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1.1 Primo atto di Ich liebe dieses Land di Peter Turrini

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Academic year: 2021

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0. I

NTRODUZIONE

Scopo di questo lavoro è presentare a un ideale pubblico di lettori la traduzione italiana, accompagnata da commento, del volume Fluchtwege.

Autrici dell’opera sono Susanne Scholl ed Eva Rossmann, due giornaliste e scrittrici austriache contemporanee. Il volume comprende testi di genere vario e di autori altrettanto vari. Filo conduttore è il tema dell’immigrazione, problema attuale, considerando che tutt’oggi milioni di persone abbandonano le proprie case per cercare altrove una vita migliore, mettendosi, talvolta, nelle mani di aguzzini o rischiando la propria vita in mare. Una situazione incontrollata che l’Occidente fa fatica a gestire. I flussi migratori provengono non solo da tutta l’Africa, ma anche dall’Europa dell’Est, dall’Asia e, spesso, dall’America latina.

I testi della raccolta mettono in luce la situazione di oggi, spiegandola e presentandola da un duplice punto di vista, quello dei migranti e quello dei paesi ospitanti. Il tema dell’immigrazione unisce non solo le opere, ma anche gli autori, in quanto alcuni di loro sono di origine straniera. La questione tematica viene declinata in vari sottotemi, come la Heimat, l’espulsione e le vie di fuga.

Il presente lavoro si suddivide in quattro capitoli:

Il primo capitolo presenta una scheda delle opere selezionate comprendente notizie biografiche sull’autore e una breve sintesi del contenuto e dei temi affrontati, con alcune riflessioni e pensieri di studiosi, filosofi e critici contemporanei come lo slovacco Slavoj Žižek o il reporter francese Garance Le Caisne.

Il secondo capitolo lascia spazio a un confronto tra i diversi lavori. Tale confronto, oltre ad analizzare il tema generale, i protagonisti, il luogo e il tempo della vicenda, va a identificare le etnie, le culture o le lingue che entrano in contatto.

Il terzo capitolo tratta dei sette casi in cui si dividono i testi della raccolta, con particolare riguardo per il caso di interlingua standard (incontri tra due lingue straniere, ad es: il tedesco e il polacco), compreso in due opere: Eine Egusi-Soup für die Frau Minister di Kurt Palm e Ich liebe dieses Land di Peter Turrini.

Il quarto capitolo si concentra esclusivamente sui lavori che includono casistiche specifiche come ad esempio l'atmosfera fiabesca, il dialetto austriaco, l'interlingua vera e propria e un linguaggio colloquiale. Per questo, vengono commentate solo le scelte traduttive di otto dei tredici testi affrontati.

Di ciascun lavoro vengono analizzate soprattutto le parti più salienti, cioè quelle frasi o parole che, in fase di traduzione, hanno provocato maggiori difficoltà. Ogni osservazione in tal merito terrà conto anche dello stile e del linguaggio dell’autore.

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1. S

CHEDEDEITESTI DELLARACCOLTA

F

LUCHTWEGESELEZIONATIPERLA

TRADUZIONE

In questo lavoro si presenta una selezione di tredici testi che privilegia opere narrative e teatrali. In dettaglio, si tratta dei testi qui elencati: Ich liebe dieses Land di Peter Turrini, luisas preis. di Samya Hamieda Lind, Fluchtarien di Julya Rabinowich, Auf unseren Straßen ist alles ruhig di Anna Weidenholzer, Eine Egusi-Soup für die Frau Minister e Willkommenskultur / Welcome culture di Kurt Palm, Geht, ihr Jungen! di Susanne Scholl, Sina ist da di Eva Rossmann, Der Mond di Michael Köhlmeier, Das gelobte Land di Franzobel, Die Tortentellerwurf, oder: Von der töchterlichen Verteidigung eines Rückkehrers aus dem englischen Exil di Irene Brickner, Grüne Augen di Sunil Mann, Gelobtes Land Tellerrand di Christian Futscher e Der Traum von Prag di Barbara Coudenhove-Kalergi.

Le opere del volume sono per lo più di autori austriaci della contemporaneità, il materiale critico disponibile è assai raro. Le notizie contenute nelle schede di presentazione sono tratte da diversi blog, siti, riviste settimanali tedesche online, come “der Spiegel”, e dal libro, Fluchtwege (vedi sitografia e bibliografia in appendice). D’ora in poi il riferimento all’opera citata Fluchtwege, sarà reso con la sigla FW seguita dal numero della/e pagina/e.

1.1 Primo atto di Ich liebe dieses Land di Peter Turrini

Peter Turrini nasce nel 1944 a Sankt Margarethen im Lavanttal. Dal 1971 lavora come scrittore freelance a Vienna e a Retz. Scrive opere teatrali, poesie, sceneggiature e articoli. I suoi lavori sono stati tradotti in molte lingue e rappresentati in tutto il mondo. Dal 2005 è membro della Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung e, nel 2011, ha ricevuto il premio „Nestroy“ alla carriera. L’estratto qui presente è stato estrapolato dal volume Ich liebe dieses Land (FW: 26).

Ich liebe dieses Land di Peter Turrini è un’opera teatrale, divisa in tre atti.

Fluchtwege contiene solamente il primo di questi atti. Sono rappresentati diversi personaggi, i più importanti sono una donna polacca di una certa età e un nero della Nigeria, di nome Beni. Entrambi sono, per diverse ragioni, in una cella per clandestini, in attesa di deportazione.

Beni è ammanettato a un riscaldamento. I poliziotti lo hanno scoperto senza documenti e, al momento dell’arresto, ha picchiato due agenti. La polacca, invece, lavora al commissariato come donna delle pulizie.

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Beni non parla la lingua tedesca, per questo ripete sempre la stessa frase:

Ich liebe dieses Land, anche dinanzi alle domande della donna delle pulizie, la quale gli racconta della sua patria e della differenza tra prodotti polacchi e tedeschi. Narra dell’esperienza dei Kolchoz e della povertà che ha sofferto in Polonia. Incita il nero a interagire, ma quest’ultimo non lo fa. La polacca sostiene di aver trovato il paradiso in Germania, dove ha ricevuto per la prima volta la gratifica natalizia, l’assicurazione sanitaria e le ferie. Si offre anche di insegnare la lingua tedesca al nigeriano. In quel momento l’agente di polizia entra in scena e scaccia la polacca. Rimasto solo, apre la catena con la quale il nero è ammanettato al termosifone e lo prepara a fare l’esplorazione rettale con il dottore in camice bianco, che, nel frattempo, si è messo un guanto sulla mano destra. Finito l’esame, il dottore se ne va senza aiutare Beni a rivestirsi, mentre l’agente lo riporta al termosifone. Subito dopo entra la polacca che, mossa dalla pietà, tira su le mutande e i pantaloni a Beni.

Ich liebe dieses Land di Peter Turrini è ambientato in Germania. L’autore si è preso la libertà di scrivere di un paese che non è il suo, ma che conosce bene, avendo lavorato per un anno in una fabbrica tedesca, prima di dedicarsi alla scrittura1. I due personaggi chiave dell’opera, il nigeriano e la donna delle pulizie polacca, sembrano accomunati dall’amore che provano per la Germania, anche se il loro è un sentimento diverso. Entrambi scappano dalla fame, dalla miseria e da storie devastanti. La polacca pensa, addirittura, di aver trovato il paradiso in Germania, solamente perché per la prima volta ha dei diritti, delle ferie e un posto fisso. Non le importa di essere trattata con sufficienza dalle altre persone del comando di polizia.

Il nero, invece, non parla la lingua tedesca, ripete sempre e solo: Amo questo paese. Pensa, in questo modo, di venir accolto dalle persone del luogo;

con queste speranze di ospitalità e di comprensione Beni è fuggito dai disordini politici che hanno sconvolto la Nigeria. In Germania trova però solo odio e rifiuto. Le persone che gli fanno visita nella cella per clandestini, in attesa di deportazione, non riescono a percepire i suoi sforzi, perché vengono sopraffatte dalla paura e dai pregiudizi che provano verso lo straniero o “il diverso”, cioè colui che vedono come una minaccia2. Solamente la polacca dimostra un po’ di empatia e di umanità nei suoi confronti. È lei che si offre, pur non conoscendo bene il tedesco, di insegnargli la lingua. È ancora lei che lo aiuta a rivestirsi. Ed è sempre lei che lo tratta come una persona, non come un emarginato o un reietto. A Beni non viene data la possibilità di riscattarsi o di farsi conoscere.

