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La tutela previdenziale delle collaborazioni

organizzate dal committente

G

IONATA

C

AVALLINI

Università degli Studi di Milano

vol. 6, no. 2, 2020

ISSN: 2421-2695

(2)

La tutela previdenziale delle collaborazioni

organizzate dal committente

GIONATA CAVALLINI Università di Milano Dottore di ricerca in Diritto del Lavoro g.cavallini@legalilavoro.it ABSTRACT

The Author argues that the social security discipline provided for employees by statutory employment law is fully applicable to the so-called “hetero-organized work” (article 2, decree no. 81/2015). After a brief introduction regarding the relevance, within the scope of labour law, of the social security dimension, the Author analyses the different positions expressed by Italian legal literature. The Author then points out how the most recent developments of Italian case law offer more arguments to support the full applicability of the social security discipline to hetero-organised workers and concludes by highlighting some practical effects of such extension.

Keywords: autonomous work; self-employment; quasi-subordinate work; social security; unemployment benefits.

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La tutela previdenziale

delle collaborazioni organizzate dal committente(*)

SOMMARIO: 1. Premessa: tutele previdenziali e «statuto protettivo» del lavoro subordinato. – 2. Tutele previdenziali e collaborazioni etero-organizzate: il problema - 3. Le soluzioni interpretative affacciate in dottrina. – 4. Una possibile lettura alla luce delle novità giurisprudenziali del 2019-2020. – 5. Le ricadute pratiche dell’estensione. – 6. Una riflessione conclusiva.

1. Premessa: tutele previdenziali e «statuto protettivo» del lavoro subordinato

Nell’ambito di ciò che si suole definire lo «statuto protettivo» del lavoro subordinato(1), le tutele previdenziali giocano un ruolo per nulla marginale,

tanto più in tempi di crisi e incertezza quali quelli che stiamo purtroppo vivendo. Poche settimane fa ha avuto un certo risalto tra gli addetti ai lavori una pronuncia del Tribunale di Udine(2) che ha condannato un lavoratore, licenziato

in tronco a seguito di svariate assenze ingiustificate, a versare all’ex datore una somma pari agli esborsi sostenuti per licenziarlo. Secondo il Giudice, il lavoratore aveva deliberatamente messo in atto condotte inadempienti al solo fine di farsi licenziare e così porre fine al rapporto di lavoro senza perdere l’accesso alla Naspi (indennità notoriamente legata alla disoccupazione involontaria e dunque preclusa in caso di dimissioni). Che sia meglio essere cacciati, anche a pedate, piuttosto che andarsene di propria sponte, è del resto massima di comune esperienza, immortalata anche dal celeberrimo “Dimissioni

(*) Il contributo rappresenta uno sviluppo delle riflessioni condivise nell’ambito del webinar Etero-organizzazione e lavoro mediante piattaforma digitale, organizzato da Università La Sapienza di Roma e Labor, 1 luglio 2020. Si ringraziano tutti i partecipanti a tale iniziativa per i preziosi spunti forniti.

(1) Inteso come «un ordinamento garantistico, un insieme di normative produttive»

ricondotto «non a tutti i lavori, ma a certi lavori» in forza del criterio di imputazione rappresentato dalla subordinazione (M. D’Antona, La subordinazione e oltre. Una teoria giuridica

per il lavoro che cambia, in Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e prospettive, a cura di M.

Pedrazzoli, Il Mulino, 1989, 44), ovvero come l’insieme delle tutele di cui la subordinazione è il gate keeper (M. Pedrazzoli, La parabola della subordinazione: dal contratto allo status. L. Barassi e il

suo dopo, in La nascita del diritto del lavoro. «Il contratto di lavoro» di Lodovico Barassi cent’anni dopo. Novità, influssi, distanze, a cura di M. Napoli, Vita e pensiero, 2003, 379).

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mai!” con cui Lino Banfi ammonisce Checco Zalone nel film che ha consacrato

il mito del “posto fisso”(3).

Chi si trova a gestire trattative inerenti la cessazione del rapporto di lavoro sa bene che, al di là dell’aspetto legato alla congruità dell’incentivo, un profilo cruciale concerne la possibilità di adottare schemi risolutori che non precludano l’accesso alla Naspi (e alla relativa contribuzione figurativa, preziosissima per i profili più senior), un aspetto su cui oggi pesa non poco la sospensione delle procedure ex art. 7, l. n. 604/1966, connessa al blocco dei licenziamenti disposto dalla normativa emergenziale.

Questa premessa, apparentemente off topic, aveva la funzione di introdurre il tema oggetto del presente contributo partendo dalla considerazione che, come ben testimonia la vicenda del “furbetto” lavoratore friulano, all’interno dello «statuto protettivo» del lavoro subordinato lo statuto previdenziale costituisce un tassello fondamentale, per certi aspetti persino più importante rispetto alle tutele “interne” al rapporto di lavoro.

Tanto più in tempi di crisi, molti lavoratori – soprattutto nelle fasce di reddito più basse – potrebbero in effetti essere più interessati alle tutele previdenziali (indennità di disoccupazione in primis), le quali sono sostanzialmente certe in quanto garantite da soggetti pubblici o para-pubblici, che non al rispetto dei diritti opponibili al datore di lavori, i quali presuppongono pur sempre, per non restare solo “sulla carta”, la sopravvivenza economica dell’azienda.

