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Il Florilegium Thuaneum: genesi e stratificazioni di un'antologia poetica proto-carolingia

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

Filologia e Storia dell’Antichità

TESI DI LAUREA

Il Florilegium Thuaneum: genesi e stratificazioni

di un’antologia poetica proto-carolingia

CANDIDATO

RELATORE

Adriano Russo

Prof. Ernesto Stagni

CONTRORELATORE

Prof.ssa Claudia Villa

(2)

1

PARTE I: TRADIZIONE MANOSCRITTA

1. Testimoni del florilegio

Con l’espressione Florilegium Thuaneum (d’ora in avanti FT) si suole designare un’antologia di poesia latina classica e tardo-antica, trasmessa da sei testimoni manoscritti.

codices antiquiores:

A = Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 277, ff. 55-73 (sive Vindobonensis) B = Paris, Bibliothèque Nationale de France, Lat. 8071, ff. 2-61 (sive Thuaneus) codices recentiores:

C = Milano, Biblioteca Ambrosiana, S 81 sup. ff. 222-223. Autografo di Lazzaro Bonamico D = Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 277, ff. 74-83. Autografo di Pietro Summonte E = Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 3261, ff.43-72. Autografo di Jacopo Sannazaro F = Wien, Österreichische Nationalbibliothek, *9401, ff.28-43. Autografo di Jacopo Sannazaro Di questi sei codici, che distinguo per comodità in codices antiquiores e codices recentiores, nessuno conserva l’antologia nella sua interezza. Il testimone più ampio è B, che trasmette la parte maggiore del florilegio, ma che risulta comunque incompleto a causa di una mutilazione nella parte finale. Sarà comunque bene partire proprio da B per illustrare il contenuto dell’antologia.

1.1 Descrizione e contenuto di B

Paris, Bibliothèque Nationale de France, Lat. 80711: codice membranaceo composto di 61 fogli (mm.

290 × 202). Il testo è disposto su 2 colonne di 37 righi ciascuna (74 righi a pagina, 148 righi a foglio). Fascicolatura: 1 foglio sfascicolato (f.1, proveniente da altro manoscritto); 7 quaternioni, il primo dei quali manca del primo foglio (ff. 2-56); 1 ternione di cui è caduto l'ultimo foglio (ff. 57-61). Minuscola carolina ben formata, di un’unica mano, datata al ¾ del IX secolo. Ignoto il luogo di produzione, probabilmente un centro della Francia centro-settentrionale (sono stati proposti Fleury2,

Tours3, o anche qualche altro centro della Francia centro-settentrionale4; ma si notino anche alcuni

1 Descrizione completa, seppur datata, in RIESE 1894, pp.XXXV-XXXVII. Più aggiornato e più funzionale il prospetto

fornito da VECCE 1988, pp. 93-95, che riproduco qui con qualche precisazione ricavata dalla consultazione diretta del manoscritto. Recentemente B è stato descritto anche da PETOLETTI 2014, pp. 151-153.

2 Fleury fu suggerito per la prima volta, sulla base di argomenti paleografici, da KNOCHE 1940, pp. 20, 262-263; proposta

ribadita in KNOCHE 1950, pp. XXV-XXVI. L’ipotesi è stata avvalorata (con nuovi argomenti) da MOSTERT 1989, p.223. Fleury è indicato, dubitativamente, come luogo di origine anche in MOSTERT 1996, p.37; l’ipotesi è considerata probabile da FIESOLI 2004, p.28 e riferita anche nella scheda curata dallo stesso studioso in DE ROBERTIS-RESTA 2004, p.128. Sulla possibilità che il codice sia censito in un catalogo floriacense del 1552, cfr. KISS 2015a, pp. 353-354. L’origine floriacense è considerata possibile ma non del tutto certa da TARRANT 1976, p.53 (sulla base di un giudizio di R.H. Rouse); R.J. Tarrant in T&T, p.378; VECCE 1988, p.94; BREITENBACH 2010, p.25 e n.3. Niente di nuovo su questa spinosa questione ha aggiunto ZURLI 2010.

3 ULLMAN 1960, p.1028, pensò ad una provenienza (piuttosto che ad un’origine) turonense, seguito in ciò da GAISSER

1992, p.202. Meno prudentemente, BUTRICA 2007, p.26, considera Tours luogo di produzione del manoscritto.

4 Così ad esempio RAND 1934, p.88 e R.J. Tarrant, in T&T, p.10. Resta nel vago anche MUNK-OLSEN 1995, pp. 37 e

243-244, che dà come luogo d’origine del codice un generalissimo “France”. Ben più ambizioso fu B. Bischoff, che in una lettera a Claudia Villa del 20 gennaio 1977 delimitò l’area di produzione del manoscritto in termini che molto avrebbero dato da pensare ai filologi successivi: “etwas zwischen Paris und Auxerre (d.h. mit diesen beiden als Endpunkten, und ich würde eher nach Auxerre tendieren”. (Quella che doveva essere una lettera privata tra colleghi è stata resa di dominio pubblico da VECCE 1988, p.95, diventando paradossalmente uno dei testi più citati del paleografo

(3)

2

tratti di scrittura tipicamente visigotici / lionesi, come la u angolare soprascritta5). Utilizzato per la prima volta a fini ecdotici da Sébastien Gryphe (Gryphius) nelle sue edizioni lionesi di Marziale (1539-1553)6, il codice fu poi tra le mani di Pierre Daniel e di Pierre Pithou7, per approdare infine alla biblioteca di Jacques-Auguste de Thou, dal quale prese il popolare nome di codex Thuaneus.

