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Il Segretariato Sociale: la sperimentazione gestionale fiorentina.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ……… 3

CAPITOLO 1: IL SEGRETARIATO SOCIALE: UN SERVIZIO AL CITTADINO 1.1 Il diritto all'informazione: il Segretariato sociale tra storia e attualità ……… 6

1.2 Segretariato sociale e Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) ……… 13

1.3 Il Segretariato sociale all'interno dei modelli di integrazione sociosanitaria ……… 19

1.4 Conoscere, connettere, costruire: le funzioni del segretariato ……….. 24

CAPITOLO 2: SEGRETARIATO E SERVIZIO SOCIALE 2.1 Il ruolo dell'assistente sociale in una società che cambia ……….. 29

2.2 L'organizzazione del servizio ……….. 33

2.3 Gli strumenti di lavoro ……… 37

2.4 Una casa si costruisce sopra solide fondamenta ……….. 45

CAPITOLO 3: IL SEGRETARIATO SOCIALE A FIRENZE 3.1 La normativa regionale: la Legge Regionale 41/2005 e i Piani Sociali integrati Regionali ………. 48

3.2 Il Comune di Firenze: storia di una complessità ……… 52

3.3 La riorganizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali del Comune di Firenze ……… 55

3.4 Il progetto del Servizio di Segretariato Sociale: le ragioni di un'idea ………. 60

3.5 Analisi degli accessi al Servizio di Segratariato Sociale Anno 2014 e anno 2016 ……. 66

3.6 Le Schede di Rilevazione: la parola ai “fruitori” e agli “attori” del sistema 3.6.1 Il nuovo Segretariato sociale nelle parole dell'équipe professionale ……… 74

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3.6.3 L'impatto sull'organizzazione di lavoro e sulla cittadinanza ……… 77

3.6.4 Una metodologia specifica di presa in carico del cittadino ………. 80

3.6.5 I rapporti con il Servizio Sociale territoriale ……… 82

3.7 Criticità e cautele professionali da mettere in atto 3.7.1 La responsabilità di una corretta valutazione professionale iniziale ………. 84

3.7.2 «Chi ci sarà dietro alla porta?» ……… 85

3.7.3 La gestione dell'aggressività ……….. 86

3.7.4 La gestione delle emergenze ………. 87

3.8 L'importanza di una corretta documentazione professionale 3.8.1 L'importanza della condivisione con il gruppo ………. 89

3.9 Il nuovo Segretariato sociale secondo i fruitori del Servizio ………. 90

3.9.1 Esito dell'indagine ……… 91

CONCLUSIONI ………. 94

RINGRAZIAMENTI ……… 99

BIBLIOGRAFIA ……… 100

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INTRODUZIONE

“Tutte le scelte, dalle più banali alle più importanti, da quelle strettamente personali a quelle che investono il destino di gruppi

o di intere comunità, dipendono dalla quantità e qualità delle informazioni di cui disponiamo e dalla nostra capacità di utilizzarle...Quando l’informazione manca o quando, essendo

disponibile, non è utilizzata, i problemi rimangono insolubili. Questo accade anche per i problemi della vita quotidiana. Solo la

registrazione, la selezione e l’uso accorto delle informazioni limita la forza del caso e diminuisce il rischio dell’insuccesso...”

Nicola Abbagnano, 1971

Segretariato Sociale significa essenzialmente informazione.

Questo concetto rimanda, sul piano giuridico, al diritto soggettivo del cittadino di essere informato oltre che al preciso dovere di informazione pendente in capo alla Pubblica Amministrazione.

L'insistenza sul diritto all'informazione, di pari passo con l'enfasi posta su concetti di trasparenza, di accessibilità, di efficienza, di cui è portatrice la mutata sensibilità riscontrabile nelle varie riforme avvenute negli ultimi anni sulla normativa riguardante la riforma della Pubblica Amministrazione, ci consente di collocare il Servizio di Segretariato Sociale in uno scenario di più ampia portata che verrà analizzato nel corso del presente lavoro.

Definire e scindere i "bisogni di informazione" dal "bisogno sociale" ha una valenza fondamentale che orienta e focalizza anche il ruolo professionale dell'Assistente Sociale, ruolo che cresce dentro un complesso sistema di servizi e prestazioni e si sviluppa all’interno di nodi strategici che stanno tra i bisogni del cittadino e la risposta istituzionale della pubblica amministrazione.

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4 beneficiare delle prestazioni appropriate, lo affranca dal bisogno promuovendo la partecipazione democratica e l’empowerment sociale.

Il segretariato sociale è lo "strumento professionale" ormai presente in tutte le realtà locali, anche se purtroppo declinato in una estrema varietà di modi, atto a tale compito. La sua importanza è riconosciuta a livello nazionale dalla Legge 328/2000 che all’articolo 22 indica, tra le prestazioni di livello essenziale che ogni territorio deve garantire, il segretariato sociale con funzioni di “ informazione e consulenza al singolo e alle famiglie”; possiamo definire tale servizio utilizzando il concetto espresso da Casartelli e D'Ambrogio che lo definiscono come la prima porta di accesso alla rete dei servizi presenti sul territorio, che assicura competenza nell’ascolto e nella valutazione dei bisogni oltre a rappresentare un utile spazio di ascolto in cui i cittadini possono scambiare emozioni e sentirsi accolti ed ascoltati -Casartelli e De Ambrogio (2009)- .

Per l'importanza strategica di questo Servizio chi scrive condivide il pensiero di coloro che ritengono che l’Assistente Sociale, per le sue competenze nell'effettuare colloqui professionali che permettono la lettura, la decodifica e l’orientamento dei bisogni del cittadino, debba essere l'operatore dedicato alla gestione e all'implementazione di questo servizio seppur coadiuvato, nelle varie fasi, anche da altri operatori quali Counselor o Ausiliari Socio-Assistenziali (ASA), come nel caso fiorentino che tratteremo ampiamente nel terzo capitolo.

Con il primo capitolo di questo lavoro di tesi partiremo dal tracciare a grandi linee l’evoluzione storico-normativa del diritto all’informazione per inquadrare la tematica del segretariato sociale quale strumento di informazione e di orientamento a disposizione dei cittadini che, “bisognosi di determinate prestazioni sociali sono aiutati a conoscere e a utilizzare le varie risorse disponibili in un determinato ambito territoriale” (Lippi, 2007). L’informazione è diritto fondamentale di cittadinanza che si può leggere sia come diritto a essere informati e ad informarsi, sia come dovere ad informare.

Nel secondo capitolo si cercherà di collocare il Segretariato Sociale nella realtà attuale, cercando di cogliere le mutazioni sociali ed economiche che portano all'aumento delle richieste di sostegno sociale per arrivare ad individuare la metodologia propria del Servizio che, se ben applicata, può non solo soddisfare il bisogno sociale o di informazione del cittadino ma, cosa di non poco conto, ottimizzare le risorse disponibili.

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5 gestito nel Comune di Firenze, mio luogo di lavoro per otto anni che mi ha vista parte attiva nell'équipe coinvolta nella progettazione e attuazione del nuovo Segretariato Sociale; vedremo come la sperimentazione, avviata nella metà del 2015, abbia reinterpretato il concetto di Segretariato Sociale. Partendo da esigenze generali di ottimizzazione delle risorse e riorganizzazione dei servizi sociali, si è assistito ad una vera e propria rivoluzione copernicana in tema di Segretariato Sociale ribaltando il ruolo dell'Assistente Sociale Segretariale, fino a quel momento sottovalutato in quanto ritenuto solo una parte residuale del quotidiano operato professionale, da mera "dispensatrice" di grossolane informazioni e appuntamenti a controparte attiva e propositiva dell'intero sistema di presa in carico sociale.

