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Il Partenariato eurasiatico nelle Relazioni Esterne dell’UE

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Academic year: 2021

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Il partenariato eurasiatico nelle relazioni esterne dell’Ue

Massimo Bartoli*

L’Unione europea e l’Asia tra accordi commerciali, cooperazione allo sviluppo e partenariato

Solitamente i termini partenariato, cooperazione ed accordo vengono usati, in riferimento alle relazioni internazionali, in modalità alquanto fungibili e confuse. Si può tuttavia ragionevolmente affermare che l’elemento “cooperazione” specifica e caratterizza un accordo internazionale inserendo nello stesso elementi di politica e di ingegneria istituzionale a supporto dei fini e degli obiettivi ivi voluti dalle parti contraenti, mentre l’elemento “partneriato”, termine assai in auge dopo la Conferenza di Barcellona del 1995 (v.infra), evidenzia soprattutto il livello paritario assunto degli stipulanti.

Il c.d. partenariato euroasiatico si muove attualmente in quella che è stata definita una relationship di tipo triangolare, basata su di una visione triadica dei flussi mondiali di beni e servizi (1). Ciò sta a significare che se da un lato l’Europa può dirsi indissolubilmente legata agli Stati Uniti (ed al Giappone) attraverso un variegato network di relazioni ed il dialogo politico transatlantico, dall’altro l’Asia, soprattutto nella sua parte orientale, è a sua volta collegata agli Usa nel contesto della cooperazione APEC (v.infra) nonché agli enormi interessi del Giappone in tutta l’area.

Secondo questa teoria, la c.d. cooperazione euroasiatica opererebbe in modalità “anomale e frustrate” rispetto alle altre, contribuendo a ciò anche motivi culturali tipicamente asiatici, solitamente più propensi a preferire la democrazia americana od un’altra realtà regionale rispetto ai loro vecchi colonizzatori. Tuttavia, proprio in seguito alla crisi finanziaria del ’97, si sono probabilmente create le basi per un confronto più razionale con il vecchio continente, rinforzato anche grazie al recente sforzo europeo negli interventi umanitari seguiti alla catastrofe dello Tsunami.

La crescita economica dell’area del Sud-Est procede incessantemente fino alla metà degli anni ’90, soprattutto in Malesia, Corea del Sud, Filippine ed Indonesia, attraversando mutamenti sociali e culturali di entità straordinaria caratterizzati da generali processi di privatizzazione (soprattutto straniera) dei settori strategici della produzione, dalla progressiva riduzione dell’assistenza sociale e da un sincretismo culturale dovuto ai crescenti contatti con il Nord-Ovest del mondo. Nuove stratificazioni sociali, che si andarono ad aggiungere a quelle endemiche dovute ai tradizionali fondamentalismi di matrice culturale e confessionale, determinarono l’aumento dei movimenti

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migratori infra-regionali ed interregionali, a testimonianza dell’impatto di tale repentina aspirazione modernista.

Che l’Asia fosse ormai fortemente globalizzata lo si intuì intorno al 1997, anno della conclamata crisi economico-finanziaria iniziata in Giappone e poi propagatasi nell’intera regione e quindi nei mercati internazionali.

Grafico 1: GDP annuo dei paesi ASEAN nel 1996-2002. Fonte Eurostat

Il Grafico 1 mostra l’entità della crisi (relativamente al 1998) nei volumi del Gross Domestic Product (GDP) dell’area ASEAN (v. infra); fu questa la prima “doccia fredda” sull’euforica crescita asiatica, sostanziatasi in una forte recessione dovuta essenzialmente a bolle deflattive determinate dalla sovraesposizione bancaria locale rispetto ai creditori esteri, unita alla facilità di elargizione del credito verso le imprese locali, spesso senza le dovute cautele e garanzie. La globalizzazione fece si che anche le banche straniere, che erano solite offrire prestiti ad un tasso inferiore di quelle locali (queste, tenendo il tasso di sconto molto alto, non fecero altro che accentuare la bolla speculativa),vennero coinvolte nella crisi, trovandosi spesso inutili creditori di interi sistemi statali (molte imprese locali erano infatti a fortissima partecipazione pubblica) con i forzieri ormai vuoti ed intenti ad acquistare valuta estera per tentare di salvare il salvabile (con le valute locali che nel frattempo subirono svalutazioni anche per gli attacchi da parte di grossi finanzieri internazionali).

L’intervento delle organizzazioni internazionali non riuscì ad arginare il disastro nel 1997 e nel 1998, ed il Fondo Monetario Internazionale divenne il principale finanziatore di interi sistemi nazionali, tanto che alcuni leaders locali hanno spesso usato l’espressione “neo-colonialismo” per denunciare quelli che, a parer loro, erano veri e propri tentativi di “imporre politica” da siffatta sede. Il Fondo ha effettivamente erogato cospicui prestiti, ma non ha mancato di chiedere ulteriori riduzioni del welfare state unitamente all’adozione di politiche contro la corruzione e l’inefficienza del sistema produttivo locale. La ripresa non si è fatta attendere e già nel 1999 (3) il “miracolo

ASEAN Annual GDP (bilions of euro)

7,3 4,1 -7,1 3,6 5,5 2,8 4,5 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

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asiatico” tornava ad essere una espressione alquanto in voga (come si evince dai valori nel Grafico 1).