Fogli di B Contenuto

1rv Estratti dall'Expositio Evangelii secundum Lucam di S. Ambrogio: IX.28, X.59, X.628

2ra-9vb Giovenale, Saturae: III.317-322, IV, V, XIII, XIV, XV, XVI9

9vb Versus Sibyllae10

9vb Persio, Saturae, III.66-72 9vb-10ra Eugenio di Toledo, Carmina, 39 10ra Anthologia Latina, 392-393

10ra Ausonio, Epigrammata, 97-96

10ra-23ra Giovenale, Saturae, X, XI, XII, VIII, IX.1-39, VII, VI

23ra-24ra Eugenio di Toledo, Carmina, 16, 18, 19, Praef., 1, 2, 3, 4, 6, 7, 38, 37, 28, 42, 70.1-7

24ra-51rb Marziale, Excerpta11

De spectaculis 1-9, 11-24, 26-28;

Epigrammaton Liber Primus: I.3-4, I.8, I.10-14, I.22-24, I.29, I.31 (vv. 1-2), I.34 (vv. 1-5, 8-10), I.37, I.39,

I.42-43, I.48, I.50-51, I.53 (vv. 1-3, 6-12), I.59, I.62, I.64, I.67, I.68.1-16, I.73-75, I.77, I.80-81, I.83, I.86-88, I.90, I.92, I.95, I.97, I.99-100, I.107, I.110, I.115-116, I.118

Epigrammaton Liber Secundus: II.1-2, II.5, II.9-10, II.11 (vv. 1, 4-6, 10), II.12, II.16, II.18 (vv. 1-4, 7-8),

II.19 (vv.3-4), II.21-22, II.24, II.26, II.30, II.32, II.33 (vv. 1-3), II.35, II.37 (vv. 1-2, 4-5, 10-11), II.38, II.40, II.41 (vv. 6-7, 9-23), II.46 (vv. 1-4, 7-10), II.47 (vv.1-2), II.49, II.53, II.56, II.58, II.62, II.64, II.66, II.69,

tedesco). La medesima localizzazione del codice è riportata in BISCHOFF 1998-2014, vol. III, p.138. Recentemente STAGNI 2007, p.221, ha giustamente osservato che tra Parigi e Auxerre, ma più vicina alla seconda che alla prima, si trova Sens, che fu centro culturale di primo piano della rinascenza carolingia e sede di una fiorente scuola scrittoria. Torna invece ad un giudizio generale e volutamente vago PETOLETTI 2014, p.152, che attribuisce il codice alla “Borgogna del Nord”.

5 Cfr. TURCAN-VERKERK 2002, pp. 306-307 n. 128; PETOLETTI 2014, p.152 n.23.

6 Cfr. SCHNEIDEWIN 1842, pp. XXXVIII e LXXXIII, la cui ipotesi è accolta da RIESE 1894, p. XXXVII, a sua volta

citato da AGNESINI 2007, p.137 n.184 e BREITENBACH 2010, p.25. L’ipotesi è ora confermata da REEVE 2016, pp. 201-202.

7 Cfr. KISS 2015a, pp. 350-351, con ulteriore bibliografia ivi segnalata. Per il sicuro utilizzo di B da parte di Pierre Pithou

cfr. VECCE 1988, p.93 n.1 e p.94 e RICHARDSON 1976, p.286. Più in generale, sull’utilizzo di B da parte degli umanisti, si veda la scheda di G. Fiesoli in DE ROBERTIS – RESTA 2004, p.128, BUSCH 2009, p.38, e BREITENBACH 2010, p.25

8 Il f.1 non faceva parte del manoscritto originario; è stato aggiunto in un secondo momento come foglio di guardia. È

scritto in una minuscola carolina del IX secolo diversa da quella impiegata per i fogli successivi. Sul margine inferiore di f.1r una mano del X o XI secolo ha aggiunto il titolo Iuvenalis et Ortographia Bedae Praesbyteri. Il titolo Iuvenalis si riferisce verosimilmente all’intero florilegio poetico conservato ai ff. 2-61, e che terminava nei fogli successivi al f. 61, andati perduti. Ad esso seguiva probabilmente, sempre nei fascicoli perduti, il De Ortographia di Beda.

9 Si noti che, sebbene il quaternione (ff. 2-8) sia privo del primo foglio (e consti dunque di soli 7 fogli), il testo non è

mutilo all’inizio. Il primo verso di f. 2ra (Iuv. Sat. III.317) è infatti preceduto dal titolo (in capitale) Decimi Iuli Iuvenaliis

Satyrarum Liber Primus, che chiaramente non costituisce un’aggiunta posteriore, in quanto è scritto dalla stessa mano

che verga l’intero codice (usando la medesima scrittura capitale anche per altri titoli), e disposto sui primi due righi della colonna di sinistra, perfettamente all’interno dello specchio di scrittura. Se ne dovrà dedurre che la caduta del primo foglio era già avvenuta allorché il copista si mise e trascrivere Iuv. Sat. III.317 e ss. Cfr. KISS 2015a, p.346.

10 ICL 8495: Iudicii signum tellus sudore madescet. Sulla tradizione manoscritta di questo carme si veda il § 10. La prima

parte di B: aggregazioni lionesi al Florilegium Thuaneum.

11 Qui e nel seguito di questo lavoro gli epigrammi di Marziale sono indicati secondo la numerazione dell’edizione

(4)

3 II.71-72, II.75-77, II.82, II.85, II.88-90

Epigrammaton Liber Tertius: III.1, III.3-4, III.12 (vv.3-5), III.13, III.18-19, III.24, III.30-31, III.34, III.36,

III.38 (vv. 1-12), III.39, III.41-42, III.44-46, III.49, III.51, III.55-57, III.59-60, III.62, III.64-65, III.68-69, III.71-72, III.75-76, III.78. III.80, III.85-87, III.91-92, III.93 (vv. 1-12, 16-19, 21-22), III.95 (vv.1-4, 7-12), III.99

Epigrammaton Liber Quartus: IV.4 (vv.1-4, 11-12), IV.5, IV.15-16, IV.18, IV.19 (vv. 1-4, 9-12), IV.20, IV.22,

