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Spazio e personaggi nel cinema di Dario Argento: i luoghi dell’inconscio LINGUE, CULTURE, COMUNICAZIONE C L M

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

C ORSO DI L AUREA M AGISTRALE IN

LINGUE, CULTURE, COMUNICAZIONE

Spazio e personaggi nel cinema di Dario Argento: i luoghi dell’inconscio

Prova finale di:

Chiara Sambini Relatore:

Leonardo Gandini

Correlatore Laura Gavioli

Anno Accademico 2017/2018

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Alla mia famiglia: Elena, Gianpaolo, Alessandro

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RIASSUNTO ANALITICO

Il presente studio prende in considerazione il rapporto tra spazio e personaggi nel cinema di Dario Argento. L’analisi verrà eseguita sulla produzione cinematografica di Dario Argento dal 1970 al 1987. Vengono pertanto prese in considerazione tre fasi in cui è possibile suddividere la fisionomia del suo cinema: la prima comprende la trilogia degli animali, quindi L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1971), Quattro mosche di velluto grigio (1971); la seconda fase prosegue con il cult Profondo rosso (1975) e giunge fino al primo film dichiaratamente horror del regista: Suspiria (1977). La terza fase, infine, abbraccia film come Phenomena (1985) e Opera (1987). I luoghi selezionati sono quattro. La casa innanzitutto, poi altri tre ambienti privilegiati: la villa, il collegio e il teatro. Una volta selezionati i luoghi, comincerà un’indagine che ha per oggetto la potenzialità simbolica che assume ogni spazio in relazione ai personaggi; in quest’ambito si cercherà di dimostrare come il luogo, da semplice spazio architettonico, può diventare uno spazio in grado di produrre, attraverso una serie di tecniche o scelte estetiche particolari, effetti di senso plurimi che pervadono la struttura narrativa del film. Il rapporto tra film e architettura, in tal senso, si fonda sulla rappresentazione mentale, sull’immaginazione e perché no, sulla paura dello spettatore.

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ABSTRACT

This dissertation deals with the mutual relationship between spaces and characters in film director Dario Argento’s art. The investigation will focus on his film production from 1970 to 1987. The physiognomy of Argento’s cinema in this period can be divided into three phases that will be examined separately: the first includes the trilogy of animals, with The Bird With The Crystal Plumage (1970), The Cat o' Nine Tails (1971), Four Flies on Grey Velvet (1971); the second phase goes from with the cult film Deep Red (1975) to the master’s first horror film: Suspiria (1977). Finally, the third phase includes films such as Phenomena (1985) and Opera (1987). Four main places will be considered. Firstly the house, a key lace, and then three more types of building: villas, colleges and theatres. Once places are selected, an investigation starts with the purpose of focusing on the potential symbolic meaning assumed by each of these spaces in relation to the film characters; against this background, we will see that places far from being merely architectural structures or elements of the setting, contribute to create meanings that pervade the narrative structure of the film. A series of techniques and aesthetic choices to produce such achievements are discussed. Architectural components of films’ settings, in this sense, contribute to construct mental representations and expectations eventually leading to suspense and dismay, which make the spectators scary.

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RESUMEN

El presente estudio toma en consideración la relación entre el espacio y los personajes en el cine del director cinematográfico italiano Dario Argento. Ha sido realizado un análisis de las películas realizadas entre 1970 y 1987. Tal producción ha sido dividida en tres fases: la primera incluye la trilogía de los animales, con títulos como El pájaro de las plumas de cristal (1970), El gato de las nueve colas (1971), Cuatro moscas sobre terciopelo gris (1971); la segunda fase comprende la película de culto Rojo oscuro (1975) y su primera película de terror: Suspiria (1977). Finalmente, la tercera fase, incluye películas como Phenomena (1985) y Opera (1987). El análisis del espacio, objeto de la presente tesis, ha tomado en consideración cuatro tipos de lugares o escenarios: la casa como espacio cotidiano, la mansión abandonada, el colegio y el teatro. Como mencionado anteriormente, el punto focal de nuestro análisis es el potencial simbólico que asume cada espacio en relación a los personajes. Teniendo en cuenta este aspecto, trataremos de demostrar cómo el lugar se transforma de espacio arquitectónico simple en un espacio capaz de producir, a través de una serie de técnicas o elecciones estéticas particulares, múltiples efectos sensoriales que impregnan la estructura narrativa de la película. La relación entre el cine y la arquitectura, en este sentido, se basa en la representación mental, en la imaginación y, por qué no, en el miedo evocado en el espectador.

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INDICE

Introduzione……… 1

Capitolo I. Identikit del colpevole………... 4

Capitolo II. Un occhio allo sguardo……… 9

Capitolo III. Scale, finestre, porte, corridoi e specchi: le anticamere del terrore……… 13

Capitolo IV. Il teatro……… ……... 21

Capitolo V. Il collegio………. 29

Capitolo VI. La casa……… 39

Filmografia………. 58

Bibliografia………. 65

Sitiografia……… 68

Appendice……… ……... 69

Ringraziamenti……… 71

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INTRODUZIONE

Si un lieu peut se définir comme identitaire, relationnel et historique, un espace qui ne peut se définir ni comme identitaire, ni comme relationnel, ni comme historique définira un non-lieu1.

Il presente elaborato si focalizza sulla relazione semantica tra spazio e personaggi nel cinema di Dario Argento. È stata presa in considerazione la produzione cinematografica di Dario Argento che va dal 1970 al 1987. La trilogia degli animali dunque, che rappresenta la prima stagione cinematografica del regista: L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1971), Quattro mosche di velluto grigio (1971).

Verranno poi presi in esame i film che fanno invece parte del secondo periodo di Argento, quindi Profondo rosso (1975), Suspiria (1977), Phenomena (1985) e Opera (1987). Si cercherà di capire in che modo i luoghi assumono un significato all’interno del racconto cinematografico.

L’idea di spazio come entità geografica viene pertanto erosa e riconfigurata. Il luogo va letto e interpretato come uno strumento in grado di produrre un’esperienza e dunque una significazione, diventando così un’estensione dello stato d’animo del protagonista o una rappresentazione fisica, ma in termini architettonici, dell’angoscia o del Male. Questo è possibile in quanto il cinema, come ben sottolinea Andrea Minuz, ha la capacità di inventare luoghi e spazi: […] Ciò è evidente, ad esempio, nei mondi artificiali del genere fantasy ma vale tuttavia anche per città, strade, paesaggi naturali, che sono sempre assemblati dal linguaggio cinematografico in una forma altra rispetto all’esistente2.

I luoghi del cinema di Argento sono come prima cosa frammentati, privi di centro.

Numerosi sono gli esempi, come vedremo in specie per i primi film, in cui lo spettatore avverte una sensazione di disorientamento spaziale.

1 M. Augé, Non-lieux, introduction à une anthropologie de la surmodernité, La Librairie du XXe siècle, Seuil, p. 100.

2 A. Minuz, ‘L’insieme dei luoghi di cui si fa esperienza’. La geografia culturale, il film e la produzione dell’immaginario, in A. Minuz (a cura di), L’invenzione del luogo. Spazi dell’immaginario cinematografico, Pisa, ETS, 2011, p. 08.

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Un altro argomento che verrà preso in considerazione sarà inoltre quello legato al tema del doppio, inteso come il moltiplicarsi di una stessa realtà. In tal senso vedremo come nei luoghi argentiani si produca, attraverso diverse soluzioni di stile, una dicotomia basata principalmente sulla distinzione tra bene e male, razionale e irrazionale. Questo tema comincerà a svilupparsi a partire dalla seconda stagione cinematografica di Argento, quando lo spazio inizia ad assumere connotazioni più psicologiche.