E’ proprio in questo scenario che l’Europa ha posto le basi per la sua nuova politica estera di cooperazione internazionale allo sviluppo, risentendo indubbiamente della “vocazione economica” caratterizzante l’intera area e dell’intera congiuntura internazionale, privilegiando altresì una programmazione incentrata sull’implementation degli elementi del dialogo politico, della crescita tecnica e dell’interscambio nel settore culturale.

Va qui ricordato come l’obiettivo generale della cooperazione internazionale dall’Unione Europea (4) sia innanzitutto quello di incoraggiare uno sviluppo sostenibile che favorisca l'eliminazione della povertà nei paesi in via di sviluppo e la loro integrazione nell'economia mondiale, nonché di contribuire al consolidamento del sistema democratico e dello stato di diritto soprattutto attraverso la promozione del rispetto e tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali

Tuttavia, nella percezione comune europea, il termine cooperazione(5) viene raramente associato ai rapporti intercorrenti tra Europa ed Asia, dato un inconscio automatismo che proietta tale concetto verso soggetti regionali tipici dell’Africa subsahariana o dell’America Latina, dove l’intervento europeo si è per lungo tempo ben coniugato con aiuti allo sviluppo ed iniziative di tipo umanitario. Naturalmente si tratta di un fatto puramente culturale, una sorta di percorso quasi obbligato e probabilmente originato da una ben radicata forma mentis che affonda le proprie radici anche nella secolare tradizione “missionaria” cattolico-europea, capace a suo tempo di creare e di consolidare poi ampi itinerari cooperativi in tali zone, uniti ad azioni e programmi che hanno poi assunto sistematica regolarità.

La cooperazione euroasiatica è un fenomeno recente, dovuto essenzialmente all’affermarsi delle Comunità europea come soggetto di diritto internazionale, al suo progressivo recepimento dei principi ispiratori della Carta delle Nazioni Unite nonché, in seno alla propria giurisprudenza e nelle fondamentali linee d’azione in politica estera,, all’allargamento della categoria dei diritti civili ed al continuo perfezionamento del riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Inizialmente la storia dei rapporti euroasiatici del XX° secolo ricalca infatti i tipici tratti degli accordi di tipo commerciale, atti che lentamente andranno ad includere quegli elementi tipici che oggi potremmo definire i “principi basilari” della cooperazione internazionale e del partenariato interregionale.

*Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Scienze Politiche, tutor ed assistente alla didattica in Diritto dell’Unione europea e Diritto internazionale

1) In WIESSALA,G., The European Union and Asian Counties, Ed. Sheffield Academic Press, London-New York, 2002

2) Relativamente al “miracolo asiatico”, tale espressione è solitamente associata alla forte espansione di tutti quei paesi del Sud-Est che, sin dagli anni ‘60, hanno registrato una fortissima crescita economica dovuta essenzialmente al rapido processo di modernizzazione cominciato all’indomani della loro decolonizzazione. Quelle che furono ben presto soprannominate Tigri Asiatiche, dei veri e propri avamposti occidentali nello scacchiere geopolitico della Guerra

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Fredda, beneficiarono innanzitutto di un consistente aiuto tecnico e finanziario da parte dell’Occidente, interessato ad ingenti investimenti in un’area potenzialmente ricca di sviluppo. Il basso costo della manodopera locale permise immediatamente di ottenere un’alta competitività nell’export, mentre il mercato interno delle realtà asiatiche rimaneva ancora fortemente caratterizzato da politiche iper-regolative, tanto che i consumi interni non costituivano una fetta significativa dei PIL locali.

3) Il FMI ravvisò una crescita del 44% del GDP asiatico nel 1990-95, mentre la Banca Mondiale stimò, relativamente all’anno 2000, che circa la metà della crescita economica mondiale proveniva dal Sud-Est asiatico. In WIESSALA, G, op. cit.