IV.24-26, IV.31-35, IV.37 (vv. 1-2, 6-10), IV.42-43 (vv.1-3, 7-11), IV.44-45, IV.48-49, IV.51, IV.53, IV.56-59, IV.61 (vv. 1-4, 7-8, 13-16), IV. 63, IV.66 (vv. 1-2, 5-12, 15-18), IV.68-69, IV.72, IV.71, IV.73-77, IV.78 (vv.1-6, 9-10), IV.80, IV.83, IV.85, IV.87, IV.88 (vv.1-2, 7-10)

Epigrammaton Liber Quintus: AL 26, V.1, V.7, V.9-10, V.11, V.13, V.15-17, V.19, V.21, V.26-28, V.31,

V.33-34, V.37 (vv.1-7, 9-14), V.45-47, V.49-52, V.53, V.57, V.66-67, V.68, V.74, V.76, V.79, V.81-83

Epigrammaton Liber Sextus: VI.2, VI.5-8, VI.10-11, VI.15-16, VI.18-20, VI.21 (vv. 1-4), VI.23, VI.25,

VI.31, VI.32 (vv. 1-4), VI.34-36, VI.40, VI.43-44, VI.45 (vv.3-4), VI.46-48, VI.50-51, VI.52-53, VI.56-57, VI.60-61, VI.63-65, VI.67-68, VI.75-76, VI.77 (vv. 1-6), VI.80-81, VI.84-86, VI.88-89, VI.93

Epigrammaton Liber Septimus: VII.6 (vv.3-10), VII.12 (vv. 1-4, 9-12),VII.18-19, VII.24-25, VII.30, VII.31

(vv. 1-3, 5-8), VII.33, VII.35 (vv. 1-6), VII.36-37, VII.40, VII.42, VII.52 (vv. 1-2, 5-6), VII.54, VII.59, VII.61 (vv. 1-4, 9-10), VII. 64-65, VII.82 (vv. 5-6), VII.73, VII.83, VII.90, VII.92-94, VII.95 (vv. 1-4, 7-9, 17-18), VII.90

Epigrammaton Liber Octavus: VIII.3, VIII.6 (vv. 3-4, 7-8, 11-12), VIII.7, VIII.11-12, VIII.17, VIII.18 (vv.

1-6, 9-10), VIII.21 (vv. 1-4, 9-12), VIII.31-32, VIII.33 (vv. 1-10, 13-18, 21-26)VIII.35, VIII.41, VIII.43, VIII.51, VIII.52 (vv. 6-10), VIII.53 (vv. 1-12), VIII.54-55, VIII.59, VIII.64 (vv. 1-6, 8-9, 12-18), VIII.69, VIII.71

Epigrammaton Liber Nonus: IX.7, IX.9, IX.17, IX,20 (vv.1-6), IX.21, IX.25, IX.26 (vv. 1-4, 7-10), IX.29

(vv.1-4, 11-12), IX.30-33, IX.35 (vv. 1-8, 11-12), IX.37 (vv. 1-6, 9-10), IX.40 (vv. 1-4, 6-7, 9-10), IX.41 (vv. 3-10), IX.47-48, IX.50, IX.53-55, IX.57 (vv. 1, 5-6, 9-13), IX.60, IX.66, IX.67 (vv. 1-6), IX.68, IX.70-71, IX.74, IX.79 (vv. 1-6), IX.81-82, IX.85, IX.92, IX.94-95b, IX.103 (vv. 1-4)

Epigrammaton Liber Decimus: X.2 (vv. 9-12), X.5 (vv. 5), X.6, X.8, X.11, X.13 (vv. 7-10), X.14 (vv.

1-2, 7-10), X.15-17, X.19, X.23, X.25-27, X.31, X.36 (vv. 7-8), X.39, X.41-43, X.45, X.47 (vv. 1-1-2, 5-13), X.48 (vv. -14, 17-24), X.53-54, X.57, X.62 (vv.10-11), X.68 (vv. 1-8, 11-12), X.75, X.80-82, X.85-86, X.87 (vv. 4, 17-18), X.90-91, X.97, X.100 (vv. 3-6), X.101-102

Epigrammaton Liber Undecimus: XI.8 (vv. 1-12), XI.14, XI.16 (vv. 1-2, 5-10), XI.17, XI.18 (vv. 1-18,

21-27), XI.19, XI.21-23, XI.26 (vv. 1-4), XI,27 (vv. 1-2, 5-14), XI.28-29, XI.32, XI.34, XI.37, XI.39, XI.42, XI.43 (vv. 1-2, 9-1), XI.44, XI.46 (vv. 1-4), XI.49 (vv. 1-6, 11-12), XI. 55, XI.54, XI.56 (vv. 1-6, 13-16), XI.58 (vv. 1-10), XI.64-68, XI.69 (vv. 1-4, 7-12), XI.71, XI.76, XI.78, XI.81, XI.83-84, XI.86, XI.93-94, XI.99-103, XI.104 (vv. 1-16, 21-22), XI.105

Epigrammaton Liber Duodecimus: XII.2 (vv. 17-18), XII.7, XII.12, XII.14, XII.17, XII.19, XII.21 (vv.

