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Tutela legale

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

Tutela legale

A livello normativo, l’anziano trova differenti tutele nei diversi paesi del mondo, diverse per intensità e per modalità, ma, in alcuni casi, la tutela ad esso apprestata è limitata alla possibilità di usufruire di norme previste a garanzia di un qualsiasi soggetto, a prescindere dalla sua età: in questi casi non si tiene conto che, a causa di condizioni fisiche, psichiche e psicologiche, l’anziano è, sempre e ovunque, il soggetto più facilmente aggredibile e la vittima che consente maggiori possibilità di successo dell’azione criminosa.

Nel nostro ordinamento non esiste una tutela giuridica specifica per gli anziani in quanto tali, ma essi godono degli stessi diritti di cui usufruisce un qualsiasi soggetto. Neppure la Carta costituzionale, che pure assicura protezione alla maternità, all’infanzia e alla gioventù (art. 31 Cost.), prevede disposizioni specifiche a tutela degli anziani: essi godono dei diritti allo sviluppo della personalità (art. 2 Cost.), alla salute (art. 32 Cost.), al mantenimento e all’assistenza sociale (art. 38 Cost.) qualora si trovassero in particolari condizioni di indigenza, al pari di ogni altro soggetto che versi in situazioni di bisogno.

Tuttavia questa carenza non sembra addebitabile al legislatore costituzionale: piuttosto è figlia del particolare periodo storico in cui la Carta costituzionale è stata elaborata. Infatti, nel 1948, la condizione sociale e la situazione demografica italiana, ed

europea, erano completamente diverse da quelle attuali. La dimostrazione di ciò è data dal fatto che Costituzioni più recenti, come quella portoghese del 1976 e quella

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spagnola del 1978, hanno risentito del cambiamento avvenuto nel giro di trent’anni e hanno avvertito l’esigenza di inserire norme a tutela degli anziani. L’art.72 della Costituzione portoghese dispone: “Lo Stato promuoverà una politica della terza età.. (che) dovrà..offrire condizioni di abitazione e convivenza familiare e comunitaria che evitino e superino l’isolamento o l’emarginazione sociale..”; similmente, la Costituzione spagnola nel suo art.50 recita: “I poteri pubblici garantiranno, mediante pensioni adeguate ed integrate periodicamente, l’autosufficienza economica ai cittadini della terza età. Allo stesso modo, ed indipendentemente dagli obblighi della famiglia, promuoveranno il loro benessere, mediante un sistema di servizi sociali che si occuperanno dei loro problemi specifici di salute, vita quotidiana, cultura e tempo libero”36.

In Italia, un passo avanti in tal senso è stato compiuto con la legge del 5 aprile 2001, n.154, intitolata “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”; data la frequente vittimizzazione dell’anziano per mano di un parente, la legge 154/2001 sembra molto pertinente, ma resta il fatto che essa non è diretta unicamente e specificamente alla tutela dell’anziano.

5.1 I reati a tutela della famiglia

Ritornando all’ordinamento giuridico vigente nel nostro paese, nel Codice Civile non vi sono riferimenti diretti agli anziani. Alcune citazioni si riscontrano, per contro, nella legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, la Legge 833/78, all’interno della quale si annovera, tra gli obbiettivi del nostro Sistema Sanitario Nazionale, la “..tutela

36 M. M. Correra, P. Martucci, “I maltrattamenti agli anziani. L’abbandono come negligenza – Le morti “solitarie” nel territorio di Trieste” Rassegna Italiana di Criminologia ,1994;1:35-61

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della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e rimuovere le condizioni che potrebbero concorrere alla loro emarginazione..”37. Analogamente, nel Codice Penale vi

sono rare citazioni specifiche di tale figura; in merito a tale codice gli articoli che richiamano in modo più specifico al fenomeno della violenza contro le persone anziane sono quelli di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p., di

maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p., di circonvenzione di incapaci ex art. 643 c.p. e di abbandono di incapace ex art. 591.

● L’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

È trattato nell’articolo 571 del Codice Penale, il quale dispone:

“Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o un’arte è punito con la reclusione..”.

Il reato presuppone l’esistenza di uno “ius corrigendi” nei confronti del soggetto passivo, affinché non sia configurato come delitto di percosse, o di lesioni personali, o violenza privata, o quant’altro si verifichi nel caso specifico. Si ha un rapporto disciplinare ogni qual volta una persona si trovi a dipendere da un’altra attraverso un vincolo di soggezione, che può esistere per motivazioni eterogenee: dipendenza familiare, istruzione, educazione, ricovero, carcerazione; tutte queste situazioni possono conferire al soggetto attivo la potestà di punire il dipendente a scopo correttivo o coercitivo. L’abuso è inteso come eccesso dell’uso legittimo, pertanto, per la

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configurazione del delitto in esame, il mezzo impiegato deve essere giuridicamente lento.

