Pietro Proto
La mancata comparizione (incolpevole) del ricorrente all’udienza nel procedimento cautelare. Conseguenze e rimedi.*
SOMMARIO:1.Premessa 1: inquadramento del fenomeno e posizioni della giurisprudenza e della dottrina.
1.2. Premessa 2: cenni sulla natura del procedimento cautelare e suo inquadramento nell’ambito del sistema ordinamentale e in rapporto al giusto processo ex art. 111 Cost. 2. Breve indagine sul significato giuridico del fenomeno (dell’assenza del ricorrente all’udienza cautelare) nell’ambito del sistema normativo. 3. Le ragioni che negano l’applicazione analogica degli artt. 181 e 309 c.p.c. e il valore significativo dell’assenza del ricorrente all’udienza (cautelare) rispetto ai suoi possibili effetti. 4. Le sorti del giudizio cautelare a seguito dell’assenza del ricorrente all’udienza in relazione alla tipologia dei provvedimenti cautelari. 5. Rimedi avverso i provvedimenti di chiusura della fase di prime cure: la rimessione in termini e rapporti con il reclamo e la riproposizione del ricorso. 6. I provvedimenti di chiusura del procedimento diversi dal rigetto. 7.
Considerazioni conclusive.
Ad impossibilia nemo tenetur
A Maria Rosaria Una toga prematuramente venuta a mancare
1. Premessa 1: inquadramento del fenomeno e posizioni della giurisprudenza e della dottrina.
L’assenza del ricorrente all’udienza cautelare – attesa la inesistenza di una apposita disciplina nell’ambito del complesso normativo sul procedimento cautelare uniforme di cui all’art. 669-‐bis e ss. c.p.c. – comporta, a seconda delle soluzioni adottate, una serie di implicazioni teoriche e pratiche che meritano alcune riflessioni espresse in queste poche righe1.
* La presente riflessione è stata ispirata dal fatto accaduto ad un avvocato difensore del ricorrente in un procedimento cautelare che, mentre si recava in tribunale per l’udienza, subiva un incidente mortale e quando il giudice del procedimento ne è venuto a conoscenza lo aveva già chiuso con un non luogo a provvedere.
Il fatto della mancata partecipazione all’udienza per causa non imputabile alla parte viene espressamente prevista da A. Proto Pisani nel suo progetto “Per un nuovo codice di procedura civile”, laddove nel Libro I, Capo V, intotolato “Termini e rimessione in termini”, testualmente all’art. 1.114.- “Rimessione in termini. La parte che sia incorsa in una decadenza (…) per mancata
Resta escluso dall’economia del presente lavoro il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-‐bis c.p.c, mentre non mancheranno cenni di riferimento ai procedimenti speciali e camerali, nonché a quelli di separazione e divorzio limitatamente alla fase sommaria camerale dell’udienza presidenziale (artt. 708 c.p.c.)2. Il problema che qui interessa riguarda quella particolare causa di estinzione per inattività delle parti c.d.
semplice che si verifica a seguito della mancata comparizione all’udienza cautelare e che per il processo di cognizione trova disciplina negli artt. 181 e 309 c.p.c., e per quello di esecuzione negli artt. 630 e 631 c.p.c.3. Tale fenomeno riguarda le c.d. vicende anomale del processo disciplinate nel Capo VII del Libro II del codice di rito negli artt. 295 ss. c.p.c.4 Sono dette anomale perché farebbero terminare il processo senza l’emanazione
partecipazione ad un’udienza o per maturare di una preclusione dovuti a una causa ad essa non imputabile è rimessa in termini ove lo richieda (…)”., in Foro it. 2009, parte V, col. 1.
1 Le norme sul processo del lavoro ex artt. 409 ss. c.p.c. non contengono nessun rinvio alla normativa generale sulle vicende anomale del processo, come appunto l’estinzione, né disciplinano autonomamente il fenomeno. In un primo momento la giurisprudenza – ritenuto inapplicabile l’istituto generale disciplinato nel giudizio ordinario – faceva seguire, alla mancata comparizione all’udienza di discussione, la immediata estinzione del giudizio argomentando dal dato testuale dell’art. 420 c.p.c. secondo il quale non sono ammesse udienze di mero rinvio, successivamente si è fatta strada la tesi opposta. Per il primo orientamento: Cass. 21.6.1988, n.
4253; Cass. 12.3.1988, n. 4212; Cass. 8.5.1987, n. 4269. Per il secondo ed attuale orientamento: Cass. Sez. Un. 25.5.1993, n. 5839. In dottrina: G. Monteleone, Diritto Processuale civile, Cedam, Padova, 2012, 777. Il processo societario, invece, prevedeva un’autonoma disciplina di estinzione e di cancellazione della causa dal ruolo. A parte la cancellazione per mutamento del rito ex art.
1, ult. comma, Dlgs 17.1.2003, n. 5, l’art. 8, comma 4, prevedeva l’estinzione immediata nel caso di omessa notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza nei termini stabiliti e l’art. 16, comma 1, prescriveva la cancellazione della causa dal ruolo se nessuno era comparso all’udienza e, infine, in tema di appello l’art. 22, la cui rubrica si intitolava “inattività delle parti” la Corte, se nessuno compariva all’udienza, disponeva la cancellazione della causa dal ruolo. Il processo societario è stato abrogato dall’art. 54 della legge 18.6.2009, n. 69, sicchè ogni riferimento allo stesso è meramente scientifico e comparatistico.
2 Sulla tutela sommaria in generale: A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 c.p.c., in Riv.dir.civ., 1990, 402-403 ss. Nonché mi permetto di rinviare a: P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in Giust. Civ., Milano, Fasc. 3- 2007, 84 n. 3, 85 n. 4 e 93 n. 32 e n. 36. In ordine alla fase presidenziale nel giudizio di separazione: P. Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale, in Giur. Merito, Milano, 06/2010, 1542 ss. n. 12 e n. 18.
3 L’estinzione in generale è un fenomeno che risponde all’esigenza fondamentale di impedire il protrarsi della situazione di incertezza per la quale il processo era stato intentato. Sull’estinzione del processo v.: G.
