Scuola di Medicina
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea Magistrale
Fattori prognostici di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare
Relatore: Candidato:
Chiar.ma Prof. Franca Melfi Sarah Baldassini
INDICE
1. Introduzione ... 4
1.1. Metastasi polmonari: generalità ... 4
2. Metastasectomia polmonare ... 5
2.1. Fattori prognostici e predittivi ... 6
2.2. Ruolo della metastasectomia polmonare e approcci chirurgici ... 9
2.2.1. Selezione dei pazienti ... 10
2.2.2. Studi di imaging ... 11
2.2.3. Valutazione cardiologica e funzionale ... 12
2.3. Considerazioni sull’approccio chirurgico ... 13
2.4. Estensione della resezione chirurgica ... 21
2.5. Stadiazione linfonodale e linfadenectomia ... 24
3. Fattori prognostici e di sopravvivenza dopo metastasectomia in base all’istologia del tumore primitivo ... 25
3.1. Sarcomi ... 25
3.1.1. Criteri di selezione per la chirurgia ... 26
3.1.2. Chirurgia ... 26
3.1.3. Chemioterapia ... 27
3.1.4. Radioterapia ... 28
3.1.5. Fattori prognostici di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare per i sarcomi ... 29
3.2. Colon-retto ... 36
3.3. Tumori del tratto urinario e carcinoma renale ... 39
3.5. Tumori testa-collo ... 40
3.6. Tumori ginecologici ... 41
3.7. Melanoma ... 41
3.8. Tumori gastrici ... 42
3.9. Tumori a cellule germinali non seminomatosi ... 42
3.10. Carcinoma della mammella ... 42
3.11. Considerazioni ... 43
4. Scopo del lavoro ... 44
5. Materiali e metodi ... 44
6. Risultati ... 47
7. Conclusioni ... 65
8. Ringraziamenti ... Errore. Il segnalibro non è definito. 9. Bibliografia ... 67
1. Introduzione
1.1. Metastasi polmonari: generalità
Le metastasi, o lesioni secondarie, sono localizzazioni a distanza di una neoplasia le cui cellule sono riuscite a raggiungere la circolazione sistemica e, tramite essa, organi e tessuti nei quali dare inizio a nuova crescita tumorale. Data la propensione delle cellule tumorali a diffondere per via ematica, le metastasi si sviluppano preferenzialmente in organi con una estesa rete capillare come fegato e polmoni, e in particolare questi ultimi sono tra gli organi più frequentemente colpiti da lesioni secondarie.
In termini di valori percentuali, si può affermare che di tutti i pazienti affetti da neoplasiemaligne circa il 20% sviluppa come unica localizzazione secondaria metastasi polmonari [1].
I tumori che più frequentemente metastatizzano al polmone sono i sarcomi, i tumori renali, i tumori colo-rettali, il tumore della mammella, i tumori testa-collo e il melanoma, ai quali vanno aggiunti i tumori polmonari primitivi che possono dare origine a metastasi in aree differenti dello stesso polmone o nel polmone controlaterale.
Le metastasi polmonari sono solitamente asintomatiche, almeno inizialmente, e sono generalmente diagnosticate durante il follow-up di pazienti neoplastici mediante RX, TC, PET-FDG o markers tumorali [2].
Una piccola percentuale di pazienti si presenta invece con sintomi come tosse, emoftoe, emottisi e dolore toracico, attribuibili all’interessamento delle vie aeree o della parete toracica da parte delle metastasi. Solitamente questi non sono pazienti che beneficiano di una chirurgia con intento curativo poiché difficilmente otterrebbero un vantaggio in termini di sopravvivenza, tuttavia la chirurgia può essere considerata, in casi selezionati, a scopo palliativo [2].
Le metastasi polmonari, nel contesto di un trattamento multimodale e in pazienti selezionati possono essere suscettibili di resezione chirurgica. Dati di letteratura
dimostrano infatti che, in caso di metastasi polmonari isolate, la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti sottoposti a chirurgia è del 25-50% contro il 5-10% dei casi non trattati [3].
I tumori primitivi per i quali si documentano risultati favorevoli in termini di sopravvivenza dopo metastasectomia sono quelli di colon, rene, mammella, testicolo, apparato locomotore e distretto testa-collo.
Possibili alternative alla terapia chirurgica in pazienti metastatici non fit sono la radioterapia stereotassica, la cyberknife e la termoablazione [2].
2. Metastasectomia polmonare
La metastasectomia polmonare è una delle procedure più comunemente eseguite nei dipartimenti di chirurgia toracica; tra il 2000 e il 2011 si è assistito ad un incremento dell’esecuzione di tutti i tipi di metastasectomia e per quanto riguarda la resezione polmonare il suo incremento è stato così significativo da essere attualmente secondaria solo alla chirurgia delle metastasi epatiche [2].
Il primo intervento resettivo per una metastasi polmonare fu descritto nel 1939 da Barney, ma è stato necessario aspettare gli anni ’60 affinché questo tipo di chirurgia si sviluppasse e gli anni ‘80-’90 perché si diffondesse[4]. Risale al 1997 la prima importante pubblicazione che ha riportato i risultati ottenuti su un numeroso campione di pazienti prelevati dall’International Registry of Lung Metastases [5].
Il ruolo della chirurgia nel trattamento di pazienti affetti da patologia metastatica è stato ampiamente analizzato e a lungo dibattuto. Aberg per primo ha sostenuto che la selezione di pazienti con caratteristiche prognostiche favorevoli, sarebbe la vera ragione dell’alto tasso di sopravvivenza dei pazienti sottoposti a chirurgia [6].
Una survey realizzata dalla European Society of Thoracic Surgeons (ESTS) nel 2008 ha mostrato che, sebbene la metastasectomia polmonare sia una procedura chirurgica comunemente eseguita, sono ancora ampiamente discusse le indicazioni e le limitazioni alla sua esecuzione, infatti, a causa della mancanza di trial randomizzati, il ruolo della
chirurgia nel trattamento di pazienti affetti da patologia metastatica è ad oggi ancora oggetto di discussione [2].
2.1. Fattori prognostici e predittivi
I parametri da tenere in considerazione per la selezione dei pazienti da sottoporre a metastasectomia polmonare sono stati proposti alla fine degli anni ’90 e sono: il sito e il tipo istologico del tumore primitivo, il numero e le dimensioni delle lesioni polmonari, l’intervallo libero da malattia [Desease Free Interval (DFI), definito come intervallo di tempo compreso tra la diagnosi di tumore primitivo e la comparsa di metastasi a distanza], il controllo o meno del tumore primitivo, la possibilità di ottenere exeresi radicale della lesione, la distanza tra la metastasi e il margine di resezione chirurgico, la presenza o meno di malattia secondaria extratoracica, di adenopatie e/o linfagite, di invasione delle strutture contigue e le condizioni cardio-respiratorie del paziente.
Tra i parametri sopraccitati, la possibilità di ottenere una resezione radicale (R0), definita come l’assenza macro e microscopica di cellule tumorali sul margine di resezione chirurgico, è la condizione imprescindibile per l’indicazione chirurgica. Considerando una resezione R0, non è ancora chiaro quale sia la distanza più appropriata da lasciare tra la metastasi e il margine di resezione chirurgica durante l’intervento di resezione polmonare. La resezione polmonare atipica per il trattamento di metastasi polmonari è attualmente ritenuta la procedura di scelta poiché consente di eseguire un intervento radicale con risparmio di parenchima e quindi che non impatta sulla riserva polmonare funzionale. Tuttavia, dopo resezione atipica, la recidiva locale post-operatoria a livello del margine di resezione chirurgico è un’eventualità che si verifica nel 4-31% dei casi. Tale recidiva, secondo recenti lavori, sembra più elevata dopo metastasectomia polmonare da CCR rispetto ad altri tumori maligni [7].
Per cercare di limitare tale fenomeno, vari studi sono stati condotti nel corso degli anni su quale sia il margine libero ottimale per garantire una resezione “sicura” [7][8].
Lo studio di Masahiko et al che ha individuato come margine di resezione “sicuro” quello di almeno 1 cm, o ancor meglio 2 cm, al fine di limitare la recidiva locale dopo resezione polmonare [9].