Il luogo per antonomasia dove si produce questa mescolanza tra apparenza e realtà è la casa, che rappresenta dunque l’ambiente più importante e ricorrente nella produzione cinematografica di Argento. Vedremo come questo spazio della quotidianità domestica diventa, per citare le parole di Marc Augé, un non-luogo dove il senso di sicurezza che dovrebbe offrire cede il passo a una violenza che diventa endemica e devastante.

Questa, dunque, è anche una tesi che nasce nel segno del giallo, del thriller, e dell’horror, tre generi che si fondono e confondono lungo tutta la cinematografia argentiana.

Definito più volte dalla critica italiana ed estera come il Maestro dell’horror, Dario Argento ha la capacità di farci entrare nel terrore senza la necessità di ricorrere all’uso smodato di effetti speciali o alla tentazione di ripiegare nella soluzione stilistica, facile quanto banale, di scene splatter, che pur presenti in tutta la sua filmografia, non sono determinanti nel suscitare la suspense dello spettatore.

L’inquietudine e la sorpresa, nei suoi film, vengono prodotte attraverso il ricorso a un repertorio iconico fatto di inquadrature estreme, eccessivamente ravvicinate o volutamente distorte, che combinate alla musica (o alla sua assenza) e ad un’intensità espressiva del colore fanno nascere in modo del tutto naturale un senso di angoscia e pericolo imminenti.

La tesi si divide in sei capitoli: i primi tre di carattere introduttivo, dove cercherò di descrivere i tratti salienti del cinema di Dario Argento. Una sorta di guida alla lettura che aiuta a inquadrare l’opera del regista e a spiegare le caratteristiche principali dei suoi film, i temi e gli elementi stilistici ricorrenti, i quali devono essere sempre interpretati, dopodiché mi concentrerò sugli spazi che vengono maggiormente rappresentati.

Il teatro: un luogo magico dove tutto può accadere e dove avviene un contraccambio tra realtà e finzione. Lo stesso Argento, durante un’intervista telefonica che mi ha

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concesso, parla di questo luogo in riferimento al film Opera e ce lo descrive come «un luogo importante, un vero e proprio luogo simbolo del film che riesce a dare ai personaggi una forza incredibile, ma anche la possibilità di conoscersi. Entrando in questi teatri infatti ad un certo punto il protagonista si conosce anche perché prima non capiva se stesso. Invece entrando in questi luoghi piano piano comincia a conoscere il suo passato, e forse anche il suo avvenire».

Verrà poi presa in esame Villa Scott di Torino, protagonista in Profondo rosso: si tratta di un luogo ormai in rovina ma che nonostante l’evidente stato di abbandono conserva un’aura di fascino e al contempo di mistero, infatti nasconde al suo interno un terribile segreto, parte di un rimosso traumatico che deve essere riportato alla luce.

La scuola, un ambiente dall’aspetto sinistro, in cui le riprese vengono girate soprattutto di notte, acuendo quel senso di tensione emotiva e insieme perturbante che contrassegna tutti i luoghi del cinema argentiano. Qui la dimensione infantile viene riletta in chiave macabra e di perversione.

Infine la casa, il vero centro nevralgico da cui nascono e si sviluppano i traumi degli assassini protagonisti dei suoi film. Questo ambiente può essere inoltre considerato come l’organismo principale da cui poi si declinano gli altri tre spazi precedentemente menzionati. Tutto parte dalla famiglia, che trova proprio nella casa la sua espressione architettonica. Vedremo come, tuttavia, il nucleo familiare in Argento sia molto lontano da quell’ideale di amore e sicurezza che solitamente lo caratterizza.

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I

IDENTIKIT DEL COLPEVOLE

Prima di analizzare i luoghi e gli spazi del cinema di Dario Argento è necessario descrivere brevemente quelle che sono le connotazioni psicologiche più rilevanti dei personaggi dei suoi film, poiché è proprio dalle singole caratteristiche dei soggetti scelti dal regista che si procede, di volta in volta, ad una rappresentazione dello spazio e degli elementi architettonici in esso contenuti. Andrea Bellavita dichiara a questo proposito:

Tra le forme “classiche” di messa in scena dei processi mentali, quello maggiormente praticato dal regista è la rappresentazione di un soggetto psicologicamente disturbato, in cui la patologia mentale consente uno sguardo ed un’esplorazione sull’inconscio del personaggio3.

Solitamente Dario Argento mette in scena il disagio psichico di un individuo che durante l’infanzia ha subito un forte trauma, spesso di natura sessuale. Un esempio di questo trauma lo troviamo soprattutto in due film della triade animalesca: L’uccello dalle piume di cristallo e Quattro mosche di velluto grigio. Nel primo film l’assassina Monica Ranieri è stata violentata durante l’infanzia, e il quadro, di cui riporto di seguito un’immagine, evoca il trauma vissuto dalla donna, diventando così il luogo di innesco del rimosso.

Figura 1. Il quadro dell'Uccello dalle piume di cristallo

3 A. Bellavita, Argento sotto terra, in V. Zagarrio (a cura di), Argento vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, Venezia, Marsilio, 2008, p. 115.

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In Quattro mosche di velluto grigio Nina Fabiani, la moglie del protagonista Tobias, è una maniaca omicida che odia gli uomini, poiché li identifica tutti col padre che desiderava un maschio e ha poi punito la sua femminilità facendola rinchiudere in un manicomio, che metonimicamente rappresenta l’istituzione patriarcale, oltre che il luogo dove la donna maturerà il suo istinto omicida. Questo vulnus rimane sopito per anni, per poi riemergere violentemente in occasione di un evento particolare che lo innesca, provocando successivamente una serie di azioni e reazioni che si ripercuotono sui personaggi, vittime scelte dal maniaco, attraverso svariate forme di perversione. In questo senso il cinema di Dario Argento mette al centro temi legati alla dimensione esistenziale dell’uomo, precisamente alla devianza e alla patologia. Un esempio ce lo offre Profondo rosso con il complesso edipico non risolto di Carlo, il figlio dell’assassina, che, nel tentativo di proteggere la madre, è disposto a passare come responsabile degli omicidi commessi, facendosi persino ammazzare. Abbiamo in questo senso un’attenzione particolare alla sfera dell’inconscio; la razionalità viene costantemente messa in discussione e a predominare sono lo smarrimento e la paranoia.

Tutti i personaggi del cinema di Argento sono quindi soggetti tormentati, a volte allucinati dal loro stesso trauma, che si trascinano nella realtà senza veramente prendervi parte; vivono tutti indistintamente una condizione di alienazione, solitudine ed emarginazione.

L’architettura in tal senso riflette il sentire e l’agire del protagonista, e specie per i primi film, appare squadrata e geometrica, con i palazzi delle metropoli dalle forme rigide e spigolose. Questi sono elementi che rinviano direttamente all’espressionismo tedesco, da cui Dario Argento prende ispirazione per numerosi suoi set.4 Queste istanze legate alla dimensione interiore si possono estendere non necessariamente e solo all’assassino ma a tutti i protagonisti che vengono rappresentati nei suoi film. Pensiamo per un attimo alla scena di Profondo rosso dove vediamo il Blue Bar di Torino. Chiaramente ispirato, come del resto dichiarerà più volte lo stesso regista, a Nighthawks di Edward Hopper, il Blue Bar si configura come un luogo-contenitore di individui soli, immobili e silenziosi, che stazionano sulle loro sedie vivendo in completo isolamento quella che dovrebbe invece essere una serata in compagnia in un locale, solitamente connotata dalla convivialità e dallo scambio comunicativo. Si tratta inoltre di un luogo inventato,

4 Per un approfondimento cfr. V. Zagarrio (a cura di), Argento Vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, Venezia, Marsilio, 2008.

