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Progettazione e sviluppo di interventi di risparmio energetico su beni di proprieta' comunale.

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Academic year: 2021

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(1)

Un grosso grazie va a tutti

coloro che mi hanno

seguito e sostenuto

durante questo lungo e

non facile percorso, ma

che è giunto oggi a

conclusione, e che mi apre

un nuovo cammino!

Avrei voluto foste qui

anche Voi oggi, che tanto

ci tenevate!

(2)

Interventi di

risparmio

energetico su

immobili di

proprietà

comunale

22 febbraio

2012

"Nell'ambito degli impianti

fotovoltaici la tesi si sviluppa sul tirocinio svolto presso la sede comunale di Mazara del Vallo (Tp) e orientato a progettare e

sviluppare degli interventi di risparmio energetico su beni immobili di proprietà comunale, come scuole, asili, sedi sportive, ed altri edifici che in sede di analisi sono stati ritenuti idonei allo scopo sopracitato, partendo da un ampio excursus sull'approccio globale alla controversia Ambiente-Sviluppo, che vede protagonisti i Paesi di maggiore caratura politica ed economica, e giungendo all'approccio abbracciato dalla piccola realtà locale siciliana di Mazara del Vallo"

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Abstract

Il lavoro svolto rappresenta un modo innovativo, e "rinnovabile" di rivolgere l'attenzione al Mondo che oggi viviamo, colpito dal forte ed imminente problema dei "cambiamenti climatici" e dalla controversia "ambiente-sviluppo", che trova sfogo in tante tappe, normative, e sedi di discussione internazionali e nazionali, ma che nel concreto è compito, soprattutto, delle piccole realtà locali tentare di risolvere con un forte contributo.

Nel caso specifico, il comune di Mazara del Vallo si è posto l'obiettivo di progettare e sviluppare

interventi di risparmio energetico riguardanti i beni immobili comunali, con lo scopo di portare a zero le spese energetiche da essi derivanti. Tali interventi prevedono l'applicazione di impianti fotovoltaici sui siti, censiti, e ritenuti idonei, dei quali si riporta una analisi costi-benefici oltre a

indicazioni, esplicazioni, strumenti e metodi consigliati attinenti al contesto e allo scopo da raggiungere, risparmio energetico, giungendo ad opportune conclusioni e ad inevitabili riflessioni.

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INDICE

Introduzione

Capitolo 1

:

"Lo Sviluppo Sostenibile"

1.1) "Controversia Ambiente - Sviluppo"

1.2) "Le quattro componenti della Sostenibilità" 1.3) "Come nasce il concetto di Sviluppo Sostenibile" 1.4) "Un pò di storia"

1.5) "Evoluzioni del concetto di Sviluppo Sostenibile" 1.6) "Sviluppo Sostenibile: Conclusioni e critiche"

Capitolo 2:

"Le tappe fondamentali in ambito internazionale: Dal Rapporto

Brundtland al Protocollo di Kyoto"

2.1) "Il Rapporto Brundtland: la prima definizione di Sviluppo Sostenibile" 2.2) "Agenda 21: Rio de Janeiro (1992) e Johannesburg"

2.3) "Struttura del programma d'azione e concetti chiave" 2.4) "Agenda 21 locale: Pensare globalmente, agire localmente" 2.4.1) "I requisiti minimi del processo di Agenda 21 locale" 2.5) "Pacchetto Clima 20-20-20: Inquadramento"

2.5.1) "Che cos'è e punti chiave" 2.6) "Il Protocollo di Kyoto" 2.6.1) "Cosa preve"

Capitolo 3

: "Norme ISO: Responsabilità sociale e Sviluppo Sostenibile"

3.1) "Responsabilità Sociale e Sviluppo Sostenibile" 3.2) "I principi della Responsabilità Sociale"

3.3) "La Responsabilità Sociale riguarda solo i Grandi ?" 3.4) "ISO 26000: Responsabilità Sociale e Sviluppo Sostenibile" 3.5) "ISO 9004: Qualità verso la sostenibilità"

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Capitolo 4:

"Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in

Italia"

4.1) "Sviluppo Sostenibile secondo la legge italiana" 4.2) "Certificazione energetica in Italia"

4.3) "L'efficienza energetica in Italia" 4.4) "L'Azione Ambientale"

4.5) "Articolazione della Strategia Nazionale" 4.6) "Gli strumenti dell'Azione Ambientale" 4.7) "Qualità e Certificazione Ambientale"

Capitolo 5:

"Il PEARS: Piano Energetico Ambientale Regionale"

5.1) "Il PEAR" 5.2) "Il PEARS"

5.3) "Alcune considerazioni sul PEARS"

Capitolo 6:

"Il Conto Energia"

6.1) "Storia"

6.2) "Il primo Conto Energia (2005 - 2007)" 6.2.1) "Vantaggi e svantaggi"

6.3) "Il secondo Conto Energia (2007 - 2010)" 6.3.1) "Regime fiscale"

6.3.2) "Norme di riferimento"

6.4) "Il terzo Conto Energia (2010 - 2011)"

6.4.1) "Tipologie di impianti e potenza massima incentivabile" 6.4.2) "Le tariffe"

6.4.3) "Scambio sul posto o vendita" 6.5) "Il quarto Conto Energia (2011 - 2016)"

Capitolo 7:"

Interventi di risparmio energetico - Relazione tecnica"

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7.2) "Individuazione e censimento delle utenze di energia elettrica" 7.3) "Individuazione dei siti di proprietà comunale idonei"

7.4) "Caratteristiche generali di un sistema fotovoltaico"

7.5) "Dimensionamento di massima della rete di impianti fotovoltaici" 7.6) "Valutazione tecnica - economica"

7.6.1) "Ricavi derivanti dal Conto Energia"

7.6.2) "Costi di realizzazione della rete di impianti fotovoltaici" 7.7) "Business Plan"

7.8) "Benefici derivanti dalla cessione dell'energia prodotta" 7.9) "Caratteristiche tecniche delle componenti degli impianti"

7.10) "Servizi energetici: Indicazioni per la scelta delle soluzioni più vantaggiose" 7.11) Approfondimento: "Finanziamento tramite terzi"

Capitolo 8: "

Conclusioni

"

8.1) "Conclusioni sul progetto" 8.2) "Alcune riflessioni"

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INTRODUZIONE

Nell'ambito degli impianti fotovoltaici la tesi segue il tirocinio svolto presso la sede comunale di Mazara del Vallo (Tp) e orientato a progettare e sviluppare degli interventi di risparmio energetico su beni immobili di proprietà comunale, come scuole, asili, sedi sportive, ed altri edifici che, in sede di analisi, sono stati ritenuti idonei allo scopo sopracitato.

Partendo, dunque, da un ampio excursus sull'approccio globale alla controversia

Ambiente-Sviluppo, e successivo inquadramento del concetto di Sviluppo Sostenibile in tale contesto, che

vede protagonisti i Paesi di maggiore caratura politica ed economica, si giunge man mano all'approccio in tal senso abbracciato da una piccola realtà locale siciliana, il Comune di Mazara del Vallo (Tp), soffermandosi su periodi temporali, interventi, ruoli, strumenti e aspetti nazionali (anche regionali e locali) e internazionali che risultano essere chiarificatori e spesso di valore informativo per chi legge, prima di giungere al fine ultimo della trattazione, sopra riportato.

Trattazione che nel seguito sarà così articolata:

Nel primo capitolo, di carattere prevalentemente informativo, si ripercorrono le tappe che hanno portato alla definizione del paradigma dello sviluppo sostenibile (Rapporto del MIT, seguito dal Rapporto Brundtland, fino ad arrivare alla Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo), riportandone evoluzioni, critiche e conclusioni.