1-4), XII.22, XII.25, XII.31 (vv. 1-8), XII.34 (vv. 8-11), XII.35, XII.39-41, XII.46, XII.48 (vv. 1-6, 9-10, 13-18), XII.50, XII.53 (vv. 1-5, 7-10), XII.56, XII.57 (vv. 1-7, 9-10, 15, 28), XII.58, XII.61, XII.64, XII.68, XII.72 (vv. 5-6), XII.76, XII.77 (vv. 1-3, 7-8, 11-12), XII.80, XII.89-90, XII.92, XII.94, XII.95 (vv.3-7)

Xenia: 1-9, 11, 13, 15-24, 27-29, 31-34, 36-48, 50-56, 60-61, 63, 68, 71-72, 74-115, 117-127 Apophoreta: 1-39, 41-82, 107, 109-223

51rb-51vb Catullo, Carmen 62

51vb-57rb Anthologia Latina12, 96, 98, 101, 111-113, 116-118, 200 (= Pervigilium Veneris), 127, 129-136, 145, 152,

156,160, 180-184, 192, 196-197, 199, 203, 205-206, 209, 214, 216-224, 232, 234-237, 245-252, 103, 142, 153, 273, 256-257, 259-261, 263, 265-266, 268-269; 296, 303, 310, 318, 389, 30

57rb Ennodio, Carmina, 26-28 57rb-57va Aenigmata Bernensia, 3, 613

57va-58rb Seneca, Tragoediarum excerpta

12 Qui e nel seguito di questo lavoro i carmi dell’Anthologia Latina sono indicati secondo la numerazione dell’edizione

RIESE 1894.

(5)

4

Troades, 64-170 Medea, 582-597

Oedipus, 407-408, 435-437, 451-454, 472-478, 516-521, 110-137

58rb Lucano, Bellum Civile, IX.696 58rb-58va Anthologia Latina, 390 58va-59rb Ovidio, Halieuticon 59rb Anthologia Latina, 391

59rb-60rb Grattio, Cynegeticon, 1-159

60rb-61vb Cento Epigraphicus, antologia di poesia epigrafica14

1.2 Descrizione e contenuto di A

Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 277 è un manoscritto composito, formato da più unità codicologiche scritte in secoli diversi ed assemblate nel XVI secolo, da Jacopo Sannazaro o dall’umanista ungherese Giovanni Sambuco (János Számboki, latinizzato Johannes Sambucus), che acquistò, tra il 1562 ed il 1563, molti manoscritti appartenuti al Sannazaro, trasferendoli poi a Vienna. Il manoscritto si presenta oggi nella seguente forma:

u.c. 1 ff. 1-40 Scholia in Iuvenalem (non completi). 5 quaternioni del X secolo

u.c. 2 ff. 41-54 Alberto Magno, Philosphia pauperum. 1 fascicolo di 7 bifolia del XV secolo

u.c. 3 ff. 55-73 Florilegium Thuaneum, 2 quaternioni + 3 fogli sfascicolati, VIII secolo ex. u.c. 4 ff. 74-83 Ovidio, Halieuticon; Grattio, Cynegeticon, 1 binione + 2 ternioni, XVI sec. u.c. 5 ff. 84-93 Rutilio Namaziano, De reditu suo, 1 quinione, XVI sec.

Con la sigla A si indicherà unicamente la terza unità codicologica (ff. 55-73), di cui fornisco di seguito descrizione e contenuto15.

A: codice membranaceo, di 19 fogli (mm. 183 × 105). Fascicolatura: 2 quaternioni (ff. 55-70) + 3 fogli sfascicolati (ff. 71-73). Al f. 62v si legge il numero di serie XVII, grazie al quale sappiamo per certo che i due quaternioni superstiti erano i fascicoli XVII e XVIII del codice originario16; ff. 55-70:

22 righi a pagina; ff. 71-73: 20 righi a pagina. Minuscola precarolina con decisi fenomeni di corsività, datata fine VIII / inizio IX secolo. Come luogo d’origine è stata indicata genericamente l’Austrasia, senza possibilità di localizzare più precisamente la scrittura del codice17 . Il contenuto può essere

14 Pubblicata da DE ROSSI 1888, pp. 242-249

15 CLA X. 1474, p. 11. Descrizione dettagliata, ma aggiornabile, in SCHENKL 1898, pp. 414-423. Due descrizioni più

recenti, e corredate di bibliografia, in VECCE 1988, pp. 95-96, e PETOLETTI 2014, pp. 150-151.

16 Al f.70v doveva essere il numero di fascicolo XVIII, secondo la naturale successione. Ma il deterioramento della

pergamena nel margine inferiore della pagina lo ha reso quasi illeggibile.

17 CLA, X n.1474, p.11 “France is possible. West Germany is possible”. Concordano VECCE 1988, p.99 e PETOLETTI

2014, p.151. ULLMAN 1960, p 1028 ha suggerito che il codice possa provenire da (ma non necessariamente essere stato scritto a) Tours, seguito in ciò da GAISSER 1992, p.202 n.32, e THOMSON 1997, p.24. Diversamente, R.J. Tarrant, in

T&T, p.10 ha proposto (non si capisce su quali basi) di collocare il codice a Lione; e la suggestione è ancora giudicata

valida da ZURLI 2010, p. 232; ma l’ipotesi di un’origine lionese pare inconsistente a TURCAN-VERKERK 2002, p.304 n.122, e a PETOLETTI 2014, p.151. L’ipotesi di un antenato in minuscola insulare (o comunque con influenze insulari), avanzata da RICHMOND 1962, pp. 4-5, è stata (a mio avviso giustamente) contestata da CAPPONI 1972, p.64; essa è

(6)

5 schematizzato come segue:

Fogli di A contenuto

f.55r AL 390, vv. 21-32 (iniziava nei quaternioni perduti)18

ff. 55r-58r Ovidio, Halieuticon f. 58r AL 391

f. 58v-70v Grattio, Cynegeticon, 1-541 (non completo)

ff.71r-73v

nota: l'ordine corretto dei fogli è: 73, 71, 72. Il f 73 è stato erroneamente trasposto dopo il 72 in fase di rilegatura e prima che venisse apposta la numerazione moderna (XVI sec.). Riporto il contenuto di questi fogli secondo quello che doveva essere l'ordine corretto ed originario (73, 72, 71) 19 :

Marziale, De Spectaculis, 18.5-6 (iniziava nei fogli precedenti, andati perduti), 19-30; Epigrammaton Liber I.3, I.4.1-2 (continuava nei fogli successivi, andati perduti)