Il reato di abuso di mezzi di correzione può commettersi attraverso violenze fisiche, che eccedono la vis modica, o attraverso violenze morali (minacce, intimidazioni, impedimento del sonno, coazione a sforzi eccessivi, a visioni terrificanti, tenendo conto dell’età e della sensibilità del soggetto passivo). Sono inoltre compresi fatti omissivi (privazione di cibo, vestiti …). È sufficiente un solo evento perché si ricada nel reato in esame, diversamente dal delitto di “Maltrattamenti in famiglia”. Il delitto ex art. 571 c.p. è imputabile solo a titolo di dolo, un dolo di tipo specifico, che non comprende, però, la volontà di procurare un evento dannoso ma soltanto la volontà di correggere, elemento che impone nuovamente la diagnosi differenziale con il delitto ex art. 572 c.p.

● I maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli

È trattato nell’articolo 572 del Codice penale, il quale dispone:

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una

persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione..”.

Sebbene non specificati, i maltrattamenti sono intesi come atti lesivi della incolumità o della libertà o del decoro della persona. Il maltrattamento può estrinsecarsi tanto in un’aggressione fisica (percosse, digiuno o cattiva alimentazione, clausura, impedimento del sonno, sudiceria, richiesta di fatiche eccessive) quanto in una psichica

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(ingiurie, minacce, atti di vilipendio o di scherno, atti o tentativi sessuali contro natura), producendo sofferenze fisiche, o morali, ovvero fisiche e morali insieme. Gli atti compiuti dal soggetto attivo devono comportare uno stato di vessazione, con la caratteristica di essere reiterati nel tempo, quindi finalizzato a ledere il soggetto passivo. La durata della condotta maltrattante non è considerata rilevante tuttavia deve essere sufficiente a determinare minare nella vittima uno stato abituale di sofferenza fisica o morale. Gli atti lesivi non devono necessariamente comportare un pericolo per l’incolumità della persona offesa. Caratteristica del maltrattante è la sua volontà cosciente. Indispensabile è considerare il rapporto tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo: essi devono essere uniti dall’instaurarsi di una relazione abituale. Tra i soggetti passivi considerati in questo articolo, infatti, è compresa la “persona della famiglia”, ovvero tutti coloro che, pur senza vincoli di parentela naturale o civile, siano uniti tra loro da intime relazioni e consuetudini di vita, che hanno fatto sorgere legami di reciproca assistenza e protezione. L’articolo in esame contempla anche, come soggetti passivi, “persone affidate per ragione di educazione, cura, istruzione, vigilanza o custodia” ed inoltre “persone affidate per l’esercizio di una professione o di un’arte”, comprendendo quindi degenti di ospedali, di case di cura, incapaci affidati alla pubblica assistenza.

● La violazione degli obblighi di assistenza familiare

È oggetto dell’articolo 570 del Codice Penale.

“Chiunque, abbandonando il domicilio, o comunque serbando una condotta

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inerenti alla patria potestà, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

– malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; – fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti d’età minore ovvero inabili

al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”.

Occorre osservare che per la sussistenza della fattispecie è ritenuta necessaria la presenza di un vero stato di bisogno nella vittima e che comunque nel concetto di “mezzi di sussistenza” rientra solamente ciò che è strettamente indispensabile a soddisfare i bisogni primari della persona (vitto, vestiario, abitazione).

● La circonvenzione di persone incapaci

L’articolo 643 del Codice Penale dispone:

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni, o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato di infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che comporti qualsiasi effetto giuridico per lei dannoso, è punito con la reclusione.. e con la multa..”

Questo tipo di reato contempla tre possibili vittime: – minorenne;

– infermo psichico; – deficiente psichico.

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La prima fattispecie è legata strettamente all’età cronologica della vittima e, per quanto molto spesso le caratteristiche dell’anziano lo rendono vulnerabile a questo tipo di reato, non si fa menzione dell’età senile e la collocazione che spetterebbe al generico “vecchio”, verosimilmente integro cognitivamente e con capacità critica e di giudizio conservate, dovrebbe essere quella del “deficiente psichico”. Tale condizione, secondo la giurisprudenza, si verifica in assenza di cause patologiche ed è ribadita dalla Suprema Corte in molteplici occasioni. Questa nozione può ad esempio trovare applicazione nei seguenti casi:

– per tutti i soggetti che: “..a cagione della loro età o del loro stato.. (siano)..particolarmente assoggettabili alle pressioni, agli impulsi esercitati su di loro..”;

– per “..vecchi..donne di temperamento debole e duttile..analfabeti..rustici..”; – in “..tutte le forme non morbose di abbassamento intellettuale, di menomazione di potere di critica, di indebolimento della funzione volitiva e affettiva..”.

