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CAPITOLO IV

L'OMINAZIONE E L'EVOLUZIONE CULTURALE

La nascita dell'uomo è difficilmente distinguibile dalla sua evoluzione culturale, perché entrambe sono state rese possibili dallo sviluppo inaspettato del suo cervello, che ha fatto leva, in un processo virtuoso “a retroazione positiva”, sulla dimensione sociale e sulla capacità tecnica di costruire ed usare strumenti.

PREAMBOLO

Il passaggio dalla scimmia all'uomo, avvenuto probabilmente tra cinquanta e cinque milioni di anni fa1, rappresenta una discontinuità clamorosa nella storia dell'evoluzione; è stato causato dal

fenomeno casuale dell'encefalizzazione (ma come abbiamo visto questo fenomeno è insieme conseguenza e causa della crescente complessità) e induce sotto-domande sull'origine del linguaggio e della coscienza nonché sul nostro futuro2.

L'encefalizzazione, che ha dato origine all'uomo e all'evoluzione culturale, si è sviluppata

contemporaneamente alla socialità da una parte e alla tecnica dall'altra in una storia di progressivo affrancamento dal biologico e dal genetico. Un aspetto sorprendente di questo processo, che Boncinelli osserva, ma di cui forse gli sfuggono alcune importanti conseguenze, è di aver provocato lo sganciamento dalla nostra finalità primaria, che è la sopravvivenza. Infatti la corteccia, che è insieme effetto e strumento di tale evoluzione, è libera, nel bene e nel male, - come egli afferma - da qualsiasi impegno di questo tipo. Ciò ci permette di avventurarci in straordinarie imprese intellettuali assolutamente indipendenti dall'immediata utilità pratica o in rapporto a scale di grandezze diverse da quelle del nostro mondo, ma ci pone purtroppo di fronte al disagio psichico e anche, a mio avviso (e qui mi discosto da Boncinelli), a una capacità altrettanto sorprendente di fare del male oltre ogni logica di sopravvivenza. L'ENCEFALIZZAZIONE E L'AVVENTO DELL'UOMO

Ci sono secondo Boncinelli tre livelli di distinzione della materia: 1) tra animato e inanimato, 2) tra animali pluricellulari semplici, come una medusa, e complessi, come un gatto, 3) tra uomo ed altri animali.

Colpisce, come ho detto, che trascuri completamente la distinzione tra regno vegetale e animale, nonostante un'osservazione a pagina 113 di "Verso

l'immortalità", in cui afferma che il neurone è lo straordinario discrimine tra un regno e l'altro. Questa esclusione forse deriva dal fatto che ll neodarwinismo, applicandosi dal Cambriano in poi, non può indagare l' iniziale divisione tra vegetali e animali, che avvenne ancor prima3.

Inoltre, nel suo ultimo libro osserva che gli animali sono sì contraddistinti da un apparato specifico, che è il sistema nervoso, ma che la distinzione aristotelica tra anima vegetativa, che caratterizza le piante, e anima sensitiva, che caratterizza gli

1 "Prima lezione di biologia", pag. 185: circa cinquanta milioni di anni fa è avvenuta la prima distinzione tra scimmie

vere e proprie e proscimmie; circa venticinque milioni di anni fa quella tra le grandi scimmie antropomorfe e le altre; cinque-sei milioni di anni fa quella che ha portato direttamente alla nostra specie.

2 "Le forme della vita", pag. 27.

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animali, è posta in difficoltà dalla constatazione che anche le piante hanno una loro sensibilità4. Abbiamo già esaminato le prime due distinzioni. La prima la si potrebbe riassumere dicendo che la materia animata è quella che ha in sé le proprie istruzioni, cioè il DNA; ma ciò non basta, e bisogna parlare quanto meno di metabolismo, altrimenti non si distinguerebbe un corpo vivo da uno morto, perché ogni vivente è immerso in un flusso ininterrotto di materia, energia, informazione. Quanto alla seconda, abbiamo visto alla fine del precedente capitolo che la complessità si articola in molti modi e che deriva dall' indeterminazione del genoma, che può sembrare un grave limite ma che si converte invece in formidabile prerogativa, perché viene colmata dalle cure parentali e

dall'apprendimento per esperienza, ma anche in buona parte dal caso. In conclusione, si può dire che impariamo grazie alle falle genetiche. S'impara non solo nella nostra infanzia e adolescenza, ma per tutta la vita, e la plasticità sinaptica, cioè la continua modifica delle nostre sinapsi e delle loro architetture, è la base e la testimonianza di questo meccanismo.

Affrontiamo dunque la terza distinzione. Che cosa contraddistingue l'uomo? Corteccia cerebrale, uso del linguaggio e pensiero simbolico sono ciò che rese l'uomo di Cro-Magnon, che è il nostro più antico antenato, vincente su quello di Neanderthal, che perciò si estinse.

L'uomo è caratterizzato da attività che sono prive di utilità, di finalità o di senso immediato5, che sono in certo senso futili, come ad esempio il gioco (perciò l'uomo è definito un"giocherellone"), ma che non vanno affatto disprezzate, perché sono la misura della nostra libertà e complessità, che avanzano di pari passo. Ma la corteccia è presente, per quanto in misura ridotta, in molti altri animali, mentre altre caratteristiche, come il linguaggio e "l'amore romantico", sono, ci dice Boncinelli, assieme alla tecnica, una nostra esclusiva. In tutti i casi, si tratta comunque di attività che vengono gestite dalla nostra corteccia.

Ciò che ha dato origine a tutto questo è stato dunque l'enorme sviluppo del cervello e della corteccia in particolare, anche se questi organi non sono un'esclusiva dell'uomo. Le cellule del nostro cervello sono assolutamente uguali a quelle degli altri animali. Esso rappresenta solo il 2% del peso del nostro corpo ma assorbe tantissima energia: il 20% delle energie complessive dell'organismo. Dopo l'origine della vita e dopo l'avvento dell'individualità, l'altro fenomeno importante e

discontinuo nella storia dell'evoluzione è infatti la cefalizzazione (avvenuta tra uno e due milioni di anni fa, quando il cervello si raddoppiò), che ha segnato la nascita dell'uomo. Il cervello non solo si è esteso ma ha assunto il controllo anche di una parte sempre maggiore del sistema nervoso e degli ormoni.

Nell'uomo essa fu preceduta, due milioni di anni prima, dalla bipedalizzazione, che lasciando libere le mani rese possibile la manipolazione e l'uso degli strumenti, dando così l'avvio allo sviluppo cerebrale. Contemporaneamente alla cefalizzazione si assiste infatti all'avvento della tecnica della pietra scheggiata su di un lato. Capiamo dunque fin da qui che tecnica e sviluppo cerebrale

procedono insieme, per un processo “a retroazione positiva”6 per il quale l'avanzamento su uno dei due fronti determina un corrispondente avanzamento sull'altro.

L'origine dell'uomo segna dunque una discontinuità clamorosa nell'evoluzione biologica, una straordinaria rottura di simmetria e di continuità, tanto che quando Boncinelli parla di uomo e di altri animali omette di solito il termine "altri", perché, pur riconoscendo ad entrambi una comune origine, per lui l'uomo è diventato qualcosa di completamente e irreversibilmente diverso da questi.

Tale discontinuità è paragonabile soltanto alla nascita della prima forma di vita, e risale forse a 2,4 milioni di anni fa, con l'avvento dei primi individui del genere Homo7. L'uomo è contraddistinto

4 "Quel che resta dell'anima", pag. 18. 5 "Pensare l'invisibile", pag. 102.

6 “Perché non possiamo non dirci darwinisti”, pagg. 189-190. 7 "Prima lezione di biologia", pag. 185.

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infatti in primo luogo dall'aumento della capacità cranica e del cervello in proporzione al corpo, che si è triplicato rispetto ai nostri antenati, ma soprattutto dall'aumento della corteccia.

Questa esiste anche negli altri animali superiori, ma in quantità esigua, e a differenza delle altre parti del cervello non ha compiti specifici legati alla sopravvivenza, non è indispensabile per quest'ultima, ma è preposta specialmente a gestire il comportamento e la vita relazionale. Ecco dunque che capiamo che una seconda dimensione, la socialità, si affianca alla tecnica nel suo destino di avanzare di pari passo con lo sviluppo cerebrale.

Secondo molti autori - a cui Boncinelli si rifà - intelligenza sociale e intelligenza tecnica sarebbero infatti entrambe alla base dell'evoluzione culturale, la quale ci contraddistingue, egli afferma, più della stessa biologia8.