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costruito appositamente da Dario Argento sotto i portici della piazza torinese. Come sottolinea Alessandro Bergogno:

E proprio su quella piazza c’è anche il bar notturno dove Carlo suona il piano. Molto particolare, composto quasi da una unica vetrata e illuminato a giorno a contrastare l’ambientazione notturna della piazza. Il Bar non esiste e non è mai esistito, lo fece costruire apposta Dario Argento per il film. Ma così come Hitchcock per la sua casa sulla collinetta dietro il Motel Bates si ispirò ad Hopper, così Argento in questo caso fece ricostruire il bar incastrato sotto i portici torinesi ricreando esplicitamente struttura e luci di un altro ancor più famoso quadro dell’artista americano:

“Nighthawks” (I nottambuli), del 1942. Il nome inventato per il film fu “Blue bar”, indicando con la parola “blue” sia il colore evocativo della notte sia il significato musicale (i due protagonisti sono musicisti) del termine “Blues”, che allude ad un particolare sentimento di tristezza e malinconia. Pensiamo che ad Hopper sarebbe piaciuto.5

Figura 2. Il Blue Bar, situato in piazza CLN a Torino. Si tratta di una location completamente inventata dal regista

5 Per un approfondimento sul legame tra Hopper e il cinema di Hitchcock e Dario Argento si rimanda alla seguente pagina web: https://photoriflettendoci.wordpress.com/2016/10/22/hopper-hitchcock-e-dario-argento/

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Figura 3. Edward Hopper, Nighthawks, 1942

Gli assassini dei film di Dario Argento sono quindi esseri asociali, psicologicamente disturbati, che si sono trascinati negli anni un trauma avvenuto perlopiù durante l’infanzia. Nel momento in cui riemerge questo terribile passato, l’omicida viene investito da una carica distruttiva che scatenerà su diversi personaggi del film. In quale modo? Gli omicidi vengono perpetrati secondo una logica che riproduce in chiave pervertita le stesse dinamiche legate al mondo dei giochi dei bambini. Infatti, come afferma Roberto Pugliese:

Bambole impiccate, disegni infantili che riproducono orrori primari, pupazzi ghignanti e semoventi, tenebrosi «tra-la-la» di bambini sfilano in un’ultima, riassuntiva parodia dello psycho-killer movie […]6.

Luoghi, architettura, geografia dello spazio: sono questi gli elementi determinanti in relazione al protagonista, che si muove in ambienti caratterizzati soprattutto da una dimensione socialmente condivisa, pubblici e visibili. Ad esempio il colpevole di Profondo rosso, che nella scena iniziale partecipa al seminario di parapsicologia, oppure le streghe di Suspiria, che, nel ruolo di insegnanti, si muovono nell’accademia di danza;

ancora, in Opera, il commissario Santini si occupa della indagini all’interno del teatro, anche se in realtà è un omicida efferato e perverso; infine il Dottor Casoni de Il gatto a nove code lavora in un luogo pubblico, l’Istituto Terzi.

Tuttavia l’assassino talvolta si muove anche in luoghi per così dire invisibili, lontani dalla società e dalla visibilità. Solitamente si tratta di camere scure, buie, in cui la macchina da presa si muove in soggettiva: primi piani sulla mani, normalmente

6 R. Pugliese, Dario Argento, Il Castoro, Milano, 2011, p. 58.

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guantate, dell’assassino (sempre del regista) e su oggetti macabri che verranno utilizzati come strumenti di tortura per gli omicidi, o addirittura per scatenare la perversione (la cassettina di Profondo rosso che riproduce una filastrocca infantile, indispensabile all’assassino per riattivare il trauma del passato). Quindi si delinea una contrapposizione tra luogo pubblico e luogo privato, impenetrabile e oscuro, accessibile unicamente all’assassino. Vedremo nel corso dell’analisi come queste due dimensioni vengano rappresentate nei vari film e come la struttura architettonica diventi espressione tangibile dell’animo malato del protagonista.

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II

UN OCCHIO ALLO SGUARDO

Un altro elemento da prendere in considerazione nel cinema di Argento è lo sguardo.

Una premessa necessaria, in quanto i luoghi del cinema argentiano si strutturano e assumono connotazioni specifiche in funzione dello sguardo e ai suoi movimenti all’interno degli spazi. In generale il cinema è concepito come un dispositivo che, per plasmare l’immaginario e dinamizzare la rappresentazione punta ad effetti di sollecitazione della percezione. Questa capacità di sollecitare i sensi risiede nelle potenzialità di trasfigurazione legate al movimento della macchina da presa.

Infatti questa non è mai solamente un dispositivo tecnico, quanto piuttosto un occhio onnipotente che determina e guida la percezione affettiva dello spettatore, immergendolo in una condizione volta alla soddisfazione di bisogni immaginari. Basta considerare l’effetto che suscitò L’Arrivée d'un train en gare dei fratelli Lumière nel 1895. Quello che interessò maggiormente le prime platee non fu tanto la visione di un treno che arrivava alla stazione, quando l’immagine del reale che prendeva forma7. Quindi, poiché al movimento osservato corrisponde un moto interiore e un dispiegamento della sensazione che determina la partecipazione affettiva, risulta evidente come sia proprio lo sguardo uno degli strumenti privilegiati attraverso il quale si origina questo processo di immedesimazione. Numerose inoltre sono le emozioni che il cinema è in grado di suscitare e che possono dipendere dallo stile. A tal proposito Enrico Carocci, in un saggio dedicato all’emozione filmica cita Hugo Münsterberg:

[…] l’emozione filmica può dipendere anche da una fotografia sfumata, da un tremolio, un ralenti o un movimento sussultorio della cinepresa, cioè da fattori filmici che non dipendono dai contenuti dell’immagine, e tuttavia sono in grado di ampliare le sfumature della reazione emotiva8.

La macchina da presa percepisce gli eventi in una modalità affine a quella dell’occhio umano; a sostegno di questa affermazione è opportuno fare riferimento alle riflessioni teoriche di approccio cognitivista le quali hanno dimostrato come, a livello scientifico,

7 Per la stesura di questa riflessione mi sono avvalsa di E. Morin, Il cinema o l’uomo immaginario, Milano, Raffaello Cortina, 2016, p. 24.

8 H. Münsterberg, Film. Uno studio psicologico, pp.119-19 in E. Carocci, Attraverso le immagini. Tre saggi sull’emozione cinematografica, Roma, Bulzoni, 2012, p. 11.

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il cervello sia in grado di elaborare le immagini restituendole sotto forma di esperienza umana. Si parla a tal proposito di un processo che va sotto il nome di simulazione incarnata (nota anche come embodied simulation): un meccanismo base del cervello il quale consente di instaurare un rapporto diretto con ciò che vediamo e sentiamo attraverso l’attivazione di neuroni specchio, i quali coinvolgono le dinamiche dell’immaginazione9. Edgar Morin ci parla invece di cenestesi psichica ovvero di una condizione in cui al movimento osservato corrisponde dunque […] un moto interiore e un pieno dispiegamento della sensazione, dell’emozione (dal latino emovēre:

smuovere), del sentimento e dell’intelletto10. È possibile pertanto concludere che il cinema consente di mettere realtà e rappresentazione sullo stesso piano, come se i due termini fossero in un rapporto di omonimia: possiamo credere nel reale del cinema perché è fedele alla nostra percezione.

L’immagine in movimento dunque produce talvolta forme di partecipazione affettiva.

Un’affermazione che è possibile applicare anche al cinema di Dario Argento. Qui la partecipazione affettiva si dà soprattutto sotto forma di suspense, che il regista cerca di attivare nello spettatore attraverso diverse tecniche: uso compositivo del colore, musiche a volte inquietanti e a volte concitate, inquadrature scentrate; tutti elementi che, combinati ai temi trattati, determinano il coinvolgimento emotivo di chi guarda. Quella della suspense non è l’unica forma di partecipazione affettiva da parte dello spettatore, che spesso infatti viene indotto ad un’identificazione col protagonista o direttamente col colpevole.

