipendente di azienda sanitaria, che aveva impugnato il provvedimento di rigetto della sua domanda di lavoro da remoto a causa, tra l’altro, della necessità di controllare il figlio disabile. Il Tribunale non ha ritenuto dirimente che la dipendente fosse stata assegnata alla task force perché le esigenze familiari di cui l’operatrice è portatrice dovevano prevalere sulle necessità del servizio sanitario pubblico. La seconda decisione è del Tribunale di Mantova e si riferisce al ricorso d’urgenza del responsabile dell’area tecnica di una compagnia di parcheggi, il quale rivendicava il diritto a lavorare da remoto sul presupposto di un figlio di 14 anni da dover sorvegliare. Il giudice ha respinto la domanda (ordinanza del 26 giugno 2020), osservando che le responsabilità del manager richiedevano lo svolgimento dell’attività in presenza. L’articolo 90 del decreto Rilancio condiziona peraltro il diritto allo smart working anche all’assenza di altro genitore «beneficiario di strumenti di strumenti di sostegno al reddito» o «non lavoratore». Il giudice ha valorizzato quest’ultimo inciso per concludere che, poiché la moglie operava già in smart working, non c’erano i presupposti per obbligare il datore a concedere il lavoro agile.

9. COVID 19:NUOVO SERVIZIO INAIL PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA ECCEZIONALE

L'INAIL comunica l'attivazione di un nuovo servizio online che permette ai datori di lavoro pubblici e privati di inoltrare telematicamente la richiesta di visita medica per sorveglianza sanitaria straordinaria dei lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio da Covid-19 (art. 83 DL 34/2020).

In particolare, per i datori che non sono tenuti alla nomina del medico competente, e ferma restando la possibilità di nominarne uno per il periodo emergenziale, la sorveglianza potrà essere richiesta anche ai servizi territoriali dell'Istituto, che provvederanno con i propri medici del lavoro.

Il nuovo servizio “Sorveglianza Sanitaria Eccezionale”, disponibile a partire dal 1° luglio 2020 e accessibile agli utenti muniti di credenziali INAIL, consente ai datori di lavoro interessati di inoltrare telematicamente la richiesta di visita medica per sorveglianza sanitaria eccezionale alla struttura territoriale INAIL competente, individuata in base al domicilio del lavoratore.

(17)

17 In caso di utenti non registrati, le credenziali possono essere acquisite tramite SPID, INPS, Carta nazionale dei servizi (CNS) o INAIL (con l'inoltro dell'apposito modulo attraverso i servizi online o da consegnare presso le sedi territoriali INAIL).

Nel caso di delega da parte del datore di lavoro, deve essere compilato e inoltrato l'apposito modulo “Mod.

06 SSE delega”, reperibile nella sezione dedicata del portale “Moduli e modelli”. Una volta inoltrata la richiesta dal datore di lavoro, viene individuato il medico della sede territoriale più vicina al domicilio del lavoratore.

Conclusa la visita medica per sorveglianza sanitaria eccezionale, il medico competente fornisce un parere conclusivo rispetto alla possibilità per il lavoratore di riprendere l'attività lavorativa in presenza nonché alle eventuali misure preventive aggiuntive o alle modalità organizzative per garantire il contenimento del contagio.

Successivamente all'invio del parere conclusivo, il datore di lavoro riceve una comunicazione con l'avviso di emissione della relativa fattura in esenzione da IVA per il pagamento della prestazione effettuata.In attesa dell'emanazione di un decreto interministeriale per la definizione della tariffa, l'INAIL ha stabilito in via provvisoria l'importo di € 50,85.

10. DETRAZIONE PER FIGLI A CARICO E I SOGGETTI NON RESIDENTI

La Finanziaria 2018 ha innalzato a € 4.000 il limite reddituale per poter considerare fiscalmente a carico i figli di età non superiore a 24 anni.

Di conseguenza a partire dall'1.1.2019 sono considerati a carico:

i figli di età non superiore a 24 anni, con reddito complessivo pari / inferiore a € 4.000 al lordo degli oneri deducibili;

i figli di età superiore a 24 anni, con reddito complessivo pari / inferiore a € 2.840,51 al lordo degli oneri deducibili.

La disciplina relativa alle detrazioni dei carichi di famiglia è contenuta nell'art. 12, TUIR e riconosce, tra l'altro, ai genitori per i figli a carico una detrazione la cui misura varia a seconda del reddito complessivo e della composizione del nucleo familiare. La detrazione in esame è riconosciuta ai genitori (anche separati o non coniugati) per i figli, compresi quelli naturali riconosciuti, adottivi e affiliati o affidati, fiscalmente a carico.

Nell'ambito della Legge n. 205/2017 (Finanziaria 2018) il Legislatore, modificando il comma 2 del citato art.

12, ha innalzato a € 4.000 il limite reddituale per poter considerare fiscalmente a carico i figli di età non superiore a 24 anni (il nuovo limite di reddito decorre dall'1.1.2019). Di conseguenza a partire dall'1.1.2019 sono considerati a carico:

i figli di età non superiore a 24 anni, con reddito complessivo pari / inferiore a € 4.000 al lordo degli oneri deducibili;

la moglie / figli di età superiore a 24 anni, con reddito complessivo pari / inferiore a € 2.840,51al lordo degli oneri deducibili.

DETERMINAZIONE DEL REDDITO PER FAMILIARE A CARICO

Per la determinazione del reddito complessivo utilizzabile per la verifica del superamento o meno del predetto limite (€ 2.840,51 / 4.000) e quindi per essere considerato o meno fiscalmente a carico devono essere considerate anche le seguenti somme (non comprese nel reddito complessivo):

retribuzioni corrisposte da Enti / organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari, missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli Enti gestiti direttamente dalla stessa e dagli Enti centrali della Chiesa cattolica;

quota esente dei redditi di lavoro dipendente prestato nelle zone di frontiera o in Stati limitrofi da parte di soggetti residenti in Italia (c.d. "transfrontalieri");

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