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Ruolo prognostico dei linfociti T-reg Foxp3+ nelle neoplasie mammarie della specie canina e felina

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Academic year: 2021

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A te che non mi hai mai ferito, che non mi hai mai deluso, A te che mi hai sempre meritato, A te che sei la parte migliore di me

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I linfociti T-reg Foxp3+ condizionano la risposta immunitaria del paziente di fronte ad una noxa patogena, la loro differenziazione è influenzata da una complessa rete di meccanismi citochimici. La presenza dei linfociti T-reg Foxp3+ è studiata nella neoplasie mammarie di due specie. La popolazione canina è costituita da carcinomi semplici tubulo-papillari, solidi, anaplastici, carcinomi complessi e adenomi. Nella popolazione felina sono stati presi in considerazione carcinomi tubulo-papillari e carcinomi solidi. Lo studio immunistochimico delle sezioni istologiche ha previsto la valutazione dei linfociti Foxp3+ in tre diversi compartimenti: intratumorale, stroma adiacente e stroma lontano. I risultati sono stati valutati confrontando i diversi istotipi, il grado istologico, la sopravvivenza ed è stato possibile definirne il ruolo prognostico nelle due specie. I carcinomi canini risultano caratterizzati da un numero significativamente maggiore di linfociti T-reg Foxp3+ rispetto agli adenomi canini. La presenza di linfociti T-reg Foxp3+ nel compartimento intratumorale dei carcinomi si associa ad un grado istologico superiore. Nella specie felina i soggetti che esprimono un quantitativo superiore di linfociti T-reg Foxp3+ a livello intratumorale manifestano una ridotta sopravvivenza.

Parole chiave: neoplasie mammarie, carcinoma, adenoma, T-reg, Foxp3, immunistochimica, prognosi, cane, gatto

Abstract: Regulatory T cells influence immune response against multiple pathological processes. The differentiation of T-reg cells is regulated through a complex network of cytochemical mechanisms. The presence of T-reg Foxp+ cells was studied in mammary tumors of two species. The canine population that includes Tubulopapillary carcinomas, Solid carcinomas, Anaplastic carcinomas, Complex carcinomas and benign neoplasms.The feline population comprises Tubulopapillary carcinomas and Solid carcinomas. Himmunohistochemical study evaluates T-reg lymphocytes in three different compartments: intratumoral, within the adiacent stroma and in the distant stroma. Results have been compared with histological type, histological grade, survival so that it’s possible to define their prognostic role in these species. Canine carcinomas show statistically significantly higher number of T-reg cells than adenomas. The intratumoral presence of T-reg Foxp+ cells is associated with higher histological grade in dogs. Cats that show higher number of T-reg cells in the intratumoral compartment have shorter survival times.

Keywords: mammary tumors, carcinoma, adenoma, T-reg, Foxp3, immunohistochemistry, prognostic role, dog, cat

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2 INDICE

PARTE I – 1.Introduzione 3

2. Le neoplasie mammarie di cane e gatto 2.1 Generalità 7

2.2 Aspetti clinici 12 2.3 Diagnosi 15

2.4 Classificazione dei tumori mammari 17 2.5 Prognosi 33

2.6 Immuno-terapia delle neoplasie mammarie 37 3. I linfociti T-reg Foxp3+

3.1 Risposte immunitarie e cellule Th1,Th2,Th17, T-reg 43 3.2 Forkhead box P3 48

3.3 I linfociti T-reg Foxp3+: generalità e meccanismo d’azione 49 3.4 Linfociti T-reg Foxp3+ e immunologia dei tumori 56

PARTE II –

1. Materiali e Metodi 1.1 Le popolazioni studiate e i campioni 59

1.2 Procedure di laboratorio 64 1.3 Immunoistochimica 64

1.4 Determinazione delle cellule Foxp3+ 66 1.5 Analisi statistica 67

2. Risultati

2.1 Dati clinici e istopatologici. 68 2.2 Espressione di cellule Foxp3+ 69 2.3 Numero di cellule Foxp3+ 71

2.4 Cellule Foxp3+ e caratteristiche istopatologiche 74 3. Discussione 89

4. Conclusioni 93 Bibliografia 94

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PARTE I – 1. Introduzione

Numerose patologie neoplastiche, autoimmuni, infiammatorie dell’uomo e degli animali annoverano nella propria patogenesi le anomalie della tolleranza periferica.

Le cellule che hanno acquisito con il progredire della ricerca scientifica un ruolo predominante nella modulazione della tolleranza periferica sono le T-regolatorie (T-reg). La scoperta di queste cellule alla fine degli anni ’70 e la loro riscoperta nella metà degli anni ’90 rappresentano eventi significativi dell’immunologia moderna (Garden et al., 2010).

Lo studio in vitro di alcune cellule immortalizzate permise negli anni ’70 di osservare la produzione di fattori soppressori. Per la prima volta furono così ipotizzate e denominate le suppressor T- cells (Germain, 2008).

Negli anni ’80, con l’avvento della genetica molecolare, si verificò una perdita di confidenza nel concetto di tolleranza e attività soppressoria.

La ri-scoperta di queste cellule avviene negli anni ’90 con l’identificazione nel topo di una popolazione di cellule T CD4+ CD25+ periferiche dotate di proprietà regolatorie in

vitro ed in vivo (Sakaguchi et al., 1995).

Una lesione tumorale ha la capacità di indurre una risposta del sistema immunitario. I linfociti T citotossici CD8+ (CTL) sono in grado di uccidere selettivamente le cellule tumorali mediante lisi cellulare ad opera di perforine e granzimi o per mezzo di un meccanismo citochine-dipendente (Cullen et al., 2010).

La funzione killer dei CTLs nei confronti delle cellule neoplastiche può essere interrotta dalle cellule T-reg.

I linfociti T-reg, infatti, hanno un ruolo chiave nella regolazione della tolleranza periferica e risultano essenziali per la down-regulation dei linfociti self-reattivi (Nishikawa e Sakaguchi, 2010).

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Tuttavia, la soppressione della risposta immunitaria anti-tumorale da parte dei linfociti T-reg può promuovere la progressione e lo sviluppo del tumore (DeNardo e Coussens, 2007).

Il ruolo dei linfociti infiltranti una neoplasia rappresenta un complesso oggetto di studio, ma determinare la funzione dei linfociti T-reg nel microambiente tumorale risulta essenziale per comprendere l’immunologia del tumore (Kim et al., 2011).

I linfociti T-reg sono caratterizzati dai marker CD4, CD25 e Foxp3, il marker più affidabile per l’identificazione di queste cellule (Fontenot et al., 2005).

Foxp3 è essenziale per lo sviluppo e per la funzione soppressiva delle cellule T-reg (Sakaguchi et al., 2008).

I linfociti T-reg risultano ridotti nelle malattie autoimmuni, confermando così la loro azione immunosoppressiva. Essi si presentano aumentati nei casi di tolleranza verso organi trapiantati e nella tolleranza materno-fetale (Sakaguchi et al., 2008).

Nelle patologie neoplastiche è stato possibile osservare un aumento del numero di linfociti T-reg nella maggior parte dei tumori, evidenziando una correlazione con la crescente malignità e una prognosi peggiore.

Le cellule tumorali sembrano determinare una proliferazione locale di linfociti T-reg Foxp3+ o provocarne la migrazione selettiva nelle aree infiltrate dalla neoplasia (Tominaga et al., 2010).

I linfociti T-reg possono presentare un’infiltrazione eterogenea in base alle caratteristiche del microambiente tumorale. Questa eterogeneità e plasticità rende le cellule T-reg un interessante tema di approfondimento per le considerazioni prognostiche che ne conseguono e per le numerose applicazioni terapeutiche che ne derivano.

Questo campo dell’immunologia, seppur recente, è in costante e progressiva evoluzione, una particolare attenzione viene dedicata al potenziale terapeutico dei linfociti T-reg: un aumento di queste cellule si rivela auspicabile in caso di trapianti, malattie autoimmuni e

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allergie; una riduzione del numero delle stesse risulta terapeutica nelle patologie neoplastiche ed infettive (Garden et al., 2011).

