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Leadership e motivazione del personale

Dispensa

A cura di G.P. Quaglino

Gennaio 2006

(2)

I

NDICE

Premessa 3

1. Leadership e management 4

2. Leadership, motivazione ed empowerment 9 3. Leadership, credibilità e fiducia 12

PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 20

(3)

P

REMESSA

Un interrogativo di base segna l’inizio di queste pagine in tema di leadership: che cos’è la leadership? E, ancora, chi è il leader? Una delle voci più ascoltate nel campo degli studi manageriali quale quella di Peter Drucker è chiara nella sua semplicità di risposta a questi interrogativi sempre aperti:

“leader è qualcuno che ha follower”

Il che significa riconoscere che la natura della leadership è propriamente relazionale, che la sua qualità di fondo è nel mobilitare tutti coloro che sono coinvolti in questa relazione, che il suo valore autentico consiste nell’aver successo grazie all’alleanza positiva e creativa con l’altro.

Per ampliare la definizione offerta da Drucker potremmo aggiungere che la leadership è costruire relazioni di fiducia con il proprio gruppo di lavoro al fine di guidare, condurre, le persone verso il raggiungimento degli obiettivi organizzativi, costruendo occasioni di apprendimento e di crescita, e ricordando che l’obiettivo finale della leadership è quello di generare nuovi leader.

Questa dispensa affronta alcune delle dimensioni centrali in tema di

leadership, attraverso tre passaggi principali: un primo passaggio è

finalizzato a individuare alcuni elementi di base utili a definire la

leadership nella sua accezione “trasformazionale” e a distinguerla dal

management; un secondo passaggio rintraccia gli aspetti di

motivazione ed empowerment; un terzo passaggio si concentra sugli

aspetti di credibilità e di fiducia.

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1. LEADERSHIP E MANAGEMENT

In relazione all’aumento della complessità del contesto, al fatto che il cambiamento tocca sempre di più le organizzazioni, alla leadership si chiede di essere una guida per le persone verso il raggiungimento degli obiettivi, capace di fare la differenza: in altre parole, si apre l’era della leadership “trasformazionale” (Bass, 1990).

La leadership trasformazionale è caratterizzata da attenzione per le relazioni basate sulla fiducia, da capacità di visione e di motivazione, da obiettivi che non sono solo produttivi ma anche di crescita personale e professionale (per sé e per i collaboratori): è esercizio di coerenza e concretezza, di determinazione e risolutezza, di ascolto e narrazione. La trasformazione per eccellenza è quella che il leader compie laddove riesce a trasformare i propri follower in nuovi leader.

Tra i diversi profili della leadership trasformazionale si afferma anzitutto il modello delle 4 I di Bernard Bass:

- la considerazione Individuale (la prima I), fa riferimento alla comunicazione personalizzata, intesa proprio come azione di base, fondativa, verso l’obiettivo di crescita. La considerazione individuale è il tratto distintivo della relazione ed è attraverso uno sguardo attento ai bisogni dei singoli, che è possibile moltiplicare le opportunità di apprendimento, ancorandole alle esperienze concrete. È questa attenzione particolare che si pone alla base di un’azione capace di elevare le aspettative, dei singoli e delle organizzazioni. La considerazione individuale è praticata attraverso la creazione di nuove opportunità di apprendimento nell’ambito di un clima supportivo. Sono riconosciute le differenze individuali e il comportamento del leader sancisce l’accettazione di tali differenze e ne conferma il valore.si incoraggia la comunicazione a due vie e si pratica il

“management attraverso la presenza concreta”;