In ambito psichiatrico forense è stata dedicata particolare attenzione alla differenziazione tra il significato patologico e quello “fisiologico” dei disturbi involutivi senili. È stata, in tal senso, riconosciuta l’inevitabilità della sussistenza, nei pazienti geriatrici, di disturbi mnesici e logici, con la conseguente necessità di comprendere, caso per caso, se tale condizione possa essere identificata in un “normale” modo di essere dell’individuo, legato alla sua età, o assuma uno specifico valore patologico, tale da influire sulle sue capacità di comprensione e di scelta e quindi tale da renderlo circonvenibile.

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Trattato nell’articolo 591 del Codice Penale, che prevede:

“Chiunque abbandona una persona minore di anni quattordici ovvero una

persona incapace, per malattia di mente o di corpo, o per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura,è punito con la reclusione dai sei mesi ai cinque anni... Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato”.

Il soggetto attivo può essere solo chi violi un dovere di custodia o di cura, ovvero di assistenza, facendo riferimento a tutte le prestazioni e le cautele protettive a cui una persona può essere obbligata verso un incapace di provvedere a se stesso -il mantenimento, la vigilanza, l’educazione e l’istruzione. Vi può sussistere anche solamente l’omissione di cura o di custodia. Nella dicitura dell’articolo si annovera anche la figura dell’“incapace per vecchiaia”. L’età senile, di per sé, non è sufficiente a rendere l’abbandono un reato, ma è condizione necessaria che l’anziano sia “incapace di provvedere a se stesso”. L’abbandono si compie lasciando la persona in balia di se stesso o di chi non sia in grado di provvedere ad essa, determinando pericolo per la vita o per l’incolumità. Il delitto è considerato aggravato se commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, dall’adottante o dall’adottato38.

5.2 La legge 154/2001

In materia di violenza endofamiliare, la legge n. 154 del 5 aprile 2001 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” si distingue per aver introdotto nel nostro

38 A. Molinelli et al. “Aspetti medico-legali e geriatrici del “maltrattamento” dell’anziano” G GERONTOL 2007;55:170-180

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ordinamento, nel settore civile e penale, una doppia tipologia di misure di differente contenuto, costituite: dagli ordini di protezione contro gli abusi familiari, disciplinati negli artt. 342-bis e ter c.c.; dalla misura cautelare coercitiva - art. 282-bis c.p.p.- che consente di ottenere provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare di chi compia abusi e l’impossibilità di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, in particolare il luogo di lavoro o il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, estendendone l’ambito di applicazione soggettivo alla famiglia di fatto39.

Con la realizzazione di un sistema di protezione a doppio binario, il legislatore ha inteso offrire una paritetica tutela, sia sul piano civile che su quello penale, alla vittima di violenze familiari, rimettendo ad essa la scelta degli strumenti da utilizzare.

Molto importante è il fatto che, avendo la legge in questione ad oggetto le “violenze nelle relazioni familiari” non ulteriormente specificate, in essa è inclusa la tutela della violenza non solo fisica ma anche quella di tipo psicologico.

A prescindere da quella che sarà poi l’applicazione pratica, la portata innovativa della norma risulta potenzialmente enorme: si intravede, seppure con le cautele e le prudenze del caso, la possibilità di un’apertura sull’universo ancora sommerso degli abusi contro gli anziani, in particolare delle violenze psicologiche che possono atteggiarsi in diverse figure criminose, violenze non visibili, non fatte di prove documentali o di perizie psichiatrico- forensi, ma non per questo meno gravi o meno pericolose, o meno lesive e invalidanti.

Per l’applicazione dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter c.c. è necessario che:

39 F. M. Zanasi, “Violenza in famiglia e stalking. Dalle indagini difensive agli ordini di protezione” Giuffrè Editore, Milano, 2006

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- vi sia una condotta causa di “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà” della vittima della condotta stessa;

- tale condotta si verifichi all’interno di una relazione familiare.

Secondo la dottrina prevalente, questi provvedimenti hanno natura cautelare: essi mirano a porre le condizioni necessarie per evitare il reiterarsi di condotte che possano causare un pregiudizio irreparabile, rendendo non necessario, al fine della loro ingiunzione, che l’evento dannoso si sia già consumato, bastando invece l’imminenza del pregiudizio, cioè un alto grado di probabilità.

Il contenuto degli ordini di protezione è tipico e il giudice può graduarlo, nel caso concreto, secondo il livello di protezione necessario per reprimere l’abuso e prevenirne la reiterazione. Si tratta, cioè, di misure elastiche, cumulabili fra loro secondo necessità, in un rapporto di reciproca autonomia. Possiamo però distinguere fra contenuto necessario dell’ordine di protezione e contenuto eventuale.

