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LINGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

Corso di Laurea Magistrale in

LINGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE

L’INFORMAZIONE MULTIMODALE.

STUDIO COMPARATIVO SULLA RAPPRESENTAZIONE DEGLI EVENTI DEL 17 GIUGNO 1953 NEI CINEGIORNALI DELLA RFT E

RDT.

Prova finale di:

Elisa Ferrari Relatore:

Vincenzo Gannuscio

Correlatore

Leonardo Gandini

Anno Accademico 2018/2019

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Riassunto

Il presente elaborato ha come obiettivo l’analisi della rappresentazione mediale nei due stati tedeschi degli scioperi operai e popolari avvenuti nella Repubblica Democratica tedesca il 17 giugno 1953. La scelta di questo evento deriva dalla sua rilevanza storica ma soprattutto dalle differenze con cui è stato elaborato nella Repubblica Federale e nella Repubblica Democratica. Da un lato, infatti, gli scioperi sono stati definiti come un tentativo di colpo di stato da parte delle forze occidentali, dall’altro la protesta è stata interpretata come una richiesta di riunificazione e di conseguenza questo giorno è stato dichiarato festa nazionale. Si può affermare che le differenze in questa due interpretazioni siano state comunicate in buona parte attraverso i media e, pur non potendo quantificare concretamente l’influenza dei mezzi di comunicazione, questo studio si propone di analizzare due rappresentazioni mediali in un mezzo molto popolare dell’epoca: il cinegiornale. Negli anni Cinquanta i cinegiornali sono una componente fissa della programmazione cinematografica, vengono pubblicati a cadenza settimanale e trattano di vari argomenti, dalla politica, allo sport, all’intrattenimento. La loro fortuna risiede nella combinazione di diverse risorse semiotiche – musica, immagini e commento – che deve creare un’impressione di obiettività ed autenticità dei fatti narrati, come se lo spettatore fosse un testimone diretto degli eventi. Tuttavia, l’obiettivo di questo elaborato è dimostrare che le rappresentazioni mediali degli eventi sono sempre parziali e strategiche, perché costruiscono una determinata narrativa che corrisponde alle intenzioni degli autori e delle istituzioni a cui fanno capo. Secondo l’analisi critica del discorso – il quadro teorico di riferimento per la presente analisi – questa è una forma di influenza indiretta sullo spettatore, data la differenza di potere tra gli utenti privati ed i mittenti pubblici, i quali possono infondere i loro discorsi di una dimensione di potere. È tuttavia indiretta perché tale dimensione è presentata come un insieme condiviso di credenze e valori, in opposizione con il sistema ideologico e culturale di un altro gruppo. L’individuazione di queste strategie in due edizioni dei cinegiornali sarà lo scopo dell’analisi di questo elaborato, la quale verrà condotta secondo la prospettiva multimodale. Tale approccio si basa sulla grammatica funzionale di Michael Halliday e sulla grammatica visuale di Kress e van Leeuwen e indaga i significati che derivano dalla combinazione delle diverse risorse semiotiche all’interno di un testo. Per determinare quali pratiche sono state impiegate nei documenti di riferimento, il linguaggio e le immagini verranno prima analizzati secondo le tre metafunzioni socio-semiotiche e a queste due indagini discrete seguirà quella multimodale. I risultati verranno infine comparati per determinare le differenze nella selezione dei fatti, negli attori delle narrazioni e nelle relazioni di causa-effetto istituite, le quali hanno determinato una diversa rappresentazione degli eventi.

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Abstract

This dissertation aims to analyse the media representation in the two former German states of the public workers’ protests which occurred in East Germany on the 17th of June 1953. This event has been chosen among others because of its historic relevance and because of the differences in its reception by the German Democratic Republic (GDR) and the Federal Republic of Germany (FRG).

On the one hand, the strikes have been labelled as an attempted coup d’etat by Western forces, on the other hand they have been interpreted as a struggle for reunification and eventually this day was declared a national holiday. The differences in these interpretations may have been influenced by their media representations in the two states, even though it is not possible to determine to extent to which this has happened. Nevertheless, the purpose of this dissertation is to analyse how concretely the events have been narrated in a very popular means of communication of the time, that is the weekly newsreel. In the Fifties, newsreels are part of cinemas weekly schedules and they provide the audience with a variety of stories, their topics reaching from politics to sport and other kind of entertainment. Their popularity among spectators worldwide is to be attributed to the combination of different semiotic resources: music, images and commentary. This creates an impression of objectivity, veracity and authenticity in the audience, which gains the impression of being a direct witness of the events. Nonetheless, as we shall demonstrate in this dissertation, media representations are always partial and strategic, they construe a particular narrative which corresponds to the intentions of their authors and the institutions they represent. According to critical discourse analysis, this is a form of indirect influence on the audience, because public institutions are more powerful than spectators and can infuse their discourse with an ideological dimension. This dimension may not be perceived because it is presented as a shared set of values and beliefs, in opposition to the culture of another group. The aim of the analysis in this dissertation is to identify the strategies which have been employed in the construction of two newsreels reports by the GDR and FRG concerning the 17th of June 1953. To do so, the multimodal methodology will be applied: drawing on Halliday’s systemic functional grammar and Kress and van Leeuwen’s visual grammar, multimodal analysis is concerned with the meanings which derives from the combination of each and every semiotic resource in a particular text. In order to determine which meaning-making practices have contributed to the structuring of the two news-reporting, a comparative multimodal analysis will follow a functional and a visual analysis of the commentary and of the images of the two newsreels. These practices will determine differences in the ways events are told, in their actors and in their cause-effect relation, in other words, in their representation.

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Zusammenfassung

In dieser Abschlussarbeit wird die Medien-Darstellung in der Deutschen Demokratischen Republik und in der Bundes Republik Deutschlands von den Ereignissen der 17. Juni 1953 in der DDR analysiert. Diese Ereignisse, die eine besondere historische Bedeutung haben, wurden in beiden deutschen Staaten anders aufgenommen. In der DDR wurden sie als Putsch bezeichnet, während in der BRD galten sie als Kampf zur Wiedervereinigung, und der 17. Juni wurde nationaler Feiertag.

Die Unterschiede in der Aufnahme dieses Geschehens wurden durch die Mediä vermittelt, obwohl man nicht festlegen kann, wie fiel sie die Interpretation der Bevölkerung beeinflusst haben. Diese Arbeit konzentriert sich auf die Darstellung in einem bestimmten Medium, das heißt die Wochenschau. In den Fünfzigern Jahren sind die Wochenschauen ein fester Teil der wöchentlichen Kino-Programmierung und sie berichten über aktuelle Nachrichten, wie Politik oder Sport. Sie sind berühmt und beliebt vom Publikum, weil sie Musik, bewegende Bilder und Kommentar kombinieren. Das Ziel einer Wochenschau-Reportage ist den Eindruck zu vermitteln, dass der Zuschauer ein direkter Augenzeuge der Ereignisse ist. Also soll die Reportage objektiv und authentisch scheinen, obwohl eine Darstellung immer partiell und strategisch ist. Indirekt entspricht sie die Absicht seines Autors: er stellt ein System von Werter im Gegenteil zu einer anderen Gruppe dar, und als sie von der Gesamtheit der Bevölkerung geteilt wurden. Das Ziel dieser Arbeit ist, diese Strategien herauszufinden. Dazu ist die multimodale Analyse besonders geeignet, weil diese Methode analysiert, wie sich unterschiedliche semiotische Ressource ergänzen. Diese Methode hat als theoretische Basis die Systemisch Funktionale Linguistik von Michael Halliday und die visuelle Grammatik von Kress und van Leeuwen. Vor der Anwendung von der multimodalen Analyse, werden in dieser Arbeit das Kommentar und die Bilder durch diese beiden Methoden analysiert.

Zum Schluss werden die Ergebnisse konfrontiert, um Ähnlichkeiten und Unterschiede in der Erzählung des Geschehens der beiden Reportage zu erkennen. Ähnlichkeiten und Unterschiede betreffen: die Auswahl der Ereignisse und der Protagonisten der Erzählung und die Ursachen und Wirkungen der Darstellung.