Descrizione e contenuto di D, E, F

D20: codice cartaceo composto di 10 lunghi fogli (mm. 289 × 105) ripiegati lungo l’asse verticale. Fascicolatura: un binione (ff. 74-77) + un ternione (ff. 78-83). Testo disposto su un’unica colonna, con 36-37 righi a pagina. Il codice è autografo di Pietro Summonte21, ma fu sicuramente scritto in collaborazione con Sannazaro, perché l’antigrafo è A, scoperto da quest’ultimo in Francia e presto entrato nella sua biblioteca personale, dove rimase fino alla morte dell’umanista (1530)22; del resto,

che D sia stato realizzato ad uso di Sannazaro (e probabilmente sotto la sua supervisione) è indicato anche dal fatto che esso è stato rilegato, insieme ad A, in una miscellanea che fu certamente messa insieme dall’umanista, nella quale compare anche la sua copia autografa del De reditu di Rutilio Namaziano (ff.84r-93v del codice viennese). D fu copiato a Napoli dopo il 150523.

Fogli di D Contenuto

74r-75v Ovidio, Halieuticon

76r-83v Grattio, Cynegeticon

giudicata valida da VECCE 1988, pp. 97 e 99; ed è stata ribadita di recente da COLEMAN 2006, p. XXI n.7 e p.226, in base alla grafia possita (per posita) in Mart. Spect. 29.5, giudicata “a misspelling characteristic of Irish manuscripts” (p.226); in realtà il fenomeno, seppur assai diffuso in codici insulari, non è affatto esclusivo di quell’ambito geografico-culturale, come ha molto opportunamente precisato BREATNACH 1988, pp. 59 e 70.

18 Edizione, traduzione e commento in GIOVINI 2004. Un’ulteriore traduzione con commento, ma senza alcun cenno alla

tradizione manoscritta, è quella di SANTELIA 2005. Uno studio della figura dell’adynaton nel poema di Eucheria è in MARCOVICH – GEORGIADOU 1988.

19 L’ordine corretto dei fogli è stato facilmente ristabilito già nell'edizione HAUPT 1838, pp. VII-VII. 20 Rinvio alla descrizione di VECCE 1988, pp. 96 e 109-110.

21 SCHENKL 1898, p.390 attribuì il codice a Sannazaro. La mano del Summonte è stata individuata da FERRARI 1973,

p.18 n.1, la cui opinione è stata pienamente confermata da VECCE 1988, p.110, n.47, attraverso il confronto con il codice Vienna, ÖNB lat. 3413, ff. 305-438, sicuramente autografo del Summonte. La questione è riassunta in REEVE 2016, p.195.

22 A parere di VECCE 1988, p.110, Summonte potrebbe aver scritto D sotto dettatura di Sannazaro.

23 Che il codice sia stato vergato a Napoli è suggerito dalla filigrana della carta e confermato dal fatto che esso è scritto

da Summonte. Il terminus post quem è fornito dal rientro di Sannazaro a Napoli. Il codice (D) è infatti descriptus di A, che fu scoperto da Sannazaro in Francia (probabilmente nell’inverno 1502-1503) e portato in Italia al suo ritorno (primi mesi del 1505).

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E24: codice cartaceo composto di 77 fogli (mm. 212 × 112). Fascicolatura: 2 fogli sfascicolati (ff. 1-2) + 5 quaternioni (ff. 3-41-2) + 1 binione (ff. 43-46) + 1 quaternione (ff. 47-56) + 1 quinione (ff. 57-66) + 1 quaternione (ff. 67-74) + 3 fogli sfascicolati (ff. 75-77). Testo disposto su un’unica colonna, con 19 righi per pagina. Fogli lasciati bianchi: 2v, 27v-42v, 47 r-v, 57r, 73r-74v. Autografo di Jacopo Sannazaro, e descriptus di A. Copiato a Napoli dopo il 150525.

Fogli di E Contenuto

2r Giovanni Pontano, Epistola ad Actium Sincerum (Napoli, 13.02.1502)26

3r-20v Ausonio, Excerpta

20v-22r quo ordine Ausonii carmina disposita sint in codice vetusto lugdunensi, qui ab Actio Sincero inventus est in Araris insula (= ordine delle opere di Ausonio nell’antigrafo)

22r-25r quae aut emendanda aut aliter scripta inveniantur quam in impressis (= varianti al testo del Technopaegnion di Ausonio rispetto alle edizioni a stampa)

25r Donato, Vita Vergilii §42

25r-v Epitaphium Archeli (un anonimo epitaffio)27

25v-26r Aviano, Fabulae, Prefazione

26r-v Ausonio, Epigr. 79

26v Eugenio di Toledo, c. 39

26v-27r Ausonio, Ecl. 9

43r-46v Ovidio, Halieuticon

48r-56v Nemesiano, Cynegeticon

57v Ovidio, Epistulae ex Ponto XVI. 33-34

58r-72v Grattio, Cynegeticon

F28: codice cartaceo composto di 61 fogli (mm. 140 × 203). I ff. 28-43, originariamente autonomi, sono stati rilegati qui nel mezzo di una miscellanea di poesia italiana, il cui contenuto potrà essere tranquillamente tralasciato29. Autografo di Jacopo Sannazaro. Scritto dopo il 150330.

24 Descrizione e prospetto completo del contenuto in VECCE 1988, pp. 71-72.

25 Il terminus post quem è costituito da D, rispetto al quale E è chiaramente posteriore, rappresentando una versione

“editorialmente più avanzata del testo” (cfr. VECCE 1988, pp. 110-111). Il fatto che la filigrana sia francese non contraddice questa idea: Sannazaro ha infatti usato i fogli rimasti bianchi di un codice che aveva iniziato a vergare quando era ancora in Francia.

26 Vergata dalla mano di Coriolano Martirano. Il testo è edito in A. Mauro, Sannazaro. Opere volgari, Laterza,

Roma-Bari, 1961, pp. 401-402.