A dimostrare la totale contingenza della nostra esistenza, l'encefalizzazione che ha dato origine all'uomo pare essere insorta per puro caso. Vale a dire che consiste probabilmente in un incidente congelato, forse dovuto ad una mutazione a traino di un'altra. Infatti Boncinelli ha studiato un gene che presiede al contempo lo spessore della corteccia, la funzionalità dei reni e degli organi genitali e la struttura della laringe. Non sarebbe strano se individui selezionati in quanto adatti ad un diverso grado di umidità, dovuto ad un cambiamento ambientale, avessero contemporaneamente goduto di uno sviluppo del loro cervello, che è poi stato all'origine di quella grande rivoluzione che è

l'evoluzione culturale9. Probabilmente i geni del cervello e della corteccia si presentarono in origine come una rielaborazione di geni preesistenti che compivano tutt'altre funzioni10. Ciò vuol dire che i detentori di una corteccia più grande non furono premiati per questo motivo dalla selezione, ma che gli individui premiati dalla selezione per un adattamento di altro tipo possedevano, per una connessione genetica che per noi è impensabile, una corteccia più grande. La selezione non poteva del resto prestare attenzione alla corteccia, priva com'è di funzioni specifiche per la sopravvivenza. Essa

rappresenta un po' il "brutto anatroccolo", la cui madre adottiva – la selezione – può anche sorprendersi di avere accudito, e il quale soltanto dopo dimostrerà le sue doti inaspettate di cigno.

Boncinelli, andando ad indagare la lontana causa dell'encefalizzazione, che in seguito ha dato origine all'uomo, ipotizza che i due geni che lui ha scoperto e che sono preposti allo sviluppo della corteccia, Emx1 e Emx2, derivino entrambi da un unico gene primitivo simile all'Emx2.

Poiché i pesci, escluso il celacanto, non hanno l'Emx1, Boncinelli suppone che in virtù di tale straordinaria innovazione sia stato proprio questo pesce il probabile colonizzatore delle terre emerse11.

Poiché però l'aumento del cervello comporta l'aumento della capacità cranica, questa avrebbe potuto compromettere il buon esisto dei parti ed è perciò che la natura ha provveduto a far sviluppare il cervello degli umani in buona parte dopo la nascita, allorché però i sensi sono già perfettamente funzionanti e permettono alle nostre prime esperienze di scolpire le nostre circonvoluzioni

cerebrali12. Ciò fa sì che i cuccioli d'uomo siano estremamente inetti rispetto alle altre specie e che debbano essere addestrati a lungo dalla madre prima di diventare autonomi. Tale fenomeno, chiamato "fetalizzazione"13, è il vero fondamento della differenza sostanziale tra noi e le scimmie.

8 Pag. 286 de "Il cervello, la mente e l'anima". 9 "Verso l'immortalità", pag. 117.

10 "Genoma: il grande libro dell'uomo, fine pag. 60 e inizio pag. 61. 11 Vedi le pagg. 17 e 18 di "E ora?.

12 "Dialogo su etica e scienza", pag. 31. 13 Argomento di cui parlerò da pag. 83.

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Se dunque il cervello si modella non soltanto seguendo le direttive dei geni, ma in rapporto alle prime esperienze e cognizioni, è chiaro che i primi apprendimenti sono in certo senso privilegiati, e più difficili o impossibili da dimenticare, perché hanno contribuito a costruire la stessa struttura cerebrale e ne fanno parte integrante. La fetalizzazione appare dunque come un grandioso esempio d'indeterminazione genetica, per cui la biologia smette di gestire da un certo momento in poi il cervello delegando in parte alla società e all'ambiente di provvedervi.

In conformità col suo fondamentale riduzionismo, Boncinelli sostiene dunque che è stata l'evoluzione biologica a dare l'avvio a quella culturale, la quale pur avendo una grande libertà e autonomia è possibile solo entro i limiti che la biologia le permette e non è dunque onnipotente14. Infatti, riprendendo Bacone, Boncinelli afferma che alla natura non si comanda se non

obbedendo15

,

in quanto non si possono ignorare o modificare le leggi chimiche o fisiche, anche se all'interno di queste siamo comunque capaci di piegare la natura a nostro vantaggio. Per quanto egli sia affascinato dalla razionalità, non dimentica che essa è strettamente vincolata dalla natura biologica da cui deriva.

Un esempio di come la cultura non possa e non debba forzare la biologia è continuamente dato dal tentativo fallimentare di molti genitori che credono di poter ottenere tutto rispetto alla psiche dei loro figli, mentre questa è legata ad un corpo determinato, che non può essere ignorato. Un altro illustre esempio è quello di Giacomo Leopardi, che ha scritto le poesie che ha scritto in virtù del corpo che aveva16.

Noi impariamo grazie al fatto che per via della nostra grande complessità i geni ci hanno lasciato uno spazio vuoto, che è stato occupato dall'esperienza e

dall'apprendimento. Nonostante questo innesco biologico, l'evoluzione culturale è ben diversa da quella biologica, intanto per la sua straordinaria velocità, e poi perché è caratterizzata inequivocabilmente da progresso, che noi tendiamo erroneamente a proiettare anche su quella biologica.

A pag. 183 de "I nostri geni", scrive:"Possiamo considerare l'intero processo dell'evoluzione culturale umana come un continuo progressivo affrancamento dalla nostra biologia" e afferma che cultura e vita sociale ci permettono, a differenza degli animali 17, di venire a patti con la nostra predestinazione genetica, "fino al punto di neutralizzarla nella sua quasi totalità." Infatti siamo in grado di piegare la natura rendendola più favorevole nei nostri confronti e meno crudele. In tal senso cita il "Mechanicà Problèmata", attribuito ad Aristotele, dove è scritto che"con le macchine si vincono le battaglie che per natura perderemmo"18. In tal modo emerge secondo

Boncinelli la “natura prometeica dell'uomo”, il cui potere è di gran lunga superiore a quello degli animali, anche se non è pari a quello divino, e ciò è all'origine di una perenne insoddisfazione. Riusciamo a diminuire progressivamente il giogo del determinismo genetico, a prendere sempre più in mano consapevolmente il nostro destino facendo leva, oltreché sull'uso della corteccia, sulla dimensione collettiva, scientifica e tecnologica e tutto ciò ci permette di essere qualcosa di unico, di sorprendente e di entusiasmante, lasciandoci però al contempo scontenti.

14 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 129. 15 "Sani per scelta", pag. 63. 16 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 81.

17 Scrive qui Boncinelli, per ribadire il salto di qualità tra gli animali e l'uomo: "Se noi fossimo animali non

avremmo riparo contro questa sorta di predestinazione."

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L'EVOLUZIONE E LE INTERRELAZIONI

1. LE RELAZIONI INTERSPECIFICHE E L' EQUILIBRIO DI GAIA

Per Boncinelli abbiamo detto che l'evoluzione non è tanto lotta per la sopravvivenza, quanto lotta per garantirsi la riproduzione19. Poiché la prima avviene generalmente tra specie diverse e la seconda nell'ambito della medesima specie, è evidente che egli rifletta soprattutto sui rapporti intraspecifici.

Ma tra le differenti specie ci sono comunque rapporti importanti, che non devono essere trascurati, e che possono essere di competizione, cooperazione, mutualismo, predazione, parassitismo,

commensalismo o simbiosi. Ci sono i rapporti di un ecosistema con gli altri, di cui un esempio è la catena alimentare, per cui esistono piante e microorganismi, detti produttori primari, che

trasformano l'anidride carbonica in materiale organico. Sono state le piante, ad esempio, ad aver creato l'ossigeno che ha reso possibile la vita degli animali sulla Terra. I consumatori primari si cibano di vegetali, mentre quelli secondari e terziari, via via più grossi, si cibano di organismi animali; esistono organismi che si nutrono di rifiuti organici e son detti decompositori (sono batteri e funghi) o detritivori (come vermi, insettini, gamberetti).

L'interrelazione è tale che tutto si ripercuote su tutto, così che l'insieme della biosfera si comporta come un unico gigantesco organismo complesso, composto di tantissime parti, a cui è stato dato il nome di Gaia20. Questa appare come una formulazione diversa del concetto di vita come unica fiamma, di cui le differenti specie non sono che provvisorie

componenti; la storia e il futuro di ogni singola specie, compresa la nostra, dipende dalla storia di ogni altra specie e dalle loro interrelazioni, perché niente è

autonomo e l'equilibrio che ne deriva è di tipo globale. Gaia è una specie di super-organismo che si difende con estrema destrezza da ogni possibile intrusione e di cui non è facile alterare l'equilibrio, come se fosse un birillo che rimane sempre in piedi.