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Sommario

Introduzione ... 1

Capitolo 1. La Germania del dopoguerra ... 4

1.1 Il nuovo assetto istituzionale ... 4

1.2 Le sommosse del 17 giugno 1953 nella Germania est ... 9

Capitolo 2. Il panorama mediale degli anni Cinquanta in Germania ... 13

2.1 La comunicazione di massa ... 13

2.1.1 Le teorie della trasmissione... 17

2.1.2 Le teorie del dialogo ... 19

2.2 Lo sviluppo dei media dal primo dopoguerra agli anni Cinquanta ... 23

2.2.1 La stampa ... 25

2.2.2 La radio ... 27

2.3 Il cinegiornale ... 30

Capitolo 3. Il linguaggio e la rappresentazione della realtà nei media ... 39

3.1 L’analisi del discorso ... 40

3.1.1 L’analisi critica del discorso ... 41

3.1.2 La grammatica funzionale ... 43

3.1.3 La grammatica visuale ... 49

3.1.4 L’analisi multimodale del discorso ... 56

3.2 Il discorso nei media: l’informazione ... 58

Capitolo 4. Analisi multimodale comparativa dei cinegiornali... 62

4.1 Considerazioni preliminari ... 62

4.1.1 Dettagli tecnici sui due Wochenschau ... 64

4.2 L’analisi linguistica ... 67

4.2.1 La metafunzione interpersonale ... 68

4.2.2 La metafunzione esperienziale ... 71

4.2.3 La metafunzione testuale ... 79

4.3 L’analisi del visuale ... 85

4.3.1 Le immagini nell’Augenzeuge ... 85

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4.3.2 Le immagini del Neue Deutsche Wochenschau ... 90

4.4 L’analisi multimodale delle fonti ... 96

4.4.1 L’analisi multimodale dell’Augenzeuge ... 98

4.4.2 L’analisi multimodale del Neue Deutsche Wochenschau ... 101

4.4.3 Confronto tra le narrazioni della notizia ... 103

Conclusioni ... 106

Bibliografia ... 109

Appendice ... 113

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Introduzione

Il presente elaborato si propone di indagare il rapporto tra la realtà e le sue diverse rappresentazioni mediali. Per fare ciò si è scelto di analizzare le rappresentazioni che vengono fatte degli scioperi operai e popolari verificatisi il 17 giugno 1953 nella Germania Est (DDR) in un mezzo di comunicazione molto popolare nel contesto di riferimento, ovvero il cinegiornale. Nel corso dell’elaborato verranno quindi analizzate due edizioni dei cinegiornali della Repubblica Democratica tedesca (DDR) e della Repubblica Federale tedesca (BRD), ovvero Der Augenzeuge e Neue Deutsche Wochenschau, pubblicate nei giorni successivi ai disordini, rispettivamente il 26 ed il 23 giugno dello stesso anno. La scelta di tale evento come oggetto di studio è motivata dalla sua rilevanza storica e dalla sua unicità nella storia della DDR, ma anche dalla diversa ricezione ed elaborazione nei due stati tedeschi. Da un lato, infatti, essa viene designata come colpo di stato ai danni della Repubblica democratica, ad opera di mandanti occidentali, e designata con il nome di

“Giorno X”; dall’altro diventa invece il simbolo della lotta per la riunificazione del paese, ed assunta a festa nazionale nella BRD. I due cinegiornali che verranno analizzati sono quindi parte di quella narrazione che porterà ad un’interpretazione diametralmente opposta di uno stesso evento.

Obiettivo dell’elaborato sarà perciò quello di ricostruire quali sono le strategie adottate dalle due redazioni per la rappresentazione di questa realtà. Il cinegiornale è un mezzo d’informazione molto popolare all’inizio degli anni Cinquanta, ed è una componente fissa della scaletta cinematografica:

benché non sia più parte della programmazione contemporanea, per alcune delle sue caratteristiche può essere considerato un precursore dei più moderni telegiornali. Lo scopo principale dei cinegiornali non è quello di fornire notizie nuove, data la sua pubblicazione settimanale, bensì quella di dare agli spettatori un’impressione il più reale possibile degli eventi rappresentati, grazie alla sua combinazione delle diverse risorse semiotiche di altri mezzi di comunicazione, in particolare le immagini in movimento. Questa impressione corrisponde alla tradizionale pretesa di obiettività del giornalismo di origine positivista, la quale contraddice invece con il concetto socio- semiotico di costruzione sociale della verità. Per questo motivo, lo studio dei documenti è stato affrontato con un approccio multimodale, una metodologia di ricerca che si basa sull’analisi critica del discorso, sulla grammatica funzionale di Michael Halliday e sulla grammatica visuale di Gunther Kress e Theo van Leeuwen. Siccome lo studio multimodale si concentra sui modi in cui le diverse risorse semiotiche si integrano tra di loro per creare significato, nei documenti è stata innanzitutto condotta un’analisi discreta sul linguaggio e sulle immagini, secondo metafunzioni hallidayane. I dati emersi da queste due analisi distinte verranno comparati tra di loro per

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determinare la struttura, le strategie narrative e gli obiettivi comunicativi delle due edizioni, che verranno in ultima istanza comparate tra di loro. Secondo la prospettiva critica, le differenze nella struttura del discorso sottendono a una dimensione di potere perché attraverso l’interrelazione tra il discorso ed altre pratiche sociali si può agire sulle rappresentazioni mentali individuali e condivise da un gruppo. Tale influenza è tanto più efficace quanto meno viene percepita dal pubblico per cui viene esercitata presentando una serie di valori e credenze come condivise dall’intera società di riferimento e solitamente in opposizione con un altro gruppo. La reiterazione di queste rappresentazioni nel discorso giornalistico ed in altri tipi di discorsi pubblici fa si che queste vengano interiorizzate, automatizzate ed assumano uno statuto indipendente, attivandosi ogni qualvolta il soggetto si trova a dover interpretare un nuovo discorso: per questo motivo l’influenza non rimane solo al livello astratto della rappresentazione, ma si estende anche a quello concreto degli atteggiamenti, creando consenso. Con la consapevolezza che l’analisi di due testi riguardanti un singolo evento non possa fornire sufficienti informazioni in merito alle strategie di influenza e di consenso di due società complesse, l’analisi si pone comunque l’obiettivo di smentire la pretesa di oggettività dei reportage individuandone le contestuali strategie di rappresentazione. Data l’importanza del contesto di produzione attribuita dall’analisi del discorso, l’elaborato – che si divide in quattro sezioni – presenterà nel primo capitolo il contesto storico di riferimento, ricostruendo brevemente i passaggi che, dalla fine del conflitto, hanno portato alla divisione della Germania in due Stati separati, sotto l’influenza di potenze straniere. In questo capitolo verrà poi posta particolare attenzione alla narrazione dei fatti avvenuti il 17 giugno 1953, per individuare le cause che hanno portato alle sommosse, e le loro conseguenze. Siccome la diversa ricezione degli eventi è stata influenzata anche dall’apparato mediatico, nel secondo capitolo – dopo aver definito la comunicazione di massa e le sue principali teorie, della trasmissione e del dialogo – sarà presentata una panoramica sui mezzi di comunicazione maggiormente rilevanti nel periodo di riferimento, ovvero la stampa, la radio e soprattutto il cinegiornale. Di quest’ultimo si descriverà la storia e l’evoluzione diacronica nell’ambito internazionale, e soprattutto in quello tedesco, con particolare attenzione al periodo immediatamente a quello di riferimento, ovvero quello dominato dal nazionalsocialismo, quando il cinegiornale è utilizzato apertamente come strumento di propaganda. Questa prospettiva storica permetterà poi di introdurre il tema della denazificazione in ambito culturale, e delle differenze con cui questa è stata portata avanti dalle potenze occupanti. In ultima istanza verranno poi presentate le caratteristiche del cinegiornale degli anni Cinquanta, e verrà descritto un modello per la sua interpretazione. Il capitolo terzo, invece, sarà dedicato alla presentazione delle teorie della rappresentazione della realtà, ovvero la teoria semiotica, quella del discorso, quella socio-semiotica – nelle sue declinazioni con il linguaggio e le immagini – ed infine

