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Notiziario n. 2 Febbraio 2013

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(1)

Commercialisti

Cugnasco dr. Massimo m.cugnasco@studiocugnasco.it Coccarelli dr. Fernando f.coccarelli@studiocugnasco.it Collino rag. Giovanni g.collino@studiocugnasco.it Martini rag. Cristina c.martini@studiocugnasco.it Tealdi dr. Alberto a.tealdi@studiocugnasco.it Luciano dr. Davide d.luciano@studiocugnasco.it Cugnasco dr. Marianna mar.cugnasco@studiocugnasco.it

Consulenti del lavoro

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Notiziario n. 2 Febbraio 2013

Dario Ghibaudo, “Piscis Arboreus” 2008 – Museo di Storia Innaturale Resina, argento, pigmenti, plastica, legno (h 20 cm ca.)

Dario Ghibaudo artista contemporaneo nato a Cuneo, vive e lavora a Milano (www.darioghibaudo.it). È sua la “Curva di Peano”, opera entrata ormai tra le principali attrattive artistiche della nostra città. Le copertine dei Notiziari 2013 sono dedicate ai suoi lavori e lo ringraziamo vivamente per la disponibilità.

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Temi del mese

Deducibilità ai fini Irepf e Ires dell’Irap relativa al costo del lavoro...

Il nuovo “redditometro”...

Detassazione del reddito di lavoro dipendente per l’anno 2013...

Tributi

La dichiarazione Iva entro il 28 febbraio consente di evitare la comunicazione annuale dati Iva...

Determinazione dell’ACE per l’esercizio 2012 con indicazione in UNICO 2013...

La separazione delle attività nell’Iva per cassa...

Novità in materia di imposte patrimoniali su immobili e attività finanziarie detenute all’estero...

Rideterminazione del valore delle partecipazioni in caso di scissione societaria...

Trasferimento per successione o donazioni di partecipazioni in societarie estere...

Retribuzioni convenzionali per il lavoro dipendente prestato all’estero...

TARES: nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi...

Diritto commerciale, bilancio, contabilità e varie

Clausole di prelazione impropria di partecipazioni societarie...

Limiti all’utilizzo del denaro contante ed obblighi di segnalazione del Collegio Sindacale...

Interessi moratori sulle transazioni commerciali...

Gli adempimenti dell’Amministratore di condominio a seguito della recente riforma...

Trust e attività fiduciaria

Trust autodichiarato ed imposta sulle donazioni...

Finanziamenti e contributi

Due misure per il sostenimento della produzione di energia rinnovabile...

Contributo a fondo perduto per lo sviluppo di programmi giovanili...

Finanziamento al 50% per la promozione di investimenti nelle imprese...

Contributo per la creazione di nuova imprenditorialità con trasferimento d’azienda...

Consulenza del lavoro

Lavoratori domestici...

Minimali contributivi 2013...

Attività stagionali...

Pensione di vecchiaia...

Coefficiente di rivalutazione del TFR...

Scadenziario

Mese di febbraio...

Pag.

3 5 7

10 10 11 11 11 12 12 13

13 13 14 14

15

15 16 16 17

17 17 18 18 18

19

Numeri utili

Aliquote Irpef (1) - fino a 15.000,00

- oltre 15.000,00 fino a 28.000,00 - oltre 28.000,00 fino a 55.000,00 - oltre 55.000,00 fino a 75.000,00 - oltre 75.000,00

23 % 27 % 38 % 41 % 43 %

Cambio €/$ (4) 1,3352

Rivalutazione TFR (5) 3,302885 %

Indice ISTAT (6) 2,4 %

Tassi Banca Centrale Europea (7) - Tasso di sconto

- Tasso di deposito

1,25 % 0,50 %

Aliquota Ires (2) 27,5 %

Aliquota Irap (2) 3,9 %

Tassi Euribor (8) - 6 mesi - 12 mesi

0,364 % 0,597 % Saggio di interesse legale (3) 2,5 %

(1) A decorrere dall’1.01.2007 (2) A decorrere dall’1.01.2008 (3) A decorrere dall’1.01.2012 (4) Rilevazione alla data del 18.02.2013 (5) Vedi pagina 18

(6) Variazione % del mese di dicembre 2012 sul mese dicembre 2011 (7) A decorrere dal 13.04.2011

(8) Aggiornati alla data del 18.02.2013, valuta del 20.02.2013, base 365

Link utili

Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.it

Ministero delle Finanze www.finanze.it

Enea (pratiche 55%) www.enea.it

Camera di commercio di Cuneo www.cn.camcom.it

Catasto

www.agenziaterritorio.it Comune di Cuneo www.comune.cuneo.it

(3)

Deducibilità ai fini Irepf e Ires dell’Irap relativa al costo del lavoro

A decorrere dal periodo di imposta 2012, con effetto sul modello UNICO 2013, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2, c. 1, del DL 201/2011 (conv. L. 214/2011) sono deducibili dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo:

- l’importo dell’Irap relativo alla quota imponibile delle spese sostenute per il personale dipendente e assimilato, al netto delle deduzioni di legge;

- la quota del 10% dell’Irap corrisposta nel periodo di imposta, forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi ed oneri assimilati, al netto degli interessi attivi e proventi assimilati.

Mentre la seconda tipologia di deduzione, già in vigore dall’esercizio 2004, è calcolata in modo forfetario, la nuova deduzione concessa in relazione al costo del lavoro dipendente è determinata analiticamente.

Ambito soggettivo

Possono fruire delle deduzioni Irap sopra menzionate: le società di capitali (nonché gli enti commerciali, i trust, i soggetti esercenti attività bancaria e finanziaria, le imprese di assicurazione); le società di persone commerciali; le persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo; le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni. Il beneficio delle deduzioni spetta, in sostanza, a tutti i soggetti passivi Irap che determinano la base imponibile secondo i criteri “ordinari” di cui all’art. 5 del DLgs 446/97.

Ambito oggettivo e modalità applicative delle deduzioni

Come precisato già a suo tempo dall’Agenzia delle Entrate in relazione alla deduzione forfetaria (circolare n.

16 del 14.04.2009), ai fini della deducibilità vige il principio di cassa “temperato”: la base di partenza su cui commisurare la quota deducibile è costituita dalle somme versate a titolo di Irap nel corso del periodo d’imposta, fermo restando che la somma versata in acconto rileva “solo se e nei limiti in cui rifletta l’imposta effettivamente dovuta per il periodo di riferimento”. Si ritiene che tale principio debba essere applicato anche in relazione alla deduzione analitica relativa al costo del personale. La ratio è quella di subordinare la deducibilità all’effettivo assolvimento dell’onere.

Le due deduzioni in commento possono essere scomputate dal reddito imponibile esclusivamente nell’ipotesi in cui – nel periodo di imposta cui si riferisce il versamento Irap, a saldo o in acconto – abbiano concorso alla formazione del valore della produzione netta interessi passivi e oneri assimilati e/o spese per lavoro dipendente ed assimilato.

Con riferimento agli interessi passivi occorre ricordare che l’importo rilevante deve essere considerato al netto degli interessi attivi; in altre parole solo se gli interessi passivi superano quelli attivi è concessa la deduzione dalla base imponibile Irpef o Ires, del 10% forfetario dell’Irap pagata.

Le spese relative al lavoro dipendente ed assimilato rilevanti ai fini della deduzione sono date da:

- le retribuzioni correnti, le spese di trasferta, gli accantonamenti al fondo TFR ed ogni altra tipologia di costo attinente ai lavoratori subordinati;

- i compensi corrisposti ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, aumentati dei relativi contributi a carico del datore di lavoro;

- i compensi e le indennità corrisposti agli amministratori delle società assunti con contratto di collaborazione (nell’ipotesi in cui i compensi corrisposti siano relativi a prestazioni che rientrano nell’oggetto dell’arte o della professione i costi relativi sarebbero interamente deducibili ai fini Irap in capo alla società e pertanto non figurerebbero tra i compensi assimilati al lavoro dipendente).