Con una sintesi forse un po’ ermetica che mutua un’efficace immagine concepita da Marcello Pedrazzoli a fini didattici, si potrebbe dire che alcuni “tortellini” sono oggi più appetibili di altri, e che i “tortellini” dell’INPS sono i più buoni di tutti(4).

(3) Si tratta ovviamente di Quo Vado? (2016). Oltreoceano, è l’avvocato Saul Goodman,

protagonista di Better Call Saul (2015-in corso) che, pur di farsi cacciare, prende a vestirsi con improbabili abiti sgargianti.

(4) Chi non abbia avuto l’occasione di confrontarsi con M. Pedrazzoli, op. cit, 358,

sappia che nel saggio citato lo «statuto protettivo» del lavoro subordinato viene rappresentato con l’immagine del piatto di tortellini.

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2. Tutele previdenziali e collaborazioni etero-organizzate: il problema

Tra le molteplici questioni poste dall’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 (infra, solo art. 2) e tuttora irrisolte a cinque anni dall’introduzione della norma(5) e

dall’inizio della «battaglia interpretativa senza precedenti»(6) che ne è seguita, vi

è anche quella relativa all’incerto statuto previdenziale delle “collaborazioni organizzate dal committente” la quale inerisce, più in generale, il dibattuto problema dell’individuazione delle tutele del lavoro etero-organizzato, tema per nulla secondario rispetto a quello, forse più esplorato in origine, della natura della fattispecie.

Alla luce di quanto appena detto circa la rilevanza, all’interno dello «statuto protettivo» del lavoro subordinato, delle tutele previdenziali, chi legga il passaggio fondamentale dell’art. 2 («si applica la disciplina del rapporto di lavoro

subordinato») non potrà che chiedersi se il legislatore abbia inteso estendere al

lavoro etero-organizzato, ed eventualmente in quali termini, anche la disciplina previdenziale del rapporto di lavoro subordinato, e dunque quel complesso di norme, contenute in innumerevoli leggi speciali, che riposano sul precetto fondamentale di cui all’art. 38 Cost. e concepite per il solo lavoro subordinato(7)

Certamente la soluzione non può che risentire anche dell’approccio che si voglia preliminarmente adottare rispetto alla natura dell’art. 2, se norma «di fattispecie» (o che comunque estende l’ambito di applicazione dell’art. 2094 c.c. e, a cascata, di tutta la disciplina del lavoro subordinato), ovvero norma «di disciplina», che non muta la natura tipologicamente autonoma della collaborazione, limitandosi ad una estensione quoad effectum della disciplina del lavoro subordinato (o di parte di essa)(8).

In effetti è evidente che concependo l’art. 2 come norma «di fattispecie», sarebbe ben più semplice “tagliare la testa al toro” e ritenere che alla

(5) Per una recente ed esaustiva panoramica dei numerosi orientamenti maturati in

relazione all’art. 2, S. D’Ascola, La collaborazione organizzata cinque anni dopo, LD, 2020, 1, 3 ss. (6) Così O. Mazzotta, Lo strano caso delle «collaborazioni organizzate dal committente», in

Labor, 2016, 1-2, 7.

(7) M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, cit., 142, il quale rileva che «per lungo tempo

l’ambito operativo della tutela previdenziale è stato condizionato dalla qualificazione giuridico-formale del rapporto di lavoro»; nonché già M. Persiani, Il sistema giuridico della previdenza sociale, Cedam, 1960, 42 ss., che osservava come la dottrina avesse «limita[to] storicamente la sua indagine agli istituti tradizionali della previdenza sociale dei lavoratori subordinati».

(8) Come noto, l’alternativa “norma di fattispecie-norma di disciplina” è stata

formulata da R. Del Punta, Diritto del lavoro, 7° ed., Giuffrè, 2015, 371. Non è possibile in questa sede ripercorrere la varietà di posizioni espresse dalla dottrina, con notevoli sfaccettature, all’indomani dell’introduzione della norma, per le quali si rinvia a S. D’Ascola, op. cit.

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collaborazione etero-organizzata trovi applicazione, in tutto e per tutto, anche la medesima disciplina previdenziale del lavoro subordinato, ponendosi tuttalpiù il problema – spinoso ma non certo nuovo – delle modalità di regolarizzazione previdenziale ex post del “falso” lavoro autonomo.

Ragionando in termini di «norma di disciplina», invece, la questione dell’estensione della disciplina previdenziale si pone con maggiore prepotenza, potendosi comunque sostenere tesi diverse, ed è con questa prospettiva che occorre oggi fare i conti, posto che è la tesi della «norma di disciplina» che ha poi avuto maggior fortuna in giurisprudenza(9).

Sorprende, in ogni caso, che l’attenzione dedicata al tema della tutela previdenziale dei collaboratori etero-organizzata sia stata tutto sommato marginale, traducendosi perlopiù, salvo alcuni contributi dedicati(10), in prese di

posizione espresse prevalentemente quale corollario di questa o di quella soluzione interpretativa di carattere generale in merito alla natura della collaborazione ex art. 2, senza cioè che la riflessione partisse dall’elemento, tipico della dimensione previdenziale, del «bisogno» dei collaboratori etero-organizzati.