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quella multimodale, che rappresenta la somma di tali teorie. A conclusione del capitolo si applicheranno le suddette teorie al discorso giornalistico, che è il focus d’interesse principale dell’elaborato. Il quarto capitolo sarà invece interamente dedicato all’analisi delle fonti: dopo una serie di considerazioni di carattere più generale, che serviranno ad inquadrare i documenti in un preciso contesto, si passerà allo studio vero e proprio. Il metodo utilizzato per l’analisi è quello della trascrizione multimodale, consultabile in appendice, anche se prima di confrontare le varie risorse si procederà ad un’analisi discreta sul linguaggio e sulle immagini, secondo le metafunzioni socio- semiotiche. Queste due analisi consentiranno uno studio più approfondito delle singole modalità semiotiche e potranno fornire maggiori dettagli nella prospettiva multimodale finale. Quest’ultima ha come obiettivo la ricostruzione, secondo specifici parametri, della struttura specifica del cinegiornale, che Sigrun Lehnert (2019) chiama framing. Il numero limitato di fonti utilizzate per lo scopo di questo capitolo non preclude una loro analisi approfondita, tuttavia, come si noterà nelle conclusioni, un corpus più ampio di documenti, che vada ad includere altri cinegiornali, potrebbe rivelare nuovi aspetti della rappresentazione di questo evento, confermando o smentendo le narrazioni che ne vengono fatte nei testi in esame.

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Capitolo 1. La Germania del dopoguerra

1.1 Il nuovo assetto istituzionale

Dopo la resa incondizionata dell’8 maggio 1945, la maggior parte della popolazione tedesca si trova in condizioni critiche. Gli edifici civili e industriali sono gravemente danneggiati, così come la linea ferroviaria e le idrovie, che rendono molto difficili i collegamenti. La mancanza di viveri è aggravata dalla difficoltà di ripresa delle attività produttive, sia in campo industriale a occidente che – soprattutto – in quello agricolo a oriente, per le gravi perdite di bestiame e di forza lavoro maschile, considerato l’alto numero di vittime e di prigionieri di guerra, nonché di profughi tedeschi di rientro dalle zone della Prussia, della Pomerania o della Slesia, ora territori polacchi o sovietici (Di Nolfo, 2000).

Inoltre, il futuro della nazione è ancora argomento di discussione tra gli alleati. La partizione del territorio tedesco come condizione fondamentale per la sua resa a seguito della sconfitta militare viene dibattuta a lungo, già a partire dal 1942, anche se a livello per lo più astratto. Questa misura sarebbe stata attuata con lo scopo di punire la popolazione per aver aderito alla politica e all’ideologia nazista, ma anche con il fine di impedire ulteriori derive assolutistiche (Mosely, 1950:497). Tuttavia, il carattere “punitivo” di questa misura solleva qualche perplessità in merito alla sua efficacia: secondo alcuni membri dell’Advisory Committee americano essa avrebbe addirittura potuto portare ad un effetto contrario, ovvero ad una reazione di opposizione della popolazione nei confronti delle potenze occupanti, inibendo la formazione di un regime democratico. Nonostante queste perplessità, alle conferenze di Mosca (18 ottobre - 11 novembre 1943) e di Teheran (28 novembre - 1° dicembre 1943) gli Alleati, in particolare il presidente americano Roosvelt, ribadiscono le loro intenzioni di dividere la Germania in cinque Stati separati, a cui si sarebbero aggiunte due ulteriori aree controllate dalle Nazioni Unite. In queste aree si sarebbe dovuto procedere alla demilitarizzazione, attraverso lo smantellamento delle industrie belliche, pur mantenendo un’unità economica per consentire l’autosostentamento. Alla Conferenza di Teheran, il Dipartimento di Stato americano, pur appoggiando il decentramento del potere attraverso il federalismo, esprime forti dubbi sulla fattibilità della demilitarizzazione sul lungo periodo, sulla sostenibilità economica, nonché sull’effettivo sviluppo di istituzioni democratiche e dei diritti civili e politici ad esse collegati. La discussione riprende durante la conferenza di Jalta (4- 11 febbraio 1945), anche se ancora una volta non ne vengono specificati gli aspetti attuativi. La partizione e demilitarizzazione della Germania è una decisione politica: è un mezzo per evitare

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future aggressioni, e quindi per garantire la pace e la sicurezza, cosa che invece non avrebbe assicurato un eventuale resa solo militare, come proposto da Churchill. Un’eventuale resa militare infatti avrebbe potuto consentire non solo il mantenimento dell’impianto nazionalsocialista ma non avrebbe neanche garantito adeguate punizioni per i criminali di guerra. A Jalta si cerca inoltre di trovare un accordo unitario sui risarcimenti di guerra da imporre al paese, tramite la fornitura di mezzi di produzione, prodotti e forza lavoro, anche se la loro effettiva quantificazione è ancora una volta materia di disaccordo.

Un accordo definitivo sulle misure da attuare in Europa viene raggiunto solo al termine del conflitto, durante la conferenza di Potsdam, tenutasi dal 17 luglio al 2 agosto 1945 nella città non lontano da Berlino. I tre alleati – che ormai perseguono però obiettivi differenti – vedono la necessità di un nuovo assetto politico ed economico per la Germania, a partire dall’abbandono dell’idea di ripartire il paese in stati separati e dalla ridefinizione dei suoi confini come nel 1937, prima dell’annessione di Austria e Repubblica Ceca. Tuttavia, la struttura politica tedesca viene decentralizzata e vengono istituite quattro zone di influenza, sotto il controllo delle quattro potenze vincitrici. Le due zone di influenza più estese, rispettivamente di 120.000 e 117.000 chilometri quadrati spettano all’Unione Sovietica e agli Stati Uniti d’America. La zona di influenza sovietica (Sowjetischen Militäradministration in Deutschland o SMAD) comprende Brandeburgo, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia e Mecklenburgo, mentre quella statunitense – che fa a capo all’Office of Military Government for Germany (U.S.) o OMGUS – Baviera, Württemberg-Baden, Assia e il porto di Brema. Entrambe constano di circa 17 milioni di abitanti. Meno estesa ma più densamente popolata risulta essere invece le zona britannica, che comprende Nord-Renania-Westfalia, Bassa Sassonia e Schleswig-Holstein per un totale di 97.000 chilometri quadrati e 23 milioni di abitanti.

La zona francese, composta da Sud Baden, Renania, Palatinato e Sud-Württemberg-Hohenzollern, si estende infine per 41.000 chilometri quadrati con una popolazione di circa 6 milioni di abitanti.

Allo stesso modo, la città di Berlino, che si troverebbe interamente in territorio sovietico, viene ripartita in quattro zone corrispondenti ai quattro alleati (Feis, 1960).

Le potenze occupanti si prendono carico del processo di denazificazione, che inizia con il perseguimento dei criminali di guerra ma che viene portato avanti anche in campo culturale. Dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946 gli alleati americani istituiscono a Norimberga un tribunale militare internazionale per i maggiori criminali di guerra, secondo le linee guida di un apposito manuale denominato Handbook of Military Government for Germany1, accusati di crimini contro la libertà e l’umanità. Negli anni seguenti vengono istituiti ulteriori 12 processi contro impiegati

1La prima edizione risale all’agosto 1944 (Gerhardt e Gartner, 2004:6)

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statali, membri delle SS (Schutzstaffel), medici che avevano operato all’interno dei campi di concentramento. I processi si concludono con diverse sentenze di morte e di detenzione – si stima che nell’aprile 1950 nella Germania dell’Ovest le carceri registrassero 1315 detenuti di guerra;

tuttavia grazie a riduzioni di pena ed amnistie nel giro di cinque anni il numero si riduce ad appena 95. I processi internazionali non si sono quindi rivelati uno strumento efficace per impedire ai criminali di guerra di reinserirsi all’interno della società della Repubblica Federale (Gerhardt, Gantner 2004:46). Contro la popolazione civile accusata di sostegno o connivenza al Partito Nazionalsocialista viene invece messo in atto l’automatic arrest, una misura che comporta l’allontanamento dalla vita pubblica ed economica e l’internamento in campi di detenzione americani. Gli internati hanno tuttavia la possibilità di fare ricorso contro questa sentenza (ibid:49), anche grazie all’istituzione delle Spruchkammern nel 1946. Obiettivo di questi tribunali speciali è quello di valutare il grado di coinvolgimento e quindi di responsabilità dei singoli per determinarne o la pena o la più frequente riabilitazione nella società.