Nessun rilievo ai fini della deduzione per i costi sostenuti con riferimento a prestazioni di lavoro autonomo occasionale o ad attività commerciali occasionali, né per i compensi riconosciuti agli associati in partecipazione con apporto di opera.

La quota dell’Irap riferita alle spese sostenute per il personale dipendente va determinata analiticamente, partendo dall’individuazione dei costi, al netto delle deduzioni di legge eventualmente spettanti, previste dall’art. 11, c. 1, lett. a), nn. da 1 a 5, c. 1-bis, c. 4-bis e c. 4bis1 del DLgs 446/97.

Se il saldo Irap di un periodo di imposta non risulta influenzato dal sostenimento delle suddette spese, mentre gli acconti relativi al periodo successivo lo sono, nel plafond deducibile devono essere computati solo gli acconti e non il saldo del periodo precedente.

(4)

Al fine di comprendere meglio quanto sopra è utile fornire un esempio di calcolo: si ipotizzi che la società in questione abbia sostenuto costi per lavoratori dipendenti sia nel 2011 che nel 2012:

PARAMETRO 2011 2012

Costo lavoratori dipendenti 500.000 400.000

Deduzioni ex art. 11 DLgs 446/97 (250.000) (170.000)

Costo netto lavoratori dipendenti 250.000 230.000

Valore della produzione netta (al netto delle deduzioni) 1.000.000 900.000 La quota di Irap relativa al costo del lavoro deducibile ai fini Ires è determinata calcolando l’incidenza dei costi netti sulla base imponibile (valore della produzione netta) e moltiplicando il coefficiente per i versamenti eseguiti nell’anno di riferimento.

Incidenza del costo del lavoro sulla base imponibile Irap 0,25 0,26

Ipotizzando ora che il saldo Irap 2011, versato entro il 9.07.2012, ammonti ad € 4.500 e gli acconti Irap, versati rispettivamente entro il 9.07.2012 ed entro il 30.11.2012, ammontino complessivamente ad € 27.500, la quota di Irap deducibile dall’imponibile Ires sarà pari a (4.500 x 0,25) + (27.500 x 0,26) = € 8.275.

Spettanza delle deduzioni

Ci si chiede peraltro se, per determinare l’importo della deduzione forfetaria del 10%, l’Irap versata nel periodo vada assunta al netto o al lordo di quanto già dedotto in ragione delle spese per lavoro dipendente o assimilato. È stato chiarito (nelle istruzioni al modello per l’istanza di rimborso della maggiore Irpef/Ires versata per effetto della mancata deduzione dell’Irap relativa al costo del lavoro per gli anni dal 2007 al 2011) che la quota di Irap deducibile in relazione alle spese per il personale deve essere determinata al netto del 10% dell’Irap già dedotta con riferimento al medesimo periodo di imposta solo nel caso in cui la deduzione forfetaria sia stata giustificata esclusivamente dalla partecipazione al valore della produzione netta di spese per il personale dipendente ed assimilato non ammesse in deduzione.

In altre parole, a regime, è sancita la cumulabilità delle due deduzioni (forfetaria e analitica) per il periodo di imposta 2012 e per i successivi. Infatti, a seguito delle novità introdotte dall’art. 2, c. 1 - 1-ter del DL 201/2011, la quota deducibile pari al 10% dell’Irap versata non è più forfetariamente riferita anche all’imposta dovuta sulla quota imponibile delle spese per il personale dipendente ed assimilato, al netto delle deduzioni di legge, ma solo più all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi ed oneri assimilati, al netto degli interessi attivi e proventi assimilati.

Semplificando, se vengono sostenute entrambe le tipologie di costo (interessi passivi e spese per personale) spettano sia la deduzione forfetaria che quella analitica; se invece il contribuente ha sostenuto solo costi per lavoro dipendente ed assimilato allo stesso spetterà solo la deduzione calcolata come nell’esempio sopra proposto. Al contrario, in caso di presenza di soli interessi passivi ed oneri assimilati, ma assenza di spese per il personale, il contribuente potrà fruire esclusivamente della deduzione forfetaria del 10% dell’Irap pagata.

In ogni caso la somma delle deduzioni non deve superare l’Irap effettivamente dovuta per il periodo considerato: nel plafond di calcolo sono pertanto computati il saldo 2011 ed i due acconti 2012 sino a concorrenza dell’imposta effettivamente dovuta per il 2012.

Laddove l’Irap versata in eccedenza venga compensata con i versamenti Irap dovuti per i successivi periodi d’imposta, tali acconti si devono in ogni caso considerare a tutti gli effetti versati ai fini della disposizione in esame, sebbene non vi sia un esborso finanziario materiale per effetto della compensazione.

Società trasparenti

Le società di persone provvedono a scomputare la quota Irap deducibile dal reddito complessivo, secondo quanto descritto precedentemente, all’interno della propria dichiarazione dei redditi. Nel momento in cui dette società imputeranno il proprio reddito ai soci, secondo il principio di trasparenza, tale deduzione sarà fruita dai medesimi proporzionalmente alla quota posseduta.

Non è pertanto necessario che il socio indichi la quota deducibile di Irap nella propria dichiarazione, poiché è il reddito indicato nel quadro RH che comprende già l’effetto della riduzione.

Il medesimo principio è ovviamente previsto per le società di capitali che hanno optato per la trasparenza fiscale ai sensi degli artt. 115 o 116 del TUIR ed è altresì applicato dalle associazioni professionali e dalle altre società ed enti di cui all’art. 5 del TUIR per i quali sussiste il presupposto di imposta.

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Il nuovo “redditometro”

Con l’emanazione del DL 78/2010 e dei relativi decreti ministeriali attuativi sono stati completamente modificati i cc. 4 - 7 dell’art. 38 del DPR 600/73 in relazione all’accertamento sintetico dei redditi delle persone fisiche. Il sistema previgente, sotto questo aspetto simile a quello introdotto dal DL 78/2010, contemplava due tipologie di rettifica sintetica:

- una prima, fondata sul c.d. “redditometro”, ove l’imponibile veniva quantificato sulla base di appositi coefficienti individuati con il DM 10.09.92, aventi valore di presunzione legale relativa;

- una seconda, basata sulla spesa patrimoniale, ove si presumeva che alla capacità di spesa del contribuente (derivante, ad esempio, dall’acquisto di un immobile) avesse corrisposto, al ricorrere di determinate circostanze, una capacità contributiva non dichiarata.

La ratio delle recenti modifiche è rinvenibile, come specifica l’art. 22 del DL 78/2010, nel “fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio”.

Specificatamente il “nuovo” art. 38 del DPR 600/73 prevede che:

- l’ufficio può sempre determinare in via sintetica il reddito del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo d’imposta, salva la prova, fornita dal contribuente, che le stesse sono state sostenute grazie a proventi non imponibili;

- la determinazione sintetica del reddito può essere eseguita in virtù di specifici “fatti indice”, individuati con apposito decreto ministeriale, differenziati in funzione del nucleo familiare e dell’ambito territoriale di appartenenza;

- l’utilizzo della rettifica sintetica postula che il reddito complessivo accertabile si discosti di almeno un quinto da quello dichiarato;

- prima dell’emanazione dell’accertamento, occorre la previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente;

- dal reddito determinato sinteticamente sono deducibili gli oneri di cui all’art. 10 del TUIR e spettano le detrazioni d’imposta per le spese previste dalla legge.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4.01.2013 è stato pubblicato il DM 24.12.2012, attuativo del “nuovo”

redditometro, proprio in ottemperanza a quanto sancito dal richiamato art. 38 del DPR 600/73.

Decorrenza della nuova disciplina

L’art. 22 del DL 78/2010 stabilisce che il “nuovo” accertamento sintetico si applica “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, quindi al 31.05.2010. Di conseguenza:

- sino al periodo d’imposta 2008, trova ancora applicazione l’art. 38 del DPR 600/73 ante DL 78/2010;

- dall’esercizio 2009 in poi, si applica il “nuovo” accertamento sintetico.