Monteleone, Diritto Processuale civile, cit. 492 ss; Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, Giuffrè, 2000, 243 ss.; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Iovene, Napoli, 1999, 211.
4 Sotto la denominazione di c.d. vicende anomale (del processo) si annoverano gli istituti della sospensione, interruzione ed estinzione del processo disciplinati negli artt. 295 ss. c.p.c. nel Libro II nell’ambito del giudizio a cognizione piena. Di tali istituti deve ritenersi, senza dubbio, applicabile al giudizio cautelare, quello della interruzione perché a tutela della integrità del contraddittorio e della parità delle parti direttamente incidenti sul diritto di difesa. In termini: Trib. Roma, Sezione Specializzata del Tribunale delle Imprese, Terza Sezione Civile, Giudice F.R. Scerrato, Ord. 18-2-2015. Altrettanto non porrebbe problemi l’applicazione della sospensione, limitatamente a quella su istanza di tutte le parti, perché discendente dal principio dispositivo, applicazione – del resto - frequente nella prassi dell’esperienza del processo cautelare utilizzando la formula del rinvio ad altra udienza per trattative in corso di bonario componimento o altre simili o equipollenti. Ma forse senza scomodare l’istituto della sospensione convenzionale o su istanza di tutte le parti ex art. 296 c.p.c., la sospensione su istanza di tutte le parti – nella prima fase del giudizio cautelare – discenderebbe direttamente dal principio dispositivo del quale la tecnica dell’impulso di parte, rimessa alla potestas agendi delle stesse (parti) e del ricorrente in particolare, può ben essere esercitata mediante un’istanza di sospensione. Tanto più che il periodo di detta sospensione verrebbe stabilito prudenzialmente dal giudice e quand’anche si volesse ricorrere all’art. 295 c.p.c. non potrebbe superare i tre mesi.
Non sarebbe nemmeno ostativa la c.d. pericolosità intrinseca della tutela cautelare perché, questa, dovrebbe ritenersi operante dall’adozione del provvedimento cautelare in poi e non prima, come, del resto, si evince dalla concomitante concessione delle misure di controcautela, quali la cauzione. Inoltre, la richiesta di sospensione proveniente dalla parte ricorrente che invoca la cautela o anche da parte di questa, unitamente alla controparte o alle controparti, comunque determinerebbe una sospensione o neutralizzazione degli
di una sentenza o comunque di uno dei provvedimenti decisori tipici di cui all’art. 131, comma 1, c.p.c. che stabilisce in quali casi, previsti dalla legge, il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto.5
La funzione dell’istituto è quella di evitare il protrarsi di una situazione di incertezza connessa alla controversia sul diritto oggetto della contesa6. Trattasi di una conseguenza precipua del principio dispositivo al quale si informa il processo civile che si realizza mediante la tecnica dell’impulso di parte7 in contrapposizione all’impulso d’ufficio; quest’ultimo in relazione ai diritti indisponibili.8 Sicchè, la inattività di tutte le parti, essendo venuta meno la vis propulsiva, conduce al fenomeno effettuale della estinzione del processo.
In particolare, oggetto dell’interesse della presente riflessione è la inattività “incolpevole”, ovvero quella mancata attività processuale non imputabile a volontà o a negligenza o ad imperizia della parte o del suo difensore che, in molti casi, darebbe luogo all’interruzione del processo ex artt. 300 e 301 c.p.c., come la morte o la perdita di capacità della parte o del suo difensore nei casi in cui non ci sia stato il tempo materiale per portarlo a conoscenza del giudice9. Tale situazione è stata oggetto di specifica considerazione dalla migliore dottrina che – in un progetto di un nuovo codice di rito – ha pensato di prevedere un’apposita disciplina nell’ambito della rimessione in termini.10 Il fenomeno riguarda la prima fase del procedimento cautelare, davanti al giudice delegato chiamato ad emettere il provvedimento richiesto perché nella eventuale successiva fase di reclamo il problema si attenua vigendo il principio dell’officiosità del procedimento ex art.
738 c.p.c. che investe il profilo dell’impulso al suo svolgimento e in certa misura l’acquisizione di materiale probatorio. Il richiamo operato dall’art. 669terdecies c.p.c. agli artt. 737 e 738 c.p.c., sui procedimenti
effetti di detta pericolosità. Inoltre, questa ultima, dopo la introduzione del procedimento cautelare uniforme, con la previsione di un’apposita disciplina per l’attuazione del provvedimento, ai sensi dell’art. 669-duedocies c.p.c., che, a seconda che trattasi di sequestri o di misure aventi ad oggetto somme di denaro o misure aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, avviene nelle forme degli artt. 491 e ss. c.p.c., o sotto il diretto controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, deve ritenersi molto attenuata. Sulla nozione di pericolosità della tutela cautelare: A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Jovene, Napoli, 2012, p. 607 ss.
5 Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., in www.Judicium.it, 4; Mandrioli, Corso di Diritto Processuale Civile, II, Giappichelli, Torino, 2002, p. 217 ss. Reputa la distinzione riportata nel testo del tutto inutile ed infruttuosa sul piano teorico e pratico: G. Monteleone, Estinzione (processo di cognizione), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Utet, Padova, 1996, p. 132-133.
6 L’incertezza si aggrava nei casi di trascrizione della domanda giudiziale, di iscrizione di ipoteca giudiziale o se vi sia stata concessione di provvedimenti cautelari o altri provvedimenti urgenti. G. Monteleone, Estinzione (processo di cognizione), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile,cit., p. 132.
7 A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it. 2009, parte V, col. 1. Nel Titolo preliminare all’art. 0.24
“Impulso di parte. I processo procedono su impulso di parte, salvo che la legge disponga altrimenti.”. Dello stesso A.: Lezioni di Diritto Processuale Civile, cit., 193.
8 Mandrioli, Corso di Diritto Processuale Civile, cit., p. 76; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Iovene, Napoli, 2012, p. 193 ss.
9 Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, Cedam, Padova, 2004, 239.