Costituiranno contenuto necessario degli ordini di protezione: 1) la cessazione della condotta;

2) l’allontanamento dalla casa familiare.

Ne costituiranno, invece, contenuto eventuale (“ove occorra”):

3) il divieto di avvicinarsi “ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia”, a meno che l’aggressore non debba frequentare questi luoghi per esigenze lavorative;

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4) “l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”;

5) “il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi” rimaste prive di mezzi adeguati in seguito all’adozione degli ordini di protezione.

Una diversa classificazione può farsi tra:

- provvedimenti di carattere personale, relativi ai rapporti endofamiliari (ordine di cessazione della condotta, allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinarsi e frequentare determinati luoghi, intervento dei servizi sociali);

- provvedimenti di carattere patrimoniale (ordine di pagamento di un assegno periodico. Si tratta, evidentemente, degli stessi provvedimenti adottabili in sede penale secondo l’art. 282 bis c.p.p., con l’unica eccezione dell’intervento dei servizi sociali, di centri di mediazione familiari o di associazioni di aiuto per le vittime degli abusi.

L’inosservanza degli ordini di protezione è come vedremo meglio in seguito, sanzionata penalmente: l’art. 6 l. 154/01 stabilisce infatti che “chiunque elude l’ordine di protezione previsto dall’art. 342 ter del Codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall’articolo 388, primo comma, del Codice penale. Si applica altresì l’ultimo comma del medesimo articolo 388 del Codice penale”. Dunque, si applica la pena prevista per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, vale a dire la reclusione fino a tre anni o la multa.

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5.3 La riluttanza alla denuncia/querela

Per il ricorso all’applicazione della nuova misura cautelare di cui all’art 282-bis c.p.p. e consentire l’emersione del reato, la vittima dovrà proporre denuncia/querela nei confronti del familiare violento. Tuttavia, con specifico riferimento ai torti domestici, la propensione alla denuncia appare piuttosto rara, com’è testimoniato dalle statistiche giudiziarie penali. Nello specifico, i casi di “maltrattamento” ai danni delle persone di età avanzata che giungono alla Magistratura sono una minima parte della reale presenza del fenomeno. Attenendosi ai dati raccolti dall’ISTAT relativi all’anno 2005, all’interno della popolazione italiana i soggetti con più di sessantacinque anni sono ben il 20%. Applicando a tali numeri la stima dell’incidenza del fenomeno proposta dal NEAIS (National Elder Abuse Incidence Study) relativa alle altre nazioni europee, ci si dovrebbe aspettare un numero annuo di casi di maltrattamento, in Italia, che si avvicinerebbe alle 500.000 vittime.

La procedibilità a querela della persona offesa costituisce, quindi, un limite spesso invalicabile all’esercizio ed alla prosecuzione dell’azione penale perché è frequente che la vittima non presenti alcuna querela, o la rimetta successivamente, per non sottoporre un congiunto ad un procedimento giudiziario o per paura di ritorsioni.

Queste le principali ragioni della resistenza alla denuncia: la vittima minimizza l’offesa, ritenuta troppo esigua per meritare una reazione così “dura”; vuole evitare conseguenze pregiudizievoli all’autore del fatto; teme di essere esposta alla rivelazione di circostanze imbarazzanti; si sente intimidita dal reo; non si rende conto/ non vuole rendersi conto della gravità del danno patito; infine, nutre sfiducia nella capacità del sistema giudiziario di perseguire il colpevole.

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Appare quindi ovvia, al fine di contrastare il fenomeno dell’abuso sull’anziano, la necessità di superare i limiti delle leggi poste a protezione delle vittime di abusi, adottando precisi provvedimenti legislativi sulla scorta delle esperienze di altre nazioni, più attente a tale problema. Si noti, ad esempio, come ogni stato degli USA, a partire dal 1985, presenta una legislazione atta a regolare l’istituzione dei servizi APS (“Adult

Protective Services”). Dal 1993, tali leggi APS comprendono una sezione

specificatamente dedicata alla tutela dell’anziano. Gli statuti suddetti entrano nel vivo del problema non soltanto delineando l’età precisa alla quale un adulto possa essere definito “anziano” e le circostanze che devono portare a considerarlo soggetto “vulnerabile”, ma anche definendo il concetto di abuso nelle sue molteplici forme; si occupano, inoltre, di descrivere come debba essere stilata una denuncia del fenomeno, i metodi previsti per l’accertamento di una responsabilità in merito e le sanzioni conseguenti, infine i provvedimenti da attuare nei confronti delle vittime40.

40G.S. Wei , J.E. Herbers, “Reporting elder abuse: a medical, legal, and ethical overview” J. Am. Med.

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