Scostamento tra reddito dichiarato ed accertato

L’accertamento sintetico è legittimo, in base alle modifiche apportate dal DL 78/2010, ove “il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato”, cioè quando lo scostamento supera il 20% anche per una sola annualità. Pertanto la condizione di applicabilità della rettifica è mutata rispetto al passato, posto che prima lo scostamento avrebbe dovuto essere di un quarto e per il “redditometro” avrebbe dovuto essere biennale.

La rilevanza del “Redditest”

L’Agenzia delle Entrate, mediante il comunicato stampa dell’8.11.2012, ha comunicato di aver reso disponibile sul proprio sito Internet il software “Redditest”, che consente di vagliare la coerenza tra la dichiarazione dei redditi ed il tenore di vita desunto principalmente dai beni posseduti nonché dalle spese sostenute nel corso del periodo d’imposta. Si rileva comunque che il “Redditest” è uno strumento tarato su base famigliare mentre il redditometro ha rilievo nella sfera giuridica della sola persona fisica.

Se il contribuente risulta coerente avendo compilato il software, ne dovrebbe conseguire, in costanza della situazione di fatto, la non accertabilità ai fini esclusivi del “redditometro”.

Determinazione sintetica del reddito

La ricostruzione dell’imponibile ha come base le spese sostenute dai contribuenti così come evidenziate dalle

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banche dati dell’Anagrafe tributaria e dalle spese medie rilevate dall’Istat. Inoltre devono essere sommati gli incrementi patrimoniali, i quali sono vagliati al netto dei disinvestimenti dei quattro anni precedenti.

Il nuovo strumento si presenta quindi maggiormente attendibile rispetto al precedente “redditometro” di cui al DM 10.09.92 il quale prendeva in considerazione vari beni che costituivano “fatti indice” di capacità contributiva (auto, immobili, aeromobili) e sulla base di questi veniva imputato un reddito presunto la cui logica risiedeva nel fatto che al possesso di detti beni avrebbe dovuto, necessariamente, corrispondere un certo indice di spesa.

Con l’attuale sistema l’imputazione del maggior reddito si basa sulle spese a vario titolo sostenute dal contribuente come emerge principalmente dai seguenti fattori:

- le spese relative a dati in possesso dell’Amministrazione finanziaria in quanto presenti nelle banche dati dell’Anagrafe tributaria;

- le spese medie risultanti dalle indagini Istat;

- gli incrementi patrimoniali al netto dei disinvestimenti;

- eventuali elementi “diversi” da quelli elencati, qualora siano disponibili dati relativi alla spesa sostenuta per l’acquisizione del servizio e del bene e per il relativo mantenimento;

- la quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.

Ricostruzione dell’imponibile

Ai fini della ricostruzione del reddito il DM 24.12.2012 è comprensivo di tre tabelle:

- la Tabella “A”, ove sono indicate le diverse spese che rilevano ai fini del “redditometro”, con annotazione di quelle che vengono valutate sulla sola base degli elementi presenti in Anagrafe tributaria e di quelle che possono essere determinate sia mediante tale dato sia tramite il ricorso alle risultanze dell’Istat e/o a specifiche analisi di settore, nonché gli investimenti effettuati;

- l’allegato “1”, relativo alla potenza media dei mezzi di trasporto utilizzati dai diversi nuclei familiari, calcolata in Kw sulla base dei dati presenti nel PRA;

- la Tabella “B”, concernente le tipologie dei nuclei familiari e le relative aree territoriali di appartenenza.

Per quel che riguarda in concreto la determinazione sintetica del reddito, nell’art. 3 del DM 24.12.2012 è stabilito che esso debba essere ricostruito sulla base:

- dell’ammontare delle spese, anche diverse rispetto a quelle indicate nella Tabella “A” che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, risultano sostenute dal contribuente;

- della quota parte, attribuibile al contribuente, dell’ammontare della spesa media Istat riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza, determinata:

- nella percentuale corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente ed il totale dei redditi complessivi attribuibili al nucleo familiare;

- in assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra le spese sostenute dal contribuente ed il totale delle spese dell’intero nucleo familiare, risultanti dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria;

- dell’ammontare delle ulteriori spese sostenute desunte da studi socio economici;

- della quota relativa agli incrementi patrimoniali imputabile nel periodo d’imposta, con le modalità indicate nella Tabella “A”;

- della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.

Valore probatorio delle risultanze ed onere della prova

Il dato normativo attribuisce al contribuente ampia facoltà di prova contraria, potendo questi dimostrare altresì la diversa entità delle spese attribuite. Tuttavia spesso ciò si rivela impossibile, per cui, sulla falsariga di quel che è stato sancito in tema di studi di settore, acquista un rilievo centrale il contraddittorio tra le parti.

Con riferimento all’ampiezza della prova contraria, gli artt. 38 del DPR 600/73 e 4 del DM 24.12.2012 stabiliscono che essa può consistere nel possesso di:

- redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta;

- redditi esenti;

- redditi soggetti a ritenuta alla fonte;

- redditi “legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”.

(7)

Detassazione del reddito di lavoro dipendente per l’anno 2013

Il 22 gennaio 2013 è stato firmato il DPCM, ora al vaglio della Corte dei Conti per la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che rende operativa, anche per il 2013, la detassazione delle somme legate alla produttività. Per poter applicare il beneficio fiscale ai lavoratori l’azienda dovrà alternativamente:

- rispettare gli indici di incremento della produttività, efficienza, redditività o innovazione, stabiliti dall’accordo;

- operare in almeno tre delle quattro aree d’intervento che, ai sensi del Provvedimento, aumentano la produttività. Le quattro aree sono le seguenti: ridefinizione dell’articolazione dell’orario di lavoro;

distribuzione flessibile del periodo di ferie eccedente le due settimane; attivazione di nuovi strumenti informatici e nuove tecnologie nel rispetto della tutela dei lavoratori; interventi in materia di fungibilità delle mansioni.

Come per gli anni scorsi i contratti collettivi di secondo livello rappresentano la discriminante per l’applicabilità di detto beneficio fiscale ma, a differenza del passato, vengono introdotti i nuovi vincoli sopra indicati.

In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Provvedimento si ritengono fin d’ora auspicabili future indicazioni da parte del Ministero del Lavoro o dell’Agenzia delle Entrate, dato che già da una prima lettura della norma sorgono diversi dubbi applicativi ed interpretativi della stessa. Ad oggi il Decreto, sebbene firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, non risulta ancora applicabile in quanto non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Una volta individuate le somme detassabili, di cui si parlerà in seguito, l’imposta sostitutiva, confermata ancora una volta nella misura del 10%, potrà essere applicata seguendo i seguenti parametri:

- l’agevolazione riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti del settore privato;

- possono essere presi in considerazione i lavoratori che abbiano conseguito un reddito da lavoro dipendente pari o inferiore, nel periodo d’imposta 2012, a 40.000,00 euro, comprensivo di eventuali somme assoggettate ad imposta sostitutiva nel 2012;

- il limite di 2.500,00 euro per l’anno 2013 si ritiene sia al netto della contribuzione previdenziale a carico del dipendente.

In relazione all’importo massimo delle somme oggetto del beneficio fiscale l’articolo 1, comma 3, del DPCM precisa quanto segue: “La retribuzione di produttività individualmente riconosciuta che può beneficiare dell'imposta sostitutiva di cui al comma 1, non può comunque essere complessivamente superiore, nel corso dell'anno 2013, ad euro 2.500 lordi.”

Da un’analisi letterale della norma, poiché il provvedimento parla di “retribuzione di produttività non (..) superiore (..) ad euro 2.500,00 euro lordi” e non di “imponibile fiscale pari a 2.500,00 euro”, si potrebbe pensare che l’importo citato sia riconducibile ad una somma evidenziata al lordo della contribuzione a carico del dipendente.

