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Inquadramento

storico

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L’UNITÀ D’ITALIA E LA DIFESA DI ROMA

La città di Roma non presentava, sino alla metà del XIX secolo, un sistema difensivo apprezzabile, in linea con gli standard adottati dalle altre capitali europee. Il suo ruolo di capitale dello Stato Pontificio, protetto da ogni invasione o attacco dalle forze militari messe in campo dalle potenze di volta in volta alleate con il papato, la sollevava dalla necessità di organizzare un sistema difensivo autonomo. Solo con il compiersi del processo di unità nazionale sotto il regno dei Savoia la situazione accennò a cambiare.

Sin dal 1861 emerse l’esigenza di riconoscere l’appartenenza di Roma e del Lazio al territorio italiano unificato e trattative diplomatiche vennero avviate con lo Stato Pontificio e con l’imperatore francese, Napoleone III, alleato e difensore del papato, per allentare la presa che la Francia aveva sull’Italia e diminuire la presenza francese su quello che veniva considerato a tutti gli effetti territorio italiano. La complessità di simili trattative era legata però anche al problema delle relazioni fra Chiesa romana e Stato italiano, per cui i tentativi del Conte Cavour fallirono e solo nel 1864 si giunse ad un accordo, firmato dal Presidente del Consiglio italiano Marco Minghetti e da Napoleone III: la cosiddetta “Convenzione di settembre” prevedeva che la Francia accettasse di «ritirare la sua guarnigione a difesa dello Stato Pontificio, mentre il Regno d’Italia promise di impegnarsi affinché fosse mantenuta l’integrità dei confini dello Stato stesso, tanto che, in segno della sua definitiva rinuncia a Roma, si impegnò a trasferire la capitale da Torino

a Firenze»13. La validità dell’accordo venne però meno nel

settembre 1870, in seguito alla caduta dell’imperatore francese a causa della sconfitta subita dalla Francia a Sedan nell’ambito 13. E. Cajano ed., Il sistema dei

forti militari a Roma, Gangemi editore, Roma, 2006, p. 47.

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del conflitto franco-prussiano. Di conseguenza lo Stato italiano dichiarò la Convenzione decaduta ed inviò a Roma l’esercito, guidato dal generale Cadorna, affinché ne prendesse possesso ed il 20 settembre egli fece il suo ingresso nella città attraverso una breccia nelle mura presso la Porta Pia. Il plebiscito del 2 ottobre successivo sancì l’annessione dell’intero territorio laziale al Regno d’Italia e nel 1871 Vittorio Emanuele II fece il suo ingresso a Roma.

L’insediamento del sovrano in città nel palazzo del Quirinale sancì il secondo trasferimento della capitale, da Firenze alla città che più di tutte raccoglieva l’eredità storico-culturale della penisola italica: Roma. Finalmente il territorio italiano era unificato e raccolto attorno al suo fulcro naturale.

Tuttavia, se la vocazione storica, simbolica e culturale di Roma a capitale d’Italia era assodata, non altrettanto adeguate al ruolo che avrebbe dovuto rivestire erano le condizioni in

cui si presentava. La situazione interna14 vedeva un popolo

abbandonato e misero, privo di una borghesia liberale e oppresso da un clero che viveva delle rendite dei beni ecclesiastici. La sua non numerosa popolazione (circa 240.000 abitanti), si concentrava all’interno della cinta muraria, nell’area nordoccidentale, e la maggior parte del territorio era costituito da suolo agricolo. Dal punto di vista delle infrastrutture, la viabilità cittadina era legata al carattere agricolo e pastorale della popolazione, mentre i collegamenti esterni erano legati al trasporto tradizionale, non essendovi ancora giunta la via ferrata. Roma era rimasta sospesa nel tempo e non era stata toccata dalla cavalcata del progresso, ma, se doveva essere la capitale del Regno, doveva essere trasformata in

14. Cfr. H. Mezini, M. Rovelli, tesi di laurea “Roma forte. Il campo trincerato nella Roma contemporanea. Forte portuense: un esempio di riuso”, relatore M.G. Navarro, correlatore O. Mestre, A.A. 2014/2015, Università degli studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura.