10 A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., cit., art. 1.114.-Termini e rimessione in termini.
camerali, per la disciplina del relativo procedimento di reclamo, fa sì che, l’assenza delle parti all’udienza, comporti comunque una pronuncia nel merito quanto meno sulla base degli elementi acquisiti. Dell’ampia casistica giurisprudenziale si riporta un passo di Cass. sez. I, 14 maggio 2012, n. 7437 11, secondo cui:
l’officiosità del procedimento camerale (…) caratterizzato, allora da sbocco decisorio anche in caso di mancata comparizione delle parti: così come statuito da questa Corte con riguardo a variegate ipotesi di procedura camerale.
Nessun problema si pone per quanto riguarda la possibilità di una rinuncia espressa e nemmeno per le ipotesi di inattività “qualificata” nei casi di cui all’art. 307 c.p.c.12, come, altresì, per il procedimento cautelare instaurato nel corso del giudizio di merito.
La giurisprudenza, sia pure con diverse soluzioni, esclude l’applicazione analogica degli artt. 181 e 309 c.p.c.13 ai procedimenti sommari, sommari cautelari e camerali.14
La dottrina – che non sembra abbia approfondito direttamente il fenomeno – si attesta sulle posizioni della giurisprudenza15.
11 Secondo la giurisprudenza vige in tal caso l’impulso d’ufficio: Cass., Sez. I, 14.5.2012, n. 7437; Cass. 3.8.2010, n. 18043; Cass.
9.1.2009, n. 284; Cass. 7.12.2005, n. 27080.
12 L’assenza del convenuto o la sua mancata costituzione di per sé non impedisce il prosieguo del procedimento in presenza del ricorrente che dimostri di aver ritualmente notificato il ricorso con il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione. Nel procedimento cautelare distinguere tra assenza del ricorrente alla prima o alle successive udienze, ai fini della presente indagine, non è di particolare importanza, sia perché l’udienza o le udienze successive alla prima dovrebbero essere eventuali e comunque costitutive di un’unica fase processuale, sia per la massima concentrazione del procedimento in sé. D’altra parte – anticipando quanto si dirà – non ci sarebbero ragioni per applicare la disciplina ordinaria sull’estinzione per inattività semplice alle successive udienze di trattazione del procedimento dopo averla negata per la prima udienza. Tuttavia, volendo rifarsi all’art. 181 c.p.c. la distinzione potrebbe valere per stabilire il momento dell’estinzione che nel caso di assenza del ricorrente alla prima udienza sarà immediata ex artt. 181, comma II, e 307 c.p.c., senza il periodo di quiescenza. Ma il problema del procedimento cautelare, come si vedrà, va affrontato nel suo complesso in relazione ad un fenomeno o ad una vicenda processuale priva di un’apposita disciplina e nella affermata inapplicabilità dell’istituto di cui al complesso normativo degli artt. 181-309 e 307 c.p.c. Altresì non sembrano esserci problemi nelle ipotesi in cui non compaia il ricorrente ma il convenuto chieda la prosecuzione del procedimento avendo un eventuale interesse alla pronuncia magari perché ha proposto domanda riconvenzionale nei limiti in cui la si ritiene ammissibile o per le spese.
Sull’ammissibilità della riconvenzionale nel procedimento cautelare v.: Merlin, (Procedimenti cautelari e urgenti in generale), in Digesto, Sezione Civile, XIV, Utet, Torino, 1996, p. 411. Arieta, I provvedimenti, 271 ss.
13 Cass. 20.2.2004, n. 3388; Cass. 5.11.2003, n. 16615, in Giust. civ. 2004, I, 1525; Cass. 26.11.1993, n. 11730. Sia pure implicitamente si rinviene in Cass. Sez. I, 6.10.2005, n. 19514; Cass. 7.12.2005, n. 27080; Cass. 9.1.2009, n. 284; Cass. 3.8.2010, n.
18043. La giurisprudenza testè citata si è formata nel vigore del testo dell’art. 181 c.p.c. precedente la riforma avvenuta con il D.L.
112/2008, convertito nella legge 6.8.2008, n. 133. La riforma del primo comma dell’art. 181 c.p.c. ha aggiunto la dichiarazione di estinzione dopo la cancellazione della causa dal ruolo a seguito della mancata comparizione delle parti alla seconda udienza fissata.
14 Cass. 09/284. In dottrina si rinvia all’esaustivo saggio di Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo:
riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c., in www.Judicium.it, cit. 2 ss.
15 Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit.,. 238 e 393 ss. L’A. sostiene che il provvedimento di non luogo a provvedere o l’archiviazione per mancata comparizione del ricorrente all’udienza fissata ai sensi dell’art. 669-sexies c.p.c. si sottrae al reclamo perché assoggettato a revoca ai sensi dell’art. 177 c.p.c. per motivi sopravvenuti o preesistenti non conosciuti dal giudicante. Occorre osservare che l’istituto della revoca – nel procedimento cautelare – è quello di cui all’art. 669-decies c.p.c. al quale non è sovrapponibile la revoca ex art. 177 c.p.c., dettata per il giudizio ordinario di cognizione. Se così fosse, in tutte le circostanze in cui non è azionabile la revoca del provvedimento cautelare, si potrebbe ricorrere a quella ordinaria che non conosce forme preclusive o condizioni di operatività. Inoltre, la revoca ex art. 669-decies c.p.c. riguarda provvedimenti con carattere decisorio e dotati di una loro
Lo scenario giurisprudenziale presenta una serie di alternative che vanno dal rigetto del ricorso, alla cancellazione della causa dal ruolo, al “non luogo a provvedere” e alla dichiarazione di estinzione16.
La ragione di fondo che presiede tali conclusioni è una per tutte: la mancata comparizione del ricorrente all’udienza di discussione comporta una oggettiva indicazione del venire meno dell’interesse alla tutela, ovvero, dell’urgenza alla sua anticipazione in via cautelare17.
Gli effetti che conseguono a seconda dell’una o dell’altra opzione possono essere preclusivi o meno rispetto alla riproposizione del ricorso e anche, nei termini di cui si dirà, alla sua reclamabilità e/o alla sua riassunzione.