Per immergere ulteriormente lo spettatore in una condizione di partecipazione emotiva, una delle tecniche maggiormente adoperate nel cinema di Dario Argento consiste nell’effettuare costanti riprese dello sguardo, soprattutto dell’assassino. L’occhio, che metonimicamente rimanda allo sguardo, è infatti spesso ripreso in primo piano: ne è un esempio il controcampo con la pupilla dilatata del killer ne Il Gatto a nove code, così come l’occhio in primissimo piano in Profondo rosso, truccato per evitare l’identificazione del colpevole. Le inquadrature ravvicinate sull’occhio dilatato, di cui inserirò di seguito alcune immagini, aumentano il proprio potenziale ansiogeno mettendo lo spettatore sullo stesso piano del killer, con cui egli arriva inevitabilmente ad identificarsi. Secondo Roberto Pugliese infatti:

9 Sull’argomento vedi V. Gallese, M. Guerra, Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, Milano, Raffaello Cortina, 2015.

10 E. Morin, Il cinema o l’uomo immaginario, Milano, Raffaello Cortina, 2016, p. XIX.

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In Argento lo sguardo è l’anima del trucco, la saldatura fra il possibile e l’impossibile, l’amuleto per esorcizzare il reale e rendere concretizzabile il sogno (o scoprire un colpevole: metafora esplicitata nell’immagine rimasta impressa sulla retina in Quattro Mosche di velluto grigio). Guardare, dunque, è perdersi in un’ebbrezza visionaria che non conosce più le metodologie vittoriane del voyeurismo hitchcockiano e non ancora quelle degradate e beffarde della scopofilia depalmiana: né tantomeno la deriva sadistica da torture-porno-lunapark delle mattanze che domina il filone Hostel o Saw &

Co. 11

Figura 4 L’occhio dell’assassino in Profondo Rosso nella sua materiale invasione di campo.

Figura 5. Una ripresa ancora più ravvicinata della pupilla oculare ne Il gatto a nove code.

11 R. Pugliese, Dario Argento, Il Castoro, Milano, 2011, pp. 28-29.

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Tuttavia lo sguardo a volte può essere quello dello spettatore, che coglie la verità ma non è in grado di restituirla: c’è sempre un particolare che sfugge, un elemento che viene dimenticato o confuso. Si pensi per esempio alla scena iniziale di Profondo rosso, quando Mark entra nell’appartamento di Helga Ullmann e non si accorge di aver visto l’assassino, pur avendone intercettato l’immagine riflessa nello specchio; Sam Dalmas, il protagonista de L’uccello dalle piume di cristallo è sicuro che l’assassino sia l’individuo nerovestito all’interno del museo, quando invece è la donna con cui egli sta avendo uno scontro fisico. Vi saranno altri esempi oltre a quelli sopra citati, di cui discuterò nei capitoli successivi. Quindi la messa in scena dello sguardo stabilisce l’ambivalenza del suo potere, poiché se da un lato esso può riuscire a scoprire la verità, dall’altro può invece interpretarla male. La macchina da presa mima lo sguardo e ne riproduce il movimento; ma poiché la memoria inganna e confonde, anche le riprese saranno investite dello stesso carattere di indeterminatezza, ambiguità e frammentarietà.

Argento consegna allo spettatore un insieme di immagini spezzate e apparentemente sconnesse; sarà compito del protagonista ricomporre il macabro puzzle che porterà alla soluzione dell’enigma.

Lo sguardo dell’assassino invece è maligno, esprime perdizione e morte. Frequenti le soggettive del killer che si configurano in relazione al delitto, a cui prende inevitabilmente parte anche lo spettatore, che si trova costretto a guardare l’omicidio: un esempio lo troviamo nella rasoiate verso la macchina da presa in L’uccello dalle piume di cristallo oppure quando la protagonista di Opera, Betty, è costretta da degli aghi posizionati sotto gli occhi a guardare le torture e infine le uccisioni commesse dall’omicida. Si configura dunque un paradosso: il delitto, o meglio lo sguardo al delitto, diventa il luogo estremo in cui l’assassino e lo spettatore si incontrano e si identificano, dando forma a una sorta di voyeurismo che mette entrambi sullo stesso piano di perversione.

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III

SCALE, FINESTRE, PORTE, CORRIDOI E SPECCHI: LE ANTICAMERE DEL TERRORE

In questo capitolo intendo porre attenzione ad alcuni elementi architettonici e decorativi che nel cinema di Argento hanno una fortissima carica simbolica. Essi pertanto debbono essere tenuti in considerazione quando si procede ad un’analisi dei luoghi e del loro significato in relazione ai personaggi. Una sorta di guida a dei semplici dettagli che necessitano di interpretazione.

Scale.

In generale le scale ci segnalano un passaggio virtuale da una dimensione ad un’altra, più o meno elevata della prima. Inoltre, ad esempio nella tromba delle scale de Il gatto a nove code, la forma stessa assume la caratteristica di un involucro uterino. Argento stesso ci dice: «Mi piace molto l’idea della scala, mi dà un senso di eccitazione, è qualcosa che ha in sé qualcosa di freudiano… questa scala che sembra quasi un utero materno… […]12».

Elemento ricorrente nel suo cinema, le vediamo ad esempio in Profondo rosso: quando Mark percorre la lunga scalinata che porta all’interno della villa, oppure quando l’assassino penetra nella casa del protagonista (vediamo la sua ombra che sta appunto scendendo da una scalinata). Un altro esempio lo si trova nella scena iniziale de L’uccello dalle piume di cristallo, quando la colpevole, in una colluttazione col marito all’interno del museo, verrà ferita da un coltello e cadrà giù dalle scale. Nello stesso film, una delle vittime dovrà percorrere una lunga scalinata, alla fine della quale troverà la morte per mano dell’assassino, a colpi di rasoiate. Questa scala è di forma uterina, molto simile a quella che ritroveremo in una scena de Il gatto a nove code. In Phenomena, nella casa dell’entomologo McGregor, l’assassino, immobile e in ombra, azionerà il dispositivo che avvia la carrozzella posizionata alla fine del corrimano delle scale. Il percorso che seguirà la sedia elettrica del professore si configura come un brevissimo viaggio verso la morte. In Opera invece sono numerose le scene in cui l’assassino ha dei flashback in cui ricorre l’immagine di una scala a chiocciola, che

12 M. D’Avino, L. Rumori, Dario Argento, si gira! Insieme al maestro del thriller sui luoghi della paura, Roma, Gremese, 2014, p. 29.

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come una spirale riporta il colpevole a ripensare al passato di sadismo e perversione vissuto con la madre di Betty. Questa scala era situata nella casa dove avvenivano le torture inflitte alle giovani vittime. Di seguito alcune immagini che bene evidenziano quanto ho sopra analizzato.

Figura 6. Mark mentre scende le scale della villa

Figura 7. Nell’ Uccello dalle piume di cristallo Monica Ranieri viene ferita e cade dalle scale

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Figura 8. La forma uterina della scalinata ne L'uccello dalle piume di cristallo

Figura 9. In Phenomena l'entomologo è seduto su una carrozzella in cima alle scale; una volta sceso verrà ucciso

Prima di procedere con l’analisi, è importante ricordare che gran parte del repertorio architettonico utilizzato dal regista romano proviene dal cinema di Alfred Hitchcock, che per Argento rappresenta un vero e proprio maestro. Pensiamo per un attimo all’abitazione dove vive Norman Bates in Psycho: una vera e propria casa maledetta che ospita un terribile segreto, annunciato solo nell’epilogo. Qui scale, porte e finestre sono presenti in numerosissime scene e nel contesto del film rappresentano istanze che assumono connotazioni psicologiche.

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Finestre.