Si ritiene opportuno chiarire, fin d’ora che il concetto di “sviluppo sostenibile” nasce come obiettivo politico, e non possiede in sè un apporto teorico-metodologico solidamente strutturato.

Nel secondo capitolo vengono analizzati e discussi, con un livello di dettaglio maggiore, i

momenti, in ambito internazionale, salienti che vedono protagonista il concetto di Sviluppo Sostenibile, e la sua attuazione al fine di determinare le condizioni di sostenibilità globale e locale. (Vi sono, infatti, alcune emergenze ambientali che possono essere trattate con efficacia solo attraverso un approccio politico globale (effetto serra, buco nell’ozono), ma la cui attuazione può risultare più problematica a livello di sistema locali. Viceversa, gli stimoli all’attuazione di politiche globali spesso derivano da esperienze significative a livello locale (ad esempio, la raccolta differenziata, il riciclaggio dei rifiuti, la bioagricoltura, interventi di risparmio energetico e altre strategie di riconversione ambientale e territoriale).

Nel terzo capitolo verrà posta l’attenzione sul concetto di Responsabilità Sociale, e sulla relazione

che la coinvolge nel cammino che porta allo Sviluppo Sostenibile, soffermandosi in modo particolare su come questo aspetto viene affrontato nelle Norme ISO (26000, 9004).

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Nel quarto capitolo si affrontano argomenti che riguardano molto da vicino l’Italia, ovvero come

la legge italiana si pone nei confronti dello Sviluppo Sostenibile, toccando tasti di estrema rilevanza come: certificazione energetica; efficienza energetica, e azione ambientale.

Si sono, duque, trattati, in quest’ambito, gli strumenti preventivi, economico-ambientali e contabili per dimostrare che i problemi ambientali hanno una causa economica e, di conseguenza, una soluzione economica. (Si tratta, in realtà, di strumenti ancora in fase di diffusione (pensiamo all’ecolabel, ai bilanci ecologici, all’audit ambientale, alla valutazione di impatto ambientale) e, soprattutto, di regolamentazione normativa, nonostante i vantaggi che deriverebbero da una loro concreta applicazione a larga scala).

Nel quinto capitolo, ci si cala invece in un ottica di tipo regionale, tralasciando quella di tipo

nazionale, affrontando il fondamentale concetto di PEAR (Piano Energetico Ambientale Regionale), quindi di PEARS, che fa da preambolo al vero focus della trattazione, in concomitanza con un altro importante aspetto, ossia il Conto energia, argomento affrontato nel sesto capitolo di questa tesi, e del se ne riportano, direttive e modifiche (fino all'attuale, ossia il quarto 2011-2016). Si arriva quindi al settimo capitolo, dove gli argomenti trattati nei capitoli precedenti vengono ripresi direttamente o indirettamente, nell'espletare come si è giunti alla progettazione e sviluppo di interventi di risparmio energetico su immobili di proprietà comunale, muovendosi da un breve assunto teorico su caratteristiche e modalità di funzionamento degli impianti fotovoltaici, e passando per un'analisi costi-benefici che protagonista la loro applicazione sugli immobili comunali.

Il capitolo 8, che chiude la tesi, riporta conclusioni, riflessioni, e miglioramenti apportabili, ai quali

il lavoro fin qui svolto, in un contesto ad oggi in fase di transizione e quindi di evoluzione in ambito di normative, direttive e leggi, nonchè di componenti e strumenti, sull'argomento "fonti rinnovabili" (il fotovoltaico nel caso specifico), potrebbe essere sottoposto, uno tra tutti la revisione della parte economica, sfruttando, ad oggi, il quarto conto energetico, invece del terzo conto energia, utilizzato nel documento riportato.

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CAPITOLO 1 "Lo Sviluppo Sostenibile"

1.1) “Controversia Ambiente – Sviluppo”

Il rapporto ambiente-sviluppo, se preso alla lettera, è questione relativamente recente, da quando cioè, a partire dal dopoguerra, si sono avviate nell’ambito delle scienze sociali riflessioni teoriche sul concetto di sviluppo, nonchè da quando, a partire dagli anni Sessanta, nei paesi sviluppati si è andata formando una coscienza ambientalista diffusa.

Parlare oggi di ambiente e sviluppo come di due “settori” diversi ed avversi non ha, dunque, un grosso significato, motivo per cui insistere sulla separazione e sulla contrapposizione significa, da un lato, accettare i progressi della tecnologia, senza riguardi per l’ambiente e, dall’altro, inseguire il mito impossibile del ripristino di uno stato di natura lasciato alle nostre spalle da secoli e considerare lo sviluppo come un “mostro” da cui difendersi.

La letteratura che si è occupata del rapporto ambiente-sviluppo tende ad evidenziare due posizioni estreme: la frontier economics e la deep ecology.

Il termine frontier economics è stato utilizzato da Boulding (1966) per indicare l’approccio prevalente in molti Paesi alla fine degli anni ’60, secondo il quale la natura veniva considerata sia sorgente inesauribile di risorse fisiche, sia come deposito per i sottoprodotti delle attività di produzione e consumo.

L’ambiente naturale risulta, dunque, un’entità, una risorsa a disposizione dell’uomo, trasformabile da parte di un sistema produttivo teso verso una crescita economica illimitata.

Alla base di questa posizione risiede una fiducia incondizionata nel progresso tecnologico e in una disponibilità infinita nell’uso delle risorse scarse, grazie alla giusta allocazione dei prezzi nel meccanismo di mercato.

La posizione opposta è rappresentata dalla deep ecology, paradigma questo che rappresenta un tentativo di sintetizzare nuovi e vecchi atteggiamenti filosofici circa la relazione tra uomo e natura. Altri autori, invece, preferiscono rifarsi ad un approccio tecnocentrico e a un approccio

ecocentrico o biocentrico (argomenti questi che non si è ritenuto opportuno approfondire in

codesta sede).

Lungo queste due dicotomie si sono collocati altri approcci, quali: protezione ambientale, gestione

delle risorse, sviluppo sostenibile (su queste ultime due focalizzeremo maggiormente l’attenzione

nel proseguo della trattazione).

Ognuna di queste tre fasi riflette una diversa assunzione della problematica ambientale, con proposte e strategie differenti in ciascuno dei casi.

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Il legame che esiste tra i due elementi, ambiente e sviluppo, è, oggi, inscindibile; occorre considerare, accanto all’impatto dello sviluppo sull’ambiente anche l’incidenza dell’ambiente sullo sviluppo.

Si ricorda che oggetto del presente lavoro è, anche, la definizione, teorica e successivamente applicativa nell’ambiente urbano, del nuovo concetto di sviluppo sostenibile nell’ambito regionale (vedi PEAR) in cui l’ambiente (non solo fisico ma anche sociale, politico, culturale) sia parte integrante delle nuove teorie che hanno iniziato, con ritardo, a considerare le tematiche ambientali nelle loro applicazioni.

Occorre sottolineare, inoltre, come la sostenibilità sociale, intesa come la giusta convivenza tra ricerca dello sviluppo quantitativo e perseguimento di obiettivi “qualitativi”, è parte integrante (e fondamentale) della sostenibilità ambientale definita dal legame tra la salvaguardia dell’ambiente e crescita economica.

1.2) Le quattro componenti della sostenibilità

la sostenibilità ruota attorno a quattro componenti fondamentali:

Sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il

sostentamento della popolazione.

Sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano

(sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e genere.

Sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle

risorse naturali.

Sostenibilità istituzionale: intesa come capacità di assicurare condizioni di stabilità,

democrazia, partecipazione, giustizia.

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Le dimensioni della sostenibilità

L'area risultante dall'intersezione delle quattro componenti, coincide idealmente con lo sviluppo sostenibile.

1.3) Come nasce il concetto di Sviluppo Sostenibile

La pubblicazione nel 1972 de "I limiti dello sviluppo" di Meadows mostra, al grande pubblico, un importante lavoro svolto dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) , per espresso invito del Club di Roma, nel quale, per la prima volta, si giunge alla definizione dei limiti fisici in relazione alle attività dell'uomo e alla sua moltiplicazione.

Compito principale della ricerca del MIT fu lo studio, nel contesto mondiale, dell'interdipendenza e delle interazioni di cinque fattori critici: aumento della popolazione, produzione di alimenti, industrializzazione, esaurimento delle risorse naturali e inquinamento.

Le conclusioni a cui giunse il Rapporto possono essere riassunte in tre punti:

1. Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali, l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni.

Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale;

2. E' possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare condizioni di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro.

La condizione di equilibrio globale potrebbe essere definita in modo tale che venissero soddisfatti i bisogni materiali degli abitanti della Terra e che ognuno avesse le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano;

3. Se l'umanità opterà per questa seconda alternativa, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto prima essa comincerà ad operare in tale direzione.

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avere il sufficiente sul piano materiale, socialmente equa ed ecologicamente sostenibile".

Nel 1991, poi, con la pubblicazione de "Oltre i limiti dello sviluppo" il MIT, più che aggiornare il testo iniziale, è giunto a nuove conclusioni circa la posizione della società umana fino a quel punto. Infatti, molti flussi di risorse e di inquinamento sono cresciuti oltre i rispettivi limiti sostenibili, a dispetto dei miglioramenti delle tecnologie, della maggiore consapevolezza e delle più severe politiche ambientali.

Le tre conclusioni tratte dal primo Rapporto, come si evince, mantengono il loro valore, ma occorre rafforzarle e riformularle nel seguente modo:

1a. L'impiego di molte risorse essenziali e la produzione di molti tipi di inquinanti da parte dell'umanità hanno già superato i tassi fisicamente sostenibili.

In assenza di significative riduzioni dei flussi di energia e di materiali, vi sarà, nei prossimi decenni, un declino incontrollato della produzione industriale, del consumo di energia e della produzione di alimenti pro-capite;

2a. Questo declino non è inevitabile. Per non incorrervi sono necessari due cambiamenti.

Il primo è una revisione complessiva delle politiche e dei modi di agire che perpetuano la crescita della popolazione e dei consumi materiali.

Il secondo è, invece, un drastico, e veloce aumento dell'efficienza con la quale i materiali e la energia vengono usati;

3a. Si giunge così alla definizione di una "società sostenibile" che non tenta di risolvere i propri problemi affidandosi ad un'espansione costante, ma che richiede un bilanciamento accurato tra mete a lungo e a breve termine, e ad una accentuazione degli aspetti di sufficienza, equità, qualità della vita piuttosto che della quantità del prodotto.

Il passaggio ad una società sostenibile è tecnicamente ed economicamente possibile, anche se è scoraggiante dal punto di vista politico e psicologico: tanta speranza, tante identità personali, tanta parte della moderna cultura industriale sono state costruite sulla premessa di una crescita materiale perpetua.

Le idee di limiti, di sostenibilità, di sufficienza, di equità, di efficienza, non sono barriere o ostacoli, ma sono da intendere come guide verso un “mondo sostenibile”.

Il Rapporto suggerisce, poi, in che modo rispondere ai segnali indicanti che il consumo di risorse e la emissione di inquinanti sono cresciuti oltre i limiti sostenibili.

Il primo modo potrebbe essere quello di celare, non riconoscere o confondere i segnali; naturalmente queste "non risposte" sono il rifiuto a trattare i problemi portati dai limiti e garantiscono ulteriori problemi per il futuro.

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Un altro modo sarebbe quello di alleviare le pressioni esercitate dai limiti attraverso artifici tecnici o economici.

Di sicuro questi interventi sono necessari e non possono attendere ulteriormente.

L'ultimo modo consisterebbe nel fare un passo indietro, riconoscere che il sistema socioeconomico, così come è organizzato oggi, non è gestibile e che dunque occorre cambiarne la struttura.

Da ciò emerge una risposta rapida ed efficiente alle tante questioni presenti e future circa l'idea di un vivere sostenibile.

1.4) Un po’ di “storia”

Il concetto di sviluppo sostenibile trova la prima importante definizione in un documento ufficiale alla fine degli anni ottanta, quando nel 1987 la United Nations World Commission on Environment and Development – poi ricordata come Commissione Brundtland, dal nome del suo presidente - pubblica il rapporto "Our Common Future".

Il rapporto introduce il concetto di sostenibilità, definendola come “uno sviluppo che soddisfi i bisogni presenti senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Si tratta, cioè, di individuare un modello di relazioni economiche e sociali che consenta una prospettiva di continuità nel tempo, conciliando le dimensioni dell’equilibrio economico, ambientale e sociale.

La successiva tappa storica nell’agenda internazionale è segnata dalla Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro sullo sviluppo sostenibile (1992), in occasione della quale vengono sottoscritte dai Governi lì rappresentati alcune importanti convenzioni in materia ambientale e viene altresì approvata “Agenda21”, un documento di natura programmatica ed operativa che sintetizza le azioni specifiche e le strategie che i paesi firmatari si sono impegnati ad attuare, nel ventunesimo secolo, per favorire lo sviluppo socialmente, economicamente ed ecologicamente sostenibile

A margine della Conferenza di Rio, per la prima volta assumono un ruolo anche le istituzioni finanziarie che, sollecitate dall’UNEP, United Nations Environment Programme, lanciano una dichiarazione di principi e di intenti su “banche e sviluppo sostenibile”.

Lo "statement" è stato ad oggi sottoscritto da circa centottanta tra le maggiori imprese finanziarie di tutto il mondo. Anche le Nazioni Unite si sono fatte promotrici di dibattito, attraverso il Global Compact ( una iniziativa diretta del Segretario generale Kofi Annan).

Il Global Compact invita le imprese di tutto il mondo ad aderire a nove principi universali nelle aree dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell’ambiente, incoraggiandole ad impegnarsi concretamente nella difesa dei diritti umani nel mondo, nella lotta contro la miseria e l'analfabetismo, nella tutela dell'ambiente, nel rispetto dei diritti dei lavoratori, nella tutela dei

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patrimoni storici e culturali delle comunità.

Il documento, mirava ad ottenere nel 2002 l’adesione di 100 multinazionali e 1000 altre imprese nel mondo. Secondo lo spirito del documento, le imprese, motivate da un forte senso di responsabilità sociale, possono rappresentare una risorsa preziosa per l'intera comunità e per la comunità internazionale.

Nella nuova economia globale è vantaggioso anche dal punto di vista dell'impresa (« it makes good business sense») fare propri i principi del Global Compact e metterli coerentemente in pratica (L’adesione al Global Compact va comunicata direttamente al Segretario Generale dell’Onu, con una lettera in cui l’impresa si impegna a sostenerne i valori.

Chi aderisce accetta di produrre una esplicita e pubblica dichiarazione di sostegno al Global Compact e ai suoi principi e si impegna a fornire, almeno una volta l’anno, un esempio concreto di ciò che l’impresa ha realizzato in tema).