In questo contesto assume fondamentale rilievo il significato reale e giuridico che deve attribuirsi al comportamento assente del ricorrente all’udienza.
Ma ancor prima di entrare nel vivo delle quaestiones non si può – anche sotto un profilo metodologico ancor prima che epistemologico – non mettere in rilievo ed operare un costante confronto con istituti o categorie squisitamente processuali di rango costituzionale come i concetti di azione, di domanda e di contraddittorio ex artt. 24 e 111 Cost., 99 e 101 c.p.c. ed ex artt. 669-‐bis e 669-‐sexies c.p.c.
La portata effettuale della normativa testè citata si misura con la funzione precipua della tutela cautelare consistente nel paralizzare o arginare i pregiudizi che potrebbero derivare all’attore che ha ragione dalla durata del processo a cognizione piena, ove non vi siano adeguati strumenti processuali e sostanziali di neutralizzazione del danno.18
Un istituto che, altresì, assume importanza ai fini che qui interessano e nei limiti e modi che si dirà, è la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c.
Nella relazione al progetto di legge per la riforma del processo civile, Chiovenda affermava che <<“se, nonostante le provvidenze della legge e la diligenza del giudice e dell'ufficiale giudiziario, accada di trattare come contumace chi non poté comparire e difendersi, soccorre un altro rimedio che corregge i possibili
stabilità. Per contro la revoca ex art. 177 c.p.c. riguarda i provvedimenti emanati dal giudice istruttore con carattere prettamente interlocutorio in relazione all’istruzione probatoria. Per A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit. p. 691, l’ordinanza ex art. 669-decies c.p.c. è sottoposta ad un regime tipicizzato che, a prescindere dal motivo del rigetto, si sottrae alla disciplina generale delle ordinanze dettata dall’art. 177 c.p.c. Per un’ampia rassegna sul combinato disposto degli artt. 181 e 309 c.p.c., v.: E. Norelli, Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c , cit. p. 1 ss.
16 Cass. 6.2.2004, n. 3388; Cass. Sez. I, 6.11.2005, n. 19414. Trib. Messina, 12.7.2005, in Giur. merito, 2006, 2, 311 e in Juris data, ha optato per il rigetto del ricorso sulla base delle motivazioni nel testo.
17 Trib. Messina, 12.7.2005, in Giur. merito, 2006, 2, 311 e in Juris data.
18 A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit. 495.
inconvenienti del giudizio contumaciale, ed è la restituzione in intero, antico istituto italiano, che la nostra legge non conosce in figura di rimedio generale, perché, al solito, non l’incontrò nel suo modello francese”>>. 19 A distanza di un secolo la “restituzione in intero” grazie al novellato art. 153 c.p.c. – inserito dall’art. 45, comma 19, legge 18.6.2009, n. 69, nel Libro I del codice di rito, tra le Disposizioni generali, essendo stato abrogato, dal successivo art. 46, comma 3, stessa legge, l’art. 184-‐bis c.p.c. che disciplinava la medesima rimessione in termini per le parti costituite, ma con la limitata portata applicativa al solo processo ordinario di cognizione e, nei limiti della compatibilità, al giudizio di appello, grazie al rinvio, ex art. 359 c.p.c., alle norme relative al procedimento davanti al tribunale – è diventato un rimedio di carattere generale.
La rimessione in termini è un rimedio a tutela della effettività tanto del principio dispositivo (dell’azione-‐
domanda e del c.d. diritto costituzionale di difesa, ex artt. 24 Cost., 6 CEDU e 99 c.p.c.), quanto del contraddittorio in condizioni di parità (ex artt. 111 Cost. e 101 c.p.c., per la cognizione piena ed ex artt. 111 Cost. e 669-‐bis e 669-‐sexies c.p.c. per il procedimento cautelare in particolare). Può ben dirsi che tale istituto sia espressione del principio di auto-‐responsabilità processuale e segnatamente dell’autoresponsabilità per colpa della parte a garanzia dell’impegno costituzionale dell’effettività del contraddittorio20. Dopo ed in conseguenza della sua nuova collocazione nell’art. 153 c.p.c., nel Libro I del codice, la dottrina ha ritenuto che il rimedio – oltre ad essere di carattere generale, applicabile a tutti i procedimenti – sia estensibile anche ai poteri esterni al processo, ovvero ai poteri di impugnazione e di prosecuzione o di riassunzione del processo.21 L’istituto della rimessione in termini, dunque, si costituisce come una forma di regolamentazione giudiziale del
19CHIOVENDA., Progetto di riforma del procedimento civile, in Saggi di diritto processuale civile, vol. II, Roma, 1931, 114 ss.; Cfr. La riforma del procedimento civile proposta dalla Commissione per il dopo guerra. Relazione e testo annotato a cura di CHIOVENDA G., Napoli, 1920. R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 119; R. Caponi, Rimessione in termini:
estensione ai poteri di impugnazione (art. 153, 2° comma, c.p.c.),in Foro it., 2009, V, 283. A. Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.Judicium.it, § 6. Secondo una dottrina la rimessione ex art. 184bis c.p.c. era applicabile esclusivamente alla fase istruttoria del processo ordinario di primo grado e non anche alla proposizione delle impugnazioni: C. Asprella-R. Giordano, La riforma del processo civile, dal 2005 al 2009, in Giust. civ., 2009, suppl. al n. 6, 27. Contro tale impostazione riduttiva o restrittiva: G. Verde, Diritto processuale civile, Vol. 1: Parte generale, Bologna, 2010, p. 259. La rimessione in termini inserita nel secondo comma dell’art. 153 c.p.c. intitolato “Improrogabilità dei termini perentori” non può ritenersi una felice formulazione sistematica. Meglio sarebbe stato se il legislatore le avesse dedicato un apposito articolato comprensivo del procedimento senza rinviare all’art. 294, commi 2 e 3, c.p.c. Tuttavia, nessuno dubita della portata applicativa generale della attuale rimessione in termini, attesa la sua collocazione nel Libro I, tra le Disposizioni generali, dopo la contestuale abrogazione dell’art. 184bis c.p.c. che la prevedeva nell’ambito dell’istruzione probatoria del processo ordinario di cognizione. Inoltre, nel novellato art. 153 c.p.c. si parla indifferentemente del “giudice”, mentre nell’abrogato art. 184bis c.p.c. si menzionava il “giudice istruttore”. Tali considerazioni si rispecchiano nell’istituto della rimessione in termini del progetto “Per un nuovo codice di procedura civile” di A. Proto Pisani, cit., Libro I, Capo V, art. 1.114 ss.