In merito al limite reddituale di 40.000,00 euro per l’anno 2012 si precisa che per determinare tale importo, oltre a ricomprendere le somme eventualmente detassate nel corso del 2012, andranno inclusi anche i redditi da pensione eventualmente percepiti, in quanto equiparati a quelli da lavoro dipendente ed anch’essi ricompresi dall’articolo 49 del TUIR, mentre si ritiene debbano essere esclusi i redditi da lavoro dipendente percepiti nel corso del 2012 ma assoggettati a tassazione separata, nonché i compensi erogati nell’ambito di collaborazioni a progetto od altre collaborazioni, in quanto redditi assimilati a lavoro dipendente, ma non ricompresi all’articolo 49 del TUIR bensì all’articolo 50 TUIR.

Come già previsto in passato ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del DL n. 93/2008, anche per l’applicazione della detassazione per l’anno 2013, qualora il dipendente non fosse stato in forza all’attuale sostituto per tutto il periodo d’imposta 2012, detto lavoratore dovrà attestare per iscritto all’attuale sostituto che il proprio reddito da lavoro dipendente nell’anno 2012, è stato complessivamente pari o inferiore a 40.000,00 euro.

Inoltre il decreto in esame precisa, richiamando il comma 3 dell’art. 2 del DL n. 98/2008, che le somme assoggettate ad imposta sostitutiva, non andranno ricomprese tra gli importi da considerarsi ai fini ISEE, mentre andranno considerati ai fini dell’accesso alle prestazioni previdenziali ed assistenziali (come per esempio l’assegno al nucleo familiare).

Infine l’art. 1 del Decreto in esame, nel richiamare l’art. 2, comma 4, del DL n. 93/2008, ricorda che è applicabile sia la disciplina che il regime sanzionatorio in materia di imposte dirette (si pensi ad esempio alla sanzione pari al 30% per omesso versamento e 20% per omessa ritenuta, entrambi da parte del sostituto d’imposta, ai sensi rispettivamente degli articoli 13 e 14 del D.Lgs n. 471/1997).

(8)

Come per gli anni 2011 e 2012 anche per il corrente anno l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 10% è vincolata alla presenza di contratti collettivi di secondo livello sottoscritti a livello territoriale o aziendale.

Tali contratti però, a differenza degli anni passati, oltre a definire le voci detassabili, ora denominate

“retribuzione di produttività”, dovranno alternativamente:

- prevedere specifici indici “misurabili” di produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione;

- essere stipulati nell’ambito di almeno tre dei quattro interventi effettuati a livello aziendale, di seguito meglio specificati.

Recependo di fatto quanto stabilito nell’accordo Interconfederale del 21 novembre 2012 le aree di intervento sopra menzionate sono le seguenti:

- modifiche dell’articolazione dell’orario di lavoro, sia in relazione ad una programmazione mensile di variazioni della quantità di ore sia alla loro diversa collocazione temporale;

- programmazione aziendale più flessibile dei periodi di ferie eccedenti le due settimane;

- introduzione di misure che abbiano il fine di contemperare la tutela dei lavoratori e l’utilizzo di nuove tecnologie funzionali all’attività lavorativa;

- disciplina ed individuazione di criteri di fungibilità delle mansioni e di implementazione delle competenze.

Indici quantitativi

Il Legislatore, con l’introduzione del riscontro degli indici quantitativi o, in alternativa, del rispetto delle aree d’intervento, ha cercato, per l’anno in corso, di limitare l’utilizzo indiscriminato della detassazione.

La verifica dei nuovi vincoli introdotti, infatti, dovrebbe dar prova dell’effettivo aumento di produttività, o competitività, o efficienza e, di conseguenza, autorizzare l’azienda a detassare le sole somme riconducibili a detti indicatori o alle citate aree d’intervento.

In particolare il DPCM definisce gli indicatori che dovranno essere disciplinati dalla contrattazione collettiva di secondo livello come “indici quantitativi”, quindi valori misurabili dell’incremento alternativo dei seguenti aspetti: produttività, redditività, efficienza o innovazione.

Mentre la produttività e la redditività di un’impresa possono essere indicizzate, diventa complesso capire come si possa misurare in “valori numerici” l’incremento di efficienza e di innovazione di un’azienda: si rimane in attesa che il Ministero del Lavoro provveda a fornire dei chiarimenti, una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto.

In sostanza i contratti aziendali o territoriali dovranno prevedere non solo detti indicatori quantitativi con le relative modalità di calcolo, ma anche quelle voci retributive – ora retribuzione di produttività – la cui erogazione è espressamente collegata al raggiungimento di detti indici.

In passato, ad esempio, un contratto territoriale poteva prevedere la detassazione dell’indennità sostitutiva delle ferie all’atto della cessazione, in quanto detto accordo recepiva la prassi amministrativa degli anni dal 2008 al 2010 e quindi anche la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 59/2008 che evidenziava la detassabilità della citata voce di indennità sostitutiva.

Al contrario, qualora fossero introdotti indici quantitativi di produttività, il contratto di produttività potrebbe ricondurre lo straordinario a retribuzione di produttività e quindi renderlo detassabile nel caso in cui detti indici evidenzino un aumento della produttività.

Ad oggi, pertanto, si ritiene che nessuna voce possa più essere detassata, se il contratto di produttività non la colleghi esplicitamente al raggiungimento di uno dei citati indicatori quantitativi di produttività, redditività, efficienza, o innovazione, o al rispetto delle aree d’intervento di cui si parlerà di seguito.

Aree d’intervento

Come precisato in precedenza per poter applicare la detassazione, in alternativa al rispetto degli indicatori quantitativi, possono essere operati interventi in tre delle quattro aree così come definite dall’art. 2, comma 1, del DPCM in esame. Anche in questo caso l’accordo collettivo territoriale o aziendale dovrà definire gli interventi da attuare per ogni area nonché le voci retributive (retribuzione di produttività) collegate esplicitamente alla realizzazione degli interventi previsti dal contratto di produttività, in almeno tre delle quattro aree previste dal DPCM.

A tale proposito si evidenzia che il primo comma dell’art. 2 del Provvedimento in esame prevede la seguente definizione delle aree d’intervento:“(..) a) ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione con modelli flessibili, anche in rapporto agli investimenti, all'innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati finalizzati ad un più efficiente utilizzo delle strutture produttive idoneo a raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti mediante una programmazione mensile della quantità e della collocazione oraria

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della prestazione; b) introduzione di una distribuzione flessibile delle ferie mediante una programmazione aziendale anche non continuativa delle giornate di ferie eccedenti le due settimane; c) adozione di misure volte a rendere compatibile l'impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l'attivazione di strumenti informatici, indispensabili per lo svolgimento delle attività lavorative; d) attivazione di interventi in materia di fungibilità delle mansioni e di integrazione delle competenze, anche funzionali a processi di innovazione tecnologica.”

In relazione all’orario di lavoro la ridefinizione dei sistemi di orari dovrà essere realizzata per rendere più efficiente l’utilizzo delle strutture produttive tramite una programmazione mensile della quantità di ore e della loro collocazione temporale. A tale riguardo si ritiene che la differente articolazione di orario non sembra essere alternativa alla diversa quantificazione: i due vincoli devono sussistere entrambi.

Si ritiene, invece, che classico esempio di contemporaneo aumento quantitativo e diversa collocazione temporale delle ore di prestazione sia rappresentato dai meccanismi di orario multiperiodale dove si alternano settimane di picco a settimane di orario ordinario ridotto, in modo tale che l’orario ordinario medio di lavoro sia sempre pari a 40 ore di lavoro (o orario normale più basso, se contrattualmente previsto).

In tale ipotesi un contratto di produttività potrebbe definire retribuzione di produttività la maggiorazione eventualmente prevista per l’applicazione dell’orario flessibile descritto.