La varietà di queste patologie, indagate in ambito medico veterinario, si rivela di estrema importanza per l’elaborazione di modelli terapeutici impiegabili in Medicina Umana in quanto si evidenziano notevoli somiglianze tra le due controparti (Garden et al., 2011). Lo studio dei linfociti T-reg Foxp3+ rappresenta un recente oggetto di ricerca, soprattutto in Medicina Veterinaria; la correlazione tra infiltrato linfocitario T-reg Foxp3+ e neoplasia della specie canina è stata indagata nei tumori metastatici (Horiuchi et al., 2009), nel melanoma orale (Tominaga et al., 2010), nell’osteosarcoma (Biller et al., 2010), nei tumori mammari (Kim et al.,2011), nel seminoma (Kim et al., 2012). Il presente studio si prefigge l’obbiettivo di determinare il ruolo prognostico dei linfociti T-reg Foxp3+ nelle neoplasie mammarie del cane e del gatto.

In questo modo potrebbe essere possibile, tramite un esame immunoistochimico, sapere preventivamente se la prognosi del paziente sarà positiva o negativa.

Questa indagine ha valutato il numero delle cellule T-reg Foxp3+ in tre differenti compartimenti della neoplasia, quello intratumorale, stromale adiacente e stromale lontano.

I risultati ottenuti evidenziano una correlazione statisticamente significativa tra un elevato numero di linfociti T-reg Foxp3+ nel compartimento intratumorale e la malignità della lesione nella specie canina. I carcinomi presentano un quantitativo superiore di cellule T-reg Foxp3+ rispetto agli adenomi.

I carcinomi canini di grado istologico II mostrano un maggior infiltrato linfocitario Foxp3+ rispetto alle neoplasie di grado istologico inferiore.

I gatti affetti da carcinomi mammari contraddistinti da un maggior numero di cellule T-reg Foxp3+ hanno dimostrato una ridotta sopravvivenza.

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L’elevata presenza dei linfociti T-reg Foxp3+ risulta quindi associata ad una maggiore aggressività del tumore nella specie canina e ad una ridotta sopravvivenza nella specie felina.

Nella presente ricerca i linfociti T-reg Foxp3+ assumono dunque un ruolo prognostico negativo.

Quest’ultima considerazione rappresenta il presupposto per l’impiego terapeutico dei linfociti T-reg Foxp3+.

I risultati derivanti dalla ricerca individuano pertanto in queste cellule un potenziale bersaglio dell’immunoterapia anti-tumorale.

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PARTE I – 2. Le neoplasie mammarie di cane e gatto

2.1 Generalità

I tumori mammari rappresentano la neoplasia più comune della specie canina e la terza neoplasia più frequente della gatta ( Misdorp et al., 1999).

L’incidenza aumenta con l’età: a 6 anni di età essa è pari all’1%, ad 8 anni è uguale al 6% e all’età di 10 anni raggiunge il 13% (Egenvall et al., 2005).

L’età media in cui si manifesta una neoplasia mammaria va dai 10 agli 11 anni. Il verificarsi di questa patologia precedentemente ai quattro anni di età appare un evento raro (Withrow e MacEwen’s. 2007).

L’incidenza di tumori benigni e maligni in specifiche popolazioni di cani è stata correlata con l’aspettativa di vita (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Lo sviluppo di neoplasie della ghiandola mammaria risulta essere nettamente ridotto dall’intervento di ovarioisterectomia eseguito su cani giovani. Bensì l’uso di progestinici iniettabili allo scopo di prevenire l’estro ne aumenta l’incidenza.

Le razze Spaniel, il Barbone e il Bassotto sembrano essere predisposti allo sviluppo di queste neoplasie (Zatloukal et al., 2005).

Un’indagine attesta che l’incidenza di tumori maligni differisce nelle razze di piccola taglia rispetto alle razze di grossa taglia. Il 25% dei cani di piccola taglia è interessato da neoplasie istologicamente maligne, ben il 58% dei cani di grossa taglia ne risulta invece affetto (Itoh et al., 2005).

I tumori mammari canini sono caratterizzati da uno sviluppo ormone-dipendente.

Il rischio di sviluppare una patologia neoplastica maligna della ghiandola mammaria è pari allo 0,05% nelle cagne sottoposte a sterilizzazione antecedentemente al primo estro.

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Dopo il primo estro il rischio è dell’8% e raggiunge il 26% se il cane viene sterilizzato dopo il secondo estro.

Sterilizzazioni successive non riducono il rischio di sviluppare neoplasie maligne, sebbene il rischio di tumori benigni risulti ridotto anche dalle sterilizzazioni che avvengono in età maggiore (Misdorp, 1991).

Diversamente da quanto dimostrato per le neoplasie mammarie della donna, non è possibile affermare che esista un effetto protettivo dato dalla gravidanza precoce nella specie canina (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Gli ormoni steroidei ovarici, in particolare il progesterone, si legano ai propri recettori ed esercitano un’attività mitogenica sulle cellule mammarie.

Ghiandole mammarie normali e la maggior parte dei tumori benigni presentano recettori per estrogeni (ERs) e per il progesterone (PRs) a livelli spesso aumentati.

I carcinomi, al contrario, si contraddistinguono per un ridotto numero di recettori ERs e PRs (Martin et al., 1984) essendo privi di normale epitelio mammario.

Una ricerca ha dimostrato che il 100% dei tessuti normali e displastici e il 95% dei tumori benigni presentavano recettori per gli estrogeni. Il 92% dei carcinomi risultava ER-positivo, ma solo il 62% mostrava una forte colorazione nucleare. I recettori del progesterone erano espressi in misura minore nelle neoplasie benigne e maligne se confrontati con tessuti mammari sani (Millanta et al., 2005).

Le neoplasie maligne della ghiandola mammaria sembrano andare incontro ad una perdita di dipendenza dagli ormoni steroidei (Martin et al., 2005).

La prolattina è un ormone dotato di un ruolo rilevante nello sviluppo tissutale mammario. I livelli di prolattina nei tessuti e nel siero di pazienti con neoplasie maligne sono maggiori se paragonati ai livelli di questo ormone nei soggetti con ghiandole mammarie normali (Queiroga et al., 2005).

Nella specie canina il progesterone e i progestinici di sintesi come il Medrossiprogesterone acetato (MPA) inducono uno sviluppo lobulo-alvelolare della

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ghiandola mammaria con iperplasia degli elementi secretori e mioepiteliali; l’estradiolo favorisce la crescita dei dotti.

La prolungata somministrazione di estrogeni non sembra aumentare l’incidenza di tumori mammari nella specie canina. Il progesterone conduce principalmente alla formazione di noduli benigni.

Il rischio di sviluppare neoplasie maligne aumenta in seguito alla somministrazione sperimentale combinata di estrogeni e progestinici ad alti dosaggi a lungo termine; ciò si verifica nel caso in cui i farmaci utilizzati siano dotati di attività progestinica ed estrogenica combinata (Rutteman, 1992).

L’impiego di progestinici iniettabili al fine di prevenire l’estro in questa specie aumenta prevalentemente l’incidenza dei tumori benigni; promuove la secrezione dell’ormone somatotropo (GH) e aumenta il livello ematico di insuline-like growth factor I (IGF-I) e IGF-II. Essi rappresentano un potenziale stimolo per la proliferazione delle cellule mammarie (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Le proteine ras, trasmettitori dalla superficie cellulare al nucleo di segnali che promuovono la crescita, sono frequentemente sovraespresse in molte neoplasie umane, ma gli studi condotti mediante PCR sui tumori mammari del cane non hanno rilevato l’espressione dei geni ras.

Risultati differenti sono riportati in merito alla sovraespressione di mRNA per c-erbB-2: la proteina sembra essere espressa nelle neoplasie mammarie maligne (Ahern et al., 1996), ma in uno studio successivo essa compare più frequentemente nei tumori benigni rispetto ai maligni (Rungsipipat et al., 1999). Un recente studio ha rinvenuto nel 35,4% dei tumori maligni c-erbB-2, nessuna neoplasia benigna invece ne ha attestato la sovraespressione (Dutra et al., 2004).

La proteina p53 risulta essere il gene più frequentemente mutato nelle neoplasie dell’uomo.

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Nella specie canina è stato dimostrato che la mutazione di questo gene provoca un aumento del rischio di recidive e di morte a causa di una patologia neoplastica mammaria (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Il gene BRCA1, identificato tra i responsabili dei tumori mammari ereditari dell’uomo, è stato individuato in alcuni tumori mammari del cane (Yuzbasiyan et al., 1999), ma per comprendere complessivamente quali alterazioni genetiche contribuiscono alla patogenesi dei tumori mammari del cane occorrono ulteriori studi in materia.

L’impiego della citometria a flusso consente di evidenziare anomalie del DNA e del proprio contenuto quali l’aneuploidia. Il 50-60% delle neoplasie primarie presenta un aumento o una riduzione del contenuto di DNA. L’aneuploidia nel tumori mammari benigni (15%-25%) può indicare una potenziale progressione verso la malignità (Pérez-Alenza et al., 1995).