Tale capacità di autodifesa dell'ecosfera nella sua globalità sembra sommarsi con le prerogative che caratterizzano il genoma, che, ricordiamo, è protetto dentro la cellula da una membrana impermeabile così che tutte le possibili contaminazioni di solito non lo alterano21; è protetto anche dal fatto che genotipo e fenotipo sono separati e distinti ed hanno storie e tempi di cambiamento ben diversi; è protetto dall'impossibilità per le proteine d'influire sul genoma, secondo il famoso “dogma della biologia molecolare”. Tutto ciò fa sì che il biologico tenda naturalmente alla conservazione e a ripristinare comunque la propria stabilità. Perciò, secondo Boncinelli, ci

possiamo ritenere al sicuro, ad esempio, dai rischi della manipolazione genetica. Per quanto l'uomo, come un apprendista stregone, sia capace di commettere errori grossolani con la biologia, tutto ben presto si ripristina naturalmente, o così finora è successo. Ben diverse e ben più temibili sono invece le fughe radioattive o di sostanze chimiche, che possono creare danni irreversibili. Scherzare con la chimica e con la fisica è un rischio troppo alto che conviene evitare con cura. Con tutto ciò, anche in biologia conviene operare con prudenza, modestia e ponderazione:

"modestia, perché il mondo ha ancora tante cose da rivelarci; prudenza, perché il mondo non è stato fatto per noi e se la ride delle nostre esigenze; e ponderazione, perché la ragione ci ha guidato fin qui e ci ha dato spesso partita vinta, ma non è detto che, volendo, non si riesca a rovinare tutto"22.

19 Vedi ad esempio"Le forme della vita", pag. 83. 20 Pag. 55 di "Prima lezione di biologia". 21 Pagg. 55 e 56 di "Prima lezione di biologia". 22 "Genoma: il grande libro dell'uomo", pag. 198.

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2. LE RELAZIONI INTRASPECIFICHE UMANE. L'INTELLIGENZA SOCIALE.

I LIMITI DELLA RAZIONALITÁ INDIVIDUALE E LA SCOPERTA DELLA RAZIONALITÁ COLLETTIVA

L'interrelazione intraspecifica tra uomini permette in primo luogo la riproduzione, che è un fine dell'evoluzione biologica. Ma con l'avvento dell'evoluzione culturale la dimensione interpersonale assume un ruolo nuovo e altrettanto importante, perché interviene a sopperire alle lacune del

genoma, create dall'indeterminazione genetica. Tale interrelazione è gestita fondamentalmente dalla corteccia cerebrale e ne è inscindibile, cosicché la storia della nostra socialità è andata progredendo di pari passo con la nostra razionalità.

Il cervello dell'uomo è l'oggetto più complesso dell'universo, per la grande quantità di

interconnessioni, e Boncinelli gli ha da sempre rivolto un' attenzione speciale, da innamorato. Ma il nostro cervello attuale e individuale, così come il nostro genoma, è ancora quello di

centocinquantamila anni fa, perché da allora ad ora non è cambiato per nulla, a dimostrazione che il progresso biologico non esiste. Oltre ad un certo livello infatti il cervello non può crescere, ed è interessante il riferimento che Boncinelli fa agli esperimenti sui topi di Lamberto Maffei23, che dimostrano che la stimolazione del cervello in formazione provoca certamente una precocità nello sviluppo, che però viene compensata successivamente, nel corso della vita

dell'individuo, e che dunque non può essere all'origine di un'eventuale differenza d'intelligenza tra gli individui adulti.

La razionalità individuale è certamente l'apice dell'evoluzione biologica, ma è comunque uno strumento imperfetto, è piena di lacune e di illusioni cognitive, che somigliano molto alle illusioni ottiche o sensoriali, e che sono state studiate da Kahnemann e Tversky.

Un esempio di illusione cognitiva è la risposta al seguente problema: un tifoso di calcio compra una maglietta e una bandiera e spende in totale centodieci euro. So che la maglia costa cento euro più della bandiera; quanto dunque costa la bandiera? Moltissimi risponderanno: dieci euro. Questo errore non dipende dal livello culturale o dall'intelligenza; in tale trabocchetto ci si casca in modo trasversale rispetto alle nostre capacità intellettive e alla nostra formazione.

La nostra razionalità è “limitata” in quanto il nostro cervello è nato per rispondere a problemi di sopravvivenza e non certo di logica24, è adeguato a quella che era la vita e il mondo esterno dei nostri antichi progenitori. Ciò che è intuitivo per noi è ciò che era adeguato al mondo della nostra preistoria ed è tuttora adeguato al nostro cervello, ma è largamente superato dal livello cognitivo a cui siamo pervenuti collettivamente soprattutto grazie alla scienza. L'individuo si distrae continuamente come i bambini, non è capace di mantenere l'attenzione a lungo su un determinato ragionamento; decide di non fare una certa cosa e invece subito dopo la fa25; inoltre riesce ad essere razionale tutt'al più per venti-trenta minuti al giorno26... L'uomo è dunque tutt'altro che razionale!

Ma soprattutto, la nostra razionalità è dominata dalle emozioni, che sono inestirpabili e che "fanno deragliare" il ragionamento, anche se ci permettono decisioni rapide e approssimative, capaci di mettere in atto un'adeguata azione immediata, com'è necessario per esempio di fronte a un pericolo. L'emotività sembra più adeguata della razionalità a permetterci reazioni improvvise utili per la sopravvivenza; vedremo infatti che essa è più immediatamente legata all'azione rispetto alla

23 Vedi nell'intervista allegata, a fine pag. 211. 24 Pag. 195 di "Micromega" 7/2010.

25 "Dialogo su etica e scienza", pag. 19. 26 "Che cos'è il tempo?", pag. 14.

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razionalità, che tende invece a ritardarla.

Dunque queste due critiche alla razionalità individuale, in quanto legata alla

sopravvivenza e in quanto legata all'emotività, confluiscono in un unico argomento, perché l'emotività è strettamente funzionale alla sopravvivenza.

Ma anche se il nostro cervello non è più cresciuto dall'epoca della comparsa dell'uomo, anche se è uno strumento tanto imperfetto, nel frattempo sono avvenute cose importantissime e stupefacenti, come le prime pitture (quarantamila anni fa), l'agricoltura e la pastorizia (dodicimila anni fa), la scrittura alfabetica (seimila anni fa), la scienza (solo tre secoli fa): in una parola "l'evoluzione culturale".27

Cos'è dunque che l'ha resa possibile? Abbiamo scoperto la razionalità collettiva.

È solo nel confronto con gli altri che ci accorgiamo dei nostri errori; soltanto l'uso collettivo, la somma degli sforzi, la capacità di cumularli e il controllo reciproco riescono a salvarci da lacune e illusioni, cosicché la razionalità collettiva riesce dove quella individuale fallisce. Questo è il vero discrimine tra noi e gli animali e coinvolge sia la dimensione sociale che quella tecnica. Soprattutto la scienza è riuscita a costruire collettivamente e in modo cumulativo il proprio sapere, che se pur soggetto a continue correzioni è ben saldo nella sua globalità. Molte altre discipline, come quelle umanistiche, non vi possono riuscire, per la natura stessa del loro oggetto, e ciò spiega perché non progrediscano, a differenza della scienza.

Questo spiega anche perché il progresso conoscitivo è straordinario, di contro a quello morale e spirituale che è di molto inferiore: mentre la conoscenza è una costruzione collettiva e cumulabile, il comportamento, come la morale, è un fatto individuale e l'individuo non è progredito affatto, perché è biologicamente immutato28. L'individuo non fa quel che reputa giusto, perché il comportamento pratico non può essere toccato dall'evoluzione culturale ed è sempre quello dei nostri antichi progenitori, per cui ciò che pensiamo incide poco su ciò che facciamo. Solamente la dimensione collettiva è capace di progresso. A questo proposito osservo, dando ragione a Boncinelli, che i grandi geni del passato – nella pittura come nella letteratura e nella filosofia – appaiono tutt'oggi insuperati (penso a Leonardo da Vinci, a Murasaki, a Shakespeare, a Platone, etc); probabilmente il loro livello è stato e sarà l'apice insuperabile dell'intelligenza individuale. Però io voglio sperare che sia aumentato e sia soggetto ad aumentare ulteriormente almeno il livello medio, popolare, dell'intelligenza, che senz'altro risente delle cure parentali e dell'organizzazione sociale. Infatti osservo - in contrasto con Boncinelli - che se durante la prima infanzia una parte del nostro cervello si trasforma e si struttura29, certamente questa parte sarà anche suscettibile di cambiare in rapporto alla

società, e di adattare a questa i nostri comportamenti.