3. Le soluzioni interpretative affacciate in dottrina

Qualcuno ricorderà che le prime indicazioni ministeriali erano state piuttosto tranchant nel risolvere la problematica, limitandosi ad affermare che la norma di cui all’art. 2 «di per sé generica, lascia intendere l’applicazione di qualsivoglia istituto, legale o contrattuale (ad es. trattamento retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso i licenziamenti illegittimi ecc.), normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato»(11).

In dottrina, l’applicabilità della disciplina previdenziale è stata esplicitamente sostenuta da chi ha ritenuto tale estensione necessitata dalla norma, vuoi in virtù della lettura dell’art. 2 in termini di norma «di

(9) Il riferimento è alla giurisprudenza formatasi in relazione al Caso Foodora, di cui si

dirà infra.

(10) Specificamente destinato al tema il contributo di A. Sgroi, La tutela previdenziale delle

collaborazioni organizzate dal committente, RGL, 2016, 1, I, 104 ss., nonché, sia pure nella

prospettiva dei soli rider, quello di R. Di Meo, Le tutele in caso di disoccupazione nella l. n. 128/2019, in LLI, 2020, 1, 37 ss.

(11) Così la Circolare Ministero del Lavoro 1 febbraio 2016, n. 3, che proseguiva

precisando che l’applicazione dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, «comporterà altresì l’irrogazione delle sanzioni in materia di collocamento (comunicazioni di assunzione e dichiarazione di assunzione) i cui obblighi, del resto, attengono anch’essi alla disciplina del lavoro subordinato».

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fattispecie»(12), vuoi comunque in considerazione dalla natura integrale del rinvio

mosso dall’art. 2 alla disciplina del lavoro subordinato nel suo complesso(13).

Altri, pur propendendo verso la tesi dell’estensione selettiva di tale disciplina, hanno comunque ritenuto che la normativa previdenziale dovesse trovare applicazione, in quanto compatibile con le caratteristiche tipologiche della collaborazione(14) e coerente con la ratio di tutela sottesa alla norma(15).

Altri ancora, insistendo soprattutto sulla perdurante natura autonoma della collaborazione etero-organizzata, hanno radicalmente escluso la possibilità di estendere l’applicazione di una disciplina, come quella previdenziale, che non inerirebbe direttamente al rapporto obbligatorio, dipendendo da altri e diversi presupposti fattuali e normativi(16).

(12) In questo senso mi pare si ponga M. Pallini, Dalla eterodirezione alla

eteroorganizzazione: una nuova nozione di subordinazione?, RGL, 2016, 1, I, 66.

(13) Molto esplicitamente in questo senso, da ultimo, M.T. Carinci, I contratti in cui è

dedotta una attività di lavoro alla luce di Cass. 1663/2020, RIDL, 2020, 1, II, 49 ss., secondo cui

«Non vi possono quindi essere dubbi sul fatto che il legislatore abbia voluto estendere tutta la disciplina propria del rapporto di lavoro subordinato, relativa sia alla relazione giuridica fra le parti che al rapporto assicurativo e previdenziale, ai lavoratori autonomi che ricadono nella nuova figura “trans-tipica” fin qui descritta. L'inequivoco dato letterale impone di considerare certamente incluse anche le tutele assicurative e previdenziali» (con la precisazione che la natura pubblicistica di tale disciplina «fa sì che quelle regole non siano in alcun modo derogabili da parte dei contratti collettivi di cui all'art. 2, co. 2»). Nello stesso senso M. Magnani, Autonomia,

subordinazione, coordinazione nel d.lgs. n. 81/2015, WP CSDLE, It. n. 294/2016, 13 s.; C. Pisani, Eterorganizzazione ed eterodirezione, quale differenza tra l’art. 2 D.lgs. 81/2015 e l’art. 2094 c.c.?, in Guida lav, 2015, 48, 65.

(14) In questo senso mi pare si ponga R. Pessi, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione

dopo il Jobs Act, WP CSDLE, It. n. 282/2015, 14 s., secondo cui il tema della selezione delle

tutele andrebbe risolto «assumendo, per un verso, la disciplina del lavoro subordinato quanto ai profili amministrativi e previdenziali, in quanto strettamente connessi allo statuto protettivo e, quindi, alla ratio della sua estensione, per l’altro, quella del lavoro autonomo quanto ai profili gestionali, qui in ragione della persistente conferma della natura intrinseca del rapporto instaurato».

(15) In questo senso osserva A. Andreoni, La nuova disciplina per i collaboratori

eteroorganizzati: prime osservazioni, RDSS, 2015, 740, che «non si vede perché tale giudizio di

meritevolezza debba venir meno quanto a tutela previdenziale, laddove proprio le condizioni di necessitato non lavoro e di assenza di reddito meriterebbero una identica (se non maggiore) copertura data l’urgenza e la pregnanza del bisogno da tutelare». Nello stesso senso anche A. Sgroi, op. cit.

(16) Molto esplicitamente S. Ciucciovino, Le «collaborazioni organizzate dal committente» nel

confine tra autonomia e subordinazione, RIDL, 2016, 3, I, 321 ss., secondo cui «l'assoggettamento al

potere organizzativo altrui in una relazione di potere anziché di mercato è circostanza che determina l'applicazione della disciplina sostanziale del lavoro subordinato (nei limiti sopra indicati), ma è giuridicamente irrilevante ai fini previdenziali dove operano differenti criteri di delimitazione del regime assicurativo applicabile». Nello stesso senso, M. Persiani, Note sulla

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Ancora, non è mancato chi aveva prudentemente espresso posizioni di carattere dubitativo(17), auspicando interventi salvifici del legislatore o degli enti

preposti, che sarebbero però arrivati solo sotto forma di brevi accenni (almeno fino a tempi recenti, come vedremo), ed è stato anche di recente ribadito che tali dubbi non possono dirsi superati neppure alla luce della successiva evoluzione giurisprudenziale, che pure ha certamente munito l’interprete di preziose indicazioni (18).