20 Riconduce la rimessione in termini al principio di autoresponsabilità: R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 49 ss.
21 R. Caponi, Rimessione in termini: estensione ai poteri di impugnazione (art. 153, 2° comma, c.p.c.),cit. 283. A. Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.Judicium.it, § 6.
processo, ispirato all’equità e al principio di conservazione e come tale, ove ritenuto praticabile, potrebbe, ai fini della presente riflessione ricostruttiva, rivelarsi in gran parte risolutivo o un ulteriore rimedio.
A tal uopo, occorre verificare, come si vedrà in seguito, se il rigetto del ricorso della parte incolpevolmente assente all’udienza, attraverso la tecnica della rimessione in termini, possa essere reintegrata nei poteri processuali che avrebbe potuto esercitare se fosse stata presente. In altri termini, si tratta di stabilire se attraverso il meccanismo di cui agli artt. 153 e 294, comma 2, c.p.c., si possa realizzare la riassunzione del procedimento cautelare o la riproposizione della domanda.
1.2. Premessa 2: cenni sulla natura del procedimento cautelare e suo inquadramento nell’ambito del sistema ordinamentale e in rapporto al giusto processo ex art. 111 Cost.
Il periculum in mora, che assurge a paradigma estremo della irreparabilità del pregiudizio, rende la tutela cautelare costituzionalmente doverosa;22 tanto più ove si metta in relazione il pregiudizio stesso con la persona che lo subisce.23
Invero, la tutela cautelare (tipica e atipica), sebbene non abbia funzione esclusiva, in quanto concorre con altri istituti specifici di diritto sostanziale (pegno, ipoteca, trascrizione della domanda giudiziale, anatocismo, diritto di ritenzione, obbligo di restituzione frutti da parte del possessore di buona fede ex art. 1148 c.c., solo per citarne alcuni) e rimedi specifici di diritto processuale (quali i titoli esecutivi di formazione stragiudiziale, i procedimenti sommari non cautelari, i provvedimenti c.d. ad effetti anticipati nell’ambito del giudizio ordinario ex artt. 186bis, 186ter e 186quater c.p.c., la condanna in futuro), risponde all’esigenza di garantire la
22 Corte Cost., 28.6.1985, n. 190, in Foro it., 1985, I, 1881; A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Napoli, 2012, 602.
23 Della necessità di recuperare il concetto di persona del titolare del diritto, parla: A. Proto Pisani, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Jovene, Napoli, 2012, cit., p. 635 ss. Senza entrare in problematiche oggetto della filosofia del diritto, qui basta osservare che il rilievo centrale della persona, quale titolare di diritti viene massimamente in rilievo nella tutela cautelare atipica con riferimento ai diritti fondamentali e personalissimi di rango costituzionale a contenuto non patrimoniale (nome, immagine, reputazione, libertà in tutte le sue espressioni e manifestazioni). Ma il concetto di persona in sé è rilevante sul piano positivo a partire dall’art. 2 Cost. ed è confermato – per quanto qui rileva – dai successivi artt. 3, 24, 25 e 111 Cost. e dagli artt. 18 e 75-80 c.p.c., nochè per gli enti superindividuali dagli artt. 18, 20, 29, 33, 45, 49 Cost. e 19 e 75, commi 3 e 4 e ss c.p.c. Persona è concetto che sul piano giuridico è molto di più di individuo in quanto esso ricomprende, oltre la persona fisica, la persona giuridica e tutti quegli organismi, dotati o meno di personalità giuridica, che non si identificano con gli individui (persone fisiche), ma li considerano “entificati”. Quindi, persona,: come centro di imputazione di valori morali e giuridici e a sua volta portatore di valori morali e giuridici. La persona è portatrice e destinataria di responsabilità che a sua volta esige la singolarità insostituibile (dell’essere) in quanto risponde di ciò che si fa, si dice, si dà. J. Derrida, Donare la morte, Trad. di Luca Berta, Milano, 2008, 88. Sul rapporto tra persona, responsabilità e processo che rivaluta, sul piano teorico generale, la figura dell’ “essere”, come “esser-ci” (nel processo), in quanto persona, ente esistenziale: P. Proto, La Meta(Oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro., in Academia.edu, 2017, 6 ss, specialmente nota 23, 11 ss.
effettività della tutela giurisdizionale in sé24. Essa garantisce la fruttuosità e l’utilità sia della tutela ordinaria a cognizione piena, sia della tutela esecutiva. Tale garanzia si assicura o mediante la conservazione/preservazione della integrità della situazione giuridica messa in pericolo o anticipando gli effetti della decisione sul merito nel tempo occorrente per lo svolgimento del giudizio ordinario.
Il processo ordinario – a sua volta – è una sequenza di atti ed attività teleologicamente e cronologicamente orientati alla decisione finale che, attraverso l’accertamento della verità processuale, afferma la jurisdictio, il dire il diritto, quel diritto che deve “dare per quanto possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”25. In sintesi, esso – a differenza, come si dirà, del processo cautelare – è caratterizzato dalla predefinizione normativa di termini, poteri e doveri delle parti e del giudice e dalla instaurazione anticipata del contraddittorio rispetto al provvedimento conclusivo. Garanzie, queste, ora codificate espressamente nell’art. 111 Cost., ma già ritenute presenti nel sistema dei valori costituzionali, che avvolgono il processo ordinario e che ad esso sono connaturate, ma al contempo fanno sì che l’accertamento della verità necessiti di un certo tempo che fisiologicamente, con tutta l’efficienza possibile, non consentirebbe di impedire la perdita definitiva del diritto soggettivo quando nessuna altra tecnica risarcitoria lo potrebbe mai ripristinare e/o soddisfare il titolare.
