Buoni postali: è legittima la variazione del tasso d’interesse?
21 Marzo 2019 | Autore: Mariano Acquaviva
È possibile che lo Stato modifichi i tassi di interesse dei buoni postali già in circolazione? Cosa dice la giurisprudenza?
I risparmiatori più tradizionalisti affidano ancora le somme di danaro messe faticosamente da parte alle Poste italiane, investendo soprattutto in buoni fruttiferi postali (bfp). Per molti si tratta di una scelta anacronistica, visto che, se un tempo i buoni rendevano molto, oggi il tasso di interesse è praticamente azzerato; per altri,
invece, si tratta ancora di un modo sicuro di tutelare i risparmi. Chi si affida ai buoni fruttiferi postali, infatti, non corre il rischio di perdere il proprio capitale, in quanto si tratta di titoli garantiti direttamente dallo Stato ed emessi dalla Cassa depositi e prestiti, società per azioni a partecipazione statale controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Pertanto, se decidi di “trasformare” i tuoi risparmi in buoni postali, male che vada, quando andrai a ritirarli, ti verrà restituito il capitale senza interessi; la garanzia è che non perderai niente. Ma perché i buono fruttiferi postali non rendono quasi nulla? È legittima la variazione del tasso d’interesse dei buoni?
Devi sapere, infatti, che i buoni di un tempo (quelli degli anni ottanta, ad esempio) fruttavano davvero molto a chi ne era titolare: soprattutto i buoni ordinari (quelli trentennali, per intenderci) erano capaci di moltiplicare il capitale iniziale, rappresentando per il risparmiatore un ricco investimento. Col tempo, però, i tassi di interesse sono stati rivisti al ribasso, modificando anche quelli che erano stati promessi ai sottoscrittori iniziali. Insomma, è andata più o meno così: al momento della sottoscrizione lo Stato ti prometteva un interesse, mentre successivamente ti diceva che te ne avrebbe corrisposto un altro, più basso. Con questo articolo cercheremo di scoprire se è legittima la variazione del tasso d’interesse dei buoni postali.
Buoni postali: la modifica del tasso di interesse del 1986
La più importante variazione del tasso di interesse che i buoni fruttiferi postali hanno subito risale al 1986: in quell’anno, un decreto ministeriale [1] convertì i tassi di interesse della serie “O” e della serie “P” in quelli della serie “Q”, meno vantaggiosi. E così, mentre un buono fruttifero postale serie “P” prevedeva un tasso di interesse crescente, per scaglioni di detenzione, dal nove al quindici per cento, con la trasformazione in serie “Q” avrebbe previsto un tasso minore dall’otto al dodici per cento.
La variazione del tasso di interesse vale
anche per il passato?
Il vero problema della variazione del tasso d’interesse dei buoni postali riguarda l’applicabilità delle modifiche ai titoli già in circolazione: in pratica, chi ha sottoscritto un buono ordinario serie “P” potrà chiedere, al momento della riscossione, gli interessi così come stabiliti nella tabella posta a tergo del titolo, oppure si vedrà applicato il tasso minore, così come imposto dalla variazione stabilita dal decreto ministeriale?
La questione non è di poco conto, visto che la riduzione del tasso d’interesse comporta una differenza, tra un buono e l’altro, di migliaia di euro. La legge [2], nel riconoscere all’ente emittente la possibilità di variare i tassi di rendimento, estende l’applicabilità delle modifiche sopravvenute anche ai buoni già collocati, prevedendo che la tabella presente sul retro degli stessi ed indicante lo sviluppo del rendimento debba ritenersi integrata con quella che è a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali.
Di conseguenza, la variazione del tasso di interesse vale anche per il passato, cioè per i buoni emessi prima del decreto che ne ha modificato (al ribasso) la portata.
E così, al buono sottoscritto antecedentemente al giugno 1986 (data di emissione del decreto ministeriale che ha rimeditato i tassi) verrà applicato un saggio d’interesse inferiore a quello presente sul retro del titolo, in quanto modificato successivamente con provvedimento del governo.
Cosa succede se i buoni non sono adeguati ai nuovi tassi?
Ovviamente, i nuovi tassi di interesse di applicano a tutti i titoli emessi dopo l’entrata in vigore del decreto che ha apportato le variazioni. Tuttavia, è accaduto non poche volte che i titoli cartacei non venissero adeguati ai nuovi tassi, lasciando quindi sul retro le vecchie percentuali (cioè, quelle antecedenti al giugno 1986).
Come comportarsi in questo caso? Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione [3], la quale ha stabilito che:
se sul retro del buono le tabelle sono state aggiornate, anche mediante apposizione del timbro da parte delle Poste, allora è legittima
l’applicazione dei nuovi e diversi tassi di interesse per come modificati dall’intervenuto decreto ministeriale;
se, al contrario, il titolo riporta ancora la tabella con i vecchi interessi e non risulta alcun timbro, allora il risparmiatore ha pieno diritto al rimborso del capitale ed interessi per come risultanti dal titolo originario. In pratica, prevalgono i tassi di interessi non aggiornati presenti sul retro anziché quelli nuovi previsti dalla legge.
La variazione del tasso d’interesse secondo la Cassazione
Quanto sinora detto è stato confermato anche da una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite [4], secondo cui le variazioni peggiorative dei tassi d’interesse applicabili ai buoni fruttiferi postali si applicano retroattivamente anche a quelli già in circolazione: ciò significa che, chi prima del 1986 ha sottoscritto un buono ordinario serie “P” oppure seria “O”, oggi se lo vedrà rimborsato con i tassi (inferiori) previsti per la serie “Q”. Tanto vale per tutti i buoni emessi fino al 1999, anno in cui è stata abrogata [5] la norma che consente allo Stato di modificare come meglio crede i tassi di interesse dei titoli postali.
D’altronde, specifica la Suprema Corte, a fronte della variazione del tasso d’interesse è consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall’investimento e accettare la variazione dei tassi.
Inoltre, le Poste non sono nemmeno tenute a comunicare tale modifica, essendo sufficiente la pubblicazione del decreto modificativo nella Gazzetta ufficiale.
[1] Decreto ministeriale del 13.06.1986.
[2] Art. 173, DPR n. 156/73, modificato dalla Legge n. 588/74.
[3] Cass., sez. un., sent. n. 13979 del 15.06.2007.
[4] Cass., sez. un., sent. n. 3963 del 11.02.2019.
[5] D. lgs. 284/1999.
Immagine: uomo conta risparmi di Syda Productions
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