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Il trattamento tributario degli strumenti di destinazione patrimoniale alla luce della legge n.112 del 22/06/2016.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA IN CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

IL TRATTAMENTO TRIBUTARIO DEGLI STRUMENTI DI

DESTINAZIONE PATRIMONIALE ALLA LUCE DELLA

LEGGE N. 112 DEL 22/06/2016

Candidato Volpi Lorenzo

Relatore Controrelatore Dott.ssa Giulia Boletto Prof.ssa Luisa Azzena

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Indice

1. Premessa ... 6

2. Capitolo primo – L’istituto del trust, il vincolo di destinazione ex art 2645-ter e i contratti di affidamento fiduciario. ... 7

2.1.Il trust. ... 7

Common law e equity. ... 7

Cenni sulle origini della law of property. Free tenure, unfree tenure, real property, personal property, caratteri generali, diritti ed obblighi. ... 9

Il superamento della free tenure. La pratica dello use. ... 14

Alcuni cenni sulla convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985. ... 17

L’istituto del trust. Definizioni, soggetti, oggetto, scopi benefici. ... 20

Il disponente. ... 21

Il trustee dei trust per soggetti deboli. ... 25

I beneficiari. ... 37

Il guardiano. ... 39

2.2.Il vincolo di destinazione. ... 41

La meritevolezza dell’interesse perseguito. ... 44

La forma dell’atto di destinazione. ... 46

Cenni su oggetto, durata e beneficiari. ... 47

La segregazione patrimoniale e l’opponibilità ai terzi. ... 49

2.3.I “fondi speciali” istituiti in favore di persone con disabilità grave disciplinati da contratti di affidamento fiduciario. ... 51

Il confronto con gli altri istituti... 53

Le caratteristiche del contratto di affidamento fiduciario. ... 55

L’occasione persa di una disciplina civilistica in materia di negozi di destinazione patrimoniale con finalità assistenziali. ... 58

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3. Capitolo secondo – Gli aspetti fiscali. ... 63

3.1. Il trattamento fiscale degli atti di destinazione. ... 63

L’imposizione indiretta sul vincolo di destinazione. Profili interpretativi e vincolo “puro e semplice”. ... 63

I vincoli cui si accompagna un trasferimento patrimoniale. Trasferimenti “funzionali” e trasferimenti “finali”. ... 68

I nuovi orientamenti della corte di cassazione. Le ordinanze n.n. 3735, 3737, 3886 del 24 febbraio 2015. ... 70

Le critiche alle ordinanze. ... 74

Il “nuovo corso” della Corte di Cassazione: La sentenza 21614/2016. ... 76

Una “nuova fiscalità” sui vincoli di destinazione? ... 79

3.2. La fiscalità del trust. ... 80

I soggetti passivi. ... 80

La commercialità del trust. ... 83

La residenza del trust. ... 85

I redditi del beneficiario individuato e la sua natura. ... 86

Le imposte indirette nel trust secondo l’agenzia delle entrate. ... 88

La critica di dottrina e giurisprudenza di merito. ... 92

La posizione della giurisprudenza di legittimità e le critiche della dottrina. ... 96

3.3. La fiscalità del contratto di affidamento fiduciario. ... 99

4. Capitolo terzo – La Legge 112 del 22 giugno 2016 c.d. “Dopo di noi”. .. 103

Alcune brevi considerazioni sulla legge. ... 108

Le novità fiscali della legge 112 del 22 giugno 2016 c.d. legge per il “dopo di noi”. Le agevolazioni. ... 112

Le novità fiscali della legge 112 del 22 giugno 2016 c.d. legge per il “dopo di noi”. I requisiti. ... 116

Alcune critiche mosse alla legge. ... 119

La collocazione sistematica del regime fiscale dei negozi di destinazione nel “dopo di noi”. ... 122

5. Conclusioni – I negozi di destinazione patrimoniale: strumenti per la tutela delle persone disabili e il loro trattamento tributario. ... 124

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1. Introduzione

Premessa.

Il presente lavoro si pone come obiettivo, non solo di inquadrare da un punto di vista giuridico la tutela fornita dagli strumenti messi a disposizione dalla legge 112/2016 a favore di soggetti deboli, ma mira soprattutto ad analizzare il regime di tassazione indiretta che colpisce i negozi di destinazione patrimoniale individuati dalla norma in parola. Introducendo inizialmente i profili generali degli istituti, si analizzeranno le criticità di una norma che, ancorché volta a fornire agevolazioni ed incentivi all’utilizzo di strumenti per la determinazione e l’inclusione sociale di soggetti deboli, perde l’occasione di fornire una disciplina armonica circa le varie problematiche ad essa connesse.

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2. Capitolo primo – L’istituto del trust, il vincolo di

destinazione ex art 2645-ter i contratti di affidamento

fiduciario.

2.1. Il trust.

Common law e equity.

Trattare l’istituto del trust significa studiare un istituto così fortemente radicato nella storia del diritto inglese che appare impossibile percepirne la portata senza intraprendere una, seppur breve ed incompleta, analisi storica di quelli che sono in fenomeni che hanno portato alla sua concreta realizzazione.

Lo sviluppo storico del diritto inglese è segnato dalla progressiva affermazione e successiva coesistenza di diverse autorità giurisprudenziali tra le quali le più significative sono senza dubbio quelle rappresentate dalle corti di common law e dalla Court of

Chancery quest’ultima fonte dell’equity.

La common law affonda le proprie radici nell’invasione normanna del XI secolo. L’amministrazione della giustizia fu affidata a tribunali locali di tipo nobiliare i quali decidevano in base a regolamenti municipali e usi. Detti tribunali erano tuttavia affiancati, in materia di vertenze che incidessero profondamente sugli interessi del regno, dal Re normanno in seno al suo Consiglio (King’s council) e successivamente, intorno al XIII secolo, alle sue autonome ripartizioni

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giudiziarie (Corti di Westminster) competenti in materia di regie finanze, liti concernenti la proprietà e cause penali tali da compromettere l’integrità del regno.

Fu proprio lo stratificarsi dei precedenti giudiziari pronunciati dalle succitate corti a plasmare il corpo centrale di quell’ordinamento giuridico designato come common law e caratterizzato tutt’oggi da assenza di codificazione e dal principio cardine del precedente giurisprudenziale vincolante, il quale rende gli ordinamenti di common law “vivi".

Tuttavia il sistema di common law, per come era strutturato, non risultava scevro da imperfezioni e malfunzionamenti – spesso non si potevano adire le corti regie, le pronunce risultavano inique, non vi erano mezzi per condurre un processo e così via – motivo questo che spinse i privati cittadini ad appellarsi alla coscienza del Re per prendere una decisione che agevolasse il trattamento della controversia.

La sede istituzionalmente preposta ad accogliere tali richieste ed a concederne rimedio fu il Consiglio del Re, che con il passare dei secoli non risultò più in grado di assolvere tale compito alla luce del sempre maggior numero di richieste. Conseguentemente a tale condizione venne percepita sempre più l’esigenza di delegare ad un organo ad hoc tale funzione, il Lord Chancellor (spesso rappresentato da una figura ecclesiastica). Si erano gettate le basi per la nascita della giurisdizione di equity – del quale il trust rappresenta l’istituto più importante - rivolta alla tutela dei cosiddetti equitables right.

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Cenni sulle origini della law of property. Free tenure, unfree

tenure, real property, personal property, caratteri generali,

diritti ed obblighi.