Tale pluralità di orientamenti, del resto, si inseriva originariamente all’interno di un contesto nel quale la fattispecie e gli effetti della collaborazione

ex art. 2 erano oggetto di assolute incertezze, in assenza di qualsiasi indicazione

giurisprudenziale, sicché è il caso di dire che era possibile sostenere “tutto e il contrario di tutto”, senza timore di particolari smentite.

In effetti, in un ordinamento lavoristico come il nostro, basato sul binomio fattispecie-effetti(19) e caratterizzato da tempo dalla nota “crisi” della

propria fattispecie fondamentale(20) –“crisi” che aveva peraltro anticipato

tendenze poi comuni a tutto il diritto privato(21) – l'art. 2 presentava una latente

ambiguità di fondo: da un lato, quale norma anti-elusiva o rimediale (imperniata soprattutto sul comma 1), essa tendeva ad agevolare la regolarizzazione del “falso” lavoro autonomo, attraverso la valorizzazione di indici già adoperati dalla giurisprudenza, insistendo quindi su una fenomenologia di rapporti

‘Ciclofattorini’ e previdenza sociale dopo la legge n. 128/2019: riflessioni alla luce della recente giurisprudenza, MGL, 2020, n. 2, 59 ss.

(17) A. Perulli, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal

committente, WP CSDLE, It. n. 272/2015, 14 s., secondo cui «Non è affatto chiaro, inoltre, se

anche la disciplina previdenziale/assistenziale ed amministrativa relativa al rapporto di lavoro subordinato venga ricompresa nell’estensione, ovvero, trattandosi di rapporti aventi natura autonoma, permanga vigente, sotto questi profili non strettamente attinenti alla “disciplina del rapporto” il diverso regime previdenziale/assistenziale del lavoro parasubordinato».

(18) A. Tursi, La disciplina del lavoro etero-organizzato: tra riqualificazione normativa del lavoro

subordinato, tecnica rimediale, e nuovo paradigma di protezione sociale, LDE, 2020, 1, 15, secondo cui

tuttora non è chiaro se l’art. 2 «abbia inteso estendere ai collaboratori “etero-organizzati” l’intera disciplina del lavoro subordinato, comprensiva delle norme di tutela che presuppongono l’assoggettamento al potere datoriale di etero-direzione della prestazione lavorativa, nonché di quella previdenziale; o se invece miri a disegnare una sottocategoria di lavoratori autonomi ai quali il diritto del lavoro si applica cum grano salis […] mentre il diritto previdenziale continuerebbe ad applicarsi secondo i propri e specifici criteri di imputazione».

(19) R. Pessi, Fattispecie ed effetti nel diritto del lavoro, in Contratto di lavoro e organizzazione, I,

Contratto e rapporto di lavoro, a cura di M. Martone, in Trattato di diritto del lavoro, IV, diretto da M.

Persiani - F. Carinci, Cedam, 2012, 53 ss.; M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, 2010, 29 s.

(20) Aa. Vv., Le trasformazioni del lavoro. La crisi della subordinazione e l'avvento di nuove forme

di lavoro, Franco Angeli, 1999.

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meritevoli di vedersi applicata a pieno titolo la disciplina del lavoro subordinato nella sua interezza; dall'altro, quale norma di carattere regolativo (imperniata sulle deroghe di cui al comma 2 e in primo luogo su quella affidata alla contrattazione collettiva), l'art. 2 mirava a incentivare – archiviata l'esperienza del lavoro a progetto – una regolamentazione del lavoro autonomo economicamente dipendente, ma genuino, ritagliata “su misura” da parte degli attori sindacali, insistendo così su una fenomenologia di rapporti rispetto alla quale l’intento del legislatore era verosimilmente quella di mantenere ferma l’applicazione del preesistente pluralismo dei regimi previdenziali.

Se non ché, per dirla alla Bobbio(22), entrambe tali funzioni difficilmente

potevano convivere all'interno di una medesima struttura, sicché il tema dello statuto previdenziale dei collaboratori etero-organizzati risultava irrisolto e irrisolvibile, al pari della generale questione relativa alla natura giuridica di tale collaborazione e all’individuazione delle tutele a essa applicabili.

4. Una possibile lettura alla luce delle novità giurisprudenziali del 2019-2020

Come noto, all’esito di una delle vicende giudiziarie che ha avuto il maggior risalto negli ultimi anni, la Cassazione(23) ha fornito importanti

indicazioni in merito alla natura della collaborazione etero-organizzata, stabilendo che l’art. 2 (oltre a non essere affatto una “norma apparente” priva di contenuto innovativo(24)) ha la finalità di estendere le tutele del lavoro

subordinato a rapporti di lavoro (autonomo) «ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione», senza dare vita ad alcun un tertium genus tra l’autonomia e la subordinazione (come aveva ritenuto la Corte d’Appello di Torino(25), sebbene

a fini che sembravano soprattutto descrittivi(26)). Secondo la Cassazione, si tratta

semplicemente di collaborazioni autonome cui la legge ricollega la disciplina del lavoro subordinato in presenza dei caratteri previsti dall’art. 2 (continuità,

(22) Nel senso fatto proprio da una da una delle voci dottrinali che meglio ha saputo

leggere le complesse dinamiche della “zona grigia” (F. Martelloni, Lavoro coordinato e

subordinazione. L’interferenza delle collaborazioni a progetto, Bononia University Press, 2012, spec. 17,

nt. 7).