Dunque la razionalità diventa potente quando è collettiva e cumulativa. Ma neanche la razionalità collettiva da sola può bastare: le "certe dimostrazioni" devono appoggiarsi comunque alle "sensate esperienze", come vuole la scuola galileiana, cercando riscontri e verifiche, perché la nostra ragione da sola non soltanto non scopre la realtà, ma può essere perfino di ostacolo alla conoscenza. Infatti,"se non si modifica, non si esperimenta, se non si verifica, è possibile affermare qualsiasi cosa, come fanno da tempo i filosofi, che hanno detto tutto e il contrario di tutto "30; la razionalità collettiva si deve dunque sempre appoggiare alla

27 Tratto da “Perché non possiamo non dirci darwinisti”, pag. 201-2. 28 "Dialogo su etica e scienza", pag. 24.

29 Tratterò quest'argomento nel capitolo sulla fetalizzazione da pag. 83. 30 "E ora?", pag. 116.

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sperimentazione e quindi alla tecnica, che infatti è per Boncinelli "l'anima della scienza". Non bisogna mai innamorarsi delle belle idee, ma occorre sempre e comunque verificarle.

Uno scienziato manipola, è vero, ma lo fa come un innamorato. Non sono sufficienti da sole né la pura teoria né la pura empiria, anche se Boncinelli dichiara di avere a cuore soprattutto gli aspetti conoscitivi. Per quanto egli apprezzi la tecnica, riconosce infatti il primato del pensiero teorico, e cita a tale scopo Aristotele, che nella Metafisica afferma che la scienza più sapiente non è quella il cui studio consegue maggiori benefici, ma quella scelta per il puro fine di sapere31. Infatti egli si scaglia contro l'eccessivo pragmatismo della nostra epoca in cui sembra che la conoscenza debba sempre e comunque essere utile. Questo è un eccesso: non puoi annunciare di aver fatto una scoperta senza che subito ti chiedano a cosa serve32!

LA COMUNICAZIONE ININTERROTTA

Tutto ciò che è il frutto dell'evoluzione culturale - come già sappiamo dalla polemica contro il

lamarckismo - non può entrare nel genoma, non è ereditabile, non comporta nessuna mutazione del

DNA, anche se ha importanti conseguenze biologiche per l'individuo, perché gli trasforma il cervello, plasmandolo soprattutto attraverso le prime esperienze e modificandolo, anche se in maniera minore, attraverso l'intera vita. Se ho imparato a guidare l'auto o a parlare l'inglese o ad usare il computer, mio figlio non nascerà sapendo tutte queste cose! Cultura e apprendimento non hanno cioè incidenze genetiche (io aggiungerei però: finora, fino a quando cioè la manipolazione del DNA non consentirà anche questo!), ma hanno indubbie e rilevanti conseguenze biologiche.

È dunque evidente che questa evoluzione prosegue grazie alla comunicazione ininterrotta, finché i suoi contenuti vengono comunicati verbalmente o per scritto dagli uni agli altri, in primo luogo dagli adulti ai bambini. Se per qualunque ragione questa propagazione cessasse, l'uomo tornerebbe ad essere quello delle sue antiche origini, così che centocinquantamila anni di storia si

azzererebbero in un colpo solo. L'equilibrio e la capacità di autoripristino che abbiamo visto caratterizzare la biosfera non vengono purtroppo ereditati dall'evoluzione culturale, che dunque appare fragile e bisognosa di una protezione accorta e continua. Infatti, un individuo cresciuto in isolamento non sarà mai un buon rappresentante della propria specie, in quanto la formazione sociale gli è indispensabile.

La segregazione dell'informazione, cioè la sua progressiva separazione dal corpo, iniziata a livello biologico, è arrivata con l'uomo, mediante l'evoluzione culturale - attraverso la costruzione del linguaggio prima, della scrittura poi, della stampa e adesso di internet - ad un tale livello che sembra sganciarsi dagli individui e vivere di vita propria33, e la società è diventata la vera depositaria del sapere, dando quindi origine ad un nuovo soggetto: il Collettivo.

Gli umani inoltre costruiscono deliberatamente, consapevolmente l'informazione e perciò questa tocca con noi il suo apice e il suo trionfo34 (questa consapevolezza razionale è,

evidentemente, la differenza più grande tra noi e gli altri animali!).

Sulla base di questa direzione evolutiva e di questo entusiasmo, Boncinelli immagina

fantascientificamente, sulla scia dell'esempio di internet, la costituzione di un "mega-cervello" dove tutti andremo ad attingere il nostro patrimonio culturale: "in modo che, almeno in linea di principio, qualsiasi abitante del pianeta possa accedere in tempi brevissimi, se non in tempo

31 "Biologia dello sviluppo", pag. 13. 32 "E ora?", pagg.65-66.

33 "Io sono, tu sei", pagg. 48-49.

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reale, a tutto il sapere accumulato dall'umanità. [...] si tratterà di un'estensione

assolutamente inusitata del nostro fenotipo, ben superiore a quella rappresentata dall'avere a disposizione un'enorme enciclopedia o anche tutti i libri del mondo. [...] Un singolo cervello si troverà a gestire e scambiare, per il bene e per il male, una quantità assolutamente

incredibile di nozioni teoriche e pratiche."35 Queste affermazioni certamente sono

conformi al suo pensiero - nella dimensione anti-individualista, che intende la vita come il fluire di un'unica sostanza -. Ma tutto ciò contrasta con la direzione

individualizzante dell'evoluzione, che ci rende prezioso ciò che è singolare e personale. Boncinelli è consapevole del disagio psicologico che la

spersonalizzazione può creare, ma qui sembra non temere i rischi possibili di una dimensione collettiva soffocante, nonostante che altrove abbia indicato

nell'omologazione, nel conformismo e nello spirito gregario il rischio maggiore in cui incorre l'uomo contemporaneo.

Osserva che talvolta un eccesso d'informazione, che non risponde alle nostre domande o che risponde prima che ce le facciamo è pericolosa e può portare ad un imbarbarimento36, ma il suo ottimismo di fondo gli fa sempre credere che il "prometeismo" dell'uomo, la sua capacità d'imporsi e di piegare la natura attraverso la razionalità e la tecnologia (pur nel rispetto e nell'obbedienza intelligente ai suoi vincoli), sia comunque la carta vincente. I nostri mezzi razionali collettivi, la cultura e la scienza sono un importantissimo strumento per combattere contro la spietatezza della natura e contro tutti i possibili attacchi alla vita, dunque sono i nostri migliori alleati nella lotta contro la morte e contro l'entropia. Quando la natura non è benevola nei nostri confronti, come spesso accade, noi riusciamo a forzarne la volontà, eliminando ad esempio le malattie e i difetti che mettono a repentaglio o rendono

difficile la nostra sopravvivenza, e costruendo tecnologie sempre più complesse. In tal modo noi interferiamo con la natura e lo facciamo sempre più massicciamente. In futuro l'evoluzione culturale ci permetterà perfino di intervenire su quella biologica attraverso la manipolazione del nostro genoma e sarà questo un caso di hybris senza precedenti, che purtroppo, secondo Boncinelli, da molti viene interpretato come una sfida inaccettabile alla divinità.

Come dice Gazzaniga in "La mente etica" la spinta evolutiva dell'uomo è data proprio dal progettare la propria sopravvivenza, cioè dalla capacità del nostro fenotipo di incidere sul

genotipo. La spinta ad osare, a non accontentarsi mai, a cercare sempre di superare ciò che si è ottenuto è la vera natura dell'uomo e caratterizza secondo Boncinelli soprattutto la razionalità; la nostra insofferenza di fondo è insieme un disagio ma anche un ottimo stimolo all'evoluzione. In fondo la razionalità è un continuo allentare i nostri istinti, comportamenti stereotipati e automatismi per dare uno spazio sempre maggiore a ciò che non fa parte della nostra natura genetica; è uno spazio di libertà, che però risponde perfettamente ai dettami della vita e dell'evoluzione biologica, che impone continuamente di cambiare e di tentare di andare in tutte le possibili direzioni.

LA FETALIZZAZIONE37

Torniamo all'aumento del cervello che è alla base della nostra origine. Innanzi tutto esso portò ad una modifica delle ossa del bacino della donna, che si allargarono per poterlo contenere. Ma

35 "Io sono, tu sei", pag. 53. 36 "E ora?", pag. 62.