Il sistema feudale inglese rappresenta un momento focale anche per l’attuale concezione di proprietà nel sistema anglosassone. Questo non tanto nel modo in cui è strutturato quanto per il fatto che il diritto di proprietà inglese gode di una continuità storica, dovuta alla mancanza di un momento di rottura come è stata la Rivoluzione francese per l’Europa continentale, continuità che si riverbera anche ai giorni d’oggi.

Non a caso nella moderna Law of property sopravvivono concetti di origine medievale quali l’appartenenza al regno della proprietà

stricto sensu della terra e l’unilateralità dell’atto formale di

trasferimento della Real property posto in essere dal venditore.

Proprio l’appartenenza alla Corona inglese della terra stava alla base del fenomeno giuridico denominato free tenure caratterizzato da un atto unilaterale di concessione di diritti (più o meno vasti) di godimento sulla terra che il sovrano Lord riconosceva ai nobili locali posti sotto di lui (tenants in chief), i quali a loro volta sub-concedevano a soggetti immediatamente sottoposti.

Appare importante sottolineare che con la free tenure non veniva trasferita la proprietà ma solo il diritto di goderne (estate), in maniera più o meno vasta, indipendentemente da una qualsiasi connotazione servile. Caratteristica quest’ultima che se presente va a connotare il fenomeno della unfree tenure per la quale il Lord, non privandosi del

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godimento della terra, affidava la coltivazione del fondo ai locali in cambio del loro sostentamento.

Il diritto di godere del fondo, proprio del free tenure, può essere declinato in relazione alla durata nonché ai diritti ed agli obblighi (incidents) in esso incorporati.

In ordine alla durata giova specificare che il diritto di godere del fondo risultava, seppur limitato nel tempo, indefinito1. Si configurano quindi, in relazione alla durata:

a) fee simple per il quale il godimento spetta al tenant ed agli

eredi

b) life estate di durata pari alla vita del tenant

c) fee tail per il quale il godimento spetta ad un soggetto e,

dopo la dipartita di quest’ultimo, ad una classe di soggetti designati

L’ estate in capo al tenant si distingue, inoltre, in relazione alla sua “attualità”. Si distingue così il vested in possession, per il quale l’esistenza del diritto di godimento risulta immediata e libera da condizione, dalla contingent estate subordinata ad una condizione sospensiva.

Per quanto riguarda gli incidents, questi rappresentano un novero di obblighi in capo al tenant e di diritti spettanti al lord. Tra i principali

incidents gravanti sul tenant ricordiamo: l’homage, cioè l’obbligo di

riconoscere la supremazia del lord, che, sebbene simile, si distingue dal

fealty ossia l’obbligo di fedeltà verso il lord.

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L’incident denominato aids concerne l’obbligo di prestare aiuto e sostegno al lord. Questo tipo di assistenza poteva sostanziarsi in vari modi che spaziavano dal far fronte ad un debito in luogo suo al concorrere alla formazione della dote della figlia, alla assistenza sanitaria ecc.

Ulteriori incident erano rappresentati dal wardship e dal marriage rispettivamente una sorta di potestà sul figlio minorenne sopravvissuto al padre defunto (con connesso potere, in capo al lord, di amministrazione del fondo e di godimento delle rendite) e il diritto, da parte del lord, di scegliere la futura moglie del figlio rimasto orfano di padre2.

Sul fronte dei diritti spettanti al lord in primo luogo abbiamo l’escheat, ovvero il diritto di tornare nel pieno godimento del fondo (risolvendo dunque la concessione) nel caso in cui, in ipotesi di fee

simple, il tenant non avesse eredi ovvero nel caso in cui si fosse palesata

una grave violazione degli obblighi connessi alla concessione.

Si contrappone alla free tenure, dalla quale si distanzia per la matrice non feudale, la cosiddetta unfree tenure la quale si caratterizza per il rapporto diretto tra il lord ed i villains ossia i contadini locali i quali, in cambio del loro sostentamento, si occupavano di coltivare la terra. La summa divisio tra free tenure ed unfree tenure sta nella connotazione feudale che si va a creare tra il lord ed il tenant che viene

2 Nel caso in cui il figlio si fosse rifiutato di prendere in sposa la donna designata dal lord a

questi spettava una somma di denaro a titolo di risarcimento che raddoppiava nel caso in cui si fosse sposato con altra persona senza il consenso del lord.

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meno quando si tratta di unfree tenure nella quale i rapporti si esauriscono tra lord e villain3.

Le considerazioni finora condotte rendono possibile la disamina del tema della distinzione tra real property e personal property.

La real property affonda le proprie origini nei diritti di godimento immobiliare aventi matrice feudale4, discendenti cioè dalla free tenure. Elemento strettamente caratterizzante della real property è rappresentato dal tipo di azione che può essere esperita al fine di garantirne la protezione: la real action. Questa si connota come una azione di tipo recuperatorio5.

Viste le precisazioni fatte è opportuno ricordare che la real

property non può essere accostata né con i nostri diritti reali (sia perché

questi ultimi possono avere ad oggetto anche beni mobili mentre la real

property riguarda beni immobili, sia perché la real property include

altresì diritti non strettamente connessi con gli immobili6) né con il nostro diritto di proprietà in ragione delle origini di natura medievale per le quali la proprietà sussiste solo in capo alla Corona.

La categoria della personal property include invece, in via residuale, ogni diritto estraneo alla real property. La netta contrapposizione7 tra questi due tipi di diritti si realizza in ordine alla

3 Tali differenze causarono, almeno nelle fasi iniziali, una frammentazione di giurisdizioni a

cui far capo. Le liti inerenti una unfree tenure sono trattate dalla Corte del Signore del maniero mentre quelle relative ad una free tenure sono trattate dalle corti feudali

4 Nella real property rientrano tuttavia anche diritti il cui legame con gli immobili è indiretto. 5 In tale categoria rientrano il writ of rights (una sorta di rivendica verso chiunque ne neghi

l’esistenza), l’assiza of novel disseisin (una specie di azione possessoria mirante a tutelare lo spoglio dell’estate) ed il writ of right (azione per la quale si tende a dimostrare l’inferiorità del diritto del convenuto rispetto al proprio)

6 Si ricorda ad esempio l’advowson per il quale il feudatario aveva il potere di presentare

all’autorità ecclesiastica competente il titolare di un ufficio ecclesiastico rimasto vacante.

7 La dicotomia real action – personal action, seppure ricavata da termini latini, non deve

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protezione offerta, in quanto la personal property è tutelata da una azione meramente risarcitoria.

Siamo giunti quindi a definire i connotati di quella che era la law

of property di stampo medievale, caratterizzata dall’idea che la

proprietà della terra apparteneva alla sola Corona e che i privati potessero essere titolari dei soli estates e in quanto tali proprietari non dell’immobile ma del godimento ad esso connesso. Tale concezione cambia però nell’epoca moderna ad opera di quella che fu la riforma della law of property inglese del 1925. Questa riduce a due soli i legal

estates: il fee simple absolute in possession consistente nel diritto al

godimento immediato di un terreno senza limiti di durata e trasferibile sia fra vivi che mortis causa ed il term of years absolute che implica il diritto di godimento immediato, di solito dietro corresponsione di un canone, di un bene per un periodo di tempo determinato8.

azione personale. I presupposti sui quali si fonda la differenza tra azione reale e azione personale attengono alla presenza o meno dell’opponibilità erga omnes del diritto che è cosa ben diversa rispetto alla discriminante che opera tra real property e personal property che attiene al tipo di azione, risarcitoria piuttosto che recuperatoria.

8 Si riconoscono, nei due legal estates, gli “eredi” rispettivamente del freehold in fee simple

(più significativa ipotesi di real property) e del leasehold (tipica espressione della personal property medievale)

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Il superamento della free tenure. La pratica dello use.