1 Articolo citato: Diese irrsinnige Weißwaschsucht, consultabile sul sito della rivista settimanale tedesca “der Spiegel”, www.http://magazin.spiegel.de/, Henryk M. Broder e Wolfgang Höbel,

<05.03.2001>, URL: http://www.spiegel.de/spiegel/print/d-18649944.html (consultato il 10 settembre 2017).

2 Informazioni disponibili online sul sito della casa editrice tedesca Suhrkamp Verlag, cliccando su Bücher < Ich liebe dieses Land von Peter Turrini, URL:

http://www.suhrkamp.de/theater_medien/ich_liebe_dieses_land-peter_turrini_100744.html (consultato il 20 novembre 2017).

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Non viene compreso, ma trattato come un criminale, ammanettato a un termosifone. I due personaggi tedeschi, l’agente di polizia e il dottore, dimostrano di essere sordi dinanzi agli sguardi e ai lamenti di Beni. Il dottore in camice bianco giustifica, addirittura, il comportamento non professionale di un collega, il quale aveva fatto un’esplorazione rettale a tre uomini diversi usando sempre lo stesso guanto. Sottolineando come la colpa fosse dei poliziotti presenti alla scena, colpevoli di aver fatto battute razziste. Come se il gesto del collega fosse stato meno grave.

I personaggi di Turrini smascherano una società aperta e umana solo in apparenza. La frase Ich liebe dieses Land è una provocazione, se pronunciata da uno straniero ammanettato, che non conosce il presunto “paradiso” della Germania. Per la fotografa, gli psicologi, i giornalisti, l’agente di polizia così come i questori (alcuni dei personaggi entrano in scena negli ultimi due atti), la frase risulta sensazionale, insolitamente affascinante e sconcertante.

Anche il filosofo slovacco Slavoj Žižek, nella sua opera titolata La nuova lotta di classe, ha trattato l'argomento dei rifugiati, sostenendo che, in Europa occidentale, alcune delle reazioni disparate delle autorità e della pubblica opinione al flusso di rifugiati che giungono dall'Africa e dal Vicino Oriente siano simili a quelle che prova una persona alla notizia di soffrire di una malattia terminale. In entrambi i casi, infatti, la risposta si sviluppa in diversi stadi: la negazione, la rabbia, il venire a patti e la depressione. Nella reazione dell'opinione pubblica al flusso di rifugiati manca, però, l'ultimo stadio che è quello dell'accettazione, che in questo caso significa un coerente progetto di livello europeo che affronti la questione dei rifugiati. I mezzi di comunicazione di massa solitamente ritraggono, il semplice e patetico spettacolo della solidarietà di noi tutti contro il mostro islamico omicida. Gli attacchi di Parigi sono stati un momento di brutale rottura della normale vita quotidiana. Questa forma di terrorismo tende a caratterizzare gli attacchi contro le nazioni sviluppate occidentali, in evidente contrasto con quanto accade in molti paesi di tutto il mondo, dove la violenza è una condizione permanente della vita. La violenza terroristica esiste per lo più nell'immaginazione pubblica in forma di minaccia che a intermittenza esplode, al contrario dei paesi nei quali la vita quotidiana consiste di terrore e brutalità praticamente ininterrotti. Tanto gli attacchi terroristici di Parigi quanto l'ormai costante flusso di rifugiati in Europa sono improvvisi promemoria del mondo violento che si trova fuori dalla nostra serra, un mondo che, a noi occidentali, si manifesta in televisione e nei reportage su conflitti lontani, non come parte della nostra realtà quotidiana. Ognuno di noi dovrebbe prendere consapevolezza del fatto che il mondo, al di fuori del nostro ambiente protetto, è pervaso da una violenza brutale che non è solo religiosa, etnica e politica ma anche sessuale3.

3 Cfr. Slavoj Žižek, La nuova lotta di classe. Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini.

Traduzione di Vincenzo Ostuni. Milano, Adriano Salani Editore s.u.r.l., 2016, pp. 7, 8, 11, 13.

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1.2 luisas preis. di Samya Hamieda Lind

Samya Hamieda Lind, austriaca con origini arabe, nasce nel 1967 e vive a Basel. Ciò che la caratterizza è la curiosità. Le discussioni approfondite sui sistemi di potere e le religioni abramitiche influenzano i suoi scritti e anche i suoi lavori teatrali e cinematografici. Le persone e le loro storie la fanno diventare un’archeologa e una chirurga, perché scava in profondità e svela le ferite (FW: 38). luisas preis. esce nel 2016, all’interno del libro Fluchtwege di Eva Rossmann e Susanne Scholl. Samya lavora come regista e pedagogista sia per il teatro che per i film, oltre a essere l’autrice di scritture creative e scientifiche. Ella è il frutto dell’incontro tra lingue, usi, tradizioni e mentalità diverse. Ella ha, da parte di madre, origini italo-austriache e, da parte di padre, origini arabe-egiziane. Proviene da un repertorio culturale molto variegato. È sempre stata divisa tra tre religioni, il cattolicesimo cui è stata educata a scuola, nel Tirolo, l’ebraismo della madre e l’islam del padre. Nonostante ciò, ella non si ritiene religiosa. La sua storia biblica preferita è Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann. Dice di essere ebrea perché lo è la madre4.

La storia documenta l’esperienza della guerra e del nazismo. Nella vicenda narrativa, la protagonista Greta si reca in una città per sgomberare l’appartamento della defunta prozia Lea. Al suo arrivo, vede che l’abitazione è già stata svuotata dalla proprietaria del vecchio complesso residenziale, in cui si trova la locazione. La donna le spiega cosa deve fare e le dà un tesserino per entrare nel seminterrato, dove tutte le cose di Lea sono sistemate in scompartimenti in legno. Greta si immerge nei ricordi della sua infanzia. I suoi bisnonni e, soprattutto, le prozie Lea e Luisa, due gemelle. Poi decide quali cose tenere e quali lasciare. È triste. Va al cimitero per vedere la tomba di suo fratello, morto precocemente, e fa poi rientro nel seminterrato. Qui si imbatte nella piccola valigia, ben tenuta e di pelle che in passato aveva visto sempre, in tutti gli appartamenti di Lea, vicino alla porta d’ingresso. La apre, ma dentro non c’è molto. Rimane però impressionata dal libro di Johanna Spyri, Heidi. Greta ne possiede già una copia; le prozie gliel’avevano regalata in occasione di un viaggio. All’improvviso, cade sul pavimento una piccola foto in bianco e nero che mostra Lea su una nave in partenza. In basso a sinistra c’è una data, 16 settembre 1944, mentre sul retro una scritta, “ich habe es geschafft”. Greta comincia a ricordare la storia che ha saputo da sua madre.

Tutto comincia nel luglio del 1944; Luisa, Lea e la madre devono svolgere lavori forzati. Lea, dopo una notte difficile, decide di rimanere a casa, per provare a guarire la sua emorragia. Viene però arrestata dai nazisti e portata al campo di concentramento di Dachau.

4 Articolo citato: ...und wer ist SAMYA? Fasten mit Samya, consultabile solo online sul blog http://anschnallenoderloslassen.blogspot.it/, Ilse Oberhofer, <17.02.2016>, URL:

http://anschnallenoderloslassen.blogspot.it/2016/02/und-wer-ist-samya-fasten-mit-samya.html (consultato il 20 dicembre 2017).

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Luisa, dopo aver appreso la notizia dell’arresto della sorella, scappa e si dirige al campo di transito della città, per provare a salvarla. Qui si imbatte in due soldati che la umiliano e le tirano dei calci. Ma Luisa si fa forza e riesce a far liberare sia lei che Lea. Le due scappano e ritornano a casa. La madre ordina alle ragazze di fuggire senza di lei. Le gemelle vanno via, ma poi Luisa torna indietro, sentendosi in colpa nei confronti della madre. Lea prosegue il suo viaggio da sola. Arrivata a Havre, prende una nave per l’Inghilterra.