In relazione alla distribuzione flessibile delle ferie si ritiene che il provvedimento intenda la non programmazione aziendale delle ferie collettive, in modo tale da mantenere aperta e produttiva l’impresa per tutto l’arco dell’anno.

La precedente “lettera c)” del citato articolo 2, comma 1, non dovrebbe probabilmente riguardare l’introduzione di nuove tecnologie, bensì l’impiego di metodi o accorgimenti che facciano in modo che le nuove tecnologie impiegate vadano di pari passo con i diritti dei lavoratori.

Si pensi ad un sistema di sicurezza adottato dall’azienda grazie al quale ogni porta dello stabile si apra solo al passaggio del badge in dotazione ai dipendenti. Qualora il datore adottasse anche un software in grado di riconoscere il badge ai fini dell’apertura della porta, ma contemporaneamente, renda anonima l’informazione di “chi è transitato a che ora”, verrebbe tutelato il diritto del lavoratore di non essere controllato a distanza, così come previsto dalla Legge n. 300/1973.

Con riferimento alla fungibilità delle mansioni ed alla integrazione delle competenze si ritiene che l’accordo debba intervenire a modifica della declaratoria del CCNL o del CCL territoriale applicato in azienda. L’evoluzione tecnologica e i mercati sempre più mutevoli in cui le aziende oggi operano portano l’impresa a doversi dotare di professionalità che non sempre sono previste tra le mansioni contenute in un contratto collettivo.

In altri casi l’azienda è costretta a modificare la sua attività produttiva trovandosi talvolta in situazioni in cui le professionalità necessarie potrebbero essere svolte da dipendenti già in forza, ma assunti a suo tempo con mansioni differenti. A fronte del cambio di mansione previsto da un accordo di produttività, lo stesso accordo potrebbe prevedere una certa somma da erogare al dipendente a titolo di retribuzione di produttività, che potrebbe quindi essere detassata, qualora vengano effettuati interventi in almeno altre due aree.

In sostanza il Decreto in esame, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, prevede:

- la stipula di un contratto collettivo di secondo livello (sia aziendale che territoriale), nel quale vengano definiti indici quantitativi di produttività, redditività, efficienza, innovazione;

- la definizione di interventi nelle precedentemente citate quattro aree, la definizione della retribuzione di produttività, espressamente collegata al raggiungimento o degli indici quantitativi, o all’effettuazione di interventi in almeno tre delle quattro aree citate;

- il rispetto dei limiti fiscali imposti in relazione all’importo massimo detassabile ed in riferimento al reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente.

Va inoltre evidenziato che il Provvedimento, all’articolo 3, comma 1, precisa che l’azienda, dovrà depositare il contratto di produttività entro 30 giorni dalla sottoscrizione presso la Direzione del lavoro territorialmente competente, unitamente ad un’autodichiarazione che detto accordo è conforme al DPCM in esame. In relazione a tale adempimento, stante un’analisi letterale della norma, sorgono delle perplessità in quanto l’accordo collettivo può essere sia aziendale che territoriale, per cui non è chiaro se, nel caso di accordo territoriale, le varie aziende che lo recepiscono siano tutte tenute a depositarlo, autocertificando che detta intesa è conforme al Decreto in esame.

Inoltre non è ancora chiaro da quando si potrà procedere alla detassazione; al momento si ritiene che essa potrà essere applicata solo dopo la stipula dell’accordo di secondo livello. Bisognerà comunque attendere chiarimenti in merito.

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La dichiarazione Iva entro il 28 febbraio consente di evitare la comunicazione annuale dati Iva

Il 28 febbraio 2013 scade il termine per la presentazione della comunicazione annuale dati Iva per l’anno 2012, secondo le disposizione previste dall’art. 8-bis del DPR 322/1998. Si ricorda che è tuttavia possibile ovviare a tale obbligo procedendo con la presentazione della dichiarazione annuale Iva in via autonoma, in luogo della comunicazione dati Iva. Tale alternativa rappresenta un importante beneficio per quei contribuenti che vantano posizioni creditorie nei confronti dell’Erario. La presentazione della dichiarazione Iva è infatti essenziale per poter beneficiare della compensazione del credito Iva eventualmente disponibile sul presupposto della inesistenza di cartelle esattoriali scadute e non pagate di importo superiore a 1.500 euro. Da notare inoltre che, laddove non vi fossero iscrizioni a ruolo che inibiscano la compensazione in F24, la dichiarazione annuale permette di utilizzare in compensazione anche importi superiori a 5.000 euro salva l’apposizione del visto di conformità o la sottoscrizione del revisore legale, qualora si volesse utilizzare in compensazione un credito Iva per un importo superiore a 15.000 euro (ex art. 10, c. 7 del DL 78/2009).

Coloro che presentano una posizione annuale Iva a debito, invece, dovranno procedere al versamento del saldo Iva esposto in dichiarazione entro il 18 marzo. Tale versamento potrà essere effettuato, anche ratealmente, maggiorando dello 0,33% mensile l’importo di ciascuna rata successiva alla prima.

Determinazione dell’ACE per l’esercizio 2012 con indicazione in UNICO 2013

L’agevolazione ACE (Incentivo alla Crescita Economica), disciplinata dall’art. 1 del DL 201/2011 ed introdotta per la prima volta nell’esercizio 2011, può essere nuovamente applicata nei bilanci relativi all’esercizio 2012. Si rammenta che l’ACE consiste in una deduzione, dal reddito imponibile d’impresa, di un importo corrispondente al “rendimento nozionale del nuovo capitale proprio”. Di fatto dal reddito imponibile si deduce una frazione (per ora definita nella misura del 3%) degli incrementi netti di patrimonio che si sono registrati durante il periodo d’imposta. Tali variazioni in aumento – che possono consistere in conferimenti dei soci, autofinanziamento, accantonamento di utili a riserva – devono essere considerati dunque al netto di eventuali variazioni in diminuzione, che si realizzano nel momento di distribuzione di patrimonio netto ai soci, ovvero di investimenti in società del gruppo, come acquisto di azioni, finanziamenti, o conferimenti in denaro a favore delle medesime.

Per l’esercizio 2012 il coefficiente di incremento patrimoniale del 3% sarà applicato su una base imponibile che – nella maggior parte dei casi – sarà incrementata, se non raddoppiata, rispetto allo scorso esercizio. Ciò poiché, grazie al particolare meccanismo dell’incentivo, che prevede una stratificazione degli incrementi, nel calcolo dell’ACE le imprese possono applicare il coefficiente su un importo che comprende gli incrementi patrimoniali registrati nel 2011, sommati a quelli registrati nel 2012. Se tali incrementi sono costituiti dai soli accantonamenti di utili a riserva, si effettuerà una mera somma algebrica tra i due importi, non essendo previsto alcun ragguaglio al periodo; se invece gli incrementi sono rappresentati da conferimenti e versamenti in denaro gli apporti del 2011 rileveranno per l’intero ammontare, mentre quelli del 2012 dovranno essere ragguagliati ad anno in base alla data di versamento (rileveranno invece per intero solo a partire dall’esercizio 2013). Ad esempio se l’incremento del 2011 era costituito da utile 2010 destinato a riserva per € 2.000 e da un versamento soci di € 600 effettuato il 1° dicembre (ragguaglio per 1 mese: € 50), la base ACE 2011 era pari ad € 2.050. Per il 2012, supponendo che l’utile 2011 destinato a riserva nel 2012 sia pari ad € 1.000, la nuova base ACE sarà 3.600 (di cui 2.600 a titolo di incremento 2011 – per l’intero ammontare – e 1.000 come incremento per il 2012).

Nel conteggio della detassazione per il 2012 si può peraltro utilizzare – in aggiunta al 3% calcolato sulla base imponibile determinata per il 2012 – anche l’eventuale deduzione non utilizzata in UNICO 2012 in quanto eccedente il reddito imponibile.