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neanche questo, con l'aumento della cefalizzazione, sarebbe stato sufficiente ad evitare i rischi del parto, così che si pervenne ad un rimando di una parte dello sviluppo del cervello a dopo la nascita. Infatti un bambino nasce con un quarto del cervello che avrà da adulto, mentre nelle altre specie nasce con un cervello pressocché completo. A tale fenomeno si dà il nome generale di "neotenìa" o più specificatamente per l'uomo di "fetalizzazione", per cui la prole umana appena nata risulta particolarmente immatura ed inetta, così che occorrono molti anni e molta dedizione da parte dei genitori perché un bambino diventi autosufficiente. Attraverso la fetalizzazione, noi riceviamo dai genitori e dall'ambiente umano una gran quantità di istruzioni che, sotto forma di prime esperienze, incidono e modellano il nostro cervello durante tutta l'infanzia e che se non hanno alcuna incidenza genetica hanno però una grande rilevanza biologica.

Infatti, mentre è pressappoco vero che i neuroni si formano tutti all'inizio dello sviluppo individuale e restano per tutta la vita quelli, le loro connessioni e relativa mielinizzazione, che rende più veloci i segnali e dunque più grande l'intelligenza, si formano entro i quindici, diciotto anni di vita, dietro la spinta delle esperienze vissute e degli apprendimenti. Tutto ciò fa massa, assieme all'allungamento degli assoni, tanto da quadruplicare il volume del cervello rispetto a quando nasciamo.

Mentre il nostro cervello all'atto della nascita è molto simile a quello dell'homo sapiens, grazie alla fetalizzazione esso diviene il cervello di un uomo dei nostri tempi, ed è perciò che tale fase può essere definita come una "seconda nascita", di tipo culturale.

In generale le sinapsi si formano per un terzo geneticamente, per un altro terzo mediante le prime esperienze e per un ultimo terzo casualmente. Tutto ciò è però profondamente interconnesso, basti pensare per esempio a come l'incidenza di un'esperienza dipenda in gran parte dalla predisposizione genetica ad accoglierla.

Le sinapsi che si formano durante lo sviluppo embrionale, come tutto ciò che avviene in questa fase, sono dettate prevalentemente dai geni e dal caso, mentre l'esperienza influisce soprattutto su quelle che si formano dopo la nascita.

Quelle che risalgono ai primissimi anni di vita dell'individuo gli modellano il cervello e sono difficilmente sradicabili, perché è come se fossero inserite nella stessa struttura cerebrale ed anzi la determinano. Ciò rende molto difficile dimenticare o modificare le nozioni apprese all'inizio della nostra vita e che Boncinelli definisce "quasi innate"38, perché ci risulta particolarmente difficile distinguerle dalle nozioni innate.

In tal modo la fetalizzazione sembra introdurre un terzo tipo di conoscenza, di cui Boncinelli parla da pagina 173 de "Il male". Il depotenziamento degli istinti lascia spazio all'educazione familiare e sociale, che porta ad un apprendimento tanto cognitivo che comportamentale. Tali due

apprendimenti funzionano però diversamente, perché il secondo deve essere introiettato per funzionare in modo automatico come uno schema istintuale sostitutivo e diventa difficilmente distinguibile da questo, così che di solito non proviamo neanche a metterlo in discussione ed è alla base di molti fondamentalismi. Invece, questi schemi sostitutivi, a differenza degli istinti che sono genetici, dovrebbero e possono essere cambiati, anche se come vedremo costa fatica farlo e ingenera anche disagio sociale.

Se fin qui abbiamo parlato di conoscenze innate e di conoscenze empiriche, adesso ci troviamo di fronte ad un territorio di confine. Queste nozioni "quasi innate"a me sembrano suggerire una possibile trasformazione dei contenuti appresi per esperienza in contenuti biologicamente dati. Certamente l'impostazione

antilamarckiana c'impedisce di pensare che essi possano mai entrare nel genoma,

38 Pag. 13 di "La vita della nostra mente". In realtà tale brano e le pagine in cui è inserito riprendono quasi alla lettera

un paragrafo di “Mi ritorno in mente”a pag. 131, in cui però, invece di parlare di nozioni che si presentano come “nozioni quasi innate”, parla di nozioni che si presentano “quasi come nozioni innate”.

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ma mi resta il sospetto che quando smettono di essere presenti alla nostra consapevolezza possano venire richiamati in modo automatico. Mi sembra cioè verosimile che ciò che impariamo - con maggiore o minore consapevolezza - possa trasformarsi col tempo in qualcosa di fisico e di inconsapevole, vale a dire che possa esserci un travaso di contenuti dalla memoria consapevole (esplicita o dichiarativa) ad una di tipo automatico (o procedurale) – possibilità questa che non è neanche presa in considerazione da Boncinelli, in quanto certamente non è

scientifica -. Abbiamo però visto come, grazie all'abdicazione dei geni nel fenomeno dell'indeterminazione, l' a priori lasci il campo aperto a ciò che è a

posteriori, all'esperienza, al caso e all'apprendimento. Non c'è un dialogo diretto tra queste due componenti se non nell'intermediazione del nostro corpo; il corpo infatti risponde da una parte ai comandi dei geni e risente e incorpora dall'altra le

influenze esterne, così che farà le sue scelte in base alla combinazione di queste due “forze”, trovando chances nuove rispetto a quelle geneticamente date. Se tutto avviene nel corpo non sembra strano che l'apprendimento possa diventare qualcosa di fisico, e vedremo che proprio un meccanismo di questo tipo per Boncinelli è alla base dei dispositivi di memoria e dell'amigdala. Che l'apprendimento lasci una traccia fisica è del resto già evidente dalle nuove sinapsi che ogni apprendimento produce.

Sinapsi gerarchicamente meno rilevanti rispetto a quelle che si formano nella primissima infanzia si formeranno durante l'intera vita attraverso ogni apprendimento ed esperienza e anche queste

modificheranno continuamente l'architettura complessiva del sistema sinaptico. Ciò significa, come già abbiamo detto, che non siamo interamente determinati dal genoma, ma abbiamo uno spazio di libertà, per quanto non illimitato, che viene gestito sempre più dalla società.

Altre sinapsi si formano semplicemente per caso. Quand'anche nascessero due gemelli monozigoti con lo stesso DNA, cioè con gli stessi geni, e la stessa educazione, l'attuazione del loro programma genetico sarebbe diversa, ad opera prevalentemente del caso. Quand'anche le loro prime esperienze fossero fortemente simili, tuttavia il loro cervello si differenzierebbe grazie alle connessioni sinaptiche casuali, che incidono per un terzo rispetto alla sinapsi complessive. Dunque tali

connessioni casuali sono fondamentali per definire l'individualità e la specificità, per renderci unici e inconfondibili. Mentre le connessioni genetiche, così come il genoma, sono pressappoco le stesse in tutti gli individui, quelle dovute ad esperienza e caso, che avvengono durante ma anche dopo la fetalizzazione, possono variare di molto e rappresentano dunque la vera fonte delle differenze individuali, mentre prima di questa fase i cervelli sono pressappoco tutti uguali39. Ciò che distingue dunque un individuo dall'altro non son tanto le grandi strutture nervose, geneticamente date, che sono pressappoco sovrapponibili in ciascuno di noi, ma le singole sinapsi, che sono variabili in base alle differenti esperienze di vita e al caso40. Ma anche quando non si parla di gemelli, il DNA umano è fondamentalmente omogeneo, varia di pochissimo da individuo ad individuo, tanto che Stalin e Madre Teresa di Calcutta, ci dice, non hanno differenze di genoma41! Ciò significa che l'origine della grande varietà e dell'individualità è prevalentemente di tipo culturale e

casuale. Per Boncinelli non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del caso nell'evoluzione e nella vita ed egli riconosce alle teorie di Jacob e Monod il grande merito, non sufficientemente

39 "La vita della nostra mente", pag. 47. 40 "La vita della nostra mente", pag. 43. 41 “Prodigi quotidiani”, pag. 142.

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riconosciuto, anzi generalmente osteggiato, di avergli finalmente attribuito il giusto peso. Ma c'è infine un'ulteriore importantissima conseguenza della fetalizzazione, ed è che gli adulti proprio nell'accudire i bambini ancora incapaci di esprimersi e di muoversi sviluppano una capacità di immedesimazione che è forse alla base delle “teoria della mente” - che come vedremo è

collegata ai nostri neuroni-specchio - e delle forme più raffinate di coscienza42. IL RICONOSCIMENTO NELLA FETALIZZAZIONE E NELLA VITA SOCIALE

Nello speciale rapporto che durante questa fase si stabilisce tra madre e bambino, viene ad avere un ruolo fondamentale il meccanismo del riconoscimento. All'interno dello sviluppo biologico è proprio un meccanismo con lo stesso nome, come abbiamo visto, che permette l'influenza delle altre cellule e dell'ambiente e che rappresenta un concetto-chiave della biologia molecolare, come già osservava Monod. Ora vediamo che anche nella vita sociale c'è una forma di riconoscimento che funziona in maniera analoga e che è forse alla base dell'evoluzione culturale, perché ci apre agli altri e alla loro influenza

permettendoci l'apprendimento.