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una città moderna: risanata, dotata di edifici rappresentativi, di infrastrutture, raggiunta dalla ferrovia per assicurare

collegamenti efficienti.15 Le esigenze di ammodernamento

legate alla funzione di capitale si assommavano a quelle di una progettazione urbanistica e territoriale necessaria per far fronte all’incremento demografico cui la ritrovata centralità della città avrebbe dato impulso. Il trasferimento del re e del governo a Roma, inoltre, accentuava l’urgenza di risolvere un ulteriore problema: quello delle difese militari della capitale.

La città, diventando capitale del Regno d’Italia, perse quella sorta di immunità derivante dall’essere esclusivamente la città del soglio papale: divenne moralmente attaccabile, rendendo necessario un ripensamento del suo sistema difensivo, totalmente insufficiente a fronteggiare eventuali attacchi, via mare o via terra, mossi da potenze straniere.

Infatti la cinta muraria contenente l’abitato risaliva, con poche non sostanziali modificazioni, all’epoca aureliana: nel V secolo d.C. era stata completata la cerchia muraria più estesa, in grado di contenere una popolazione fino al III secolo in crescita, e di difendere la città dal rischio di eventuali scorrerie. L’impianto della cinta muraria resterà immutato, se si esclude l’allargamento voluto da papa Leone IV per includere il colle Vaticano al suo interno, nonostante il drastico crollo demografico dei secoli successivi.16

Dunque, mentre l’arte bellica progrediva, sostenuta da sviluppi ingegneristici e tecnici che modificavano le condizioni pratiche dei combattimenti, le difese di Roma erano rimaste immutate spettatrici dello scorrere del tempo che le erodeva.

15. Cfr. E. Cajano, op. cit., p. 22.

16. Cfr. H. Mezini, M. Rovelli, op. cit.

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L’estremo divario fra le ormai obsolete strutture esistenti e le esigenze difensive spinse il governo già nel 1870 a muoversi immediatamente per la messa a punto di un piano per la difesa della Capitale, scatenando un ricco dibattito riguardante non solo le modalità di realizzazione di fortificazioni a difesa della città, ma anche l’opportunità o meno di fortificarla effettivamente, considerata la sua disposizione geografica e l’orografia della penisola italiana.

Ripercorreremo qui i punti salienti di tale dibattito17.

Le problematiche che si intrecciano sono tre. Innanzitutto quella temporale, ovvero la necessità di rendere sicura la Capitale del Regno in tempi brevi o per lo meno compatibili con l’esigenza stessa della difesa: un sistema difensivo realizzabile nell’arco di molti decenni risulta inefficace in un quadro storico instabile come quello dell’unificazione italiana. Inoltre quella economica: il dibattito verte sulla gestione delle risorse nazionali e sulla loro ripartizione. Infine quella tecnica: la valutazione delle reali esigenze difensive della città e del Paese, e della necessità di connettere le opere difensive cittadine e quelle nazionali tramite un progetto integrato di difesa.

Le questioni maggiormente divisive sono quelle economica e tecnica.

Dal punto di vista economico è pressante la necessità di concentrare, per la realizzazione delle opere belliche e di difesa, un ammontare adeguato, ma non eccessivo, di risorse, in considerazione del fatto che tali fondi sarebbero stati sottratti ad altri usi civili, che sarebbero andati più immediatamente a beneficio della popolazione. Un esempio della posta in gioco

è l’opposizione di Garibaldi al primo decreto promulgato per 17. Cfr. E. Cajano, op. cit., pp. 48-52.

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stabilire l’effettivo stanziamento di fondi – 13 milioni di lire – per dare avvio alle opere di fortificazione di Roma, nel 1877, progetto al quale egli contrapponeva quello della bonifica delle terre dell’Agro Romano, intervento che sarebbe andato a diretto beneficio della popolazione e del territorio.18 Una valutazione

stringente delle esigenze militari diviene dunque necessaria per comprendere quante risorse sono necessarie allo scopo di realizzare un sistema di difesa integrato, sia della Capitale, sia dell’intero territorio italiano, senza rischiare di rompere il patto sociale. Nota Cajano19 che «le fortificazioni in generale hanno