27 Pubblicato in PEIPER 1880, p. 349, n. 250.

28 Per i dati codicologici la descrizione migliore è in VECCE 1988, p. 111-112.

29 Per un prospetto completo del contenuto del codice se ne veda la descrizione in Tabulae codicum manu scriptorum,

praeter graecos et orientales, in Bibliotheca palatina vindobonensi asservatorum, vol. VI, Vienna, 1873, pp. 44-45. La

sezione contenente carmi del Florilegium Thuaneum è descritta nel dettaglio da ZURLI 1998, pp. 213-214 (pp. 248-249 nella ristampa del 2010).

30 La filigrana è francese, molto simile a quella di E. Ma questo non vuol dire necessariamente che la trascrizione sia

avvenuta quando Sannazaro era ancora in Francia piuttosto che dopo il rientro a Napoli; cfr. ZURLI 1998, p.211 n.4 (p.246 n.4 nella ristampa del 2000).

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7 Fogli di F Contenuto 30r-43r Anthologia Latina, 96, 98, 101, 111-113, 116-118, 200, 127, 129-136 145, 152, 156, 160, 180-184, 192, 196-197, 219, 221-222, 216, 232, 236-237, 266, 245-252, 103, 142, 153, 263, 30 43r Ennodio, Carmina 26-28 2. Stemma

Si può ben dire che la discussione sui rapporti stemmatici intercorrenti tra i sei testimoni del

Florilegium Thuaneum affondi le sue radici nella preistoria della filologia. Dai primi tentativi di M.

Haupt (addirittura anteriori a quella che è convenzionalmente considerata la data di nascita ufficiale del metodo lachmanniano) fino ai recentissimi contributi di M.D. Reeve, l’obiettivo della costituzione di uno stemma codicum ha impegnato schiere di filologi in un dibattito ben più che secolare, che ha prodotto nel corso degli anni una bibliografia a dir poco abbondante. Ci limiteremo qui a ripercorrere sommariamente le tappe principali della discussione e ad esporre le conclusioni a cui essa è addivenuta, focalizzando l’attenzione su alcuni punti cruciali che hanno giustamente attirato l’attenzione degli studiosi e sui quali si potrà ancora aggiungere qualcosa di nuovo. In estrema sintesi, i problemi fondamentali posti dalla recensio sono i seguenti: (1) definizione del rapporto genealogico intercorrente tra i due testimoni antiquiores (A e B); (2) collocazione di C all’interno dello stemma. Da questi due quesiti, di natura strettamente stemmatica, non può essere scisso il più generale problema del ricostruire la vicenda storica della scoperta di A da parte di Jacopo Sannazaro e dell’utilizzo di questo codice da parte di alcuni umanisti. Seguendo, tuttavia, la buona norma di procedere dal noto verso l’ignoto (o meglio, dal certo all’incerto), cominceremo dai pochi (ma solidi) punti fermi di questa storia, constatando l’indubitabile discendenza di D, E ed F da A, per accostarci in un secondo momento alle più spinose le questioni poste da B e C.

2.1 Collocazione di D, E ed F: codices descripti di A

La dipendenza di D ed E da A è cosa nota, ed unanimemente accettata dai filologi fin da quando, quasi due secoli fa, M. Haupt la suggerì per la prima volta31. A suscitare il sospetto che D sia una copia umanistica di A basterebbe già il fatto che i due testimoni siano oggi rilegati insieme, in un codice composito (Wien, ÖNB, 277) che fu assemblato nel XVI secolo da Jacopo Sannazaro stesso o da qualcuno che mise mano nella sua biblioteca poco dopo la sua morte. E infatti, un semplice sguardo ai dati testuali rivela senza possibilità di equivoci che D è un codex descriptus di A32 . Ricorderemo qui solo alcuni fatti macroscopici che rendono la discendenza di D da A assolutamente certa. In D il testo del Cynegeticon s’interrompe al v. 519, che è l’ultimo verso sul f.70r di A, mentre vengono del tutto omessi in D i vv. 520-541; il motivo dell’omissione è facilmente intuibile: in A, infatti, i vv. 520-541 occupano per intero il f.70v (l’ultimo di A), la cui lettura è resa quanto mai problematica dal deterioramento della pergamena e dallo scolorimento dell’inchiostro (dovuto forse al fatto che il codice era rimasto per molti anni senza coperta): evidentemente, davanti ad una pagina tanto profondamente rovinata, il Summonte ha preferito astenersi dalla trascrizione. Inoltre, lo stesso

31 HAUPT 1838, pp. VI e XI-XII. Che D ed E siano “jüngeren Apographa” di A è dato per certo già da SCHENKL 1898,

pp. 387-392. Opinione accettata senza esitazioni anche da VOLLMER 1911, pp. 7-8, e da praticamente tutti gli editori successivi.

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f.70 di A è danneggiato nel margine inferiore da uno strappo della pergamena, che ha determinato la perdita delle ultime parole dei vv. Cyn. 513-519 (nonché, sul verso, delle prime parole dei vv. Cyn. 535-541); ebbene D omette, lasciando dello spazio bianco, proprio le ultime parole di Cyn. 513-519, interrompendo la trascrizione di ciascun verso esattamente laddove termina la parte leggibile di A. A questo fatto, che sarebbe già una prova sufficiente della dipendenza di D da A, si aggiungerà una serie di altri fattori “sussidiari” che ben si conciliano con la suddetta soluzione stemmatica. Il comportamento di D è sempre perfettamente spiegabile alla luce della situazione grafica o testuale di A: in A gli ultimi versi dell’Halieuticon sono trasmessi in maniera lacunosa, perché il copista ha lasciato vuoti alcuni spazi e a volte interi righi, verosimilmente a causa di una difficoltà di lettura dell’antigrafo; ebbene tutti questi “vuoti” sono fotograficamente riprodotti da D, che mostra di volersi mantenere estremamente fedele al modello. E ancora, D presenta sistematicamente spazi bianchi laddove A è di difficile decifrazione, o dove une lezione palesemente erronea di A causava al Summonte (e a Sannazaro) problemi di interpretazione del testo. In alcuni casi D commette errori chiaramente dovuti al fraintendimento di una situazione grafica prodottasi in A e caratteristica di questo manoscritto. In rari casi invece D migliora il testo di A, laddove vi si trova una lezione palesemente erronea; ma si tratta probabilmente di semplici emendazioni del Summonte (o di Sannazaro), la cui esistenza non inficia in alcun modo la teoria generalmente accettata della dipendenza di D da A33.

