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Capitolo 1 Interessi in conflitto

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Capitolo 1

Interessi in conflitto

1.1 L’instabilità dell’Afghanistan e le mire dell’Unione Sovietica

L’Afghanistan ha da sempre occupato un’importante posizione dal punto di vista geopolitico ed ha ospitato entro i suoi confini numerosi gruppi etnici1 e linguistici. Per questi motivi, nel corso di tutta la sua storia, si è sempre rivelato un paese instabile con cui intrattenere relazioni ed esposto a soventi cambi di regime.

Figura 1: Gruppi linguistici presenti e loro distribuzione sul territorio afghano

1 L’Afghanistan, che ottenne l’indipendenza dal Regno Unito nel 1919, confina a nord

con il Tagikistan, l’Uzbekistan, il Turkmenistan e, attraverso il corridoio del Vacan, con la Cina, a sud e ad est con il Pakistan e a ovest con l’Iran. La composizione etnica dello stato è molto diversificata e vede una maggioranza tagika nella capitale Kabul, nelle province del nord ed in quella di Herat, nell’ovest del paese, mentre uzbeki e turkmeni sono stanziati soprattutto lungo il confine settentrionale delimitato dal fiume Amu Darya. I Pashtun hanno storicamente rappresentato l’etnia numericamente maggioritaria e socialmente dominante del paese, nonché quella che presentava l’organizzazione sociale più sviluppata. Gli appartenenti a questo particolare gruppo sono prevalentemente concentrati nelle province di confine con il Pakistan ed in quelle meridionali.

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L’Unione Sovietica, nel pieno del contesto della Guerra fredda, non poteva certo sottovalutare gli avvenimenti politici che sconvolgevano uno stato confinante,2 infatti si impegnò, a partire dagli anni Cinquanta, in tutta una serie di attività volte alla diffusione del pensiero marxista-leninista nei diversi strati della società afghana, attraverso anche una massiccia infiltrazione di agenti del KGB3 che presero contatto con alcuni esponenti ritenuti promettenti dal Comitato centrale del PCUS per la futura formazione di un partito comunista.

Figura 2: Gruppi etnici presenti e loro distribuzione sul territorio afghano.

2 Dal 1919 al 1933, anno del suo assassinio, il paese fu retto dal monarca Mohammed

Nadir Shah al quale successe il figlio, Mohammed Zahir Shah, che regnò fino al colpo di stato repubblicano capeggiato dal cugino Mohammed Da’ud Khan nel 1973.

3 Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti, Comitato per la sicurezza dello Stato,

principale agenzia di intelligence interna ed estera attiva in Unione Sovietica, sotto questo nome, dal 13 marzo 1954 al 6 novembre 1991.

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Nur Mohammad Taraki divenne un agente del KGB nel 1951 con il nome in codice di Nur, dopo di lui anche Babrak Karmal iniziò, nel 1957,

ad avere regolari contatti con l’agenzia di spionaggio sovietica sotto il nome in codice di Marid.

Karmal, assieme ad altre personalità che condividevano l’ideologia comunista, diede vita ad un gruppo denominato Parcham (letteralmente “bandiera”); percorso parallelo intraprese anche Taraki che, assieme ad un compagno conosciuto nei primi anni di militanza comunista, Hafizullah Amin, diede vita ad un gruppo marxista chiamato Khalq (letteralmente “popolo”).

Nel 1964 il re, in seguito all’allontanamento di Da’ud, varò la nuova Costituzione spingendo questi due gruppi ad accelerare il processo di fusione che venne ufficializzato il 1° gennaio 1965, rendendo possibile la nascita del PDPA, il Partito democratico popolare dell’Afganistan, che, pur non contando più di trecento aderenti al momento dell’atto fondativo, divenne il principale interlocutore dell’Unione Sovietica in Afghanistan attraverso il segretario Taraki.

La Costituzione nazionale stessa si occupava di disciplinare l’attività dei partiti, ma si decise che le normative inerenti questa delicata questione dovessero essere emanate da un regolamento di esecuzione reale. La monarchia, però, registrata la forte ostilità dei tradizionali gruppi di potere che temevano di vedere ridimensionata la loro influenza sulle questioni pubbliche, non firmò mai questo provvedimento, costringendo alla clandestinità le numerose formazioni politiche che nel frattempo si erano costituite4.