Di qui la doverosità costituzionale della tutela cautelare.26 Essa si costituisce laddove a causa – o anche a causa – del tempo fisiologicamente necessario del giudizio ordinario di cognizione ritorna a danno dell’attore che probabilmente ha ragione vedendosi irrimediabilmente perduto o grandemente scemato il bene oggetto del suo diritto, cosicchè l’azione ordinaria o esecutiva diventa tardiva o infruttuosa.
Ovviamente sarebbe erroneo il solo pensare che la tutela cautelare sia servente all’esigenza di porre rimedio ai tempi lunghissimi del processo ordinario, perché così non è, sebbene il ricorso allo strumento cautelare sia stato usato e abusato anche a causa delle lungaggini di quel processo. La celerità della tutela cautelare non attiene alle disfunzioni del processo a cognizione piena, bensì al rischio di perdere in tutto o in parte il bene su cui si esercita o si ha un diritto e nessun processo ordinario per quanto efficientissimo e velocissimo può porvi rimedio a meno che non si voglia ridurre il processo ordinario medesimo ad una sorta di giudizio su una parvenza del diritto.
24 Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, 2^ rist., Napoli, 1960, 40.
25 Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile ,I, 2^ rist., Napoli, 1960, 40.
26 Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, ed. 2012, cit., 602.
Né si può ritenere convincente la tesi che vuole la tutela in questione – conferendole una particolare valenza pubblicistica – servente ad assicurare la effettività della tutela giurisdizionale fino a ritenere il provvedimento cautelare un diritto dello Stato in funzione di una generale tutela del diritto.27
La tutela cautelare è uno strumento processuale di completamento del sistema; servente all’esigenza dell’effettività della tutela giurisdizionale sia ordinaria che esecutiva. Sulla sua autonomia si riscontra una diversità di opinioni. Il discorso è legato alla strumentalità e provvisorietà della tutela (cautelare) in ordine alla quale parte della dottrina non riconosce autonomia di azione.28 Secondo altra dottrina occorre fondare il concetto di cautela utilizzando criteri definiti su basi positive ricavabili da elementi strutturali e non meramente funzionali.29Questa condivisibile dottrina partendo dalla giurisprudenza costituzionale30, che ha stabilito “il principio” – più volte menzionato – “per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione”, ritiene la tutela cautelare atipica una componente essenziale ed ineliminabile della tutela giurisdizionale e ritiene l’azione cautelare atipica astratta come è atipica e astratta anche la tutela ordinaria31. Autonomia dell’azione e autonomia della tutela (cautelare) sono strettamente legati e collegati al discorso sulla strumentalità e provvisorietà del provvedimento cautelare32; strumentalità e provvisorietà
27 Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, IV ed. (ristampa), Napoli, 1980, 226; Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 140, nota 46.
28 Nega sia l’esistenza di una azione cautelare autonoma in relazione ad ogni singolo provvedimento cautelare, sia l’esistenza di una azione cautelare generale ed astratta, in quanto ritiene il potere di chiedere la tutela cautelare una proiezione o un riflesso dell’azione ordinaria: Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1149-1150; Mandrioli, Diritto processuale civile, Seconda edizione, Torino, 2002, 22. In una posizione intermedia sembra collocarsi: Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit. 73.
29 Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 596.
30 Corte Cost. 28-6-1985, n. 190, in Foro it., 1985, I, 1881; Corte Cost. 27-12-1974, n. 284, in Foro it., 1975, I, 263.
31 La locuzione “diritto di azione” come si potrà incontrare nel testo viene usata per comodità di sintesi espositiva senza volerle conferire alcun significato giuridico-processuale intorno al quale la dottrina dibatte da oltre un secolo. V.: S. Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1981, 122 ss. G. Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 171 ss. Id. Domenico Viti ed il concetto di azione, ovvero l’eredità scientifica di Giuseppe Chiovenda, in Giur. it. 1997, Disp. 3°, parte IV, 2 ss. Id. Scritti sul processo civile, Vol. I, cit, 185 ss.
Dà una precisa definizione al c.d. diritto di azione: A. Proto Pisani, Progetto per un codice di procedura civile, cit., all’art. 01. Diritto di azione e sua atipicità. – Tutti possono agire in giudizio per la tutela giurisdizionale dei propri diritti. Ed il successivo art. 02.
Principio della domanda. – Il giudice provvede alla tutela giurisdizionale di diritti su domanda di parte.” Più o meno nello stesso senso si esprime l’art. 30 del N.C.P.C. francese: “L’action est le droit, pour l’auteur d’une prètention, d’etre entendu sur le fond de celle-ci a fin que le juge la dis bien ou mal fondée. Pour l’adversaire, l’action est le droit de discuter le bien-fondée de cette prétention.”. Fazzalari, Azione civile (Teoria Generale del Diritto Processuale), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, II, Torino, 1990, 31 ss.: identifica l’azione con la “situazione legittimata” spettante a ciascuna parte del processo, situazione composta da una serie di posizioni soggettive, di vario tipo e contenuto. Una sequenza di posizioni, sia pure discontinua (la posizione di una parte intersecandosi con quella dell’altra) facente capo a ciascuno dei litiganti. Ci si astiene dal prendere parte in qualsiasi senso sulla opportunità più che necessità di inserire una definizione del fenomeno in un codice. Ci si limita col dire che l’azione è certamente autonoma dal diritto sostanziale oggetto della contesa e che semmai, la stessa costituisce il contenuto unico del diritto.
Così: Satta, op. loc. cit., 124 ss. Si potrebbe dire che l’azione è l’atto di esercizio o di eccitazione del sistema processuale per veicolare una pretesa giuridica (o di diritto, o per il diritto, o dal diritto) la quale solo attraverso il processo trova riconoscimento il diritto e si ricompone l’ordinamento violato. L’impulso di parte o l’impulso officioso si costituisce come movimento dell’azione.