Nella primissima infanzia esso pare che sia inizialmente di tipo uditivo e olfattivo, ma poi diventa prevalentemente visivo, come riconoscimento soprattutto dei volti.

Sembra che nei cuccioli dei primati superiori ci sia un impulso innato a seguire preferibilmente le facce - che vengono distinte in base a regole di simmetria che le fanno risultare anche più o meno gradevoli - e che innata sia anche la capacità di leggervi le emozioni fondamentali.

Le prosopagnosie, cioè le patologie relative al riconoscimento visivo, dimostrano che il

riconoscimento dei volti è autonomo da quello visivo più generale, perché in alcune patologie si è incapaci di riconoscerli riuscendo però a distinguere visivamente tutto il resto.

Il riconoscimento può avvenire attraverso due modalità fisiologiche differenti: una "via alta"43, che coinvolge la corteccia temporale destra, in particolare l'area fusiforme, e una "via bassa" che coinvolge l'amigdala, in un meccanismo molto più veloce ma meno selettivo. Nei neonati si suppone che venga attivata quest'ultima via, perché essi guardano con la coda dell'occhio; riconoscono infatti dapprima l'ovale e l'attaccatura dei capelli, mentre i dettagli verranno presi in considerazione solo a partire dal terzo mese, quando inizia il riconoscimento corticale.

Questo meccanismo che ha origine nella primissima infanzia è così importante in tutta la vita sociale da diventare - rovesciando il punto di vista di Alberoni - un modello nell'innamoramento e perfino nei movimenti collettivi44.

Ma nella vita collettiva esso assume anche aspetti negativi oltre che positivi, perché fonda i sentimenti d'amore ma anche quelli di odio. Esso è infatti alla base della struttura gerarchica delle società, del conformismo e degenera nella discriminazione, nello snobismo e nel razzismo, che consiste nell'accettare soltanto coloro le cui caratteristiche sono quelle del gruppo di provenienza. Per l' individuo è talmente importante riconoscersi nel gruppo che per tale scopo è disposto perfino ad automutilarsi. Ma è anche alla base dell' "amore romantico", che contraddistingue in maniera peculiare l'uomo, a pari titolo del linguaggio, per quanto i filosofi snobbino l' argomento, come già osservava Shopenhauer nel 1800.

Boncinelli usa questo termine, "amore romantico", per distinguerlo da altri tipi di amore, come quello filiale, ma anche dall'innamoramento. Esso enfatizza al massimo livello l'importanza dell'individualità, delle caratteristiche che distinguono e differenziano il singolo individuo che qui

42 "Le forme della vita", pag. 154.

43 Tratterò quest'argomento nel capitolo sulla "lucidità differenziale", da pag. 115.

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diventa qualcosa di speciale e di insostituibile. È un legame affettivo che tende a diventare

autonomo dalla pulsione sessuale, che è invece irriducibile nell'innamoramento e nella passione, più schiettamente istintivi. Nell'amore romantico la sessualità è certamente presente e importante, perché il suo fine è la riproduzione, ma può tuttavia venire sacrificata. Esso talvolta sovverte le stesse regole dell'attrazione e perfino della selezione naturale, perché ci si può innamorare di difetti e di debolezze, e per amore si dimentica di mangiare, di dormire e si può arrivare a suicidarsi. Sembra quindi rendersi autonomo perfino dall'istinto di sopravvivenza.

I due partners giocano alternativamente al ruolo di genitore e di figlio, assumono comportamenti infantili, perché c'è bisogno di trovare nell'altro proprio quelle caratteristiche genitoriali che sono alla base del riconoscimento.

Il bacio ritualizza forse l'offerta di cibo, ma anche l'importanza della bocca nella nostra specie, che ha permesso, assieme all'accentuata funzionalità della laringe, l'articolazione fonetica del

linguaggio, tanto da risultare sovrarappresentata nella corteccia, nel famoso homunculus somatosensoriale, rispetto per esempio alle scimmie.

A differenza dell'innamoramento, che è un sentimento di minor durata, più perentorio e caratterizzato da perdita di senno, qui si ha a che fare non con un semplice relazionarsi ma con l'incontro con un altro io, che è ben più importante del sesso.

L'amore romantico presuppone anche una predisposizione all'attaccamento, che si forma anch'esso durante le cure parentali e in particolare nel rapporto madre-figlio grazie all'azione di un

determinato ormone, attivo soprattutto durante gestazione, parto e allattamento: l'ossitocina. Se la si inietta in una pecora la si induce all'attaccamento e a fidarsi. Nei maschi l'ormone che ha una funzione simile è invece la vasopressina, che pare più presente nei monogami, e che se iniettata nei topi li induce alla monogamia.

Non sarà dunque anche questo sentimento una costruzione della nostra corteccia (che come vedremo egli definisce “imbrogliona”...)? Infatti Boncinelli afferma che i sentimenti sono costrutti mentali e culturali basati sulle emozioni, qualcosa che dunque sta a metà strada tra emozione e ragione. Proprio l'inibizione dell'istinto sessuale e perfino dell'istinto di sopravvivenza dovrebbero far sospettare la presenza attiva della corteccia, che come sappiamo ha una funzione inibitoria nei confronti degli istinti. La grande ammirazione che Boncinelli dimostra per l' "amore romantico" potrebbe proprio derivare dal maggior ruolo che qui esercita la razionalità, rispetto per esempio all'innamoramento, che al contrario è più dominato dagli istinti.

L'INTELLIGENZA TECNICA: GLI STRUMENTI E LE MACCHINE

Scrive Boncinelli: "l'uomo ha in più la tecnica: è divenuto veramente uomo quando ha inventato la tecnica. E dietro la tecnica sembra spuntare una forma superiore di istinto di sopravvivenza, che noi chiamiamo razionalità."45La razionalità sarebbe dunque una sorta di protesi del nostro istinto di sopravvivenza, un portato dell'uso degli strumenti, che ci aiuta oltre e più degli istinti.

L'evoluzione culturale è avvenuta, come abbiamo visto, grazie all'intelligenza sociale; ma anche l'intelligenza tecnica vi ha esercitato un ruolo indispensabile ed è alla base del metodo sperimentale.

Per fare di un oggetto uno strumento, ci dice in "L'anima della tecnica" da pagina 17, occorrono facoltà mentali e motivazioni che "richiedono un assetto biologico molto particolare". Occorre

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porsi uno scopo od obiettivo da raggiungere. Occorre saper rimandare l'azione cioè l'ottenimento di tale scopo per prendersi il tempo per rifletterci sopra e capire qual è il mezzo più adatto (occorre dunque il pensiero razionale, cioè un pensiero capace di rinviare l'azione). Occorre tenere a mente tutto ciò per un po' attivando il processo attenzionale (occorre dunque una memoria adeguata). Occorre soprattutto saper vedere un oggetto da un punto di vista diverso da come lo si è considerato finora, il che vuol dire farsene "una rappresentazione opportunistica", come ad esempio pensare che un ramo per terra può essere spezzato volontariamente e usato per un fine specifico (occorre dunque progettare un'azione). Ma ciò non significa saper andare oltre gli schemi delle possibilità geneticamente predisposte? E non è dunque una sorta di creatività, che deriva dall'aver accolto le influenze esterne46

? Occorre in conclusione saper progettare di cambiare le cose del mondo47, e dunque saper pensare in funzione di un'azione non immediata, capace di provocare un

cambiamento secondo i nostri desideri (che hanno sempre un'origine emotiva). Abbiamo detto che l'evoluzione culturale secondo Boncinelli è stata resa possibile da "processi a retroazione positiva", in particolare tra uso degli strumenti ed encefalizzazione48. Vale a dire che l'encefalizzazione ha favorito l'uso degli strumenti e questi hanno a loro volta incrementato

l'encefalizzazione e così via e così via, in un processo di aumento esponenziale, che è alla base del progresso. Infatti l'uso degli strumenti diventa esso stesso causa di encefalizzazione perché aumenta le connessioni neurali, creandone di nuove.

A questo punto mi si ripresenta lo stesso tipo di problema che ho affrontato a proposito della controintuitività e che risolvo allo stesso modo.

Ho dovuto cioè pensare a lungo a queste affermazioni, che di primo acchito mi sembravano lamarckiane: se gli strumenti accrescono l'encefalizzazione ciò vuol forse dire che condizionano in qualche modo il genoma, quindi che l' "uso" o l'esperienza entrano nel DNA?