Per stabilire la progressione delle neoplasie mammarie maligne è possibile considerare l’espressione di proteine di adesione e gap junction come l’E-caderina, le connessine e la paxillina. Un tumore caratterizzato da una forte invasività, proliferazione e aggressività istologica risulta meno localizzato e con mobilità cellulare aumentata. Neoplasie umane e canine presentano un aumento delle proteine anti-apoptotiche bcl-2, bcl-XI e una ridotta espressione di proteine pro-apoptotiche Bax, caspasi 8 e 3 (Kumaraguruparan et al., 2005).

Nei tessuti mammari normali la COX-2 non è presente, ma la sua espressione risulta aumentata nelle neoplasie benigne (24%) e nelle neoplasie maligne (56%). Questo suggerisce un possibile ruolo degli enzimi nella carcinogenesi mammaria parallelamente a quanto avviene in medicina umana (Withrow e MacEwen’s. 2007).

L’obesità e diete ad alto contenuto lipidico aumentano il rischio di sviluppare neoplasie mammarie. Il rischio è ridotto se i soggetti di età compresa tra i 9 e 10 mesi non sono sovrappeso. È stato inoltre confermato che l’obesità nei cani di un anno rappresenta un fattore di rischio (Pérez Alenza et al., 1998).

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La dieta casalinga è stata associata ad un rischio maggiore rispetto alle diete commerciali, i fattori nutrizionali sembrano così influenzare lo sviluppo neoplastico.

Nella specie felina le neoplasie mammarie rappresentano il 17% dei tumori delle gatte, solo l’1%-5% delle neoplasie della ghiandola mammaria interessano gatti di sesso maschile (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Nella gatta l’85% dei tumori mammari è maligno (Carpenter et al., 1987).

Il siamese e il domestic shorthair sembrano avere una più alta incidenza di neoplasie mammarie. Nel siamese il rischio di sviluppare questo tipo di tumore è doppio rispetto alle altre razze (Kessler et al., 1997).

Il siamese e il persiano presentano una prognosi peggiore rispetto alle altre razze (Weijer et al., 1983).

L’età media di insorgenza nel gatto va da 10 a 12 anni (Zappulli et al., 2015), la presenza di neoplasie mammarie è stata osservata dai 9 mesi fino ai 23 anni di età (Hayes et al., 1981).

Anche nella patogenesi dei tumori mammari della gatta l’influenza degli ormoni assume un ruolo rilevante (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Le gatte sottoposte a sterilizzazione prima dei 6 mesi di età hanno una riduzione del 91% del rischio rispetto ai soggetti interi. Il rischio di sviluppare tumori mammari si riduce dell’86% nelle gatte sterilizzate prima dell’anno di età (Overley et al., 2005).

L’utilizzo di farmaci contenenti progestinici o una combinazione di estrogeni e progestinici è stato associato allo sviluppo di neoplasie della ghiandola mammaria nel gatto (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Gli ormoni sessuali steroidei possono interagire con le cellulare mammarie e influenzare lo sviluppo di forme neoplastiche. Tessuti normali e tumori benigni esprimono bassi livelli di ERs e moderati livelli di PRs; i carcinomi mammari felini sono contraddistinti da una meno frequente espressione di questi recettori. È conseguentemente ipotizzabile

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una perdita della dipendenza steroidea durante la progressione maligna (Rutteman et al., 1991).

I carcinomi mammari felini sono un utile modello comparativo per i carcinomi umani ormono-indipendenti.

L’overespressione HER-2 nel 59% di 47 casi di carcinomi mammari di gatto è stata significativamente associata ad un overall survival più breve (Millanta et al., 2005). La ciclina-A, una proteina regolatoria del ciclo cellulare, risulta presente nel 46% dei tumori esaminati, ma assente nelle neoplasie mammarie benigne (Murakami et al., 2000).

L’E-caderina si è dimostrata ridotta o assente nel 70% delle neoplasie mammaria feline (Pereira et al., 2003).

2.2 Aspetti clinici

Le neoplasie mammarie si manifestano clinicamente come noduli singoli o multipli che si sviluppano simultaneamente o successivamente.

I noduli multipli sono meno frequenti nei pazienti che hanno subito una limitata esposizione agli ormoni steroidei ovarici (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Le lesioni possono essere associate al tessuto ghiandolare stesso, ma anche al capezzolo. Le cinque paia di mammelle del cane possono sviluppare una o più neoformazioni di tipo benigno o maligno. Il 65%-70% delle lesioni neoplastiche mammarie del cane interessa le due paia di ghiandole caudali in quanto il volume del tessuto mammario è maggiore (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Le neoplasie mammarie benigne si presentano piccole e ben circoscritte alla palpazione; i tumori maligni sono contraddistinti da una rapida crescita, sono fissati alla cute e agli strati sottostanti, possono presentare segni di infiammazione e ulcerazione.

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Il carcinoma infiammatorio si manifesta con un quadro clinico caratteristico: crescita rapida, coinvolgimento di più ghiandole mammarie e della cute soprastante, calore, eritema, edema, ispessimento, presenza di dolore e talvolta linfedema di uno o due arti adiacenti a causa dell’occlusione dei vasi linfatici interessati. Questa presentazione deve essere comunque distinta da un’eventuale mastite infiammatoria che di solito si presenta più localizzata e dopo l’estro, la gravidanza o la pseudo-gravidanza.

Un carcinoma che metastatizza i linfonodi inguinali può penetrare nei vasi linfatici pudendi e diffondersi ai linfonodi iliaci interni. In questa sede le metastasi possono risultare palpabili e provocare la compressione del colon.

Altri sedi di metastatizzazione sono rappresentate dai polmoni, il fegato, i reni e, meno frequentemente, le ossa. Per quanto riguarda i linfonodi si presta particolare attenzione ai sottolombari, sternali e pre-scapolari (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Per la stadiazione è necessario valutare il diametro massimo del tumore primario, lo stato dei linfonodi regionali e la presenza di siti metastatici distanti.

Del tumore primario si considera l’eventuale recente crescita, la dimensione, la fissazione alla cute o alla fascia, l’ulcerazione e l’evidenza clinica di infiammazione. La dimensione della lesione primaria viene classificata in T₁ se il diametro massimo è inferiore a 3 cm; T₂ se il diametro massimo è compreso tra 3 e 5 cm, T₃ se il diametro massimo supera i 5 cm. (Withrow e MacEwen’s. 2007).

N₀ rappresenta l’assenza di metastasi nei linfonodi regionali; N₁ la presenza di metastasi nei linfonodi regionali ( istologica o citologica).

M₀ corrisponde all’assenza di metastasi distanti; M₁ significa che sono state rilevate metastasi in siti distanti.

Gli stadi I, II e III sussistono quanto T è rispettivamente uguale a T₁, T₂ e T₃ in assenza di interessamento dei linfonodi regionali e dei siti metastatici distanti (N₀, M₀).

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Lo stadio V è caratterizzato dalla presenza di qualsiasi T, qualsiasi N con M₁.

Nella specie felina le neoplasie mammarie sono rinvenute spesso in avanzato stato di sviluppo (Withrow e MacEwen’s. 2007).

La lesione può aderire alla cute soprastante o alla parete addominale sottostante. Il 25% dei gatti è interessato da masse ulcerate (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Il capezzolo coinvolto può presentarsi arrossato, edematoso e l’essudato è frequentemente di colore giallo o bruno (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Il tumore può coinvolgere qualsiasi ghiandola mammaria e può interessarle tutte. Non sono emerse predilezioni di tipo cranio-caudale o destra-sinistra (Anderson et al., 1966). Più della metà dei gatti affetti presenta il coinvolgimento di più ghiandole mammarie (Skorupski et al., 2005).

I pazienti possono andare incontro a insufficienza respiratoria dovuta al coinvolgimento metastatico polmonare e toracico. La carcinomatosi pleurica produce un essudato che soventemente contiene cellule maligne (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Nel gatto la stadiazione avviene tenendo conto della dimensione del tumore primario, del coinvolgimento dei linfonodi regionali e della presenza di metastasi in siti distanti. La dimensione della lesione primaria viene classificata in T₁ se il diametro massimo è inferiore a 2 cm; T₂ se il diametro massimo è compreso tra 2 e 3 cm, T₃ se il diametro massimo supera i 3 cm (Withrow e MacEwen’s. 2007).

N₀ rappresenta l’assenza di metastasi nei linfonodi regionali; N₁ la presenza di metastasi nei linfonodi regionali ( istologica o citologica).