La Commissione dell’Unione Europea è intervenuta più volte, nel corso degli ultimi anni, sulla centralità delle politiche volte alla lotta alla disoccupazione ed all’esclusione sociale, alla protezione dell’ambiente ed alla promozione dello sviluppo locale.

In particolare, le conferenze intergovernative di Lisbona e di Bruxelles hanno sottolineato l’importanza del ruolo degli attori privati nella promozione di strategie d’impresa coerenti con le politiche di coesione volute dagli Stati membri.

A luglio 2001 la stessa Commissione Europea, dopo un vasto processo di consultazione, ha pubblicato un “Green paper” in materia di responsabilità sociale delle imprese, invitando i singoli Paesi Europei ad elaborare una posizione unitaria sul tema oggetto del paper.

Il dibattito sul "libro verde" si è rivelato estremamente ricco ed è approdato al Parlamento europeo, dove è stato oggetto di riflessione per individuare le linee di intervento sulla base delle quali la Commissione dovrà proporre interventi normativi concreti.

Parallelamente, la Commissione ha anche supportato la creazione di un coordinamento europeo – European Forum on Sustainable and Responsible Investment – dei vari Forum nazionali sul tema degli investimenti socialmente responsabili.

L'Europa, in questo momento, è il crogiolo del dibattito sulla Corporate Social Responsibility (CSR), con un Business Network for Corporate Social Responsability.

La CSR ha promosso un’iniziativa denominata “I servizi Finanziari per tutti”, diretta a favorire iniziative per facilitare l’inclusione bancaria per quelle fasce di popolazione esposte al rischio di emarginazione. L’iniziativa ha incontrato il favore della Commissione UE, che ha espresso il proprio accordo a supportarla.

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imprenditoriale sui temi della responsabilità sociale.

Inoltre, tali tematiche sono anche all’attenzione anche della Federazione Bancaria Europea.

In molti Paesi dell’Unione i Governi stanno assumendo posizioni proattive, stimolando e intraprendendo essi stessi iniziative di informazione, formazione e incentivo a comportamenti socialmente responsabili da parte delle imprese. Si va dall’istituzione di appositi dipartimenti della pubblica amministrazione (come in Gran Bretagna), al lancio di marchi sociali (come in Danimarca), all’introduzione di obblighi di rendicontazione sociale (come in Francia).

1.5) Evoluzioni del concetto di Sviluppo Sostenibile

Alla fine degli anni '80 l'oncologo svedese Karl-Henrik Robèrt coordinò un ampio processo di creazione di consenso nella comunità scientifica per dare una definizione sistemica-globale e operativa di sostenibilità, le Condizioni di Sistema, che comprendono sia aspetti ecologici che sociali.

Tale definizione consente di rendere concreti i principi teorici dello sviluppo sostenibile, ed è la base di processi partecipativi efficaci.

Da quel processo emerse il Framework di Sviluppo Sostenibile Strategico, noto anche come The Natural Step framework, adottato dai primi anni '90 da migliaia di organizzazioni nel mondo. La prima azienda ad adottare il framework fu IKEA dal 1990 e circa un quarto dei comuni svedesi adottano questa definizione per la loro pianificazione.

Il Comune di Whislter, British Columbia, Canada, che ospita le Olimpiadi invernali del 2010, e ha adottato il Framework di The Natural Step dal 2001, ha vinto il LivCom Award come miglior esempio al mondo di pianificazione per il futuro.

Una successiva definizione di sviluppo sostenibile, in cui è inclusa una visione globale, è stata fornita, nel 1991, dalla World Conservation Union, Environment Programme and World Wide Fund for Nature, che lo identifica come:

« ...un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende ».

1. Nello stesso anno Hermann Daly ricondusse lo sviluppo sostenibile a tre condizioni

generali concernenti l'uso delle risorse naturali da parte dell'uomo:

2. il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di

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3. l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso; lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo.

In tale definizione, viene introdotto anche un concetto di "equilibrio" auspicabile tra uomo ed ecosistema.

Nel 1994, l'ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) ha fornito un'ulteriore definizione di sviluppo sostenibile: “Sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi”.

Ciò significa che le tre dimensioni economiche, sociali ed ambientali sono strettamente correlate, ed ogni intervento di programmazione deve tenere conto delle reciproche interrelazioni.

L' ICLEI, infatti, definisce lo sviluppo sostenibile come lo sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono.

Nel 2001, l' UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che "la diversità culturale è necessaria per l'umanità quanto la biodiversità per la natura (...) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale". (Art 1 e 3, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, UNESCO, 2001)". In questa visione, la diversità culturale diventa il quarto pilastro dello sviluppo sostenibile, accanto al tradizionale equilibrio delle tre E (visto in precedenza).

Per favorire lo sviluppo sostenibile sono in atto molteplici attività ricollegabili sia alle politiche ambientali dei singoli Stati e delle organizzazioni sovranazionali sia a specifiche attività collegate ai vari settori dell' ambiente naturale.

In particolare, il nuovo concetto di sviluppo sostenibile proposto dall' UNESCO ha contribuito a generare approcci multidisciplinari sia nelle iniziative politiche che nella ricerca.

Un esempio molto recente è la rete di eccellenza Sviluppo sostenibile in un mondo diverso, finanziata dall' Unione Europea e coordinata dalla Fondazione Eni Enrico Mattei o pure quest'altro: Sistemi Sostenibili Internazionali.

1.6) Sviluppo Sostenibile: Conclusioni e Critiche

Il termine: “Sviluppo Sostenibile”, è oggi molto usato ed abusato. Quasi mai, chi afferma di operare nell’accezione dello Sviluppo Sostenibile, lo realizza realmente.

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particolar modo a chi dovrebbe operare scelte ed ipotizzare lo Sviluppo.

Uno dei motivi principali, è riconducibile alla errata comprensione della definizione di Sviluppo Sostenibile o meglio alla parziale e iniziale definizione.

La fase divulgativa della teoria si è esaurita nel comunicare solo l’aspetto intergenerazionale del termine e ciò ha comportato una presa di coscienza sommaria e ideale che ha sollevato tutti, dall’operare e dalla coerenza metodologica del fare S.S., facendo si che il solo atteggiamento conservativo delle risorse ambientali fosse bastevole nell’immaginare e programmare le trasformazioni.

L’aspetto della crescita nel fare, è rimasto prioritario, mentre quello dello sviluppo disatteso. Ovvero niente è mutato nel progettare, ma il solo aspetto enunciativo e coinvolgente l’ambiente, ha permesso di fregiare e annoverare gli interventi, tra quelli di Sviluppo Sostenibile.

Si capisce bene, che lo Sviluppo, per essere Sostenibile, deve essere coerente con alcuni requisiti. Il primo e più importante è insito nel definire un ecosistema; ovvero, l’ecosistema è finito e quindi ha un limite fisico. Non tutto è infinitamente possibile. Si introduce quindi il concetto di limite o meglio: qual’è il limite dello sviluppo?

Nello stesso tempo il secondo requisito a cui sottostare è: il carico possibile che l‘ecosistema è in grado di sopportare.

Il concetto di crescita quindi è coniugabile nel limite dell’ecosistema entro cui si svolge; ovvero la crescita oltre una certa quantità non può avvenire.

La crescita, quindi, può essere solo quella prodotta dallo sviluppo ed ancora oggi si fa una grande confusione tra crescita e sviluppo, tanto da enunciare lo sviluppo pensando azioni da compiere che hanno la sola variabile di crescita.