-

la stimolazione Intellettuale (la seconda I), è intesa come via

per energizzare non vincolata al sistema di riconoscimenti

formali e riconosciuti da contatto. È la capacità di sollecitare le

innovazioni e la creatività, mettendo in discussione le credenze

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consolidate e le abitudini desuete, anche attraverso l’essere di esempio nel quotidiano. In questo modo la creatività viene incoraggiata: sono richieste ai collaboratori, pienamente coinvolti nei processi decisionali e nella definizione dei problemi, nuove idee e soluzioni originali. Si reagisce alla sperimentazione di nuovi approcci alle situazioni da parte dei collaboratori con un atteggiamento non sanzionatorio, con apertura e rispetto dell’errore, considerato un elemento del processo di apprendimento collettivo. Le idee dei collaboratori, infine, non vengono censurate solo in quanto differenti da quelle del leader;

- la motivazione Ispirazionale (la terza I), fa riferimento all’azione di dotare il lavoro di un significato, dare senso al quotidiano in prospettiva, delineando sfide per il futuro, obiettivi cui tendere. Il leader coinvolge i collaboratori nell’immaginare situazioni future sfidanti e attraenti, attraverso la creazione di aspettative, comunicate in modo chiaro, che i collaboratori vogliono soddisfare. Il leader stesso si impegna attivamente e costantemente nella realizzazione degli obiettivi prefissati, verso la visione condivisa;

- l’influenza Idealizzante (la quarta I), chiama in causa l’attenzione alla fiducia, ad ottenere fiducia, a dare fiducia, a gestirla, facendo di sé un modello di ruolo in cui i collaboratori possano identificarsi. Verso tali leader si sviluppa infatti ammirazione e rispetto: i collaboratori si identificano in loro e vogliono emularli. Questa identificazione e il desiderio di emulazione sono sostenuti dalla tendenza del leader a considerare come estremamente importanti le necessità degli altri, che sono poste in primo piano. Il comportamento del leader è, inoltre, coerente e non arbitrario, dimostra elevati livelli di condotta etica e tende a non usare il potere che possiede per i propri personali interessi.

Anche Warren Bennis e Burt Nanus (1985), propongono un modello

di leadership articolato in 4 azioni cruciali: catturare l’attenzione

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attraverso la visione, comunicare il significato attraverso immagini e racconti, mantenere la fiducia attraverso il posizionamento, realizzare il dispiegamento di sé attraverso l’autostima positiva, attraverso un esercizio attento e continuo di “saggezza emozionale”.

Edgard Schein, invece, individua un aspetto particolare dell’azione di leadership, relativo alla costruzione, al mantenimento ma anche alla trasformazione della cultura organizzativa. Sarebbe questo il compito fondamentale della leadership che, a differenza del management, è chiamata a fare la differenza proprio a proposito di cultura.

Per sostenere le sfide connesse ai cambiamenti, Kouzes e Posner (1987) descrivono un profilo di leadership articolato in cinque dimensioni d’azione, in cinque funzioni: sfidare i processi; ispirare una visione condivisa; favorire la possibilità d’azione dei collaboratori; indicare la strada; incoraggiare le persone.

Nella contemporaneità, dunque, alla leadership è chiesto di essere trasformazionale sia nel senso di cogliere la necessità del cambiamento, promuoverlo e guidarlo, sia nel senso di sostenere le persone nei percorsi di cambiamento sia sul fronte organizzativo, sia sul fronte individuale.

In grande sintesi, il leader efficace è dunque colui che esprime elevata fiducia in sé e, attraverso un profilo d’azioni, sostiene nei follower la crescita della motivazione e dell’orientamento alla realizzazione, oltre che l’identificazione con gli obiettivi organizzativi: anche i follower, secondo questo modello, esperiscono un incremento dell’autostima e dell’autoefficacia.

La leadership trasformazionale si manifesta, dunque, quando i leader:

sanno stimolare tra colleghi e collaboratori la volontà di guardare al proprio compito professionale da differenti prospettive;

sanno alimentare la consapevolezza circa la missione e la visione dell’organizzazione;

sanno spronare colleghi e collaboratori verso più elevati standard di prestazione;

sanno motivare ad andare oltre l’interesse personale,

concentrandosi sugli obiettivi del gruppo.

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È un profilo di leadership collocato in profondità nella relazione, che si configura come il mezzo nel quale avviene la trasformazione, come luogo in cui coltivare la crescita come compito, come valore.