M₀ corrisponde all’assenza di metastasi distanti; M₁ attesta che sono state rilevate metastasi in siti distanti. Questa evenienza può essere rilevata valutando i linfonodi distanti, accertando la presenza di cellule tumorali nell’essudato pleurico, constatando segni radiologici di metastasi polmonari ed esaminando torace e

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addome radiologicamente o ecograficamente per evidenziare un coinvolgimento linfonodale (Withrow e MacEwen’s. 2007).

Gli stadi I, II e sussistono quanto T è rispettivamente uguale a T₁, T₂ e in assenza di interessamento dei linfonodi regionali e dei siti metastatici distanti (N₀, M₀).

Lo stadio III è raggiunto nelle seguenti combinazioni: T₁‚₂ con N₁ e M₀ e T₃ con N₀‚₁ e M₀.

Lo stadio IV si verifica in presenza di qualsiasi T , qualsiasi N₁ e M₀.

2.3 Diagnosi

I tumori della ghiandola mammaria del cane variano nella struttura ed assumono un diverso comportamento biologico. La malignità di una neoplasia può essere suggerita dalla rapidità di crescita, presenza di ulcerazione, aumento di volume dei linfonodi regionali, cachessia e dispnea. Una crescita lenta e una netta demarcazione della lesione sono suggestive di una neoplasia benigna, un’iperplasia o una displasia (Misdorp et al., 1999).

La metodologia diagnostica più indicata in caso di neoplasia mammaria è l’esame istopatologico di una biopsia incisionale o escissionale.

L’istopatologia consente inoltre di accertare ai fini della classificazione la presenza di infiltrazione nella cute circostante, nei tessuti molli e nei vasi; l’eventuale pleomorfismo, la presenza di necrosi, il grado di differenziazione, l’indice mitotico ed infine di valutare la completezza dell’escissione.

La citologia non si è rivelata la tecnica appropriata per differenziare lesioni mammarie maligne da quelle benigne (Misdorp et al., 1999). Tuttavia l’esame citologico può essere di ausilio per discriminare lesioni infiammatorie, mastocitomi ed interpretare agoaspirati di linfonodi con sospetto metastatico.

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Un problema rilevante nella valutazione delle neoplasie mammarie risiede nella corretta identificazione dei tumori maligni.

La presenza di cellule con nuclei aumentati di volume e nucleoli prominenti spesso provoca una sovrastima dei carcinomi mammari.

I criteri di malignità più significativi per la diagnosi delle neoplasie mammarie sono rappresentati dal tipo di tumore, dal pleomorfismo nucleare e cellulare, dall’indice mitotico, dalla presenza di aree necrotiche, dall’invasione peritumorale e linfatica; e dalla presenza di metastasi nei linfonodi regionali (Goldschmidt et al., 2011).

Nei carcinomi mammari felini il grading si basa su tre parametri: pleomorfismo, formazione di tubuli e numero di mitosi (Zappulli et al., 2015).

Nella specie felina la presenza di emboli neoplastici nei vasi e nei linfatici non è inclusa nel grading dei carcinomi mammari. L’invasione linfovascolare potrebbe rivelarsi un parametro morfologico appropriato per l’inclusione nel grado istologico III dei carcinomi mammari della gatta (Zappulli et al., 2015).

Nell’iter diagnostico deve essere comunque compreso l’esame fisico del paziente, l’esecuzione di un profilo emato-biochimico, sierologico, coagulativo e l’esame delle urine completo per la valutazione delle condizioni generali di salute del soggetto.

Il numero, la grandezza e la localizzazione dei tumori primari deve essere registrata. Nel caso in cui il sospetto di una neoplasia maligna non sia escludibile è opportuno procedere con un esame radiologico del torace nelle tre proiezioni prima di optare per l’approccio chirurgico; in tal modo sarà possibile valutare la presenza di metastasi polmonari o l’interessamento dei linfonodi sternali.

In presenza di tumori che coinvolgono le due ghiandole mammarie caudali è necessario valutare la regione sottolombare, tramite diagnostica radiologica o ecografica, per la ricerca di un’eventuale linfoadenopatia metastatica.

Tramite palpazione rettale è possibile valutare la linfadenopatia dei linfonodi iliaci interni.

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2.4 Classificazione dei tumori mammari

a. Tumori maligni del cane:

1. Carcinoma non infiltrante (in situ) 2. Carcinoma complesso

3. Carcinoma semplice

3.1. Carcinoma tubulo-papillare 3.2. Carcinoma solido

3.3. Carcinoma anaplastico 4. Tipi speciali di carcinoma

4.1. Carcinoma a cellule fusate 4.2. Carcinoma squamoso 4.3. Carcinoma mucoso

4.4. Carcinoma a cellule ricche in lipidi 5. Sarcoma

5.1. Fibrosarcoma 5.2. Osteosarcoma 5.3. altri

6. Carcinosarcoma

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18 b. Tumori benigni del cane:

1. Adenoma

1.1. Adenoma semplice 1.2. Adenoma complesso 1.3. Adenoma basaloide 2. Fibroadenoma

2.1. Fibroadenoma a bassa cellularità 2.2. Fibroadenoma ad alta cellularità 3. Tumore misto benigno

4. Papilloma duttale

c. Tumori non classificati del cane

d. Iperplasie e Displasie mammarie del cane:

1. Iperplasia duttale 2. Iperplasia lobulare 2.1 Iperplasia epiteliale 2.2 Adenosi 3. Cisti 4. Ectasia duttale

5. Fibrosi focale (fibrosclerosi) 6. Ginecomastia

(20)

19

La classificazione descritta è Histological Classification of Mammary Tumors of the dog

and the cat di Midsorp W, Else RW, Hellme’n E, et al., 1999 (World Health Organization).

Recentemente sono stati introdotti degli aggiornamenti (Goldschmidt et al., 2011) che prevedono tra i carcinomi semplici l’aggiunta del carcinoma tubulare, cistico-papillare, micropapillare invasivo, comedocarcinoma.

Per carcinoma complesso si intende la neoplasia con componente epiteliale maligna e mioepitelio benigno; carcinoma e mioepitelioma maligno nel caso in cui entrambe le componenti (epiteliale e mioepiteliale) siano maligne.

Carcinoma di tipo misto è una neoplasia con epitelio maligno, mioepitelio, mesenchima benigno. La componente mesenchimale è rappresentata da osso o cartilagine.

Carcinoma duttale è la variante maligna dell’adenoma duttale.

Carcinoma intraduttale papillare è la variante maligna dell’adenoma intraduttale papillare.

Tra i tipi speciali di carcinoma sono stati aggiunti il carcinoma adenosquamoso, mioepitelioma maligno, carcinoma squamoso (variante a cellule fusate), carcinoma (variante a cellule fusate), carcinoma infiammatorio.

Per quanto riguarda le neoplasie benigne ci si riferisce all’adenoma complesso con adenomioepitelioma, al papilloma duttale con adenoma intraduttale papillare, all’adenoma basaloide con adenoma duttale e si aggiunge la differenziazione squamosa (granuli cheratoialini) e il mioepitelioma.

In merito alle iperplasie e displasie si aggiunge in modo specifico la regolare con attività secretoria (da lattazione), con fibrosi e con atipia; l’ epiteliosi e la papillomatosi.

Per le neoplasie del capezzolo vengono considerati gli adenomi, i carcinomi e i carcinomi con infiltrazione epidermica (Paget-like disease).

(21)

20 a. Tumori maligni del gatto:

1. Carcinoma non infiltrante (in situ) 2. Carcinoma tubulopapillare 3. Carcinoma solido 4. Carcinoma cribriforme 5. Carcinoma squamoso 6. Carcinoma mucoso 7. Carcinosarcoma

8. Carcinoma o sarcoma in tumore benigno

b. Tumori benigni del gatto:

1. Adenoma

1.1 Adenoma semplice 1.2 Adenoma complesso 2. Fibroadenoma

2.1 Fibroadenoma a bassa cellularità 2.2 Fibroadenoma ad alta cellularità 3 Tumore misto benigno

4 Papilloma duttale

(22)

21 d. Iperplasie e Displasie mammarie feline:

1. Iperplasia duttale 2. Iperplasia lobulare

2.1 Iperplasia epiteliale 2.2 Adenosi

2.3 Ipertrofia mammaria felina- Fibroadenomatosi 3. Cisti

4. Ectasia duttale

5. Fibrosi focale (fibrosclerosi)

I tumori mammari felini sono classificati secondo le linee guida della World Health

Organization, ma sono state suggerite alcune recenti modifiche (Zappulli et al., 2015):

Recentemente anche nel gatto sono stati riportati carcinomi mammari complessi. Queste neoplasie non presentano comunque la proliferazione mioepiteliale tipica dei carcinomi complessi del cane; bensì comprendono tubuli e nidi di cellule epiteliali del lume sottesi da cellule mioepiteliali cuboidali o fusiformi, chiare o eosinofiliche, che si rivelano positive a calponina e p63 (Seixas et al., 2008).