Il sistema feudale delle free tenures di cui sopra, pur rappresentando un momento apicale della storia della law of property inglese, non era certo immune da inefficienze e gravosità tali da comportarne il superamento.

Tra le principali limitazioni ricordiamo l’impossibilità di trasferire

mortis causa mediante testamento il proprio estate.9

Cominciò pertanto a diffondersi nella prassi l’istituto dello use, il quale a buon diritto poteva essere inteso come l’antesignano del trust.

Se quindi Tizio (detto feoffor) intendeva eludere il divieto di testare in ordine al suo estate sulla land in favore di suo figlio Caio, egli trasferiva il suo estate a Sempronio (detto feoffe of use) il quale attribuiva le rendite del fondo a Tizio mentre era in vita. Successivamente, dopo la morte di Tizio, Sempronio trasferiva il proprio estate a Caio.

Tale strumento risultò essere oggetto di una accesa controversia circa la sua tutela. Mentre da un lato le corti di common law si rivelarono ostili a tale istituto, in relazione al suo utilizzo capzioso, dall’altro, a seguito di continue petizioni di fronte alla Cancelleria da parte di titolari di uses, la giurisdizione di equity riconobbe un equitable

interest in capo al beneficiario dello use condannando i feoffee

“infedeli” al rispetto del medesimo. Si giunse così al progressivo

9 Più in generale veniva avvertita altresì l’esigenza, per i soggetti gravati da ingenti debiti, di

spogliarsi del proprio patrimonio (senza però perderne il controllo) ovvero l’esigenza di affidare i loro beni a soggetti fidati prima di intraprendere lunghi viaggi o partire per la guerra.

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riconoscimento dello use quale istituto rilevante giuridicamente, in virtù del processo di normazione che culminò alla fine del XV secolo.

Non di poco contò fu la promulgazione dello Statute of uses (1535), una legge che in un certo senso rappresentava l’ultimo tentativo del sistema feudale di arginare lo use garantendosi così la sopravvivenza. In sostanza lo statute of uses tendeva a voler eliminare la figura del feoffee to use, considerando il cestui que use quale soggetto gravato da tutti gli incidents propri della tenure. Praticamente se A avesse trasferito l’estate di tenant a B, indicandolo come feoffe to the

use of C, alla luce dello Statute, C sarebbe d’ora in poi stato considerato

il nuovo tenant subentrato ad A. La legge del 1535 subì forti restrizioni da più fronti. Mentre la Corte del Cancelliere, interpretando la legge restrittivamente, ne compresse l’applicabilità a svariate ipotesi i

conveyances (giuristi esperti nei trasferimenti), con un artificio

normativo, escogitarono l’espediente dello “use upon a use”. Se quindi A intendeva trasferire il suo estate a B per l’uso di D il conveyance creava un doppio uso, invece che a B per l’uso di D, a B per l’uso di C per l’uso di D. Attraverso questo “escamotage”, lo Statute rendeva inefficaci le disposizioni del primo use, ma non quelle del secondo, che in questo modo restavano valide10. Fu verso la metà del XVII secolo che lo use upon a use venne riconosciuto meritevole di tutela in equity.11

Fu proprio in quel periodo che, in operazioni del genere, l’acquirente del legal estate smise di chiamarsi feoffee to use ed iniziò a ciamarsi trustee; analogamente il titolare dello use non venne più

10 Le posizioni del secondo use venivano ignorate in quanto tale fattispecie non era

menzionata nello Statute. Ciò alla luce del fatto che, in un ordinamento in cui il primato delle fonti spetta alla giurisprudenza, una compressione del potere giudiziario deve essere necessariamente essere applicata in maniera tassativa esclusivamente per i casi previsti.

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chiamato cestqui que use bensì cestqui que trust. Furono così gettate le basi del moderno trust.

Come però è stato detto: “il moderno trust è più comprensivo

dell’antico use”. Questo sia perché il suo oggetto è più ampio (non si

limita ai soli estates in land) sia perché gode di un corpus normativo ben più vasto.

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Alcuni cenni sulla Convenzione dell’Aja del 1° Luglio

1985

Accanto al modello inglese (da cui il trust trae origine) si affiancano altri modelli di trust, come ad esempio il modello che trae origine dalla Convenzione dell’Aja del 1° Luglio 1985. Tale convenzione, recepita dal nostro ordinamento con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, si è incastonata nel panorama internazionale con l’intenzione di risolvere alcuni dei problemi legati al trust che maggiormente impattano sulla sua diffusione. Come si desume dal prologo della convenzione infatti “Gli

stati firmatari della presente convenzione, considerando che il trust è un istituto peculiare creato dai tribunali di equità dei paesi di Common law, adottato da altri paesi con alcune modifiche, hanno convenuto di stabilire disposizioni comuni relative alla legge applicabile ai trust e di risolvere i problemi più importanti relativi al loro riconoscimento.”

La Convenzione, dopo aver indicato nell’art 112 le finalità perseguite, delinea quello che è il suo oggetto: il trust. Si delineano quindi quelli che sono i caratteri distintivi dell’istituto senza la presunzione (né la volontà) di disciplinare l’istituto.

Sulla base del succitato art 2, oltre che a definire, nei limiti dei fini della Convenzione, il trust, si vanno ad individuare quelli che sono i caratteri essenziali dello stesso, lasciando spazio oltre che ai trust c.d.

interni (nei quali beneficiario, trustee e disponente nonché i beni in trust

12 Art 1: “La presente Convenzione stabilisce la legge applicabile al trust e regola il suo

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sono di nazionalità italiana) anche ai trust di scopo (considerati nulli negli ordinamenti di common law ad eccezione di quelli finalizzati al perseguimento di uno scopo sociale) c.d. non charitable13.

In virtù della Convenzione sono ammessi nel nostro paese trust con profili di estraneità rispetto all’ordinamento nazionale. È questa la possibilità prevista dall’art 6 della Convenzione che recita nel primo periodo del primo comma: “Il trust è regolato dalla legge scelta dal

disponente.”14 Come già detto, mancando del tutto una

regolamentazione nel nostro ordinamento è giocoforza rifarsi a leggi regolatrici estere anche nell’ipotesi in cui le parti siano italiane.

Concludendo questa breve esposizione riguardante la

Convenzione è interessante vedere come l’art 11 al comma 3 suggelli quello che è l’effetto della segregazione patrimoniale: “Nella misura in cui la legge applicabile lo richieda o lo preveda, il riconoscimento del trust implica in particolare:

b) che i beni in trust siano segregati rispetto al patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di suo fallimento.”

13 Art 2 comma 1: “Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti

giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”

14 La legge scelta dal disponente riguarda esclusivamente aspetti regolatori stabiliti nell’art 8

della convenzione quali ad esempio: nomina, dimissioni e revoca del trustee, il diritto di delegare in tutto o in parte l’adempimento dei suoi obblighi, il potere del trustee di effettuare investimenti e così via. L’elenco dell’art 8 rappresenta un contenuto minimo avente una funzione esemplificativa e non necessariamente tassativa.

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L’istituto del trust. Definizioni, soggetti, oggetto, scopi

benefici

Dopo aver svolto un breve excursus storico di quelle che sono le origini dell’istituto non risulta essere banale fornire una definizione dello stesso.

Sebbene non normato nell’ordinamento italiano, l’istituto del trust può essere definito come lo strumento del diritto per il quale un soggetto (detto disponente o settlor) pone sotto il controllo di un altro soggetto (detto trustee) un determinato bene o patrimonio al fine di amministrarlo a vantaggio di un beneficiario determinato o per un fine specifico.