richiesto in ogni tempo coinvolgimenti e sacrifici finanziari e sociali, togliendo denaro ed energia all’attività produttiva, per investirli in opere e mezzi difensivi. La soluzione del problema della difesa della città ha riguardato sia studiosi, sia militari e politici, poiché doveva coniugare aspetti funzionali, tecnici e, non da ultimo, anche economici». E la destinazione dei fondi non è l’unico problema che si presenta. Nel caso di Roma, continua Cajano, era necessario «conciliare le esigenze militari con quelle municipali e le prime furono ritenute, naturalmente, preponderanti in uno Stato e in una Capitale che muovevano i primi passi. […] Con il passaggio della capitale da Torino a Firenze e, in seguito, a Roma, insieme al nascere di una coscienza nazionale si delinea la separazione delle esigenze dei militari da quelle della comunità civile. […] È proprio negli anni della capitale a Firenze che comincia a delinearsi una frattura fra le concezioni urbanistiche dei tecnici militari e quelle dei professionisti civili e questa frattura si acuisce ancor più quando la capitale passa a Roma, laddove e negli anni in cui la coscienza di un’unità nazionale è poco sentita». In altre 18. Ivi, p. 57.

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parole, la stima dei costi è un elemento chiave del dibattito economico in quanto la sostenibilità economica di un progetto dipende, talvolta, anche dalla sua sostenibilità sociale.

Questo cambiamento si riflette ancor più sul piano del dibattito tecnico, in cui si assiste ad un estremo ripiego del settore militare su se stesso: se, al livello tecnico, il dibattito si fa senza dubbio più complesso, dovendo determinare le opere da realizzare sulla base di valutazioni tattiche, strategiche, geografiche ed orografiche, stimando conseguentemente anche l’ammontare delle risorse necessarie, è pur vero che il coinvolgimento di diverse competenze e del mondo dell’architettura “civile” avrebbe forse giovato. Invece, sebbene a dare impulso alle valutazioni fosse stato un organo politico, il Ministero della Guerra, che nel 1870 incaricò la Commissione permanente per la difesa generale dello Stato di mettere a punto un piano per la fortificazione e la difesa della Capitale, il dibattito si sviluppò unicamente fra esperti del settore, alcuni generali del Genio, le cui proposte furono presentate nella Rivista Militare Italiana fra il 1871 ed il 1873.20

Ad una prima analisi i dati da tenere in considerazione al fine di formulare un progetto erano di natura principalmente geografica.

La collocazione geografica di Roma presenta alcune peculiarità: la città, adagiata su colli, è attraversata da un fiume e sufficientemente vicina al mare (26 km) da temere attacchi marittimi e fluviali; è invece distante dai confini settentrionali del paese, attraversato dalla dorsale appenninica, la quale taglia la penisola longitudinalmente in modo da incanalare

un eventuale attacco di terra alla Capitale lungo la dorsale 20. Cfr. E. Cajano, op. cit., p. 48.

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occidentale dell’Appennino. Inoltre, trovandosi al centro di una vasta pianura, la città è facilmente aggirabile e circondabile, mancando totalmente di appoggi naturali che ne proteggano un lato, fatto che faciliterebbe un assedio.

Anche le condizioni tecniche della città presentano alcuni problemi: la cinta muraria è troppo ristretta e non ingloba gli acquedotti e le sorgenti da cui la cittadinanza si alimenta, rendendola non indipendente e sottoponendola al rischio di trovarsi nell’impossibilità di rifornirsi, in caso di assedio; a ciò si aggiungono le condizioni in cui versa la pianura romana, dove urge una bonifica delle terre, mentre le zone più salubri sono distanti dalla città.

Queste constatazioni sono il necessario punto di partenza delle valutazioni strategiche e tattiche, in quanto non solo il valore, ma anche le caratteristiche e la disposizione di una città determinano la necessità o meno di fortificarla e il modo in cui le difese devono essere organizzate. Lo status particolare di Roma, capitale del Regno, non è infatti sufficiente, secondo alcuni, a determinare la necessità di fortificarla, poiché la sua disposizione geografica e fisica la rende irrilevante per la difesa del Paese. Su altre posizioni si trovano coloro che argomentano a favore della fortificazione, in considerazione dell’alto valore simbolico e morale della capitale ai fini del mantenimento del potere dello Stato: se la capitale venisse conquistata, non solo ne risentirebbe il morale delle truppe, ma verrebbe anche danneggiata l’effettiva possibilità degli organi statali di svolgere i propri compiti e di mantenere il controllo del territorio, portando lo Stato alla paralisi e favorendone la sconfitta. La capitale, dunque, deve essere fortificata proprio in quanto

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capitale, a prescindere dal ruolo che essa potrebbe rivestire nell’economia generale della difesa del territorio nazionale. Da quest’ultimo punto, tuttavia, dipende la tipologia di opere difensive da realizzare. Di conseguenza, a diverse valutazioni strategiche corrispondono diverse proposte progettuali. Le principali divergenze riguardano: la valutazione del territorio circostante la città e dell’uso che se ne può fare; la valutazione della collocazione geografica di Roma ai fini della difesa del Paese; la valutazione dei collegamenti fra i luoghi strategici rilevanti sul piano nazionale.