32 Sulla strumentalità del provvedimento cautelale tra gli altri citati v.: Novarese, Tutela dei nuovi diritti e procedimento cautelare riformato, in Riv. giur. amb., 1993, 223 ss.
rispetto e con riferimento al giudizio di merito a cognizione piena, anche dopo l’attenuazione della strumentalità dei provvedimenti c.d. anticipatori (avvenuta a seguito della modifica degli artt. 669octies e 669novies c.p.c. con D.L. 14.3.2005, convertito nella legge 14.5.2005, n. 80). Questi ultimi provvedimenti, pur mantenendo la loro efficacia indipendentemente ed a prescindere dall’inizio o meno del giudizio di merito, sono comunque revocabili o modificabili ex art. 669decies c.p.c. se mutano le circostanze e possono sempre venire assorbiti dalla sentenza di merito in caso di eventuale inizio del relativo giudizio e, in base all’ultimo comma dell’art. 669octies c.p.c., la loro autorità non può essere invocata in un diverso processo.
Tuttavia, non si può negare che il procedimento cautelare abbia una sua propria autonomia. Strutturalmente il procedimento ha un suo statuto normativo di disciplina (artt. 669bis/669quaterdecies c.p.c.) integrato dalle disposizioni generali del Libro I del codice applicabili a tutti i procedimenti, nonché non ultimi i precetti costituzionali. Il procedimento cautelare è assoggettato al principio del giudice naturale precostituito per legge33; al principio dispositivo della domanda e all’impulso di parte ex artt. 24 Cost. e 99 c.p.c.; si introduce con ricorso ai sensi dell’art. 125 c.p.c., si svolge nel contraddittorio – ad eccezione della parentesi eventuale e remota di una pronuncia inaudita altera parte che comunque deve essere immediatamente confermata, modificata o revocata nel contraddittorio delle parti.
A questo proposito, non può sottacersi che il decreto cautelare, sebbene sul piano procedimentale abbia molto in comune con il procedimento di ingiunzione ex artt. 633 ss. c.p.c., per assenza di preventivo contraddittorio, se ne differenzia poi nettamente perché, mentre il decreto ingiuntivo per essere confermato non ha bisogno di alcun contraddittorio che è solo eventuale e differito, il decreto cautelare affinchè mantenga la propria efficacia deve necessariamente, ai sensi del secondo comma dell’art. 669sexies c.p.c., instaurarsi il contraddittorio. Il decreto ingiuntivo se non viene proposta opposizione acquista definitività alla stregua del giudicato ex artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e spiega gli effetti propri di questo o, secondo una dottrina, della preclusione pro iudicato34. Di contro, il decreto cautelare per la sua conferma (o modifica o revoca) e per
33 Sulla nozione epistemologica di “giudice naturale” si rinvia a: Ubertis, Profili di epistemologia giudiziaria, Milano, 2015, 68 ss.
Sulla stessa linea e in relazione all’esperienza processuale: Proto, La Meta(Oltre)fisica del processo. A proposito del caso Englaro, in Academia Edu, 2017, 30-39; Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale, in Giur. Merito, Milano, 06/2010, 1542 ss. Sul piano positivo il principio si rinviene nel collegamento tra la norma costituzionale dell’art. 25 Cost. e le disposizioni ordinarie degli artt. 669ter e 669 septies c.p.c. rispettivamente il primo individua il giudice competente anteriore alla causa di merito ed il secondo la pronuncia sulla competenza. Per la domanda cautelare in corso di causa dispone l’art. 669quater c.p.c.
34 Gli effetti del giudicato tout court o di preclusione pro iudicato la cui trattazione esula dal presente contributo si evince sul piano strettamente normativo dagli artt. 647 e 656 c.p.c. Il primo dispone che dichiarata la definitività del decreto per mancanza di opposizione, tranne il caso della rimessione in termini con l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., l’opposizione medesima non può essere più proposta o proseguita; il secondo assoggetta il decreto ingiuntivo divenuto definitivo a revocazione ai sensi dell’art. 395, nn. 1, 2, 5 e 6, c.p.c. (casi di revocazione straordinaria) e ad opposizione di terzo ex art. 404, comma 2, c.p.c., rimedi questi esperibili
la sua efficacia necessita della corretta instaurazione del contraddittorio. Di tal che, si può ben dire che, il procedimento cautelare, è un procedimento a contraddittorio necessario perché – ad eccezione delle remotissime ipotesi di concessione del decreto e successivamente a questo – il provvedimento conclusivo è sempre e necessariamente dato nel contraddittorio anticipato35. Insomma si realizza l’actus trium personarum.
A differenza del giudizio ordinario di cognizione laddove poteri, facoltà e doveri, delle parti e del giudice, termini e modalità di svolgimento del procedimento o della trattazione sono predefiniti legislativamente e la decisione è suscettiva di giudicato formale ex art. 324 c.p.c. e sostanziale ex art. 2909 c.c., nel procedimento sommario cautelare sono rimessi alla determinazione del giudice ed il relativo provvedimento conclusivo è privo di attitudine al giudicato. Ciò secondo una scuola di pensiero servirebbe non solo a differenziare il procedimento ordinario da quelli sommari, ma addirittura toglierebbe al procedimento sommario e, nella specie, a quello cautelare, la caratteristica di essere un procedimento autonomo e di non costituire un vero giudizio.36
In ordine all’autonomia si è avuto modo di dire che essa va individuata più sul piano strutturale che su quello funzionale per quanto anche sotto, tale ultimo aspetto, a differenza di altri procedimenti sommari non cautelari, i cautelari hanno una funzione che sebbene strumentale e/o ancillare alla tutela ordinaria comunque è funzionale a se stessi per quello che devono accertare e per la decisione invocata e che da essi scaturisce.
avverso la sentenza passata in giudicato. Sulla preclusione pro iudicato: Redenti, Diritto processuale civile, I e III, Milano, 1957, 110 e 146 ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 80. Contra perché privo di utilità pratica: Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1101. Sul giudicato in relazione al decreto ingiuntivo definitivo, v.: Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, III, 15^ ed., Torito, 2003, 50; Storto, La revocazione e l’opposizione di terzo, in Il procedimento di ingiunzione, Zanichelli, Torino, 2005, 537 ss.; Menchini, Regiudicata civile, in Digesto delle Discipline privatistiche, Sezione civile, XVI, 417 ss.; Tota, Rapporti tra opposizione a decreto ingiuntivo ed opposizione all’esecuzione, in Il procedimento di ingiunzione, Zanichelli, Torino, 2005, 481 ss.