Queste neoplasie sono state recentemente classificate come adenomi/carcinomi mammari duttali felini piuttosto che carcinomi complessi (Zappulli et al., 2013).

Inoltre, è stato riconosciuto anche il carcinoma infiammatorio nella specie felina che presenta analogie con il carcinoma infiammatorio del cane e della donna (Pérez-Alenza et al., 2004).

(23)

22

Aspetti istopatologici dei tumori mammari di cane e gatto

1. Carcinoma in situ

Neoplasia epiteliale con caratteristiche istologiche di malignità che non ha invaso la membrana basale.

Si tratta spesso di una lesione multicentrica con crescita intraduttale, intralobulare o cresce in dotti dilatati e cisti.

L’aspetto morfologico delle cellule tumorali può essere di tipo cribriforme, solido senza o con una zona di necrosi centrale (comedocarcinoma).

Il carcinoma in situ deve essere attentamente differenziato da un’iperplasia duttale atipica.

2. Carcinoma complesso

Carcinoma composto da entrambe le componenti epiteliale e mioepiteliale.

Le cellule epiteliali del lume si organizzano in maniera tubulopapillare o solida. Le cellule mioepiteliali sono spesso fusate o stellate.

Occasionalmente è presente la metaplasia squamosa. L’invasione linfatica avviene raramente (10% dei casi).

La differenziazione tra un carcinoma complesso molto differenziato ed un adenoma complesso può non essere semplice. L’assenza di capsula, una crescita infiltrante, un’elevata cellularità, la necrosi e un alto indice mitotico sono suggestivi di malignità.

(24)

23 3. Carcinoma semplice

Carcinoma composto da un solo tipo cellulare (epiteliale o mioepiteliale). La quantità di stroma varia considerevolmente.

I linfociti peritumorali sono un reperto frequente, può essere associata la necrosi.

Queste neoplasie tendono ad infiltrate i tessuti circostanti e i vasi (50% dei casi), la diffusione ematica e linfatica rappresenta un evento frequente.

Basandosi sulla loro differenziazione e sul comportamento biologico i carcinomi semplici sono stati suddivisi in: tubulopapillari, solidi, anaplastici.

3.1 Carcinoma tubulo-papillare

Carcinoma caratterizzato dalla formazione di tubuli e/o proiezioni papillari.

I carcinomi tubulari sono sprovvisti di elementi papillari e possono essere contraddistinti da una marcata proliferazione di fibroblasti dello stroma.

I carcinomi papillari non presentano una componente tubulare e nel gatto devono essere differenziati dal tipo cribriforme.

La variante carcinoma cistico-papillifero può essere difficile da differenziare rispetto ad una lesione benigna. Metastasi di quest’ultima variante sono state osservate in linfonodi regionali del cane.

3.2 Carcinoma solido

Carcinoma contraddistinto dall’organizzazione delle cellule tumorali in cordoni, ammassi solidi e strati compatti.

La quantità di stroma può variare da scarsa a moderata. Alcune cellule possono avere citoplasma vacuolizzato.

(25)

24 3.3 Carcinoma anaplastico

Carcinoma molto infiltrante, composto da cellule epiteliali grandi e pleomorfe, non classificabile in altre categorie di carcinoma.

Neoplasia caratterizzata da cellule con nuclei bizzarri e ricchi di cromatina, talvolta multinucleate.

Le cellule possono essere singole o raggruppate in piccoli cluster. Possono essere presenti neutrofili ed eosinofili. Lo stroma è abbondante.

La differenziazione di un carcinoma estremamente anaplastico e di un sarcoma anaplastico, come il rabdomiosarcoma, può risultare difficile. Le cellule del carcinoma anaplastico spesso sono positive alle citocheratine e alla vimentina per ciò che concerne l’immunoistochimica, le cellule di rabdomiosarcoma sono positive alla desmina. Lisozima e α1-antitripsina possono aiutare la differenziazione da lesioni infiammatorie con macrofagi altamente reattivi.

La tendenza a recidivare e a metastatizzare è elevata.

4. Tipi speciali di carcinoma 4.1 Carcinoma a cellule fusate

Tumore maligno composto da cellule fusate che generalmente si organizzano in pattern epiteliali.

Alcuni sono solidi, altri possono contenere tubuli.

La differenziazione tra un carcinoma a cellule fusate e un fibrosarcoma può essere audiuvata dall’utilizzo di marker immunoistochimici quali la citocheratina e la vimentina.

È ipotizzabile che il carcinoma a cellule fusate possa avere origine mioepiteliale. Si tratta di una neoplasia relativamente rara nel gatto e non riportata nel gatto.

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25 4.2 Carcinoma squamoso

Carcinoma composto da strati solidi e cordoni di cellule con aree di differenziazione squamosa.

Le cellule basaloidi sono predominanti nelle parti periferiche degli strati.

La parte centrale è composta da lamelle di cheratina con cellule tumorali necrotiche. La maggior parte dei carcinomi a cellule squamose sono fortemente invasivi e l’invasione linfatica è comune.

I carcinomi a cellule squamose della mammella (alcuni dei quali sembrano originare nel canale del capezzolo) devono essere distinti dai carcinomi a cellule squamose derivanti dalla cute e dagli annessi. Inoltre, devono essere differenziati dalla metaplasia squamosa dei dotti provocata da flogosi in quanto possono contenere numerosi neutrofili.

Nei carcinomi lo strato periferico di cellule presenta spesso atipie ed invade il tessuto adiacente.

Una variante è rappresentata dal carcinoma adenosquamoso. Anch’esso contiene strutture ghiandolari.

4.3 Carcinoma mucoso

Carcinoma caratterizzato da abbondante produzione di mucina. Il carcinoma mucoso può essere di tipo semplice o complesso. Questa rara tipologia di tumore interessa il cane e il gatto.

4.4 Carcinoma a cellule ricche in lipidi

Carcinoma mammario contraddistinto da cellule con abbondante citoplasma vacuolizzato contenente lipidi neutri.

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26 5. Sarcoma

5.1 Fibrosarcoma

Neoplasia maligna dei fibroblasti con una quantità variabile di collagene.

Tumore composto da cellule fusate che hanno formato fibre di reticolina e collagene. In alcuni tumori, come l’emangiopericitoma, è possibile osservare un’organizzazione concentrica di fibre intorno ai vasi sanguigni proliferati.

I fibrosarcomi necrotici ed emorragici devono essere distinti da ascessi ed emorragie incapsulate prestando attenzione alle aree periferiche delle lesioni.

5.2 Osteosarcoma

Sarcoma caratterizzato da formazione di osteoide e/o osso da parte delle cellule neoplastiche.

Possono dividersi in osteosarcomi puri non combinati o tumori combinati composti da tessuto maligno osseo e cartilagineo. Può inoltre essere presente tessuto maligno fibroso e/o adiposo.

In genere la matrice è più densa nella zona centrale, mentre le aree cellulari sono osservabili alla periferia.

Gli osteosarcomi presentano pleomorfismo e marcata attività mitotica, sebbene i sarcomi combinati e le loro metastasi possano risultare ben differenziate

5.3 Altri sarcomi

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27 6. Carcinosarcoma

Tumore composto da cellule morfologicamente simili alla componente epiteliale maligna (luminale e/o mioepiteliale) e da cellule che ricordano elementi del tessuto connettivo maligno.

Può essere riconosciuto un insieme di tutte le tipologie di componenti carcinomatose e sarcomatose.

Le metastasi sono di tipo misto, sarcomatoso o carcinomatoso. La maggior parte di questi tumori risulta ben circoscritta.

Similmente a quanto avviene con il carcinoma complesso, la sopravvivenza post-chirurgia è relativamente lunga.

7. Carcinoma o Sarcoma in tumore benigno

Neoplasia con foci di cellule maligne o distinti noduli di queste cellule che interessano adenomi complessi o tumori misti benigni.

Questi tumori sono stati riscontrati occasionalmente nel cane.

Un esempio è rappresentato dall’osteosarcoma mammario che insorge in un tumore misto benigno.