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CAPITOLO 1

IL SEGRETARIATO SOCIALE: UN SERVIZIO AL CITTADINO

1.1. Il diritto all'informazione: il segretariato sociale tra storia e attualità

«il Segretariato sociale, più che un servizio assistenziale, costituisce un intervento inquadrabile nei compiti istituzionali propri degli enti locali per rispondere al fondamentale diritto del cittadino di conoscere le varie opportunità offerte in relazione ai bisogni di cui si è portatori e dalla possibilità di essere orientati per far fronte alle esigenze della vita»1

Si comincia a parlare per la prima volta di un servizio assimilabile al moderno Segretariato Sociale negli anni '20/'30 del secolo scorso. Per la precisione le "segreterie sociali" erano i luoghi deputati a fornire tutta una serie di informazioni, di carattere essenzialmente previdenziale e assicurativo, ai lavoratori delle fabbriche (soprattutto al Nord)2. In questo tipo di servizio, nato sulla scia di iniziative sperimentate già prima del conflitto mondiale a livello puramente volontaristico (si pensi ai "segretariati del popolo"3), lavoravano anche assistenti sociali (praticamente solo donne) appositamente formate: le "segretarie sociali". É importante osservare come l'originaria funzione informativa del Segretariato, oggi assimilabile, per quanto riguarda il settore di competenza, a quella svolta dagli enti di patronato, è stata fin da subito in qualche modo collegata alla professione di assistente sociale. Tuttavia, «storicamente il Segretariato non si afferma come funzione esclusiva degli assistenti sociali ma come attività svolta anche da vari operatori inseriti negli Eca, nei

1

(Samory, 2003).

2(Ferrario, 1982); (Dente & Massaro, 2006); (Anfossi, D'Eliso, Diomede Canevini, & Pompei, 1995). 3

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7 patronati, negli uffici del lavoro, ecc..»4. E tutt'oggi servizi di Segretariato sono presenti in una pluralità di contesti differenti, pubblici e privati, ognuno con la propria specificità.

Nel periodo fascista, il regime avverte la necessità di prendere in mano tutto il comparto assistenziale, allora regolato da una miriade di enti privati e, per questo motivo, estremamente frammentato. Nasce così il "Segretariato di fabbrica", che va a configurarsi come un luogo di «raccolta di richieste individuali di ogni tipo, che vengono tradotte nelle più varie prestazioni eseguite spesso in sostituzione delle persone. L'informazione non ha quindi un significato autentico di facilitazione in senso promozionale, ma si traduce in un "fare al posto di", lasciando al soggetto la sensazione di estraneità rispetto al mondo istituzionale e di dipendenza da un servizio provvidente e materno»5. L'intervento fascista si caratterizza, in sintesi, per il suo fare paternalistico e oppressivo.

A partire dagli anni '50 e '60 questo servizio assume sempre più una natura duale. Da un lato prosegue l'esperienza del "Segretariato di fabbrica", destinato a fornire assistenza a trecentosessanta gradi ai lavoratori all'interno del contesto lavorativo, anche se d'ora in poi esso diventa appannaggio esclusivo dei patronati. D'altra parte, nasce un servizio ulteriore, al di fuori della fabbrica, con il compito di aiutare i cittadini a districarsi nella persistente moltitudine di opere assistenziali presenti nel contesto nazionale. Ancora in quegli anni, infatti, la frammentazione degli istituti di beneficienza e assistenza rendeva molto complessa la fruizione degli stessi da parte del cittadino, che si ritrovava facilmente disorientato di fronte alla farraginosità del sistema. Il fatto che il servizio di Segretariato si sposti dal contesto lavorativo, e assuma questa nuova funzione, porta con sé due conseguenze importanti. Prima di tutto, la nascita del Segretariato nel modo in cui lo si concepisce oggi, come servizio di base rivolto a tutti i cittadini e destinato a fornire informazioni ed orientamento in merito alla presenza/assenza di risorse sul territorio. In secondo luogo, si verifica la progressiva egemonizzazione di questa declinazione del servizio da parte della professionalità dell'assistente sociale. In sintesi, in fabbrica resta un Segretariato di tipo previdenziale, gestito dal patronato; fuori dalla fabbrica si va affermando un moderno Segretariato di Servizio Sociale, che fornisce assistenza a carattere più generale e diventa prerogativa di una sola professionalità.

L’uso della locuzione “Segretariato Sociale” appare per la prima volta nel 1966 in un articolo dal titolo "Il Segretariato sociale: primi orientamenti di base", pubblicato sulla rivista numero

4(Cortesi Gay, 1994). 5

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8 6 di “Assistenza d'Oggi”. Si legge in questo lavoro: «l'istituzione di un servizio di Segretariato sociale viene sollecitata dai risultati di numerose indagini e dallo stesso contatto con la popolazione assistita attraverso cui si è più volte messa in luce la necessità che i cittadini, bisognosi di determinati servizi sociali, siano opportunamente orientati a scoprire e ad utilizzare nel modo più corretto le risorse sociali esistenti in un determinato ambito territoriale»6. In proposito, ricorda Barneschi7, se la locuzione Segretariato Sociale è stata un'invenzione tutta italiana, tuttavia il servizio viene ideato guardando ad alcuni esempi esteri di rilievo, come il Bis (Ufficio di informazione sociale) di Ginevra o i Services d'Accueil francesi.

Erano stati condotti infatti, già dai primi anni '60, molti studi, da parte di enti di rilievo come l'EISS (Ente Italiano di Servizio Sociale) e l'AAI (Amministrazione Aiuti Internazionali). Il primo aveva avviato una sperimentazione in diverse regioni di Italia, grazie ai finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno, che avrà il merito di rappresentare un modello di sviluppo possibile del Servizio, puntualmente presentato e condiviso nei molti convegni organizzati ad hoc dall'Ente stesso. L'AAI, dal canto suo, aveva impostato un percorso di ricerca piuttosto ampio, con un occhio di riguardo a diverse esperienze straniere, che ha trovato una sintesi compiuta nel volume di Ferrario8. Questi sforzi di ricerca sfociarono nei primi anni '70 in pubblicazioni importanti, come il testo appena menzionato e gli "Standard di Servizio Sociale"9. Ancora sorprendentemente attuali, questi lavori sono stati oggetto di una rilettura sistematica a partire dalla metà degli anni '90.

Ma sempre negli anni '70 il Segretariato Sociale, oltre che oggetto di studio e pubblicazione, diventa anche materia di formazione. La fondazione Zancan di Padova promuove seminari e incontri sul tema, avviando un'attività importante rivolta in particolare alla formazione degli operatori. In questo decennio «si respira un clima culturale che stimola a tentare nuove strade per venire incontro ai bisogni dei cittadini e delle persone in difficoltà; nei servizi vi è un'aria di grande attesa per l'avvento delle Regioni; si vive un fervore di esperienze innovative sul campo su tutto il territorio nazionale che ancora non è stato sufficientemente esplorato, ma forse neppure sufficientemente conosciuto nella sua ricchezza, pressato, come è avvenuto, dall'incalzare dei movimenti contestativi»10. Si può dire che, a partire da questo 6(Aai, 1966). 7 (Barneschi, 1989). 8 (Ferrario, 1982).