Questa caratteristica distintiva della leadership, il suo essere anzitutto una “relazione” è il primo elemento che porta a distinguerla dal management.

Se i termini leadership e management sono spesso utilizzati, infatti, in modo intercambiabile, da più parti emerge l’esigenza di chiarire le differenze, di precisare le specificità di ciascuno.

Provando a delineare in sintesi le caratteristiche principali del

management e della leadership, per confronto, è possibile riferirle ad

alcuni elementi principali: gli orientamenti, gli scopi, le relazioni, le

qualità, i principi, le metafore [Tabella 1].

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MANAGEMENT LEADERSHIP

ORIENTAMENTI Pianificare e gestire il budget, concentrarsi sul bottom line

Creare visione e strategia, guardare al futuro

SCOPI Organizzare e scegliere i collaboratori, dirigere e controllare, creare confini (gerarchici)

Sistema

Creare una cultura condivisa fondata su valori comuni, sostenere la crescita dei collaboratori, ridurre i confini (gerarchici)

Cultura

RELAZIONI Dedicare attenzione agli “oggetti”, produrre/vendere beni e servizi, agire come capo

Potere di posizione

Dedicare attenzione alle persone, ispirare e motivare i follower, agire come coach, facilitatore

Potere personale

QUALITÀ Distanza emotiva Esperienza

Espressione verbale Conformismo Competenza

Vicinanza emotiva Apertura

Ascolto Coraggio Integrità

PRINCIPI Uniformità, controllo, stabilità Diversità, motivazione, discontinuità

RISULTATI Mantere la stabilità Creare cambiamento

METAFORE Cronaca Racconto

Tabella 1 – Le principali differenze tra leadership e management

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2. LEADERSHIP, MOTIVAZIONE ED EMPOWERMENT

C’è chi afferma che la caratteristica più significativa dell’era della leadership sia il passaggio da una logica di lavoro improntata al controllo ad una prassi delle relazioni ispirate all’empowerment.

Nella transizione da organizzazioni fortemente gerarchiche ad assetti maggiormente orizzontali, assume dunque grande valore, prima che non l’imperativo dell’empowerment, quello della motivazione.

La motivazione può essere definita come quella spinta capace di influenzare il comportamento nel raggiungimento di determinati risultati: per quanto riguarda la leadership è chiaro come la motivazione sia un elemento chiave e cruciale, nella misura in cui è specifico compito del leader quello di motivare (come funzione di influenza) i follower, stimolandoli a raggiungere gli obiettivi organizzativi attesi.

Al leader è chiesto dunque di motivare anzitutto se stesso e, al contempo, di motivare i suoi collaboratori e questa capacità è considerata una delle chiavi del successo del leader (Jung, Avolio, 1999). Nelle più recenti rielaborazioni l’azione di motivare i collaboratori non è svincolata dall’azione di riconoscere le loro risorse attraverso una considerazione individualizzata e un coinvolgimento attivo nei processi: ciò che sempre più spesso e forse con una non adeguata precisione terminologica, va sotto il nome di

“empowerment” (Daft, 1999). Ovvero di un insieme di comportamenti tesi a consentire ad altri di avere quel potere necessario per conseguire risultati personali e collettivi. Questo potere è quell’energia da smuovere (e, a sua volta, capace di smuovere) di cui le organizzazioni hanno bisogno.

Se nelle rigide gerarchie organizzative, la struttura precisa del lavoro,

così come i processi e le procedure estremamente dettagliati, infatti,

convogliavano il potere al vertice dell’azienda, oggi questa

distinzione appare non più valida. L’empowerment è divenuto un

tema universale (Daft, 1999): sempre più persone richiedono

maggiore potere nelle loro vite (sia sul fronte personale, sia su quello

professionale), maggiore partecipazione e coinvolgimento a diversi

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livelli; accanto a ciò è risultato evidente come dinamiche di rigido controllo siano controproducenti sul piano motivazionale.