Come già anticipato il trust non trova un effettivo riscontro nella disciplina italiana, anche se sono state presentate alcune proposte di legge, più o meno pregnanti, volte a regolamentare l’istituto15. Tra queste è rilevante il disegno di legge n. 5494 che rappresenta un primo passo verso il riconoscimento del trust come strumento idoneo al

15 Ricordiamo la proposta di legge n. 5194-ter, la quale, come si legge dalla relazione

accompagnatoria intende offrire “una disciplina per l’amministrazione del trust che renda concretamente attuabile l’adesione del nostro Paese alla Convenzione de L’Aja” ma che, invero, si limita a dettare poche e scarne regole attinenti alla forma senza fornire arricchimenti sulla sistemazione dell’istituto nel panorama giuridico italiano.

Ben più pregnante apparve la proposta di legge n. 6547 presentata alla camera l’11 novembre 1999 che si prefissò l’intento di integrare la gamma degli strumenti di natura fiduciaria nel nostro quadro giuridico. Dalla proposta si ricava che il trust può essere costituito per atto unilaterale o per contratto, inter vivos o mortis causa. Si richiedeva l’adozione, a pena di nullità, della forma scritta e delle modalità richieste dalla natura dei beni conferiti in trust; era previsto un contenuto minimale che l’atto costitutivo del trust doveva presentare; veniva dettagliatamente indicata la cerchia dei soggetti che potevano assolvere al ruolo di trustee (banche, società fiduciarie, società di gestione del risparmio e le imprese di investimento mobiliare abilitate ai sensi del T.T 59/1998; si riprendeva l’effetto della segregazione patrimoniale. L’attenzione maggiore, tuttavia, fu affidata al profilo fiscale della materia dedicando una serie di articoli a imposta di registro, catastale ed ipotecaria, imposta sui redditi e così via. Tale proposta non riuscì ad esentarsi da critiche da parte di chi riteneva che, da un lato la disciplina risultasse incoerente e dall’altra non adattabile alle esigenze di soggetti più ristretti (nuclei familiari).

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soddisfacimento delle esigenze di soggetti disabili, in specie nelle vicende di diritto successorio. Tuttavia, seppur apprezzabile lo sforzo posto dal legislatore nel voler normare una fattispecie senza dubbio meritevole, questi si limitò a fornire scarne indicazioni in merito alla nomina e revoca del trustee ed alla legittimazione dell’azione di riduzione senza, ancora una volta, fornire una disciplina volta ad un’azione inclusiva dell’istituto nel panorama giuridico nazionale.

Molteplici sono le implicazioni derivanti da tale definizione. Anzitutto non è possibile prescindere da quella che è una analisi degli effetti del trust. Gli effetti principali della costituzione del trust si snodano su un duplice profilo rappresentato da un lato dalla segregazione patrimoniale del bene o del patrimonio in trust (si verifica sia una separazione tra il patrimonio del disponente ed il bene in trust sia la mancata confusione con il patrimonio del trustee) e dall’altro lato dal vincolo di destinazione al quale è soggetto il trustee (l’affidamento da parte del disponente del patrimonio in trust è vincolato al raggiungimento del programma prefissato)16.

In secondo luogo assume rilevanza l’analisi dei profili soggettivi che vengono chiamati a svolgere i propri ruoli all’interno dell’istituto.

16 “Il fondo in trust,…, è vincolato alla realizzazione del compito; il vincolo comporta che le

vicende personali ed obbligatorie del trustee non si ripercuotano sul fondo in trust: questo effetto è detto segregazione”, M. Lupoi, Istituzioni del Diritto del Trust e degli affidamenti Fiduciari.

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Il disponente.

Tra le figure che caratterizzano il trust la prima a venire in evidenza, sia in ordine temporale che in ordine di importanza, è la figura del disponente. Il disponente di un trust è il soggetto che, in forza di una sua volontà, dà inizio al trust. In generale possiamo dire che l’obiettivo principe del disponente, nel trust per soggetti deboli, è la messa a disposizione di un patrimonio al fine di soddisfare le esigenze del figlio svantaggiato nel momento in cui i genitori, ovvero le persone care, non siano più in grado di occuparsi di lui. Il disponente, attraverso l’atto istitutivo del trust, vincola determinati beni alla realizzazione di un programma da lui posto in essere. Tali beni risultano quindi destinati al trust, e nella fattispecie, al trust a favore di soggetti deboli.

Il raggiungimento di questo obiettivo è tuttavia correlato con la corretta gestione che deve svolgere il soggetto deputato a questo ruolo (trustee) ed è proprio la perfetta simmetria tra queste due esigenze che porta al raggiungimento del risultato atteso cioè la tutela di un caro svantaggiato anche dopo la vita delle persone che si occupano delle sue cure.

Il disponente, in particolare, nella stesura dell’ atto istitutivo, individua i soggetti beneficiari, gli obiettivi e gli interessi che vengono perseguiti, la durata del trust, l’eventuale guardiano ed i suoi compiti, il soggetto che amministrerà il patrimonio ed i suoi compiti. In relazione alla scelta del soggetto che amministrerà il patrimonio è bene precisare che il trust non è incompatibile, ancorché nominato un trustee, con la coesistenza di diritti gestori in capo al disponente. Afferma infatti l’art. 2 comma 2 della Convenzione che: “Il fatto che il disponente conservi

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alcuni diritti e facoltà … non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust”. Inoltre è ben possibile che il disponente

continui a gestire in prima persona il patrimonio in trust anche se è già stato redatto l’atto istitutivo. È infatti nell’atto istitutivo del trust che il disponente indicherà il termine decorso il quale il trust avrà inizio, che potrà essere durante la vita del disponente ovvero al verificarsi della sua morte. Nel caso in cui il trust sia operativo durante la vita del disponente è ben probabile che si venga a realizzare la situazione in cui pur avendo trasferito la nuda proprietà del patrimonio17 il disponente si riservi il diritto di usufrutto. Ciò comporta che questi continuerà a gestire in prima persona il patrimonio fino alla sua morte ovvero fintanto che non si verifichi quella condizione che comporti la risoluzione dell’usufrutto.

Può però accadere che l’operatività del trust sia condizionata alla morte del disponente. In tal caso l’atto istitutivo verosimilmente indicherà come momento di inizio del trust la morte del genitore e come momento di fine il decesso del figlio beneficiario.

Nella prassi è frequente che il trust a favore di soggetti deboli spieghi i suoi effetti già durante la vita del disponente per vari motivi.

• Il genitore disponente, se non ricopre anche il ruolo di trustee, ha modo di monitorare l’efficacia del trust e, in particolare, verificare che il trustee sia in grado di soddisfare le esigenze del caro beneficiario

• Il genitore disponente, dichiarandosi trustee, può rispondere alle esigenze del soggetto svantaggiato meglio

17 Che ricordiamo non deve essere necessariamente un patrimonio ingente. È sufficiente che

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di chiunque altro garantendo, almeno finché rimarrà in vita una continuità nelle cure.

In relazione a quest’ultima ipotesi di trust autodichiarato è bene precisare che, ancorché nulla cambi dal punto di vista della gestione del patrimonio posto in trust, viene a mutare il titolo del disponente. In qualità di disponente trustee questi dovrà soggiacere alla segregazione del patrimonio affidato in trust dal suo patrimonio personale.