Risulta difficile stabilire se la componente maligna derivi dal tumore benigno o lo abbia invaso. La componente maligna, al momento dell’esame istologico, può aver ampiamente sostituito il tumore benigno.

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28 1.1 Adenoma semplice

Neoplasia benigna con cellule epiteliali o mioepiteliali ben differenziate.

I tumori composti da epitelio luminale ben differenziato rappresentano il tipo tubulare. Alcuni adenomi tubulari presentano secrezione.

Si tratta di neoplasie benigne rare nel cane e nel gatto.

Nella specie canina gli adenomi che crescono solidamente e comprendono cellule fusate benigne sono classificati come mioepiteliomi.

1.2 Adenoma complesso

Tumore benigno composto da cellule epiteliali luminali e cellule mioepiteliali

Può essere difficile la differenziazione da un carcinoma complesso ben differenziato. La presenza di capsula, l’assenza di necrosi e atipie, una bassa attività mitotica sono suggestive di adenoma complesso.

Queste neoplasie sono più comuni nella specie canina che in quella felina.

Distinguere un adenoma complesso intraduttale da un papilloma duttale può non essere semplice, anche in queste ultime neoplasie possono essere presenti elementi epiteliali e mioepiteliali.

1.3 Adenoma basaloide

Neoplasia benigna composta da cordoni uniformi e cluster di cellule epiteliali basaloidi monomorfe.

Le cellule periferiche sono disposte a palizzata e orientate contro una sottile lamina basale.

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29

Le cellule localizzate al centro possono mostrare una differenziazione squamosa e ghiandolare.

I tumori sono solitamente piccoli, circoscritti e non metastatizzano.

Queste neoplasie sono state riscontrate nei cani di razza Beagle sottoposti a somministrazione di progestinici.

2. Fibroadenoma

Tumore benigno comprendente un insieme di cellule epiteliali del lume e cellule stromali, talvolta sono presenti cellule mioepiteliali.

Si riconoscono un sottotipo pericanalicolare ed intracanalicolare.

Lo stroma del Fibroadenoma ad alta cellularità si presenta estremamente ricco di cellule e figure mitotiche (come nel cistosarcoma filloide della donna).

3. Tumore misto benigno

Tumore composto da cellule benigne che morfologicamente ricordano componenti epiteliali (luminali e/o mioepiteliali) e cellule mesenchimali che hanno prodotto cartilagine e/o osso e/o grasso eventualmente in combinazione con tessuto fibroso. Queste neoplasie sono frequenti nel cane e rare nella specie felina.

4. Papilloma duttale

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30 Iperplasie e Displasie mammarie

La maggior parte delle proliferazioni epiteliali inizia nei dotti terminali e si manifestano come modificazioni iperplastiche di dotti extralobulari (iperplasia duttale) e/o di dotti intralobulari (iperplasia lobulare). In alcuni casi la distinzione risulta molto difficile.

1. Iperplasia duttale

Lesione non neoplastica caratterizzata da una proliferazione intraduttale di cellule epiteliali che talvolta porta alla totale o parziale obliterazione del lume.

L’iperplasia può essere diffusa o multifocale (papillomatosi o epiteliosi).

Le piccole dimensioni e l’uniformità delle cellule e dei nuclei, la mancanza di mitosi e la presenza di uno strato mioepiteliale riconoscibile sono suggestive di una condizione benigna. Quando l’atipia è marcata l’iperplasia viene identificata come duttale atipica. La differenziazione con un carcinoma intraduttale può risultare difficile.

2. Iperplasia lobulare 2.1 Iperplasia epiteliale

Proliferazione non neoplastica di cellule epiteliali all’interno dei duttuli intralobulari.

2.2 Adenosi

Proliferazione non neoplastica dei duttuli.

L’adenosi comprende epitelio dei duttuli, mioepitelio e tessuto fibroso in varie proporzioni.

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31

Il tipo di crescita periduttulare, specialmente se accompagnato da fibrosi, può simulare un carcinoma infiltrante.

Il mantenimento del pattern lobulare e la presenza di un doppio strato epiteliale mioepiteliale sono suggestivi di un processo benigno.

L’adenosi è meno comune nel cane e nel gatto rispetto alla donna.

3. Cisti

Le cisti sono solitamente multiple.

L’epitelio può presentarsi atrofico o può mostrare un certo grado di iperplasia e crescita papillare.

La formazione di cisti può essere notevole soprattutto nella specie felina.

4. Ectasia duttale

Progressiva dilatazione del sistema duttale della ghiandola mammaria.

Quando avviene la rottura della continuità epiteliale, il materiale lipidico penetra nello stroma e provoca una reazione da corpo estraneo.

L’ectasia duttale può essere difficile differenziazione rispetto alle cisti.

5. Fibrosi focale ( fibrosclerosi)

La maggior parte delle displasie trattate mostra un certo grado di fibrosi.

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32 6. Ginecomastia

Nella ghiandola mammaria di cani di sesso maschile è rilevata un’iperplasia dei dotti e dello stroma, possono essere osservati alcuni acini.

Questa condizione può far parte della sindrome da femminilizzazione del cane associata a sertoliomi.

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33

2.5 Prognosi

Cani trattati chirurgicamente in seguito a neoplasie maligne presentano tempi di sopravvivenza inferiori rispetto a soggetti trattati per neoplasie benigne, la sopravvivenza dei primi dopo due anni va dal 25% al 40%. Essi sopravvivono in media dai 4 ai 17 mesi (Misdorp et al., 1999).

Un fattore prognostico indipendente è l’istotipo, la malignità risulta crescente dal carcinoma complesso al carcinoma semplice fino a raggiungere il sarcoma. La maggior parte dei cani interessati da sarcoma della ghiandola mammaria mostrano una sopravvivenza compresa tra i 9 e i 12 mesi di vita.

Per quanto riguarda i carcinomi semplici l’ordine crescente di malignità è dato dal carcinoma in situ, il carcinoma tubulo-papillare, il carcinoma solido, il carcinoma anaplastico. L’anaplasia assume quindi significato prognostico.

I carcinomi infiammatori sono caratterizzati da una prognosi infausta. La maggior parte di essi non può essere rimossa chirurgicamente e, nel caso in cui ciò divenisse possibile, la neoplasia tende a recidivare da poche settimane ad un mese post-chirurgia. Questi pazienti frequentemente vanno incontro a CID (coagulazione intravasale disseminata) e durante l’intervento il rischio di un’eccessiva perdita ematica è fortemente ipotizzabile. In uno studio su 33 cani affetti da carcinoma infiammatorio il tempo di sopravvivenza medio con terapia palliativa si è rivelato essere di 25 giorni (Perez et al., 2001).

È necessario sottolineare che gli studi prognostici si basano su tumori appartenenti a gruppi di soggetti, ciò comporta che le conclusioni riguardanti il valore prognostico del tipo di tumore non si applicano necessariamente ai casi individuali. Alcuni carcinomi solidi poco invasivi sono stati associati con una sopravvivenza relativamente lunga; al contrario alcuni carcinomi complessi possono talvolta presentare infiltrazione e metastatizzazione (Misdorp et al., 1999).

(35)

34

Risulta così evidente l’importanza di altri fattori prognostici quali il grado di infiltrazione, il grado istologico di malignità, l’età del paziente e le dimensioni della lesione. Il sistema WHO di stadiazione clinica tiene conto del diametro del tumore maligno più grande per la classificazione.

In aggiunta ai fattori prognostici convenzionali sono state prese in esame altre variabili che influenzano negativamente la prognosi: la frazione di cellule in fase-S, la percentuale di proteine e lipidi nella dieta, l’assenza dei recettori ormonali, la reattività ad un anticorpo monoclonale che identifica le cellule mioepiteliali e la scarsa reattività ad un anticorpo monoclonale che identifica le cellule epiteliali del lume (Misdorp et al., 1999).

Possiamo quindi considerare fattori prognostici nei tumori mammari canini : la dimensione del tumore, il coinvolgimento linfonodale, la presenza di metastasi, il tipo istologico, il grado di malignità, il grado di differenziazione nucleare, l’evidenza di reattività cellulare linfoide peritumorale, il grado di invasione, la crescita intravascolare, la reattività dei recettori degli ormoni steroidei, la frazione di fase-S per misurare la proliferazione, l’aneuploidia del DNA, il numero di AgNORSs.

La reazione linfoide cellulare in prossimità del tumore è potenzialmente indice dell’evidenza morfologica di una risposta immunitaria anti-tumorale.