Poiché la conoscenza e l’informazione sono oggi le risorse principali dei contesti organizzativi, è fondamentale che esse siano alimentate attraverso il nutrimento della motivazione e la condivisione di quel potere necessario proprio a maturare la conoscenza e a gestire le informazioni. In questo discorso si può inserire l’esortazione di Charles Handy (1994) a seguire la via dell’empowerment come

“imperativo morale” per le organizzazioni: che non significa ispirare la vita organizzativa a un ideale di gestione cauta del potere ma sostenere una politica di attivazione di un reale flusso di potere.

In estrema sintesi alla leadership è chiesto di essere empowering (Bowen, Lawler, 1995) attraverso alcuni comportamenti principali:

fare in modo che i collaboratori ricevano informazioni puntuali e continue sulla prestazione organizzativa;

fare in modo che i collaboratori possano apprendere le conoscenze e le competenze adeguate per contribuire agli obiettivi organizzativi;

dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni significative;

aiutare i collaboratori a comprendere il significato e l’impatto i collaboratori in funzione dei risultati dell’organizzazione.

ri stessi possiedono le abilità necessarie alle responsabilità

approfondimento del proprio potere, oltre che di apprendistato ad un del loro lavoro;

riconoscere il contributo de

L’esercizio di queste azioni consentirebbe di passare da un basso grado di empowerment (presente laddove i collaboratori hanno scarsa possibilità decisionale) ad un grado elevato (presente laddove i collaboratori si sentono personalmente responsabili dei processi e delle strategie): questo passaggio è possibile quando, da un lato, il leader sa esercitare i comportamenti indicati poco sopra, dall’altro, i collaborato

assegnate.

Il compito principale del leader è, dunque, identificato in quello di

accompagnare i collaboratori nel processo di apprendimento e

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suo utilizzo consapevole ed efficace (di fatto significa attribuire al leader il ruolo di “esperto nell’uso del potere”).

I cicli empowering si instaurano laddove leader capaci di avere una visione globale sanno anche stabilire precisi traguardi e fissare obiettivi e si impegnano nel fornire sostegno e sicurezza ai propri collaboratori coinvolti in prima persona nell’affrontare le grandi sfide organizzative come i problemi quotidiani, in un clima di apertura favorevole alla sperimentazione. Appartiene al leader la responsabilità di evitare i cicli disempowering che si instaurano laddove ai nuovi risultati, esito di un aumento della sperimentazione, fanno seguito conseguenze negative che penalizzano l’assunzione di rischi e la presa di responsabilità.

Il tema della sperimentazione rinvia in qualche modo al tema del cambiamento: “il cambiamento è diventato per le organizzazioni il mantra del successo” (Kets de Vries, 1998) ma si confronta con una naturale disposizione soggettiva di ciascuno a preferire le dimensioni rassicuranti dello status quo.

È la leadership stessa, con i suoi caratteri distintivi di coinvolgimento nella visione e infusione di energie positive che consente di far fronte alle resistenze organizzative, e che, divenendo empowering, è capace di “tirar fuori dalle persone quanto hanno di meglio” (Kets de Vries, 1998): per fare ciò il leader favorisce la collaborazione, crea fiducia, condivide conoscenze e informazioni, fa in modo che i collaboratori si sentano padroni dell’azienda, ugualmente protagonisti e responsabili degli eventi. Questa crescita dei collaboratori passa attraverso una condivisione del potere e il conferimento di autorità, ai diversi livelli organizzativi.

L’azione di fare empowerment non è caratteristica distintiva solo

della leadership di vertice ma è una necessità a tutti i livelli

organizzativi (Dess, Picken, 2000): si tratta di un’azione che richiede

notevole flessibilità, da parte di un leader cui spetta il ruolo

molteplice di chi supporta e al contempo fornisce informazioni e

facilita i processi di lavoro.