Shiono et al hanno analizzato i fattori predittivi di recidiva locale ai margini chirurgici dopo metastasectomia polmonare per metastasi da cancro colo-rettale e hanno riferito che il rilevamento istologico di più di 10 clusters di cellule tumorali nelle lesioni metastatiche resecate è associato con un più alto rischio di recidiva locale [10].
Welter et al. hanno invece analizzato l’associazione tra il rilevamento di cellule tumorali satelliti e la larghezza del margine chirurgico concludendo che questa dovrebbe essere stabilita sulla base della diffusione microscopica delle cellule tumorali satelliti. Tuttavia, questa importante informazione è solitamente ottenuta soltanto all’esame istologico definitivo e non è disponibile durante l’operazione [7].
Di difficile realizzazione è lo studio istologico intraoperatorio dei margini di resezione: l’utilizzo delle suturatrici per la resezione rende difficile l’analisi del campione non rendendo sempre possibile l’esame dell’intero margine chirurgico. Per risolvere questi problemi è stato recentemente sviluppato un nuovo test, il metodo citologico di lavaggio per controllare i margini chirurgici durante l’intervento di metastasectomia polmonare. In quest’ultimo studio [11] l’incidenza globale di risultati citologici positivi intraoperatori sui
margini di resezione era dell’11%, dato sovrapponibile all’incidenza della recidiva locale post-operatoria, tale dato risultava più comune dopo metastasectomia polmonare per metastasi da cancro colo-rettale o sarcomi rispetto ad altri tumori maligni.
Tra i vari fattori prognostici di sopravvivenza e recidiva è stato analizzato il numero delle metastasi: esiste una differenza significativa in termini di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare tra la presenza di metastasi singole o multiple, indipendentemente dal tumore primitivo da cui sono originate; tuttavia non è semplice definire la soglia oltre la quale fare questa distinzione. Un ostacolo statistico inevitabile è che nella maggior parte delle analisi il database è dominato da pazienti con metastasi singola; in genere il 47% dei pazienti presenta metastasi solitarie, il 27% due o tre metastasi e solo il 24% ne presenta quattro o più [2].
Un altro criterio di selezione proposto nel corso dei decenni per la selezione dei pazienti metastatici da sottoporre a chirurgia è stato il dosaggio dei marcatori tumorali. I markers sierologici tumorali sono routinariamente utilizzati per stabilire la prognosi e nel follow-up di pazienti affetti da determinati tumori primitivi, il più conosciuto e utilizzato è l’antigene carcino-embrionario sierico o CEA per il cancro colo-rettale. Il monitoraggio di questo markers viene eseguito per valutare l’eventuale progressione tumorale e per identificare recidive di malattia, inoltre, studi su ampie popolazioni di pazienti, hanno dimostrato che livelli elevati di CEA precedenti all’intervento di metastasectomia polmonare impattassero negativamente sulla sopravvivenza a 5 anni del paziente [2].
Lo stesso ruolo non è attribuibile al livello di espressione dei recettori di estrogeni e progesterone in pazienti con neoplasia mammaria metastatica o alla concentrazione sierica di alfa-fetoproteina e di gonadotropina corionica umana di tipo beta in pazienti con tumori a cellule germinali [2].
I markers tumorali non hanno però dimostrato un ruolo fondamentale nella selezione del paziente da sottoporre a chirurgia: l’associazione statistica tra un test ematico e la presenza, il volume, l’aggressività di un tumore non può facilmente tradursi in una discriminazione tra coloro che possono e coloro che non possono beneficiare di terapie curative [2].
Nell’indicazione chirurgica la corretta stadiazione del paziente è di fondamentale importanza poiché la presenza di un tumore primitivo non controllabile o di metastasi extratoraciche (ad eccezione di casi selezionati) costituiscono fattori prognostici negativi di sopravvivenza. Soltanto il 15-25% dei pazienti ha lesioni confinate al polmone ed è candidato quindi a resezione curativa, mentre circa il 75% dei pazienti presenta al momento della diagnosi, o presenterà in corso di malattia, metastasi in siti extra-toracici[12]. L’indicazione all’esecuzione di metastasectomia polmonare sussiste quindi qualora ci sia la possibilità di ottenere una resezione radicale con adeguato risparmio di parenchima, non siano presenti metastasi extra-toraciche o tumore primitivo non controllato o non controllabile e qualora il paziente sia suscettibile di intervento chirurgico.
La valutazione pre-operatoria dei pazienti candidati ad intervento deve essere molto accurata e comprendere anche una valutazione della funzione polmonare poiché, sebbene siano maggiormente praticate resezioni polmonari a risparmio di parenchima (resezioni atipiche e segmentarie), va tenuta in considerazione la possibilità di perdita di parenchima
cumulativa in presenza metastasi multiple e dell’eventualità di dover eseguire interventi chirurgici maggiori (e.g. lobectomia, pneumonectomia o resezioni estese alla parete toracica).
2.2. Ruolo della metastasectomia polmonare e approcci chirurgici
La metastasectomia polmonare è una pratica chirurgica eseguita da decadi, tuttavia, nonostante centinaia di studi, non è ancora supportata da dati randomizzati e le prove in base alle quali viene comunemente accettata sono deboli [3].
Le questioni tuttora ampiamente dibattute riguardano l’importanza di un imaging preoperatorio ottimale, l’esecuzione o meno della stadiazione mediastinica ed eventualmente il timing, se vi sia equivalenza tra VATS e toracotomia, se la palpazione manuale del polmone sia da eseguire obbligatoriamente, se sia giustificato il reintervento in caso di recidiva polmonare e quale sia la relazione tra quest’ultima e gli altri interventi. L’atteggiamento attuale nei confronti dell’approccio chirurgico per la metastasectomia polmonare rimane abbastanza variabile.
Sin da quando la prima resezione di una metastasi polmonare fu documentata nel 1882, sono stati pubblicati centinaia di articoli su tale procedura ed è stata comunemente accettata l’idea che possa incrementare significativamente l’overall survival [13].
La European Society of Thoracic Surgeons (ESTS) istituì un gruppo di lavoro con lo scopo di risolvere una serie di questioni inerenti alla metastasectomia polmonare e di generare delle linee guida appropriate per la sua esecuzione. Il gruppo di lavoro non fu in grado di redigere valide linee guida, ma l’analisi dettagliata che fecero consentì di fornire una valutazione complessiva sulle nostre attuali conoscenze relative alla metastasectomia polmonare [14].
Le questioni affrontate dal gruppo di lavoro riguardano la selezione dei pazienti, gli studi di imaging, l’approccio chirurgico, la tipologia di resezione chirurgica e il ruolo della stadiazione mediastinica e della linfadenectomia che verranno dettagliatamente analizzate in seguito.
2.2.1. Selezione dei pazienti
Molti dei pazienti con metastasi polmonari sono asintomatici e le lesioni secondarie sono individuate nel corso del routinario follow-up, tuttavia esiste una piccola quota di pazienti (solo il 15-20%) che si presenta con sintomi come tosse, dolore toracico, emottisi, polmonite post-ostruttiva o pneumotorace spontaneo [15].
È importante poi precisare che il riscontro di uno o più noduli polmonari in un paziente con storia di precedente cancro non debba necessariamente far pensare a malattia metastatica potendo anche trattarsi di un tumore polmonare primitivo. La probabilità che un nodulo recentemente diagnosticato sia una metastasi o un secondo tumore primitivo dipende dall’istopatologia del tumore originario del paziente, infatti, nel caso di sarcoma, il nodulo avrebbe una probabilità 10 volte superiore di essere una metastasi rispetto ad un secondo primitivo [16].
Un’attenta analisi di numerosi studi retrospettivi ha consentito di stilare dei criteri globalmente accettati da considerare prima di eseguire metastasectomia polmonare [17].