Per quanto riguarda la denazificazione in ambito politico ed amministrativo, le potenze occupanti avrebbero avuto influenza sulle elezioni dei governi locali, estromettendo da tutti i pubblici uffici persone vicine, politicamente o ideologicamente, al nazionalsocialismo, sostituite da personale scelto a loro discrezione. Questa misura, in particolare, evidenzia già le divergenze tra i membri della conferenza: mentre Stati Uniti e Gran Bretagna mostrano una preferenza per personale a loro vicino ideologicamente nei principi di socialismo, liberalismo e conservatorismo, l’Unione Sovietica si impegna a ricostruire il partito comunista tedesco, impegnato nella formazione di un fronte liberale. Ulteriori misure per la denazificazione delle istituzioni politiche riguardano:

• l’abolizione di tutte le leggi approvate durante la dittatura nazionalsocialista;

• lo smantellamento dell’apparato militare;

• il ripristino delle libertà civili di parola, di stampa, di religione – anche attraverso l’educazione, ma sempre sotto il controllo delle potenze vincitrici.

L’efficacia di queste misure è stata per lungo tempo oggetto di discussione tra gli studiosi, già a partire dai contemporanei, primo fra tutti l’americano Harold Zink, che mette in dubbio la fattibilità pratica delle linee guida proposte nell’Handbook. La difficoltà, secondo Zink (ibid. 6), è distinguere quelle persone che avevano avuto un ruolo attivo all’interno del regime nazista da quanti ne erano stati semplicemente complici, o Mitläufer2. La stessa critica viene avanzata da Elmer Plischke (ibid.

2 Il termine “Mitläufer” – traducibile anche come gregario – designa in questo contesto quella categoria, molto diffusa, di persone non direttamente imputabili di crimini nazisti, e che quindi non vengono perseguiti dalla legge, ma che non si sono nemmeno opposti concretamente e che quindi non possono essere considerati innocenti dal punto di vista morale:

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8), che denuncia il rischio di punire chi aveva avuto un ruolo minore all’interno del meccanismo, lasciando liberi invece i veri criminali. Plischke suggerisce di lasciare ai tedeschi stessi il compito di portare avanti il proprio processo di denazificazione, senza l’intervento degli alleati, in modo che potesse coinvolgere la totalità della popolazione, e non solo determinati individui, portando così ad una vera democrazia.

Le divergenze tra le potenze vincitrici emergono però anche in campo economico, dove bisogna confrontarsi con il fantasma degli esiti della Prima guerra mondiale, quando fame e povertà avevano favorito l’istaurazione del regime nazionalsocialista. Viene tuttavia sottoscritto un accordo per il perseguimento di una politica economica unitaria in tutte le zone di influenza e sotto il controllo delle quattro potenze, che avrebbe consentito la diffusione del potere economico e garantito il sostentamento della popolazione e degli occupanti. I settori da implementare a questo scopo sarebbero stati quello primario e quello secondario, ad esclusione dell’industria bellica.

L’Unione Sovietica persegue da principio una politica affine a quella nazionale, attuando una riforma agraria che comporta la confisca e la ridistribuzione di grandi proprietà agricole, la chiusura di istituti bancari privati e dei relativi conti, oltre che la nazionalizzazione della maggior parte di quelle industrie che essi stessi non avevano provveduto a smantellare, per esportare verso la Russia materiali e macchinari, come riparazioni di guerra. A fronte di questa politica, il segretario di Stato americano Bynes progetta la proposta di creare uno strumento politico comune per il controllo della Germania, che viene però declinata dall’URSS. Preso atto dell’impossibilità di perseguire un’unione totale, gli Stati Uniti iniziano a lavorare in direzione di un’unificazione delle potenze occidentali, che viene perfezionata nel dicembre 1946, con la firma tra Stati Uniti ed Inghilterra e successivamente nel marzo 1947 con il trattato di Dunkerque, che includeva anche la Francia.

Con questo nuovo assetto si apre la conferenza di Parigi, alla quale partecipano tutti gli stati europei ad esclusione di tutti gli stati slavi – e in particolare di Polonia e Unione Sovietica – e che prende il via a seguito del discorso di George Marshall, segretario di stato americano, presso l’università di Harvard. Egli propone un piano per il rilancio dell’economia europea – compresa quella tedesca – basato sulle effettive necessità dei singoli paesi, secondo le richieste avanzate dai relativi governi. Non si tratta quindi di un piano di aiuti unilaterale, ma piuttosto uno di autoaiuto coordinato dagli Stati Uniti insieme agli Stati europei. Per quanto riguarda la Germania, si consolida l’alleanza tra le tre potenze occidentali, che inizia a contrapporsi apertamente all’Unione Sovietica.

Per implementare il piano Marshall, Stati Uniti, Inghilterra e Francia vedono la necessità di una riforma monetaria, dal momento che fino al 1948 in Germania circolano tre diverse monete: una

questa figura viene elevata a simbolo del collasso morale della società “rispettabile” a seguito dell’ascesa al potere di Hitler (Weckel, 2003)

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risalente all’anteguerra e fortemente svalutata, una stampata dalle truppe di occupazione e una dai sovietici. Viene così creato un nuovo marco occidentale, che però i sovietici rifiutano di far circolare all’interno di Berlino la quale, seppur divisa in quattro zone, si trova all’interno della zona di occupazione sovietica. Al rifiuto da parte degli occidentali di far circolare una moneta sovietica a Berlino ovest, il governo sovietico interrompe qualsiasi collegamento – ad esclusione di quello aereo – tra la suddetta zona e la zona di occupazione occidentale. Per sopperire alla conseguente mancanza di viveri il governo americano sfrutta proprio questa via, creando un ponte aereo per la fornitura di beni di prima necessità, soprattutto cibo, carbone e medicinali. Il blocco ha ripercussioni negative anche su Berlino est, sia in termini materiali, con la penuria di acciaio e carbone e l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi sovietici in termini di riparazioni, sia di consenso, dato che il ponte aereo diventa molto popolare tra gli abitanti. Il blocco dei rifornimenti a Berlino ovest viene formalmente rimosso nel maggio 1949, visto che non è riuscito nel duplice intento di impedire la circolazione della nuova moneta e le trattative per il Patto Atlantico, che avrebbe portato alla formazione della NATO – l’organo di sicurezza occidentale.

Il termine del blocco segna la ripresa delle trattive sull’unità della Germania, con la proposta degli Stati Uniti di estendere la costituzione3 approvata a Bonn il 23 maggio 1949 a tutto il paese, liberalizzare il commercio sulla base di un’unica moneta e consentire libere elezioni per la formazione di un governo nazionale sotto la supervisione, a base maggioritaria, delle quattro potenze. La proposta viene rifiutata da Stalin e la conferenza si conclude con un accordo piuttosto vago sul libero commercio tra Berlino est ed ovest per evitare futuri blocchi. La Germania est aveva già adottato nel 1947 una prima Costituzione, anche se ciò non aveva determinato la creazione di uno Stato della Germania dell’Est, visto che Stalin riteneva che il blocco avrebbe potuto evitare la divisione del paese. Le successive elezioni nella Germania ovest, tenutesi nell’agosto 1949, segnano però una svolta, con la vittoria della coalizione di centrodestra guidata da Konrad Adenauer, che il mese successivo riceve – insieme ai principali ministri – lo Statuto d’occupazione dagli alti commissari americano, inglese e francese.4 Abbandonate tutte le prospettive di riunificazione, il 7 ottobre 1949 viene emanata la Costituzione che sancisce la nascita la Repubblica Democratica tedesca, guidata da Otto Grotewohl e soprattutto dal suo vice, Walter Ulbricht. Le costituzioni dei

3 Il documento viene chiamato Grundgesetz ovvero legge fondamentale e non Verfassung, letteralmente costituzione, per non renderla definitiva rinunciando così alle prospettive di riunificazione. Tuttavia, la Costituzione del 1949 è, con le dovute modifiche, in vigore ancora oggi ed è stata estesa alle regioni che facevano parte della DDR (Losano, 2012:233)