(23) Cass. 24 gennaio 2020, n. 1663, tra l’altro RIDL, 2020, I, 1, 49 ss., nt. M.T. Carinci.

(24) Come era stato sostenuto dal Tribunale in primo grado (Trib. Torino 7 maggio

2018, n. 778, RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, nt. Ichino, Subordinazione, autonomia e protezione del

lavoro nella gig-economy), sulla scorta di una pur autorevole voce dottrinale.

(25)App. Torino 4 febbraio 2019, n. 26, in Boll. ADAPT, 2019, n. 27.

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personalità, etero-organizzazione) e non avrebbe neppure troppo senso lambiccarsi e chiedersi se tali forme di collaborazione siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché «ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina».

Per quanto attiene la dimensione previdenziale, già la Corte d’Appello (che pure aveva ritenuto di selezionare le tutele applicabili, escludendo quelle in materia di licenziamenti), aveva per così dire “buttato lì” una propria risposta, laddove aveva ritenuto che «il lavoratore etero-organizzato resta, tecnicamente, “autonomo” ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza(27), il rapporto è regolato nello

stesso modo».

Nel “bacchettare”, sia pure per obiter dicta, la tesi dell’estensione selettiva delle tutele, la Cassazione ha fatto proprio il suddetto richiamo alla dimensione previdenziale, precisando inoltre che «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata

ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici», con ciò fornendo – ad

avviso di chi scrive – un ulteriore argomento nel senso della piena applicazione della disciplina previdenziale del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate.

Ci dice tuttavia la Corte (all’ormai famigerato punto 41) che «Non possono escludersi situazioni in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094», dovendosi quindi valutare il rinvio di cui all’art. 2 come un rinvio integrale con il solo limite della compatibilità, dal che la necessità di effettuare di conseguenza uno scrutinio di compatibilità tra i diritti e i doveri propri del lavoratore subordinato e la peculiare posizione giuridica del collaboratore etero-organizzato, in modo da individuare le norme “incompatibili” e dunque inapplicabili(28).

Chi scrive ha sostenuto altrove che, in questa prospettiva, dovrà trovare applicazione l’intero «statuto protettivo» del lavoro subordinato – comprensivo

in primis della disciplina in materia di licenziamenti, ma anche delle tutele

previdenziali – mentre non potranno trovare applicazione quelle norme (si pensi

(27) Enfasi dello scrivente.

(28) In questo senso si era già posto U. Carabelli, Il d.lgs. n. 81/2015. Introduzione, RGL,

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agli artt. 2104 e 2105 c.c.) che limitano l'autonomia del collaboratore o lo sottopongono a un potere disciplinare o di controllo che eccede quello riconosciuto a qualsiasi creditore(29).

Prescindendo da questo ultimo profilo, che non inerisce direttamente all’oggetto del presente contributo, l’applicazione della disciplina previdenziale del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate può essere oggi più persuasivamente sostenuta.

Nella logica dell’estensione integrale delle tutele, con il solo limite della (in)compatibilità, risulta difficile sostenere che la disciplina previdenziale del lavoro subordinato sia ontologicamente incompatibile con la posizione giuridica del collaboratore etero-organizzato.

Ma anche ragionando nella prospettiva dell’estensione selettiva delle tutele, l’applicazione della disciplina previdenziale del lavoro subordinato pare coerente con la ratio di tutela unanimemente riconosciuta all’art. 2, non potendosi negare – ad avviso di chi scrive – che essa costituisca un importante tassello dello «statuto protettivo» del lavoro subordinato, che reagisce a uno stato di «bisogno» comune a subordinati ed etero-organizzati(30), potendosi così

rilevare che l’estensione delle tutele previdenziali è la risposta a quella «precisa istanza sociale» raccolta dal legislatore del 2015(31), sbandierata anche come

eliminazione di impopolari forme di lavoro precario(32).

Non mi pare persuasivo l’argomento contrario, pure autorevolmente proposto, che fa leva sul carattere inderogabile e indisponibile del regime previdenziale, che esclude la possibilità di deroghe o modulazioni ad opera dell’autonomia collettiva(33). Tale argomento certamente depone nel senso che

le collaborazioni etero-organizzate non rientrano nella (e non estendono la) fattispecie della subordinazione e in questo senso esso era stato utilizzato anche

(29) G. Cavallini, Le nuove collaborazioni “etero-organizzate”: cosa cambia dopo la riscrittura

dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015 (e la Cassazione sul caso Foodora), giustiziacivile.com, 12 febbraio 2020.

(30) Ancora A. Andreoni, op. cit., 740.

(31) Nel senso individuato da A. Zoppoli, La collaborazione eterorganizzata: fattispecie e

disciplina, WP CSDLE, It. n. 296/2016, 24.

(32) Annulliamo cococo, cocopro e quella roba lì, intervista a Matteo Renzi, La Repubblica, 30

novembre 2014.