Il genitore in procinto di redigere un atto istitutivo di trust si trova ad affidare ad un soggetto diverso la cura del figlio svantaggiato. Il trustee per contro, in quanto depositario delle indicazioni poste dal disponente, deve svolgere il proprio incarico secondo il programma contenuto nell’atto istituivo del trust. Tuttavia, data la delicatezza degli obiettivi in gioco, è inevitabile considerare che le esigenze del soggetto da tutelare siano uniche e tali che nessuno meglio del genitore sia in grado di conoscerle. Per colmare questo gap che potrebbe intercorrere tra la gestione del trustee e il programma indicato dal disponente è necessario affidare a futura memoria quegli aspetti, anche della routine di vita quotidiana, che, ancorché così piccoli e semplici, risultano indispensabili per la vita del soggetto debole. Proprio per questo entrano in gioco le così dette lettere di desiderio (letter of wishes) con le quali i genitori forniscono indicazioni preziosissime al trustee circa la cura del disabile. Di seguito un estratto di una lettera di desideri:

Raccomandazioni per Luca18

Ogni pomeriggio, prima del rientro di Luca dal centro, va verificato che la sua stanza sia conforme con l’ordine di Luca. In

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particolare i libri devono essere riposti secondo uno schema decrescente (dal più grande al più piccolo) sullo scaffale posto vicino alla finestra…

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25

Il trustee dei trust per soggetti deboli.

In questa sezione della tesi si andrà, oltre che a dare una definizione del soggetto deputato alla gestione del patrimonio, ad analizzare le problematiche sottese al ruolo del trustee relativamente ad un trust a favore di soggetti deboli. L’obiettivo del presente lavoro è di analizzare l’istituto in una chiave specifica, quella cioè del suo utilizzo a tutela dei soggetti deboli. L’analisi della prassi rappresenterà uno strumento fondamentale nella comprensione della materia.

In linea generale per trustee si intende il soggetto al quale viene affidato il compito di gestire ed amministrare il patrimonio messo a disposizione dal disponente19 secondo le disposizioni dell’atto istitutivo del trust. Volendo posizionare la figura del trustee in un contesto normativo di stampo internazionale possiamo dire che il trustee è il soggetto “investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve

rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee” (Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 così come

resa esecutiva in Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992).

La scelta del trustee

L’individuazione del trustee spetta al disponente in virtù della fiducia di cui gode. A differenza di quanto avviene con la figura del beneficiario (possono esistere trust senza beneficiari, c.d trust di scopo)

19 Occorre precisare che l’affidamento di un soggetto terzo può anche venire meno. Questa è

l’ipotesi del trust c.d “statico” che si contrappone a quello “dinamico” in quando manca il passaggio del affidamento di un bene o di un diritto da parte del disponente (disponente e trustee sono la stessa persona).

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o del disponente (caso in cui il disponente è anche il beneficiario ovvero il trustee) il trustee non può mai venire meno.

La scelta del soggetto preposto alla gestione ed

all’amministrazione del patrimonio richiede una cura particolare in relazione alle esigenze sottese all’utilizzo dell’istituto in parola. È evidente quindi che per professione, per esperienza o per vicinanza con la famiglia del soggetto debole la figura scelta sarà la più idonea al soddisfacimento delle esigenze di quest’ultimo. Ciò non toglie che la scelta del trustee risenta di ulteriori variabili quali: la tipologia di beni oggetto del fondo; i poteri in capo al gestore del patrimonio; le responsabilità; i compiti a lui affidati; la durata e così via. Si configura un profilo di discrezionalità non da poco che dovrà acuire la cura nella scelta del trustee nella misura in cui i confini della autonomia in capo al trustee vadano ad espandersi.

È proprio per questo motivo che nessuno meglio del genitore è in grado di rispondere alle esigenze del soggetto debole. In tal senso il trust si configura altresì come uno strumento volto a garantire, per il genitore, la prosecuzione, almeno sul piano materiale, delle cure necessarie al disabile assicurandone la continuità anche qualora venga meno. È ben possibile infatti che l’atto istitutivo preveda:

1. Il sostituto del genitore-trustee in caso di premorienza di quest’ultimo

2. Il momento in cui il nuovo trustee subentrerà

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Come si accennava prima non necessariamente la scelta del trustee ricade su soggetti affettivamente vicini alla famiglia. Sovente, infatti, la figura individuata a sostituire il trustee è quella della trust company.

La nomina del trustee spetta al disponente. La nomina deve risultare dall’atto istitutivo del trust così come la sua accettazione. L’organo del trustee, da punto di vista dei soggetti che lo compongono, gode di una notevole elasticità in quanto può essere formato da molteplici soggetti indifferentemente persone fisiche o persone giuridiche20. Le modalità per procedere alla nomina del trustee sono molteplici.

1. Si può scegliere di redigere un elenco di persone le quali subentrano al precedente in caso di rifiuto alla carica, di morte, di dimissioni ovvero impossibilità di vario genere nel ricoprire l’incarico. Tale modalità invero non è scevra di criticità, basti pensare, per esempio, al disponente genitore anziano il quale verosimilmente, nominando come suoi sostituti persone a lui vicine (anche e soprattutto in termini di età), infici il trust del carattere di continuità necessario per la tutela del disabile nell’ipotesi in cui in un ristretto arco temporale vengano a mancare i componenti indicati nell’elenco. Ecco quindi che in ordine a tali problematiche l’atto istitutivo deve essere in grado di prevedere una clausola di chiusura tale da ovviare a tali problematiche.

20 Si ricorda in tal senso la presenza delle trust companies. Il numero dei trustee può essere

modificato nel tempo in aumento o in diminuzione. Si precisa tuttavia che le disposizioni dell’atto istitutivo circa il numero minimo, massimo di trustees ovvero se debba essere mantenuto un numero costante nel tempo.

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2. Ulteriore alternativa può essere fornita dall’attribuzione del potere di nomina del trustee ad un soggetto terzo rispetto al disponente. Appare dunque plausibile che il guardiano (figura che verrà ripresa successivamente) ovvero il giudice procedano alla nomina del trustee.21

3. Infine l’atto istitutivo può prevedere che il trustee sia individuato da un collegio formato dai beneficiari (qualora siano più di uno). In tal caso appare necessario indicare le modalità di deliberazione nonché le maggioranze necessarie.

È evidente che l’atto istitutivo del trust debba essere quanto più in grado di fornire strumenti atti ad evitare la paralisi del trust per quanto concerne la nomina del trustee. Se così non fosse, vista l’importanza della figura del trustee, verrebbe meno quella protezione verso il soggetto debole che l’istituto del trust persegue.

I poteri del trustee

Il disponente ben potrà attribuire al trustee poteri discrezionali più o meno ampi, avendo riguardi di questo non è possibile, tuttavia, inquadrare i poteri del trustee in un novero ben preciso e questo in relazione al fatto che il trust per soggetti deboli deve essere costruito intorno alla persona svantaggiata nel cui interesse opera. Così come è vero che non vi sono esigenze identiche tra le persone è altrettanto vero che il trust deve essere modellato e plasmato in relazione alle esigenze

21 Si ritiene possibile attribuire altresì il potere di revoca in capo al guardiano purché esso

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29

di uno specifico soggetto. Ne consegue che i poteri in capo al trustee possono essere più o meno compressi dalla volontà del disponente.

Volendo, tuttavia, classificare i vari tipi di poteri possiamo distinguere due categorie:

• poteri dispositivi i quali attengono alla possibilità di intaccare l’integrità del fondo;

• poteri gestori i quali riguardano la gestione del fondo. Rientrano tra i primi: il c.d. power of advancement ossia il potere di attribuire al beneficiario il fondo ovvero una parte dello stesso prima che questi ne abbia maturato il diritto; il power of appointment ovvero il potere di incrementare o ridurre il numero di beneficiari; il power of

resettlement con il quale è possibile vincolare in un nuovo trust i beni

spettanti ad un beneficiario; il power of appropriation cioè il potere di suddividere il fondo tra i vari beneficiari individuandone i beni spettanti.