4 Con Adenauer si inaugura un periodo di cosiddetta “restaurazione” che si esplica in una morale conservatrice contraddistinta dalla repressione di modelli societari alternativi e da una rigida condotta sessuale. Come vedremo nel Capitolo 2, l’“Era Adenauer” può apparire contraddittoria rispetto all’ideologia statunitense dominata dalla modernizzazione e dal consumismo e questo confronto si giocherà frequentemente nei mezzi di comunicazione che sono un tassello fondamentale nella nascita della nuova società e cultura di massa (Schenk, 2012:5)

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due blocchi presentano sostanziali differenze, la principale delle quali risiede nella flessibilità dei suoi principi: mentre la Grundgesetz contiene i diritti di libertà fondamentali5, inalienabili e inviolabili, quindi non modificabili, il contenuto della Costituzione della DDR può essere modificato da leggi ordinarie dello stato, rendendo quindi questi principi inefficaci. La Grundgesetz proibisce inoltre i partiti che non accettano l’ordinamento democratico, e ciò riguarda sia quelli di ispirazione neonazista che quelli comunisti; la Costituzione della Germania Est mira invece alla realizzazione di un sistema socialista guidato da un’unica lista – il Nationale Front – di cui fanno parte cinque partiti, neutralizzando quindi il sistema elettorale proporzionale. Per quanto riguarda il contenuto dei due testi troviamo similitudini, entrambi garantiscono la libertà personale e l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di opinione, espressione, informazione e associazione, la libertà di coscienza e di religione, il diritto al lavoro, alla proprietà e alla libera circolazione.

Tuttavia, le leggi dello Stato possono limitare gli articoli della costituzione della Repubblica Democratica, che quindi non tutela veramente i cittadini, si pensi alla costruzione del muro di Berlino che eliminerà di fatto la libera circolazione o, come vedremo nel paragrafo successivo, le leggi del 1952 che contrasteranno fortemente il diritto alla proprietà e la libertà di associazione religiosa (Losano, 2012).

1.2 Le sommosse del 17 giugno 1953 nella Germania est

Nel 1950 Walter Ulbricht viene eletto segretario generale della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, il Partito d’Unità socialista tedesco), nata dall’unione di due partiti:

Sozialdemokratische Partei Deutschlands (il Partito socialdemocratico tedesco) e Kummunistische Partei Deutschlands (il Partito comunista tedesco). Egli, ispirandosi al modello staliniano, esercita il potere attraverso il proprio partito e non attraverso il governo. Nel luglio del 1952 si tiene la seconda conferenza di partito, il cui obiettivo è la creazione del socialismo nella DDR tramite la centralizzazione dello Stato ed il rafforzamento della lotta di classe, che va a colpire in particolare i ceti medi, scoraggiando le iniziative imprenditoriali private. Questa nuova politica implica:

• un rinnovamento della base ideologica del socialismo: viene rafforzata la lotta di classe anticapitalista e quella alla chiesa, i cui gruppi religiosi giovanili (die Junge Gemeinde) vengono accusati di spionaggio;

5 Mentre non menziona i diritti sociali e culturali, presenti invece nella costituzione di Weimar a cui quella del 1949 si ispira, perché la legge fondamentale doveva trovare immediata applicazione, e ciò non poteva essere garantito per questa specifica categoria (Losano, 2012:234)

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• la collettivizzazione di medie e piccole proprietà agricole con la creazione di cooperative produttive (Landwirtschaftliche Produktionsgenossenschaft, o LPG);

• una campagna – anche mediatica – contro l’imprenditoria privata, ma anche contro funzionari statali, accusati di sabotare l’economia pianificata della DDR con il supporto della Repubblica Federale, in parte per giustificare l’inefficacia del primo piano di produzione quinquennale.

Per lo stesso motivo viene aumentata la pressione fiscale, che ricade ancora una volta sui lavoratori del settore primario e sul ceto medio, mentre si pianifica un aumento della produzione del 10%, che comporta decurtazioni salariali per gli operai. Queste misure creano scontento nella popolazione lavoratrice, uno scontento che si traduce in una massiccia emigrazione, spesso illegale, verso occidente. Ciò riguarda in particolare i contadini che, abbandonando i terreni, causano un calo della produzione agricola – che fino al 1950 aveva invece raggiunto, in alcuni settori chiave, i livelli dell’anteguerra. Alle migrazioni vanno ad aggiungersi gli scioperi locali degli operai che, dall’inizio del 1953, avanzano rivendicazioni politiche ed economiche. Viene quindi intensificato il controllo sulla popolazione tramite una riforma della giustizia e il rafforzamento della polizia di Stato, con l’istituzione del sistema delle autorità di sezione (Abscnittsbevollmächtiger o ABV) nonché di forme di aiuto volontario (Freiwillige Helfer der Volkspolizei o FH). Inoltre, il ramo della polizia di frontiera viene subordinato al Ministero per la sicurezza di Stato (Ministerium für Staatssicherheit o MfS), la principale organizzazione di sicurezza e di spionaggio della DDR (Werkentin, 2002).

Il sostanziale fallimento della politica ulbrichtiana viene sancito nel giugno 1953 dalla politica del “Nuovo Corso” staliniano, il cui obiettivo è il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e della media borghesia tramite la riapertura di imprese private precedentemente chiuse e alla sospensione dei versamenti tributari per contadini, artigiani e commercianti. Vengono inoltre offerte possibilità di rimpatrio per gli emigrati e una parziale amnistia per i prigionieri. Tuttavia, viene confermato l’aumento pianificato di produzione pari al 10% – soprattutto nell’industria bellica e a scapito dei beni di consumo – che genera ulteriore dissenso tra gli operari, manifestatosi anche durante le assemblee aziendali, promosse inizialmente dalla SED con lo scopo di riconquistare la fiducia degli operai. Il 15 giugno 1953 una delegazione di ottanta operatori edili presenta al presidente Grotewohl una richiesta per il ritiro delle norme e in assenza di risposte proclama lo sciopero generale. Il 17 giugno miglia di persone scendono per le strade di Berlino est e di altre grandi città orientali e centri minori6 per protestare contro le riforme e per la liberazione dei

6 I numeri reali della protesta vengono deliberatamente alterati dal governo della DDR: ufficialmente le proteste, gli scioperi e le sommosse riguardano infatti 272 centri; in realtà successive ricerche più approfondita sugli atti ministeriali hanno fatto crescere la cifra fino a 701 (Fricke, 2003:6)

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prigionieri, la riunificazione del paese e libere elezioni. Per i cittadini della DDR – così come dimostrano i manifesti degli scioperanti tanto a Berlino quanto nelle province7 – queste ultime due vanno di pari passo, infatti l’unione si sarebbe potuta realizzare solo tramite elezioni democratiche, libere e segrete in tutto il paese. Il governo della SED, coadiuvato da truppe e carri armati sovietici, reprime con la forza la protesta, causando decine di morti e un’ondata di arresti. I prigionieri, definiti “guerrafondai, provocatori e sabotatori” da Erich Mielke, capo dell’MfS, incorrono in sentenze molto gravi: dai lavori forzati nei campi sovietici fino alla pena di morte. Gli arresti generano ulteriori proteste a favore della liberazione dei detenuti a cui si uniscono ancora una volta richieste politiche, che dureranno fino al mese successivo (Schaarschmidt, 1999:571-572). Le proteste rappresentano un danno d’immagine per il regime, che per nascondere le debolezze interne le ascrive a tentato colpo di stato da parte di forze fasciste occidentali, inventando la cosiddetta leggenda del Tag X (Giorno X), sulla falsariga di una dichiarazione del marzo 1952 di Jakob Kaiser, l’allora ministro federale per la questione della riunificazione. Kaiser, alludendo all’indefinitezza temporale dell’evento, aveva definito il giorno della riunificazione proprio “Giorno X”, per cui il parallelo tra una futura unione e gli avvenimenti del 17 giugno consentono di creare un’aura leggendaria intorno a questi eventi. (Fricke, 2003:6). Nonostante la campagna di propaganda per placare l’attenzione sugli eventi, le proteste costringono l’Unione Sovietica a rivedere le politiche attuate nella DDR soprattutto in materia di economia e di difesa. L’URSS ripensa il suo ruolo di garante della stabilità all’interno del paese, a scapito dell’indipendenza del governo della DDR, per diminuire la pressione sull’economia e risanare le forze di polizia (Kasernierte Volkspolizei o KVP), giudicate insufficienti e inaffidabili. Per scongiurare nuove proteste, e avvalorando la tesi dell’ingresso di controrivoluzionari nel paese, viene creato un sistema di spionaggio – attivo fino al 1989, anno della riunificazione – che consiste in intercettazioni telefoniche, controllo e censura di qualsiasi documento scritto ed interferenze radiofoniche di emittenti del blocco occidentale e di Berlino ovest. Questo rigido sistema di controlli serve di fatto anche ad impedire future manifestazioni – benché il diritto di sciopero rimanga garantito nella vigente costituzione ed in quella successiva del 1968 – legittimando una loro repressione violenta. I risultati della protesta risultano quindi opposti alle richieste avanzate durante le manifestazioni: da un lato l’URSS – le cui politiche avevano originariamente scatenato gli scioperi – rafforza la sua influenza nel paese, dall’altro si allontana la speranza di riunificazione, così come essa aveva alimentato la nascita della