È infine necessario sottolineare che, ad avviso della Cassazione (sentenza n. 1427 del 22.01.2013), per beneficiare dell’agevolazione in commento è necessario compilare l’apposito prospetto del modello UNICO, in modo tale da fornire all’Agenzia delle Entrate i dati per il calcolo del beneficio. In caso di omissione, a detta della Corte, non è possibile appellarsi al principio di emendabilità della dichiarazione. Si osserva tuttavia che l’Agenzia delle Entrate ha ammesso la possibilità di correggere la dichiarazione per far valere eventuali benefici, in quanto “la mancata indicazione nella dichiarazione originaria della deduzione non può essere sic et simpliciter interpretata come espressione della volontà di rinunciare alla fruizione del beneficio”. Tuttavia pare opportuno e necessario ricordarsi di indicare la determinazione dell’ACE di cui si intende usufruire già nella prima compilazione del modello UNICO 2013, al fine di non incorrere in contestazioni che potrebbero generare la perdita dell’importante agevolazione in commento.

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La separazione delle attività nell’Iva per cassa

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 44/E/2012 del 26 novembre u.s., ha trattato numerosi aspetti relativi al regime in oggetto introdotto dall’art. 32-bis del DL 83/2012. In particolare è stato confermato che l’esercizio dell’opzione, da parte del soggetto passivo con volume di affari non superiore a 2 milioni di euro mediante comportamento concludente ed apposita indicazione nella prima dichiarazione Iva successiva all’esercizio dell’opzione, comporta l’assoggettamento al regime per cassa di tutte le operazioni attive e passive (con ovvia esclusione di quelle esplicitamente esonerate dalla norma). Questo significa che, per esempio, i soggetti che intrattengono numerose operazioni attive verso soggetti privati si trovano a differire la detraibilità sulle operazioni passive all’atto del pagamento e non possono invece differire l’imposta su quelle attive escluse da tale possibilità. Per questo motivo per tali soggetti non è conveniente optare per il regime in commento. Per ovviare a questa situazione si potrebbe adottare la contabilità separata; in questo caso infatti l’Agenzia stessa ha affermato che è possibile adottare il regime Iva ordinario per una attività e quello per cassa per l’altra. Bisogna però dire che la contabilità Iva separata, prevista dall’art. 36 del Dpr 633/72, è adottabile solamente qualora vi siano due attività una a regime ordinario ed una a regime speciale ed ovviamente le due attività siano contraddistinte da codici attività diversi. Applicando il disposto del predetto articolo 36 al regime Iva per cassa si potrebbe concludere che nel caso di due attività distinte, con prevalenza di operazioni attive con soggetti business nella prima e con soggetti privati nella seconda, l’opzione dell’Iva per cassa per la prima attività potrebbe essere conveniente in quanto non si verificherebbe più la situazione di svantaggio di cui sopra.

Novità in materia di imposte patrimoniali su immobili e attività finanziarie detenute all’estero

La Legge di Stabilità – L. 24.12.2012 n. 228 – ha stabilito che l’IVIE (imposta sul valore degli immobili all’estero) e l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero) si applicano a decorrere dall’anno 2012 e non più dall’anno 2011, come in precedenza stabilito. Di conseguenza, come già detto nel notiziario del mese scorso, i versamenti delle predette imposte effettuati nell’anno 2012 – a valere sul 2011 – sono da considerarsi eseguiti in acconto sull’anno 2012. Il versamento a saldo per l’anno 2012 ed in acconto per l’anno 2013 dovranno avvenire secondo i termini stabiliti per il versamento dell’IRPEF.

Con riferimento all’IVIE l’aliquota d’imposta ordinaria è sempre dello 0,76%; è possibile tuttavia applicare l’aliquota ridotta dello 0,4% qualora l’immobile estero e le relative pertinenze siano adibiti ad abitazione principale. Soggetti passivi dell’imposta sono esclusivamente le persone fisiche residenti in Italia proprietarie dell’immobile o titolari di diritti reali sui medesimi.

Con riferimento all’IVAFE l’aliquota d’imposta per l’anno 2013 è dello 0,15%. Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche residenti in Italia che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altri diritti reali. E’ altresì dovuta l’IVAFE nella misura fissa di € 34,20 annuali su tutti i conto correnti e libretti di risparmio detenuti all’estero se la relativa giacenza media annua è stata superiore a € 5.000,00.

Rideterminazione del valore delle partecipazioni in caso di scissione societaria

Il termine per rivalutare le partecipazioni societarie ed i terreni è stato prorogato, dalla L. 228/2012, al 1°

luglio 2013 con riferimento al valore dei beni alla data del 1° gennaio 2013. Torna quindi d’attualità il tema della determinazione del costo fiscalmente riconosciuto quando, dopo la rivalutazione, vengano eseguite operazioni straordinarie. In particolare, nel caso di scissione societaria, non si ha alcun realizzo di plusvalenze o minusvalenze e quindi il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni in capo ai soci ante scissione deve rimanere complessivamente invariato in capo ai soggetti risultanti dopo la scissione. Se qualche socio persona fisica avesse eseguito la rivalutazione della partecipazione prima della scissione, il nuovo valore dovrà essere riconosciuto anche dopo l’operazione, ovviamente suddiviso tra i valori attribuiti rispettivamente alla società scissa ed alla società beneficiaria. In merito al metodo concreto da utilizzare per suddividere il valore rivalutato tra scissa e beneficiaria è intervenuta la circolare 98/2000, che ha previsto la ripartizione del costo originario in proporzione al valore netto contabile del patrimonio trasferito alle beneficiarie e di quello eventualmente rimasto nella scissa. Il criterio proporzionale in funzione dei valori trasferiti alla società beneficiaria è certamente condivisibile, ma occorre valutare se il valore “netto contabile” sia quello più idoneo. Autorevole dottrina suggerisce di adottare un criterio proporzionale riferito ai valori correnti dei patrimoni netti trasferiti, più che ai valori contabili. Si pensi ad esempio al caso in cui

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sia presente un solo immobile, ampiamente rivalutato, attribuito alla beneficiaria. Con l’attribuzione a valori contabili la quota della scissa risulterebbe sopravvalutata mentre quella della beneficiaria decisamente sottovalutata.

Trasferimento per successione o donazione di partecipazioni in societarie estere

La Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia ha trattato, a seguito di specifica richiesta da parte dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti, la dibattuta questione relativa al trasferimento per successione e donazione di partecipazioni in società residenti all’estero. Per meglio comprendere il problema è necessario precisare che i trasferimenti di partecipazioni mortis causa o per donazione, relativamente sia a soggetti partecipati italiani che estero, sono di regola soggette alla disciplina dell’imposta di successione e donazione (con applicazione delle relative aliquote e franchigie). L’art. 3, c. 4- ter, DLgs 346/90 prevede però nel caso di trasferimento a titolo gratuito, anche mediante patti di famiglia, di partecipazioni in società residenti ed a favore del coniuge o dei discendenti diretti alcuni casi di esenzione dall’assoggettamento alla citata imposta. Nel caso di partecipazioni in società di capitali l’esenzione si applica qualora con il trasferimento i beneficiari acquisiscono o integrano il controllo della società ai sensi dell’art. 2359, c. 1, n. 1 del codice civile e se contemporaneamente i beneficiari si impegnano con apposita dichiarazione a detenere il controllo per almeno 5 anni (in caso contrario verrebbe recuperata l’imposta dovuta maggiorata di una sanzione del 30%). Per le società di persone, sempre residenti, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 3/E/2008 e con la risoluzione 446/E/2008 ha dato un’interpretazione estensiva alla norma ritenendo che in tale circostanza non è necessaria l’acquisizione del controllo, ma solamente il vincolo temporale quinquennale di esercizio dell’attività. Constatato che la norma fa riferimento alle sole società residenti parte della dottrina sosteneva, con un’interpretazione estensiva, che per il trasferimento come sopra descritto delle partecipazioni di società non residenti nel territorio dello Stato si potesse applicare l’agevolazione indipendentemente dall’acquisizione o meno del controllo, applicando così anche per le società di capitali residenti all’estero il trattamento previsto per le società di persone residenti. La Dre della Lombardia ha invece ritenuto che nell’intenzione del legislatore, per le società di capitali, il requisito dell’acquisizione o dell’integrazione del controllo è un requisito fondamentale indipendentemente dalla residenza della società e che il dettato normativo che prevede il solo riferimento alle società residenti è semplicemente frutto di un errore anche perchè comporterebbe un immotivato diverso trattamento ai fini tributari solo sulla base della sede del soggetto partecipato. In conclusione quindi anche per il trasferimento di partecipazioni in società residenti all’estero si applica lo stesso trattamento che viene applicato per quelle residenti.