Assieme a scale porte e specchi, anche le finestre provengono dal cinema hitchcockiano: secondo Rossella Catanese […] la finestra segna la transizione fra un esterno e l’inaccessibilità misteriosa di un interno13, intendendo come queste indichino il passaggio da ciò che è visibile, accessibile e quindi conoscibile, a ciò che invece non lo è. Ma c’è dell’altro: le finestre, nonostante nella realtà rappresentino una possibilità di fuga, nei film di Dario Argento non sempre si configurano come tali. Un esempio di quanto appena detto lo troviamo nel film d’esordio di Argento, quando verso la fine del film Giulia, la fidanzata di Sam Dalmas, vuole scappare dalla finestra di casa perché inseguita dall’omicida: la ragazza tenterà prima senza successo di spaccare il vetro con un candelabro, poi ritenterà la fuga attraverso la finestra del bagno: una volta aperta, si accorgerà della presenza di sbarre di ferro che impediscono il passaggio. Una sfumatura decisamente più onirica la troviamo nella scena iniziale di Suspiria, quando Pat Hingle, una giovane dell’Accademia di Danza si accorge di una presenza sinistra oltre la finestra del bagno, dove appaiono nell’oscurità due occhi diabolici. È evidente la separazione tra il mondo reale, quello dove si trova la ragazza, e quello irreale, dominato dall’oscurità e, nel caso specifico di questo film, dall’occulto. In Phenomena invece, come in Profondo rosso, la finestra diventa il luogo dove i personaggi (rispettivamente Vera Brandt ed Helga Ulmann) troveranno la morte, il loro collo trafitto da pezzi di vetro.

Figura 10. Pat Hingle si accorge di una strana presenza oltre la finestra del bagno

13 R. Catanese, Un’America inaccessibile. Hitchcock, «Psycho» e il Bates Motel, in A. Minuz (a cura di), L’invenzione del Luogo. Spazi dell’immaginario cinematografico, Pisa, ETS, 2011, pp. 117.

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Figura 11. Dopo l’inseguimento, Vera Brandt verrà decapitata dai vetri rotti di una finestra

Porte.

Le porte sono figure spaziali che servono ad indicarci il passaggio da una dimensione all’altra: socchiuse, spalancate repentinamente, chiuse ermeticamente per impedire l’accesso o tenere nascosto un segreto. Quando vengono aperte sono quasi sempre foriere di morte, sancendo il passaggio da una dimensione protettiva ad una di totale pericolo e minaccia. Ne L’uccello dalle piume di cristallo, ad esempio, vediamo una scena in cui l’assassino è ripreso di spalle davanti alla porta dell’appartamento di Sam Dalmas, dove prova ad entrare per uccidere la fidanzata del protagonista. In Quattro mosche di velluto grigio invece l’assassino si trova dietro la porta a vetri dell’appartamento di Tobias: in un primo momento ne vediamo soltanto la sagoma, poiché il vetro della porta è opaco: un dettaglio che preclude il disvelamento dell’identità del colpevole. Un ulteriore esempio è rintracciabile nella scena iniziale di Profondo rosso, quando l’assassino irrompe bruscamente in casa di Helga Ullmann.

Infine in Phenomena, quando Jennifer, determinata a scoprire chi ha ucciso una delle sue compagne del collegio, arriva alla casa del mostro, e una volta dentro, la porta si chiude di scatto alle sue spalle dopo che lei è entrata.

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Figura 12. L'omicida ripreso di spalle davanti all'abitazione di Sam Dalmas

Figura 13. La figura opaca dell'assassino dietro la porta a vetri di Quattro mosche di velluto grigio

Corridoi.

A proposito dei corridoi desidero riportare le parole dello stesso Argento, in un’intervista che troviamo nel testo di Mauro D’Avino e Lorenzo Rumori: «Abitavo in una casa con dei corridoi lunghissimi, ossessionanti; ed è proprio quando giro nei corridoi che riesco a ritrasmettere quel senso di paura che provavo io da bambino. In Suspiria mi muovo con la mdp in questo corridoio dove non c’è nessuno, una carrellata… Quasi un documentario, con queste musiche… Suspiria è un labirinto di

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corridoi: la protagonista si perde, è continuamente disorientata… volevo dare la sensazione che da lì non si potesse uscire».

Un ulteriore esempio di configurazione labirintica la troviamo in Quattro mosche di velluto grigio, quando Amalia, la cameriera di Nina e Roberto, viene inseguita dall’assassino in un parco. Durante la fuga la donna perde il senso dell’orientamento, trovandosi intrappolata in un dedalo da cui non potrà mai più uscire. In Phenomena invece, la protagonista Jennifer attraversa i corridoi del collegio durante una crisi di sonnambulismo. Questa sequenza è caratterizzata da un alternarsi di inquadrature, sul volto della ragazza e sul corridoio che andrà ad attraversare: le pareti appaiono bianchissime, come fossero inondate di luce, un particolare che rinvia direttamente alla dimensione onirica che pervade tutto il film. Infine in Opera, durante la scena iniziale del Macbeth l’assassino si aggira dietro le quinte del teatro in un dedalo interminabile di scale e corridoi.

Figura 14. Uno dei corridoi dell'accademia di danza di Suspiria

Figura 15. La cameriera Amalia mentre tenta di fuggire

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Specchi.

Lo specchio non è un semplice elemento decorativo, poiché funge da moltiplicatore di immagini, come dispositivo che confonde e inganna (vedi il quadro di Profondo rosso), doppio del reale. Quella dello specchio inoltre può essere considerata una figura di intrappolamento dell’immagine, che produce una rappresentazione in quadro.

Come sottolinea Giulia Carluccio:

Per quadro possiamo intendere la dimensione virtualmente statica dell’immagine dinamica e trasformazionale determinata in base al sistema di posizionamento e strutturazione di un campo visivo o porzione di spazio profilmico nei limiti e nella superficie del rettangolo o quado dello schermo che ne è supporto di iscrizione. […] A cominciare da questa delimitazione la porzione di realtà profilmica rappresentata diventa filmica, l’iconico si incrocia con il diegetico, la storia diventa discorso14. Infine quello dello specchio è un elemento magico e fiabesco mutuato dal cinema di Walt Disney. In un’intervista a Dario Argento a cui ho assistito personalmente il 13 marzo 2018 a Seregno, il regista aveva ad un certo punto dichiarato di essere sempre stato molto impressionato dalla storia di Biancaneve e i sette nani, in special modo dalla strega cattiva. Alla luce di questo, credo non sia del tutto errato pensare che la scena dello specchio in Profondo rosso rappresenti una sorta di rimando al cartone animato del 1937, dove la strega cattiva vede frequentemente riflessa la propria immagine nello specchio delle sue brame. In Profondo rosso, tutto sommato, l’immagine della donna è anch’essa quella di una strega (assassina). In Phenomena invece gli specchi si trovano nella scena finale del film: nell’abitazione della signora Bruckner sono appesi alle pareti specchi coperti da teli bianchi, in modo che il figlio, affetto dalla sindrome di Patau, non possa vedere la sua immagine.

14 G. Carluccio, Cinema e racconto. Lo spazio e il tempo, Torino, Loescher, 1988, p. 47.

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IV

IL TEATRO

Quattro mosche di velluto grigio, Profondo rosso, Opera. Sono questi i tre film di Dario Argento che giocano sulla dialettica tra scena e platea, illusione e realtà, facendo del teatro il luogo par excellence della finzione, la quale si declina in varie forme a seconda del film in questione. In Quattro mosche di velluto grigio e Profondo rosso la scena del teatro appare all’inizio del film seppure con connotazioni simboliche diverse. In Opera invece lo stesso luogo avrà un ruolo di protagonista assoluto per quasi tutta la durata del film.

Profondo rosso. Siamo all’inizio del film, la scena è ripresa in soggettiva e replica lo sguardo dell’assassino che entra a teatro per assistere a un congresso di parapsicologia.

Il suo ingresso in platea è segnalato dallo spostamento delle tende, il quale ha un preciso valore simbolico, quello di segnalare una modifica di visione, di separare cioè il mondo razionale da quello irrazionale, legato all’inconscio. Un particolare da tenere in considerazione è dato dall’uso del colore: quando l’omicida entra in platea il colore predominante è il rosso, che ha una precisa funzione narrativa, cioè quella di rimandare al sangue, che evoca a sua volta una scena primaria, quella dell’omicidio perpetrato dalla madre di Carlo sul marito, molti anni prima.