7 Alcuni esempi significativi vengono riportati da Fricke (ivi. 10): la richiesta di “Elezioni libere per l’intera Germania”

viene avanzata sia un gruppo di operai edili di Berlino che da un gruppo di scioperanti di Teutschenthal, in Turingia;

mentre gli impiegati di una stazione radiofonica chiedono le dimissioni degli attuali funzionari statali perché non garanti della costituzione per l’unione della Germania e per le libere elezioni

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Repubblica Democratica; ovvero una riunificazione sotto l’influenza della Repubblica stessa, in quanto alternativa democratica e antifascista al modello liberale (Lemke, 2003:13).

Nel corso dei decenni, la storiografia ha dato diverse interpretazioni di queste sommosse, influenzate sia dal clima dell’epoca8 che dalle campagne di propaganda, soprattutto della DDR.

All’inizio degli anni ’50 le campagne di comunicazione e di propaganda sono condotte attraverso i media, che sono parte integrante della società, tanto che una loro analisi può rivelare diversi aspetti della cultura che li ha prodotti e che li consuma. Come abbiamo visto, dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania vive in una situazione particolare, in cui viene divisa in due zone controllate da due orientamenti ideologici opposti che influenzano ogni ambito della vita dei cittadini, sia pubblico che privato, in altre parole la cultura dei due stati. Nel Capitolo successivo, dopo aver dato una definizione di comunicazione di massa ed offerto una panoramica delle principali teorie della comunicazione, andremo a descrivere il sistema mediale sviluppatosi all’interno di questi due stati, che comprende la stampa, la radio, e soprattutto i cinegiornali. La rappresentazione degli eventi appena descritti che quest’ultimo mezzo di comunicazione ha fornito nei giorni immediatamente successivi sarà infatti l’oggetto finale di studio del presente elaborato.

8 Lo studioso Arnulf Baring, a metà degli anni Sessanta, nel clima della politica di distensione (Entspannungspolitik) le classifica infatti come proteste operaie, mentre la desecretazione di documenti dopo il crollo della DDR e del blocco sovietico all’inizio degli anni Novanta ha confermato che si è trattato di proteste popolari (Schaarschmidt, 1999:570).

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CAPITOLO 2.

Il panorama mediale degli anni Cinquanta in Germania

Il presente capitolo si concentrerà sulla comunicazione di massa ed offrirà una ricognizione delle principali teorie della comunicazione e dei mezzi di comunicazione e d’informazione dei primi anni Cinquanta. Inizialmente verrà data una definizione di comunicazione e di comunicazione di massa, successivamente ci si concentrerà sulle teorie che si sono sviluppate in concomitanza con lo sviluppo della società mediale, nel corso di tutto il Novecento. Queste teorie, influenzate dai cambiamenti storici e sociali in atto, si sono prima concentrate sulla trasmissione unidirezionale dei messaggi e più tardi sugli effetti che questi possono avere sul pubblico, presentando comunque lacune teoriche e metodologiche. Nel secondo paragrafo si assumerà invece una prospettiva storica per ricostruire il processo di denazificazione e la riorganizzazione degli stessi nei due stati nati dalla divisione del paese da parte delle potenze militari sovietica e statunitense, siccome il decennio preso in analisi succede un periodo particolare, in cui i mass media, sotto il controllo centralizzato del regime nazista, sono stati profondamente ideologizzati ed hanno assunto una precisa funzione propagandistica. Particolare attenzione verrà posta sulla nascita, gli sviluppi, i contenuti e le strutture del cinegiornale, oggetto finale dell’analisi del presente elaborato. Tuttavia, lo scopo di questa rassegna non è solo quello di contestualizzare l’analisi stessa, ma anche quello di evidenziare come le varie forme e funzioni che hanno assunto i media nelle diverse dimensioni spaziali e temporali siano stati lo specchio delle società che li hanno prodotti e consumati e per questo possano avere un ruolo importante nello studio della storia di queste società, non da ultimo dal punto di vista della struttura economica, dei progressi tecnologici e dell’organizzazione politica. In particolare, il grado di apertura e trasparenza del dibattito pubblico all’interno dei media viene spesso ritenuto un indice di democrazia; al contrario, forme di controllo sulla produzione o la ricezione dei media da parte dello stato, ad esempio attraverso la censura, vengono spesso attuate da regimi autoritari o dittatoriali.

2.1 La comunicazione di massa

Prima di illustrare il panorama mediale, è necessaria una precisazione su cosa si intende per comunicazione, comunicazione di massa e mass media. Secondo Michele Sorice (2010:17) la

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comunicazione può essere interpretata o come atto autoconclusivo, ovvero come il passaggio di un messaggio da un emittente a un destinatario – in questo caso si parla di informazione – o come un processo dinamico e continuo, basato sulla dinamica stimolo-risposta, cioè una modificazione A determina e condiziona una modificazione B. Indipendentemente dalla sua natura di atto o di processo, la comunicazione si basa su quattro elementi costitutivi: la fonte, il messaggio, il canale ed il codice. La fonte è il produttore del messaggio, che è l’oggetto della comunicazione, codificato attraverso un sistema di segni generalmente condiviso, il codice, e trasmesso attraverso un mezzo fisico, chiamato canale. Ognuno di questi elementi presenta un numero di variabili che può influenzare la natura della comunicazione. Per quanto riguarda il primo elemento, bisogna considerare la sua intenzionalità comunicativa, ovvero se la fonte voglia effettivamente mandare un messaggio o meno, la sua credibilità, cioè la sua legittimità ad inviare messaggi, oltre alla sua competenza ed abilità, infine il rapporto che intrattiene con il canale – ad esempio la sua dipendenza dal mezzo tecnologico – ed i livelli di efficacia, che confrontano la coincidenza tra l’intenzione originale e la reale ricezione durante il processo di decodifica. Anche il messaggio può essere studiato secondo la prospettiva della sua efficacia, e su di esso influisce anche la sua strutturazione, che a sua volta dipende dai suoi meccanismi di codificazione. Il canale presenta due caratteristiche principali: la capacità, ovvero la quantità di informazioni che è in grado di trasmettere, e l’immediatezza, o rapidità di trasmissione. Il codice è invece determinato dal suo livello di arbitrarietà e dalla sua trasformazione/trasferimento, che comporta il problema della decodifica e dell’interpretazione. Secondo il linguista Roman Jakobson, che assegna al linguaggio un ruolo primario nella comunicazione, in base alla preponderanza di uno degli elementi sugli altri, abbiamo sei funzioni linguistiche. Quando il focus è sul mittente si realizzerà la funzione espressiva, quando è sul mittente la funzione poetica, per il canale designa invece la funzione fatica ed infine per il codice la funzione metalinguistica. Jakobson individua due ulteriori elementi fondamentali della comunicazione, ovvero il ricettore, che si occupa della decodifica del messaggio e a cui corrisponde la funzione conativa, ed il contesto, la situazione reale in cui avviene la comunicazione, che comporta la funzione referenziale (Caprettini, 1980:5-7). Tuttavia, la comunicazione verbale è solo una delle numerose forme di comunicazione esistenti, che si distinguono tra loro a seconda delle modalità di funzionamento o all’ambito delle applicazioni. Una prima distinzione fondamentale in questo ambito è quella comunicazione interpersonale e comunicazione di massa – le quali presentano differenze ma anche numerose similitudini, perché entrambe sono riconducibili al modello appena descritto. Secondo Böckelmann (1975:39) la comunicazione di massa può essere definita come “una forma speciale di comunicazione sociale se si struttura come comunicazione segnica (linguaggio verbale, linguaggio gestuale, mimica e altri sistemi visuali e acustici) di