Il primo criterio impone il controllo del tumore primitivo e delle eventuali recidive locali, il secondo afferma che eventuali localizzazioni extra-polmonari debbano essere attentamente valutate (in un gruppo di pazienti attentamente selezionati si può ottenere una buona sopravvivenza a lungo termine qualora sia ottenibile resezione completa sia della malattia polmonare che di quella extra-polmonare); i successivi criteri riguardano il DFI (sebbene non esista un DFI minimo da considerare prima di eseguire metastasectomia, quest’ultimo risulta essere un importante indicatore prognostico tanto che in caso di metastasi sincrone o con DFI breve, deve essere presa in considerazione la terapia sistemica). Lo scopo della metastasectomia polmonare è quello di resecare tutte le lesioni con adeguati margini liberi da malattia cercando al contempo di preservare quanto più parenchima polmonare sano possibile, quindi la funzione respiratoria del paziente [18]. A questo scopo si eseguono più frequentemente resezioni polmonari atipiche anche nell’ottica di un possibile reintervento in caso di recidiva polmonare. Nel caso in cui la resezione atipica non risultasse un intervento radicale (dimensioni e numero dei noduli) può essere valutata la possibilità di interventi maggiori in base alle caratteristiche e al performance status del paziente.
Lo studio del paziente da sottoporre a metastasectomia deve quindi comprendere studi di imaging completi, test di funzionalità respiratoria, valutazioni cardiologiche (soprattutto in considerazione del fatto che tali pazienti sono stati generalmente sottoposti a chemioterapia) e valutazione del rischio anestesiologico.
2.2.2. Studi di imaging
Le metastasi polmonari non hanno un aspetto radiografico specifico, tuttavia lo studio di imaging è di fondamentale importanza per la selezione di pazienti che devono eseguire metastasectomia e per la pianificazione dell’intervento chirurgico [19]
La tomografia computerizzata del torace (TC) è la modalità di imaging standard per la valutazione dei noduli polmonari, nonostante numerosi studi abbiano messo in evidenza che questo fallisce nell’identificare approssimativamente il 25% dei noduli polmonari [19] L’esame TC viene spesso eseguito insieme alla tomografia ad emissione di positroni con fluorodesossiglucosio (FDG-PET) nonostante anche quest’ultima si ritiene abbia bassa sensibilità nell’individuare tutti i noduli polmonari effettivamente presenti. In uno studio retrospettivo su 83 pazienti si è visto che a fronte di 154 noduli resecati, soltanto 104 erano stati messi in evidenza dalla FDG-PET. Sia il diametro del nodulo che il grado istologico correlano con la sensibilità dell’esame [20]
La PET-Tc risulta tuttavia indispensabile nell’individuazione di pazienti affetti da malattia inoperabile per numero di metastasi e sede, così da migliorare ulteriormente la selezione dei pazienti candidati alla chirurgia [21].
Gli esami strumentali risultano anche indispensabili nel follow-up del paziente metastatico che, in casi selezionati, può giovarsi di re-interventi in caso la recidiva polmonare sia diagnosticata per tempo.
Non sono ancora stati realizzati studi controllati in grado di definire l’intervallo ottimale che deve intercorrere tra la metastasectomia polmonare e l’esame imaging, tuttavia il gruppo di lavoro ESTS ha proposto di eseguire il follow-up a 4-6 settimane dall’intervento se la resezione chirurgica si è avvalsa anche di palpazione manuale del polmone. Ulteriori indagini TC sono raccomandate ogni 6 mesi per 2 anni e successivamente a cadenza
annuale per almeno 5 anni. In caso di breve tempo di raddoppiamento del tumore o di mancata esecuzione della palpazione manuale del polmone, dovrebbero invece essere considerati esami radiografici di follow-up più frequenti [22].
Nei pazienti nei quali il tumore primitivo era o era supposto essere avido di fluorodesossiglucosio dovrebbe inoltre essere raccomandato l’esame FDG-PET il cui scopo primario è quello di evidenziare metastasi a distanza occulte piuttosto che di individuare ulteriori metastasi polmonari [23].
Una volta individuata una metastasi polmonare e completato lo studio di imaging preoperatorio, nei pazienti candidabili a chirurgia, è indispensabile non procrastinare l’esecuzione dell’intervento: evidenze scientifiche dimostrano che le metastasi possono ulteriormente aumentare e, a loro volta, dare metastasi, come suggerito dal fatto che il 15%-20% dei pazienti sottoposti ad intervento erano affetti da metastasi a livello dei linfonodi ilari e mediastinici [24].
2.2.3. Valutazione cardiologica e funzionale
Test di funzionalità polmonare sono indispensabili per valutare prima dell’intervento quale sia l’approccio chirurgico migliore.
Le prove di funzionalità respiratoria (PFR) comprendono la spirometria e la diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (DLCO) [25][26][27].
La spirometria consente di misurare la funzionalità respiratoria valutando la capacità vitale forzata (CVF o FVC), il volume espiratorio nel primo secondo (VEMS o FEV1) e il loro rapporto (FEV1/FVC) indicato come indice di Tiffeneau. Il test si basa sulla misura del flusso aereo durante manovre espiratorie ed inspiratorie forzate massimali.
La prima manovra viene eseguita dopo un’inspirazione massimale profonda a capacità polmonare totale (CPT) e successiva espirazione forzata a volume residuo (VR); in questa fase il flusso espiratorio raggiunge un valore massimale che poi decade gradualmente con la riduzione del volume polmonare. Al contrario la manovra inspiratoria forzata viene iniziata dopo una completa espirazione a VR e termina a CPT; in questa fase il flusso dipende dalla forza dei muscoli inspiratori e dalle dimensioni delle vie aeree centrali.
Il test DLCO permette di esaminare i disturbi delle malattie respiratorie prevalentemente localizzati nella parte più periferica del polmone. Il test prevede l’uso del CO al posto dell’O2 perché a differenza di quest’ultimo il CO è assente nel sangue refluo all’alveolo
permettendo così di stimare il gradiente alveolo-arterioso semplicemente in base alla tensione del CO durante un’inspirazione di 10 s a CPT e la sua tensione alveolare. Una riduzione della DLCO rispetto ai valori attesi è frequentemente e variabilmente riscontrata nelle malattie restrittive polmonari e vascolari del polmone, mentre un suo aumento può essere osservato in caso di iperafflusso di sangue nel polmone o di emorragia polmonare e talora asma bronchiale grave ed obesità.
È possibile stimare la caduta del FEV1 e del DLCO assumendo che questa sia funzione lineare della perdita di tessuto resecato o sottoposto a radio/chemioterapia. A tale scopo il valore pre-operatorio viene corretto per la perdita di volume stimato in base al valore scintigrafico o in base al numero di segmenti funzionali che saranno resecati [28].
Se i valori di FEV1 e DLCO Post-operatorio (PPO-FEV1e PPO-DLCO) sono compresi tra il 30% e il 60% del valore predetto, i pazienti dovrebbero essere ulteriormente stratificati per il rischio mediante test come il shuttle walk test o il stair climb test prima di essere sottoposti a chirurgia. Se i valori predetti sono <30% dovrebbero essere sottoposti ad un esercizio cardio-polmonare formale con misurazione del consumo massimo di ossigeno
[29].
La valutazione cardiologica con eventuale ecocardio è indicata in base all’età del paziente, alla sua storia clinica e alla presenza di comorbidità e risulta particolarmente importante in caso di pazienti sottoposti a terapie sistemiche (chemioterapia, terapia immunologica o ormonale).
2.3. Considerazioni sull’approccio chirurgico
Lo scopo della chirurgia è quello di ottenere una resezione completa di tutte le metastasi polmonari presenti.
Per l’esecuzione della metastasectomia polmonare sono stati descritti molteplici approcci chirurgici, ognuno con vantaggi e svantaggi.
Gli approcci chirurgici comunemente preferiti sono mostrati nella figura 1.
Figura 1: Approcci chirurgici per metastasectomia polmonare.
Per quanto riguarda le modalità di accesso chirurgico al torace distinguiamo due differenti approcci: la chirurgia tradizionale e la chirurgia mini-invasiva.
La chirurgia tradizionale (open) prevede un ampio accesso alla cavità toracica, mediante l’esecuzione di una toracotomia che può essere eseguita in sede laterale, posterolaterale, o in sede anteriore. La scelta della sede della toracotomia dipende dalla localizzazione, dell’estensione della lesione e dalla facilità di accesso agli elementi dell’ilo.
Una volta separati i piani superficiali, la toracotomia prevede la divaricazione e sublussazione delle articolazioni condrosternali, l’incisione della pleura parietale e quindi l’accesso al cavo pleurico.