Sono esempi di poteri gestionali invece il potere di investimento, il potere di vendere i beni del fondo, il potere di concedere un bene del fondo in uso ad un beneficiario ecc…

Doveri del trustee

La parcellizzazione dei doveri del trustee che ci accingiamo ad operare trova una radice comune in quello che è il più ampio dovere di gestire ed amministrare i beni che gli sono stati trasferiti, esercitandone i connessi poteri dispositivi, nell’interesse esclusivo del beneficiario. Riguardo ai doveri ai quali deve soggiacere il trustee assume una grande rilevanza il contenuto dei principi elaborati dallo study group on a

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european civil code nella “Bozza al quadro comune di riferimento”22 al

quale ci rifacciamo.

Svolgendo una breve, seppur non completa, classificazione degli stessi possiamo individuare, tra i più significativi doveri che fanno capo al trustee, i seguenti.

• Dovere di agire secondo la diligenza richiesta nella gestione degli affari altrui. Recita infatti il DCFR X-6:102: “A trustee

is required to act with the care and skill which can be expected of a reasonably competent and careful person managing another’s affairs, having regard to whether the trustee has a right to remuneration.”. Con tal ultima

preposizione si vuole affermare, in assenza di più precisi chiarimenti da parte dello study group, che, come ormai consolidato nella giurisprudenza inglese, qualora fosse previsto un compenso per il ruolo svolto dal trustee questi debba assolvere ai suoi doveri con una cautela maggiore. Ad avviso di chi scrive, traslando tale considerazione in un contesto di tutela della persona svantaggiata, il grado di diligenza adottato nella gestione del patrimonio non dovrebbe essere commisurato al compenso percepito in quanto, vista la delicatezza degli interessi in gioco, questo dovrebbe essere il massimo possibile indipendentemente dalla remunerazione.

22 Tale lavoro si configura come un lavoro parziale volto a fornire delle indicazioni sulla

stesura di norme civili comuni ai paesi europei (Common frame of reference). Non si tratta, in altre parole, di un testo politico, bensì rappresenta una bozza da mettere a disposizione della commissione la quale sarà libera di utilizzare in sede di redazione del CFR

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• Dovere di segregazione, salvaguardia e integrità del patrimonio in trust. Come anticipato, il patrimonio in trust rappresenta cosa separata rispetto sia al quello del trustee sia ad ogni altro patrimonio a lui affidato. Così come recita il DCFR X. – 6:103 il trustee deve inoltre adoperarsi affinché sia preservata l’integrità del trust fund anche stipulando, ove possibile, tutte le necessarie polizze assicurative. E’ stato fatto notare23 che tale il dovere di mantenimento dell’integrità deve essere interpretato alla luce dei canoni ermeneutici tipici della giurisprudenza inglese, perciò tale adempimento deve essere quindi valutato in relazione al tipo di bene in considerazione: se si tratta di un investimento di capitale quindi il trustee dovrà, al fine di garantire l’integrità, cercare di sottoporlo al minor rischio possibile cercando, tuttavia, di ottenere il beneficio massimo.

• Il DCFR X. – 6:104: “Obligation to inform and report” riguarda il dovere di informare i beneficiari dell’esistenza del trust e dei diritti ad esso connessi. E’ tenuto inoltre ad informare anche i potenziali beneficiari ma in questo caso gli sforzi profusi devo essere ragionevolmente contemperati con beneficio fornito senza, quindi, andare a sobbarcare il trust con oneri eccessivi. Oltre a suddetti doveri il trustee deve, “so far as appropriate, …, to make available

information about the state and investment of the trust fund trust debts, and disposals of trust assets and their

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proceeds.” Rendendo disponibile ai beneficiari

informazioni circa gli investimenti compiuti, i debiti che gravano sul fondo in trust nonché sulle cessioni dei beni del trust si garantisce la trasparenza che si rende necessaria in un istituto dove la gestione del patrimonio nell’interesse di un soggetto diverso da chi lo amministra rappresenta un momento cruciale.

• Collaterale al dovere di informazione è il dovere di rendicontazione il quale si sostanzia nel mantenimento di una contabilità regolare che i beneficiari potranno visionare. Avendo a che fare con trust plasmati sulle esigenze di soggetti disabili, la funzione di rendicontazione assume dei connotati più ampi e ulteriori rispetto al bilancio perché deve contenere, oltre che una informativa contabile in senso stretto, una attenta disamina circa quelle che sono le attività svolte per la determinazione della dignità e della integrità fisico-morale del soggetto debole. Ecco quindi che l’attività di rendicontazione non si esaurirà in un mero dettaglio circa la gestione dei beni, bensì andrà a descrivere le attività svolte per l’assistenza del soggetto debole e per la gestione del suo tempo libero; gli acquisti di beni e servizi atti ad allietare la vita della persona e così via. Anche in questo caso, in assenza di specifica normativa, potrebbe essere d’uopo che l’atto istitutivo indichi i comportamenti opportuni da mantenere per evitare di essere lacunoso e incompleto a scapito del beneficiario.

• Dovere di investimento. Ampio spazio trova tale “obligation” all’interno del DCFR (art. X.-6:107). Il trustee

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è obbligato ad investire il patrimonio del fondo in trust, per quanto disponibile all’investimento. In particolare rientra tra i casi di investimento la vendita di beni che, non producendo reddito e non aumentando di valore con il passare del tempo, non sono in grado di generare risorse da reinvestire. Interessante risulta il carattere prudenziale che assumono i paragrafi c) i) e c ii) dell’art. X.-6:107 per il quale nell’operare gli investimenti questi devono risultare diversificati in modo da compensare con risultati certi eventuali perdite future.

• In chiusura si menzionano le c.d. obligations of good faith ovvero il dovere, in capo al trustee, di non acquisire beni appartenenti al trust ed il dovere di non ottenere arricchimenti ulteriori che non siano quelli previsti in suo favore. In merito all’acquisizione dei beni in trust risulta annullabile il contratto con cui il trustee acquista in proprio favore beni appartenenti al trust. Inoltre data la natura strettamente fiduciaria dell’istituto in parola il trustee non può utilizzare lo strumento del trust a proprio beneficio.

Sostituzione, revoca, cessazione del trustee. La successione del trustee.

La figura del trust può venire meno in caso di: • rinuncia

• revoca • morte

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34 • fine del trust

Ne deriva che la figura del trustee può venire meno a seguito di una propria manifestazione di volontà, per la manifestazione della volontà di altri soggetti, per fatti esterni alle vicende del trust (morte) ovvero per fatti che attengono il trust.

In relazione al rapporto di continuità che si innesca tra la figura del trustee ed il trust è possibile affermare che: in alcuni casi il trustee viene meno ma il trust continua; in altri casi il trustee viene meno in quanto il trust è giunto a termine.

In relazione alla prima fattispecie appare opportuno, soprattutto in caso di premorienza, innescare un meccanismo atto a sostituire la figura. In tal senso, come è già stato anticipato, l’atto istitutivo del trust rappresenta lo strumento migliore per regolare la sostituzione del soggetto deputato alla gestione del patrimonio. Nell’atto può essere indicato un elenco che, nella misura in cui venga meno il trustee, indichi i sostituti. Inoltre, come già detto, essendo l’effetto tipico del trust quello della segregazione patrimoniale tra il patrimonio personale del trustee ed il patrimonio affidatogli dal disponente, in caso di morte il patrimonio affidatogli non rientra nel suo asse ereditario rimanendo fuori dalla successione24.