È interessante notare come, proprio fra i sostenitori della necessità di fortificare la capitale a causa del suo ruolo e del suo valore distintivi, un punto molto controverso riguardi il modo in cui le fortificazioni di Roma debbano essere messe in relazione con quelle nazionali in un sistema difensivo complessivo; infatti il piano organico di difesa di una penisola come quella italiana non deve necessariamente essere incentrato sulla capitale: se lo scopo è la difesa del Paese e dello Stato, essa non ha necessariamente Roma come fulcro, se altre soluzioni sono militarmente più adatte. Per questo motivo Roma non viene giudicata adatta da alcuni a svolgere la funzione di ultimo baluardo di difesa del Paese e quindi ad essere fortificata come un ridotto centrale.

Una simile varietà di opinioni è rappresentata nei primi progetti pubblicati nella Rivista Militare Italiana, a firma dei generali Antonio Brignone, Benedetto Veroggio e Felice Martini. «Il cardine del sistema difensivo dello Stato unitario è, per Brignone, “un ridotto centrale unico di difesa e che la posizione di questo ridotto vuol essere fissata nella zona di terreno

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circoscritta a nord e levante dalla catena degli Appennini fra i passi dell’Abetone e di Bocca Trabaria, a ponente dal mare fra Spezia e Livorno, a sud dai fiumi Serchio e Arno, fra Pisa, Pontassieve e San Miniato, con centro a Pistoia»21.

Inoltre le difese naturali costituite dal carattere orografico della penisola devono essere sfruttate, costruendo dei forti di sbarramento che impediscano alle truppe nemiche di valicare le Alpi. Per quanto riguarda l’altro tratto saliente del territorio italiano, l’estensione delle coste, la loro lunghezza implica un sistema incardinato su più fulcri fortificati distribuiti in luoghi salienti sia dal punto di vista strategico militare, sia per il loro valore commerciale (ad esempio La Spezia, Messina, Taranto, Venezia). «Una volta individuato il ridotto centrale di difesa e assicurate le frontiere sia continentali che marittime, è necessario – sempre secondo Brignone – collegare le difese di frontiera con il ridotto centrale “in modo che l’esercito difensore successivamente respinto da combattimenti sfortunati trovi delle stazioni di resistenza a conveniente distanza tra loro ed in postazione opportuna per riordinarsi, ricevere i necessari rinforzi, rifornirsi di munizioni o di altri materiali da guerra e difendere più gagliardamente possibile le varie parti del territorio sino a raggiungere finalmente il ridotto centrale dove sostenere l’ultima ed insieme la più vigorosa ed ostinata lotta”. Si tratta della scelta più complessa e, anche in questo caso, il generale – dopo aver vagliato varie soluzioni – ipotizza campi trincerati di grande ampiezza o, meglio,

piazzeforti collegate»22. Il problema della difesa di Roma

vede Brignone schierato fra coloro che sostengono l’inutilità della sua fortificazione ai fini della difesa dell’intero territorio 21. E. Cajano, op. cit., p. 48.

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nazionale: «il problema, secondo Brignone, è valutare se la difesa della piazza di Roma è altrettanto indispensabile come lo sono le altre piazze strategiche per esempio nella valle del Po; dall’altra parte il timore principale era quello di un assedio repentino e inaspettato della Capitale mentre tutte le truppe

e le forze erano impegnate nella valle del Po»23. Brignone

quindi propone di realizzare a Roma una corona di forti, presso i quali stanziare una guarnigione, per non rischiare di ripetere «l’errore di subordinare alle condizioni incerte della politica quelle pur sempre immutabili della scienza militare, e abbandoniamo ogni idea di fortificare Roma, perché questa non potrebbe essere dettata che da timori politici per lo meno esagerati, mentre i danni dal lato militare sarebbero pur troppo certi e considerevoli; procuriamo invece di assidere il sistema difensivo dell’Italia sui suoi veri cardini, che sono i principii della guerra»24. La scelta della piazzaforte principale cade invece

su Bologna, città che gode di un’ottima posizione naturale: a sud del corso del Po, che funge da barriera naturale, è protetta da un lato dagli Appennini e controlla adeguatamente la pianura nella quale confluiscono i passi alpini.