Retribuzioni convenzionali per il lavoro dipendente prestato all’estero

Con decreto interministeriale sono state determinate le retribuzioni convenzionali per l’anno 2013 per i lavoratori dipendenti di datori di lavoro italiani che lavorano all’estero. Tali retribuzioni rilevano sia per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani all’estero che ai fini della determinazione del reddito da lavoro dipendente, in caso di attività prestate in via continuativa.

Condizione principale per l’applicazione di tali convenzioni, in sostituzione delle retribuzioni effettivamente erogate, è il soggiorno nel Paese straniero per più di 183 giorni nell’arco di 12 mesi del soggetto italiano, che continua però ad essere considerato fiscalmente residente in Italia. Nel computo di tale periodo di 183 giorni rilevano anche i periodi di ferie, le festività ed i riposi settimanali, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi. Il tutto deve avvenire sotto un contratto che preveda una specifica posizione all’estero del dipendente. Sono esclusi dalla disciplina i contribuenti in trasferta ed i soggetti che prestano lavoro in uno Stato che ha stipulato con l’Italia accordi contro le doppie imposizioni, che prevedano la tassazione di tali redditi solo nel Paese estero.

Le retribuzioni convenzionali, che sono specifiche a seconda del settore produttivo di appartenenza e della posizione lavorativa del soggetto, sono divisibili in ragione di 26 giornate: in questo modo è più agevole considerare i rapporti instaurati o cessati nel corso del mese. La mancata previsione nel decreto dell’attività svolta dal soggetto comporta l’impossibilità dell’applicazione di tale misura. Nel caso di erogazione di

“fringe benefits” al dipendente, questi non verranno computati nella base reddituale, poiché sono già ricompresi nella retribuzione forfettaria.

Dal lato del sostituto d’imposta, egli deve applicare la tassazione convenzionale a partire dalla prima retribuzione erogata, salvo rettifica in sede di conguaglio se, nel frattempo, il soggetto dipendente ha perso i

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requisiti per l’applicazione del suddetto regime, a norma dell’art. 51 c. 8-bis del TUIR. In questo caso si dovrà tenere conto dei compensi effettivamente erogati.

TARES: nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi

A partire dall’1.01.2013 l’art. 14 del DL 201/2011 ha abrogato la TARSU, la TIA1 o “TIA Ronchi” e la TIA2, detta anche “TIA Ambiente”. Contestualmente lo stesso provvedimento ha però istituito il RES o TARES, ossia il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi. Inoltre la Legge di Stabilità per l’anno 2013 ne ha modificato i criteri di determinazione individuando il 2013 come periodo transitorio.

Presupposto della TARES sono il possesso, l’occupazione o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso ed in grado di produrre rifiuti urbani, anche solo potenzialmente. Sono invece escluse dalla base imponibile le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni, le aree comuni condominiali che sono occupate o detenute in via esclusiva e le zone dove si formano rifiuti speciali. Il tributo dovrà essere corrisposto sulla base di una tariffa commisurata ad anno solare e calcolata in relazione alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e costumi ed alle attività svolte. In particolare è previsto che, fino all’aggiornamento ed all’allineamento dei dati catastali, si considerano superfici assoggettabili al tributo quelle accertate ai fini della TARSU o della TIA1 o della TIA2. Solo dopo tale aggiornamento la superficie assoggettabile alla TARES sarà pari all’80% di quella catastale.

La tariffa e l’eventuale sua maggiorazione saranno versate in quattro rate trimestrali esclusivamente ai Comuni, che potranno però variare sia le scadenze che il numero delle rate di versamento. Per l’anno 2013 il versamento della prima rata è posticipato ad aprile.

Questa misura potrebbe potenzialmente appesantire la fiscalità nel settore agricolo, poiché incide anche sui possessori di costruzioni rurali o aree scoperte. Tuttavia il Comune può deliberare riduzioni tariffarie nella misura massima del 30%, anche nei casi di fabbricati rurali ad uso abitativo; o esenzioni per i locali e le aree scoperte.

Diritto commerciale, bilancio, contabilità e varie

Clausole di prelazione impropria di partecipazioni societarie

Il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n. 158/2012/I, ha focalizzato la propria attenzione sulle clausole di prelazione impropria previste dagli statuti societari. Per clausola di prelazione impropria si intende quella clausola con la quale i soci di una società hanno la preferenza nell’acquistare le partecipazioni della società stessa per un corrispettivo che può essere quantitativamente o qualitativamente diverso rispetto a quello che il cedente otterrebbe vendendo le stesse partecipazioni ad un terzo soggetto acquirente. La prelazione può essere impropria rispetto all’entità del prezzo, in questo caso la clausola prevede solitamente che la cessione avvenga ad un prezzo decisamente inferiore a quello che si otterrebbe dal terzo acquirente; oppure può essere impropria relativamente alla natura del corrispettivo che può prevedere la cessione di partecipazioni solamente in denaro quando ad esempio il socio cedente intendeva invece donarle senza ottenere quindi corrispettivo. Secondo il Notariato tali clausole, nel caso di società per azioni, devono comunque lasciare il passo a quanto disposto civilisticamente, vale a dire che il cedente ha il diritto ad ottenere un corrispettivo non inferiore al valore calcolato mediante l’applicazione del disposto dell’art. 2437- ter, codice civile in tema di recesso a meno che per tale clausola non sia esplicitamente prevista la sua decadenza trascorsi cinque anni dalla sua inserzione. Trascorsi i cinque anni sarebbe valida quindi solamente se prevedesse un corrispettivo pari almeno a quello determinabile dal predetto articolo in tema di recesso. Per le società a responsabilità limitata invece una clausola impropria può essere valida per un periodo massimo di due anni, trascorsi i quali il socio ha il diritto di chiedere il recesso a meno che la clausola stessa non gli riconosca il diritto di percepire un prezzo non inferiore a quanto determinato all’art.

2473 codice civile in tema di recesso nelle società a responsabilità limitata.

Limiti all’utilizzo del denaro contante ed obblighi di segnalazione del Collegio Sindacale

Con riferimento agli artt. 49, 51 e 52 del DLgs. 231/2007 forniscono alcuni chiarimenti gli orientamenti del Ministero dell’Economia in materia di limiti all’utilizzazione del contante e di obblighi antiriciclaggio dei professionisti, emersi durante alcuni convegni su tali argomenti (anche se non ancora ufficializzati).

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Per quanto riguarda l’utilizzo del contante il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati, a meno che il trasferimento in più soluzioni, tra soggetti privati, di importi complessivamente pari o superiori alla soglia consentita, sia previsto da prassi commerciali ovvero sia conseguenza della libertà contrattuale (ad esempio, vendite a rate) e non sia, invece, artificiosamente realizzato per dissimulare il passaggio di somme ingenti in contanti. Sarebbero tuttavia operazioni legittime:

- il prelevamento in contanti di utili della società di persone, operato mensilmente per valori inferiori al limite di € 1.000,00, ma per importi complessivi superiori (operazione invece vietata per gli utili delle società di capitali);

- il prelievo, dalle casse di una ditta individuale, di importi in contanti anche pari o superiori a € 1.000,00, vista la mancanza di trasferimento interpersonale di denaro;

- l‘acquisto di un bene, ad esempio un televisore, del prezzo di € 2.900,00 pagato tramite € 950,00 in contanti, € 800,00 tramite bancomat ed € 1.500,00 tramite assegno bancario con clausola di non trasferibilità;

- il pagamento di uno stipendio di € 1.500,00 attraverso un anticipo in contanti di € 800,00 ed un assegno bancario di € 700,00;

- il pagamento di una fattura di € 3.200,00 (Iva compresa) in quattro rate da € 800,00 con scadenze a 30, 60, 90 e 120 giorni.