(12)

3. LEADERSHIP, CREDIBILITÀ E FIDUCIA

(scritto con C. Ghislieri)

Sul fronte della relazione, e, in special modo, della condivisione all’interno della relazione di quelle istanze culturali che possono essere identificate in alcuni valori, un elemento “etico” fondamentale del profilo di leadership è dato dalla credibilità, cui è strettamente legato un altro elemento cruciale, la fiducia, ritenuta un vero e proprio “collante” per la relazione (Daft, 1999).

Se la leadership è una relazione di reciprocità, allora la credibilità è l’elemento capace di “fare la differenza” (Kouzes, Posner, 1993): il leader credibile è colui che sa come comprendere, far propri e condividere un insieme di valori a tutta l’organizzazione, contribuendo positivamente a costruire un terreno comune entro cui è possibile sia la collaborazione sia il confronto.

Per fare questo al leader è chiesto di impegnarsi in un processo di costruzione della credibilità che prevede tre fasi:

chiarezza – la credibilità nasce quando il leader sa anzitutto

chiarire bisogni, interessi, valori, ambizioni e aspirazioni dei follower così come degli altri interlocutori organizzativi.

Questa fase del processo richiede al leader di conoscere in profondità i suoi collaboratori ma anche, soprattutto, se stesso.

Quando la chiarezza è presente ciascuno conosce e riconosce i principi guida e le competenze cruciali che possono contribuire la vitalità e il successo individuale e organizzativo;

unità – per costruire un’organizzazione forte e stabile è

necessario sia visibile e perseguibile uno scopo unitario, una

causa comune. Ad essere necessaria è l’unità d’azione nel

portare a termine il proprio lavoro, ma anche l’unità di intenti

nel condividere le ragioni e i principi per cui si agisce in un

dato modo. L’unità esiste dunque quando il leader è capace di

costruire una comunità di valori condivisi, di supporto e

stimolo verso la realizzazione delle ambizioni individuali e

collettive. È altresì importante che ci sia condivisione rispetto

alle modalità adeguate di tradurre i valori in pratica;

(13)

fortemente egli vi crede e possano avere indicazioni “operative” circa il modo di realizzare i principi

ossibile identificare sei pratiche che possono essere definite le sei discipline della credibilità (Kouzes, Posner, 1993):

ivisi sviluppare la capacità

intensità – se le parole sono importanti, le azioni le rendono

vere e attendibili. Per questo è fondamentale che il leader per primo prenda con serietà i principi cosicché le persone possano comprendere quanto

nella quotidianità.

Se questo è il processo di costruzione della credibilità, è anche p

scoprire se stessi stimare i collaboratori affermare i valori cond

mettersi al servizio dell’obiettivo sostenere la speranza.

La credibilità è, in buona sostanza, l’elemento su cui si fonda la capacità del leader di guadagnarsi la fiducia dei suoi collaboratori, ma anche dei colleghi e dei capi: in questo senso è possibile affermare che la costruzione e il mantenimento della fiducia siano compiti fondamentali per la leadership.

Molte sono le definizioni di fiducia: qualcuno la definisce come l’aspettativa positiva che l’altro non agirà in maniera opportunistica, con parole, azioni, decisioni (Boon, Holmes, 1991; McAllister, 1995;

Robbins, 2000). Essa viene anche definita come la disponibilità a divenire vulnerabili rispetto alle azioni dell’altro (Mayer, Davis, 1995).

La molteplicità di definizioni rinvia a una pluralità di dimensioni chiamate in causa per rendere conto della fiducia e per tentare di spiegarne il fenomeno di genesi, di mantenimento e, non ultimo, di tradimento (Elangovan, Shapiro, 1998).