Inoltre, la qualità della vita viene sostanziata nella qualità dei servizi erogati, e nell’eguaglianza da una stessa base di partenza, di tutti i membri di una comunità; quindi ancora una volta l’efficienza è la chiave di volta della questione.

Si auspica quindi ad una decrescita, la quale è una posizione scientifico/culturale di una visione ideologica, vale la pena ribadire, che l’obiettivo non è Decrescere, ma praticare e realizzare lo Sviluppo Sostenibile.

La decrescita, come categoria, si pone in antagonismo alla Crescita, ma abbiamo visto precedentemente che lo Sviluppo Sostenibile non coniuga la crescita bensì lo Sviluppo.

Parrebbe quindi che i sostenitori della Decrescita siano legittimati solo dal fatto che tutti si affannano a realizzare la Crescita, ma il problema in effetti è invece quello di realizzare semplicemente ciò che la legislazione Europea impone e che gli Stati Membri hanno recepito. Quindi basta praticare il rispetto delle leggi, ovvero attuare azioni di legalità, perché non si cresca

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solo, ma si sviluppi soprattutto.

Il concetto di Sviluppo sostenibile porta però con sè anche aspre critiche e movimenti facenti capo alla teoria della Decrescita, i quali ritengono impossibile pensare uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di merci che sia anche in sintonia con la preservazione dell'ambiente. In particolare, ammoniscono i comportamenti delle società occidentali che, seguendo l'ottica dello sviluppo sostenibile, si trovano ora di fronte al paradossale problema di dover consumare più del necessario pur di non scalfire la crescita dell'economia di mercato, con conseguenti numerosi problemi ambientali: sovrasfruttamento delle risorse naturali, aumento dei rifiuti, mercificazione dei beni.

Il tutto, a loro modo di vedere, non è quindi compatibile con la sostenibilità ambientale: ritengono lo sviluppo sostenibile una teoria superata, in ogni caso non più applicabile alle moderne economie mondiali.

Per concludere il concetto di sviluppo sostenibile implica dei limiti, non assoluti, ma imposti dal presente stato dell'organizzazione tecnologica e sociale nell'uso delle risorse ambientali e della capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane.

Assicurare i bisogni essenziali significa, quindi, realizzare una crescita economica per i Paesi più poveri secondo modalità che rispettino l'ambiente, ma anche che i Paesi più ricchi devono adottare stili di vita compatibili con le risorse del Pianeta .

(19)

Capitolo 2

Le tappe fondamentali in ambito internazionale “Dal Rapporto Brundtland al Protocollo di Kyoto”

2.1) Il Rapporto Brundtland: " la prima definizione di sviluppo sostenibile"

Lo sviluppo sostenibile è una forma di sviluppo (che comprende lo sviluppo economico, delle

città, delle comunità eccetera) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono esauribili, mentre le risorse sono considerabili come inesauribili). L'obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l'equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale.

La prima definizione in ordine temporale è stata quella contenuta nel Rapporto Brundtland (dal

nome della presidente della Commissione, la norvegese Gro Harlem Brundtland) del 1987 e poi ripresa dalla Conferenza mondiale sull'ambiente e lo sviluppo dell'ONU (World Commission on

Environment and Development, WCED), dove viene proposto il principio dello sviluppo

sostenibile come fondamento della politica economica mondiale per i decenni futuri, ed esprime quanto segue:

« lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza

compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni »

In tale definizione, come si può vedere, non si parla propriamente dell'ambiente in quanto tale, quanto più ci si riferisce al benessere delle persone, e quindi anche la qualità ambientale; mette in luce quindi un principale principio etico: la responsabilità da parte delle generazioni d'oggi nei confronti delle generazioni future, toccando quindi almeno due aspetti dell'eco-sostenibilità: ovvero il mantenimento delle risorse e dell'equilibrio ambientale del nostro pianeta.

Secondo tale rapporto le attività si possono considerare sostenibili quando non alterano l'ambiente, non ostacolano lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche e nel contempo riescono a mantenersi vitali in un territorio per un periodo di tempo illimitato.

Tutto ciò mira a garantire la redditività del territorio nel lungo periodo con obiettivi di compatibilità ecologica, socio-culturale ed economica.

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Schema dello sviluppo sostenibile, alla confluenza di tre preoccupazioni

Sebbene questa dichiarazione sintetizzi, in maniera molto semplificata, alcuni aspetti importanti del rapporto tra sviluppo economico, equità sociale, rispetto

È la cosiddetta regola dell' equilibrio delle

visione antropocentrica, infatti al centro della questione non è tanto

sopravvivenza e il benessere di tutte le specie viventi, ma piuttosto le generazioni umane.

2.2) Agenda 21: Rio de Janeiro 1992

I temi dello sviluppo sostenibile sono stati poi discussi durante il Vertice di Rio de Janeiro del 1992 e sono serviti alla redazione dell’Agenda 21, il protocollo di intesa messo a punto dall’International Council for Local Environmental Initiatives (ICLE

sviluppo sostenibile al livello delle amministrazioni locali.

Agenda 21 (letteralmente: cose da fare nel 21 sec.) è un ampio ed articolato "programma di azione", scaturito dalla Conferenza ONU su Ambiente e

una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta da qui al 21° secolo.

Consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull'ambiente.

La cifra 21 che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le emergenze climatico

Terzo Millennio pone inderogabilmente dinnanzi all'intera Umanità.

Schema dello sviluppo sostenibile, alla confluenza di tre preoccupazioni

Sebbene questa dichiarazione sintetizzi, in maniera molto semplificata, alcuni aspetti importanti del rapporto tra sviluppo economico, equità sociale, rispetto dell'ambiente, non può essere operabile.

equilibrio delle tre "E": ecologia, equità, economia

, infatti al centro della questione non è tanto l'ecosistema sopravvivenza e il benessere di tutte le specie viventi, ma piuttosto le generazioni umane.

Agenda 21: Rio de Janeiro 1992 e Johannesburg

I temi dello sviluppo sostenibile sono stati poi discussi durante il Vertice di Rio de Janeiro del 1992 e sono serviti alla redazione dell’Agenda 21, il protocollo di intesa messo a punto dall’International Council for Local Environmental Initiatives (ICLEI) con l’obiettivo di trasferire i concetti dello sviluppo sostenibile al livello delle amministrazioni locali.

Agenda 21 (letteralmente: cose da fare nel 21 sec.) è un ampio ed articolato "programma di azione", scaturito dalla Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, che costituisce una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta da qui al 21° secolo.

Consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull'ambiente.

La cifra 21 che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari amma sono le emergenze climatico-ambientali e socio-economiche che l'inizio del Terzo Millennio pone inderogabilmente dinnanzi all'intera Umanità.

Schema dello sviluppo sostenibile, alla confluenza di tre preoccupazioni.

Sebbene questa dichiarazione sintetizzi, in maniera molto semplificata, alcuni aspetti importanti del dell'ambiente, non può essere operabile.

economia, che parte da una ecosistema, e quindi la

sopravvivenza e il benessere di tutte le specie viventi, ma piuttosto le generazioni umane.

I temi dello sviluppo sostenibile sono stati poi discussi durante il Vertice di Rio de Janeiro del 1992 e sono serviti alla redazione dell’Agenda 21, il protocollo di intesa messo a punto dall’International I) con l’obiettivo di trasferire i concetti dello

Agenda 21 (letteralmente: cose da fare nel 21 sec.) è un ampio ed articolato "programma di azione", Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, che costituisce una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta da qui al 21° secolo.

Consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in

La cifra 21 che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari economiche che l'inizio del

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L’Agenda 21 è quindi un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, da realizzare su scala globale, nazionale e locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse (stakeholders) che operano su un determinato territorio.

Le Nazioni Unite, nel 1987, tramite il rapporto Our Common Future hanno introdotto il concetto di "sviluppo sostenibile", come visto nei paragrafi precedenti, ripreso successivamente al summit delle Nazioni Unite tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992.

Nel 1997, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenne una sessione speciale per valutare i progressi dei primi cinque anni dall'approvazione dell'Agenda 21 (Rio+5). L'Assemblea riconobbe il carattere di disparità del progresso e ne identificò i tratti caratteristici, compresa la crescente globalizzazione, che ampliano le disparità di reddito e continuano il deterioramento dell'ambiente. Una nuova risoluzione (S-19/2) dell'Assemblea Generale promise nuove azioni. Ne consegue un eccessivo numero di disagi riguardanti le disparità.

Il Piano di Esecuzione, concordato nel Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (Earth

Summit 2002 o WSSD) confermò l'impegno delle Nazioni Unite per il 'pieno adempimento' dell'Agenda 21, insieme al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e ad altri accordi internazionali.

La Commissione sullo Sviluppo Sostenibile ha il ruolo di supervisione e controllo sullo sviluppo sostenibile, ed ha avuto il ruolo di commissione preliminare per gli incontri e le sessioni sull'esecuzione dell'Agenda 21, inoltre la Divisione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite ha il ruolo di segretariato per la Commissione, e lavora all'interno del contesto dell'Agenda 21. E’ opportuno far notare che l'esecuzione da parte degli stati membri è volontaria.

2.3) Struttura del programma d'azione e concetti chiave

Si articola in 40 capitoli, divisi in 4 parti:

1. dimensione economica e sociale: povertà, sanità, ambiente, aspetti demografici,

produzione;

2. conservazione e gestione delle risorse: atmosfera, foreste, deserti, montagne, acqua,

prodotti chimici, rifiuti;

3. rafforzamento del ruolo dei gruppi più significativi: donne, giovani, anziani, Ong,

agricoltori, sindacati, settori produttivi, comunità scientifica;

4. mezzi di esecuzione del programma: strumenti scientifici, formazione, informazione,

cooperazione internazionale, strumenti finanziari, strumenti giuridici.

In particolare, il capitolo 28 "Iniziative delle amministrazioni locali di supporto all'Agenda 21", ed è quello che ci interesserà particolarmente in tale sede di trattazione, riconosce un ruolo decisivo

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alle comunità locali nell'attuare le politiche di sviluppo sostenibile, tenuto conto che oltre il 45% della popolazione mondiale vive in contesti urbani, percentuale destinata a crescere fino al 63% nel 2030.

Nel capitolo 28, per l’appunto, si legge "Ogni amministrazione locale dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private e adottare una propria Agenda 21 locale. Attraverso la consultazione e la costruzione del consenso, le amministrazioni locali dovrebbero apprendere e acquisire dalla comunità locale e dal settore industriale, le informazioni necessarie per formulare le migliori strategie".

I Concetti chiave dell' Agenda 21 sono invece quelli sotto elencati:

Corresponsabilizzazione - Cittadini, amministrazioni e portatori di interesse devono essere

sensibilizzati sul proprio ruolo strategico nella realizzazione di uno sviluppo realmente sostenibile. Quindi: azione sinergica tra politica – mondo produttivo – comportamento dei singoli.

Miglioramento continuo - Monitoraggio delle varie fasi del processo affinché vengano

continuamente ricalibrate per raggiungere i migliori risultati possibili.

Governance - Passaggio da un’ottica impositiva ad una partecipativa, flessibile ed aperta

alle varie componenti sociali.

Trasversalità - Inserimento del concetto di sostenibilità in tutte le politiche di settore.

Visione condivisa - Costruzione di uno scenario comune di sviluppo sostenibile di una

comunità, condiviso dal più ampio numero di stakeholders.

Partenariato - Creazione di partnership fondate su un nuovo modo di intendere il rapporto

pubblico-privato, per la concreta realizzazione di azioni concertate per lo sviluppo sostenibile.

L'obiettivo per il prossimo decennio è di passare dall'Agenda 21 all'Azione 21 e di adottare Piani

(23)

I principi alla base del processo di Agenda 21

2.4) Agenda 21 Locale: “pensare globalmente, agire localmente

È un processo partecipativo e democratico che, nella sua definizione ed attuazione, coinvolge tutti i settori; è altresì un processo di definizione degli obiettivi ambientali e di costruzione delle condizioni per metterli in pratica: consenso, interesse, s

L'esecuzione dell'Agenda 21 è stata quindi programmata per includere interventi a livello internazionale, nazionale, regionale e locale. In alcuni Stati le autorità locali hanno preso iniziative per la realizzazione del piano localmente, i

del documento.

I processi di partecipazione consapevole dei cittadini, dunque, trovano compiuta espressione nell'Agenda 21 locale che rappresenta un modo nuovo di programmazione delle azioni in favore dello sviluppo sostenibile attraverso metodi e strumenti interdisciplin

responsabilizzanti.

Messa appunto d UNCED 92, l'Agenda 21 locale ha trovato larga diffusione nel mondo, essa giunge ad assumere lo sviluppo sostenibile come filosofia di fondo accompagnandola con le strategie, gli obiettivi, gli strumenti, le azioni, i criteri, ed i metodi di valutazione dei risultati.

La definizione degli obiettivi è strettamente connessa con la costruzione delle condizioni necessarie per l'azione concreta: consenso, interesse, sinergie, risorse umane, e finanziarie.

Fondamento metodologico dell'Agenda 21 locale è l'integrazione del fattore ambientale con l'economia di tutti i settori, industria, trasporti,

sociali, quali occupazione, formazione, salute, qualità della vit

I principi alla base del processo di Agenda 21

pensare globalmente, agire localmente”

È un processo partecipativo e democratico che, nella sua definizione ed attuazione, coinvolge tutti i settori; è altresì un processo di definizione degli obiettivi ambientali e di costruzione delle condizioni per metterli in pratica: consenso, interesse, sinergie, risorse umane e finanziarie. L'esecuzione dell'Agenda 21 è stata quindi programmata per includere interventi a livello internazionale, nazionale, regionale e locale. In alcuni Stati le autorità locali hanno preso iniziative l piano localmente, i Local Agenda 21, come raccomandato nel capitolo 28

processi di partecipazione consapevole dei cittadini, dunque, trovano compiuta espressione nell'Agenda 21 locale che rappresenta un modo nuovo di programmazione delle azioni in favore dello sviluppo sostenibile attraverso metodi e strumenti interdisciplin

Messa appunto d UNCED 92, l'Agenda 21 locale ha trovato larga diffusione nel mondo, essa giunge ad assumere lo sviluppo sostenibile come filosofia di fondo accompagnandola con le strategie, gli

nti, le azioni, i criteri, ed i metodi di valutazione dei risultati.

La definizione degli obiettivi è strettamente connessa con la costruzione delle condizioni necessarie per l'azione concreta: consenso, interesse, sinergie, risorse umane, e finanziarie.

ondamento metodologico dell'Agenda 21 locale è l'integrazione del fattore ambientale con l'economia di tutti i settori, industria, trasporti, energia, agricoltura, turismo, e con gli aspetti sociali, quali occupazione, formazione, salute, qualità della vita.