35 Di tal che deve convenirsi che il giudizio ordinario non è l’unica forma di procedimento che produce una decisione idonea al giudicato in quanto anche il procedimento monitorio, in assenza di contraddittorio, produce un provvedimento che spiega effetti uguali o simili al giudicato. Gli esempi potrebbero continuare ma esulerebbero dall’economia del presente contributo. Tuttavia quanto detto giova a rafforzare la tesi a favore della natura processuale della tutela cautelare e di processo cautelare in senso proprio, dotato di una sua autonomia strutturale e, anticipando quanto si dirà, entro certi limiti, anche funzionale.
36 Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 1096, sebbene con riferimento ai procedimenti speciali e sommari, l’A. ritiene che i procedimenti sommari diventano incostituzionali se concepiti come azioni autonome dirette ad ottenere in modo surrettizio e mediato gli stessi risultati, pratici e giuridici, che solo il processo ordinario può e deve assicurare. Quindi, i procedimenti speciali e sommari trovano legittimazione anche costituzionale se vengono concepiti come strumenti di tutela connessi e coordinati alla tutela ordinaria a cognizione piena, ove ricorrano particolari esigenze. Di “normativa senza giudizio” parla: Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1,Milano, 1968, 4 ss. Di procedimenti giurisdizionali parla Valitutti, I procedimenti cautelari e possessori, I, cit. 73. Come si è detto in precedenza una posizione diversa assume: Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 596.
L’utilità che il provvedimento cautelare dà all’attore è la finalità di accedere ad una effettiva tutela giurisdizionale piena in relazione all’affermazione definitiva con efficacia di giudicato della situazione giuridica di cui è titolare. Se il fine – per dirla con la filosofia del diritto – è il criterio di misura dell’utilità37 , come in effetti lo è, si conferma la doverosità costituzionale della tutela cautelare.
La dottrina38 tra l’altro si è, altresì, interrogata sulla compatibilità del procedimento cautelare con il principio costituzionale del “giusto processo regolato dalla legge” ai sensi dell’art. 111 Cost.39 Ovviamente la compatibilità non riguarda la tutela cautelare in sé, bensì, la compatibilità della sua disciplina normativa vigente con le garanzie del “giusto processo”, tant’è che la predetta tutela è prevista anche nel processo davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo40
Il riferimento, in particolare, per la parte che qui maggiormente rileva, è diretto proprio al contraddittorio tra le parti in condizioni di parità che, nel procedimento cautelare è solamente previsto come essenziale e necessario ma non ne viene disciplinato lo svolgimento, ovvero la sua dinamica articolazione. Questa ultima è rimessa al potere discrezionale del giudice che il secondo comma dell’art. 111 Cost. vorrebbe terzo ed imparziale. La lontananza del procedimento cautelare dalle garanzie costituzionali sembrerebbe piuttosto evidente. Occorre stabilire, però, se detta lontananza sia tale da rendere il sistema del procedimento cautelare in conflitto e/o incompatibile col dettato costituzionale, ovvero se possa convivere con questo. La
37 Il concetto è preso da F. Viola, Il diritto tra arte ed etica, in Una filosofia del derecho en acciòn. Homenaje al profesor Andrés Ollero, estrapolato da Academia.edu, p. 5.
38 Bove, Art. 111 Cost. e “giusto processo civile”, in Riv.dir.proc., 2002, 479 ss.; Ferrajoli, L’etica della giurisdizione pernale, in Questione giustizia, 1999, 483-490; Civinini, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo civile”. Le garanzie, in Convegno Elba, 278; Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V, 241-244; Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 33, il quale reputa l’intero attuale sistema processuale incompatibile con l’art. 111 Cost..
39 Sulla prima parte dell’enunciato “giusto processo” – grazie ad una elaborazione del concetto già presente anche nella giusisprudenza costituzionale – si arriva sostanzialmente a dare un significato univoco in dottrina vuoi come formula di sintesi che sussume in se stessa le garanzie presenti nel sistema dei valori costituzionali basta leggere in modo integrato, con riferimento al processo civile, gli artt. 24, 3, 25, 101, 102, 104-111 Cost., sia come clausola aperta suscettibile di essere riempita ed adeguata con la nascita di nuove forme di garanzie processuali, sia come principio vivo di per sé oltre ad essere riassuntivo, anche grazie al confronto diretto con le normative internazionali da cui origina laddove si parla di “processo equo” (art. 6 CEDU, art. 10 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’ONU il 10.12.1948, art. 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall’ONU il 16.12.1966). Sul punto, v.: Andrioli, La convenzione dei diritti dell’uomo e il processo giusto, in Temi romana, 1964, 444 ss.; Cecchetti, voce, Giusto processo, in Enc. dir., Aggiornamento, V, Milano, 2001, 595 ss.; Trocker, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo” in materia civile, in Capponi e Verde, 27 ss.; Vignera, Le garanzie costituzionali del processo civile alla luce del”nuovo” art. 111 Cost., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1185 e 1190; P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, Aggiornameno *** Torino, 2007, 648 ss. Corte Cost., 15-9-1995, n. 432, in Foro it., 1995, 3371; Corte Cost., 24-4-1996, n. 131, con nota di Margaritelli, in Giur. costit. 1996, 1139. Più problematica è, invece, la seconda parte “regolato dalla legge” che – come ha osservato un illustre Autore – rappresenta una novità anche rispetto alle fonti di natura pattizia appena citate: Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, cit., 241-247.
40 Specie dopo il Protocollo n. 11 del 1-11-1998 sono previste misure cautelari dirette ad evitare che, nelle more del procedimento, persone possano essere espulsi o estradati esponendole al rischio di essere messe a morte, o torturate, o sottoposte a trattamenti disumani nel Paese di destinazione. Corte Dir. dell’Uomo, 21-10-1996, in Riv. dir. int., 1996, 531.