Gli elementi definitori principali sono in ogni caso rappresentati dalla

familiarità e dal rischio. È la familiarità infatti a determinare

l’elemento di aspettativa positiva, che si basa sulla conoscenza: la

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fiducia è influenzata dalla storia di una specifica relazione. Quando

tale n

determ fiduci

fessionale;

comprensione, sia esplicita

r e”

risulta dimen

2000), la ricerca recente ne ha identificate cinque:

“morale”, le

basa conosce za viene a mancare può essere sostituita da altri dati, inando l’insorgere della fiducia “presunta” (Kramer, 2003). La a “presunta” può essere basata:

sulle categorie, ovvero subordinata all’informazione riguardante l’appartenenza della persone che riceve fiducia, a una determinata categoria sociale o pro

sul ruolo, ovvero fondata sulla conoscenza del fatto che un individuo ricopra un ruolo particolare nell’organizzazione, più che non sulla specifica conoscenza delle sue capacità, disposizioni, motivazioni e intenzioni;

sulle regole, nella misura in cui la

sia tacita, delle norme transazionali, delle routine di interazione e delle pratiche di scambio forniscono una base importante per inferire l’affidabilità degli altri anche in assenza di una precedente conoscenza.

Il tema del rischio è invece evidente laddove si esplicita la aratteristica della vulnerabilità: non si tratta di un rischio corso “pe c

s , ma della disponibilità a correrlo, bilanciata dall’aspettativa di un to positivo e vantaggioso. Provando a sintetizzare le sioni chiave della fiducia (Mayer, Davis, 1995; Robbins,

integrità, fa riferimento all’onestà ed è cruciale quando le persone debbono valutare l’affidabilità dell’altro. Senza la percezione della presenza di questa dimensione

altre dimensioni perdono di significato;

competenza, è da ricondursi alle abilità della persona, sia sul fronte delle conoscenze e capacità tecniche, sia su quello delle capacità personali e interpersonali. La competenza è la

indispensabile sulla quale si costruisce il rispetto;

consistenza, è relativa alla prevedibilità del comportamento

dell’altro in differenti situazioni ma anche alla sua coerenza

(15)

nel praticare quanto dichiarato o promesso, piuttosto che non

ha a che fare con la tendenza a comunicare in te, verso una maggiore e migliore

La alla leadership, alla sua natura

rel sto significa che, per costruire la fiducia,

alla Robbins, 2000) è chiesto di agire su

dif

locum, 1998), una “piccola ader

lea iungibile, i “piccoli atti”

che sono invece adeguati e

com ad una leadership che

può propri il risu

fanno” l fine di costruire tale relazione di ducia, il leader può agire su 4 fronti:

nell’esplicitare le ragioni dei cambiamenti di direzione;

lealtà, è la disponibilità ad agire in maniera non opportunistica, considerando e tutelando gli interessi dell’altro;

apertura,

maniera trasparen comprensione.

fid ucia è primari amente connessa azionale e reciproca. Que

leadership (Butler, 1991;

ferenti fronti:

praticare apertura;

essere corretti;

parlare delle proprie emozioni;

dire la verità;

dimostrare coerenza;

realizzare le promesse;

rispettare le confidenze dei collaboratori;

dimostrare competenza.

La fiducia si connota come dimensione cruciale della leadership a tutti i livelli organizzativi: anche laddove si delinea il profilo di una leadership “di misura” (McGill e S

le ship”, appropriata, però, anche a grandi risultati. Se la dership dell’eccellenza è una meta irragg

McGill e Slocum propongono misurati ad una leadership “in crescita”,

essere appresa, che si sostanzia in un’attività relazionale saldata o dalla fiducia: “la fiducia e il rispetto accordati al leader sono ltato non solo di ciò che i leader fanno ma anche di come lo

(McGill e Slocum, 1998). A

fi

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conoscere il lavoro (la competenza);

fare quello che dice (la coerenza);

rendersi sempre disponibile (l’ascolto);

costruire un “patto aperto” con i follower (la creazione di un lla tensione dinamica tra i due soggetti della relazione.