9(Rizzo G. , Anfossi, Passera, & Bosco, 1992). 10

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9 decennio, il Segretariato Sociale «entra a pieno titolo nella politica di welfare»11, legandosi in modo indissolubile con il settore dei Servizi Sociali: nasce, in sostanza, l'idea di uno specifico Segretariato di Servizio Sociale. «A quali strumenti dovrà dunque fare appello l'informazione sociale? Come potrà garantirsi il raggiungimento dei propri scopi e, in primo luogo, il raggiungimento dei propri destinatari, dei cittadini? [..] Sono gli stessi istituti sociali che sono tenuti a muovere il primo passo. I loro uffici informazioni al servizio del cittadino vanno resi più efficienti e deburocratizzati. É poi di tutta evidenza che l'informazione sociale, non solo in senso riflesso ma anche di innovazione e di stimolo, è parte integrante delle funzioni fondamentali del servizio sociale. Gli operatori sociali non possono non essere in primo luogo degli informatori, e dei formatori, sociali»12. Le stesse Regioni, appena nate, sembrano recepire l'importanza di questo servizio e lo inseriscono nella propria agenda politica, legiferando in modo da stimolarne la sperimentazione nei Comuni e dei distretti socio-sanitari (da poco creati con la legge di riforma socio-sanitaria13). Anzi il Segretariato diventa il luogo privilegiato all'interno del quale avviare quell'integrazione socio-sanitaria, che è ormai diventata principio cardine della legislazione attuale.

Gli anni '80 frenano in parte il fermento del decennio precedente. Accade infatti che il Segretariato rimanga «stretto tra le resistenze al cambiamento prodotte dalla riforma sanitaria, la scarsa disponibilità dell'apparato amministrativo, le diffidenze e gli steccati fra gli operatori sanitari e sociali e, soprattutto, invischiato nel difficoltoso e contrastato avvio dei distretti»14. E tuttavia «rimane il fatto che lungo tutti gli anni '80, sulla scia di analisi teoriche e di sperimentazioni, che seppur limitate sono però di grande significato [...], il posto del Segretariato socio-sanitario è visto, nel distretto di base, incardinato nel sistema informativo di base e di zona»15. Incardinato, comunque, più a livello di funzione che non di specifico servizio. Si potrebbe dire che a essere riconosciuta, sul territorio, è l'importanza della funzione informativa, più che la necessità di un ufficio apposito. Tant'è che Dente e Massaro, tra gli altri, notano come «per molti anni questa funzione è stata sovrapposta all'agire professionale quotidiano dell'assistente sociale, rimanendo spesso sommersa, poco riconosciuta e qualificata»16 .

11

(Anfossi, D'Eliso, Diomede Canevini, & Pompei, 1995). 12(Anfossi, Maccotta, & Tavazza, 1973).

13

Legge 23 dicembre 1978, n. 833 - "Istituzione del servizio sanitario nazionale". 14

(Anfossi, D'Eliso, Diomede Canevini, & Pompei, 1995). 15Ibidem.

16

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10 In sintesi, al termine degli anni '80, viene teorizzato in maniera compiuta quello che oggi si definisce un Segretariato di Servizio Sociale, distinto per compiti istituzionali e modalità operative da altri tipi di Segretariato o di sportelli informativi, ed esistono già molti studi e pubblicazioni sulla materia; tuttavia la funzione informativa continua a essere svolta dall'assistente sociale del territorio, mancando la volontà di realizzare un ufficio dedicato. Nel decennio successivo, l'importanza del Segretariato Sociale torna alla ribalta grazie all’emanazione di molti provvedimenti legislativi, sul tema del diritto all’informazione, riassumibili nella tabella che segue.

Tab. 1 - Principali testi normativi in merito al diritto del cittadino all’informazione, all’accesso agli atti e alla partecipazione.

L. 8 giugno 1990, n. 142 - Ordinamento delle autonomie locali

L. 7 agosto 1990, n. 241 - Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 - Riordino della disciplina in materia sanitaria

D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego

Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994 - Principi sull’erogazione dei servizi pubblici

L. 11 luglio 1995, n. 273 - Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni L. 7 giugno 2000, n. 150 - Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni

D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (T.U.E.L)

Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 2002 - Attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni

D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 - Ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni

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11 Il Segretariato sociale costituisce infatti un servizio inquadrabile nei compiti istituzionali propri degli Enti locali per rispondere al diritto del cittadino all’informazione. La L. 142/1990 stabilisce innanzitutto che lo statuto adottato dagli Enti locali deve obbligatoriamente determinare «le forme [...] dell'accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi». E ancora: «il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi [...]; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione». Da qui si evince che per quello che riguarda la materia sociale, e quindi il servizio sociale comunale, il cittadino ha il diritto di richiedere l’accesso agli atti e ricevere tutte le informazioni relative ai procedimenti messi in opera dall’Ente.

Nel 1993 la L. 29 istituisce gli Uffici Relazione con il Pubblico (URP), al fine di «garantire la trasparenza amministrativa e la qualità dei servizi» e di creare «uno strumento organizzativo adeguato alle esigenze di attuazione delle funzioni di comunicazione istituzionale e contatto con i cittadini»17. Oggi gli URP costituiscono la "porta di accesso" all'amministrazione comunale; un po' quello che il Segretariato Sociale rappresenta per il settore dei Servizi Sociali.

La Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994 istituisce poi le Carte dei Servizi, nelle quali si devono indicare: le condizioni per un patto di cittadinanza sociale a livello locale; i percorsi e le opportunità sociali disponibili; la mappa delle risorse istituzionali e sociali; i livelli essenziali di assistenza previsti; gli standard di qualità da rispettare; le modalità di partecipazione dei cittadini; le forme di tutela dei diritti, in particolare dei soggetti deboli; gli impegni e i programmi di miglioramento; le regole da applicare in caso di mancato rispetto degli standard18. La Carta rappresenta quindi una risorsa fondamentale ai fini di un'efficace comunicazione istituzionale.

La direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica - del 7 febbraio 2002 fornisce «gli indirizzi di coordinamento, organizzazione e monitoraggio delle strutture, degli strumenti e delle attività previste dalla normativa in materia di informazione e comunicazione pubblica». Si tratta di un documento importante, fin dalla

17

(Pagina Web URP).

18D.P.R. 3 maggio 2001 – “Approvazione del Piano nazionale degli interventi e servizi sociali per il triennio 2001-2003”.

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12 Premessa, nella quale si legge: «La comunicazione pubblica cessa di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell’azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte integrante, così come accade da decenni alle imprese che agiscono nel mercato dei prodotti e dei servizi».

Questa direttiva indica quindi una strada obbligata che prevede, tra le altre cose: il potenziamento degli strumenti interattivi della comunicazione on line (Internet / Intranet); il protagonismo degli URP, «al fine di rendere gli Urp strumenti del cambiamento interno della pubblica amministrazione, attraverso una funzione di marketing istituzionale e di verifica della soddisfazione del cittadino rispetto all’erogazione dei servizi, è opportuno che essi siano in grado di progettare e sviluppare azioni di studio e ricerca attraverso risorse umane in possesso delle competenze necessarie»; la creazione di strutture di coordinamento tra gli organi interni all'ente che hanno compiti di comunicazione e informazione (Portavoce, Ufficio Stampa e URP).

A partire dagli ’90, in sintesi, si va lentamente modificando il rapporto tra cittadino e istituzioni e il Segretariato sociale si inserisce nella questione con forza, in quanto servizio in grado di fornire strumenti di conoscenza che possano favorire l’autonomia delle scelte personali. Esso si pone come punto di incontro tra diritto e dovere di informazione e questa posizione privilegiata del servizio viene definitivamente riconosciuta e valorizzata con la L. 328/2000, che all’art. 22 impone alle Regioni di istituire un servizio di Segretariato sociale in ogni ambito territoriale: «[...] le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale [...], tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l'erogazione delle seguenti prestazioni: a) servizio sociale professionale e Segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari [...]».