Quindi Brignone, nonostante ritenga che la caduta della capitale nelle mani del nemico rappresenti un grave pericolo per la difesa dello Stato solo nel caso in cui il governo non sia saldo, acconsente a dedicare circa 50 milioni alla difesa della città di Roma, e altrettanti per la realizzazione di tre piazzeforti strategiche nella valle del Po.

La posizione del generale Veroggio si trova invece sulla linea opposta: egli parteggia per la fortificazione di Roma in quanto

capitale dello Stato, città più importante e rappresentativa, 23. Ibidem.

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raggiungere la quale è, sostiene Veroggio, lo scopo dei moderni assedi – un assedio del genere potrebbe essere atteso da parte dei francesi. Secondo Veroggio «la prima operazione è realizzare un ridotto centrale di difesa, in questo caso coincidente con la capitale e per diversi motivi: in quanto capitale, infatti, sarà al centro di collegamenti con tutto il territorio; in secondo luogo il terreno nei dintorni non offre risorse di pregio, a tutto vantaggio della sua messa in difesa; da ultimo si fa riferimento alle vicende storiche: se Roma ha potuto essere difesa sotto gli imperatori e durante le trasformazioni urbane pontificie,

perché non potrebbe essere rafforzata ulteriormente?»25.

Veroggio propone quindi una soluzione simile a quella del Brignone, ma di entità molto superiore: un sistema di forti molto esteso, pari a quello di Parigi, con una stima di spesa di circa 140 milioni di lire. Considerando invece la disposizione geografica del Paese, egli propone inoltre la realizzazione di un’ulteriore piazza fortificata, considerando che la guerra via terra non potrebbe che giungere dal Nord, e propende per Piacenza: al centro della vallata del Po, adagiata sulla sponda destra del fiume, vicina alla protezione della catena appenninica. Piacenza andrebbe dunque difesa con un campo trincerato molto esteso e connessa alle altre importanti piazze strategiche, commerciali e marittime: Alessandria, Genova, Spezia, per una spesa complessiva di 235 milioni di lire. La prospettiva assunta da Martini, infine, si distacca dalle due precedenti non tanto negli scopi – fortificare Roma e difendere il Paese sono priorità assolute, da perseguire senza risparmiare risorse – ma nei mezzi: egli propone di concentrarsi innanzitutto su di un migliore armamento delle truppe, che 25. E. Cajano, op. cit., p. 50.

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potrebbe supplire ad invasioni provenienti sia da Nord che dalle coste, giudicando inutile investire molte risorse nelle fortificazioni stabili dei valichi alpini: postazioni isolate, che divengono irrilevanti una volta superate. Grande importanza è attribuita, al contrario, alla realizzazione di un ridotto centrale a Bologna, mentre oltre l’Appennino non ritiene necessaria alcuna piazzaforte, così come le fortificazioni di Roma dovrebbero essere realizzate nell’ottica di difesa da un attacco dal mare, e non pensandole come un secondo ridotto. Anche in questo caso sarebbe determinante piuttosto l’intervento di un esercito agile e bene armato. Molto rilevante per Martini diventa la difesa delle coste, che deve essere imperniata su un sistema di piazzeforti costiere (Genova, La Spezia, Messina, Venezia, Taranto) rilevanti per i loro porti, per la posizione strategica o per la presenza di strutture ed arsenali.

Martini classifica la fortificazione di Roma come urgentissima, da completare entro sette anni. Pur non specificando somme precise, sottolinea che la difesa del territorio nazionale è di prima importanza e negli interessi stessi dei cittadini, e pertanto richiede che vengano stanziate le risorse necessarie a rendere il territorio sicuro, stimandole maggiori anche di quelle impiegate dalla Francia per il proprio sistema di difesa di Parigi.