Come già accennato in precedenza, il tema del seminario è quello della telepatia. La scena è occupata da tre relatori: la medium Helga Ullmann, il professor Bardi e il professor Giordani, che spiega l’argomento del convegno introducendo la medium ai partecipanti seduti in platea, tra cui si trova anche l’omicida. Durante il congresso Helga, che è dotata di una eccezionale capacità telepatica, comincia a sentirsi a disagio, è visibilmente scossa e perturbata: essendo entrata in contatto con la mente dell’assassino, ne intercetta i pensieri, che sono di morte e perversione. Helga punta il dito accusatore in mezzo alla platea, ed evocando il delitto commesso in passato dall’omicida, ne premonisce anche quelli futuri (“tu, hai già ucciso, e sento che ucciderai ancora”); a questo punto l’assassino si alza dalla sala e si allontana rapidamente dal pubblico, dirigendosi verso il gabinetto dove si guarderà allo specchio, senza potersi riflettere e senza dare quindi allo spettatore la possibilità di cogliere la sua vera identità.

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Il fatto che Helga abbia smascherato la vera natura del colpevole proprio durante il seminario fa sì che il teatro diventi il luogo elettivo per la riattivazione del trauma infantile dell’omicida, lo spazio che consente al rimosso di tornare alla luce. Ancora, il luogo simbolico dove riemerge la memoria di un passato orribile che si ritiene erroneamente sepolto o superato ma che invece si ripresenta in tutta la sua carica devastante e distruttiva, spingendo l’assassino a uccidere ancora.

La macchina da presa torna in teatro una volta terminato il congresso; le luci sono quasi spente, rimangono solo Helga e Giordani, che si allontanano dalla platea e con tono sommesso ma preoccupato continuano a parlare della strana esperienza vissuta dalla medium durante il seminario. Helga esprime le sue perplessità sulla vicenda, dicendo che vorrà mettere per iscritto quello che ha visto, specialmente ora che sa chi è l’assassino. Mentre i due parlano lei si blocca e comincia a guardarsi intorno:

l’assassino li sta spiando da dietro una colonna e la donna ne ha avvertito nuovamente la presenza. La scena si conclude con una musica infantile e inquietante di sottofondo.

Figura 16. Il teatro dove si svolge il congresso di parapsicologia

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Figura 2. L'assassino è acquattato dietro una colonna del teatro mentre spia Helga Ulmann e Giordani

Laddove in Profondo rosso il teatro è il luogo dove il trauma viene riattivato grazie ad un’intercettazione mentale, in Quattro mosche di velluto grigio il teatro assume una significazione diversa rispetto al film precedentemente analizzato. Innanzitutto, riportando le parole di Mauro D’Avino e Lorenzo Rumori, ecco come appare questo luogo:

Tipica location dalla doppia natura: il teatro dove avviene il presunto delitto attorno al quale ruota tutto il film è, per quanto riguarda palco e loggioni, a Spoleto […], ma al suo esterno è il Conservatorio Statale di Musica “G. Verdi” di piazza Bodoni a Torino, che con la sua facciata, in stile neobarocco ottocentesco, dà una forte connotazione all’intera piazza15.

Ancora una volta siamo all’inizio del film. Roberto Tobias è un giovane batterista che sta facendo le prove con la sua band; mentre suona si accorge di essere spiato da un individuo che porta i baffi e gli occhiali da sole. Una sera decide di inseguire il suo persecutore e di affrontarlo. Arrivano in un vecchio teatro, il cui accesso è reso più difficile dalla presenza di tre tende che rallentano l’ingresso del protagonista. La scena e la platea sono vuote, qua e là ci sono coriandoli e stelle filanti, quello che resta di una festa di carnevale appena trascorsa. Tobias afferra lo sconosciuto mentre sta salendo sul palcoscenico, gli chiede perché continua a seguirlo e gli intima di smetterla. I due hanno una colluttazione e l’inseguitore finisce accoltellato. In realtà egli è stato pagato dall’omicida per fingere un omicidio che possa incastrare il protagonista, il quale verrà fotografato nell’atto dell’accoltellamento da un macabro pupazzo meccanico dietro il

15 M. D’Avino, L. Rumori, Dario Argento, si gira! Insieme al maestro del thriller sui luoghi della paura, Roma, Gremese, 2014, p. 69.

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quale si cela il vero volto del colpevole, posizionato in una delle logge del teatro dismesso. Abbiamo visto come fra gli elementi che possono sollecitare l’emotività dello spettatore nel cinema figuri lo sguardo, che, a seconda di come viene inquadrato, determina la partecipazione affettiva dello spettatore. Riprese ravvicinate sull’occhio del colpevole, soggettive che replicano il modo di vedere dell’omicida o del testimone oculare: sono queste le principali soluzioni stilistiche che mettono il protagonista e lo spettatore sullo stesso piano di condivisione emotiva. In Quattro mosche di velluto grigio, come in molti altri film del regista romano, lo sguardo è ingannevole: lo spettatore crede che il protagonista sia l’accoltellatore, mentre il dettaglio rivelatore del coltello impugnato dall’uomo con i baffi e gli occhiali da sole spiega come egli abbia simulato la ferita per poter incastrare Tobias.

Nel film il teatro diventa luogo di rappresentazione scenica. Lo spettacolo che va in scena è quello del (finto) omicidio, che avviene nella scale tra palcoscenico e platea, quasi che le scale (elemento cardine del cinema argentiano) segnassero il passaggio tra la finzione (scena) e la realtà (platea).

Interessante è l’inquadratura in cui il protagonista guarda il coltello con aria incredula, dettaglio che rimanda al Macbeth di Shakespeare16, che verrà poi ripreso in Opera. Nel momento dell’accoltellamento in una delle logge si accendono le luci, che andranno a illuminare la scena della colluttazione e consentiranno al fantoccio/assassino di fotografare il momento dell’omicidio. Le stesse fotografie saranno successivamente adoperate dall’omicida per ricattare il protagonista, il quale si ritroverà perseguitato per tutta la durata del film, fino alla rivelazione dell’identità dell’assassino.

Quindi è come se la scena dell’omicidio fosse stata creata apposta per l’assassino, il quale assurge qui a ruolo di unico spettatore. L’esibizione dell’omicidio diventa occasione di intrattenimento e va a soddisfare da un lato il bisogno voyeuristico del killer e dall’altro la sua sete di vendetta, che prenderà forma attraverso il ricatto. Orrore e spettacolo si fondono e confondono, l’occhio che guarda è quello dell’assassino ma anche il nostro, così che finiamo inevitabilmente per identificarci con lui. La scena è resa ancora più macabra e inverosimile dalla presenza di coriandoli e stelle filanti, che amplificano l’effetto di spettacolarità della scena. Un dettaglio da evidenziare riguarda l’abbigliamento del pupazzo meccanico, vestito in maniera elegante (papillon e guanti

16 Nella nota tragedia shakespeariana Lady Macbeth ordinerà al marito di uccidere il re Duncan, per poter diventare re di Scozia. Dopo il delitto, Macbeth avrà un’allucinazione in cui comparirà un pugnale insanguinato.

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bianchi), come chi va a teatro. Qui, la fotografia ha una doppia valenza: serve al ricatto, appunto, ma anche alla ripresa della scena clou di uno spettacolo spogliato di tutte le sue caratteristiche di atrocità e dramma e ridotto alla sua componente di finzione. Il protagonista è travolto da questa situazione, perché si trova nei panni di un attore/omicida, una parte che non ha scelto ma che gli è stata drammaticamente imposta.