É poi il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 a definire meglio il servizio di Segretariato, soffermandosi anche sulle sue funzioni e sulle modalità di implementazione: “la funzione di Segretariato sociale [...] risponde all’esigenza primaria dei cittadini di: avere informazioni complete in merito ai diritti, alle prestazioni, alle modalità di accesso ai servizi, conoscere le risorse sociali disponibili nel territorio in cui vivono, che possono risultare utili per affrontare esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita”. E più avanti si sottolinea l’importanza che questa funzione informativa riveste: “É quindi un livello informativo e di orientamento indispensabile per evitare che le persone

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13 esauriscano le loro energie nel procedere, per tentativi ed errori, nella ricerca di risposte adeguate ai loro bisogni. A questo scopo occorre in particolare evitare che proprio i cittadini più fragili e meno informati vengano scoraggiati nella ricerca di aiuto a fronte di barriere organizzative e burocratiche che comunque vanno rimosse per ridurre le disuguaglianze nell’accesso”. Non solo, l’attività segretariale deve anche garantire “unitarietà di accesso, capacità di ascolto, funzione di orientamento, funzione di filtro, funzioni di osservatorio e monitoraggio dei bisogni e delle risorse, funzione di trasparenza e fiducia nei rapporti tra cittadino e servizi, soprattutto nella gestione dei tempi di attesa nell’accesso ai servizi”. In conclusione, a partire dagli anni duemila il Segretariato Sociale viene finalmente inserito a livello normativo nei livelli essenziali di assistenza da garantirsi su tutto il territorio. É cosa nota che l'approvazione della LC. 3/2001 abbia in parte vanificato la portata di quelle previsioni legislative; tuttavia è fondamentale evidenziare che grazie alla L. 328/2000 è stato dato nuovo impulso sia agli studi sulla materia che alla realizzazione di servizi ad hoc nei comuni italiani. Per quanto riguarda il primo aspetto, si osserva infatti la pubblicazione di diversi volumi e articoli, che riprendono la letteratura prodotta negli anni '70, ampliandola e correggendola alla luce delle mutate condizioni socio-economiche e della attuale configurazione dei servizi sociali. Quanto alla realizzazione concreta di un apposito Servizio, molti comuni avviano sperimentazioni di questo tipo, con il supporto costante delle Regioni

1.2. Segretariato sociale e Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS)

Il livello essenziale delle prestazioni può essere definito come un diritto individuale che garantisce la pari opportunità all’accesso e alla fruizione di interventi e prestazioni appropriate, oltre che uno standard di prestazioni da garantire su un determinato territorio in rapporto a una determinata popolazione.

Questa nozione ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento a partire dall’ambito sanitario, con i cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA) previsti dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 50219.

19

D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 - Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421

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14 In ambito sociale si deve aspettare l’art. 22 della L. 328 del 200020. Al comma 2, la lett. i) troviamo, tra gli interventi ricompresi nei livelli essenziali, il tema della “informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto”; e al già citato comma 4 “In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale […], tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l'erogazione delle seguenti prestazioni: a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; c) assistenza domiciliare; d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.”

Nel 2001 la nozione di livelli essenziali21 è entrata anche a far parte della Costituzione italiana, che, nella versione riformata dell'art. 117, c. 2, lett. m)22, afferma che lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». La norma mirava a garantire un livello di uguale godimento dei diritti sociali (e civili) in tutto il territorio nazionale, demandando alle Regioni la definizione delle modalità di organizzazione dei servizi e la possibilità di prevedere livelli ulteriori di assistenza.

Com’è noto, lo Stato non ha ancora provveduto all’emanazione dei Livelli essenziali e i legislatori regionali hanno recepito in misura e tempi diversi il dettato della l. 328. Tutto questo ha fatto quindi fallire l'intento di creare un sistema di welfare uniforme su tutto il territorio nazionale e ha indebolito anche l’impegno legislativo delle Regioni, nella misura in cui non sono stati forniti strumenti utili a tutti coloro (amministratori e operatori del privato sociale) che devono tradurre principi e enunciazioni di diritto in prestazioni concretamente erogabili ed esigibili.

Ma quali sono le ragioni di questa inerzia legislativa? A riguardo possono profilarsi diverse ipotesi. In primis, la difficoltà a procedere a una standardizzazione delle prestazioni sociali,

20L 328 2000

21C’è da precisare che la terminologia usata nella legislazione nazionale è leggermente cambiata nei vari passaggi normativi: si passa infatti dai “livelli essenziali e uniformi delle prestazioni“ dell’art. 9 della l. 328/00, ai “livelli essenziali delle prestazioni assistenziali” della l. 296/06, passando attraverso anche altre variabili che hanno favorito l’utilizzo di acronimi diversi (come “LIVEAS” o “LEP”). Il principale punto di riferimento è comunque la Carta costituzionale (art. 117, comma 2, lett. m), che li definisce “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali”.

22

(15)

15 anche in considerazione del fatto che ci sono poche risorse da destinare al sistema dei servizi sociali. Un’ulteriore ragione potrebbe rinvenirsi nel rapporto tra determinazione dei LEPS ed esigibilità dei diritti: in mancanza della definizione del contenuto, si svuota di fatto l'obbligo del soggetto pubblico di fornire le prestazioni, a prescindere dalla disponibilità di risorse. In questo quadro, la Toscana è una delle regioni che più ha investito sulla definizione degli standard delle prestazioni da garantire per ogni ambito territoriale, legando la realizzazione dei LEPS alle risorse disponibili e alla creazione di indicatori di salute e benessere sociale. E, all’interno dei livelli essenziali, il Segretariato sociale riceve un’attenzione particolare. Sia la Legge Regionale n. 40/200523 (così come modificata dalla n. 60 del 2008), che la Legge Regionale n. 41/200524 evidenziano l'importanza di istituire canali adeguati di diffusione delle informazioni, affinché la singola persona e la collettività tutta possano «autotutelarsi»25, compiere «scelte libere nell'accesso ai servizi»26, «partecipare alla verifica della qualità dei servizi»27.

Proprio dal testo della legge n. 41 si legge: «Il piano integrato sociale regionale definisce: [...] le caratteristiche quantitative e qualitative dei servizi e degli interventi e le eventuali prestazioni aggiuntive atte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni [...], ivi compreso il servizio sociale professionale, il segretariato sociale per informazione e consulenza e il servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza [...]».

Ecco quindi che il Piano Integrato Sociale Regionale (PISR) 2007-2010 affronta questo compito, affermando in primo luogo di voler «sostenere un processo di crescita della spesa e della capacità del sistema di offerta locale di livelli base di organizzazione del sistema integrato che garantiscano in tutti gli ambiti zonali, nel corso di validità del Piano, la presenza delle seguenti funzioni: servizio sociale professionale, segretariato sociale, pronto intervento sociale, punto unico di accesso»28. E poco oltre si trova una descrizione del servizio di segretariato che merita riportare per intero.

«Il segretariato sociale è un servizio gratuito, rivolto a tutte le persone, che dà informazioni e consulenza sui servizi sociali e assistenziali pubblici e privati, disponibili sul

23

Legge Regionale 24 febbraio 2005, n. 40: "Disciplina del servizio sanitario regionale". 24

Legge Regionale 24 febbraio 2005, n. 41: “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”. 25 Ibidem. 26 Ibidem. 27Ibidem. 28

(16)

16 territorio. L'obiettivo del servizio è il far si che tutti i cittadini possano avere accesso alle risorse ed agli aiuti di carattere socio assistenziale che sono disponibili nel loro territorio, sulla base di quanto stabilito dalla Legge Regionale n. 41/05. Il segretariato sociale rappresenta la risposta al diritto dei cittadini di un determinato territorio e della comunità nel suo complesso a ricevere informazioni esatte, dettagliate, esaustive e pertinenti. Fornisce notizie e informazioni sull’esistenza, sul tipo e sui metodi per accedere alle varie risorse sociali, svolge un’attività di orientamento e indirizzo del cittadino

all’ente o all’organismo competente per particolari problemi, svolge anche una prima funzione di osservatorio sociale, mettendo in evidenza le necessità ricorrenti dei cittadini e dando un quadro accurato e aggiornato dei servizi presenti.