Greta ha svelato la storia. Ora può spegnere la luce e tornare a casa, portandosi dietro un bagaglio di ricordi.

luisas preis. è un testo con un forte contenuto di contemporaneità, basato su esperienze e testimonianze reali. Come ho avuto modo di apprendere dalla stessa autrice, che ha gentilmente risposto via mail alle mie domande5, il racconto narra la storia della sua prozia. Lo scopo è quello di aprire una finestra sul futuro, per guardare e fare tesoro di quello che è successo sia nel passato che nel presente. Fremdsein per lei significa essere ingiustamente accusati, emarginati e non essere compresi, mentre Heimat ha a che fare con la sicurezza e la possibilità di avere una vita normale. L’autrice paragona quanto descritto nel suo testo alla situazione di immigrazione di oggi, affermando che la fuga dalla Germania di Hitler è esemplare per la situazione odierna. I profughi sono spesso alla merce di sistemi politici. Oggi, come ieri, le cose non sono cambiate. Le persone muoiono a causa dei bombardamenti o per cercare salvezza. Molti fanno finta di non vedere ciò che è evidente, cioè che la storia si sta ripetendo. Assistiamo a guerre tra religioni diverse, violenza, attentati e odio, vediamo corpi di bambini martoriati, genitori che urlano, vite spezzate e città in fumo. La Siria è l’esempio più lampante di ciò che la guerra comporta da secoli. Molte persone devono sottomettersi ad atti di violenza e hanno bisogno di moltissima forza e coraggio per riuscirne a fuggire, in ogni caso restano traumatizzati. Queste esperienze, devastanti e scioccanti, vengono passate di generazione in generazione ai familiari delle vittime. Questo suo pensiero si nasconde dietro il significato di frasi che si trovano alla fine di luisas preis.: “Menschen fliehen wieder. die verbrecher. mitten unter uns. die rufer hört keiner. wieder nicht“ (FW: 37).

L’autrice, paragonando il nazismo di Hitler con la situazione odierna, per esempio in Siria, lancia un grido di denuncia forte e chiaro. luisas preis. può essere definita una storia di donne, perché tutte le protagoniste sono delle giovani guerriere che trovano il coraggio di rialzarsi. I personaggi principali sono tre: Greta e le prozie Lea e Luisa. Attraverso i ricordi di Greta, il lettore può scoprire di più riguardo alle sue prozie, soprattutto riguardo a Lea, una delle ultime sopravvissute. Ma può ammirare anche il coraggio e la tenacia di Luisa, pronta a tutto per salvare la sorella. Luisa, nonostante abbia salvato la sorella, non se ne vanta, anzi decide di non svelarlo a nessuno o, perlomeno, a pochi.

5 Come da comunicazione privata dell'autrice Samya Hamieda Lind (vedi appendice pp. 87-89).

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In quest’opera ci sono numerosi passaggi narrativi non espliciti, che fanno sorgere nel lettore interrogativi del tipo: Chi è il ragazzo che accompagna Greta al cimitero, introdotto nella storia con il pronome personale er? O ancora, a quale città fa riferimento l’autrice? e in quale anno Greta ritorna nell’appartamento della prozia? È come se l’autrice volesse lasciare qualcosa di enigmatico, di non svelato, concentrando l’attenzione sulla vicenda di Lea, sul suo essersi salvata dalla morte imminente.

1.3 Fluchtarien di Julya Rabinowich

Julya Rabinowich nasce a San Pietroburgo nel 1970. A soli sette anni emigra con la famiglia a Vienna. I primi anni Novanta la vedono impegnata negli studi alla Dolmetsch Universität, l’università per Interpreti e Traduttori di Vienna e, in seguito, fino al 2006, alla Universität für angewandte Kunst Wien (Università delle arti applicate) con indirizzo pittorico. È autrice di romanzi e di opere teatrali, nonché pittrice. Dal 2006 lavora anche come traduttrice simultanea. Riceve numerosi premi e borse di studio, tra cui, nel 2006, lo Stipendium der Wiener Wortstätten, nel 2009, l’Arbeitsstipendium des BKA e, nel 2010, lo Elias-Canetti-Stipendium6. La scrittrice ha scelto di comporre la sua produzione letteraria in lingua tedesca e non in russo, rifiutando qualsiasi affiliazione a categorie come “letteratura austriaca”, “autore germanofono” o

“Migrantenliteratur”, definizione quest’ultima, a suo parere, discriminante e limitante. La Rabinowich utilizza le proprie esperienze, così come quelle degli immigrati con i quali entra in contatto, per affrontare il tema della clandestinità e dei traumi legati alle migrazioni.

Fluchtarien contiene tre monologhi teatrali di donne immigrate, accomunate dallo stesso destino di persecuzione e sofferenza. Fluchtwege contiene solamente il secondo monologo. L’autrice vi racconta la storia di una slovacca, scappata, assieme a due dei suoi figli, dalla morte e dalla povertà. La fuga viene descritta nei minimi termini, con particolare attenzione per le emozioni e i ricordi della protagonista. All’interno del testo ci sono delle parti meno chiare ed enigmatiche che lasciano il lettore con molti dubbi, ad esempio l’autrice non svela il motivo per cui il marito e gli altri figli non siano in Austria, assieme al resto della famiglia. Il lettore, tramite alcuni rimpianti della protagonista, scopre che il figlio più piccolo è morto. L’autrice tiene il lettore con il fiato sospeso, finché la vicenda si risolve con la salvezza della mamma e dei figli che riescono ad arrivare alla frontiera e a essere portati dai soccorritori a Traiskirchen dove, per la prima volta, hanno un tetto sopra la testa e cibo sufficiente.

6 Articolo citato: Nuove migrazioni, Julya Rabinowich, disponibile solo online sul sito http://www.exilderfrauen.it/, Raffaella Mare (Università di Salerno), <2008>, URL:

http://www.exilderfrauen.it/nuove_migrazioni_dettaglio.php?id=114 (consultato il 15 gennaio 2018).

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La donna è divorata dai sensi di colpa nei confronti degli altri figli, soprattutto verso il bimbo più piccolo, che non ha avuto neanche una degna sepoltura. La protagonista vuole tornare in Slovacchia, ma i due figli che sono con lei non le permettono di scappare. Così la donna decide di rimanere nel nuovo paese dove impara, grazie ai compiti scolastici del figlio, a decifrare le parole e a leggere. La protagonista appare come donna forte, ambiziosa e determinata; disposta a far tutto per garantire un futuro migliore ai suoi figli.

Solo alla fine, sembra rendersi conto di ciò che ha perso e di come la sua vita sia cambiata.

Fluchtarien è un testo che fa dell’ambiguità e dell’apparente semplicità i suoi punti di forza; facendo luce sulle esperienze umane, a volte disumane, come quelle collegate alle esperienze di migrazione, in cui la morte, lo sradicamento dalla terra natia, la desolazione e la nostalgia assumono un ruolo centrale. La protagonista di questo estratto è slovacca, ma la sua storia è simile a quella di molte altre donne che provengono da altri stati e continenti tra i meno fortunati del mondo.

Il monologo esprime al meglio i sentimenti e le paura di un rifugiato o immigrato, persone che scappano da guerre, soprusi, violenze, fucilazioni di massa, dittatori pazzi, attentati e odio.

1.4 Auf unseren Straßen ist alles ruhig di Anna Weidenholzer

Anna Weidenholzer nasce nel 1984 a Linz; attualmente vive a Vienna. Studia letterature comparate a Vienna e a Wrocław, in Breslavia. Dal 2009 alcuni suoi articoli appaiono in riviste e antologie letterarie. Nello stesso anno, lei riceve il premio Alfred-Gesswein. Nel 2010 esce la sua collana di racconti, intitolata Der Platz des Hundes. Nel 2013, il suo romanzo di debutto, Der Winter tut den Fischen gut, è nominato per il premio della fiera del libro a Lipsia. Nell’autunno del 2016 esce il suo secondo romanzo, dal titolo Weshalb die Herren Seesterne tragen (FW: 48-49).

Auf unseren Straßen ist alles ruhig è un testo che si incentra sull’imminente arrivo in città di una misteriosa viaggiatrice, di cui non viene svelata l’identità.

La storia inizia in una notte di primavera, in una città che poi si scoprirà essere Linz. Le protagoniste sono tre: Erika, Mathilde e la viaggiatrice. È un racconto ipotetico; l’autrice mescola due tempi verbali, il futuro e il presente, al punto che, in alcune parti, risulta arduo capire se l’azione si svolga in quel momento o successivamente.

Le prime due protagoniste lavorano in un chiosco e vivono in un appartamento. Erika prepara un piano per accogliere al meglio la viaggiatrice al momento del suo arrivo e dice a Mathilde ciò che deve fare.

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Quest’ultima, però, non pare essere convinta. Erika fa una serie di supposizioni riguardo a quello che la viaggiatrice farà al suo arrivo: “Die Reisende wird einen großen Schluck trinken, weil sie durstig ist” (FW: 44).

Dice anche di avere l’intenzione di far sentire alla viaggiatrice delle registrazioni che si collegano, inevitabilmente, ai temi del Fremdsein e della Heimat, andando a trattare tematiche come inseguimenti da parte di uomini sconosciuti (forse stranieri), accampamenti Sinti e utilizzo del tedesco come lingua comune, all’interno delle aree scolastiche. Nel testo non è chiaro il motivo per cui Erika voglia fare sentire queste registrazioni alla viaggiatrice e non viene neanche specificato a chi appartengono le voci registrate. È tutto molto vago e il lettore può solo fare supposizioni. Il racconto si conclude con la viaggiatrice che se ne va, non prima, però, di aver scoperto il piano delle ragazze. Erika, in alcune parti del testo, fa notare alla viaggiatrice come a Linz i poliziotti e i vigili lavorino bene, avvalorando la tesi, cui allude il titolo, che la città sia ben controllata e sicura.