Accento particolare va posto in merito alla pubblicità, da effettuare in seguito al passaggio tra il vecchio trustee ed il nuovo, nei registri immobiliari. Si ritiene che il caso sia risolvibile attraverso la preventiva

24 Ciò è altresì espressamente affermato nel combinato disposto degli artt. 2, lett. a) e 11, lee.

c) della Convenzione dell’Aja per i quali i beni in trust costituiscono massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee. Tale riconoscimento implica che i beni in trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee.

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trascrizione dell’atto di accettazione dell’ufficio alla quale seguirà la trascrizione del passaggio dei beni.

Premettendo che non esiste nessun limite temporale alla durata in carica del trustee, l’atto istitutivo può prevedere un termine decorso il quale il trustee cessi dal suo ufficio. Alla luce di ciò, onde evitare che si creino lacune sulla regolamentazione della successione dei trustee, è opportuno che l’atto istitutivo, oltre a fissare il termine di durata dell’incarico del trust, individui il sostituto che subentrerà al vecchio trustee dopo che questi avrà adempiuto all’obbligo di trasferirgli i beni. In caso di dimissioni si innesta un regime di prorogatio volto ad evitare vuoti sotto i profili amministrativo e gestionale. Il vecchio trustee dovrà dunque collaborare col nuovo soggetto rendendolo edotto dei fatti salienti inerenti alla gestione del patrimonio, mettendolo in grado di individuare e ricevere i beni necessari.

È proprio in quest’ottica che al momento in cui un trustee subentra ad un altro si crea l’obbligo di individuare i beni del trust, verificarne la consistenza, attrarli a sé nel rispetto delle formalità e delle pubblicità previste per poi – fondamentale – tenerli separati dal proprio patrimonio. È bene specificare che il subentro del nuovo trustee non esonera il trustee uscente dalle eventuali responsabilità per gli atti compiuti durante il suo ufficio.

La revoca del trustee, di norma, compete al disponente o al guardiano25. Si ritiene opportuno che l’atto istitutivo non ponga particolari condizioni sulla revocabilità, al fine di evitare contenziosi

25 In forza dell’art. 19 del Trusts of Land and Appointment of Trustees Act 1996 anche i

beneficiari possono attivare una procedura atta a rimuovere il trustee. Procedura questa che si sostanzia in un istanza di rimozione dall’ufficio a un giudice.

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circa l’effettivo verificarsi della condizione in oggetto. Anche in questo caso l’atto istitutivo può disporre un periodo di tempo entro il quale, pur essendo intervenuta la revoca, il trustee rimane in carica in modo da agevolare il passaggio delle consegne dal vecchio trustee al nuovo.

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I beneficiari

Per beneficiario del trust si intende, in linea generale, il soggetto destinatario dei vantaggi del fondo in trust. Più precisamente si può affermare che il beneficiario è il soggetto che vanta diritti o aspettative sul reddito del trust ovvero sul fondo. In relazione a ciò è possibile distinguere due tipi di beneficiari:

• beneficiari del reddito, cioè coloro ai quali è riconosciuto il

godimento di ogni fonte di utilità derivante

dall’amministrazione del trust;

• beneficiari finali, intesi come i soggetti ai quali verrà destinato il fondo in trust al termine dello stesso;

In un trust particolare come è quello sul “dopo di noi” il soggetto svantaggiato si configurerà principalmente come beneficiario del reddito del trust. Questo soprattutto alla luce del fatto che le utilità26, derivanti dalla gestione del trust, spiegheranno i loro effetti principalmente durante la loro amministrazione, garantendo al beneficiario soggetto debole la possibilità di goderne in maniera continuativa e non solo al verificarsi di determinate condizioni indicate nell’atto istitutivo. È tuttavia ben possibile che l’atto istitutivo preveda una clausola dalla quale emerga che per le esigenze del beneficiario, ove necessario, si debba rendere disponibile il fondo stesso, configurando il soggetto svantaggiato sia come beneficiario del reddito che come beneficiario del fondo.

I beneficiari del trust possono essere più di uno. Questo è quanto si desume anche dall’art. 73 del TUIR, che recita: “Nei casi in cui i

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beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali”. Dalla seguente norma si desume altresì come è ben possibile che l’atto istitutivo non individui nessun beneficiario dando vita al c.d. “trust opaco”.

Proseguendo con la disamina delle varie tipologie di beneficiario si può distinguere tra beneficiari del residuo e beneficiari residuali. Ancorché similari i due termini non devono essere confusi poiché, mentre i beneficiari del residuo sono coloro che beneficeranno di ciò che residua dal fondo in trust risultando quindi beneficiari finali, i beneficiari residuali sono coloro che riceveranno le utilità in mancanza dei beneficiari iniziali. È ben probabile che nell’atto istitutivo il disponente indichi come beneficiari del residuo i propri eredi di modo che, una volta terminato il trust, ciò che residua possa essere trasferito ai congiunti.

Infine, come verrà affrontato in seguito, da un punto di vista fiscale la figura del beneficiario assume non poco rilievo in quanto la sua individuazione o meno darà luogo a regimi fiscali differenti.

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Il guardiano

Il guardiano di un trust rappresenta una figura eventuale (salvo che la legge regolatrice del trust ne renda necessaria la previsione) in un trust “normale” ma assume una rilevanza fondamentale nell’ambito del trust a tutela di persone svantaggiate. Il suo compito è quello di garantire il corretto svolgimento dell’operato del trustee sia quando è individuato un beneficiario sia quando si ha a che fare con un trust di scopo. È intuibile che, in relazione alla delicatezza del compito che è tenuto a svolgere il trustee, una delle esigenze primarie del disponente genitore sia quella di assicurarsi che l’operato del trustee sia svolto al meglio ed infatti, proprio per questo motivo, sovente, la carica di guardiano è ricoperta dal genitore.

In qualità di custode dell’interesse del beneficiario il guardiano gode di determinati poteri. Poteri questi che, in relazione alla funzione regolamentatrice dell’atto istitutivo del trust, possono contrarsi ovvero dilatarsi fino a comprendere addirittura la revoca del trustee dalla sua carica.

Circa i poteri del guardiano è possibile che questi riguardino: • possibilità di fornire autorizzazioni in merito al compimento

di determinati atti (basti pensare alla compravendita di un immobile);

• fornire indicazioni al trustee per il compimento di alcuni atti;

• agire in giudizio in caso di inadempimento; • nominare un nuovo trustee;

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• modificare la legge regolatrice del trust;

• esercitare direttamente poteri dispositivi e gestionali.

L’esercizio dei poteri dispositivi e gestionali del guardiano incontrano tuttavia un limite che è rappresentato dal fatto che costui non si deve sostituire al trustee. L’essenza stessa del trust a favore di soggetti deboli è rappresentata dalla tutela a favore del disabile, sia durante la vita del disponente genitore che dopo il suo trapasso. Tale tutela si sostanzia in molteplici aspetti tra i quali la continuità nella gestione dei propri interessi, continuità che non può essere minacciata da immistioni spregiudicate operate dal guardiano in luogo del trustee, il rischio concreto è quello di una paralisi nella gestione a scapito del soggetto debole.