La toracotomia laterale e la posterolaterale vengono eseguite con paziente in decubito laterale. L’incisione chirurgica della toracotomia per gli interventi sul parenchima polmonare viene effettuata al V spazio intercostale, tra V e VI costa. Nel caso di lesioni
A:video-assisted thoracic surgery (VATS) B: toracotomia posterolaterale C: sternotomia mediana D: clamshell (toracotomie bilaterali anteriori con stereotomiatrasversa)
diaframmatiche o esofagee in genere si accede al cavo toracico mediante toracotomia posterolaterale, utilizzando il VI spazio intercostale, mentre per la patologia tracheale si predilige il IV.
• Nella toracotomia laterale viene eseguita un’incisione lunga 10-15 cm dalla linea ascellare media sul margine anteriore del muscolo grande dorsale, estendendosi anteriormente verso il solco sottomammario o sottopettorale. Vengono isolati i piani muscolari del grande dentato e i suoi fasci senza sezionarli, e si accede al cavo pleurico tramite incisione con elettrobisturi lungo il margine costale superiore.
• La toracotomia posterolaterale consente la migliore visione possibile di tutti gli elementi del cavo pleurico. L’accesso viene eseguito in un punto mediano tra il margine vertebrale della scapola e i processi spinosi della colonna vertebrale, procedendo anteriormente fino alla linea ascellare anteriore, in corrispondenza del solco sottomammario o sottopettorale, 3 cm lateralmente al capezzolo. Vengono sezionati i muscoli della parete toracica (i muscoli trapezio posteriormente, gran dorsale e dentato anteriore anteriormente), si identifica il piano costale, si solleva la scapola per esporre la V e la VI costa, in prossimità della quale si incide il periostio e si accede al cavo pleurico. Questa tecnica offre un accesso ampio al cavo pleurico, tuttavia è gravata da maggior dolore postoperatorio e maggior rischio di formazione di ematomi intraparietali.
• Nella toracotomia anteriore il paziente è posto in posizione supina, con accesso anteriore, a partire dal margine sternale fino alla linea ascellare media sul IV spazio intercostale. Vengono sezionati i muscoli pettorale e dentato anteriore.
• Nella sternotomia il paziente è supino, viene praticata un’incisione sulla linea mediana, viene sezionato lo sterno e ciò consente l’accesso simultaneo ad entrambi i cavi pleurici. Questo risulta particolarmente utile per la palpazione bilaterale del parenchima in caso di metastasi bilaterali.
• La sternotoracotomia bilaterale trasversa (approccio clamshell) fornisce anch’essa simultaneo accesso ad entrambi gli emitoraci senza le limitazioni della sternotomia mediana, tuttavia richiede il sacrificio di entrambe le arterie mammarie interne e comporta maggior dolore post-operatorio e più frequenti complicanze della ferita chirurgica.
Per la resezione di metastasi polmonari gli approcci chirurgici storicamente utilizzati erano le tecniche “a cielo aperto” e in particolare la toracotomia standard trovava impiego per la malattia unilaterale, mentre la sternotomia e le incisioni clamshell eranoo eseguite in caso di malattia bilaterale; i vantaggi indiscussi degli approcci chirurgici sopraccitati sono il fatto di poter visualizzare in modo diretto la superficie polmonare e di poter eseguire la palpazione bimanuale del parenchima.[30]
Le tecniche di chirurgia mini-invasiva, sono state messe a punto grazie all’evoluzione in campo tecnologico e hanno permesso una riduzione delle complicanze tipiche della toracotomia e dei tempi di degenza postoperatoria, mantenendo risultati oncologici positivi.[32] In particolare, secondo i dati della letteratura, mettendo a confronto la VATS (Video-Assisted Thoracic Surgery) con la toracotomia si è visto che nei pazienti con un massimo di due piccole lesioni sensibili a resezione atipica non c’è una differenza statisticamente significativa in termini di sopravvivenza nell’utilizzo dell’una o dell’altra tecnica, potendo concludere che in una popolazione di pazienti selezionati la VATS è ugualmente efficace alla chirurgia open con il vantaggio di essere meno invasiva rispetto a quest’ultima [32]
La VATS si associa però a limiti tecnici dovuti alla visione esclusivamente bidimensionale e alla scarsa manovrabilità degli strumenti toracoscopici rettilinei, difficoltà superate con l’avvento della chirurgia robotica [31] [32].
• La Video Assisted Thoracic Surgery (VATS) consente la resezione di parenchima
polmonare associata a linfoadenectomia, mediante accessi chirurgici che non prevedano incisione dei muscoli della parete toracica e divaricazione dello spazio intercostale. Solitamente viene eseguito un accesso al VII-VIII spazio intercostale sulla linea ascellare media o anteriore, e una utility incision anteriormente, per un più facile accesso all’ilo polmonare. L’utility incision viene confezionata al IV spazio intercostale per le lobectomie superiori, o al V-VI spazio intercostale per le lobectomie inferiori e del lobo medio. Posteriormente può essere eseguita un’ulteriore via di accesso, in corrispondenza dell’angolo inferiore della scapola, in modo da permettere la retrazione del polmone e per il posizionamento delle suturatrici meccaniche [32]. Il numero e la dimensione degli accessi toracoscopici varia a seconda delle tecniche usate. Recentemente è stata introdotta la VATS uniportale, che prevede un unico
accesso a livello del V spazio intercostale, posteriormente al solco sottomammario, per l’introduzione degli strumenti endoscopici e dell’ottica. Ulteriore tecnica proposta negli ultimi anni, prevede un accesso monoportale sub-xifoideo. Ciò consente di poter accedere ad entrambi i cavi pleurici minimizzando il dolore postoperatorio.
• La chirurgia robotica trae le sue origini dal contesto bellico, durante il quale sorse la necessità di una tecnologia in grado di eseguire interventi a distanza per soccorrere i soggetti feriti [33].
Il primo sistema robotico fu ideato dalla Computer Motion Inc. (Goleta, CA, USA) per la chirurgia laparoscopica e fu chiamato Automated Endoscopic System for Optimal Positioning, approvato poi dalla US Food and Drug Administration (FDA).
La stessa compagnia successivamente creò ZEUS™, il sistema robotico atto a coadiuvare il chirurgo in interventi di chirurgia mini-invasiva. Contemporaneamente fu sviluppato il Da Vinci™ dall’Intuitive Surgical System (Sunnyvale, CA, USA), il cui utilizzo venne inizialmente autorizzato dall’FDA, solo per la cardiochirurgia. Oggi il Da Vinci™ Robotic System è ampiamente utilizzato in tutto il mondo ed in quasi tutte le specialità chirurgiche.
Il sistema robotico DaVinci si è evoluto nel corso degli anni, migliorandosi con il susseguirsi dei modelli standard, S, Si e Xi. Gli ultimi due modelli, in particolare, hanno mostrato un notevole miglioramento nell’outcome chirurgico rispetto ai precedenti in commercio [34].
L’evoluzione dalla VATS alla chirurgia robotica ha permesso di mantenere i vantaggi della chirurgia mini-invasiva (minore traumatismo, ridotta degenza ospedaliera, minori complicanze e dolore post-operatorio) e ha superato i limiti propri dello strumento, con l’applicazione di tecnologie sempre più avanzate. Nel sistema Da Vinci infatti, la visione bidimensionale è stata sostituita da una visione 3D con magnificazione fino a dieci volte quella reale, e la manovrabilità degli strumenti si è migliorata raggiungendo 7 gradi di libertà in aggiunta alla filtrazione del tremore fisiologico della mano del chirurgo [35].
Il Da Vinci™ System è costituito da: § Una consolle
§ Strumenti operatori con articolazione interna EndoWrist®.
Il primo operatore occupa la consolle dotata di un sistema di visualizzazione 3D. Con i master controls, destro e sinistro, il chirurgo trasferisce i movimenti ai bracci meccanici collegati agli strumenti chirurgici. Ogni movimento della mano, delle dita e la rotazione del polso vengono trasmessi dalla consolle in tempo reale agli strumenti robotici collegati al carrello-paziente. La consolle dispone inoltre di un sistema a pedali per l’elettrocoagulazione, l’aspirazione e per la funzione di zoom dell’ottica.
Il carrello-paziente si compone di 4 bracci meccanici: un braccio è riservato all’ottica tridimensionale, mentre gli altri tre consentono l’ancoraggio dei vari strumenti robotici. I bracci del robot vengono ancorati nella fase di “docking” ai quattro trocar inseriti sugli accessi toracici del paziente.