La varietà degli scenari e delle proposte, unita alla complessità del dibattito, prolungarono molto l’attesa di una decisione politica in merito ai progetti difensivi. Il problema principale che emerse fu la carenza di fondi. La proposta che ebbe seguito per Roma fu di realizzare intorno alla città un sistema di forti che la difendesse da eventuali colpi di mano e da bombardamenti

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con materiale d’assedio ordinario. Rimase dibattuta la scelta di realizzare a Roma un ridotto di difesa, criticata dal generale Brignone in quanto esso deve «essere unico e presentare tutta una serie di vantaggiosità legate all’ultima ratio. Per cui se ci fosse un attacco dal fronte marittimo da potenze straniere quali l’Inghilterra, la Russia o gli Stati Uniti, nessuno si rifugerebbe a Roma che potrebbe essere accerchiata, bensì a Bologna, la cui posizione permette di proteggersi pur restando in collegamento con l’Italia settentrionale. E ancora, la piazza di Roma può essere aggirata a distanza passando per Rieti e Terni, per cui la creazione di una grande piazza da guerra

non può essere validamente proposta»26. Negli anni seguenti

la richiesta iniziale del Ministero della Guerra, dunque, diversi progetti vennero presentati, tutti incentrati sull’idea di realizzare intorno a Roma un sistema di piazze d’armi e un anello esterno di forti, allo stesso tempo recuperando la cerchia muraria, ma sino al 1875 la situazione rimase in stallo, anche a causa della sproporzione fra risorse necessarie e fondi disponibili. A quella data il dibattito sul progetto difensivo romano venne riaperto, ancora sulle pagine della Rivista Militare Italiana, da un intervento in forma anonima che stravolgeva gli assunti del progetto, la cui principale carenza sarebbe stata proprio la trascuratezza delle difese romane: la Capitale doveva essere saldamente fortificata, perché un sistema di forti e un esercito mobile non avrebbero potuto far fronte ad una massiccia – e probabile – invasione dal mare. La controproposta vedeva quindi Roma come strategico punto di manovra, perno della difesa del centro-sud e dei collegamenti Roma-Pescara e Roma-Ancona, da fortificare in aggiunta al 26. Ivi, p. 53.

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punto strategico assoluto rappresentato da un ridotto di difesa a nord. La soluzione migliore per fortificare Roma sembrava essere un campo trincerato addossato.

La soluzione del campo trincerato fu appoggiata anche dal maggiore generale Antonio Araldi, il quale tuttavia criticò la valutazione strategica del territorio romano del progetto: «Araldi ritiene che restringere il campo trincerato di Roma entro un perimetro di 40-50 km voglia dire facilitare l’assedio di un nemico posto sulle alture che attorniano la città, per cui sulla scia di Brialmont, ma tenendo presenti i mezzi finanziari a disposizione, propone la realizzazione di un campo trincerato a scala territoriale»27.

Ancora nel 1875, dunque, il dibattito sulla difesa di Roma è aperto su temi sostanziali e non accenna a risolversi lo stallo legato all’incertezza dei finanziamenti. Solo nel 1877 la situazione accennerà a cambiare, a causa dell’incerto clima politico e del timore di una invasione francese dal mare. Un Regio Decreto promulgato in agosto stabilì la difesa di Roma per mezzo di un campo trincerato, autorizzando la spesa di 13 milioni di lire. La soluzione definitiva per cui si optò fu un sistema tradizionale costituito da opere a carattere permanente; «l’idea di base era quella di proteggere la capitale con una cintura di opere esterne, costituita da un poligono con distanze intermedie tra forti più vicini possibile, utilizzando le cinte murarie preesistenti con nuovi aggiornamenti e alcuni tratti realizzati ex-novo come cintura di sicurezza. Il poligono raggiungerà, a lavori ultimati, un’ampiezza di circa 40 km e i forti verranno posizionati a ridosso delle vie d’accesso alla città, corrispondenti nella maggior parte dei casi alle antiche

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vie consolari, per tenere sotto controllo ogni possibile avanzata nemica, e sulle alture intermedie, andando a formare una maglia difensiva radio-concentrica, anche se i collegamenti previsti tra i forti non verranno realizzati»28.

I lavori furono avviati nel novembre 1877 sotto la direzione del direttore del Genio Luigi Garavaglia e completati in una seconda fase, dal ’79 al ‘91, sotto la direzione del generale Durand de la Penne.

Nel 1885, con il nuovo Ministro della Guerra Cesare Ricotti, si assistette ad un cambiamento nella strategia difensiva della Capitale, in quanto il generale sostenne due nuove priorità: «la realizzazione di una nuova cinta aggiornata e l’adozione di opere esterne per una maggior difesa dei forti: nello specifico il muro alla Carnot, cioè un muro staccato, realizzato ai piedi del fossato, con postazioni continue di fucileria, una sorta di galleria difensiva del fossato»29.

28. Ivi, p. 57. 29. Ivi, p. 60.

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