Il servizio persegue queste finalità:

a) costituire per la comunità locale una sede di riferimento presso la quale è possibile ottenere informazioni personalizzate in relazione a specifiche esigenze e, se necessario, aiuto affinché sia assicurato l’accesso alle risorse;

b) contribuire a rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all’attività dell’amministrazione costituendo una sede attiva di diffusione delle informazioni che riguardano l'intera collettività o fasce estese della popolazione;

c) collaborare con i servizi e con le forze sociali del territorio nella rilevazione dei bisogni emergenti e nella verifica della funzionalità e rispondenza delle risorse alle necessità dell’utenza.

Il segretariato sociale è inteso come un sistema a responsabilità pubblica di informazione sulla rete dei servizi e di sostegno alle procedure di accesso, per il quale possono essere impiegati organismi senza fine di lucro purché estranei alla gestione dei servizi.

Le sedi del servizio di segretariato sociale devono essere note agli uffici di Relazione con il Pubblico dei Comuni.

In una prima fase di attuazione dei livelli base di cittadinanza sociale occorre verificare e sostenere il dimensionamento del servizio. La Regione Toscana predisporrà, poi, appositi strumenti di monitoraggio per verificare, a fine del triennio di attuazione, che la rete informativa copra in modo razionale tutto il territorio regionale, in base anche alla concentrazione del bisogno».

(17)

17 Questo sforzo legislativo appare, senza ombra di dubbio, encomiabile e costituisce un esempio concreto di attuazione dei LEPS a livello regionale, potenzialmente estendibile anche al di fuori della Toscana. Come evidenzia bene Elena Innocenti, «pur in assenza di una dettagliata definizione di livelli essenziali delle prestazioni sociali nazionali da parte dello Stato, la Regione Toscana intende individuare e attuare una prima configurazione di livelli base di cittadinanza regionali [...] necessaria per garantire l’appropriatezza, l’uniformità e l’omogeneità delle risposte al bisogno, in altre parola per garantire l’equità del sistema locale di salute»29.

La Regione Toscana ha anche assunto, vista la complessità della materia, una precisa strategia incrementale volta alla realizzazione del servizio di Segretariato secondo limiti temporali precisi entro i quali garantire la presenza del servizio su tutto il territorio. Entro il 2010 si prevedeva la messa in opera di (almeno) un servizio di Segretariato per ogni zona socio-sanitaria/Società della Salute (S.d.S.)30, obiettivo da perseguire seguendo una vera e propria tabella di marcia: «Il percorso per arrivare ad una presenza ottimale sull’intero territorio regionale è il seguente: 1° anno, verifica presenza del servizio sul territorio; 2° anno, implementazione del servizio; predisposizione strumenti di monitoraggio; 3° anno, raggiungimento su tutto il territorio di una presenza razionale della rete informativa in base alla concentrazione del bisogno»

Nel 2011 una ricerca promossa dalla Regione Toscana, in collaborazione con la Fondazione Zancan di Padova, ha inteso verificare se e come quel testo normativo avesse avuto ricadute concrete sulla diffusione del Servizio. Lo studio, che ha interessato 25 delle 34 zone socio-sanitarie in cui è suddivisa la Regione, ha rilevato che «il segretariato sociale è un servizio strutturato presente in 24 zone (96%) delle 25 rilevate, con una copertura quasi totale sul territorio (le 24 zone coprono il 98,8% del bacino di utenza regionale)». Stando a questi dati, l'impegno normativo sembra aver avuto sul piano concreto esiti piuttosto soddisfacenti.

29(Anfossi L. , 2011). 30

Si ricorda che le Società della Salute sono soggetti pubblici senza scopo di lucro, costituiti per adesione volontaria dei Comuni di una stessa zona-distretto e dell'Azienda USL territorialmente competente, per l'esercizio associato delle attività sanitarie territoriali, socio-sanitarie e sociali integrate. Attualmente, delle 34 zone-sociosanitarie in cui è diviso il territorio regionale, 25 si sono costituite in S.d.S.

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18 Infine, il recente PISR 2012-2015 riprende le fila del discorso avviato con il precedente Piano, affermando: «La Regione Toscana ha lavorato, insieme al territorio, per garantire l’equità del sistema locale di benessere. É stato sostenuto un processo di crescita della spesa sociale e della capacità di offerta locale attraverso l’individuazione di una prima piattaforma di livelli base di cittadinanza sociale collegati ad un livello minimo di spesa sociale pro-capite da assicurare in tutte le Zone distretto. É stata garantita su ogni territorio la presenza del segretariato sociale, del punto unico di accesso, del pronto intervento sociale ed una maggiore attenzione al servizio sociale professionale». E quanto al Segretariato, nello specifico, si legge: «Le strategie per giungere a tale strutturazione di percorsi [di accoglienza e assistenza sociale] prevedono prioritariamente: [...] il consolidamento del Segretariato sociale integrato, quale componente professionale garante della prima fase di accoglienza del cittadino e delle sue istanze, con il compito di: organizzare l'accesso unitario; indirizzare/accompagnare il cittadino rispetto all'accesso dei servizio sanitari e socio-assistenziali, migliorando l'attività di filtro della domanda espressa dal cittadino ed avviando il processo di presa in carico; potenziare l'aggiornamento del sistema informativo sociale in relazione alle fasi di contatto, di prima accoglienza, di presa in carico».

(19)

19

1.3. Il Segretariato sociale all'interno dei modelli di integrazione sociosanitaria

“La sfida presente è dunque quella di potenziare le “trame” dei servizi socio-sanitari per sviluppare un’assistenza integrata, incentrata sulla famiglia e sulla comunità, finalizzata a pratiche di autocura, di cure a domicilio, di mutuo aiuto e con obiettivi di cambiamento partecipato da parte dei cittadini (empowerment)”31

Il tema dell’integrazione sociosanitaria, nella sua globalità, merita preliminarmente un ragionamento teorico di fondo. Come scrive Fabio Folgheraiter: “La distinzione analitica tra sociale e sanitario non è «nelle cose»: essa alberga nelle menti e si giustifica in primis per esigenze analitiche, per la necessità di mettere ordine nel pensiero e quindi per esigenze pratiche di natura organizzativa e amministrativa. Soltanto dopo aver suddiviso artificiosamente le cose per rispondervi con più comodità secondo la razionalità strumentale tipica del managerialismo si è costretti poi a porre il problema spinoso della loro ricomposizione”32. La distinzione analitica tra sociale e sanitario, legittima sul piano organizzativo, mette in ombra l’individuo e il suo problema, che egli porta sempre nella sua interezza. Detto altrimenti, la specializzazione funzionale che segue alla scomposizione del problema finisce per oscurare la visione di insieme, fa perdere il senso della globalità e quindi anche il fine ultimo per cui la stessa specializzazione aveva avuto origine: riuscire a rispondere al bisogno globale della persona. E questo ha ricadute anche sul piano delle responsabilità, nel momento in cui ogni professionista si trincera dietro lo steccato del proprio specifico angolo visuale.