Quanto ad E, vi si riscontrano gli stessi problemi dovuti ai danni materiali di A, tali da rendere palese anche in questo caso la discendenza dal medesimo codice. Così, ad esempio, esattamente come in D, sono omesse le ultime parole dei vv. Cyn. 513-519, in corrispondenza con la lacuna materiale dell’ultimo foglio di A. E ancora, sono presenti in E spazi bianchi dovuti a cattiva lettura di A o a difficoltà d’interpretazione di un passo corrotto in A. Ma in generale, Sannazaro non si lascia scoraggiare dal pessimo stato del suo modello, e ne trascrive ad esempio anche i vv. Cyn. 520-541, che si conservano quasi illeggibili al f.70v di A, e che Summonte aveva rinunciato a copiare. Nel complesso, Sannazaro supera alcuni dei problemi che si erano posti in D, arrivando a decifrare l’antigrafo in molti punti in cui Summonte aveva preferito sospendere il giudizio34 . Molto più sviluppata è in E anche la critica congetturale, per cui Sannazaro colma ope ingenii vari luoghi corrotti di A, ai quali D non era riuscito a porre rimedio35. Ma in ogni caso, che A sia l’antigrafo dell’umanista napoletano, è cosa certa ed unanimemente accettata da praticamente tutti gli editori.

Potenzialmente più problematico sarebbe stabilire il rapporto tra A ed F. Quest’ultimo, anch’esso autografo di Sannazaro, trasmette infatti una sezione del florilegio (Anthologia Latina + Ennodio 26-28) che non sopravvive oggi in A, in quanto contenuta un tempo nei primi fascicoli del codice, che sono attualmente perduti. Per questo motivo, diversamente che per D e per E, la discendenza di F da A non potrà essere dimostrata in maniera positiva sulla base di dati esclusivamente testuali, ma dovrà essere stabilita con l’ausilio di fattori esterni, relativi alla storia e alla conservazione del codice. Ora, che F sia un testimone del Florilegium Thuaneum è garantito dal fatto che esso trasmette i carmi dell’Anthologia Latina in un ordine quasi perfettamente identico a quello di B36, e seguiti, come in B,

33 SCHENKL 1898, p.391; VECCE 1988, pp.110 e 145-146. 34 Per esempi, cfr. VECCE 1988, pp. 146-147.

35 SCHENKL 1898, p.391.

36 In verità la corrispondenza nell’ordine dei carmi non è proprio perfetta, come aveva già notato VECCE 1988, p.112.

Le occasionali discrepanze tra B ed F sono meticolosamente segnalate da ZURLI 1998, p.213 n. 11 e 12 (p.248 n. 16 e 17 nella ristampa del 2010), che corregge le affermazioni di SHACKLETON BAILEY 1982, p. VI, e di R.J. Tarrant in

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dai carmi di 26-28 di Ennodio. Constatato ciò, una volta appurato che il codice fu vergato dalla mano inconfondibile del Sannazaro37, e sapendo che di certo l’umanista partenopeo ebbe a disposizione A, questi elementi sarebbero di per sé già sufficienti ad avanzare la ragionevole ipotesi che proprio A, non ancora mutilo per la caduta dei primi fascicoli, sia l’esemplare dal quale egli trasse i carmi trascritti in F. A simile conclusione indirizzano, parimenti, i dati strettamente testuali. Il manoscritto (F) fu collazionato per la prima volta da K. Schenkl, che ne fornì le varianti dapprima per il solo testo del Pervigilium Veneris, poi anche per gli altri carmi di AL in esso contenuti38. Il filologo notò subito l’incontestabile vicinanza di F a B, col quale esso condivide la selezione e l’ordinazione dei carmi, nonché un buon numero di errori congiuntivi assenti nel resto della tradizione; ma notò pure che la netta superiorità di F rispetto a B, su un gran numero di lezioni non certo recuperabili per congettura, porterebbe ad escludere che B sia l’antigrafo di F; e ne concluse che F dovrebbe discendere da un codice perduto, imparentato certamente con B ma testimone di una “gemischte Recension” che avesse importato anche alcune varianti peculiari di altri rami di tradizione39. Il che non sarebbe, in teoria, impossibile. Ma molto più semplicemente, le lezioni buone di F a fronte di errori di B che non erano sanabili ope ingenii, potranno spiegarsi riconoscendo in A la fonte alla quale Sannazaro attinse i testi trascritti in F. L’antico manoscritto (A), utilizzato dall’umanista quand’era ancora intero, è infatti certamente imparentato con B (e lasciamo perdere, per ora, che genere di parentela intercorra tra i due: filiazione di B da A o cognazione?), ma da esso senz’altro indipendente, dimodoché poteva ancora conservare la lezione originale nei casi in cui invece B aveva commesso un errore40.