La Weidenholzer, a cui ho posto delle domande tramite mail7, asserisce che nel testo appaiono eventi ispirati a fatti di cronaca reali. All’inizio del 2016, nel quartiere della stazione di Linz, venne rafforzata la presenza della polizia, dopo che dei giovani marocchini vi avevano compiuto atti di vandalismo. Le dicerie su di essi si diffusero sempre di più, al punto che alcune persone, per la paura, non volevano più mettere piede in quel luogo. Linz, da cittadina tranquilla, improvvisamente diventò un posto pericoloso. A pochi centinaia di metri dalla città, andarono a fuoco le tende di alcune famiglie Sinti; in questo caso, la polizia ebbe un comportamento meno risolutivo e anche la popolazione si dimostrò meno interessata. Da sempre ciascun gruppo umano cerca di mantenere un'identità, ovvero la propria coesione sociale e culturale, mediante la separazione dalle comunità considerate “altre“. La formazione del

“noi“ esige l'esclusione degli “altri“ attraverso complessi meccanismi come la xenofobia, incapacità di accettare confronti tra la propria e le altre comunità.

Questo generalmente accade quando si tende a vedere la diversità altrui non come una risorsa, ma come una minaccia. Ecco che sugli “altri“ si proiettano immagini negative del nemico pericoloso e destrutturante. L'errore del singolo deve riflettersi nella condanna di un intero popolo e semplici fatti sociali diventano dei modelli culturali identificativi di una determinata razza8. In questo caso, le spiacevoli vicende di cronaca di cui parla l'autrice nella mail, che hanno come protagonisti giovani marocchini e gitani, tendono a essere considerate delle sacrosante verità, usate come alibi per giustificare atteggiamenti di xenofobia, paura e discriminazione nei confronti per lo più degli stranieri. Secondo l’autrice, il testo è nato tenendo conto di alcune domande: quando incontriamo persone sconosciute, come le trattiamo? Cosa diciamo sul loro conto? Che impressioni ha di Linz un turista?

7 Come da comunicazione privata dell'autrice Anna Weidenholzer (vedi appendice pp. 89-90).

8 Cfr Santino Spinelli, Rom, genti libere. Storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto con prefazione di Moni Ovadia, Milano, Dalai editore, 2012, pp. 132-133.

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Le citazioni in corsivo, presenti nel testo, sono frasi che l’autrice ha raccolto nelle strade di Linz dai giornali e dai telegiornali o da dichiarazioni sui motivi per cui Linz è considerata la capitale della tranquillità. La Weidenholzer ammette che nel suo testo la Heimat e il sentirsi straniero giocano un ruolo cruciale; anche se, come afferma nella mail: “Die meisten meiner Texte beschäftigen sich mit alltäglichen Leben und Themen“.

1.5 Eine Egusi-Soup für die Frau Minister e Willkommenskultur / Welcome culture di Kurt Palm

Kurt Palm nasce nel 1955 a Vöcklabruck, in Austria. Ha studiato germanistica e scienze della comunicazione a Salisburgo. Vive a Vienna dove svolge le professioni di autore e regista. Il suo romanzo Zwei Mädchen im Strandbad è uscito nel 2017, a primavera, mentre Eine Egusi-Soup für die Frau Minister è un estratto dal romanzo Das Monster vom Attersee, che uscirà nel 2018, sempre a primavera (FW: 59).

Eine Egusi-Soup für die Frau Minister di Kurt Palm è un passo estratto dal romanzo Das Monster vom Attersee, la cui uscita è prevista per la fine del 2018. Nella storia compaiono diversi personaggi, tra cui il ministro degli interni austriaca Dietlinde Breitfurtner-Brandstätter, l’addetto stampa Besendorfer, la direttrice del centro di accoglienza per richiedenti asilo a Pichlwang Barbara Grobelnik, il delegato distrettuale del partito della FPÖ (partito della destra liberal-nazionale austriaca) Tassilo Reichberger, gli addetti ai volantini, il richiedente asilo nigeriano di nome Chimamanda Nkwongu e i suoi due figli, Ayesha (la femmina) e Anikulapo (il maschio). Il ministro viene convinta dal suo addetto stampa Besendorfer a incontrare Nkwongu e i suoi figli, con l’idea di riscuotere simpatia tra la popolazione.

Ella non vorrebbe farlo e mostra di avere molti pregiudizi nei loro confronti.

L’incontro avverrà nella cucina di un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Pichlwang, in presenza della direttrice del centro Barbara Grobelnik e di un rappresentante dei media. Besendorfer fa sapere al ministro che Nwongu vorrebbe prepararle una specialità nigeriana, la egusi soup. Il ministro non ama fare esperimenti culinari, ma accetta per il bene della sua carriera.

L’addetto stampa le promette che il tutto finirà presto. Intanto, Nkwongu, Ayesha e Anikulapo preparano la pietanza. Il padre sceglie strani ingredienti per la ricetta, come la carne dei topi muschiati, assieme a patate e a verdure.

Durante la preparazione, Ayesha scoppia a piangere all’improvviso, perché vuole sapere dal padre dov’è sua madre. Nkwongu le assicura che la rivedranno presto. Poi ripensa alla moglie, rapita dai combattenti di Boko Haram, e diventa triste. Per questo motivo, estrae da una borsa, contenente vari resti di animali, un artiglio della volpe volante e pronuncia una formula magica. Immerge poi, brevemente, l’artiglio dell’animale nella egusi soup già cotta, in modo da farne assorbire la magia.

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Non sa che vi sono attaccati resti di carne secca, in cui si sono depositati milioni di virus ebola. Nel frattempo, la vettura di servizio del ministro arriva a Pichlwang, luogo in cui avverrà l’incontro. Prima di scendere dall’auto, il ministro vede diversi uomini che distribuiscono volantini, contenenti pregiudizi e stereotipi razzisti sugli immigrati, del partito della destra liberal- nazionale austriaca, mentre alcuni richiedenti asilo provano a leggere quello che c’è scritto. Anche il delegato distrettuale del partito Reichberger è presente alla scena, assieme a fotografi assetati di notizie. Prima di uscire, il ministro si fa consigliare da Besendorfer una risposta pronta da dare agli addetti ai volantini. Poi affronta la folla.

Willkommenskultur è un breve testo che fa da proseguimento a Eine Egusi- Soup für die Frau Minister. L’autore usa e mescola due lingue, l’inglese e il tedesco, ottenendo un effetto quasi comico. Lo stesso Kurt Palm, a cui ho posto delle domande tramite mail, afferma di usare un tipo di satira e comicità che ha come caratteristica essenziale l’esagerazione. Per questo motivo, scrive, ha consapevolmente rinunciato a una rappresentazione “politicamente corretta” delle situazioni descritte in queste opere9. Eine Egusi-Soup für die Frau Minister gioca con l’ipocrisia e il perbenismo della società, facendo riferimento inevitabilmente alla situazione attuale. I problemi degli immigrati, dei richiedenti asilo, dell’incontro tra culture e religioni diverse vengono affrontati in modo comico e satirico. In generale, tutti i personaggi appartenenti al mondo dei mass media o della politica sono descritti dall’autore come arrivisti e insicuri, dal ministro degli interni che non vuole avere accanto stranieri, perché ha paura di contrarre malattie, al delegato distrettuale della freiheitliche Partei Österreichs che mostra fiero un tatuaggio con il motto delle SS.

Kurt Palm introduce anche un argomento attuale come quello del rapimento di 276 studentesse da parte del gruppo islamista radicale nigeriano Boko Haram. In Eine Egusi-Soup für die Frau Minister, infatti, la moglie di Chimamanda, il rifugiato nigeriano, è stata rapita dai combattenti di Boko Haram. Il tema è quello della violenza sessuale, usata da sempre anche come arma di guerra, soprattutto contro le donne. Oggi, le critiche anti-colonialiste all'Occidente si manifestano sempre più spesso nella forma del rifiuto di quel che designano come confusione sessuale occidentale, e della richiesta di ritornare a una gerarchia sessuale “tradizionale”.

Sullo sfondo si trovano di nuovo gli scenari dell'immigrazione e della guerra, scenari che spingono a porsi una domanda basilare come: “Che cosa fare, dunque, delle centinaia di migliaia di persone che, nel tentativo di sfuggire alla guerra e alla fame, attendono in Nord Africa o sulle spiagge della Siria di attraversare il Mediterraneo per trovare rifugio in Europa?”.