Mediante immunoistochimica è possibile rilevare la presenza di antigeni espressi durante il ciclo cellulare quali il Ki-67 dotato di valore prognostico (Peña et al., 1998). Una mutazione del gene p53 aumenta il rischio di recidiva e morte a causa di patologia neoplastica (Wakui et al., 2001).

I fattori che non sono risultati associati alla prognosi sono la localizzazione della lesione, il numero di tumori presenti, la scelta di una chirurgia semplice o radicale (restando strettamente necessaria l’adeguata resezione), la presenza o l’assenza di ovarioisterectomia al momento della chirurgia. Resta oggetto di studio la rilevanza dell’età del paziente al momento della diagnosi.

(36)

35

In merito alla razza si ritiene che a cani di piccola taglia sia associata una sopravvivenza maggiore e che questi siano interessanti da una più alta incidenza di neoplasie benigne. Nei cani affetti da patologia neoplastica maligna la razza e il peso non risultano però influenzare la sopravvivenza.

Nel gatto i carcinomi sono caratterizzati da una prognosi infausta dovuta alla forte tendenza a recidivare localmente e a metastatizzare.

L’invasione stromale rappresenta un reperto frequente e spesso, al momento della chirurgia, sono già presenti metastasi.

Con un intervento di tipo conservativo i due terzi dei pazienti vanno incontro a recidiva nel sito della chirurgia . Inoltre, è stato osservato che dalla scoperta del tumore alla morte del soggetto trascorrono da 10 a 12 mesi (Hayes, 1977).

Per ciò che concerne la specie felina i fattori prognostici indipendenti sono: l’età, il diametro del tumore primario, la presenza di linfonodi positivi, un indice mitotico elevato, la presenza di necrosi, l’incompletezza dell’escissione chirurgica. A queste variabili si correlano una ridotta sopravvivenza e il rischio di recidive locali.

Altri parametri istologici dal rilevante significato prognostico sono la presenza di atipie nucleari e cellulari (pleomorfismo), l’indice apoptotico, l’ulcerazione cutanea, gli infiltrati linfoplasmocitari, la crescita infiltrativa, gli emboli linfovascolari, l’adesione ai tessuti sottostanti e i margini del tumore (Zappulli et al., 2015).

In gatte con adenocarcinoma mammario la mastectomia radicale riduce significativamente il tasso di recidive locali ( MacEwen et al., 1984).

Neoplasie mammarie maligne di diametro superiore a 3cm comportano un tempo di sopravvivenza medio da 4 a 12 mesi (Viste et al., 2002); tumori con diametro compreso tra i 2cm e i 3cm sono caratterizzati da una sopravvivenza che va da 15 a 24 mesi; gatti con tumori di diametro inferiore a 2cm possono sopravvivere mediamente più di tre anni.

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36

È stato dimostrato che in gatti sottoposti a chirurgia e trattati con doxorubicina affetti da patologia metastatica la localizzazione delle metastasi assume significato prognostico. I pazienti con metastasi polmonari sono sopravvissuti 331 giorni, quelli interessati da metastasi linfonodali hanno mostrato una sopravvivenza media superiore a 1500 giorni (Novosad et al., 2005).

Tumori ben differenziati, caratterizzati da poche figure mitotiche, sono associati ad una maggior sopravvivenza. Al contrario, un alto indice proliferativo Ki-67+, si associa ad una ridotta sopravvivenza. (Castagnaro et al., 1998)

Un altro fattore che può essere indicativo per la prognosi riguarda l’espressione di VEGF (vascular endothelial growth factor). Un’alta percentuale di cellule VEGF+ è correlata ad una prognosi sfavorevole (Millanta et al., 2002).

La sovraespressione HER-2 (human epidermal growth factor receptor 2) nel 59% di 47 casi di carcinomi mammari felini invasivi è stata significativamente associata ad un overall survival più breve (Millanta et al., 2005).

La ciclina-A, una proteina regolatoria del ciclo cellulare, risulta presente nel 46% dei tumori esaminati, ma assente nelle neoplasie mammarie benigne (Murakami et al., 2000).

L’E-caderina si è dimostrata ridotta o assente nel 70% delle neoplasie mammarie feline (Pereira et al., 2003).

In oncologia felina risulta difficile seguire la progressione della patologia neoplastica, molti studi sono di tipo retrospettivo e non presentano correlazioni con la sopravvivenza (Zappulli et al., 2015).

I parametri prognostici più affidabili ad oggi sono il coinvolgimento linfonodale, l’invasione linfovascolare, la dimensione della lesione e il grado del tumore. Il sottotipo istologico e la stadiazione clinica richiedono ulteriori approfondimenti per essere utilizzati come indicatori prognostici (Zappulli et al., 2015).

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37

Si evince quindi l’importanza del consenso sulla classificazione dei carcinomi mammari felini e la standardizzazione degli indici prognostici. E’ necessario un aggiornamento della classificazione dei carcinomi mammari di questa specie con una descrizione dettagliata (Zappulli et al., 2015).

2.6 Immuno-terapia delle neoplasie mammarie

Negli ultimi anni l’applicazione terapeutica delle nuove conoscenze acquisite in ambito immunologico si sta sempre più affiancando alle tradizionali alternative terapeutiche impiegate.

Sebbene questa sezione fornisca una descrizione delle recenti applicazioni dei risultati emersi dalle ricerche in materia di linfociti T-regulatory Foxp3+ e delle conclusioni tratte da questo studio, è opportuno ricordare brevemente le terapie attualmente utilizzate nella cura dei tumori mammari canini e felini.

La chirurgia rappresenta il trattamento di scelta per i cani affetti da patologia neoplastica mammaria in assenza di metastasi e ad esclusione del carcinoma infiammatorio.

Il tipo di chirurgia dipende dall’estensione della patologia. Lo scopo della chirurgia è rimuovere tutto il tumore con la procedura più semplice tenendo conto dell’estensione delle lesioni maligne ai vasi linfatici e ai linfonodi regionali. Ciò dipende dalla dimensione del tumore, dalla fissazione ai tessuti circostanti, dal numero di lesioni e dalla probabilità di raggiungere un’efficace rimozione locale. La nodulectomia è indicata per noduli inferiori a 0,5 cm, superficiali, non fissati, benigni. Si ricorre alla rimozione di una ghiandola mammaria per lesioni localizzate al centro della ghiandola, superiori ad 1 cm, che mostrano fissazione alla cute o alla fascia della parete addominale. Queste ultime, se coinvolte, devono essere rimosse con la massa. La mastectomia regionale tiene conto del drenaggio linfatico; se il tumore interessa la ghiandola 1, 2 o 3, queste

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38

sono asportate in blocco. Il linfonodo ascellare viene rimosso se aumentato di dimensioni o citologicamente positivo a cellule maligne. Se il tumore coinvolge la ghiandola 4 o 5 queste devono essere rimosse insieme includendo i linfonodi adiacenti. In presenza di tumori multipli o di grosse dimensioni si ricorre alla mastectomia unilaterale. È possibile effettuare una mastectomia bilaterale simultanea, ma la rimozione unilaterale è tollerata meglio dai pazienti.

Le ghiandole mammarie del gatto di ogni lato hanno un sistema linfatico comune. Se nel cane risulta opportuno un approccio più conservativo, nella specie felina è necessario intervenire nella maggior parte dei casi con una mastectomia unilaterale e bilaterale. La mastectomia bilaterale può essere realizzata in due interventi chirurgici a distanza di due settimane.

Non esistono numerosi dati sull’impiego della chemioterapia nei tumori mammari della cagna e della gatta. La doxorubicina possiede un’attività antitumorale in vitro, ma raramente si è rivelata efficace in vivo (Sartin et al., 1993). Inoltre si deve tenere presente che nel gatto questa sostanza può essere nefrotossica. In uno studio è stata somministrata ciclofosfamide e 5-fluorouracile, in alcuni casi questo impiego può aumentare la sopravvivenza nel cane (Karayannopoulou et al., 2001).

L’utilizzo della radioterapia non è sufficientemente documentato nelle neoplasie mammarie canine e feline. La radioterapia potrebbe rivelarsi utile nei casi in cui non è possibile eseguire la chirurgia. I pazienti con neoplasie maligne sottoposti a rimozione completa non hanno bisogno di radioterapia. 8Gy in 2 o 3 frazioni sono stati impiegati in cani affetti da carcinoma infiammatorio come trattamento palliativo.

L’impiego di agenti che modificano la risposta biologica, quali levamisolo,

Corynebacterium parvum e BCG associati alla chirurgia nel cane non hanno dimostrato

una rilevante efficacia (Parodi et al., 1983).