I principi alla base del processo di Agenda 21

È un processo partecipativo e democratico che, nella sua definizione ed attuazione, coinvolge tutti i settori; è altresì un processo di definizione degli obiettivi ambientali e di costruzione delle inergie, risorse umane e finanziarie. L'esecuzione dell'Agenda 21 è stata quindi programmata per includere interventi a livello internazionale, nazionale, regionale e locale. In alcuni Stati le autorità locali hanno preso iniziative , come raccomandato nel capitolo 28

processi di partecipazione consapevole dei cittadini, dunque, trovano compiuta espressione nell'Agenda 21 locale che rappresenta un modo nuovo di programmazione delle azioni in favore dello sviluppo sostenibile attraverso metodi e strumenti interdisciplinari, partecipativi e

Messa appunto d UNCED 92, l'Agenda 21 locale ha trovato larga diffusione nel mondo, essa giunge ad assumere lo sviluppo sostenibile come filosofia di fondo accompagnandola con le strategie, gli

nti, le azioni, i criteri, ed i metodi di valutazione dei risultati.

La definizione degli obiettivi è strettamente connessa con la costruzione delle condizioni necessarie per l'azione concreta: consenso, interesse, sinergie, risorse umane, e finanziarie.

ondamento metodologico dell'Agenda 21 locale è l'integrazione del fattore ambientale con agricoltura, turismo, e con gli aspetti

(24)

Il processo si articola in fasi, le seguenti:

1. coordinamento di tutte le azioni di audit ambientale, economico e sociale;

2. creazione di Forum per la partecipazione responsabile di tutti gli stakeholder;

3. definizione delle strategie a medio e lungo termine per lo sviluppo sostenibile del territorio;

4. adozione di piani Azione Ambientale comprendenti i programmi operativi e le azioni

concrete di ciascun soggetto;

5. verifica e monitoraggio dell'attuazione e dell'efficacia del Piano.

L'affermazione dei processi dell'Agenda a livello locale costituisce il presupposto operativo più efficace per assicurare, nel rispetto delle peculiarità del territorio di riferimento ( Mazara del Vallo nel nostro caso specifico), la coerenza ed il contributo della pianificazione a livello locale alle Strategie di sostenibilità di livello superiore (Nazionale, e/o Europeo).

2.4.1) I requisiti minimi del processo di Agenda 21 Locale

Dato che l’Agenda 21 Locale è un processo di programmazione partecipata orientata allo sviluppo locale sostenibile, non è possibile definire, a priori, delle regole fisse di funzionamento; esistono però dei requisiti minimi, che è possibile ricavare dai principali documenti metodologici (Guida

europea all’Agenda 21 dell’ICLEI – International Council for Local Environmental Initiatives del 2000; Linee guida per le agende 21 locali. Manuale ANPA; Agenda 21 Locale 2003. Dall’Agenda all’Azione: linee di indirizzo ed esperienze – APAT 2004).

Questi requisiti minimi riguardano:

• le modalità di coinvolgimento degli attori locali: devono essere efficaci ai fini della partecipazione (il Forum);

• la definizione e la condivisione dei fattori critici e delle opportunità di un territorio: devono vedere coinvolti gli attori locali e devono dar luogo ad un documento pubblico (il Rapporto

sullo Stato dell’Ambiente);

• le modalità di definizione degli obiettivi e degli scenari: devono essere condivisi e trasparenti; • le modalità di definizione delle azioni che permettono di conseguire gli obiettivi assunti:

devono essere condivise e devono dar luogo ad un documento trasparente e formalizzato (il

Piano d’Azione Locale)

Questi requisiti rispondono perfettamente ai principi generali della buona governance individuati dal Libro Bianco sulla Governance, dell’Unione Europea (luglio 2001):

1) Apertura: le istituzioni devono operare in modo più aperto, adoperandosi per spiegare

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2) Partecipazione: qualità, pertinenza ed efficacia delle politiche dipendono dalla

partecipazione in tutte le fasi, dalla prima elaborazione all’esecuzione;

3) Responsabilità: serve maggiore chiarezza e responsabilità di coloro che partecipano, a tutti i

livelli, all’elaborazione e all’attuazione delle politiche;

4) Efficacia: le politiche devono essere efficaci e tempestive, producendo i risultati richiesti in

base a obiettivi chiari, alla valutazione del loro impatto futuro e delle esperienze acquisite in passato;

5) Coerenza: politiche ed azioni devono essere coerenti e comprensibili

Nota: "Governance" è un concetto chiave dell'Agenda 21 Locale, consiste nel coinvolgimento dei

cittadini nella progettazione delle trasformazioni del territorio, in termini di sostenibilità ambientale, sociale, economica ed istituzionale.

Per comprendere meglio il nesso tra i concetti è fondamentale avere chiare le fasi del processo di Agenda 21 Locale.

2.5) Pacchetto clima 20-20-20: Inquadramento

Il cosiddetto "pacchetto clima-energia 20-20-20" costituisce il portfolio di provvedimenti operativi con cui l'UE conferma la volontà degli Stati Membri di continuare ad impegnarsi nel processo negoziale per la lotta ai cambiamenti climatici per il post-Kyoto, ovvero dopo il 2012. Tale pacchetto si inquadra nell'ambito dei negoziati preliminari alla Conferenza della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP15) di Copenaghen, negoziati nei quali l'UE ha riaffermato la posizione di ridurre unilateralmente le emissioni del 20% entro il 2020 e, in caso di accordo internazionale, di impegnarsi progressivamente per il 2030 e il 2050 a ridurre rispettivamente del 30% e del 50% le proprie emissioni rispetto ai livelli del 1990.

L'approvazione integrale del pacchetto clima-energia avrebbe dovuto prendere l'avvio ufficialmente in occasione della 15ª Conferenza delle Parti (COP15) tenutasi a Copenaghen nel dicembre 2009, con la sigla di impegni importanti da parte anche degli Stati storicamente scettici alla negoziazione intrapresa con il Protocollo di Kyoto.

Anche se in termini di accordi internazionali la conferenza di Copenaghen non ha sortito tutti gli esiti sperati, il pacchetto clima-energia può ritenersi un set di provvedimenti di attuazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti destinato a regolamentare i settori-chiave in modo efficace.

In sostanza il pacchetto, nella prima proposta che la Commissione Europea ha presentato al Parlamento e al Consiglio nel gennaio del 2008, si compone di una serie di provvedimenti che riguardano principalmente:

(26)

1. Misure specifiche per la riduzione delle emissioni di gas serra, da un lato proponendo la

revisione del Sistema di scambio delle quote delle emissioni di gas serra (European Union Emissions Trading Scheme, EU-ETS), dall'altro con la decisione detta "Effort sharing", cioè "ripartizione dello sforzo", che avalla la possibilità di attribuire ai singoli Stati membri delle quote di emissione da ridurre nei settori non compresi nella direttiva ETS (trasporto, agricoltura, edilizia) (Effort Sharing extra EU-ETS);

2. Proposte di nuove Direttive, atte a regolamentare:

Il ruolo del confinamento geologico della CO2 (Carbon Capture and Storage - CCS) nel mix

di strategie disponibili per far fronte alla crescente concentrazione in atmosfera di CO2 di origine antropica.

La promozione dell'uso di energia prodotta da fonti rinnovabili, fissando dei target

nazionali vincolanti.

Il sistema di scambio delle quote delle emissioni di gas serra (ETS), come sopra accennato.