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determinati contatti tra un trasmittente (comunicatore) e un destinatario (ricevente)”. Caratteristiche peculiari della comunicazione di massa, che la distingue da quella interpersonale, o face-to-face communication, sono:

• la sua dislocazione spazio-temporale, ovvero il passaggio dalla sfera pubblica di produzione del contenuto mediale a quella privata di ricezione che, come vedremo nel Terzo Capitolo, nella prospettiva della Critical discourse analysis ha alcuni risvolti per il testo stesso;

• la sua unidirezionalità, infatti i suoi attori svolgono in un dato momento soltanto il ruolo di riceventi o di comunicatori perché tra i due non vi è un contatto personale, che viene sostituito da un apparato tecnico-organizzativo, ovvero i mezzi di comunicazione (ivi. 40).

Queste due caratteristiche determinano innanzitutto una differenza nel tipo di feedback delle due modalità di comunicazione: in quella interpersonale la risposta è immediata ed i partecipanti alla comunicazione possono adattare i propri messaggi in relazione alle risposte reciproche; in quella di massa, invece, il feedback può essere solo deduttivo per via dell’unidirezionalità e della dislocazione spazio-temporale: in altre parole, l’emittente non conosce il suo pubblico, il ricevente della comunicazione, se non in maniera generalista e – soprattutto – in differita. Quest’ultima caratteristica ha, secondo Thompson (ivi. 33) due ulteriori implicazioni, ovvero l’estesa accessibilità delle forme simboliche nello spazio e nel tempo – quindi la possibilità che un pubblico dislocato in diversi luoghi e in diverse epoche possa avere accesso agli stessi contenuti – e la circolazione pubblica delle forme simboliche. Ciò comporta delle conseguenze per le analisi sull’industria culturale e sulla ricezione da parte dell’opinione pubblica, perché essa avrà delle caratteristiche peculiari a seconda del contesto di trasmissione. La diffusione su larga scala è possibile grazie alle tecnologie della comunicazione, ed in particolare alle tecnologie di trasmissione che permettono di ridurre notevolmente – fino ad annullare – la distanza spaziale e che si stanno muovendo sempre di più in direzione della dematerializzazione dei prodotti culturali. Ad esse si aggiungono le tecnologie di rappresentazione, come il cinema e la fotografia, che forniscono delle parziali rappresentazioni della realtà – un concetto su cui torneremo nel Terzo capitolo – e quelle di riproduzione. Queste ultime sono le tecnologie che permettono di riprodurre un prodotto culturale un numero potenzialmente infinito di volte: secondo Walter Benjamin (Sorice, op. cit. 30) questa possibilità ha modificato sostanzialmente il rapporto tra la popolazione di massa e l’arte, i cui prodotti diventano equiparabili a merci di consumo da esporre e fruire. Complessivamente, le tecnologie impiegate nella comunicazione di massa prendono il nome di “media”. Bourdon (2001:7) sostiene che i media possano essere definiti in base ai quattro elementi distintivi che li compongono, ovvero la tecnica, l’organizzazione, il contenuto ed il pubblico. Le tecniche si riferiscono ai modi in cui questi messaggi vengono prodotti e trasmessi, in maniera rapida, capillare e invariata al pubblico e

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dall’Ottocento – periodo in cui si inizia a parlare di mezzi di comunicazione di massa – hanno subito una notevole evoluzione. Queste non sono tuttavia sufficienti a caratterizzare i mezzi di comunicazione, i quali hanno anche una dimensione sociale. Le varie forme mediali fanno infatti capo ad organizzazioni che intrattengono rapporti con altri organi, tra cui le autorità pubbliche per cui hanno un’inevitabile dimensione politica e di potere, su cui sono stati fatti – come vedremo – numerosi studi. La dimensione del potere riguarda le ultime due caratteristiche dei media, ovvero contenuto e pubblico. Rispetto al primo elemento, i mezzi di comunicazione hanno contribuito alla creazione di forme nuove per quanto riguarda testi, immagini e suoni, ma allo stesso tempo, interagendo con altre tipologie di intrattenimento e di spettacolo, hanno finito per trasformare o addirittura inglobare queste ultime. Secondo Bourdon (ivi. 8) il loro contributo più innovativo riguarda il mondo dell’informazione che ha favorito la trasmissione quotidiana di un gran numero di immagini che dovrebbero corrispondere alla realtà. In ultimo, troviamo il pubblico: anche se il termine “massa” è stato abbandonato a partire dagli anni Ottanta, perché suggerirebbe un pubblico vasto ma indifferenziato, esso può comunque rendere conto delle ampie dimensioni che può assumere questo fenomeno, raggiungendo diversi gruppi sociali. La relazione che intercorre tra i media e la società è molto forte e coinvolge una dimensione di potere, dal momento che gli operatori dei media detengono il controllo delle tecnologie. Sorice (ivi. 40) definisce questo potere come:

un processo in cui una fonte (le istituzioni) può esercitar e una forza o un’influenza su altre istituzioni o s ull’oggetto raggiunt o dall’istituzione mediale (l’audience). Il potere, in altre parole, può essere definito come la capacità di intervento sugli eventi nonché di influenza sulle azioni di altri soggetti a ttraverso forme simboliche (come sono i media appunto) in funzione di o biettivi specific i.

Denis McQuail (ivi. 42) si concentra sul rapporto tra le istituzioni mediali e l’audience nell’ottica del contenuto, ovvero nel loro potere di costruire significati. Egli attribuisce al potere dei media sei caratteristiche, ovvero: la capacità di catturare e indirizzare l’attenzione del pubblico, la sua capacità persuasiva su determinate questioni, opinioni e credenze da cui deriva un’influenza sui comportamenti, la capacità di strutturare i meccanismi di definizione della realtà, la capacità di conferire status e legittimità sociale ed infine quella di fornire informazioni rapidamente e capillarmente. In base a queste peculiarità, McQuail distingue due modelli di potere: quello egemonico e quello pluralista. Secondo il primo modello, vi è un’élite dominante che opera un controllo totale e centralizzato sui media, ne determina le pratiche che portano alla selezione di contenuti che corrispondono ad una precisa – e tuttavia parziale – visione del mondo ed assegna

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quindi al pubblico un ruolo passivo. Il secondo modello comprende invece una pluralità di fonti e di media che, essendo indipendenti, godono di maggiore libertà e creatività produttiva che comporta una visione del mondo più aperta e che prevede un pubblico più frammentato e più attivo.

A questo proposito si sono sviluppate, in concomitanza con la nascita di nuovi mezzi di comunicazione all’inizio del Ventesimo secolo, le prime teorie sugli effetti dell’esposizione mediale sul pubblico, che poi saranno oggetto di numerose ricerche nel corso di tutto il Novecento e porteranno allo sviluppo di diversi modelli che possono essere raggruppati in due principali categorie: le teorie della trasmissione e le teorie del dialogo, le quali si differenziano in base al ruolo che assegnano ai soggetti coinvolti nella comunicazione. Le prime, infatti, intendono la comunicazione come un trasporto, una trasmissione concreta di un’informazione da un soggetto A ad un soggetto B, e comprendono due fasi nella storia mediale: quella dell’onnipotenza dei media, in cui il pubblico assume un ruolo assolutamente passivo e nella ricezione delle informazioni è completamente allineato con i mittenti; a cui segue una più modulata, in cui i media vengono concepiti come parte di una rete più estesa di relazioni sociali, che mediano il rapporto d’influenza tra i mezzi di comunicazione ed il pubblico. Le teorie del dialogo vedono invece la comunicazione come un processo interattivo che avviene tra due soggetti attivi, e a loro volta comprendono due fasi: quella di riscoperta del potere dei media, in cui le teorie si concentrano sugli effetti a lungo termine dell’esposizione a determinati messaggi ed ai processi sociali attivati dai media; a cui segue quella dell’influenza negoziata, che prevede una fase di interpretazione, o decodifica, dei significati socio-culturali dei messaggi da parte del pubblico. Di seguito andremo ad illustrare i principali studi che possono essere inseriti all’interno di questi due gruppi, a partire dalle teorie della trasmissione.