Secon mutua corrisp apertu delle d gli au recipr Reina

elementi di base (le 4 “C” della fiducia):

contesto di scelta) in cui la leadership non è un postulato ma una co-costruzione, espressione de

do Reina e Reina (1999) la fiducia, ovvero una relazione di affidabilità che si gioca in una comunicazione onesta, in una ondenza tra competenze attese ed espresse e in una sostanziale ra, gioca un ruolo importante nell’affrontare la complessità

inamiche interpersonali. Le relazioni sane si fondano, secondo tori, proprio sulla fiducia intesa come processo basato sulla ocità e sulla generatività: la fiducia genera fiducia.

e Reina (1999) articolano il costrutto di fiducia identificando 4

la capacità di fiducia: è fondamentale comprendere la propria capacità e predisposizione alla fiducia. Con “capacità” si intende la prontezza a fidarsi di sé stessi e degli altri. Si ha fiducia in sé stessi quando ci si sente credibili e affidabili, ma anche in grado di gestire le proprie aspettative e quelle degli altri: questo rappresenta una risorsa fondamentale per affrontare le situazioni ambigue e incerte, anche nei contesti di lavoro, e facilita l’assunzione di rischi. La capacità di fiducia è influenzata dalle esperienze e influenza, a sua volta, percezioni e credenze;

la fiducia contrattuale corrisponde alla tendenza a gestire

l’aspettativa, delineare i confini, delegare appropriatamente,

incoraggiare la reciprocità, mantenere gli accordi ed essere

coerenti. Implica che la relazione sia intesa e fondata su di una

sorta di accordo informale, relativo alla congruenza tra il

dichiarato e il praticato; essa ha dunque a che fare con il

mantenere un accordo, il rispettare i propositi e il comportarsi

con coerenza. La fiducia contrattuale è alla base delle

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dinamiche relazionali organizzative, sia per quanto riguarda le relazioni tra leader e follower, sia per quanto riguarda le relazioni con i colleghi: nel primo caso, se è vero che i follower hanno un forte bisogno di riconoscere il leader come affidabile, coerente e credibile, è altrettanto vero che i leader hanno la necessità di potersi fidare delle intenzioni, della coerenza e della credibilità delle persone con cui lavorano;

la fiducia comunicativa è la propensione a condividere le informazioni, dire la verità, ammettere i propri errori, mantenere la confidenza, dare e ricevere feedback costruttivi.

azioni condivise è come mandare ai collaboratori un messaggio di inadeguatezza e di mancanza di

ze, delle abilità e delle capacità degli altri, ma anche

So vantag una i riferim

È come dire che, da un lato la comunicazione richiede fiducia (nella misura in cui è la fiducia che fa sì che un messaggio venga accolto e compreso) e, dall’altro, essa può efficacemente contribuire a costruire fiducia (se sa essere esaustiva, continuativa e puntuale). Quando i leader sono efficaci nella loro comunicazione, non solo alimentano una relazione di fiducia, ma riescono anche ad influire positivamente sui risultati. Limitare le inform

fiducia nel gestire le informazioni, generando incomprensioni, fraintendimenti e false interpretazioni, e sottraendo ed energie positive al lavoro;

la fiducia competente fa riferimento al rispetto delle conoscen

all’accettazione del giudizio altrui, oltre che al coinvolgimento e alla capacità di trasmettere agli altri nuove competenze. La fiducia competente è presente nel momento in cui leader e collaboratori imparano uno dall’altro e sanno trarre insegnamento dai diversi interlocutori con cui si trovano a confrontarsi.

no infine Ciancutti e Steding (2001) che descrivono con dettaglio i gi della fiducia in organizzazione e, dunque, l’importanza di

c

leadership capa e di divenire promotrice di fiducia. In particolare vantaggi che la fiducia apporta in un’organizzazione fanno

ento a:

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vantaggi competitivi durevoli: un ambiente ricco di fiducia è un motore per l’innovazione;

auto-regolazione: le persone, a tutti i livelli, sono incoraggiate

le idee innovative e discuterle collettivamente, incentivando la crescita e il miglioramento;