Nell'intervista che gli ho fatto e che ho qui allegato, ho chiesto chiarimenti a questo proposito, perché non mi sembra di averne trovati altrove ed egli ha ribadito - vedi a pagina 215 - che il genoma è assolutamente impermeabile agli usi, secondo il dogma fondamentale della biologia molecolare, e che quindi tutta quanta

l'evoluzione culturale non può assolutamente scalfirlo. Quale altro meccanismo possiamo dunque ipotizzare?

Immaginiamo che un primo individuo, casualmente nato con un po' di cervello in più, abbia inventato un certo strumento che renda la sua vita più agevole, in quanto gli permette di coltivare meglio la terra e perciò di sfamare più facilmente i suoi figli, che dunque potranno essere più numerosi e sopravvivere più degli altri. Può darsi che i suoi figli abbiano ereditato da lui, ma non è detto, un cervello un po' più grande. Ma di certo il fatto che tale strumento esista, che sia utile e che sia a portata di mano di chi lo sa usare fa sì che coloro che in seguito capiranno come si usa, essendo nati casualmente con un po' di cervello in più rispetto agli altri, lo useranno e sfameranno perciò meglio i loro figli e ne faranno di più. Dobbiamo cioè immaginare che il semplice fatto che un certo strumento molto utile esista e che

46 Ne riparlerò a proposito della creatività, da pag. 166. 47 "La scienza non ha bisogno di Dio", pag. 149.

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possa essere usato induca la selezione a favorire individui casualmente nati con un cervello più grande. Se non fosse per l'esistenza di quello strumento,

l'individuo col cervello più grande potrebbe essere anche sfavorito rispetto ad uno che ha invece più muscoli. In questo modo, ciò che esiste ed è utile finisce per entrare di diritto nel futuro e nel nostro genoma, anche se non per adattamento diretto. Dunque la selezione naturale sceglie tra i vari individui casualmente diversi quelli che più si adattano a ciò che per qualsiasi motivo esiste e funziona bene. Boncinelli ci racconta che dopo che l' Homo Habilis riuscì a scheggiare le pietre ottenendo i primi rudimentali strumenti dovettero passare più di un milione di anni perché fosse compiuto il passo ulteriore, ottenendo la prima pietra scheggiata su entrambi i lati; infatti per riuscirci c'era bisogno di un nuovo sviluppo cerebrale, che poteva nascere solo col tempo e grazie all'esistenza e all'uso degli strumenti.

Proprio l'uso degli strumenti - ci riferisce a pagina 21 de "L'anima della tecnica" - unito al vivere in una collettività, sarebbe dunque, come per molti altri studiosi, alla base dell'espansione del cervello. Seguì la preparazione delle pietre levigate, che necessitò anch'essa di quasi un altro milione di anni, e di lì in poi seguirono altre scoperte, via via sempre più ravvicinate, fino ad arrivare all'Homo

sapiens sapiens che impresse un'accelerazione potente nei tempi delle scoperte. Infatti, egli riuscì a

"innovare le sue stesse modalità d'intervento sull'ambiente", a prendersi la "libertà di cambiare", grazie alla quale il processo d'innovazione è diventato sempre più rapido, perché abbiamo imparato a progettarlo49. S'imparò così ad usare uno strumento per farne un altro o ad unirli per ottenerne un terzo, stavolta composito, legando per esempio insieme una pietra con un bastone, la qual cosa è alla base della costruzione di macchine elementari.

Gli animali usano sì gli strumenti, ma non certo per farne un altro. La tecnica dei castori nel

costruire le dighe è, a differenza della nostra, sempre uguale a se stessa. Quanto alle api, hanno due terzi di genoma identico tra di loro e sono perciò altamente efficienti ed obbedienti per meccanismi che sono probabilmente genetici, ben diversi dai nostri, perché esse non conoscono la libertà e non sono dunque capaci di cambiare i loro meccanismi. Dunque c'è una frattura tra la nostra tecnica e la loro, e Boncinelli osserva che essa corrisponde perfettamente alla frattura tra il nostro linguaggio e i loro sistemi di comunicazione. In conclusione, mi pare di poter dire che la differenza sta nel fatto che noi sappiamo creare, sappiamo far progredire la nostra tecnica e loro no, perché loro riescono a fare solo ciò che il loro DNA ha previsto una volta per tutte. Questa è una gran bella differenza, che sembra consistere nella creatività. Il nostro stesso corpo nel dialogo tra geni e esperienza ha allargato, senza che ne fossimo razionalmente consapevoli, il proprio inventario biologico, e quando poi abbiamo acquisito la consapevolezza razionale, seguendo i dettami della razionalità collettiva e della sperimentazione. siamo andati oltre il nostro stesso genoma, oltre il nostro intuito, oltre i nostri istinti!

Boncinelli intende per "macchine" sia quelle materiali alimentate da energia, che all'inizio era umana o animale, che quelle mentali, di cui sono esempi il linguaggio e la scrittura. Infatti, già in Omero, "macchina" significa macchinazione, non necessariamente materiale50.

Le macchine hanno permesso un affrancamento dalla schiavitù, dalla fatica fisica e perfino dalla memoria procedurale, cioè dal saper fare che viene sempre più sostituito dal sapere. Tutto ciò ha però anche un effetto spersonalizzante, come si vede nell'industria dove la manualità e la capacità lavorativa è diventata così poco importante che chiunque è sostituibile.

49 "Lo scimmione intelligente", pag. 45. 50 Pag. 23 di "L'anima della tecnica".

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Ciò che sorprende è che un essere contingente come l'uomo sia capace di costruire oggetti, che, come le macchine e i computer, seguono la legge della necessità, cioè operano, finché non si guastano, in maniera prevedibile. Questi oggetti – come abbiamo già detto - sono così speciali da essere caratterizzati, nonostante la loro materia inorganica, da finalità. Ci tengo a ribadire che tale finalità non è però qualcosa d'interno, anche se le biotecnologie lasciano immaginare la futura costruzione di oggetti che possano prendere in gestione la propria costruzione e il proprio progetto, proprio come noi.

Quando poi l'evoluzione tecnica s'incontra con una maggior socializzazione, che è l'altra fonte, come abbiamo visto, dell'encefalizzazione e quindi dell'evoluzione culturale, si assiste ad un progresso esponenziale. Infatti, quando gruppi umani diversi, che si sono tramandati differenti saperi tecnologici, s'incontrano e scambiano le loro conoscenze, ecco che la tecnica vive

straordinarie fioriture (come ben hanno capito le recenti tecniche di programmazione neurolinguistica, che cercano di progettare il progresso). La comunicazione, come abbiamo visto, qui è essenziale, proprio perché si tratta di qualcosa che non è possibile trasmettere altrimenti. La tecnica, proprio per questo suo aspetto di prevedibilità che esclude la contingenza, può essere tramandata, come la scrittura, che è anch'essa una forma speciale di tecnica; ciò permette la cumulabilità del sapere e la sua crescita formidabile, tanto da costituire un evento scatenante o "trigger" (cioè grilletto). Il singolo individuo può cioè parlare o

scrivere o esercitare le varie forme artistiche soltanto in quanto qualcuno gliele ha insegnate. Tutto ciò costituisce l'evoluzione culturale, che facendo leva appunto sulla capacità di cumulare i saperi individuali ottiene risultati sorprendenti e rapidissimi, ma che potrebbe sparire ancor più

rapidamente qualora la comunicazione s'interrompesse.

NATURALE E ARTIFICIALE

L'uomo si è sempre impegnato per cambiare il mondo, per renderlo più vicino ai suoi desideri e ai suoi bisogni, e c'è riuscito soprattutto grazie alla tecnica e alla scienza.

Da quando l'uomo esiste, ha sempre interferito con la natura creando ad esempio il grano, i piselli, le pesche, i pomodori, le patate, il caffè, cani, mucche e pecore, cavalli e galline, etc., che non sono propriamente naturali. Anzi, finiamo per non riuscire neanche a distinguere il confine tra naturale e artificiale. L'uomo infatti cerca da sempre di migliorare i prodotti che ha a disposizione, di renderli più adeguati alle proprie esigenze e spesso ci riesce.

La natura non è infatti buona di per sé e la razionalità e la scienza interferiscono con essa, cercando di renderla più clemente e meno crudele, per esempio nei confronti dei portatori di malattie

genetiche ereditarie, che un tempo sarebbero stati precocemente eliminati. In natura chi è vecchio e chi è ferito viene abbandonato, mentre noi interveniamo per recuperarlo. La medicina in particolare lotta contro la selezione naturale, salvando chi sarebbe destinato a morire anche per problemi che oggi sembrano banali, come la miopia, grazie a strumenti semplici come gli occhiali.