Gli strumenti chirurgici sono stati progettati in modo da mimare i movimenti articolati di mano e polso umani, garantiti da 7 gradi di movimento e 90° di angolazione.
La chirurgia robotica prevede quindi il confezionamento di 4 accessi:
§ Il primo accesso, generalmente riservato all’introduzione dell’ottica 3D, è posto a livello del VII-VIII spazio intercostale sulla linea ascellare media;
§ I successivi due accessi sono eseguiti posteriormente, preferibilmente nello stesso spazio intercostale, il primo a circa 6 cm di distanza dall’accesso dell’ottica ed il secondo nel triangolo auscultatorio, tra il margine posteriore della scapola e la colonna vertebrale. Quando le caratteristiche fisiche del paziente lo consentono si cerca di confezionare le due incisioni posteriori sullo stesso spazio intercostale utilizzato per l’ottica per ridurre il dolore post-operatorio.
§ L’ultimo accesso si esegue anteriormente, lungo la linea ascellare anteriore a livello del V-VI spazio intercostale.
Durante l’esecuzione di interventi chirurgici toracici con tecnica robotica si procede ad insufflazione di CO2 a basso flusso (5-7 mmHg), operazione che permette di
incrementare il collasso polmonare e favorire l’abbassamento del diaframma. L’uso della CO2 è utile anche nei pazienti affetti da BPCO, nei quali i fenomeni di
“air-trapping”, tipici della componente enfisematosa parenchimale, rendono il collasso del polmone più difficoltoso [34][35][36].
Negli ultimi dieci anni è incrementato ampiamente l’utilizzo della chirurgia robotica nell’ambito della chirurgia toracica. Grazie alle sue caratteristiche avanzate il sistema robotico consente di eseguire un ampio range di interventi in maniera sicura e confortevole con evidenti vantaggi per il paziente.
Molti studi hanno dimostrato i benefici della chirurgia robotica negli interventi di resezione polmonare.
Rispetto alle altre tecniche mini-invasive infatti, essa garantisce minor perdita ematica, agevole dissezione degli elementi ilari e dei linfonodi, ed inoltre, grazie alla capacità degli strumenti robotici di raggiungere facilmente spazi endotoracici più profondi, consente una più sicura e precisa rimozione dei tumori localizzati in aree difficilmente raggiungibili in VATS.
Una delle limitazioni all’utilizzo di questo tipo di approccio chirurgico riguarda i costi, motivazione per la quale la chirurgia robotica va riservata a centri altamente specialistici e con alti volumi di attività.
Il gruppo di lavoro dell’ESTS ha analizzato i possibili approcci chirurgici in base alle controversie presenti riguardo l’opportunità di eseguire una palpazione del parenchima polmonare durante l’intervento (confronto in termini di outcome tra toracotomia e VATS), e di scegliere tra approccio simultaneo e sequenziale o differito in pazienti con metastasi bilaterali [37][38]. Prendendo in considerazione la tecnica mini-invasiva (VATS o robot assistita), si ritiene che i suoi vantaggi principali siano l’eccellente visualizzazione del cavo pleurico, il ridotto dolore post-operatorio, un più veloce recupero funzionale del paziente e una ridotta ospedalizzazione; lo svantaggio principale risiede nell’impossibilità di palpare l’intero polmone bimanualmente [30][39]
In merito al dubbio che la tecnica open garantisca vantaggi in termini di sopravvivenza rispetto alla mini-invasiva poiché consente la palpazione del parenchima polmonare, uno studio condotto dall’ESTS ha comparato esame TC e VATS con toracotomia e palpazione del polmone di conferma, trovando nelle prime due un tasso di fallimento del 56% nel rilevare tutte le metastasi. Uno studio prospettico di confronto tra toracoscopia e toracotomia recentemente eseguito, ha rilevato che in 37 pazienti con 55 noduli sospetti la
toracotomia successiva a VATS individuava 29 noduli addizionali non precedentemente visualizzati [39]
Dato che, nonostante l’aumentata sensibilità dell’imaging TC un significativo numero di metastasi polmonari non vengano rilevate, il gruppo di lavoro ESTS ha affermato che la toracotomia debba rimanere l’approccio standard per la metastasectomia polmonare;il 65% dei chirurghi intervistati considerava imperativo palpare il polmone durante l’intervento [40] Per superare la limitazione della palpazione polmonare esistente con la VATS, al fine di operare metastasi polmonari bilaterali, è stata proposta una chirurgia toracoscopica hand-assisted con accesso sternocostale triangolare. Si esegue un’incisione longitudinale di 7 cm all’addome superiore, si separano i muscoli retti dell’addome sulla linea mediana e la mano del chirurgo viene posizionata dietro allo sterno sul piano extraperitoneale cosicché riesca ad avanzare attraverso questo triangolo sternocostale in entrambi gli emitoraci. Vengono eseguite due incisioni toracoscopiche separate su entrambi i lati della cavità toracica e attraverso queste incisioni il polmone può sia essere visualizzato toracoscopicamente sia palpato manualmente [40].
Tuttavia questo risulta ancora oggi un argomento profondamente dibattuto poiché numerosi studi hanno dimostrato che non è presente differenza in termini di sopravvivenza in pazienti trattati con approcci mini-invasivi o open. Uno studio condotto da Roth e Younes ha inoltre dimostrato l’assenza di un vantaggio in termini di sopravvivenza nell’eseguire esplorazione bilaterale del polmone quando l’esame TC indicava solo malattia unilaterale [41] [42].
Nonostante l’assenza di trial randomizzati non consenta di stabilire se un approccio sia superiore all’altro in termini di sopravvivenza, il gruppo di lavoro ESTS ha formulato le seguenti raccomandazioni in merito [43]:
• La toracotomia è l’approccio di scelta sia per la malattia metastatica monolaterale che bilaterale. In caso di metastasi bilaterali sono raccomandate toracotomie sequenziali separate da un intervallo di 3-6 settimane nel corso del quale è opportuno eseguire un esame TC.
• La VATS risulta appropriata per le procedure diagnostiche, ma non può essere considerata la procedura standard per la metastasectomia polmonare terapeutica poiché appare, a detta degli autori, indispensabile la palpazione manuale del parenchima polmonare [43].
Un’altra questione ampiamente dibattuta è quella sul timing dell’esecuzione della chirurgia. Secondo alcuni autori sarebbe da preferire un approccio aggressivo andando a resecare la metastasi non appena identificata, secondo altri sarebbe invece più conveniente lasciare un certo intervallo di tempo tra la diagnosi e l’esecuzione di metastasectomia in modo da poter rilevare eventuali ulteriori noduli, evitando di trascurare metastasi molto piccole, e di avere indizi sul loro tempo di raddoppiamento e sulla risposta al trattamento chemioterapico [42].
2.4. Estensione della resezione chirurgica
Lo scopo della metastasectomia polmonare è di ottenere la resezione di tutte le metastasi con margine di resezione libero da malattia preservando quanto più parenchima polmonare sano possibile. Al momento della resezione è raccomandato lasciare un margine circonferenziale di parenchima sano di almeno 0,5-1 cm o maggiore ed è di fondamentale importanza adottare un approccio parenchyma-sparing per preservare quanto più possibile la funzione polmonare del paziente [44].
Le tipologie di resezioni chirurgiche più comunemente praticate sono:
• Resezione atipica o wedge resection: corrisponde a una resezione di parenchima polmonare che non rispetta i limiti anatomici di un segmento. Ha finalità sia diagnostiche che terapeutiche nei pazienti con ridotta funzionalità polmonare, tuttavia per la sua radicalità oncologica minore è associata a una sopravvivenza a 5 anni inferiore rispetto alle altre resezioni chirurgiche. Viene eseguita solitamente con suturatrici meccaniche o in alternativa, con il bisturi e poi con i punti di sutura.
• Segmentectomia: consiste nell’asportazione di uno o più segmenti polmonari, ovvero resezioni sub-lobari che permettono di evitare la lobectomia completa pur mantenendo i principi di resezione anatomica.