Negli anni che intercorsero tra la fusione ed il colpo di stato comunista del 27 aprile 1978 si rese sempre più evidente come questa unione fosse avvenuta solo virtualmente. I due gruppi infatti affermavano strategie differenti per espandere la base sociale del PDPA ed arrivare a governare5.

4 G.Vercellin, Iran e Afghanistan, Questioni Nazionali, Religiose e Strategiche in una

delle zone più calde del mondo, Roma, Editori Riuniti, 1986, p.12.

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Il Khalq, la fazione guidata da Taraki ed Amin caldeggiava una certa drasticità nei metodi di lotta politica e di eventuale futura gestione del governo; Il Parcham, la fazione

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Yury Vladimirovich Andropov, Direttore Generale del KGB6, fu una delle persone che, all’interno dell’apparato sovietico, più si spese per mantenere la coesione tra le due fazioni o almeno non per non far degenerare lo scontro oltre il punto di rottura. Il KGB, come il Comitato centrale del PCUS, aveva investito molto in questo progetto in termini finanziari e stava continuando a farlo nonostante l’opinione contraria di diversi analisti7.

Lo spionaggio sovietico riuscì a tutelare il PDPA anche durante il governo di Mohammed Da'ud Khan che, il 17 luglio 1973, aveva rovesciato la monarchia instaurando un governo repubblicano e bandendo tutti i partiti. Taraki e gli altri membri del partito erano stati avvisati dell’imminente colpo di stato dalla residenza dei servizi sovietici a Kabul che, anche durante i duri anni di governo di Da’ud, non mancò mai di sostenere gli sforzi volti alla presa del potere.

Andropov minacciò poi, in accordo con il PDC8, una sensibile riduzione dei finanziamenti sovietici qualora non si fosse riusciti a trovare almeno un accordo di massima che ponesse fine alle lotte intestine del partito; vista la situazione e coalizzatisi contro Da’ud, il nemico comune, l’accordo almeno apparentemente funzionò.

In seguito a diverse dimostrazioni di piazza, il 25 aprile 1978 il Presidente Da’ud, prevedendo il pericolo di una sollevazione comunista contro il suo governo, ordinò l’arresto dei principali esponenti del PDPA, tranne Amin al quale venne infatti affidata l’organizzazione del colpo di stato.

Con il partito di Taraki si schierò ben presto gran parte delle forze armate e Da’ud venne rimosso assieme al suo governo e assassinato; si costituì un Consiglio Rivoluzionario dominato dai membri del PDPA che assunse in via transitoria tutti i poteri il pomeriggio del 28 aprile 1978. Immediatamente Taraki sollecitò il riconoscimento formale del nuovo governo da parte dell’Unione Sovietica e un eventuale appoggio in caso di

di Karmal, invece, sosteneva che la società afghana avrebbe apprezzato una maggiore gradualità nell’applicazione delle riforme.

6 Carica mantenuta dal 1967 al 12 novembre 1982 quando assunse la carica di Segretario

generale del PCUS, subentrando al defunto Brežnev.

7 V.Mitrokhin, The KGB in Afghanistan, Cold War International History Project,

Washington, Woodrow Wilson International Center for Scholars, 2002, pp.20-22.

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attacco da stati come l’Iran o il Pakistan che potevano non considerare positiva l’idea di confinare con uno stato a regime comunista9

.

Nel corso del 29 aprile venne stabilito che il potere sarebbe stato condiviso dagli esponenti più prestigiosi del partito, ovvero Taraki, al quale venne riservato un ruolo preminente grazie all’esercizio congiunto delle cariche di primo ministro, presidente e Segretario generale del PDPA, Karmal ed Amin.

Ad appena un mese dal colpo di stato il Comitato centrale del PCUS si mosse per inviare in Afghanistan il primo gruppo di consiglieri mentre in agosto giunse a completamento l’organizzazione della residenza del KGB a Kabul che venne posta agli ordini del Colonnello Bogdanov10.

Nonostante ciò, le lotte intestine al PDPA non solo non cessarono ma si aggravarono poiché i maggiori esponenti del Khalq, la fazione di Taraki, estromisero gradualmente gli avversari del Parcham dalle posizioni di potere cominciando in seguito una vera e propria epurazione fisica che costrinse Karmal e i suoi a lasciare il paese.