9 Come da comunicazione privata dell'autore kurt Palm (vedi appendice pp. 83-84).

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Si presentano due risposte principali: la prima vede i progressisti che, esprimendo il loro sdegno per il modo in cui l'Europa sta lasciando che affoghino a migliaia nel Mediterraneo, sostengono che l'Europa dovrebbe mostrare solidarietà e spalancare le porte, mentre la seconda vede i populisti anti-immigrazione che affermano che dovremmo proteggere il nostro stile di vita, alzare i ponti levatoi e lasciare che africani e arabi risolvano da sé i loro problemi. La giusta soluzione, che risulta essere anche quella più realistica, sarebbe quella di cercare di ricostruire la società su fondamenti tali che la povertà risulti impossibile. Per quel che riguarda i rifugiati, il nostro obiettivo sarebbe quello di cercare di ricostruire la società globale in modo tale che non ci siano più rifugiati disperati e costretti a vagare10.

1.6 Geht, ihr Jungen! di Susanne Scholl

Susanne Scholl nasce a Vienna nel 1949, luogo in cui vive e lavora ancora oggi. Per molti anni è stata corrispondente da Mosca per lo ORF. È autrice di saggi, poesie liriche e romanzi, oltre a essere una delle curatrici del libro Fluchtwege. Il suo ultimo romanzo è Warten auf Gianni (FW: 62).

Geht, ihr Jungen! tratta la storia di un uomo che, prima di venire fucilato assieme alla moglie, ripensa alla sua vita, soprattutto alla sua famiglia, verso cui non sempre ha tenuto un comportamento corretto. È stato un uomo violento, padre e marito padrone. L’autrice non svela né i nomi dei personaggi né il luogo e l’epoca in cui si svolge la storia. Risulta però evidente, dalle descrizioni che accompagnano il racconto, che il lettore si trova di fronte a un terribile teatro di guerra. L’uomo è sposato a una donna robusta e sorridente, con la quale ha avuto cinque figli, quattro femmine e un maschio, quest’ultimo morto pochi mesi dopo la sua nascita. Quanto alle figlie, tre le fece salire su un treno per salvarle da una morte imminente, della quarta si capisce che se ne era già andata, dopo aver conosciuto uno straniero. All’epoca, aveva deciso di rimanere in quel paese, convinto che ai “vecchi” non sarebbe accaduto nulla, e obbligando la moglie a restare con lui. Al contrario, li aspetta un destino crudele. Vengono fatti stipare in un carro bestiame e lasciati al buio, senza acqua né cibo, vengono poi fatti spogliare e portati davanti a fosse comuni, in cui sono ammassati i corpi nudi delle altre vittime. Lì attendono la loro esecuzione. In punto di morte, l’uomo trova il coraggio di chiedere scusa alla moglie. Si può pensare che l’autrice, nel suo racconto, si riferisca all’evento tragico della seconda guerra mondiale, allo sterminio degli ebrei. Susanne Scholl non lo svela direttamente, ma cita fatti rimasti tristemente noti nella storia dell’umanità, come ad esempio: “so nackt, wie er jetzt hier vor diesem Massengrab stand“ (FW: 60), “Reise im Viehwaggon unter der brütenden Sonne ohne Wasser und Nahrung (FW: 60)”.

10 Cfr. Slavoj Žižek, La nuova lotta di classe. Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini.

Traduzione di Vincenzo Ostuni. Milano, Adriano Salani editore s.u.r.l., 2016, pp: 13-16.

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Il processo narrativo è però sull’uomo che, per la prima volta, fa i conti con la propria coscienza, si sente in colpa con la moglie per non averle permesso di partire o per averla, spesso, picchiata insieme alle figlie. L’azione di un uomo debole che crede che il rispetto possa essere guadagnato con le botte. Chiedere scusa all’amata è un gesto simbolico, interpretabile in vari modi: scusa per non essere stato un buon padre e marito; per non averle permesso di andare via con le figlie? Per non aver capito prima la situazione?

Per averla condannata a una vita breve e infelice?

Geht, ihr Jungen! è un testo che riflette anche la realtà di oggi. Difatti molti si trovano, prima o poi, ad affrontare situazioni devastanti, come la guerra, o a fare i conti con compagni violenti e criminali.

1.7 Sina ist da di Eva Rossmann

Eva Rossmann nasce nel 1962 a Graz; attualmente vive a Weinviertel. Svolge le professioni di giornalista, cuoca, giurista costituzionalista, presentatrice dello ORF (radiotelevisione nazionale austriaca) e di scrittrice, oltre a essere una delle curatrici del libro Fluchtwege. Nei suoi gialli, incentrati sui personaggi della giornalista viennese Mira Valensky e della sua robusta amica e donna delle pulizie bosniaca Vesna Krajner, l’autrice tratta temi di attualità, di natura socio-politica, al fine di svelare ciò che si nasconde dietro la bella facciata della società consumistica (FW: 74).

Sina ist da racconta la storia di Sina, scappata da una Siria devastata dalla guerra, assieme al figlio Zinedine e al marito Rami. La protagonista racconta del suo arrivo in Austria, a Weinviertel, e della sua voglia di adattarsi a una diversa cultura, tradizione e lingua. Nel testo, la donna si rivolge spesso a un’amica, di cui non viene svelata l’identità e a cui porge domande, come:

“Daheim… Kannst du dich noch daran erinnern, meine Freundin, als wir einen Truthahn wollten? Weil wir das in einem amerikanischen Film gesehen haben?“ (FW: 73).

Il lettore scopre che Zinedine gioca bene a pallone e che Rami, prima di arrivare in Austria, era un giornalista politico. Inoltre, il padre di Sina era un imprenditore edile, oppositore del regime, rimasto in Siria assieme ad altri familiari, di cui ella non sa più nulla. Suo fratello, invece, è morto. In Austria, Sina vive in un appartamento e vuole imparare il tedesco. Cerca anche di integrarsi, facendo cose che in Siria non ha mai fatto, come bere alcool o andare a vedere il figlio che gioca una partita di calcio. L’opera si chiude con la protagonista che ricorda all’amica, la destinataria del racconto, dei momenti felici della loro infanzia.

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Sina ist da mostra l’esempio di un’integrazione riuscita. Tutti i personaggi cercano di trovare un punto di incontro tra loro o, semplicemente, di familiarizzare. La protagonista trova sempre il coraggio di rialzarsi.

Nonostante i drammi vissuti, lei ha voglia di essere felice. L’autrice vuole mandare il messaggio che i rifugiati, persone che scappano da guerre, soprusi e violenze, sono soprattutto esseri umani dotati di intelletto, ciascuno di loro ha una storia da raccontare, ricordi da cancellare e una vita da vivere. Si evince dall’opera che il multiculturalismo è una ricchezza, non una sconfitta. È possibile che più persone, appartenenti a diverse zone del mondo, vivano pacificamente all’interno dello stesso paese, a patto che ci sia volontà di adattarsi a differenti culture e mentalità.

Oggi, invece, si sta diffondendo sempre di più la convinzione che il multiculturalismo stia minando la civiltà occidentale, che l'immigrazione islamica stia erodendo il tessuto sociale e culturale dell'Europa trasformando il continente in una “Eurabia”, che i politici responsabili per aver consentito che ciò accadesse siano nel migliore dei casi sconsiderati e nel peggiore traditori.

Vent'anni fa, il multiculturalismo era considerato la risposta a tanti problemi sociali dell'Europa. Sociologi statunitensi come Nathan Glazer, autore dell'opera We're All Multiculturalists Now, promuovevano l'esaltazione della differenza, il rispetto per il pluralismo, l'affermazione delle politiche identitarie: tutti segni distintivi di un atteggiamento considerato progressista e antirazzista.

Ai giorni nostri, il multiculturalismo è considerato da sempre più persone non la soluzione, ma la causa di una miriade di mali sociali in Europa. Non è solo la percezione del multiculturalismo che è cambiata, ma anche la natura della critica a esso rivolta, spesso animata da opinioni grossolane, anzi miti sull'islam, i musulmani, l'immigrazione, la storia europea e i valori occidentali.

Il mito che il multiculturalismo sia una risposta a una richiesta da parte delle minoranze inverte erroneamente causa ed effetto. Le minoranze non hanno costretto i politici a introdurre politiche multiculturaliste. Piuttosto, lo stesso desiderio di celebrare specifiche identità culturali, almeno in parte, è stato condizionato dall'implementazione di politiche multiculturaliste. Le politiche multiculturaliste sono emerse non perché pretese dagli immigrati, ma in primo luogo perché l'élite politica se ne è servita per gestire l'immigrazione e per mitigare la rabbia creata dal razzismo11.