• Lobectomia: intervento di completa asportazione di uno dei 5 lobi polmonari. È un intervento generalmente ben tollerato, con una bassa percentuale di complicanze post-operatorie e una bassa mortalità che va però riservato ai casi in cui la metastasi sia centrale o molto grande, ovvero quando non sarebbe possibile ottenere un intervento R0 mediante una resezione minore
• Bilobectomia: consiste nella rimozione di due lobi del polmone destro, qualora una lesione interessi il bronco intermedio o qualora sconfini nella scissura tra lobo medio e lobo superiore (bilobectomia superiore) o inferiore (bilobectomia inferiore)[45]. Come per la lobectomia, questo tipo di chirurgia nei pazienti metastatici va proposto solo in casi selezionati, quando una resezione minore risulta impossibile.
• Pneumonectomia: intervento chirurgico che comporta l’asportazione completa di uno dei due polmoni. Questa procedura è gravata da una mortalità peri-operatoria del 7% e il rischio è maggiore in caso di pneumonectomia destra[46][47].L’indicazione a questo
tipo di intervento altamente demolitivo è riservata alle lesioni neoplastiche centrali non suscettibili di lobectomia, neanche mediante eventuale ricostruzione bronchiale o vascolare, oppure in caso di importante sconfinamento trans-scissurale della neoplasia. Le lobectomie con procedimenti ricostruttivi di broncoplastica (sleeve lobectomy) o di plastica dell’arteria polmonare, possono evitare la pneumectomia in casi selezionati, garantendo una migliore sopravvivenza e qualità di vita, come dimostrato in una meta-analisi che ha confrontato i due tipi di intervento tra il 1990 il 2003 [48][49]. Per quanto riguarda la pneumonectomia, 2/3 degli esperti la considerano una controindicazione relativa alla metastasectomia polmonare, mentre il 23% la considera controindicazione assoluta. Sulla base di uno studio riportato dall’International Registry of Lung Metasteses e da un altro condotto alla Mayo Clinic, si evince che la pneumonectomia non debba essere considerata una controindicazione assoluta alla metastasectomia polmonare, ma che possa essere associata a significative mortalità e morbidità e ad ampiamente variabile sopravvivenza a 5 anni suggerendo la necessità di stilare criteri di selezione restrittivi. La pneumonectomia è indicata in caso di lesione centrale solitaria in paziente con un precedente tumore dei tessuti molli o dell’osso, con un lungo DFI e che non abbia precedentemente subito metastasectomia polmonare [18].
Poiché la resezione delle metastasi polmonari è generalmente eseguita mediante resezione con risparmio di parenchima, i noduli sono generalmente asportati mediante suturatrice meccanica (82.2%), elettrocauterizzazione (32.2%), sutura chirurgica (24.7%) e infine di laser (12.3%) [50].
Le suturatrici meccaniche sono strumenti chirurgici utilizzati per eseguire suture che tagliano e cuciono il parenchima polmonare contemporaneamente e consentono di
realizzare suture più robuste rispetto alla resezione con bisturi manuale seguita da sutura a mano del parenchima, senza rischi di rotture o fistole, riducendo la percentuale di infezioni operatorie e di eseguire l’intervento in tempi più rapidi.. Consentono inoltre di raggiungere zone del torace profonde senza dover necessariamente eseguire accessi chirurgici di grandi dimensioni. Se non opportunamente utilizzate possono presentare lo svantaggio di causare un sacrificio importante di volume polmonare che può portare ad un deficit funzionale, soprattutto nel caso di resezioni su entrambi i polmoni. La tipologia di suturatrice meccanica utilizzata nella chirurgia polmonare e in particolare nell’esecuzione di resezioni atipiche è la suturatrice meccanica lineare.
L’elettrocauterizzazione è una procedura che viene spesso utilizzata per ridurre il sanguinamento durante gli interventi chirurgici e trova impiego nella metastasectomia soprattutto epatica. La sonda utilizzata per effettuare l’elettrocauterizzazione genera una corrente elettrica ad alta frequenza pertanto ne è controindicato l’utilizzo nei pazienti portatori di pace-maker o defibrillatori impiantati.
Per garantire una resezione con massimo risparmio di parenchima, è in crescente sviluppo la laser, tale metodica, appositamente progettata per la resezione delle metastasi polmonari, consente di resecare un grande numero di metastasi, sia bilaterali che localizzate centralmente, facilitando così l’ottenimento di una resezione completa e massimizzando il risparmio di parenchima polmonare e della funzione respiratoria. L’impiego del laser è in grado di ottenere importante precisione di taglio, di coagulazione e di effetto sigillante su bronchioli e alveoli a livello della superficie di sezione grazie al suo alto coefficiente di assorbimento specifico per il tessuto polmonare.
L’importanza di un intervento R0 che consenta risparmio di parenchima polmonare è fondamentale, come già detto in precedenza, per la possibilità di recidiva. Lo sviluppo di metastasi polmonari recidivanti è comune: circa il 53% in tutti i pazienti che hanno subito resezione completa, sviluppa recidiva con tempo mediano di ricorrenza di 10 mesi [51]. Tassi di recidiva più elevati sono riscontrati in caso di sarcomi e melanomi (64%) seguiti dai tumori epiteliali e a cellule germinali (46% e 26% rispettivamente) [51].
Mediante ripetute metastasectomie polmonari è possibile ottenere una buona sopravvivenza a lungo termine, in pazienti accuratamente selezionati (DFI lungo, istotipo favorevole ed estensione della resezione chirurgica), con tasso di sopravvivenza a 5 e 10 anni rispettivamente del 44% e 29% [51].
2.5. Stadiazione linfonodale e linfadenectomia
La dissezione o il campionamento dei linfonodi mediastinici è una procedura standard comunemente eseguita in caso di resezione polmonare per tumore primitivo,mentre il suo ruolo nella metastasectomia polmonare è ancora motivo di dibattito [52].
Uno studio eseguito paragonando dati ottenuti dall’International Registry of Lung Metastases, dalla Mayo Clinic e dal gruppo di lavoro dell’ESTS ha mostrato come l’interessamento linfonodale in corso di metastasi fosse incostante, talvolta solo del 5%. Tale percentuale potrebbe essere però dovuta alla tendenza da parte dei chirurghi a non eseguire linfadenectomia o sampling durante l’intervento di metastasectomia [52].
Dibattuto è il ruolo della stadiazione mediastinica preoperatoria poiché non ci sono evidenze sull’opportunità di sottoporre a metastasectomia polmonare sequenziale i pazienti con interessamento linfonodale. Dalla survey condotta dall’ESTS è apparso come mediastinoscopia sia praticata solo dal 43.8% dei chirurghi raramente, dal 28.8% solo qualche volta e dal 24% mai; solo il 3.4% degli intervistati la utilizzava routinariamente. Ulteriori esami di stadiazione mediastinica preoperatoria possono essere eseguiti mediante ultrasonografia bronchiale endoscopica (EBUS) ed ultrasonografia endoscopica esofagea (EUS) [22][24]
Tuttavia, la linfadenectomia mediastinica dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti sottoposti a metastasectomia polmonare al fine di ottenere un’accurata stadiazione, un’addizionale guida al trattamento e un possibile incremento di sopravvivenza.
3. Fattori prognostici e di sopravvivenza dopo
metastasectomia in base all’istologia del tumore
primitivo
3.1. Sarcomi
I sarcomi sono un gruppo eterogeneo di tumori maligni, (1% del totale) che possono originare sia dai tessuti molli che dall’osso e che presentano una spiccata propensione a metastatizzare al polmone, con impatto negativo sulla prognosi [6].
Le metastasi polmonari da sarcoma rappresentano il 42% dei secondarismi polmonari [18].
In particolare il 20% dei pazienti con sarcomi dei tessuti molli e il 40% di quelli con sarcomi dell’osso svilupperanno metastasi polmonari, nel 19% dei casi il polmone sarà l’unico sito di metastasi [18].
Sebbene tutti i sottotipi di sarcomi siano potenzialmente in grado di metastatizzare al polmone, le istologie per le quali si registra la maggior frequenza sono l’osteosarcoma, il sarcoma sinoviale e il liposarcoma [53].