Il governo di Taraki e di Amin si caratterizzò immediatamente per una spiccata propensione al favoritismo e al nepotismo. Il paese aveva urgente bisogno di riforme economiche e sociali e le favorevoli circostanze avevano permesso che esse potessero essere varate da un governo fedele all’Unione Sovietica. Nelle riflessioni di Andropov e dei maggiori esponenti del KGB questa occasione non doveva assolutamente essere sprecata, bensì il regime andava consolidato e la sua base sociale ampliata. Brežnev si trovò spesso costretto a tenere duri colloqui con Taraki in merito alle priorità del suo governo che evidentemente profondeva maggiori sforzi nell’eliminazione dei Parchamisti che nel varo di riforme. Tutto ciò, come confermarono allarmanti rapporti del KGB, stava gradualmente alienando il favore del popolo afghano che pure aveva favorevolmente accolto l’arrivo di Taraki e dei suoi al posto dell’impopolare governo Da’ud.

9 M.Hassan Kakar, Afghanistan: The Soviet Invasion and the Afghan response,

1979-1982, Los Angeles, University of California Press, 1997, p. 33.

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Ludwig W. Adamec, Historical Dictionary of Afghanistan, Washington, Manas Publications, 2005, pp. 47-52.

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Il Comitato centrale ebbe la lungimiranza di non schierarsi mai per una delle due fazioni del PDPA e ciò gli permise di mantenere contatti sia con Karmal che con altri della sua fazione nonostante si trovassero distanti dall’Afghanistan. Essi non facevano altro che sottolineare l’inaffidabilità del governo di Taraki ed Amin e l’errore commesso dall’URSS nel voler affidare la guida dell’Afghanistan nelle mani dei “Khalqisti”11.

Il KGB dovette mettere al corrente il Comitato centrale di un ulteriore aspetto della situazione, ossia il crescente contrasto tra Taraki ed Amin, che reclamava per sé maggiore peso nel governo. Amin rappresentò sempre un elemento del governo afghano su cui i russi non fecero mai completo affidamento. Oltre a questo aveva anche un pessimo rapporto con l’ambasciatore sovietico Alexander Puzanov. Questi elementi, sommati ai diversi contatti nella polizia politica e nell’esercito del primo ministro vicario, bastavano a fare di lui un elemento da tenere sotto stretta osservazione. Dal proprio punto di vista il vice di Taraki cercava solo di rafforzare la sua posizione in quanto, in diverse burrascose discussioni e telefonate, era emersa la volontà del presidente di utilizzare proprio Amin come capro espiatorio per i fallimenti del suo governo.

Nel clima di corruzione generale del regime di Taraki, sostanzialmente due erano le questioni cui il governo dava maggiore rilevanza. Innanzitutto era evidente e preoccupante lo scarso successo col quale le truppe governative stavano portando avanti le operazioni di repressione della resistenza, in secondo luogo si rendeva sempre più necessario agli occhi degli esponenti del PDPA il maggiore coinvolgimento militare dell’Unione Sovietica12

.

A Mosca, nel frattempo, si guardava con sempre maggiore preoccupazione all’ascesa di Amin nelle gerarchie del governo afghano. L’influenza di

11

Le tesi di Karmal stavano sempre più convincendo Brežnev che in passato aveva comunque nutrito una certa stima per Taraki. La sua eccessiva inclinazione all’accentramento del potere e le trame non sempre limpide del suo primo ministro vicario Amin fecero definitivamente mutare l’orientamento del PCUS nei confronti del governo afghano.

12 Durante il governo Taraki si stima che, nonostante brevi oscillazioni, la percentuale di

territori che sfuggivano al controllo di Kabul o che si trovassero direttamente sotto il controllo dei ribelli si aggirasse intorno al 75%.

Per quanto riguarda lo stesso periodo sono state registrate 12 richieste ufficiali da parte del governo afghano nei confronti dell’Unione Sovietica riguardanti la concessione di un maggiore appoggio militare da parte di Mosca.