Per quanto riguarda invece gli obblighi antiriciclaggio dei professionisti sarebbe stato precisato che:

- la comunicazione delle violazioni relative ai limiti all’utilizzo del denaro contante spetta al Presidente del Collegio Sindacale, delegato ad esprimere la volontà dell’organo. Il Sindaco che intenda esprimere il proprio dissenso può far iscrivere tale posizione a verbale, indicandone i motivi;

- la tenuta della contabilità “semplificata”, al contrario di quella “ordinaria”, non può far emergere le violazioni all’utilizzo del denaro contante e pertanto non darà luogo ad alcun obbligo di comunicazione e, di riflesso, ad alcuna sanzione;

- i limiti all’utilizzo del denaro contante si applicano anche ai soggetti protestati, pignorati e falliti, nonostante le banche non consentano agli stessi l’apertura di conti correnti.

Interessi moratori sulle transazioni commerciali

Nell’ambito della misura contro i ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali, che prevede l’applicazione degli interessi legali moratori per ogni giorno successivo alla data di scadenza del pagamento, il Ministero dell’Economia ha fissato il tasso di interesse allo 0,75% per il primo semestre del 2013. In pratica, sino al 30.06.2013, quando scatteranno i presupposti per l’applicazione della “mora legale” sui pagamenti, bisognerà applicare al proprio debitore un saggio di interesse dell’8,75%, ossia la base di riferimento stabilita più una maggiorazione di otto punti percentuali.

Questo per allinearsi alla direttiva 2012/7/UE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Con le recenti modifiche, quindi, il nuovo DLgs 231/2002 trova una differenziazione tra gli interessi moratori, che possono essere fissati ad un tasso concordato tra i soggetti della transazione e quelli legali di mora, che scattano automaticamente al tasso precedentemente illustrato. Ciò si è reso necessario per avere una maggior manovra nella disciplina delle operazioni tra privati, che possono ancora sfuggire all’applicazione degli interessi legali di mora, mentre le amministrazioni pubbliche hanno molti meno margini di movimento.

Gli adempimenti dell’Amministratore di condominio a seguito della recente riforma

La recente Legge n. 220 dell’11 dicembre u.s., in materia di condominio vede, tra le altre, una serie di precisi adempimenti con riferimento ai compiti demandati all’Amministratore. In particolare, a decorrere dal 18.06.2013, il nuovo art. 1129 del codice civile prevede che nel luogo di accesso al condominio siano obbligatoriamente affisse le generalità, il domicilio ed il recapito dell’Amministratore. Tali informazioni in alcuni condomini già sono presenti, ma derivano da una buona prassi dell’Amministratore stesso; ora invece dovranno essere esposte per espressa norma di Legge. Inoltre l’Amministratore dovrà: fare transitare su un conto corrente esclusivamente intestato al condominio tutte le somme incassate o erogate a qualsiasi titolo ed ogni condomino potrà richiederne copia per visione a proprie spese; richiedere la riscossione forzosa delle somme dovute dagli inquilini entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio in cui il credito è divenuto esigibile

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a meno che ne sia espressamente dispensato dall’assemblea; al momento della cessazione dell’incarico dovrà consegnare tutta la documentazione in suo possesso ed eseguire, senza ulteriore compenso, le attività urgenti fino alla nomina del nuovo Amministratore per evitare pregiudizi ai condomini. I condomini, sempre con riferimento all’Amministratore, potranno revocarlo per via assembleare, in qualsiasi momento, con la stessa maggioranza necessaria per la nomina, vale a dire con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio a meno di diversa maggioranza prevista nel regolamento condominiale. Inoltre la revoca può essere richiesta per disposizione giudiziaria su ricorso di ciascun condomino qualora l’Amministratore non abbia dato notizia all’assemblea di provvedimenti dell’autorità amministrativa relativi a parti comuni dell’edificio, oppure non abbia dato rendicontazione della gestione, o per gravi irregolarità. In quest’ultimo caso rientrano sia le irregolarità fiscali sia quelle relative a violazioni di altre norme di Legge (es. mancata apertura di un conto corrente dedicato). In tali situazioni i condomini, anche singolarmente, possono richiedere la convocazione dell’Assemblea con all’ordine del giorno la revoca dell’Amministratore. In ogni caso un Amministratore revocato per disposizione giudiziaria non potrà mai essere rinominato dall’Assemblea.

Trust e attività fiduciaria

Trust autodichiarato ed imposta sulle donazioni

Si ha un trust autodichiarato quando un soggetto dispone che alcuni suoi beni siano posti in trust e siano quindi segregati, senza peraltro trasferirne l’intestazione ad altro soggetto che funga da trustee, ma assumendo egli stesso entrambe le figure di disponente e di trustee.

Le motivazioni possono essere le più disparate. E’ frequente il caso di trust autodichiarati istituiti a favore di soggetti deboli. Un genitore può ad esempio disporre che alcuni suoi beni siano posti in trust a favore di un figlio disabile, ma mantenendo lo stesso genitore la posizione di trustee fintanto che è in vita o fintanto che è in grado di svolgere tale funzione, stabilendo contemporaneamente chi dovrà assumere l’incarico di trustee al momento della sua morte o della sua sopravvenuta incapacità, ma avendo nel contempo definitivamente stabilito, nell’atto istitutivo del trust, come dovranno essere gestiti tali beni ed utilizzati i relativi proventi nell’interesse del figlio, affinchè tali decisioni non debbano essere assunte da un tutore, o da un amministratore di sostegno, o dal giudice tutelare.

Altra forma di utilizzo può essere quella di fornire una garanzia da affiancare ad una fidejussione rilasciata ad una banca, o comunque ad un finanziatore. In tal modo il soggetto garantito dalla fidejussione è tutelato dal fatto che il patrimonio del fidejussore, istituito in trust, non può essere liberamente alienato svuotando di fatto la garanzia concessa.

L’Agenzia delle Entrate con le circolari n. 3 del 22 gennaio 2008 e n. 48 del 6 agosto 2007 ha sostenuto, senza finora cambiare orientamento, che il trust autodichiarato debba essere assoggettato all’imposta sulle donazioni. Tale tesi è stata disattesa dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, con la sentenza n.

73/15/12 del 4 luglio 2012, che ha affermato che in un atto di costituzione di un trust autodichiarato non sussiste il presupposto impositivo dell’animus donandi in relazione ai beni costituiti in trust. Inoltre, secondo la Commissione, tale operazione non comporta un trasferimento di beni, tanto più quando, come nel caso di specie, vi è coincidenza tra disponente e trustee. Quindi, secondo la Commissione Tributaria, l’atto istitutivo di un trust autodichiarato è soggetto a tassa fissa di registro.

La suddetta decisione, peraltro, si aggiunge alla lunga sequela di sentenze dello stesso tenore che sistematicamente ormai disattendono la posizione dell’Amministrazione Finanziaria in tema di imposte sui trasferimenti da applicarsi agli atti istitutivi di trust di scopo, nel caso in cui i beneficiari finali, ancorchè identificati, non abbiano ancora ricevuto la proprietà dei beni, ma questi rimangano, finché dura il trust, in capo al trustee che avrà l’onere di gestirli, pur se nell’esclusivo interesse dei beneficiari finali medesimi.

Finanziamenti e contributi

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