Tali poteri devono essere commisurati con altrettante responsabilità che il guardiano, così come il trustee, hanno nei confronti del fondo in trust e dei beneficiari. Appare opportuno in tal senso individuare puntualmente tali responsabilità, anche alla luce della legge regolatrice del trust adottata. In generale la dottrina ritiene che, per non incorrere in nessuna responsabilità, il guardiano debba:

• entrare in possesso di ogni elemento necessario al fine di agire in maniera informata;

• agire in buona fede ed in assenza di qualsiasi conflitto di interesse;

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2.2. Il vincolo di destinazione ex art 2645-ter

Il vincolo di destinazione di cui all’art 2645-ter rappresenta uno degli strumenti deputati dalla legge 122/2016 alla realizzazione di finalità quali la cura, la protezione e l’assistenza delle persone con disabilità grave. Tale strumento è il risultato di un complesso iter parlamentare che, dopo numerosi rimaneggiamenti27 della norma, culmina con l’entrata in vigore nel nostro ordinamento della Legge 23 febbraio 2006, n. 51. L’art. stabilisce che gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione. Specifica inoltre che per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo.

Con L’atto di destinazione, un soggetto può sottrarre uno o più beni immobili o beni mobili iscritti nei pubblici registri appartenenti al

27 La formulazione della norma fu molto criticata. In particolare G.PETRELLI in, La

trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. Dir. Civ. 2006, II, p.162 definisce la stesura dell’art. un chiaro esempio del “progressivo decadimento della tecnica legislativa”.

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suo patrimonio dalla garanzia patrimoniale di cui all’art- 2740 c.c., imprimendo su essi un vincolo di destinazione, derivante dalla trascrizione degli atti con cui tali beni vengono iscritti nei pubblici registri, funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela facenti capo a beneficiari determinati (persone con disabilità, pubbliche amministrazioni o persone fisiche o altri enti), a favore del quale tali beni e i loro frutti devono essere impiegati.

Il vincolo non può avere durata superiore a novanta anni ovvero alla vita della persona fisica beneficiaria. L’opponibilità ai terzi si realizza tramite la trascrizione degli atti.

La conseguenza dell’apposizione del vincolo si snoda su un duplice binario sancito dal secondo comma dell’articolo. Mentre da un lato i beni conferiti possono essere impiegati esclusivamente per la realizzazione del fine di destinazione dall’altra parte questi possono costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti per tale scopo.

Da un punto sistematico, la collocazione della norma risulta insolita andando ad introdurre profili sostanziali (durata, meritevolezza dell’interesse, forma, oggetto) all’interno di norme sulla pubblicità28.

L’art. 2645-ter è una norma incompleta che si muove quasi esclusivamente nell’ottica dei conflitti con i creditori del conferente e dell’affidatario e può essere riempita dall’autonomia privata per perseguire interessi meritevoli di tutela. E’ proprio l’autonomia privata ad acuire la “atipicità” della norma, imprimendo al vincolo una destinazione non predeterminata dal legislatore bensì rimessa alla

28 L’art 2645-ter è contenuto nel Libro VI (della tutela dei diritti) Titolo I (Della trascrizione)

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volontà delle parti, sempreché questa superi il vaglio di meritevolezza degli interessi perseguiti.29

Le critiche maggiormente mosse alla stesura della norma in parola muovono sostanzialmente dalla considerazione che nell’introdurre una norma di carattere sostanziale, tra le altre cose contenuta in un Capo dedicato alla pubblicità, il legislatore abbia omesso di disciplinare qualsiasi vicenda del vincolo e del rapporto che esiste tra le obbligazioni e l’operato dell’affidatario. Il conferente che, passivamente, imprimesse il patrimonio di un tale vincolo si troverebbe quindi di fronte ad una serie di problematiche di complessa interpretazione mancando una disciplina chiara relativa per esempio al mancato soddisfacimento del fine imposto.

29 B. FRANCESCHINI in Atti di destinazione (art 2645-ter) e trust, in Trust - Vol. II -

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La meritevolezza dell’interesse perseguito

Punto centrale dell’atto di destinazione è rappresentato dalla meritevolezza dell’interesse perseguito. Recita infatti il primo comma dell’art. 2645-ter che i beni immobili ovvero i beni mobili registrati sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art 1322, secondo comma. In questa sede ci occuperemo prevalentemente di analizzare la diatriba dottrinaria che orbita intorno al concetto di meritevolezza.

Nel definire la questione della meritevolezza si contrappongono sostanzialmente due tesi. Secondo la prima tesi, invero minoritaria, la meritevolezza dell’interesse si giustifica nel perseguimento di un fine di utilità sociale che si va a collocare ad un livello superiore rispetto alle parti, atteso che la locuzione persone disabili ed il riferimento alle

Pubbliche Amministrazioni contenute nella norma altro non siano che

una chiara volontà del legislatore di far assumere una connotazione pubblicistica agli interessi in gioco.30 Sempre secondo tale orientamento il carattere superiore degli interessi perseguiti fungerebbe da filtro circa l’utilizzo fraudolento dell’istituto. Gli interessi che si intende realizzare devono quindi soggiacere ad una meritevolezza di carattere etico-solidaristico affinché l’istituto possa spiegare i propri effetti. Tale tesi, invero, appare anacronistica in relazione al contesto sociale in cui va ad operare ma soprattutto in quanto non vi è ragione nel sottoporre atti di autonomia privata ad un vaglio di meritevolezza

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ulteriore rispetto a quello della liceità degli interessi che i privati hanno scelto di perseguire.31

È proprio la tesi che subordina la meritevolezza alla liceità dell’atto che accoglie il maggior numero di sostenitori. Secondo questo orientamento l’interesse è meritevole ogniqualvolta è lecito, ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Non occorre quindi che l’atto incorpori nessuna particolare utilità sociale per poterne ritenere l’interesse meritevole.

A ben vedere si potrebbe raffinare ulteriormente l’orientamento che vede necessaria una valutazione comparativa degli interessi che si vengono a contrapporre. Da una parte vi è l’atto di destinazione, dall’altra vi è l’interesse sacrificato dei creditori generali. In questa ottica la sola liceità non appare sufficiente a dirimere la questione della meritevolezza nella misura in cui un interesse in gioco scavalchi l’altro32.

31 Sottoporre l’interesse a tale vaglio di meritevolezza vorrebbe dire andare ad investire il

notaio o il giudice di un potere che non gli compete con la conseguenza di introdurre elementi di insicurezza in un sistema, quello della circolazione patrimoniale, che deve essere caratterizzato da elementi di speditezza, ordine e certezza.

32 NUZZO, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto di

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La forma dell’atto di destinazione

L’art 2645-ter apre stabilendo che gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili registrati iscritti in pubblici registri sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione. Ne deriva che la norma richiede la redazione in forma pubblica dell’atto di destinazione, escludendo le ulteriori forme previste dall’art. 2657 c.c.33

Nel nostro ordinamento la forma dell’atto pubblico è prescritta ad

substantiam per la rilevanza degli effetti del negozio nei confronti

dell’autore o dei terzi (donazioni, patti di famiglia, riconoscimento del figlio naturale ecc.) ovvero per il riconoscimento della personalità giuridica in capo ad un soggetto (società di capitali, fondazioni). Nel caso dell’atto di destinazione la prescrizione della forma pubblica non si radica su un giudizio di validità dell’atto bensì appare funzionale all’opponibilità del vincolo ai terzi. Trattandosi di una forma richiesta

ad transcriptionem, il vincolo può essere opposto ai terzi se l’atto è

redatto e trascritto nella forma solenne di atto pubblico. Ne deriva che la mancanza della forma pubblica non inficerà sulla validità dell’atto, restando questo comunque idoneo a produrre effetti obbligatori, ma causerà l’inopponibilità del vincolo ai terzi creditori.

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