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Amin su settori vitali per la stabilità del governo era infatti costantemente in crescita. Diretta conseguenza di ciò fu il sempre maggior interesse del personale del KGB di stanza in Afghanistan, come del personale della sede centrale, nei confronti di questo personaggio. Preoccupati dall’eventualità di un suo colpo di mano contro Taraki, l’Unione Sovietica, tramite canali ufficiali e non, tentò di riportare sul tavolo la proposta di una diluizione dei poteri del Khalq tramite la concessione di alcuni ruoli politici ai sopravvissuti della fazione del Parcham; questa, come altre proposte, vennero rispedite al mittente inasprendo ulteriormente i rapporti già tesi tra il PCUS e il PDPA13. Dietro a questa politica dello scontro gli analisti del PDC intravedevano la mano dell’estremismo di Amin dietro quella di Taraki che, fino ad allora, non aveva mai cercato la prova di forza con Mosca14; questo punto di vista venne anche espresso in un corposo memorandum che il KGB trasmise direttamente al Comitato centrale del PCUS15.

Come i sovietici avevano previsto, i contrasti tra Taraki e il suo primo ministro vicario si aggravarono durante tutto l’inverno del 1979 fino ad arrivare al punto di rottura. Alla metà di settembre, appena prima di un incontro programmato tra i due, si verificò una sparatoria nei pressi del Palazzo del Popolo a Kabul dalla quale Amin uscì miracolosamente illeso. Il primo ministro decise quindi di mettere sotto assedio l’edificio ricorrendo all’utilizzo alle sue guardie personali e a quelle del palazzo a lui fedeli che trassero in arresto Taraki.

13 M.Hassan Kakar, Afghanistan: The Soviet Invasion and the Afghan response,

1979-1982, Los Angeles, University of California Press, 1997, p. 38.

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I sostenitori di Amin all’interno del Comitato centrale del PDPA erano 14 su 30 mentre nel governo ammontavano ad 11 su 17.

15 In questo memorandum si misero in luce diverse questioni; innanzitutto l’incapacità del

governo di Kabul di trovare una sintesi interna per affrontare le emergenze del paese, in seguito vennero presentate alcune indicazioni che, secondo il parere degli analisti, avrebbero migliorato la situazione in Afganistan, come l’allargamento del governo alla società civile, alle numerose minoranze etniche nonché il rilascio di alcuni membri del

Parcham illegalmente mantenuti in stato di detenzione. Questi atti avrebbero, almeno in

apparenza, messo in luce agli occhi del popolo afghano la volontà del governo di una riconciliazione nazionale dopo anni di guerre. Infine al memorandum venne allegato un profilo della personalità e delle politiche perseguite durante il suo mandato dal primo ministro vicario Hafizullah Amin; l’immagine che ne emerse era delle più cupe e dipingeva un leader incapace e corrotto in politica interna, mandante di numerosi massacri, spesso immotivati, tra le file dei ribelli e dei membri del Parcham.

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Con in suo potere la polizia politica, lo spionaggio interno ed estero e gran parte dell’esercito l’esecuzione del colpo di stato poté essere attuata senza grandi resistenze. Taraki venne privato di qualsiasi contatto con il mondo esterno e rimosso dalla sua carica il 16 settembre, giorno nel quale Amin gli succedette sia come presidente della Repubblica Democratica d’Afghanistan che come Segretario generale del PDPA16

.

Le previsioni più oscure prospettate a Mosca si avverarono ed ora il PCUS fu costretto a trattare con un leader di cui diffidava e che non esitava ad allontanarsi dalla linea che i sovietici tentavano di imporgli.

Il nuovo presidente non esitò a chiedere la rimozione dell’ambasciatore Puzanov che venne sostituito dal più gradito Tebeev17, come non perse tempo nel riprendere i massacri indiscriminati di veri o presunti oppositori sia tra le file dei civili che tra quelle dei militari.

L’estensione e la ferocia della repressione, pur nella sua breve durata18

, ebbe effetti devastanti sulla già precaria popolarità del nuovo presidente che, anche in Unione Sovietica, si stava rivelando un alleato sempre più scomodo.

In questo momento di difficoltà si aggiunsero anche diversi rapporti del Primo Direttorato Centrale del KGB che fecero preoccupare i leader di Mosca; le spie di Andropov riferirono che il presidente aveva personalmente imposto ai mass media afghani un allentamento nei toni di denuncia contro alcune potenze imperialistiche, in particolare il Pakistan. Oltre a ciò le statistiche rivelarono un crescente numero di attentati alle truppe sovietiche che avevano sempre maggiore difficoltà a coordinare i loro sforzi con le truppe fedeli ad Amin.