I riflettori sono puntati tutti su di lui nel momento di massima suspense: egli si gira sconvolto verso la loggia per cercare di capire chi lo stia fotografando, ma è troppo tardi: lo spettacolo è finito, le luci si spengono.

Figura 17. Tobias afferra lo sconosciuto mentre sale le scale che separano la scena dalla platea

Figura 18. L'assassino scatta delle fotografie al protagonista da una delle logge

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Figura 19. Tobias guarda incredulo il coltello con cui ha colpito il suo inseguitore.

In Opera il teatro ha un’assoluta preminenza visiva, in quanto le scene più importanti si svolgono proprio in questo luogo. Nell’incipit per esempio vediamo l’allestimento scenico del Macbeth di Verdi (con un carrello in soggettiva che arretra, soluzione di stile che rimanda direttamente al cinema kubrickiano), più avanti invece assistiamo prima ad una scena in cui il custode del teatro viene ucciso dietro le quinte, poi ad una dove l’omicida si impossessa del vestito di Lady Macbeth custodito in una teca, seviziandolo come se questo fosse una parte del corpo della protagonista, la giovanissima soprano Betty. Infine il teatro torna ancora una volta nella sequenza in cui l’assassino verrà smascherato da un volo di corvi introdotto in platea dalla regia. Questi corvi, avendo assistito ai diversi omicidi perpetrati dal killer, riconoscono in sala il loro persecutore e lo attaccano, strappandogli un occhio e rivelando a tutti la sua identità.

Si potrebbe dire che il film coincide con una rappresentazione nella rappresentazione, per diversi motivi. Innanzitutto gli snodi narrativi principali avvengono a partire dalla messinscena del Macbeth di William Shakespeare nella versione operistica di Giuseppe Verdi, che è appunto un’opera teatrale, notoriamente maledetta, in cui la protagonista darà al marito il coraggio di assassinare il re per consentire la propria rapida ascesa al trono. Vedendo la scena, il killer acquisisce indirettamente la forza per compiere le sue gesta omicide. Inoltre il film è basato su una logica di spettacolarizzazione in chiave voyeuristica dei vari delitti a cui la protagonista sarà obbligata ad assistere dopo la sua esibizione sul palco. Famosa al riguardo la scena dell’omicidio di Stefano (il fidanzato di Betty), che la ragazza è costretta a vedere: l’assassino infatti le ha applicato degli

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spilloni sotto le palpebre che le impediscono di chiudere gli occhi (un chiaro rimando ad Arancia Meccanica).

Volendo fare un’analogia con Profondo rosso, anche in Opera il teatro si configura come la cornice occasionale del trauma scatenante: questa volta però l’omicida (celato nei panni del commissario di polizia Alan Santini) non è un bambino psicologicamente disturbato, ma un adulto che aveva avuto nel passato recente una relazione malata, basata su un rapporto di sesso e sadismo con la madre della protagonista del film (e del Macbeth). Assistendo allo spettacolo teatrale egli rivede in Betty sua madre; sarà probabilmente questa associazione mentale che riattiverà nell’assassino un istinto omicida apparentemente sepolto, che lo porterà a scatenare sulla ragazza il suo perverso metodo punitivo, costringendola a diventare una voyeuse di tutti i suoi crimini. Torna dunque il motivo dello sguardo, che si declina stavolta in termini di shock visivo: Betty infatti viene legata e obbligata, da una fila di aghi posizionati sotto agli occhi, a vedere e quindi partecipare inerme all’esecuzione dei delitti. Diversamente dagli altri film di Argento in cui il testimone oculare viene ingannato o confuso da dettagli che avrebbe dovuto vedere fin da subito poiché vengono inquadrati ma subito dimenticati, in Opera succede l’opposto: alla protagonista non viene concesso nessun tipo di esitazione dello sguardo in quanto, pur non vedendo in faccia l’assassino, è costretta a vedere le atrocità che egli compie. Questo tipo di inquadrature avrebbe una doppia valenza: da un lato è presente un aspetto voyeuristico, dall’altro emerge una dimensione pervertita di sessualità. Seguendo questo ragionamento leggiamo le parole Paolo Russo:

In chiave psicanalitica freudiana, insomma, il rapporto spettatoriale verrebbe definito sia in termini di voyeurismo sadico che di feticismo scopofilico grazie al quale lo spettatore maschio riesce a controllare, a dominare la paura della castrazione rappresentata dalla donna: nel caso specifico dello slasher, l’uso di armi da taglio assume allora una doppia valenza, sia per la simbologia fallica e la capacità di penetrazione nel corpo della vittima, sia per la evidente minaccia castrante che esse rappresentano17.

In conclusione, possiamo dire che il teatro in Opera diventa non solo il luogo dove i meccanismi di rimozione del trauma si inceppano determinando la riemersione di un ricordo terribile - il colpevole infatti, vedendo Betty e dunque, di rimando, la madre

17 P. Russo, Corpi d’Argento. Sadismo e masochismo nella trilogia delle madri, in V. Zagarrio (a cura di), Argento Vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, Venezia, Marsilio, 2008, p. 142.

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pervertita sente il desiderio di vendicarsi - ma anche una sorta di palazzo di giustizia, un luogo all’interno del quale il colpevole verrà identificato, condannato e punito per tutti i suoi delitti. Rapporto di specularità nel segno del teatro, perché in qualche modo anche nel Macbeth i meccanismi di rimozione del delitto non funzionano bene; come alla fine Lady Macbeth è costretta a fronteggiare le proprie colpe anche qui il colpevole viene punito dai corvi. Il corvo ha un significato particolare, come ci spiega Ottavio Bosco in un articolo pubblicato a ottobre 2015: […] poiché il corvo si ciba anche di cadaveri di animali e di uomini, spesse volte cavando gli occhi dalle orbite è stato associato alla morte e al male18. È interessante notare inoltre come in Opera il ruolo di preminenza dello sguardo sia assegnato ad un animale anziché all’assassino o al testimone.

Numerosi sono infatti i primi piani sui globi oculari dei corvi, che grazie alla loro memoria riescono ad identificare e punire il colpevole seduto in sala strappandogli un occhio. Viene così assegnato a questo animale un ruolo di giudice, caratteristica che sconfina dal mondo animale a quello umano. Una scena analoga a quella appena descritta avviene nell’Uccello dalle piume di cristallo, in cui sarà proprio il gracchiare di un uccello rarissimo, intercettato durante una telefonata fatta dall’assassino a Sam Dalmas, che consentirà alla polizia l’individuazione della casa del killer, situata in prossimità dello zoo dove viveva questo animale.

Figura 20. Un'inquadratura di Betty, la giovane soprano di Opera

18 Per un approfondimento sulla simbologia legata agli animali, e specialmente al corvo si rimanda alla seguente pagina web: http://www.latelanera.com/misteriefolclore/misteriefolclore.asp?id=341

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V

IL COLLEGIO

Così come la scuola, la casa e l’appartamento il collegio fa parte, seppur con connotazioni diverse a seconda dei vari film, di quelle strutture architettoniche che nel cinema argentiano vanno sotto il nome di haunted houses19, ovvero case maledette. Esse sono solitamente possedute da un’entità maligna, reale o esoterica, ma nascondono anche un mistero, la rivelazione del quale rappresenta la soluzione dell’enigma (la stanza all’interno della villa in Profondo rosso). Diversamente dalla trilogia degli animali, in cui lo spazio è costruito in maniera più classica, (ad esempio nell’Uccello dalle piume di cristallo dove lo spazio, cioè Roma, è facilmente riconoscibile e identificabile da parte dello spettatore), a partire dal ‘75 lo spazio è segnato da componenti di astrazione e forte simbolismo; inoltre a prevalere è l’ambiente domestico: la casa diventa la struttura architettonica privilegiata all’interno della quale avvengono gli sviluppi diegetici più importanti. C’è da notare inoltre che in questi anni lo spazio (nei film di Argento) inizia a definirsi secondo concetti di dualità, che privilegiano il rapporto tra alto e basso, tra ciò che è visibile e identificabile, e l’invisibile, oscuro e ignoto. Da semplice topos narrativo quindi il luogo si trasforma, secondo le parole di Francesco Crispino, in uno spazio psichico20.