Inoltre Eva Rossmann, nel suo testo affronta anche il tema attuale della guerra in Siria, ponendo l'accento su uno stato distrutto dai terroristi islamici, dalle bombe degli occidentali e dalle armi chimiche del regime di Assad.

All'inizio del 2013 Damasco, capitale dello stato siriano, diventa una terra tra due fuochi, in quanto comincia la rivolta dei ribelli, oppositori del regime. In questa data, tali oppositori prendono possesso di alcuni quartieri di Damasco, mettendo dei cecchini sui palazzi alti e sparando addosso ai potenziali nemici, per lo più civili.

11 Cfr. Kenan Malik, Il multiculturalismo e i suoi critici. Ripensare la diversità dopo l'11 settembre.

Traduzione di Valentino Salvatore. Roma, NESSUN DOGMA editore, 2016, pp. 4,5,6,7,44.

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Di tutta risposta, il complesso militare del regime viene per metà accerchiato dall'Esercito siriano libero, che comprende la polizia militare, le forze speciali, una parte della guardia presidenziale, l'accademia militare. Ha inizio una carneficina lunga e sanguinosa in cui il numero delle vittime sale sempre di più. Molti innocenti vengono arrestati e giustiziati; si respira un clima di terrore. La gente è in prigione senza sapere il perché, forse per il solo fatto di essere viva. Il 21 agosto 2013, il regime risponde ai ribelli con un attacco di gas nervino che uccide più di 1500 civili nella pianura di Ghouta.

Assad, come sostiene il reporter francese Garance le Caisne nel suo libro La macchina della morte. Siria: oltre il terrore islamico, occulta i suoi crimini nelle camere di tortura, a differenza dell'Isis che invece li esibisce sui social network12.

Questa è la situazione che spinge Sina, la protagonista, a scappare dalla sua patria e a cercare salvezza in Austria, stato in cui può ricominciare a essere felice.

1.8 Der Mond di Michael Köhlmeier

Michael Köhlmeier, scrittore e musicista austriaco contemporaneo, nasce nel 1949 a Hard, nel Vorarlberg. Vive e lavora a Hohenems e a Vienna.

Dall’inizio degli anni ottanta ha pubblicato numerosi romanzi, tradotti in più lingue. Le sue fiabe e le sue rielaborazioni di antiche saghe o di temi leggendari sono state trasmesse anche alla radio e in televisione. Nel 2016 ha ricevuto la croce d’onore austriaca per le scienze e per le arti di prima classe.

Di recente, sono uscite altre due sue opere: Zwei Herren am Strand, nel 2014, e Das Mädchen mit dem Fingerhut, nel 2016. La fiaba Der Mond è stata inclusa, per la prima volta, nell’album Das Märchen und der Blues di Michael Köhlmeier e Karl Ratzer, uscito nell’anno 1999, in Austria, contenente electric blues e audiobook (FW: 92).

Der Mond racconta di una bambina bellissima nata però con delle fauci, zanne da lupo. A causa del suo aspetto, viene nascosta dalla madre in una cameretta affinché non la veda nessuno, neanche i suoi sette fratelli. Poco prima della sua nascita, i fratelli avevano ricevuto dal padre, sul letto di morte, diversi compiti, come badare alle stalle con gli animali, ai parassiti o al denaro. Erano toccate al più giovane queste ultime due responsabilità. Passati quindici anni, gli altri figli si accorgono dell’esistenza della sorella grazie al più giovane, il quale scopre anche la sua vera natura di spietata assassina, che ammazza e scuoia gli animali sotto forma di nuvola. Egli è anche l’unico a non innamorarsi di lei, a differenza dei fratelli. Per questo motivo, scappa e finisce in una foresta dove conosce una donna, che vive in una torre senza porte.

12 Cfr. Garance le Caisne, La macchina della morte. Siria: oltre il terrore islamico, Bergamo, Rizzoli editore, 2015, pp: 98-111.

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I due vivono insieme per molto tempo, fino a quando il giovane sente il desiderio di rivedere la sua famiglia. Prima di lasciarlo andare, la donna gli dà tre doni da usare in caso di pericolo, un pettine, una cote e un pezzo di carbone. Così egli ritorna al villaggio natio, dove vede cadaveri ovunque. Non trova né la madre né i fratelli, incontra invece la sorella che lo invita a mangiare nella loro casa, con l’intento di ucciderlo. A questo punto anche lui se ne innamora, ma riesce comunque a scappare, grazie al piano di un esserino, che si scopre essere sua madre, diventata così piccola dalla paura.

Scoperto l’inganno, la sorella uccide la madre calpestandola, e va all’inseguimento del fratello. Questi getta dietro di sé i tre doni, per allontanarla da sé e sconfiggerla, ma non ci riesce. Ritrova, però, la torre con la donna che gli porge la mano. La sorella, però, gli afferra i piedi e non vuole lasciarlo andare. Così il giovane rimane teso tra due estremità, in alto la donna e in basso la sorella.

La storia si chiude con un finale a sorpresa in cui la luna fa la sua comparsa e dice: “Siehst du, so geht es mir auch. Einmal bin ich im Schwarzen, einmal bin ich im Weißen. Einmal im Hellen, einmal im Dunkeln.

Du musst es aushalten! Halt es aus!“ (FW: 91).

Zigeunermärchen è una fiaba popolare, gitana, che si distingue da altre fiabe tradizionali, soprattutto per la mancanza di alcuni tratti distintivi di questo genere narrativo. A Der Mond manca, ad esempio, la classica formula di apertura, es war einmal. Qui, infatti, il racconto inizia con “ein Vater hatte sieben Söhne (FW: 86)”. Nell’opera risulta anche evidente come il lupo cattivo, l’antagonista per eccellenza in molte fiabe, compaia nei connotati di un personaggio umano che è, però, dotato di caratteristiche animali (“das Kind hatte Hauer, ein Gebiss wie ein Wolf”) (FW: 86). Nel testo l’animale spaventoso assume le sembianze di una bellissima ragazza. Si ha anche lo scenario del bosco, il luogo prediletto per collocarvi torri, castelli e principesse imprigionate. Insomma, un luogo paradisiaco, ma anche maledetto. Ciò nondimeno, anche la magia fa la sua comparsa attraverso i regali che la donna, nella torre, consegna al suo amato, il più giovane, o attraverso l’esserino parlante, che si scopre poi essere la madre, o ancora, attraverso la torre senza porte. Der Mond può essere considerata anche una “fiaba nera” perché, nonostante siano presenti alcune caratteristiche peculiari del genere fiabesco, per esempio tempi e luoghi vaghi, imprecisi e indeterminati (l’autore non dà informazioni sull’anno o sulla località geografica in cui si svolge la storia), risvolto formativo o di crescita morale, ha un contenuto horror, appunto nero, mescolato ai topics tipici di un racconto destinato, per lo più, a bambini (la donna nella torre, la foresta incantata, l’esserino e il personaggio cattivo).

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L’opera mantiene la struttura della fiaba, perché c’è una situazione iniziale (“ein Vater hatte sieben Söhne”) e uno svolgimento, composto dalla fase dell’allontanamento e dalle prove che deve affrontare il più giovane dei fratelli (soffi, animali scuoiati, sorella assassina, fuga, l’incontro con la donna nella torre, ritorno al villaggio natio e nuova fuga). Manca del tutto la vittoria dell’eroe. Questa fiaba non si conclude con il classico lieto fine, al contrario c’è un finale aperto, che apre varie domande ai lettori e che necessita di essere interpretato. Cosa simboleggia la luna? Che fine farà il giovane? Rimarrà per sempre teso tra le due donne? Cosa intendeva dire la luna con le sue parole?

Quale intento morale vuole trasmettere l’autore?

Il significato dell’opera non è esplicito e necessita di interpretazione.

Formulando delle ipotesi, si può pensare che il racconto inviti a non lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze e che tutto è possibile.

Forse l’autore vuole trasmettere anche il messaggio che niente è scontato, che bisogna difendere i propri amati prima che sia troppo tardi, e che la bellezza esteriore non corrisponde, talvolta, a quella interiore.

Con le sue parole la luna potrebbe alludere alla storia del popolo gitano che viaggia tutta la vita, spostandosi per il mondo. Anche i gitani, come la luna, sono spesso divisi tra due estremità, come ad esempio le loro tradizioni e quelle del paese di arrivo. Essendo una fiaba di origine gitana, si può intuire il motivo della sua appartenenza ai temi del Fremdsein, della Heimat e delle Fluchtwege. Il gitano, infatti, è sempre stato un girovago fin dall’antichità.