Infine, nonostante la cordialità con la quale Amin accoglieva il personale sovietico durante le visite ufficiali, suo nipote, Asadullah Amin, capo del controspionaggio, non mancava mai di sottolineare l’inadeguatezza degli

16 L’elezione di Amin a Segretario generale del PDPA venne votata unanimemente dai 26

membri presenti al Comitato centrale del 16 settembre 1979 su un totale di 30. L’Unione Sovietica manifestò la sua profonda contrarietà in merito all’esclusione di Taraki dalla segreteria del partito.

17 Ludwig W. Adamec, Historical Dictionary of Afghanistan, Washington, Manas

Publications, 2005, p.67.

18 Il governo di Amin rimase in carica dal 16 settembre 1979 al 27 dicembre dello stesso

anno, quando le truppe dell’Unione Sovietica invasero il paese sostituendolo con Babrak Karmal.

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aiuti sovietici all’Afghanistan, che pure era un paese confinante, rispetto a quelli profusi a beneficio di Cuba o del Vietnam, che invece si trovavano a miglia e miglia di distanza.

La politica di Amin, agli occhi di Mosca, si stava facendo sempre più sospetta visto che, nel corso delle sue repressioni, il presidente aveva eliminato, oltre a migliaia e migliaia di persone, anche gli esponenti più capaci dei quadri del PDPA, indebolendo sensibilmente il partito. Nel corso dell’autunno del 1979 la popolarità dei sovietici presso il popolo afghano ebbe un crollo verticale, in quanto accostata all’ormai odiata figura del presidente. Il KGB cominciò a elaborare teorie, che ancora oggi appaiono molto dubbie, su un possibile arruolamento da parte della CIA del presidente afghano19.

Se i russi si mantenevano ancora in posizione difensiva al’interno dei confini afghani altrettanto non si poteva dire per ciò che accadeva al di fuori; i servizi di intelligence avevano ripreso in maniera molto decisa i contatti con il leader del Parcham, Babrak Karmal che, nel novembre del 1979, venne portato in segreto a Mosca per avere dei colloqui segreti con i leader del Comitato centrale.

Le necessità immediate nell’ottica di Brežnev comprendevano ormai la rimozione di Amin, la fine dei conflitti interni al PDPA e la costituzione di un governo che concretamente si attenesse alle linee dettate da Mosca; tutto ciò implicava una massiccia presenza in territorio afghano di militari sovietici, operazione che era già in via di definizione da settembre20. Iniziò in quel periodo un deciso rafforzamento delle truppe di stanza sul confine, nei pressi di Termez, che avvenne tramite l’invio di piccoli gruppi di soldati e corpi speciali del KGB21, in modo graduale, per non insospettire il controspionaggio di Amin.

19 I sovietici portarono come prova indicativa alcuni incontri che Amin ebbe con uomini

d’affari e con alcuni diplomatici statunitensi di cui il presidente non volle mai rendere conto al KGB.

20 A.A.Lyakhovskiy, G.Goldberg, A.Kalinosk, Inside the Soviet Invasion of Afghanistan

and the Seizure of Kabul, December 1979, Washington, Cold War International History

Project, Woodrow Wilson International Center for Scholars, 2007, pp.123-129.

21 Questi corpi speciali, guidati dal Generale Kirpichenko e suddivisi in gruppi di 15 o 25

elementi, facevano parte del Direttorato S, costituito nel 1976, specializzato nella realizzazione di operazioni clandestine quali assassinii, atti terroristici, avvelenamenti,

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Le voci sul fatto che l’Unione Sovietica stesse ammassando sul confine un numero ingente di truppe, però, giunsero ugualmente ad Amin che ordinò la mobilitazione delle sue guardie di sicurezza nei giorni che intercorsero tra il 17 e il 20 dicembre del 197922.