31

L. Ridolfi, Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre-1 Ottobre 2011

32Fabio Folgheraiter, Integrazione socio-sanitaria, lavoro sociale Vol. 9, n. 3, dicembre 2009 (pp. 435-448), Edizioni Erickson – Trento

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20 In proposito, merita aprire una piccola parentesi. La stessa definizione del concetto di salute, formulata ormai più di settant’anni fa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità33, è ancora misconosciuta dai più, anche tra gli addetti ai lavori: ancora viene definita come assenza di patologia o, al massimo, come benessere fisico e psichico. Quando parliamo di salute, in sostanza, siamo ancora troppo concentrati sul singolo individuo e omettiamo la “socialità” come terzo fattore portante della definizione. L’attenzione rivolta negli ultimi decenni ai determinanti sociali di salute non ha ancora scalfito una concezione prettamente centrata sul corpo. E la logica del curing, la cura sanitaria, prevale nettamente su quella del caring, il prendersi cura da un punto di vista sociale34.

Parlare di salute, quindi, e di benessere significa essere consapevoli dell’interdipendenza dei due comparti – sociale e sanitario – e agire per una loro ricomposizione. Già, ma in che modo? Quale modello di integrazione sociosanitaria si intende perseguire? Uno di tipo strutturale, basato su connessioni istituzionali stabili a livello territoriale fra servizi sanitari e servizi sociali? Oppure uno centrato sull’operatività, che prevede la costruzione di alcuni percorsi assistenziali integrati da attivare nei casi cosiddetti “complessi”, frutto della collaborazione di figure professionali sanitarie e sociali? E quale ruolo, all’interno di questo quadro complessivo, rivestono o potrebbero rivestire i servizi segretariali di primo accesso? A livello normativo il tema dell’integrazione tra sociale e sanitario comincia a porsi a partire dagli anni ’90. L’aziendalizzazione delle Usl avviata con il D.Lgs. 502/9235 aveva concesso ai Comuni la possibilità di attivare il meccanismo della delega per le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria36. Per un certo periodo l’effettivo utilizzo di questa delega, comportando un unico gestore di prestazioni, ha forse favorito l’integrazione tra gli interventi sociali e sanitari. Tuttavia le difficoltà legate alla disponibilità delle risorse, unitamente al nuovo impulso al settore sociale dato dalla L. 328/00, ha di fatto introdotto delle frizioni. Molti Enti locali tendono oggi a ritirare la delega per abbracciare nuove forme di interazione tra loro: si associano per la programmazione nei Piani di Zona37; costituiscono coordinamenti

33

La salute è "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità" OMS 1046

34

F. Folgheraiter 35

art. 3 c. 3 36

Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, così come specificato dal DPCM 14 febbraio 2001, tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.

37

“Nel piano di zona vanno individuate le soluzioni più idonee per unificare non solo l’accesso ai servizi sociali ma, più in generale, l’accesso al sistema dei servizi sociosanitari presenti nell’ambito del distretto, tramite accordi operativi con l’azienda sanitaria” Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali

(21)

21 istituzionali e Uffici di Piano; si attrezzano in termini gestionali e di programmazione per essere interlocutori delle Asl.

La realtà italiana rimane tuttavia molto variegata e la perenne debolezza delle normative nazionali in materia (fra cui la mancata definizione dei LEPS, di cui si è parlato) non ha aiutato le dimensioni regionali e locali a trovare una modalità per ridurre le asimmetrie costitutive, cercando di avvicinare progressivamente l’organizzazione sanitaria e quella sociale perlomeno in alcune aree ben definite e circoscritte.

PRINCIPALI PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI RELATIVI ALL’INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA DPR 23 luglio 1998 - Approvazione del Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000

D.Lgs n. 229 del 19/6/1999 - Norme per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419

L n. 328 dell’8/11/2000 - Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali

DPCM del 14 febbraio 2001 - Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie

DPCM del 29 novembre 2001 - Definizione dei livelli essenziali di assistenza

Fra le Regioni, la Toscana è una di quelle che più ha lavorato sul tema dell’integrazione sociosanitaria. Nel 2002 sono state introdotte le Società della Salute38 (SdS): organismi che assumono la veste di “consorzi pubblici”, coinvolgendo principalmente Azienda USL, Enti locali e Terzo Settore nella programmazione e gestione dell’insieme dei servizi sociosanitari territoriali. La Società della Salute delinea in sostanza un unico livello locale di governo - la “zona-distretto” - che concentra tutte le diverse funzioni territoriali e agisce in modo integrato sull’ambiente e sulla condizione sociale, al fine di realizzare gli obiettivi di salute prefissati. Nell’ambito della zona-distretto viene definito il Piano Integrato di Salute (PIS), che costituisce lo strumento di programmazione integrata delle politiche sociali e sanitarie. Nelle zone dove non sono costituite le Società della Salute39 l'esercizio dell'integrazione sociosanitaria, in particolar modo per la non autosufficienza e la disabilità, è attuata

38

PSR 2002-2004

39Le SdS sono soggetti pubblici senza scopo di lucro costituiti per adesione volontaria dei Comuni di una stessa zona-distretto e dell'Azienda USL territorialmente competente.

(22)

22 attraverso apposita convenzione stipulata da tutti i comuni della zona distretto e dall'azienda unità sanitaria locale del territorio40.

Vediamo quindi che a livello regionale si propende per una integrazione sociosanitaria di tipo “strutturale”, il cui perno è rappresentato dalla SdS. E, all’interno di queste, il tema dell’accesso è stato risolto con l’introduzione dei “Punti Unici di Accesso”. I PUA dovrebbero rappresentare una sintesi efficace tra il Segretariato sociale e le “porte sanitarie” a livello distrettuale, facilitando l’accesso unificato alle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali - non comprese nell’emergenza41 – attraverso l’eliminazione o semplificazione dei numerosi passaggi ai quali la persona assistita e i suoi familiari devono adempiere per ottenere le prestazioni.

Ma a prescindere dal modello di integrazione sociosanitaria perseguito, merita riflettere q questo punto sull’importanza del livello di accesso. Il tipo di integrazione che il Segretariato potrebbe sviluppare non è tanto quella tra operatori sociali e sanitari – la cui collaborazione è una precisa responsabilità che attiene alla deontologia professionale – ma quella che

40

Sul territorio della Toscana, ci sono attualmente 21 Società della Salute e 13 zone distretto senza SdS che devono sottoscrive la Convenzione socio-sanitaria di cui all'articolo 70 bis della L.R. 40/2005 [Fonte: Regione Toscana]

41

(23)

23 avviene tra la società civile e le istituzioni. Diciamolo diversamente. L’integrazione sociosanitaria, intesa come integrazione delle prestazioni sociosanitarie, avviene necessariamente in sede di equipe multiprofessionale. In questo caso la porta di accesso semplifica la vita del cittadino nella misura in cui sa leggere in maniera puntuale il suo bisogno “complesso” e lo indirizza subito verso la presa in carico; l’integrazione delle prestazioni non si gioca tanto al livello dell’accesso al servizio.

Tuttavia costruire un punto di accesso integrato può risultare strategico ai fini di un altro tipo di integrazione: quella fra gli attori locali. Occorre in questo caso vedere il Segretariato come un punto di snodo, la longa manus del servizio pubblico (sociale e sanitario) sul territorio, che accoglie - dentro le istituzioni, in un “ufficio” - e nello stesso tempo incontra - fuori dalle istituzioni, sul territorio - le persone. E’ l’idea di un servizio segretariale che realizza l’integrazione nel momento in cui porta l’informazione sociale e sociosanitaria nei luoghi di vita, stimolando al contempo la riflessività e l’agire degli individui. Per dirla ancora con Folgheraiter: “l’integrazione più pregiata ed essenziale avviene nelle relazioni benintenzionate che si instaurano tra (a) persone appartenenti ai cosiddetti sistemi di welfare e (b) persone che vivono in quella che i sociologi chiamano società civile”.