Allo stesso modo non sono di certo naturali gli antibiotici, l'insulina e neanche il fasciare le ferite e l'ingessare gli arti. O si deve dire che la medicina è contronatura? In campo farmacologico per esempio è stata sintetizzata l'Aspirina per evitare gli effetti collaterali della corteccia del salice sullo stomaco. Come chiede retoricamente il titolo di uno dei suoi libri, vogliamo essere "sani per scelta o malati per caso?".

La natura non guarda sé stessa con i nostri occhi, non giudica le cose buone o cattive in relazione a noi, e privilegia i valori medi, l' "aurea mediocritas" . Con nostro grande dispiacere, per esempio, condannerà il koala all'estinzione, poiché esso mangia solo eucalipto e appena arriverà un periodo di siccità non riuscirà ad adattarsi a mangiar altro. Insomma, come afferma in "Domande e

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risposte" in calce a "Perché non possiamo non dirci darwinisti"(pagina 251): "la nostra evoluzione culturale ha modificato l'impatto della selezione naturale sulla nostra specie, a vantaggio di molti portatori di difetti, genetici o non": abbiamo imparato perfino ad interferire con la selezione!

La vita è cambiamento, evoluzione e noi non dobbiamo temere di cambiare appellandoci al passato in quanto sicuro e collaudato. La natura è infatti dominata dall'entropia, che è il principio di tutti i mali, a cui si contrappone la vita, che circoscrive isole d'ordine, che poi difende con gran dispendio energetico, mediante un ricambio continuo della materia nel mantenimento della forma. La

razionalità, specie quella collettiva, così come tutta l'evoluzione culturale, non è che un ottimo strumento in più che la vita ha saputo costruire per cambiare, mantenendo l'ordine che la caratterizza, e per perpetuare se stessa51

.

L'ordine della vita, a differenza di quel che il termine evoca, non comporta però pulizia e perfezione: "Al contrario, la vita è sporca, umidiccia, gelatinosa, appiccicosa. La materia organica è intrisa di acqua e in uno stato perennemente oscillante fra una soluzione e una gelatina", perché, "come dice la canzone di De André, 'dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior' "52. Abbiamo già osservato che la simmetria perfetta è immobile e

improduttiva; la vita sembra nascere dal connubio tra piccoli errori, imperfezioni e asimmetrie da una parte con le regole deterministiche di chimica, fisica e del genoma dall'altra.

Di fronte ad una catastrofe naturale non dobbiamo pensare che sia un bene per noi, che sia

espressione della volontà distruttiva del Creatore che non dobbiamo contrastare; essa è il frutto della naturale entropia. Tutto tende a sgretolarsi e a sparire a meno che non sappia

ricostruirsi, ingannando in tal modo la natura. Dunque noi interpretiamo correttamente il ruolo che la vita ci riconosce se ci rimbocchiamo le maniche per lottare contro i mali naturali53 , cercando di limitarne i danni, utilizzando la nostra razionalità e la tecnologia (sempre che non siamo stati noi stessi a provocarli o che siamo stati incapaci di prevenirli54). Il caos è dunque generalizzato e la vita è in controtendenza; ognuno di noi, forse ogni forma di individualità, è come se fosse costantemente sull'orlo di un precipizio che è pronto ad inghiottirlo, contro cui è doveroso lottare con tutte le forze e tutti i possibili strumenti - compresa la razionalità, che di tutti è il migliore -. Molti – afferma – quando parlano di natura non sanno neanche di cosa parlano; perciò Boncinelli ne fornisce una definizione articolata su quattro livelli, che indicano quanto sia difficile distinguerla dall'operato dell'uomo:

 "natura¹", che comprende tutto ciò che ci circonda, dalla Luna agli alberi, sia di tipo biologico che inorganico, esclusi i manufatti umani;

 "naturaº", che comprende tutto ciò che è il risultato dell'integrazione tra natura¹ e uomo: dunque anche i piselli, le mucche, il mais, le ciliege, etc;

 "natura²", che consiste nelle regole naturali a cui i primi due tipi di natura sono sottoposti; qui i fenomeni naturali che concorrono a provocare un effetto sono molteplici e c'è sempre un concorso di cause e non mai una sola; si tratta dell'insieme delle leggi della biologia, combinato col risultato dell'evoluzione;

 "natura³", che comprende il nostro mondo, ma anche tutto il resto dell'universo, anche quello inanimato e cosmico, su cui non abbiamo finora interagito, retto dalle cosiddette " leggi di natura".

51 Vedi a pag. 90 de "Il male". 52 "Il male", pag. 159.

53 Su questo, vedi il paragrafo intitolato"L'imponderabile non biologico" a pag. 127 de "Il male". 54 Vedi il paragrafo "Il male naturale", da pag. 157 de "Il male".

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La maggior parte delle discussioni verte sulla differenza tra i due primi tipi di natura. Da tutto ciò risulta evidente che non esistono norme stabili, perché queste cambiano continuamente, e la "natura della natura biologica risulta proprio quella di trasformarsi in continuazione!"55. Non c'è nulla di stabile in ciò che è biologico, al contrario di quel che pensano coloro che si appellano alla natura come qualcosa di fisso da seguire. È il concetto stesso di evoluzione che comporta la contaminazione e il cambiamento. Tutto è dunque relativo, così che le stesse leggi di natura sembrano anch'esse il frutto di un'interazione tra natura e uomo.

A proposito degli OGM, Boncinelli sostiene che non possono competere con le specie selvatiche, perché sono globalmente più deboli rispetto a queste, anche se presentano una caratteristica

vantaggiosa, che è poi quella per la quale sono stati creati; dunque non le soppianteranno mai. Non esiste a questo proposito nessuna contaminazione possibile, perché i geni non sono e non si

comportano come agenti infettivi! Non rappresentano dunque un pericolo, ma al contrario sono un espediente per ridurre i pesticidi e sono un arricchimento per la biodiversità, per quanto poi non è detto che quest'ultima sia veramente una risorsa56. Della manipolazione genetica del cibo oggi in Italia si potrebbe fare tranquillamente a meno, perché la povertà è soprattutto un problema di iniqua distribuzione, ma la ricerca deve continuare, perché domani le cose potrebbero cambiare e non dobbiamo farci trovare impreparati, e comunque ci sono paesi che già oggi ne hanno bisogno. Quanto agli animali transgenici, servono a produrre fattori di coagulazione, antibiotici, insulina (che quando viene invece prodotta dai maiali risulta mal tollerata), cioè sostanze che in natura o non si trovano o sono di qualità inferiore.

Spesso, coloro che identificano ciò che è buono con ciò che è naturale si definiscono umanisti ed è strano osservare come siano proprio loro a diffidare dell'opera degli uomini57! Ne "Lo scimmione intelligente", da pagina 190, polemizza contro il diritto naturale, pur riconoscendo che si è trattato di "una grande e faticosa conquista del pensiero umano".

Anche quando la tecnologia imita la natura non lo fa "alla lettera", non ne segue cioè i dettagli, ma ne imita la funzionalità, mettendo per esempio ruote laddove in biologia ci sono gambe,

sintetizzando sostanze che in natura non esistono, ma che ottengono un effetto identico o migliore di quelle naturali. Raggiungere la naturalezza è difficile perché questa è molto complessa, in quanto alla natura sono occorsi migliaia di anni, percorrendo numerosissimi itinerari - in secoli e secoli di storia - che sono poi stati in parte abbandonati; quando noi la imitiamo possiamo dunque scavalcarli con intelligenza utilizzando i soli percorsi vincenti.

Attualmente l'artificiale sta colonizzando il nostro corpo, attraverso arti, protesi di ogni tipo,

microchip che trasformano il pensiero di persone paralizzate in azione; dunque naturale e artificiale

si avvicinano sempre di più e sembrano realizzare quegli organismi cibernetici o cyborg che fino a ieri sembravano di pura fantasia. È la natura stessa della biologia, come abbiamo detto, ad essere eminentemente conservatrice, ad impedire alle nostre imprese tecnologiche, alla nostra straordinaria fantasia, di avere effetti devastanti. Abbiamo già detto che a differenza della fisica, che può

realmente distruggere la Terra, c'è una forma di autolimitazione dei sistemi biologici,

un'autoprotezione dell'ecosfera 58, che impedisce alla dissennatezza umana di trasformare in maniera definitiva la vita. Per esempio non sarà mai possibile per la Terra ospitare più di un certo numero di persone e ciò spiega perché la tecnica è autolimitante - come la razionalità59 - non potendo crescere più di tanto.

Il tanto osannato principio di precauzione contrasta con la vita e con la scienza, perché immobilizza,

55 Prodigi quotidiani, pag. 134. 56 "Sani per scelta", pag. 127. 57 "Il posto della scienza", pag. 149. 58 "E ora?" alle pagg. 29,32,36. 59 "E ora?", pag. 71.

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