(33) S. Ciucciovino, op. cit., secondo cui nella disciplina del lavoro subordinato estesa

ex art. 2 «non possono quindi intendersi compresi anche gli obblighi assicurativi ed i trattamenti

previdenziali che diverrebbero, in tal modo, assolutamente derogabili. Assoluta derogabilità che, se è concepibile per i trattamenti economici e normativi che sono compresi nell'ambito proprio dei poteri regolativi dell'autonomia collettiva e sul presupposto che questa appresti trattamenti sostitutivi di quelli legali, è inconcepibile per i trattamenti previdenziali che non rientrano nella disponibilità né nei poteri regolativi delle parti collettive».

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da altri(34). L’obiezione non pare però spendibile una volta che si parta dal

presupposto che la collaborazione ex art. 2 rimane, dal punto di vista tipologico, una collaborazione autonoma cui tuttavia (in assenza di appositi interventi della contrattazione collettiva ex art. 2, comma 2) si applica la disciplina del lavoro subordinato. Se così è, tale contrattazione collettiva, a ben vedere, non effettua alcuna deroga a una disciplina che sarebbe applicabile direttamente e de plano, ma si limita a impedire, in via preventiva, l’applicazione di una disciplina che sarebbe altrimenti applicabile in via mediata (cioè in forza del rinvio ex art. 2) e suppletiva (potendosi quindi parlare di contrattazione “in deroga”(35) solo in

senso atecnico e descrittivo).

Più insidiosa la diversa obiezione, che potrebbe essere mossa dal quisque

de populo, per cui nella prospettiva che si è tentato di sostenere il collaboratore

etero-organizzato avrebbe eguali diritti, ma minori doveri rispetto a un subordinato

tout court, e ciò anche – profilo non secondario – sul piano fiscale, se si

considerano i considerevoli vantaggi goduti dai titolari di partita IVA che si trovano nel regime c.d. forfetario(36).

Anche tale argomento, non privo di un certo pregio, non risulta però sufficientemente persuasivo. Innanzitutto, occorre tener bene a mente che il fatto che quegli eguali diritti il collaboratore etero-organizzato deve pur sempre rivendicarli, eventualmente imbarcandosi nel tunnel del processo civile, posto che come noto oggi nella pratica del mercato del lavoro non vi è traccia di rapporti di lavoro che nascano ab origine come rapporti di lavoro etero-organizzato ex art. 2 con applicazione diretta della disciplina del lavoro subordinato(37).

In ogni caso, un’eventuale disparità di trattamento a vantaggio del collaboratore etero-organizzato, quand’anche censurabile in una prospettiva di

(34) A. Perulli, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate cit., 14

s., secondo cui anzi le deroghe di cui al comma 2 costituiscono “l’indizio decisivo” a favore della riconduzione del lavoro etero-organizzato al mondo del lavoro autonomo. In senso adesivo, A. Zoppoli, op. cit., 27.

(35) L. Imberti, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla disciplina delle

collaborazioni organizzate dal committente, DRI, 2016, 2, 393 ss.

(36) Tanto più che a partire dall’anno di imposta 2019 il tetto per l’accesso al regime

forfetario è stato elevato a 65.000 Euro annui (art. 1, commi 54 ss., l. n. 190/2014, come modificato dalla l. n. 145/2018), un valore sostanzialmente in linea con i minimi tabellari previsti dai CCNL dirigenziali.

(37) Semmai, come dimostrano il caso dei call center (Trib. Roma 6 maggio 2019) e,

più di recente, quello del CCNL Rider UGL-Assodelivery, esistono rapporti che nascono ab

origine come collaborazioni coordinate e continuative potenzialmente etero-organizzate ma

rientranti – quantomeno nella prospettiva del committente – nella deroga di cui all’art. 2, comma 2, lett. a), stante l’applicazione di appositi contratti collettivi “in deroga”.

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politica del diritto, è del tutto irrilevante dal punto di vista tecnico-giuridico, trattandosi tuttalpiù di una contraddizione esclusivamente ideologica, nel senso kelseniano del termine, da che il monito a non considerare «impossibile dal punto di vista logico-giuridico» un’interpretazione del dato normativo che «nel caso concreto è solo inopportuna dal punto di vista politico-giuridico secondo il giudizio di chi applica il diritto»(38).

5. Le ricadute pratiche dell’estensione

La conclusione per cui alle collaborazioni etero-organizzate trova applicazione la disciplina previdenziale del lavoro subordinato è stata da ultimo ribadita, e finalmente corredata di importanti indicazioni operative, in una recentissima circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro(39), nella quale si

chiariscono opportunamente alcuni importanti effetti pratici di tale estensione. Occorre peraltro rilevare – profilo questo non affrontato dalla circolare – che stante la natura “transtipica”(40) della collaborazione ex art. 2, tali effetti non

possono non risentire del diverso statuto previdenziale in cui è formalmente e in prima battuta inquadrato il collaboratore, che potrebbe essere, sulla carta, un co.co.co. (41), un collaboratore occasionale(42) o un titolare di partita IVA(43),

con tutte le conseguenze quanto alla diversa disciplina previdenziale e fiscale applicabile in prima battuta.

Ovviamente, un primo effetto dell’estensione è che in relazione ai rapporti di collaborazione etero-organizzata è dovuta la contribuzione sociale negli stessi termini previsti per i lavoratori dipendenti, e dunque, «secondo il

(38) H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934), trad. it. di R. Treves (1952),

Einaudi, 2010, 130.