2.1.1 Le teorie della trasmissione

I primi studi sugli effetti dei mezzi di comunicazione sul pubblico – che prevedono una passiva trasmissione di informazioni da un soggetto attivo ad uno passivo – si sviluppano ad opera di scienziati politici e studiosi di retorica nel periodo della Prima guerra mondiale; tuttavia le ricerche empiriche vengono condotte a partire dagli anni Trenta del Novecento smentiscono i loro risultati e quindi gli assunti della cosiddetta magic bullet theory, o teoria ipodermica. Questa teoria, sviluppatasi nell’ambito della massiccia campagna di propaganda di guerra per sostenere lo sforzo bellico, intende la comunicazione come un processo di stimolo-risposta ed individua nei riceventi una massa anonima e atomizzata di individui, indifesa nei confronti di potenti messaggi persuasivi, facilmente suggestionabile perché ignorante, a cui si cercano di trasmettere valori di coesione interna e di opposizione al nemico. La ricerca empirica, condotta su vari mezzi di comunicazione, dal cinema alla pubblicità, dimostra invece che i messaggi non sono così diretti e immediati, non

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vengono recepiti allo stesso modo da tutti i destinatari e quindi non producono gli stessi effetti su tutto il pubblico. Il rapporto tra lo stimolo e la risposta è, secondo la teoria neo-comportamentista di Tolman (in Cheli, 1997:52), mediato da una serie di caratteristiche individuali e di elementi appresi precedentemente tramite la socializzazione, che si sono fissati nella struttura mentale. Siccome le prime sono per la maggior parte innate e quindi non modificabili, la persuasione può avvenire solo al secondo livello, producendo cambiamenti nel modo in cui l’individuo interpreta dati simboli e quindi modifica i propri atteggiamenti nei confronti di un messaggio. Malgrado questa teoria non trovi effettivi riscontri sperimentali, si afferma rapidamente fino agli anni Quaranta, quando si entra in una fase di maturazione della communication research grazie al modello dell’apprendimento strutturale di Carl Hovland, avvalorato dall’utilizzo del metodo ipotetico deduttivo.9 Secondo Hovland il comportamento umano è indotto da determinati bisogni che devono essere soddisfatti:

una modifica nel comportamento che porta un risultato positivo ed efficace permetterà un maggiore adattamento all’ambiente e verrà tendenzialmente ripetuto. Applicata alla comunicazione, questa teoria permette di osservare gli effetti quantitativi di un determinato messaggio in gruppi di persone con caratteristiche differenti: maggiori sono i cambiamenti istillati maggiore risulta la capacità di influenza del messaggio. Questa teoria è stata però messa in discussione da un’indagine di Paul Lazarsfeld sulle elezioni presidenziali degli anni Quaranta negli Stati Uniti, la quale ha dimostrato limitati cambiamenti atteggiamentali negli elettori, che sarebbero indice di una scarsa efficacia persuasoria della comunicazione di massa: i mass media non favorirebbero una conversione bensì rafforzerebbero opinioni e atteggiamenti preesistenti sviluppatisi tramite la socializzazione. La comunicazione svolgerebbe infatti tre funzioni principali, che tendono a preservare l’equilibrio e il controllo sociale: la vigilanza sulla società, la mediazione tra gli apparati sociali e l’ambiente e la trasmissione del patrimonio sociale e culturale. Lazarsfeld elabora quindi l’ipotesi della comunicazione a due livelli (Sorice, op. cit. 78), secondo la quale l’influenza delle masse avverrebbe tramite il contatto diretto con altri membri di una comunità, in particolare con membri particolarmente influenti, chiamati opinion leaders, i quali traggono a loro volta le informazioni dai media: l’influenza non deriva quindi direttamente dai media, ma piuttosto dai rapporti interpersonali. La teoria dello studioso austriaco riveste un ruolo di primaria importanza perché è servita a scardinare il modello monolitico del passaggio di influenza dai media al pubblico ed ha permesso lo sviluppo di ulteriori teorie, tra cui quelle dell’influenza selettiva (ivi. 71), la quale comprende un insieme piuttosto eterogeneo di approcci che hanno come punto di contatto il concetto di “atteggiamenti”, i quali determinerebbero le risposte del pubblico nei confronti dei

9 Inizialmente viene formulata un’ipotesi da cui vengono dedotte delle conclusioni che possono essere verificate in modo empirico: se i risultati di tale verifica sono positivi l’ipotesi assume valore scientifico, altrimenti si mette in discussione il postulato di partenza.

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prodotti mediali. Essa ha una matrice psicologica, e deriva dagli studi effettuati sulle dinamiche di apprendimento e sullo sviluppo delle motivazioni che determinerebbero le differenze individuali tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo sociale e culturale.

2.1.2 Le teorie del dialogo

Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, il focus della communication research si sposta dalla capacità dei media di suscitare cambiamenti atteggiamentali a quella di legittimare l’ordine sociale, culturale e politico di un determinato gruppo al vertice.10 Queste ricerche si sviluppano in concomitanza della diffusione della televisione, che beneficia di tempi di esposizione più lunghi e può quindi avere effetti più a lungo termine rispetto al cinema. Secondo McCombs e Shaw (in Marini, 2006) questo si traduce nella selezione e gerarchizzazione, da parte dei media, di determinati temi – ovvero insiemi omogenei di informazioni su eventi, attori e problemi – da trasmettere alla cittadinanza sotto forma di articoli, servizi o notizie, influenzando l’opinione pubblica, cioè il posizionamento dei cittadini riguardo a determinati problemi sociali: questa funzione viene chiamata agenda setting. I media, quindi, non trasmettono quindi informazioni

“pure”, ma vi assegnando una diversa rilevanza ed un giudizio o una valutazione più o meno esplicita creando così una narrazione e determinando una sua precisa assimilazione da parte del pubblico. Siccome i media sono la principale fonte di informazione per la popolazione, l’agenda dell’opinione pubblica coinciderà tendenzialmente con quella dei media, di conseguenza la loro funzione di persuasione o manipolazione sull’apparato cognitivo11 dei riceventi risulterebbe, anche quando involontaria, inevitabile. Questa forza persuasiva non riguarda quindi direttamente gli atteggiamenti del pubblico (il cosiddetto what to think) ma piuttosto l’importanza che esso ascrive a ciascuno dei temi (what to think about). Le teorie dell’agenda sono direttamente collegabili a quelle del framing, che si riferiscono in particolare all’informazione giornalistica, secondo le quali “il modo in cui le notizie sono incorniciate dai giornalisti e il modo in cui le incornicia il pubblico possono essere simili o differenti” (Sorice, op. cit. 88). Secondo Robert Entman (1993), il processo di framing comprende inizialmente una fase di selezione di determinati aspetti della realtà e successivamente una valorizzazione di tali aspetti, in modo da renderli più salienti, significativi e memorabili per il pubblico. Questo processo viene articolato in quattro fasi: innanzitutto promuove una particolare definizione di un problema, sulla base di valori culturali condivisi, in termini di costi

10 In questi decenni si assiste al declino delle ideologie, all’affermarsi di nuovi valori “postmaterialisti” basati sul benessere immateriale e di questioni politiche inedite riguardanti ad esempio i diritti civili e la parità di genere nonché alla nascita di un elettorato “mobile” non collocabile entro i confini politici precostituiti che genera un voto individualistico e non legato ad un partito politico, ma piuttosto ai temi percepiti personalmente come prioritari (Marini, 2006:175)

11 Modo in cui le persone organizzano e rappresentano le conoscenze (Marini, 2006:168)

Riferimenti

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