Il 23 dicembre diverse unità militari sovietiche atterrarono all’aeroporto militare di Bagram, 60 km a nord di Kabul, e, nella notte tra il 25 e il 26, l’intera 40° armata si mosse verso la capitale, iniziando l’occupazione dell’Afghanistan. Venuti a conoscenza di ciò, parte delle truppe di Amin passò dalla parte dei sovietici dando il via, il 27 dicembre, all’ “Operazione Agat” che aveva come scopo finale l’assalto al palazzo presidenziale e l’assassinio di Amin23 e che venne compiuta con successo.

Figura 3: Linee direttrici dell’invasione sovietica dell’Afghanistan.

sabotaggi, guerriglia urbana e operazioni nelle condizioni più avverse, come quelle che caratterizzano gran parte del territorio afghano.

2222 J.Barron, KGB today: the Hidden Hand, London, Hodder & Stoughton, 1984, p.51. 23 All’ “Operazione Agat” parteciparono 700 membri del KGB, di cui 38 facenti parte del

corpo speciale denominato “Gruppo α” che, indossando uniformi dell’ esercito afghano con un nastro bianco sul braccio destro per riconoscersi, interruppero le linee telefoniche per poi dare l’assalto al palazzo presidenziale ingaggiando una serrata battaglia piano per piano fino all’uccisione di Amin. L’operazione costò ai reparti speciali circa 100 caduti.

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La mattina del 28 dicembre vennero neutralizzate le ultime sacche di resistenza, rovesciato il governo, uccisi o arrestati i suoi componenti e sequestrati tutti i loro beni. Lo stesso giorno un annuncio da radio Kabul, che in realtà venne diffuso dall’Unione Sovietica, rese pubblico il cambio al vertice della Repubblica Democratica d’Afganistan e consacrò Babrak Karmal nuovo presidente. Il leader dei Parchamisti nel suo discorso d’insediamento fece pressanti richieste affinché l’Unione Sovietica concedesse il suo appoggio politico, morale ed economico continuando ad onorare il Trattato di amicizia firmato il 5 dicembre 1978.

In pochi giorni il personale sovietico venne insediato in tutti i ministeri, nei reparti dell’esercito e a protezione degli snodi più importanti del territorio afghano come il Passo Khyber24 ed il tunnel del Salang25.

Le strategie per la guerra afghana vennero concepite dagli specialisti del Ministero degli esteri26, del Ministero della Difesa27 e del KGB e comprendevano obiettivi conseguibili sia nel breve che nel lungo termine. L’opinione generale nel Politburo era contraria ad una vera e propria invasione, infatti alcune influenti personalità, tra le quali Andropov, sostenevano che un intervento su vasta scala si sarebbe rivelato necessario solo quando si fosse concretizzata la possibilità di vedere instaurato a Kabul un governo accesamente contrario agli interessi sovietici28, che, secondo molti analisti, avrebbe assunto la forma della repubblica islamica. Il Comitato centrale del PCUS, dopo il colpo di stato di Amin, cominciò a maturare l’opinione che solo attraverso una prova di forza si sarebbe raggiunta una certa stabilità che avrebbe non solo posto fine alle influenze imperialistiche nel paese, ma anche alle lotte interne al PDPA; dopo di ciò sarebbe stato finalmente possibile introdurre i cambiamenti sociali ed

24 Passo situato nella provincia di Nangarahr nei pressi della città di Torkham ad un

altitudine di 1070 m., sul confine pakistano. Collegando Jalalabad a Peshawar rappresenta uno degli snodi principali di collegamento tra l’Afghanistan ed il Pakistan.

25 Tunnel stradale situato nella provincia del Parwan nei pressi del capoluogo Charikar.Il

tunnel è attraversato dalla principale arteria di collegamento tra Kabul, Mazar-i Sharif e Termez, situata nell’attuale Uzbekistan; rivestiva quindi un’importanza fondamentale nei rifornimenti sovietici via terra diretti alla capitale.

26 Guidato da A.A.Gromyko dal 1957 al 1985.

27 Guidato da D.F.Ustinov dal 30 luglio 1976 al 20 dicembre 1984. 28

G.Vercellin, Iran e Afghanistan, Questioni Nazionali, Religiose e Strategiche in una

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economici necessari e mettere in sicurezza il confine settentrionale29 dalle influenze del fondamentalismo islamico30.