(39) Circolare 30 ottobre 2020, n. 7.

(40) M.T. Carinci, op. cit., p. 49 ss., sulla scorta degli orientamenti maturati in relazione

alla collaborazione ex art. 409, n. 3, c.p.c.

(41) E dunque un lavoratore iscritto alla Gestione Separata INPS (art. 2, comma 26 e

ss., l. n. 335/1995), con previsione di obblighi contributivi (aliquota oggi al 34,23%) ripartiti per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a proprio carico, con assimilazione fiscale dei relativi redditi al regime dei redditi da lavoro dipendente.

(42) Per i quali ai sensi dell’art. 44, comma 2, d.l. n. 269/2003 (convertito in l. n.

326/2003), l’obbligo di iscrizione alla gestione separata scatta solo qualora il reddito annuo derivante da tali attività sia superiore ai 5.000 Euro, sicché sotto quella soglia la contribuzione non è dovuta ma il committente, quale sostituto d’imposta, effettua una trattenuta del 20%, a titolo di acconto Irpef.

(43) E dunque un lavoratore iscritto alla Gestione Separata INPS, con contribuzione

interamente a proprio carico (aliquota oggi al 25,72%) e con la possibilità di optare per il regime fiscale forfetario ovvero per il regime ordinario dei redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni.

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criterio generale dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi leader (art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989), applicando le aliquote previste per i lavoratori subordinati dal Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti», con lo scontato corollario che trovano applicazione anche le sanzioni previste per l’omissione contributiva (art. 116, comma 8 lett. a), l. n. 388/2000).

Viene tuttavia precisato che, come del resto avviene in caso di riqualificazione in termini di lavoro subordinato di rapporti ex art. 409, n. 3, c.p.c., devono essere scomputati i contributi versati presso altra gestione previdenziale.

Questione spinosa, non direttamente affrontata dalla circolare, è se anche il lavoratore risponda dell’omesso versamento dei contributi, per la parte di propria spettanza, potendosi per il momento rispondere alla questione solo facendo presente che nella prassi l’INPS ben di rado rivolge le proprie pretese ai singoli.

Viene poi precisato, profilo per nulla scontato, che «Ai lavoratori etero-organizzati vanno, inoltre, applicate le tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro (ad es. la NASPI), l’indennità di malattia, l’indennità di maternità e gli assegni al nucleo familiare nella misura riconosciuta ai lavoratori subordinati» e che «ai lavoratori verrà estesa la tutela dell’automaticità delle prestazioni propria del FPLD».

Si tratta di precisazioni per nulla scontate e anzi sorprendenti, su cui occorrerà probabilmente attendere le determinazioni del soggetto pagatore (vale a dire l’INPS, che potrebbe essere indispettita dalla “promessa del fatto del terzo” formulata dall’INL).

L’ente previdenziale potrebbe infatti trovarsi a fare i conti con richieste di pagamento di indennità di ammontare considerevole (si ricorda che la NASPI dura fino a 24 mesi) in relazione a rapporti per cui potrebbe non essere stata versata alcuna contribuzione (come nel caso dei rapporti di collaborazione occasionale) ovvero versata una contribuzione complessiva inferiore a quella dovuta (come in caso di rapporti a partita iva), rispetto ai quali il recupero della contribuzione omessa potrebbe rivelarsi estremamente difficoltoso, nonostante l’obbligo di provvedere al pagamento dell’indennità in virtù del principio di automaticità.

Meno problematico, probabilmente, il caso dei collaboratori coordinati e continuativi, rispetto ai quali si sono ormai fortemente ridotti i differenziali

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sulle aliquote contributive(44), che negli anni ’90 del secolo scorso avevano

determinato l’esplosione della figura, spesso in chiave elusiva(45).

Del resto, rispetto a questi ultimi, la giurisprudenza aveva già da qualche tempo esteso l’applicabilità di istituti previdenziali tipici del lavoro subordinato, riconoscendo che essi condividono con i subordinati l’assenza di «una posizione attiva nel determinismo contributivo»(46) e hanno diritto ad alcune importanti

tutele previdenziali (come il principio di automaticità(47) o i rimedi in materia di

omissione contributiva(48)).

Dovrebbe quindi ritenersi superato l’orientamento, legato al solo inquadramento formale, per cui, in materia di disoccupazione, spetterebbe la Dis-Coll agli etero-organizzati inquadrati come co.co.co. e iscritti alla gestione separata, mentre nulla spetterebbe agli etero-organizzati inquadrati come collaboratori occasionali (e dunque “sconosciuti” all’INPS)(49) né ai titolari di

partita iva.

Esulano invece dal problema gli iscritti alle casse professionali, stante l’espressa esclusione di cui all’art. 2, comma 2, lett. b), esclusione che pure pone a questo punto rilevanti criticità in punto di ragionevolezza, complice la lacunosità del sistema di protezione sociale delle professioni ordinistiche(50),

tanto più avvertita in questi tempi difficili.