Gitano è uno dei tanti termini usati per riferirsi ai popoli romaní, originari dell’India del Nord. Oggi sono stanziati in vari paesi e vivono in sistemazioni provvisorie come tende, camper o altro, separati dalla città. La cultura romanì è una cultura transnazionale, la quale, se intesa in senso antropologico, è costituita da un insieme di conoscenze che include: le credenze, l'arte, la morale, le leggi, i racconti, le fiabe, i proverbi, i detti, le filastrocche, le narrazioni, gli indovinelli, i motti di spirito e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall'individuo come membro della comunità che lo identifica con la romanipé (identità romanì). Un Rom apprende e accetta la propria cultura, come apprende e accetta la propria lingua madre. Egli impara la lingua materna e si esprime con essa. Il folklore romanó si trasmette in diversi modi:

oralmente, in forma scritta e attraverso sistemi multimediali.

Le favole, le fiabe come Der Mond, le leggende e i racconti sono detti in lingua romanì paramiśa e spesso sono raccontati ai più giovani dai patriarchi o anziani. I narratori raccontano le loro storie per diversi motivi: per educare, per distrarre gli ascoltatori, per divertirli, per intrattenerli, per rivelare una verità, per metterli in guardia contro i pericoli della vita. Oggi ogni Rom, a causa delle vicende storiche, economiche e sociali che hanno condizionato la diaspora della popolazione romanì e la loro stessa cultura, ha un'identità prismatica, ovvero un multiplo patrimonio culturale, linguistico e psicologico.

I gitani vivono spesso di espedienti e sono vittime di pregiudizi. C’è un divario tra il loro modo di vivere e quello della maggior parte dei popoli occidentali.

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Sono persone che non scappano da guerre o dalla fame, ma che si spostano per usanze e ideologie. Rappresentano delle realtà distanti che non sempre vengono comprese o conosciute fino in fondo. È inutile e dannoso, nell'attualità, imporre un'identità unica a un individuo o alzare steccati etnici invalicabili. È più conveniente apprendere a valorizzare tutte le sfaccettature della realtà contemporanea, dinamica e pluriculturale13.

1.9 Das gelobte Land di Franzobel

Franzobel nasce nel 1967 a Vöcklabruck; attualmente vive a Vienna. Scrive romanzi, poesie liriche, libri per bambini e pezzi teatrali; questi ultimi rappresentati in diverse parti del mondo e tradotti in più lingue. Tra i suoi romanzi ricordiamo: Das Fest der Steine oder Die Wunderkammer der Exzentrik (anno 2005), Was die Männer so treiben, wenn die Frauen im Badezimmer sind (anno 2012) e i gialli Wiener Wunder (anno 2014) e Groschens Grab (anno 2015). Nel 1995 riceve il premio Ingeborg Bachmann, nel 2002 il premio Arthur Schnitzler e, nel 2005, il premio Nestroy.

Fluchtwege contiene solo un estratto di Das gelobte Land, un lungo e inedito pezzo teatrale. Da quest'opera è stato anche tratto un film (FW: 107).

Das gelobte Land si apre con Noah, uno scrittore, che ha scritto un pezzo teatrale sull'integrazione e sull'Europa fortezza, che vorrebbe mettere in scena.

Egli, però, è indeciso per via non solo delle minacce ricevute, ma anche delle frequenti discussioni che ha con Engelmaier, sua voce interna e coscienza.

Sanna, fidanzata di Noah e giornalista curda e musulmana, con un passato migratorio alle spalle, lavora temporaneamente all'Hotel Europa come addetta alle pulizie. Sanna accusa Tassilo Palladino, ideologo popolare di destra, di aver cercato di stuprarla, mentre puliva la sua camera all'Hotel Europa. Tassilo accusa tutti i musulmani di essere terroristi e li dipinge come beduini in cerca di vergini da violentare. Parla di guerra di religione, di scontro tra civiltà.

Come verrà poi svelato nel corso del pezzo teatrale, l'accusa di Sanna è falsa.

Lei non ha mai rischiato di subire una violenza, il suo è un atto di vendetta nei confronti di un razzista. Sanna ha un fratello Albert, cineasta e blogger, arrestato in un paese vicino alla frontiera siriana, mentre, a detta della sorella, andava a trovare la zia Fatima. Albert è sospettato dall'autorità di essere un potenziale terrorista. Questa questione resta enigmatica. Franzobel fa poi entrare in scena Hermann, il bisnonno di Noah, un comandante delle SS di oltre cento anni, scomparso in Russia dal 1943, precipitato durante un volo di ricognizione sulla Siberia e ritrovato congelato, molti anni dopo, a nord di Murmansk. Hermann è sempre vivo ed è rimasto razzista e antisemita. Inoltre, non sopporta l'idea di aver perso la guerra.

13 Cfr. Santino Spinelli, Rom, genti libere. Storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto con prefazione di Moni Ovadia, Milano, Dalai editore, 2012, pp: 199-200.

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Franzobel affronta argomenti scottanti e attuali come il terrorismo e lo stupro, in modo ironico e sarcastico, mettendo in scena personaggi alquanto controversi. In Das gelobte Land, c'è un confine labile tra accusatori e accusati, giustizia e vendetta, odio e tolleranza. Persino gli stereotipi sono ingannevoli e l'accusa di stupro, viene trattata con indifferenza dalle autorità, forse per razzismo e pregiudizi o per il potere e la fama dell'accusato. Rimane enigmatica, invece, la questione se Albert, fratello di Sanna, sia o meno un potenziale terrorista, come sospettano le autorità.

Franzobel, attraverso Albert, tratta del terrorismo islamico, formalizzato nel giugno del 1998 con l'annuncio, da parte di Osama bin Laden, della nascita del “Fronte internazionale islamico per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati”, e il suo braccio armato, ribattezzato la “Qaeda (la base)”. Bin Laden è il catalizzatore di una miriade di gruppi e di singoli militanti islamici jihadisti, che credono nella Jihad come Guerra santa, e di alcuni servizi segreti di paesi che indirettamente o direttamente condividono il suo antiebraismo e antiamericanismo. La fede nel “martirio” islamico, pur facendo esplicito riferimento a una intepretazione di taluni versetti del Corano e taluni detti e fatti attribuiti dalla Sunna al profeta Mohammed, ha una connotazione ideologica. Lo si deduce dal fatto che non c'è concordanza, in ambito teologico, sul concetto della shahada, il “martirio”, e sulla figura del shahid, il

“martire”. Molti teologi legittimano il “martirio” solo quando le vittime sono israeliane o occidentali, mentre lo condannano come terrorismo quando le vittime sono musulmane, arabe, o se avviene al di fuori dell'Israele e dell'Iraq.

Per Bin Laden, invece, gli ebrei, i crociati e gli apostati, intesi come musulmani contrari al terrorismo e ai suoi esponenti, sono nemici allo stesso livello e quindi considera legittimo il loro massacro indiscriminato. L'arma vincente di questa guerra mondiale del terrorismo islamico, il terrorista suicida, è il prodotto di una “fabbrica di kamikaze”. L'Occidente è impreparato a fronteggiare il terrorista suicida, proprio perché tende istintivamente a considerare che ognuno abbia a cuore la propria vita14. Uno dei successori di Bin Laden, dopo la sua morte, è stato Abu Bakr al-Baghdadi. Anche con lui e dopo di lui, il Califfato dello Stato islamico è stato ed è destinato a rimanere protagonista del conflitto della Jihad globale contro gli Stati Uniti e l'Occidente15.

14 Cfr. Gaetano Quagliariello e Andrea Spiri (a cura di), Sfida all'Occidente. Il terrorismo islamico e le sue conseguenze. Dall'11 settembre 2001 all'elezione di Donald Trump, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2017, pp: 82-85.

15 Cfr. Gaetano Quagliariello e Andrea Spiri (a cura di), ibidem, p. 215.

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1.10 Der Tortentellerwurf, oder: Von der töchterlichen Verteidigung eines Rückkehrers aus dem englischen Exil di Irene Brickner

Irene Brickner, giornalista e autrice austriaca, nasce nel 1960. Lavora per quotidiani, come “Die neue Az”, e per settimanali come “Das Profil” e “Der Falter”. Dal 2000, è redattrice e commentatrice presso il quotidiano “Der Standard”, dove si occupa, in generale, di tematiche legate ai diritti dell’uomo e, in particolare, della politica delle pari opportunità e delle questioni riguardanti i diritti degli stranieri (FW: 114).