Il quadro era complicato anche dall’ostilità che il nuovo regime di Khomeini in Iran, nato il 30 marzo del 1979, dimostrava nei confronti della crescente influenza sovietica nell’area31

. Tale difficoltà andava ad aggiungersi al fatto che il Cremlino e le sue accademie contassero ben pochi esperti sull’islam.

Per quanto riguarda gli obiettivi di lungo periodo Dmitri Olshansky, consigliere politico del governo afghano dal 1984 al 1987, affermò che essi, dietro suggerimenti di Karmal, puntavano ad una crescente egemonia della potenza sovietica nell’area del Golfo. Vista l’arretratezza dell’Afghanistan, gli analisti del Cremlino quantificarono in un periodo compreso tra i tre e i sei mesi il tempo necessario ad una occupazione del paese e ad un rafforzamento del controllo del PDPA sulle bande dei ribelli; una volta compiuto questo primo sforzo le truppe di Mosca avrebbero dovuto prendere due direttrici opposte, la prima prevedeva l’attacco ai confini pakistani per unificare, in un primo momento, tutti i territori a prevalente etnia Pashtun sotto l’autorità di Kabul32

, e poi, in un secondo, indebolire gradualmente il governo di Islamabad attraendolo in modo sempre maggiore nell’orbita sovietica. L’India certo non si sarebbe opposta al progetto visti i cospicui finanziamenti ricevuti da Mosca.

La seconda direttrice prevedeva lo stabilimento di personale russo nei settori strategici della politica iraniana. A Mosca si pensava infatti che, essendo l’Iran appena uscito da una rivoluzione, questa operazione fosse relativamente alla portata degli esperti consiglieri sovietici; oltre a ciò, il fatto che diverse personalità iraniane avessero studiato in Unione

29 All’interno dell’apparato sovietico l’istituzione maggiormente propensa all’intervento

era il Dipartimento Internazionale del Comitato centrale.

30

J.Barron, KGB today: the Hidden Hand, London, Hodder & Stoughton, 1984, p.55.

31 Il 28 dicembre 1978, ad invasione appena avvenuta, l’ambasciatore dell’URSS in Iran,

Vinogradov, ebbe un incontro con Khomeini durante il quale tentò di spiegare le ragioni della condotta sovietica in Afghanistan; l’ayatollah rispose che non ci sarebbe potuta essere mai comprensione reciproca tra una nazione musulmana ed un governo non musulmano.

32 All’etnia Pashtun appartengono circa 40 milioni di persone distribuite in una zona

compresa tra il sudest dell’Afghanistan e la regione del Pashtunistan, situata nel Pakistan occidentale. Essi hanno sempre rappresentato un grave problema per le autorità pakistane a causa delle soventi richieste di autonomia territoriale.

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Sovietica e che il Tudeh, il partito comunista iraniano, fosse stato uno dei protagonisti della rivoluzione khomeinista dava ulteriore fiducia ai militari russi.

Se tutto fosse andato come gli analisti del Cremlino avevano previsto, l’URSS avrebbe chiuso un ideale cerchio avendo spinto la sua sfera d’influenza fino ai confini dell’Iraq, che già da tempo veniva armato dai sovietici, e della Siria, che da anni aveva strettissimi rapporti con Mosca. Risulta evidente come questo piano presentasse degli evidenti errori di valutazione alla radice in quanto i sovietici sovrastimarono le capacità di supporto all’Armata Rossa dell’esercito afghano e sottostimarono la potenziale portata della resistenza dei mujaheddin33.

In conclusione l’Unione Sovietica, messa alla prova dalla prima invasione di un paese del terzo mondo nella sua storia, si imbatté in un’avventura che ebbe, per certi versi, molte affinità con la guerra degli Stati Uniti in Vietnam, compreso il finale.

Figura 4: Distribuzione dei presidi militari sovietici e, circondata in rosso, la zone

effettivamente sotto il controllo dell’Armata Rossa e dell’ esercito afghano.

33 D.Cordovez, S.Harrison, Out of Afghanistan: The Inside Story of the Soviet Withdrawal,

Figura

Figura 1: Gruppi linguistici presenti e loro distribuzione sul territorio afghano
Figura 2: Gruppi etnici presenti e loro distribuzione sul territorio afghano.
Figura 3: Linee direttrici dell’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Figura 4: Distribuzione dei presidi militari sovietici e, circondata in rosso, la zone

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