2.5.1) Che cos'è e punti chiave

Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha adottato un pacchetto su energia e cambiamenti climatici, invitando il Consiglio e il Parlamento europeo ad approvare:

un impegno unilaterale dell’UE a ridurre di almeno il 20% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, e l’obiettivo di ridurre le emissioni del 30% entro il 2020 a condizione che venga concluso un accordo internazionale sui cambiamenti climatici;

un obiettivo vincolante per l’UE del 20% di energia da fonti rinnovabili entro il 2020, compreso un obiettivo del 10% per i biocarburanti.

La strategia è stata approvata dal Parlamento europeo e dai capi di Stato e di Governo europei in occasione del Consiglio europeo del marzo 2007.

Il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare proposte concrete, in particolare sulle modalità di ripartizione dello sforzo tra gli Stati membri per il conseguimento degli obiettivi. Il pacchetto, che risponde a questo invito, comprende una serie di importanti proposte politiche strettamente collegate tra loro, e in particolare:

1) una proposta di modifica della direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione;

2) una proposta relativa alla ripartizione degli sforzi da intraprendere per adempiere all’impegno comunitario di ridurre unilateralmente le emissioni di gas serra in settori non rientranti nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (come i trasporti, l’edilizia, i servizi, i piccoli impianti industriali, l’agricoltura e i rifiuti);

(27)

3) una proposta di direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, per contribuire a conseguire entrambi gli obiettivi di riduzione delle emissioni sopra indicati.

Del pacchetto fanno inoltre parte una proposta relativa alla disciplina giuridica della cattura e dello stoccaggio del carbonio, una comunicazione sulle attività di dimostrazione in materia di cattura e stoccaggio del carbonio e la nuova disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale.

2.6) Il Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici è un accordo internazionale che stabilisce precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas responsabili dell'effetto serra, del riscaldamento del pianeta, da parte dei Paesi industrializzati.

E' l'unico accordo internazionale che sancisce una limitazione delle emissioni ritenute responsabili dell'effetto serra, degli stravolgimenti climatici, del surriscaldamento globale.

Si fonda sul trattato United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc), firmato a Rio de Janeiro nel 1992 durante lo storico Summit sulla Terra. Per attuare il trattato, nel 1997, durante la Conferenza di Kyoto, in Giappone, è stato studiato un "protocollo" che stabilisce tempi e procedure per realizzare gli obiettivi del trattato sul cambiamento climatico: il Protocollo di Kyoto. I Punti chiave del quale sono i seguenti:

• Per i Paesi più industrializzati (quelli inseriti nel c.d. Allegato I) l'obbligo è ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo di adempimento che va dal 2008 al 2012.

• Gli stessi Paesi devono predisporre progetti di protezione di boschi, foreste, terreni agricoli che assorbono anidride carbonica, (perciò sono detti ''carbon sinks', cioè immagazzinatori di CO2). Inoltre possono guadagnare 'carbon credit' aiutando i Paesi in via di sviluppo ad evitare emissioni inquinanti, esportando tecnologie pulite. Ogni paese dell'Allegato I, inoltre, dovrà realizzare un sistema nazionale per la stima delle emissioni gassose. E dovrà essere creato un sistema globale per compensarle.

I Paesi firmatari andranno incontro a sanzioni se mancheranno di raggiungere gli obiettivi, mentre sono più flessibili le regole per i Paesi in via di sviluppo.

Perché il Protocollo diventi obbligatorio a livello internazionale deve essere ratificato da almeno 55 Paesi. Questo sta avvenendo ora: il parlamento russo a novembre '04 ha tradotto in legge quanto deciso (il 30 settembre '04) dal governo di Vladimir Putin. Il protocollo entra in vigore dopo 90 giorni: febbraio 2005.

(28)

Nel 2001 gli USA si sono ritirati dal tavolo dell'accordo, dicendo che avrebbe danneggiato l'economia USA e avrebbe ingiustamente favorito i Paesi in via di sviluppo (gli USA riversano in atmosfera il 33,6% delle emissioni di gas serra mondiali). L'Australia sta confermanod il rifiuto ad aderire, la Cina se ne disinteressa.

2.6.1) Cosa prevede

Il trattato prevede l'obbligo in capo ai Paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008-2012

Il protocollo di Kyōto prevede, inoltre, il ricorso a meccanismi di mercato, i cosiddetti Meccanismi

Flessibili; il principale meccanismo è il Meccanismo di Sviluppo Pulito. L'obiettivo dei

Meccanismi Flessibili è di ridurre le emissioni al costo minimo possibile; in altre parole, a massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento.

Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest'ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione.

Premesso che l'atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il Protocollo

prevede che i paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Le attività

umane immettono 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di

sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyōto, se ne dovrebbero immettere 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni. Ad oggi, 174 Paesi e un'organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica. Questi paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra.

Il protocollo di Kyōto prevede inoltre, per i Paesi aderenti, la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni:

Clean Development Mechanism (CDM): consente ai paesi industrializzati e ad economia in

transizione di realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione (CER) per i Paesi che promuovono gli interventi.

(29)

Joint Implementation (JI): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di

realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite.

Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi

industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ET) tali "crediti" a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.

(30)

Capitolo 3

“Norme ISO: Responsabilità sociale e sviluppo sostenibile"

3.1) Responsabilità sociale e Sviluppo Sostenibile

Nel capitolo 3 la nuova ISO 26000 ci viene in soccorso per chiarire due concetti che, seppur diversi tra loro, hanno molti punti in comune: la responsabilità sociale (argomento della ISO 26000) e la sostenibilità (argomento della nuova ISO 9004:2009).

Concentrarsi su un futuro sostenibile significa non alterare le risorse del pianeta e non sfruttarlo al di là delle sue possibilità in modo da creare un futuro possibile anche per le generazioni future che dovranno avere le nostre stesse chance di soddisfare le proprie necessità.

La responsabilità sociale riguarda una particolare organizzazione e il suo impatto sulla società e sull'ambiente, al centro del ragionamento c'è dunque un'azienda, un impresa, un gruppo di persone. ( L’attenzione “istituzionale” su questi temi è in crescita!).

I Governi tendono a premiare i comportamenti socialmente responsabili delle imprese perché vedono in essi un complemento delle politiche di tutela ambientale e di equità sociale.

Da questo punto di vista, si tratta di realizzare quel principio di corresponsabilità secondo cui, essendo quello della sostenibilità un tema che riguarda tutti, ognuno deve contribuire ad affrontarlo per quanto gli compete.

Parallelamente, nella società si vanno diffondendo sensibilità ed attenzione verso nuove aspettative e valori, collegati al concetto di sviluppo sostenibile e di impresa sostenibile.

Si tratta sostanzialmente di una domanda dei cittadini verso tutte le imprese – che coinvolge anche il settore bancario e finanziario - diretta a richiedere un comportamento caratterizzato da una maggiore responsabilità sociale, a quei soggetti economici cui prima ci si rivolgeva secondo ottiche di solo mercato.

Alle aziende non si chiede solo certificazione della qualità dei prodotti (vedi iso 26000 e 9004), si chiede che il rispetto di criteri di correttezza e di trasparenza con i lavoratori e i fornitori, di tutela dell’ambiente, di promozione dello sviluppo locale, di lotta alla disoccupazione ed all’esclusione sociale diventino temi centrali all’attenzione delle imprese.

Dunque, la sempre maggiore attenzione che i cittadini riservano a tali aspettative e valori è riconducibile ad una diversa visione del rapporto che lega le persone e l’ambiente in cui esse vivono; ad un diverso modello di sviluppo che investe le scelte quotidiane di governi, organizzazioni, imprese, individui, influenzando il futuro di tutti, lo sviluppo sostenibile.

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