Nel quadro di una riorganizzazione complessiva dell’accesso, si potrebbe concepire il Segretariato come un servizio “itinerante” sul territorio, dentro ai quartieri (con un’attenzione particolare a quelli più fragili all’interno delle nostre città), che riuscirebbe in

(24)

24 questo modo ad avvicinare le istituzioni ai cittadini, fornendo informazioni integrate e diventando al contempo una “antenna” sul territorio. Si tratterebbe di pensare il Segretariato come uno dei promotori di una “governance comunitaria della salute”42, dove istituzioni e comunità locale portano avanti comuni obiettivi di salute.

Riassumendo, quindi, chi scrive ritiene che la necessità di un “Segretariato integrato” non si esprima tanto a livello delle prestazioni (prestazioni che non saranno erogate all’accesso ma in sede di “presa in carico” socio-sanitaria), ma al livello degli attori locali.

1.4. Conoscere, connettere, costruire: le funzioni del Segretariato

Lo studio della letteratura e della normativa43 ci permette di definire in maniera puntuale le funzioni che il Segretariato Sociale assolve nei confronti dei cittadini, senza dimenticare che alcune di esse sono importanti anche ai fini dell’organizzazione dei servizi sociali.

Abbiamo detto che il compito principale del Segretariato è garantire l’accesso e l’informazione del cittadino che presenti una domanda di natura socio-sanitaria. Parliamo quindi di un luogo – fisico e simbolico – di accoglienza, che come tale deve garantire la più ampia apertura rispetto alle esigenze dei cittadini. E questo in termini prima di tutto organizzativi: come si avrà modo di approfondire più avanti44, l’istituzione del servizio necessita una dislocazione sul territorio e una capacità ricettiva che sia adeguata rispetto alla popolazione target. E’ essenziale dunque, in prima istanza, progettare il servizio a partire da un’analisi preventiva a livello geografico e demografico, capace di metterne a fuoco gli elementi essenziali. 42Giarelli 2008 http://www.socialesalute.it/temi-in-discussione/centralita-della-persona-e-partecipazione-dei-cittadini-nei-processi-dintegrazione-socio-sanitaria.html 43nazionale e regionale 44 si veda capitolo 2

(25)

25 Questo tipo di indagine preliminare, utile per l’organizzazione del servizio, potrebbe poi proseguire con una ricognizione inziale rispetto ai principali bisogni espressi dal territorio, in modo da preparare il lavoro di front office. E’ evidente infatti che la funzione informativa sia resa possibile solo da un attento lavoro di back office, che il Segretariato compie mappando le risorse presenti sul territorio e “dialogando” il più possibile con esse. In questo senso il Segretariato deve diventare un “osservatorio sociale”, in grado di conoscere e monitorare sia bisogni che risorse presenti.

Per quanto riguarda i primi, lo studio della domanda sociale è un elemento basilare, nella misura in cui permette di organizzare meglio il lavoro e di indirizzare in qualche modo le politiche locali. Come osservano Dente e Massaro: «L'assistente sociale nel Segretariato di Servizio Sociale deve sempre adottare un'ottica più ampia che permetta di cogliere dalle singole richieste una serie di indicatori che consentano di portare all'Organizzazione le conoscenze dello studio della dimensione collettiva»45.

Quanto alle risorse, si tratta in sostanza di ricercare tutte quelle realtà che forniscono servizi o agiscono comunque in ambito socio-sanitario. “Il cittadino rivolgendosi al Segretariato sociale, oltre ad avere informazione e orientamento nel sistema di offerta pubblica, solidaristica e di auto-aiuto presente nel welfare locale, potrà avere informazioni anche sui soggetti privati che erogano servizi a pagamento, sulle tariffe praticate e sulle caratteristiche dei servizi erogati”46. L’informazione che il Segretariato deve poter dare è quindi necessariamente ampia: non riguarda solo il settore pubblico e del non-profit, ma si estende anche al privato. Questo non significa pretendere dai professionisti incaricati un “sapere

45(Dente & Massaro, 2006). 46

(26)

26 enciclopedico”47, ma semmai una spiccata capacità di building (e network-strenghtening). Ad esempio, nel caso di un bisogno collegato a un anziano fragile, magari espresso da parte di una familiare care-giver, il ventaglio delle informazioni da fornire comprenderà anche indicazioni rispetto alle residenze sanitarie private del territorio, delle quali non si è tenuti a conoscere le logiche di funzionamento ma con le quali – al bisogno - sarà possibile avviare un contatto, contatto che sarà più efficiente se il Segretariato Sociale è già un attore riconosciuto.

E su questo aspetto occorre soffermarsi: è fondamentale che la conoscenza del territorio non sia lasciata unicamente alla motivazione e alle competenze del singolo professionista, ma sia supportata anche alla livello strumentale, sul piano della creazioni di banche dati e tools di rilevazione delle informazioni. Il soggetto che deve essere al centro della rete territoriale di è il Segretariato Sociale, non il singolo professionista che vi lavora, e un buon esercizio di verifica consiste nel valutare gli effetti che una mobilità di personale avrebbe sull’operato del servizio. Se la conoscenza acquisita dal professionista in questa sede viene sistematizzata in maniera da renderla facilmente fruibile e, quindi, trasmissibile, ecco che la qualità del servizio non dipende unicamente dal personale. Un esempio: una cosa è che io come professionista conosca le procedure e i servizi presenti sul territorio per le persone senza fissa dimora; un’altra è che io mi attrezzi per rendere questa conoscenza fruibile al professionista che domani sarà al mio posto, evitandogli di dover cominciare da capo nella raccolta delle informazioni, superando i limiti individuali di conoscenza dell’offerta dei servizi48 e fornendo già una “guida” di base rispetto alle problematiche esperite dagli homeless.

E’ il caso solo di accennare quanto questo tipo di lavoro, oltre che fondamentale in sé per dare un servizio di qualità, risulti strategico anche sul piano professionale, da un lato, e politico, dall’altro. Nel primo caso, la mappatura creata dal Segretariato diventa uno strumento a cui anche il servizio sociale professionale può proficuamente attingere, ricevendo indicazioni utili per il proprio lavoro. A livello politico, poi, il Segretariato avrebbe così la competenza necessaria per dare conto dell’esistente, segnalando punti di forza e “mancanze” in termini di risposta ai bisogni dei cittadini, ponendosi come «un osservatorio critico sull’eventuale divario tra le esigenze e le risposte, sulla loro qualità ed efficacia, sulla capacità del sistema concreto di rispondere alle istanze a mano a mano emergenti. [...] Qui si

47Folgheraiter 48

(27)

27 coglie l’immediato rapporto del servizio con le politiche sociali in atto nel territorio, con le sue scelte, le priorità, le eventuali assenze di attenzione»49. Il Segretariato potrebbe fornire all’Amministrazione una fotografia del sistema di offerta locale dal punto di vista socio-sanitario, partecipando come attore chiave alla programmazione zonale.