La terapia del sarcoma metastatico prevede un approccio multidisciplinare dato che la chemioterapia, pur rimanendo lo standard di trattamento per questa tipologia di tumori, da sola offre solamente un beneficio limitato. L’aggiunta della chirurgia sembra fornire in casi selezionati e con malattia resecabile, un tasso di sopravvivenza a 5 anni dal 15% al 50,9%. Alcuni autori ritengono che l’incremento di sopravvivenza sia da imputare ad una minor malignità biologica del tumore o al fatto che i pazienti sottoposti a resezione chirurgica in questione avessero caratteristiche intrinseche favorevoli rispetto a quelli trattati con la sola chemioterapia [54].
I trattamenti multidisciplinari consentono di ottenere un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 30-80% per gli osteosarcomi e del 15-90% per i tumori dei tessuti molli, mentre i pazienti non sottoposti a trattamento, vanno incontro a morte tra i 6 e gli 11 mesi dalla diagnosi. L’introduzione di approcci minimamente invasivi e di tecniche “parenchyma sparing” ha inoltre portato ad un decremento della morbidità e alla possibilità di eseguire ripetuti
interventi qualora la malattia dovesse ricorrere, comportamento non estraneo al sarcoma metastatico che recidiva in circa il 64% dei pazienti [18].
Per quei pazienti ritenuti inadatti alla chirurgia le opzioni terapeutiche disponibili sono l’ablazione a radiofrequenza (RFA) e la radioterapia corporea stereotassica (SBRT).
Diversi studi retrospettivi hanno identificato nel grado istologico, nella dimensione tumorale, nel numero dei noduli, nel DFI e nella potenziale resecabilità, dei fattori prognostici di sopravvivenza a lungo termine dopo esecuzione di metastasectomia polmonare e di seguito verrà presa in esame la gestione chirurgica delle metastasi polmonari da sarcoma facendo particolare attenzione all’outcome dei pazienti e ai suddetti fattori prognostici di sopravvivenza [55].
3.1.1. Criteri di selezione per la chirurgia
Affinché un paziente affetto da metastasi polmonari da sarcoma possa essere sottoposto a chirurgia, è importante che siano rispettati i criteri di selezione proposti da Thomford nel 1965 che sono la possibilità di eseguire resezione completa di tutta la malattia conosciuta, la tollerabilità sia del rischio generale che funzionale, la possibilità di controllare il tumore primitivo e l’assenza di evidenza di malattia extra-toracica, essendo la presenza di quest’ultima la maggior ragione di esclusione dall’intervento chirurgico [19].
3.1.2. Chirurgia
I sarcomi, così come gli altri tumori maligni, trovano indicazione alla chirurgia open tradizionale, tuttaviaconsiderando la tendenza dei sarcomi metastatici a recidivare, è da preferire una tecnica mininvasiva come la VATS che consenta al paziente di essere nuovamente sottoposto a resezione polmonare per eventuali altre metastasi [38].
La resezione atipica e la segmentectomia sono le procedure più comunemente praticate per il fatto che la maggior parte delle metastasi polmonari da sarcoma si trovano in posizione periferica, tuttavia si può dover ricorrere a lobectomia, e in casi selezionati persino a
pneumonectomia, qualora le metastasi dovessero essere multiple o dovessero avere localizzazione centrale [38].
Essendo la diffusione metastatica quasi esclusivamente di origine ematica, spesso manca la diffusione ai linfonodi locoregionali, a meno che non si tratti dei sottotipi istologici rabdomiosarcoma, sarcoma sinoviale e sarcoma epitelioide, ed il polmone rappresenta quasi esclusivamente l’unico sito di malattia secondaria [42].Uno studio ha messo in evidenza che eseguendo linfadenectomia concomitante a metastasectomia si trovavano linfonodi ilari o mediastinici interessati da malattia solamente nel 24% dei casi e che non si otteneva un significativo impatto sulla sopravvivenza eseguendo resezione linfonodale, pertanto si è concluso che la linfadenectomia non debba essere routinariamente raccomandata durante la resezione di metastasi polmonari da sarcoma [42].
3.1.3. Chemioterapia
L’utilizzo della chemioterapia nel trattamento del sarcoma metastatico non ha ancora raggiunto un consenso unanime perché, sebbene da un lato sia stato dimostrato un miglioramento nell’outcome nei pazienti con istologie più aggressive – sarcoma di Ewing, osteosarcoma e rabdomiosarcoma – dall’altro si è visto che non vi è altrettanto beneficio nei sottotipi istologici meno aggressivi, concludendo che differenti istologie sono associate a differente chemiosensibilità [56].
Sebbene l’efficacia della chemioterapia convenzionale in adiuvante alla metastasectomia non sia ancora stata dimostrata, si tende comunque a trattare i pazienti con malattia più aggressiva con una terapia di associazione a base di Antracicline e sono inoltre stati registrati risultati soddisfacenti con Eribulina, Trabectedina e Aldoxorubicina, mentre la Target Therapy e l’Immunoterapia sono ancora ai primordi [56].
Uno studio ha messo a confronto una coorte di pazienti trattati con sola metastasectomia polmonare con una trattata mediante chemioterapia peri-operatoria e non si è dimostrato un miglior outcome in quest’ultima; tuttavia si ritiene che la chemioterapia neoadiuvante possa offrire il vantaggio di valutare meglio la biologia del tumore e la risposta al trattamento prima della resezione chirurgica [57].
3.1.4. Radioterapia
Il trattamento radioterapico non può essere preso in considerazione per tutti i tipi di sarcoma dato che alcuni di essi, il liposarcoma e l’osteosarcoma, sono tradizionalmente considerati radio-resistenti [58] .
La Whole Lung Irradiation viene infatti eseguita solamente in caso di sarcoma di Ewing, considerato radiosensibile in modo univoco, consentendo di ottenere un incremento in termini di sopravvivenza a fronte di una limitata tossicità [59].
La Stereotatic Body Radiation Therapy (SBRT) è invece una terapia radiante ad elevata dose, ipofrazionata e localizzata, per la quale diversi studi hanno dimostrato un buon tasso di sopravvivenza pur mancando risultati a lungo termine; per le sue caratteristiche sembra riuscire a superare la radioresistenza dei sarcomi e può inoltre essere eseguita nei pazienti inadatti alla chirurgia o nei casi di malattia indolente, progressiva o bilaterale [58].
La Radiofrequency Ablation (RFA) TC-guidata è una tecnica che utilizza corrente alternata ad alta frequenza volta a determinare elevate temperature intorno all’elettrodo inserito nel tumore allo scopo di ottenere necrosi intratumorale. Presenta limitazioni per i noduli localizzati centralmente o per quelli nelle vicinanze dei grandi vasi sanguigni. Soltanto tre studi descrivono l’esperienza con la RFA per le metastasi polmonari e riportano un tasso di sopravvivenza a tre anni tra il 29% e l’85% associato tuttavia ad una complicanza piuttosto frequente, lo pneumotorace, che occorre nel 68% dei casi e che richiede posizionamento del drenaggio toracico; nonostante ciò può essere considerata come valida alternativa nei pazienti non candidati alla chirurgia [59].
3.1.5. Fattori prognostici di sopravvivenza dopo metastasectomia
polmonare per i sarcomi
I fattori prognostici di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare, ben conosciuti e comuni a tutti i tipi di tumore secondario del polmone, sono il DFI, l’ottenimento di una resezione completa e il numero dei noduli polmonari, mentre è meno chiaramente definito il ruolo delle caratteristiche istologiche, cliniche e trattamento-correlate sebbene occasionalmente studi chirurgici retrospettivi ne riportino una certa significatività in termini di sopravvivenza [18].
Età e genere
La popolazione di pazienti affetti da sarcoma è solitamente rappresentata da pazienti giovani e senza particolari comorbidità, motivo per il quale viene spesso raccomandato un approccio chirurgico aggressivo, specialmente se si tratta di osteosarcoma.
Uno studio ha messo in evidenza una differenza di età e di genere per quanto riguarda pazienti sottoposti a metastasectomia polmonare per metastasi rispettivamente da osteosarcoma e sarcoma dei tessuti molli evidenziando che nel primo caso la media di età era di 17 anni e il genere prevalente quello maschile (65%), mentre nel secondo caso la media di età era di 46 anni con uguale distribuzione di genere; questa differenza in termini di età e di genere non consente di ottenere una fusione significativa dei risultati per quanto riguarda la metastasectomia polmonare in caso di sarcomi dell’osso e dei tessuti molli [60]. All’aumentare dell’età si è riscontrato un peggioramento della prognosi, tuttavia l’età avanzata è considerata soltanto una controindicazione relativa alla metastasectomia polmonare perché in questa popolazione di pazienti la chemioterapia è scarsamente tollerata, mentre la chirurgia potrebbe apportare un beneficio.