Venendo all’attualità, e portando alle estreme conseguenze il ragionamento presupposto dalla circolare, si dovrebbe anche concludere che i

(44) V. Filì, Stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con

rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo,

a cura di G. Zilio Grandi - M. Biasi Cedam, 2018, 355, osserva che «lo scarto tra i costi della subordinazione e quelli della parasubordinazione nel 1996 era di circa trenta punti percentuali […] dopo ventuno anni, il delta si è ridotto a meno di dieci punti percentuali, incidendo in modo decisivo sulla ‘convenienza’, sotto il profilo degli oneri sociali, delle co.co.co. rispetto al lavoro subordinato». Di armonizzazione dei regimi parla M. Faioli, La peri-subordinazione, in

gruppoarealavoro.it, 31 gennaio 2016.

(45) G. Santoro Passarelli, Opinioni sul lavoro a progetto, DLRI, 2006, 2, 389.

(46) C. cost. 19 gennaio 1995, n. 18, D&L, 1995, n. 3-4, II, 327, nt. V.M. Marinelli.

(47) Estesa ai collaboratori da Trib. Monza 28 settembre 2017, n. 385; App. Milano 19

ottobre 2015, n. 653, entrambe inedite a quanto consta; Trib. Bergamo 12 dicembre 2013,

RIDL, 2014, 2, II, 439, nt. Canavesi.

(48) Esperibili da parte dei collaboratori secondo App. Milano 31 gennaio 2017, n. 32,

inedita a quanto consta; Trib. Bergamo 23 dicembre 2013, n. 941; Cass. 26 agosto 2003, n. 12517, DJ.

(49) In questo senso mi sembra si ponga R. Di Meo, op. cit., spec. 54 ss.

(50) Da ultimo D. Mesiti, Le modifiche in materia previdenziale contenute nella legge di riforma

del lavoro autonomo, LG, 2017, 7, 622; R. Salomone, Deleghe al Governo in materia di atti pubblici rimessi alle professioni organizzate in Ordini e Collegi, sicurezza e protezione sociale (e relative procedure di adozione), in Il jobs act del lavoro autonomo, a cura di L. Fiorillo - A. Perulli, Giappichelli, Torino,

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collaboratori etero-organizzati abbiano titolo per ottenere i trattamenti di cassa integrazione con causale Covid-19(51), in caso di riduzione/sospensione delle

attività del committente, in luogo delle (minori) alternative indennitarie previste per i lavoratori autonomi (i.e. il Bonus 600 euro nelle sue varie forme(52)).

6. Una riflessione conclusiva

Da quanto esposto nei paragrafi che precedono deriva la singolare conseguenza che oggi molti (potenziali) collaboratori etero-organizzati potrebbero avere interesse all’accertamento del proprio status non tanto (o non solo) per avanzare rivendicazioni nei confronti del committente, ma anche e soprattutto per ottenere benefici di tipo previdenziale, indennità di disoccupazione in primis.

Pare ad oggi altamente improbabile una “corsa alle domande” nei confronti dell’INPS, anche considerata la necessità di un preliminare passaggio giudiziale per l’accertamento della sussistenza dei requisiti ex art. 2, giudizio nel quale peraltro dovrebbe essere chiamato in giudizio anche l’ente previdenziale(53).

Nell’immediato, però, soprattutto per i co.co.co., per i quali esiste già un “canale di contatto dedicato” con l’INPS (cioè il sistema telematico per la presentazione delle domande di Dis-coll), un’azione di accertamento della natura etero-organizzata del rapporto promossa (anche) nei confronti dell’INPS potrebbe portare il non trascurabile beneficio di (altri) 18 mesi di copertura reddituale (e soprattutto preziosa contribuzione figurativa per l’intero periodo), con la conseguenza che tra gli effetti forse imprevisti dell’art. 2 vi sarebbe anche una notevole estensione dell’esposizione debitoria dell’INPS.

A ben vedere, tale “rischio” in capo all’INPS è del tutto coerente con la

ratio di tutela sottesa all’intervento del legislatore del 2015, ed eventuali opposte

esigenze di bilancio, lungi dal poter muovere l’interpretazione del giurista,

(51) F. Scarpelli, Emergenza COVID-19: le conseguenze dell’emergenza per i lavoratori autonomi

e le misure di sostegno del d.l. 18/2020, in wikilabour.it, 23 marzo 2020, il quale tuttavia sottolinea

che «ove l’accertamento giudiziario giunga quando tali norme non siano più di fatto applicabili, come è probabile», sarà dovuto dal committente un equivalente risarcitorio.

(52) Sia consentito il rinvio a G. Cavallini, Lavoro autonomo e «previdenza dell'emergenza»:

teoria e prassi del “Bonus 600 €”, giustiziacivile.com, 14 luglio 2020.

(53) Da ultimo Cass. 21 settembre 2020, n. 19679, che ribadisce l’orientamento per cui

l’INPS è litisconsorte necessario ogniqualvolta il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro al pagamento di contributi omessi in favore dell’ente previdenziale.

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potrebbero rilevare solo come contingenza esterna di competenza del decisore politico(54).

L’importante, tanto più in tempi di crisi in cui i “tortellini” dell’INPS fanno gola, è che non si finisca per consentire, da un lato, «generose gratificazioni di ‘portoghesi’»(55), e negare, dall’altro, i “tortellini” a «non pochi

poveracci, che avevano veramente fame»(56).

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(54) Sul complesso tema del rapporto tra sostenibilità finanziaria e diritti sociali di

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(55) Secondo l’immagine a suo tempo utilizzata da L. Gaeta, Intervento sul tema: Il lavoro

e i lavori, LD, 1989, 217.

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