4) Le origini della cooperazione europea allo sviluppo risalgono al regime speciale (v. art.182-188 della parte IV del TCE) sancito nel rapporto di associazione alla Comunità dei paesi e territori d'oltremare, i c.d. PTOM (l’allegato II del TCE contiene l’elenco di tali paesi, mentre l’art.182 elenca gli Stati membri che mantengono “relazioni particolari” con i PTOM), rapporto definito sin dal momento della costituzione della Cee nel 1957. Molti di questi paesi ottennero poi l'indipendenza durante il decennio successivo, per cui era nel comune interesse delle parti proseguire ogni collaborazione in un quadro di accordi sempre più perfezionati che assunse la forma delle due successive convenzioni di Yaoundé (1963 e 1969). All’indomani dell'adesione alla Comunità del Regno Unito, avvenuta nel 1973, si rese inoltre necessario un ulteriore adeguamento del quadro generale di cooperazione, tenuto anche conto del significativo aumento del numero degli Stati interessat. Tale tendenza generale si concretizzò, nella sua forma più nota, con la firma della prima convenzione di Lomé (1975) avente ad oggetto il partenariato con paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), le cui successive omonime convenzioni crearono la base concettuale del celebre accordo di Coutonou nel 2000. Tale nuovo accordo di partenariato tra l'Unione europea e i paesi ACP, firmato il 23 giugno 2000 a Cotonou, capitale del Benin, poggia su cinque pilastri che sintetizzano il perfezionamento della strategia cooperativa dell’Unione su scala globale. Innanzitutto il dialogo politico permanente è inteso a prevenire lo scoppio di crisi, per evitare di dover ricorrere alla clausola di condizionalità, cioè alla sospensione della cooperazione in caso di mancato rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e dello Stato di diritto. Anche la buona gestione della cosa pubblica è oggetto di un dialogo regolare. La partecipazione della società civile e dei soggetti economici e sociali è favorita da alcune disposizioni di moderna concezione inserite nel nuovo accordo, in particolare al fine di incoraggiare l'informazione e l'associazione delle organizzazioni non governative all'attuazione dei progetti. L'obiettivo centrale del nuovo partenariato è costituito dalla riduzione della povertà, proponendosi un approccio integrato allo sviluppo in modo da garantire la complementarità tra le dimensioni economiche, sociali, culturali e istituzionali. In generale l’Unione europea è giunta a rappresentare il principale partner dei paesi in via di sviluppo, in termini di aiuti, scambi commerciali e investimenti diretti, visto che la Comunità e gli Stati membri forniscono congiuntamente più della metà dell'intero aiuto internazionale ufficiale allo sviluppo. In particolare nel continente asiatico i conferimenti dell’Unione relativamente al 1999 sono risultati secondi solo al Giappone, ammontando ad un totale di 4,8 miliardi di dollari, con programmi comunitari di aiuti allo sviluppo cominciati negli anni ‘70, (dapprima di modesta entità ed in seguito sempre più sostanziosi), simultaneamente a quelli rivolti verso l’America Latina ed i Paesi Terzi del Mediterraneo. Per ulteriori approfondimenti in materia si rimanda al sito della Commissione europea http://ec.europa.eu relativamente alla sezione external relations.

5) Nonostante gli inizi della politica comunitaria in materia di sviluppo risalgano all’atto costitutivo di Roma, è solamente dopo l'entrata in vigore del Trattato sull'Unione europea del 1992 che è stato ravvisato un fondamento giuridico specifico a supporto della cooperazione comunitaria allo sviluppo, precisamente negli articoli 177-181 del Trattato che istituisce la Comunità europea, con una vasta gamma di strumenti giuridici e finanziari a tal fine previsti. Per quanto riguarda gli strumenti giuridici, la CE utilizza due diverse tipologie di interventi, uno di tipo convenzionale e l’altro di tipo unilaterale. Il primo si basa sulla conclusione di accordi internazionali, in particolare di associazione, sia multilaterali, nella misura in cui affiancano alla Comunità un certo numero di controparti (si veda ad esempio le convenzioni di Lomé), sia bilaterali, nel caso in cui riguardino invece le relazioni tra la Comunità ed un paese specifico, come previsto dall’articolo 310 del TCE. I fondamenti del secondo risiedono essenzialmente nella possibilità comunitaria di stabilire appositi programmi pluriennali di cooperazione allo sviluppo (art.179 TCE) non confliggenti con le finalità della politica commerciale comune (Tit. IX TCE). Uno strumento essenziale di tale approccio è costituito dal sistema di preferenze generalizzate (SPG), ideato innanzitutto per facilitare l'ingresso nel mercato comunitario dei prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo

Lo strumento finanziario generale per l’attuazione delle politiche in oggetto è costituito dal bilancio comunitario; da questo scaturiscono gli stanziamenti dedicati alla cooperazione allo sviluppo seguendo un duplice approccio. Il primo può definirsi un approccio di tipo geografico ed è ripartito sulle tre zone del bacino del Mediterraneo, dell’Asia e America latina e quindi dell’Africa del sud. L'aiuto viene in tale eventualità conferito sotto forma di prestiti a fondo perduto ed è di norma usualmente orientato alla cooperazione finanziaria, tecnica ed economica. La seconda tipologia di approccio può definirsi come a carattere tematico (o settoriale) ed è basata sull’appartenenza dei beneficiari a specifiche e prestabilite linee di bilancio di tipo settoriale; il suo raggio d’azione è inoltre piuttosto vasto, potendo potenzialmente interessare tutte le regioni del mondo. I settori prioritari sono il soccorso alimentare, l'aiuto umanitario e, non ultima, la cooperazione con le ONG.

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