Ma tornando al lavoro di front-office del Segretariato, è bene sottolineare che alle funzione informativa fa da corollario quella di orientamento. Non si tratta solo di fornire risposte agli interrogativi posti, ma anche di aiutare il cittadino a riflettere criticamente sul proprio bisogno e a esplorare i percorsi possibili. “Orientarsi” significa infatti assumere una posizione all’interno di un sistema di riferimento, riconoscere dove ci si trova e la direzione verso cui si vuole andare. Se la seconda parte del problema – decidere come agire – necessita l’acquisizione di informazioni dettagliate sulle scelte possibili, il primo step – riconoscere la propria posizione – non deve essere mai dato per scontato. Può accadere infatti che la domanda presentata all’inizio del colloquio segretariale debba essere in qualche modo riformulata, o addirittura che il problema espresso sia solo l’epifenomeno di un bisogno più complesso da approfondire in sede di presa in carico professionale. Riconoscere al Segretariato una funzione di orientamento significa quindi dotarlo di precise competenze, in termini di risorse umane, che non saranno paragonabili a quelle sufficienti per l’attività di un semplice “sportello informativo”. Strategie di counseling e ascolto empatico, oltre a una solida conoscenza del territorio, devono necessariamente fare parte del bagaglio formativo ed esperienziale del professionista che vi lavora, affinché il servizio possa davvero dirsi di qualità.

Accesso, ascolto, informazione, orientamento, osservatorio sociale. Queste le funzioni principali del Segretariato Sociale a cui se ne aggiunge una sesta: la funzione di filtro. Si tratta di un compito che il Segretariato assume nel quadro dell’organizzazione dei servizi sociali, per decidere cosa “respingere” o “accettare” ai fini della presa in carico professionale. E’ evidente che si tratta di un tema delicato, soprattutto in un momento storico in cui l’incremento della domanda assistenziale e la contrazione delle risorse hanno ripercussioni notevoli sull’operatività degli assistenti sociali. Potrebbe essere molto utile lavorare insieme con i colleghi dei distretti, per redigere un protocollo operativo a uso interno, dove esplicitare alcuni criteri generali per l’invio alla presa in carico professionale. Questo protocollo

49

(28)

28 potrebbe rappresentare anche un modo per riflettere criticamente sull’operato dei servizi sociali nel tempo, in rapporto ai cambiamenti della domanda sociale.

In estrema sintesi si potrebbe affermare che le funzioni ultime del Segretariato siano essenzialmente tre:

Conoscere – la domanda sociale e il sistema di offerta socio-sanitaria del territorio. Il Segretariato come osservatorio sociale studia la realtà locale in modo approfondito e si fa portavoce nei confronti delle istituzioni.

Connettere – i cittadini e le risorse. L’ascolto, l’informazione e l’orientamento permettono di creare ponti tra problemi e possibili soluzioni.

Costruire – nuove risposte a problemi nuovi o irrisolti. Il Segretariato “denuncia” l’eventuale mancanza o parzialità delle risorse, stimolando la riflessività e la progettualità del servizio sociale professionale e intervenendo a pieno titolo nella programmazione zonale.

(29)

29

CAPITOLO 2

SEGRETARIATO E SERVIZIO SOCIALE

2.1. Il ruolo dell'assistente sociale in una società che cambia

Oggi si parla molto di cambiamenti sociali e di aumento della domanda sociale. Viviamo infatti in una società profondamente diversa, anche solo da quella di venti o trenta anni fa. Se dovessimo – anche in modo veloce e superficiale – elencare alcune delle cause di questa percezione, non potremmo non far riferimento almeno ad alcuni macro-fenomeni, fra i quali spiccherebbe certamente il tema del lavoro.

Le difficoltà connesse al mercato del lavoro, almeno su scala nazionale (di interesse ai fini del presente lavoro), sono ben conosciute. I livelli di disoccupazione sono alti, soprattutto per certe fasce di popolazione come i giovani50 e le donne51. Talmente alti che in alcune aree, prevalentemente nel Sud Italia, le donne smettono di cercare attivamente un impiego e finiscono per risultare sulle statistiche come inattive52 (anche se è evidente che sul lavoro femminile non incide solo l’offerta di lavoro, ma anche la presenza o l’assenza di politiche pubbliche di welfare). Complessivamente, il tasso di disoccupazione si attesta oggi intorno all’11%53.

Ma le statistiche sul lavoro sono solo una parte del problema. I cambiamenti demografici, in primis il calo della natalità e l’allungamento della speranza di vita, insieme con la “contrazione” della famiglia, cioè una minore incidenza delle famiglie estese, ci restituiscono un quadro molto diverso dal passato. Si potrebbe dire, semplificando fino all’eccesso, che, mediamente, tendiamo a essere più vecchi e più isolati. Questo ha evidenti ricadute sulla nostra società e, per ciò che ci riguarda, sulla domanda di servizi.

50

Il tasso di disoccupazione giovanile, che era pari al 21,2% nel 2008, ha avuto il picco del 46,2% nel primo trimestre del 2014, per poi “scendere” al 34,5% a fine 2016 – www.istat.it

51

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-07-31/occupazione-record-le-donne-ma-l-italia-resta-penultimo-posto-europa-105356.shtml?uuid=AEE5nX6B

52Il tasso di inattività femminile è stimato, al novembre 2017, del 43,9%. Dati Istat: www.istat.it 53

(30)

30 Le nostre città continuano ad allargarsi e arrivano spesso a fondersi tra di loro, dando vita progressivamente a nuovi centri urbani attorno ai quali si organizzano aree metropolitane. Se nell’800 si parlava di inurbamento (dalla campagna alla città), oggi si studiano i fenomeni di conurbazione (diversi nuclei che vanno a fondersi): in alcuni casi lo sviluppo avviene intorno a un centro egemone attraverso l'inglobamento dei centri periferici, in altri casi attraverso la fusione di più centri contigui di simile importanza. A fronte di questi processi, le condizioni socio-abitative deteriorano o, quanto meno, aprono nuovi scenari di povertà urbana ed emarginazione, che richiedono la messa a punto di nuovi strumenti di integrazione sociale capaci di sostenere una tale complessità.

E parlando di integrazione sociale, emerge anche il tema delle migrazioni. Prima di tutto in termini quantitativi: abbiamo oggi circa cinque milioni di stranieri in Italia, cioè l’8,3% della popolazione54. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Romania con il 23,2% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dall'Albania (8,9%) e dal Marocco (8,3%)55. In alcune Regioni, fra cui la Toscana, la percentuale di stranieri supera il 10%56, costituendo quindi una parte non risibile della popolazione residente con la quale abbiamo il dovere – che è insieme opportunità e fatica – di imparare a convivere. Ci sono poi stranieri presenti irregolarmente sul territorio, magari entrati regolarmente in Italia ma che poi hanno perso i requisiti per rimanere: queste persone possono essere sprovvisti di documenti o comunque non avere una residenza, con tutti i problemi che questo comporta rispetto a una presa in carico sociale o, ancora prima, sanitaria.

Infine, la crisi del welfare state e la diffusione dell’ideologia neoliberista, lungi dall’essere una nota a margine del racconto, costituiscono un pezzo saliente della narrazione. Si tendeva sempre più a pensare che l’“assistenzialismo” fosse un prodotto dell’economia keynesiana, all’opposto della quale si troverebbe il mercato e la sua “benefica” capacità di autoregolazione. La recente crisi globale ha evidentemente rimescolato le carte e indebolito quegli orientamenti di politica economica favorevoli a un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica. L’assistenzialismo non è generato, tout court, dallo stato sociale, ma da una sua scorretta interpretazione e messa in opera.

Lo scenario appena tratteggiato, seppur brevemente e in modo molto parziale, configura la cornice entro la quale si collocano i nuovi problemi sociali. Gli assistenti sociali sono a

54

Gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017 sono 5.046.994 – www.istat.it 55

Ibidem.

56Al 1° gennaio 2017 gli stranieri residenti in Toscana sono 400.370 e rappresentano il 10,70% della popolazione regionale – www.istat.it

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