A differenza dell’ovarioisterectomia preventiva, l’ovarioisterectomia terapeutica non sembra apportare benefici (Brodey et al., 1983) (Yamagami et al., 1996) (Morris et al.,

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39

1998). Un solo studio ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza nei cani sottoposti ad ovarioisterectomia meno di due anni prima o al momento della mastectomia (Sorenmo et al., 2000).

L’Immunoterapia oncologica

I linfociti T-reg Foxp3+ assumono un ruolo critico nel controllo della risposta immunitaria antitumorale.

Un grande numero di linfociti T-reg Foxp3+ infiltra il tumore, le cellule T-reg riconoscono antigeni associati al tumore o self antigeni normali espressi dalle cellule neoplastiche.

La rimozione sistemica di cellule T-reg Foxp3+ migliora la risposta antitumorale, naturale o indotta da vaccini, delle cellule T (Nishikawa e Sakaguchi, 2010).

I vaccini antitumorali che riconoscono come bersaglio i self antigeni associati al tumore possono potenzialmente attivare i T-reg, ostacolare un’efficace risposta immunitaria anti-tumorale o rendere le cellule T effettrici refrattarie alla soppressione mediata dai linfociti T-reg (Nishikawa e Sakaguchi, 2010).

Combinazioni di anticorpi monoclonali, capaci di modulare le funzioni dei linfociti T-reg sinergicamente, migliorano l’attività antitumorale e risultano più efficaci di una singola terapia monoclonale.

L’immunoterapia oncologica dovrebbe prevedere una terapia combinata nei confronti di diverse molecole bersaglio espresse nelle APCs, nelle cellule T effettrici e nei T-reg (Nishikawa e Sakaguchi, 2010).

In uno studio inerente l’immunoterapia del glioblastoma sono stati utilizzati IκBα o p65RHD , nuclear factor kappa-B (NF-κB) inhibitors, per sopprimere la funzione dei T-reg Foxp3+ e migliorare l’azione delle cellule T effettrici (Mineharu et al., 2012).

Un’indagine ha utilizzato il carcinoma mammario 4T1 murino come modello per lo studio dei tumori mammari della donna. Questa neoplasia maligna e scarsamente

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immunogena è refrattaria alla maggior parte dei trattamenti basati sull’immunostimolazione (Chen et al., 2007).

L’inefficacia de trattamento immunostimolatore è causata dagli effetti soppressivi delle cellule T-regolatrici CD4+ CD25+. Queste possono essere attenuate dal legame tra una proteina correlata con la famiglia dei recettori TNF indotti da glucocorticoidi e il suo ligando naturale (GITRL); un trattamento combinato con l’immunostimolazione presente aumenta l’immunità anti-tumorale ed eradicano i tumori metastatici 4T1 dai topi (Chen et al., 2007).

La forma dimerica solubile del GITRL murino (mlg- mGITRLs) può essere applicata in combinazione con GM-CSF, IL-2 e l’attivazione del 4-1BB. Ciò provoca una riduzione della funzione immunosoppressiva delle cellule T-reg spleniche, ne consegue un aumento della produzione di IFN-γ, dell’attività delle cellule T citolitiche tumore-specifiche, il rigetto del tumore e una maggior sopravvivenza del 65% degli animali esaminati (Chen et al., 2007).

L’attivazione di TLR9, mediante l’iniezione diretta nel tumore di nucleotidi CpG non metilati, può indurre una risposta immunitaria terapeutica. Tuttavia i linfociti T-reg inibiscono la risposta immunitaria antitumorale e limitano il potere delle immunoterapie oncologiche (Marabelle et al., 2013).

Nei topi è stato rilevato che i linfociti T-reg all’interno del tumore esprimono i marker cellulari di superficie CTLA-4 e OX40. L’iniezione combinata di CTLA-4 e anti-OX40 insieme alle CpG riducono i linfociti T-reg che infiltrano il tumore (Marabelle et al., 2013).

Questa immunomodulazione in situ, ottenuta con basse dosi di anticorpi in un singolo tumore, determina una risposta immunitaria anti-tumorale sistemica che eradica la patologia disseminata nel topo. Questo tipo di trattamento è stato efficace in un linfoma del sistema nervoso centrale con metastasi leptomeningee, ovvero sedi molto difficili da raggiungere e trattare (Marabelle et al., 2013).

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Le cellule immunitarie anti-tumorali stimolate da un’immunomodulazione locale possono eradicare cellule neoplastiche in siti distanti (Marabelle et al., 2013).

In ambiente tumorale le cellule T Natural Killer, attivate da α-galactosilceramide, esercitano un’attività anti-tumorale. Al contrario, le cellule T-reg sopprimono le risposte immunitarie antigene specifiche. Le cellule T-reg regolano negativamente la funzione delle cellule T NK in vitro (Hong et al., 2009).

Un’indagine sui tumori mammari murini dimostra che la somministrazione di α-GalCer o di anticorpi anti-CD25 singolarmente sopprime fortemente lo sviluppo del tumore e delle metastasi polmonari, il tasso di sopravvivenza aumenta del 44%. Se i due trattamenti vengono combinati, la deplezione dei linfociti T-reg potenzia l’attività anti-tumorale di α-GalCer e il tasso di sopravvivenza raggiunge l’85% (Hong et al., 2009). L’assenza di cellule B sembra influenzare la proliferazione e la funzione delle cellule T- reg in modo da aumentare la risposta anti-tumorale delle cellule T.

La percentuale e il numero assoluto di linfociti T-reg nella milza, nei linfonodi drenanti il tumore e nel tumore sono significativamente ridotti nei topi carenti di cellule B affetti da tumori mammari EMT-6 (Tadmor et al., 2011).

L’artemetere è stato efficace nel sopprimere la progressione tumorale dei tumori mammari murini e nel ridurre la presenza delle cellule T-reg Foxpp3+ spleniche (Farsam et al., 2011).

Nelle neoplasie mammarie murine l’ablazione delle cellule T-reg ha ostacolato la progressione del tumore primario e metastatico. L’ablazione a breve termine delle cellule T-reg nei tumori avanzati spontanei ha provocato l’apoptosi delle cellule neoplastiche (Bos et al., 2013).

La radioterapia congiuntamente con l’ablazione delle cellule T-reg ha migliorato dell’overall survival dei soggetti trattati.

Una nuova molecola TLR7-agonista utilizzata singolarmente può efficacemente eradicare la neoplasia mediante una stimolazione dell’immunità innata e adattativa. Nei

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tumori mammari murini l’attività anti-tumorale si è esplicata aumentando la percentuale di cellule CD4+ e CD8+ e riducendo le cellule T-reg (Diao et al., 2016).

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PARTE I – 3. I linfociti T-reg Foxp3+

3.1 Risposte immunitarie e cellule Th1, Th2, Th17, T-reg

L’immunologia degli elminti ci ha fornito importanti indicazioni in merito ai tipi di risposta immunitaria che si verificano nell’ospite in reazione alla noxa patogena.

I nematodi e platelminti inducono una risposta immunitaria di tipo 2 caratterizzata dall’attivazione di eosinofili, basofili, mastociti, produzione di IgE e proliferazione di cellule T secernenti IL-4, IL-5, IL-9, IL-10 e IL-13 (cellule Th2).

La risposta immunitaria di tipo 1 è contraddistinta da cellule T che producono IFN-γ (cellule Th1) e attivano i macrofagi.

La risposta di tipo 1 rappresenta un adattamento dell’ospite finalizzato al controllo dei patogeni intracellulari. Essa è innescata da PAMP (pathogen-associated molecular

patterns) che si legano a PRR (pattern recognition receptors) come i Tool-like receptors (TLR) presenti sulle cellule dendritiche.

Si è a lungo discusso se la risposta di tipo 2 fosse il risultato di una manipolazione del sistema immunitario da parte del parassita o la risposta selezionata contro il parassita nel corso dell’evoluzione. Il consenso ricade su quest’ultima ipotesi, ovvero, la risposta di tipo 2 rappresenta l’adattamento del sistema immunitario all’infezione parassitaria (Díaz e Allen, 2007). La risposta di tipo 2 risulta protettiva in molteplici circostanze, in particolare contro i nematodi gastrointestinali.

Questa risposta consente la riparazione dei tessuti danneggiati mediante l’attivazione dei macrofagi. Essi producono Ym1, RELM-α e arginasi 1. La riparazione, però, deve essere modulata per evitare fenomeni di rimodellamento tissutale distruttivo o fibrosi (Wynn, 2004).

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