Il genere invece non è considerato un fattore prognostico di sopravvivenza sebbene uno studio su pazienti con osteosarcoma abbia evidenziato una prognosi peggiore nei soggetti maschi rispetto alle femmine.
Istologia
La prima grande distinzione da fare dal punto di vista istologico deve essere tra sarcomi dell’osso e sarcomi dei tessuti molli dato che si ritiene esista una differenza significativa in termini di sopravvivenza tra le due tipologie di tumori i quali presentano rispettivamente un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 34% e del 25%. Tuttavia, negli studi con istologie miste, la differenza in sopravvivenza tra le due tipologie di sarcoma non è significativa, se non occasionalmente.
I sarcomi dei tessuti molli comprendono più di 50 varianti istologiche e quelle che più frequentemente metastatizzano al polmone sono il leiomiosarcoma, l’istiocitoma fibroso maligno o sarcoma pleomorfo indifferenziato, il sarcoma sinoviale e il liposarcoma. Sebbene nessuno di questi sottotipi costituisca da solo un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza, in alcuni studi è stato evidenziato che pazienti con metastasi da leiomiosarcoma avessero un miglior outcome rispetto alle altre istologie. Questa scoperta è stata avvalorata da un successivo studio in cui la coorte di pazienti con leiomiosarcoma presentava un significativo vantaggio in termini di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare (69.9 mesi) rispetto agli altri sottotipi di sarcoma (23.9 mesi); i pazienti con leiomiosarcoma presentavano meno lesioni polmonari e un minor numero di lobi coinvolti rispetto a pazienti con metastasi polmonari non-LMS; gli autori dello studio conclusero pertanto che il leiomiosarcoma potesse rappresentare un sottotipo istologico meno aggressivo [61].
I pazienti con metastasi polmonari di tumori della guaina nervosa periferica e di liposarcomi si ritiene abbiano invece una ridotta sopravvivenza.
Grado e altre caratteristiche istologiche
L’opinione circa la significatività del grado istologico sulla sopravvivenza post-metastasectomia polmonare è duplice. Si è visto che la maggior parte delle metastasi polmonari provengono da tumori primitivi di alto grado e che il basso grado, sebbene abbia potenziale metastatico analogo ai primitivi di alto grado, correla con una progressione di
malattia più indolente; da queste osservazioni alcuni autori considerano quindi il basso grado istologico un fattore prognostico favorevole indipendente di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare da sarcomi dei tessuti molli. Altri autori affermano invece che, in seguito allo sviluppo della metastasi polmonare, l’importanza del grado istologico per la sopravvivenza post-metastasectomia diminuisca notevolmente [54].
Altri paramenti istopatologici, studiati per le loro implicazioni prognostiche e chirurgiche, sono il pattern di crescita istologico delle metastasi, la diffusione interstiziale, l’infiltrazione vascolare, i noduli satelliti e la diffusione linfagitica [62].
Si è visto che il pattern di crescita interstiziale è un fattore di rischio di morte dopo metastasectomia polmonare, mentre l’interessamento pleurico e la parziale regressione tumorale dopo chemioterapia sono caratteristiche isto-morfologiche associate con aumentato rischio di recidiva locale intrapolmonare [62].
DFI
Il DFI, definito come l’intervallo di tempo tra la resezione completa del tumore primitivo e la diagnosi di metastasi polmonare, è un ben noto fattore prognostico di sopravvivenza dopo metastasectomia polmonare. La sua validità nel predire la sopravvivenza dopo resezione di metastasi polmonari da sarcoma è stata confermata da numerosi studi che però hanno proposto differenti cut-off compresi tra 12 e 30 mesi [18].
Non esiste un consenso comune circa l’intervallo di tempo ideale dopo il quale eseguire metastasectomia polmonare, infatti esistono metastasi sincrone al tumore primitivo, per le quali chiaramente non esiste DFI, che tuttavia non sono considerate una controindicazione assoluta alla metastasectomia polmonare; alcuni autori riferiscono un 37.5% di pazienti operati con malattia metastatica sincrona.
Un breve DFI o una malattia sincrona richiedono di considerare il trattamento neoadiuvante prima della resezione polmonare con l’intento di creare una finestra di tempo per monitorare la progressione tumorale e meglio valutare il beneficio di un trattamento chirurgico.
Malattia extra-polmonare
Per quanto concerne la malattia metastatica extra-polmonare, l’atteggiamento è molto diverso se il primitivo in questione ha origine colo-rettale oppure si tratta di un sarcoma. Nell’ambito della metastasectomia polmonare da cancro colo-rettale si trova abbondante letteratura riportante outcome soddisfacenti dopo resezioni combinate di metastasi polmonari ed epatiche, mentre per il sarcoma metastatico, essendo i criteri chirurgici tradizionali proposti da Thomford ritenuti ancora validi da diversi autori, la malattia extra-polmonare è inclusa tra i criteri di esclusione per la chirurgia. Altri autori tuttavia, con l’intento di eseguire un trattamento chirurgico aggressivo in una popolazione di pazienti giovani e in forma eseguono resezione polmonare anche in pazienti con nota malattia extra-polmonare [63].
Sebbene la questione sia ancora ampiamente dibattuta, sembra che la presenza di malattia extra-polmonare metastatica non debba più essere considerata controindicazione assoluta alla chirurgia in quanto, nonostante diversi studi retrospettivi riportino outcome sfavorevoli in questa categoria di pazienti, ne esiste uno dimostrante che, in caso di malattia extrapolmonare sincrona o precoce suscettibile di resezione R0, i tassi di sopravvivenza sono simili a quei pazienti con metastasi polmonari isolate.
Risposta alla chemioterapia
Nei pazienti sottoposti a metastasectomia polmonare è stato investigato il ruolo prognostico della risposta radiologica alla chemioterapia neoadiuvante ed è emerso che i pazienti andati incontro a progressione tumorale durante chemioterapia avevano una mediana di sopravvivenza post-metastasectomia di 17,2 mesi, nettamente inferiore a quella dei pazienti senza progressione tumorale per i quali la mediana era di 35,5 mesi [64].
Risultati analoghi sono stati ottenuti valutando la risposta patologica in termini di percentuale di necrosi tumorale rilevata in campioni resecati di metastasi da sarcoma.
Questi risultati suggeriscono che la chemioterapia neoadiuvante, in pazienti selezionati, possa aiutare a valutare la biologia del tumore e a stimare il beneficio delle opzioni terapeutiche successive [64].
Numero di metastasi, dimensioni e lateralità
Il numero dei foci metastatici è una misura del carico tumorale ed è un parametro spesso utilizzato nella selezione dei pazienti da sottoporre a chirurgia e/o a chemioterapia neoadiuvante, sebbene non ci sia consenso unanime riguardo il numero massimo di noduli polmonari che un paziente deve avere per poter essere sottoposto resezione chirurgica. In differenti studi il numero medio dei noduli resecati varia da 1 a 5 ed è stato dimostrato essere un fattore prognostico di sopravvivenza.
Per quanto riguarda le altre misure del carico tumorale, come la malattia unilaterale/bilaterale, la dimensione del nodulo più grande o la dimensione totale dei noduli resecati, sono stati meno frequentemente individuati come fattori prognostici di sopravvivenza.
Altri autori ritengono invece che, ogni volta che viene ottenuta una resezione completa, le misure del carico tumorale hanno un ridotto effetto sulla sopravvivenza [65].
Completezza della resezione
Durante la valutazione di un paziente da sottoporre a metastasectomia polmonare, la possibilità di ottenere una resezione completa è considerata un criterio di selezione maggiore e molti studi confermano il suo ruolo come fattore prognostico determinante per una sopravvivenza a lungo termine.
Uno studio afferma infatti che, i pazienti in cui non si era riusciti ad ottenere una resezione completa avevano una mediana di sopravvivenza di 14 mesi, inferiore a quei pazienti che presentavano gli altri due maggiori fattori prognostici di sopravvivenza combinati, DFI < 36 mesi e metastasi multiple, nei quali la mediana di sopravvivenza era di 24 mesi [18].