La cos

la cap ti: in questo senso la

lea (Cianc infatti sentan Una l Stedin

ad identificare e risolvere problemi anche in autonomia, si sviluppa un’ “abitudine” all’affidabilità, attraverso un accompagnamento non vincolante e una comunicazione chiara;

efficienza: il modello della fiducia riduce lo spreco di energie impegnate in sospetti, questioni irrisolte, accordi poco chiari, scadenze mancate, incomprensioni,…;

prestazione ispirata: quando è presente la fiducia, è più semplice promuovere

significato: la fiducia è sottesa ai processi di sensemaking organizzativo, e rappresenta, in un certo senso, la garanzia della veridicità dei significati .

truzione e il mantenimento di elevati livelli di fiducia, richiede acità di lavorare sugli affetti e sui sentimen

dership è da considerarsi più una sfida emotiva che intellettuale utti, Steding, 2001). Il vero obiettivo della leadership sarebbe quello di offrire un ambiente emotivo in cui le persone si

o valorizzate, soddisfatte e sicure.

eadership fondata sulla fiducia implica, secondo Ciancutti e g (2001), di esercitare:

risolutezza – essere determinati e precisi nel definire obiettivi, regole per raggiungerli e scadenze, non lasciare nulla al caso.

È facilmente immaginabile che la mancanza di risolutezza possa avere come conseguenza incertezza, esitazione, dubbio, risentimento e, spesso, possa coincidere con la perdita di tempo e con la dispersione delle energie;

dedizione – la dedizione è “l’intenzione di non porre condizioni”, ovvero limitare al minimo i “se”, oppure “ma”

nascosti. Questo significa investire nel compito di portare a

termine gli impegni assunti senza esitazioni: ma significa

anche che, in presenza di ostacoli al raggiungimento degli

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obiettivi prefissati, il comportamento più corretto è quello di dichiararlo immediatamente, così da non creare quello che gli

quivale alla disposizione a non parlare alle

re ascolto a tutte le idee, alimentando la

– fa riferimento alla tendenza ad affrontare senza

reciprocità – per costruire e consolidare la fiducia è fondamentale trattare gli altri esattamente come si vorrebbe essere trattati. Alla base di questo insieme di azioni vi è una forma di rispetto che implica tolleranza delle posizioni e delle idee degli altri;

responsabilità – se da un lato la fiducia implica condivisione e sostegno reciproco essa richiede anche che le responsabilità di ciascuno siano però estremamente chiare e assunte in prima persona.

L’esercizio di questa leadership basata sulla fiducia richiede, dunque, l’espressione di alcune qualità a forte valenza emotiva: l’affinità, l’empatia, l’espressività, la comprensione.

autori chiamano “falso impegno”;

trasparenza – quando le persone comunicano in modo diretto e aperto, l’organizzazione può evitare o minimizzare alcuni dei più comuni problemi di comunicazione. La trasparenza nella comunicazione e

spalle degli altri, a non alimentare il pettegolezzo e a ridimensionare il sospetto. Sul fronte dell’ascolto, è auspicabile una sensibilità diffusa e un’attenzione puntuale anche per i “segnali deboli”. In special modo alla leadership è richiesto di da

propositività dei singoli e dei gruppi: la leadership basata sulla fiducia è quella di chi incoraggia i collaboratori ad esprimersi, alimenta un dialogo attivo e sa raccogliere gli stimoli offerti;

rapidità

indugi le questioni critiche irrisolte in modo esaustivo. Per

poterlo fare in modo efficace è necessario saper identificare le

questioni lasciate in sospeso e fare il possibile perché vengano

prese in carico;

(20)

ALCUNI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI IN TEMA DI LEADERSHIP

1. Cortese C.G. (2005) Motivare. Milano: Raffaello Cortina Editore

2. Quaglino G.P. (1999) Voglia di fare. Milano: Guerini e Associati

3. Quaglino G.P. (a cura di) (1999) Leadership. Milano:

Raffaello Cortina Editore

4. Quaglino G.P., Cortese C.G. (2003) Gioco di squadra. Milano:

Raffaello Cortina Editore

5. Quaglino G.P., Ghislieri C. (2004) Avere Leadership. Milano:

Raffaello Cortina Editore

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