Prenderò in analisi Suspiria, Phenomena e Profondo Rosso, tre film in cui il collegio (scuola, nel caso di Profondo Rosso) diventa un luogo dalle forti connotazioni simboliche.

Suspiria (1977) è il primo film marcatamente horror del regista, il quale decide di mettere in scena un tema legato all’occulto, la stregoneria. Come dichiara Argento:

Le streghe mi fanno paura. Sarà che ripesco nelle cose infantili: quand’ero piccolo avevo paura delle streghe e allora poi mi piaceva molto fare un film su di loro […]

19 S. Arcagni, Architetture della paura. Le haunted houses, in V. Zagarrio (a cura di), Argento Vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 160-161.

20 Per un approfondimento cfr. F. Crispino, Riflessi in un occhio d’Argento. La messa in scena, in V. Zagarrio (a cura di), Argento Vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, Venezia, Marsilio, 2008

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anche per via di Biancaneve e i sette nani, un altro film che mi impressionò moltissimo21.

La magia è l’elemento principale che mette il film in contrapposizione a Phenomena (1985), che invece conserva ancora, soprattutto nell’epilogo, i tratti tipici del thriller argentiano, a partire dal fatto che l’assassino è un individuo in carne ed ossa.

Nonostante i due film presentino differenze (uno è un horror, l’altro un giallo), lo spazio è per entrambi simbolico, talvolta onirico.

Phenomena.

A proposito del collegio di Phenomena, Roberto Pugliese afferma:

Gli interni, soprattutto quelli del collegio Richard Wagner (nome ammiccante, come anche quello di Mrs. Bruckner, a un Ottocento musicale e culturale spensieratamente citato come residuato mitologico), appartengono esplicitamente alla sfera onirica, mentre i labirinti della villa dell’istitutrice, i cunicoli sotterranei, le celle, le vasche- cimitero rimandano a certi décor romero-hooperiani […]22.

Ospite dell’istituto Wagner in Svizzera, Jennifer Corvino è dotata di uno straordinario feeling con gli insetti. Sarà proprio per questo suo legame inquietante e repellente che verrà ben presto odiata ed esclusa dalle compagne. Nel film il collegio è un luogo materno, spazio narrativo dove prevale una dimensione di accoglienza e protezione; si può parlare in tal senso di casa-madre. Diversamente da Suspiria, dove la Tanz Dance Academy si configura piuttosto come una vera e propria dimora del Male.

Il concetto di casa-madre lo troviamo esplicitato in alcune sequenze del film, ad esempio nella scena in cui Jennifer viene presa di mira dalle compagne a causa del suo strano potere con gli insetti: nel momento in cui subisce i dispetti da parte della classe, uno sciame d’api circonda l’istituto per andare in soccorso della ragazza.

Quello materno non è l’unico aspetto rilevante del collegio di Phenomena. In tal senso è utile ricordare che in ogni film di Dario Argento gli spazi architettonici diventano luoghi simbolici in cui si sviluppano dicotomie tra alto e basso, bene e male, fuori e dentro: Jennifer infatti, oltre ad avere una particolare intesa con gli insetti, soffre di sonnambulismo, un disturbo che la porterà a vagare all’interno dell’istituto Wagner e ad imbattersi nell’omicidio di una delle ragazze. Quindi le stanze dell’istituto si

21 R. Pugliese, Dario Argento, Milano, Il Castoro, 2011, p. 08.

22 Ibidem, pp. 77-78.

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configurano come luoghi onirici, dove le porte (come abbiamo potuto vedere nel terzo capitolo) diventano elementi di passaggio tra il mondo reale e quello irreale, in altre parole esse rappresentano la figura spaziale dello scarto tra conscio e subconscio.

Oltre al collegio sono interessanti anche altri tipi di strutture architettoniche, le quali hanno ciascuna un diverso valore simbolico, prevalentemente di minaccia e pericolo: è il caso dell’abitazione del mostro all’inizio del film, dove la ripresa - sinistra e inusuale, dal basso verso l’alto - ci segnala che all’interno si nasconde qualcosa di inquietante.

Verso la fine del film, invece, Jennifer verrà ospitata presso la villa della signora Bruckner; in un primo momento questo luogo ha le connotazioni di un luogo familiare e domestico, ancora materno e protettivo. Negli istanti successivi all’ingresso in casa, l’istitutrice confesserà a Jennifer di tenere segregato proprio lì, da qualche parte, il figlio gravemente malato. La donna cambia visibilmente atteggiamento: diventa minacciosa e tramortisce Jennifer, che tenterà la fuga attraverso una sorta di cunicolo catacombale, per poi cadere in una vasca piena di liquame cadaverico. Situata nei sotterranei della casa c’è anche la stanza dove si trova il bambino-mostro. L’ambiente è spoglio, la luce azzurrina rimanda direttamente alla dimensione onirica, infine gli specchi coperti da teli bianchi, di cui sono letteralmente tappezzate le pareti della stanza del bambino-mostro, rappresentano la volontà da parte della madre di impedire al figlio di vedere ciò che realmente è. Risulta quindi evidente la dicotomia tra l’alto (dove vive la donna) in cui prevale una dimensione protettiva legata alla sfera familiare, e il basso, dove invece abita il figlio degenere e si trova la vasca piena di liquame cadaverico. Ancora una volta ciò che sta in superficie è rassicurante e ciò che sta sotto invece, perturbante.

La villa della signora Bruckner rappresenta un ulteriore esempio di come lo spazio quotidiano, che vede al centro la struttura delle famiglia, possa trasformarsi in una entità mostruosa e terrificante. La scelta di questo spazio deriva probabilmente dalla volontà, da parte del regista, di rendere evidenti, attraverso la messinscena, la falsità e le ipocrisie della società, nella fattispecie della famiglia, dove tutto ciò che appare risulta diverso da quello che è realmente.

Un ulteriore elemento di cui tenere conto a cui ho già accennato, è quello della presenza di scale e cunicoli, porte e corridoi, che, come i tendaggi, rappresentano figure che segnalano il passaggio da una dimensione all’altra.

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Figura 21. La parete dell'Istituto Wagner ricoperta dalle mosche

Suspiria.

Solitamente quando pensiamo ad una scuola di danza ci immaginiamo un luogo connotato da una certa eleganza e armonia, evocata e poi trasmessa dai movimenti aggraziati delle ballerine e dalle note della musica classica che le accompagnano. La Tanz Dance Academy di Friburgo invece è ben lontana dall’essere questo tipo di luogo, in quanto rappresenta la Dimora del Male, dove vive un covo di streghe. Il nesso tra danza e streghe ce lo spiega direttamente Dario Argento: nel mondo stregonesco la danza è uno dei principali modi di esprimersi, una delle arti che alle streghe interessa di più perché nel ballo ci sono dei movimenti che portano al trascendente, all’esoterismo23. A differenza di Phenomena, dove la narrazione si svolge in diversi punti, qui la maggior parte delle scene si svolge all’interno dell’istituto, che ci appare subito come un luogo labirintico da cui è difficile, se non addirittura impossibile uscire.

Inoltre, se da un lato l’arredamento propone alcuni elementi stilistici legati al periodo liberty, ad esempio le pareti affrescate dell’ufficio di Madame Blanc o l’elegante scalone della scuola che vediamo nella sequenza delle indagini della polizia, in altre scene esso diventa la cifra stilistica di un micro universo dominato dall’irrazionalità.

Ecco come appaiono gli interni dell’istituto secondo le parole di Roberto Pugliese:

23 Questa citazione è tratta da un’intervista fatta a Dario Argento che si trova nei contenuti extra di Suspiria.

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