L’opera der Tortentellerwurf, oder: Von der töchterlichen Verteidigung eines Rückkehrers aus dem englischen Exil mette in primo piano l’amicizia che lega la signora G.s a Anna, due ex compagne di scuola. Tale amicizia viene ostacolata dai mariti, uomini completamente diversi. Uno, il signor G., è un ebreo, rimpatriato in Austria dopo l’esilio in Inghilterra; l’altro, Hermann, è un ex soldato antisemita e burbero della Wehrmacht. La storia si svolge in Austria, negli anni settanta. La famiglia G. visita regolarmente la casa di Anna. In queste occasioni, la donna offre loro, nella cucina surriscaldata, succhi e dolci fatti in casa. Hermann odia gli ebrei, per questo non può fare a meno di parlarne, anche dinanzi agli ospiti. Puntualmente la moglie è costretta a interromperlo, per evitare che la situazione degeneri. Un sabato pomeriggio di agosto, Anna non riesce a deviare il discorso. Nonostante i rimproveri della moglie, Hermann continua a provocare l’invitato, davanti alla signora G. e alla figlia di costoro, Malwine. Quest’ultima, per difendere il padre, lancia il piatto da dolce contro la finestra di Anna, frantumandone i vetri. Poi lascia l’abitazione assieme ai genitori. In seguito al diverbio, la signora G. e Anna decidono di rivedersi all’insaputa delle rispettive famiglie.

Nel testo vengono affrontati diversi temi, tra cui il nazismo, l’antisemitismo, l’amicizia, la povertà e le distinzioni sociali. Ciò che impressiona è il legame che unisce Anna alla signora G, legame talmente forte da superare le avversità e i rancori creatisi tra le famiglie. Le due ex compagne di scuola appartengono a mondi diversi: la signora G. è abbiente e politicamente di sinistra; Anna è una casalinga che vive in un piccolo comune periferico; sposata a un ex nazista. Come mi ha confermato direttamente l’autrice, che ha risposto via mail alle mie domande16, il testo è autobiografico: il padre della Brickner ha realmente trascorso il periodo nazista in esilio in Inghilterra. La scrittrice ammette di aver vissuto situazioni simili a quelle descritte nel testo, dato che, durante la seconda guerra mondiale, molti austriaci erano stati nazisti convinti e anche in seguito. L’autrice afferma di essersi inventata solo il finale della storia, con il lancio del piatto: un gesto simbolico di rivolta e affermazione da parte di chi, nella posizione di vittima di pregiudizi, di solito tace e non reagisce.

16 Come da comunicazione privata dell'autrice Irene Brickner (vedi appendice pp. 85-87).

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La Brickner sostiene che non era affatto facile vivere nell’Austria post hitleriana, soprattutto se si era ebrei e di sinistra, come il padre. L’autrice, paragonando tale situazione al fenomeno odierno dell’immigrazione, sostiene che niente sia cambiato, dal momento che risentimenti, odio e pregiudizi pervadono ancora l’Occidente, rendendo difficile la vita degli stranieri e di molti rifugiati.

1.11 Grüne Augen di Sunil Mann

Sunil Mann, figlio di un immigrato indiano, nasce nello Oberland Bernese, in Svizzera. Da venticinque anni vive a Zurigo. Dopo il diploma di scuola alberghiera, viene ingaggiato come assistente di volo presso la compagnia aerea nazionale svizzera, dove lavora ancora oggi part-time. Nel 2011 riceve, grazie al suo romanzo di debutto Fangschuss, lo Zürcher Krimipreis (FW:

122).

Grüne Augen, che si svolge a Zurigo, ha come protagonista una ragazza di nome Susanne, la quale si scoprirà poi essere la vittima di un inganno, che finirà per togliere la vita non solo a lei, ma anche a molta altra gente innocente. Studentessa di etnologia e appassionata di culture provenienti da paesi esteri, Susanne è una persona solidale, ingenua e con un grande cuore.

Difatti, è in prima linea nella lotta alle discriminazioni. Si batte per difendere i rifugiati, facendo sentire la propria voce anche in social network, come Facebook. Il suo grande sogno è scrivere, sta infatti lavorando alla stesura del suo primo romanzo. Al bar, dove si reca frequentemente per rilassarsi e scrivere, conosce Abdul, un giovane dagli occhi verdi che le ruba il cuore.

Abdul è un piccolo delinquente che ha abbandonato la scuola. I due parlano e decidono di rivedersi. Susanne organizza l’uscita nel loro bar preferito che si affaccia sullo Sechseläutenplatz, una famosa piazza di Zurigo. Qui i due potranno ammirare l’evento dell’anno: la presidentessa della Confederazione svizzera terrà un discorso davanti a una folla di persone, in più ci sarà musica e intrattenimento. Le cose non vanno come la protagonista spera. Durante l’appuntamento, Abdul scappa, facendo finta di dimenticarsi lo zaino. Susanne lo va a cercare in mezzo alla folla per ridargli la borsa. Ed è qui che scopre che nello zaino c’è una bomba. Ormai però è troppo tardi e scoppia in aria assieme agli spettatori e ai politici. In seguito, gli inquirenti interrogano i familiari e i conoscenti di Susanne, perché per tutti è lei l’artefice della strage del Sechseläutenplatz.

Nel testo, Abdul è presentato come il terrorista tipico, almeno in base a quanto di solito riporta la stampa in casi analoghi. Da sempre emarginato, escluso dai compagni di scuola, solitario, piccolo delinquente e disoccupato, giovane facile da indottrinare.

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Tra l’altro, nel testo non è chiaro se Abdul sia il suo vero nome o se sia solo un’invenzione, perché Susanne, quasi alla fine dell’opera, legge sull’etichetta del suo zaino il nome di Werner Inderbitzin. Il lettore non sa quali dei due nomi sia quello vero e se lo zaino appartenga veramente a lui o se sia stato rubato. La questione resta enigmatica. In Grüne Augen, l’autore affronta il tema scottante del terrorismo. I terroristi che vengono educati a uccidere persone innocenti, ma che in realtà non sono altro che burattini nelle mani di potenti, assassini spietati che massacrano chi trovano intorno, con la speranza di un futuro migliore nell’aldilà. La guerra del terrorismo non viene combattuta da soldati in uniforme, ma da gente qualunque, simile o uguale a noi e, per questo, ancor più pericolosa. Le trincee sono le piazze, i teatri, i cinema, le università, i musei, le stazioni, tutti i luoghi più frequentati. I terroristi non combattono con i fucili o con i cannoni, ma con la paura, il terrore, il sospetto, la rabbia e l’angoscia, utilizzando la religione come scusa per giustificare atti abominevoli. Un odio che colpisce soprattutto l’Occidente, ma non solo, e che punta a macchiare di mostruosità tutti i musulmani.

La radice ideologica della fede nel “martirio” islamico, a cui fanno riferimento i terroristi, è confermata dal fatto che a essa aderiscono, per ragioni che spaziano dalla miseria, all'ingiustizia fino alla crisi d'identità, sia gli integralisti islamici sia i laici nazionalisti. L'11 settembre ha portato alla ribalta la figura dell'aspirante “martire” che partendo da un'identità laica, acquisisce la fede nel “martirio” in Europa, tramite un processo di indottrinamento e conversione tutt'interno al contesto europeo. Bin Laden è stato il primo artefice della trasformazione di soggetti laici in “martiri islamici”. Il terrorismo suicida in nome di Allah è strumentalizzato a fini di potere come si evince anche dalla serie di attentati suicidi che hanno susseguito quello dell'11 settembre 2001.

Ad esempio la ragione per cui, nell'ottobre del 1993, Hamas e la Jihad islamica sferrarono i primi attacchi terroristici suicidi contro gli israeliani era ideologica, non religiosa. Gli obiettivi erano sia politici, sabotare il neonato processo di pace avviato dalla storica stretta di mano tra Rabin e Arafat il 28 settembre 1993, che ideologici, impedire il riconoscimento del diritto di Israele all'esistenza. Inoltre, i quattro kamikaze del 7 luglio 2005 a Londra, tutti con cittadinanza britannica, hanno svelato che il terrorismo suicida islamico è una realtà interna all'Europa, non un prodotto d'importazione.

L'Europa, non solo non ha mai voluto guardare in faccia la realtà di fronte ai kamikaze dell'11 settembre che si erano convertiti alla fede nel “martirio”

islamico ad Amburgo, ma ha anche chiuso, per oltre un decennio, entrambi gli occhi di fronte alla realtà di migliaia di combattenti islamici che sono andati, in particolare dalla Gran Bretagna, a espletare la loro Jihad sui campi di battaglia in Afghanistan, Cecenia, Kashmir, Bosnia, Kosovo e Iraq.

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