Più di recente, una nuova completa collazione dei testi contenuti in F, ad opera di L. Zurli41 , ha sostanzialmente confermato i dati già emersi dalle indagini di Schenkl, ai quali ha aggiunto la non banale acquisizione che le lezioni buone di F difficilmente potrebbero essere interpretate come geniali congetture di Sannazaro: non tanto perché questi non ne fosse capace (ché anzi, Sannazaro era un filologo di singolare acume, ed anche abile versificatore in lingua latina), quanto perché la sua attitudine conservatrice e la sua costante, reverenziale aderenza al modello, lo trattenevano dal mettere a testo lezioni che non fossero trasmesse dall’antigrafo, e lo inducevano piuttosto a relegare i suoi interventi emendatorî nel margine della pagina o tutt’al più nell’interlineo, meticolosamente segnalati dall’aggiunta della lettera f (per fortasse)42. Fugato il dubbio, ed appurato che l’alta qualità testuale di F è da attribuire al suo modello, e non all’intelletto del copista, si potrà serenamente accogliere l’idea universalmente accettata, che proprio A, usato dall’umanista nella sua interezza, sia

T&T, p.11 (ma l’errore compare ancora in BUSCH 2009, p.38).

37 Che l’intero codice sia scritto dalla mano di Sannazaro è garantito, peraltro, da tre note di autografia apposte ai ff. 28r,

29r e 30r, giustamente segnalate da VECCE 1988, pp. 111-112, e ZURLI 1998, p.211 n.3 (p. 245 n.3 nella ristampa del 2010). Ma dell’autografia del codice si era già accorto, più di un secolo prima, K. Schenkl (SCHENKL 1971, p. 127 n.3; SCHENKL 1879, p.59).

38 SCHENKL 1871, p. 127 n.3: collazione del Pervigilium Veneris; SCHENKL 1879, pp. 59-62: collazione degli altri

carmi di AL.

39 SCHENKL 1879, p. 59. A conclusioni non molto diverse giunse CAZZANIGA 1955, che giudicò F un discendente di

B contaminato con un esemplare poziore afferente ad un altro ramo della tradizione: ipotesi contestata da R.J. Tarrant, in

T&T, p.11, e da ZURLI 1998, p.232 n.92 (p.253 n.36 nella ristampa del 2010).

40 Che A, quando era ancora intero, possa essere la fonte di Sannazaro per i testi trascritti in F, è ipotesi formulata già da

RICHARDSON 1976, pp. 286-287. Fra gli editori del Pervigilium, il primo a considerarla fu CATLOW 1980, pp. 12-13, che tuttavia la rifiutò, poiché gli parve che difficilmente due testimoni qualitativamente tanto differenti potessero discendere da uno stesso antenato (ragionamento, a dire il vero, alquanto discutibile). Che F sia un apografo di A è invece dato per certo da SHACKLETON BAILEY 1982, pp. VI-VII, la cui opinione è sostenuta ed illustrata con esemplare limpidezza da R.J. Tarrant in T&T, p.11, ed accolta da VECCE 1988, pp. 111-112.

41 ZURLI 1998.

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l’esemplare al quale egli attinse il breve gruppo di testi che scrupolosamente copiò in F43.

Abbiamo dunque un gruppo ben compatto di codici umanistici, tutti e tre apografi del vetusto

Vindobonensis e tutti e tre legati alla figura di Jacopo Sannazaro. Il che non ci sorprende, perché è

ben noto che A fu scoperto tra il 1501 ed il 1505 proprio dal Sannazaro, che in quegli anni andava vagando per la Francia al seguito dell’esiliato re di Napoli Federico d'Aragona44. Salpato da Ischia il 2 ottobre 1501, l’intellettuale napoletano era approdato a Marsiglia poco più di una settimana dopo, per poi raggiungere rapidamente Blois, allora sede della corte di Luigi XII. Comincia da qui per Sannazaro una serie interminabile di viaggi, che lo portano a spostarsi tra vari centri dell’area gallica, e durante i quali l’umanista potrà esplorare alcune delle più ricche e venerabili biblioteche della Francia. A Lione, nell’antica biblioteca del chiostro benedettino di Île-Barbe, venne alla luce un pregevole codice di Ausonio, oggi perduto ma ricostruibile grazie alla trascrizione che Sannazaro stesso ne fece (Wien, ÖNB, 3261, ff. 3-27)45. A Blois, nel monastero di Lômer, oppure a Saint-Denis presso Parigi, l’umanista trovò un antico testimone del testo di Solino, che riportò in Italia, ma che non sopravvive né in originale né in apografi46. E ancora, a Saint-Denis avvenne la scoperta di

quello che è oggi il principale testimone del Cynegeticon di Nemesiano (Paris, BNF, 7561), che Sannazaro trascrisse in una copia personale tuttora conservata (Wien, ÖNB, 3261, ff. 48-56)47 . Quanto ad A, il terminus ante quem per la scoperta è fornito da una ben nota epistola di Giovanni Pontano, datata al 13 febbraio 1503, nella quale l’attempato maestro si compiace col discepolo (Sannazaro) del ritrovamento dell’Halieuticon ovidiano e del Cynegeticon di Grattio48:

Quae ad Pudericum scripsisti, ea me mirificum in modum delectarunt. Sunt enim plena pietatis tuae erga vetustatem ac diligentiae. Quocirca vel aventissime exspecto videre Ovidianos illos pisciculos in Euxino lusitantes Maeotideque in palude. Quod vero ad venationem attinet, visus est mihi vates ille lepidus, numerosus et cultus, deque eo, si recte menini, fit ab Apollinare mentio in hendecasyllabis. [...] Ego, ut dixi, mirifice exspecto Ovidianos illos elopes nobis incognitos, praesertim sub quadrigesimale ieiunium.

Trovato il codice, Sannazaro aveva scritto a Napoli, comunicando la notizia all’amico Francesco Poderico, ed inviandogli, a quanto pare, anche una prima trascrizione del solo Cynegeticon (oggi dispersa). Questi a sua volta ne aveva subito reso partecipe il comune maestro Pontano, che non esitò ad esprimere a Sannazaro il suo giudizio estetico sull’operetta grattiana, richiedendo al contempo l’invio di una copia dell’Halieuticon. Che la scoperta sottintesa dalla lettera pontaniana sia quella di A è fuor di dubbio. Il poemetto ovidiano è chiaramente indicato, mentre più vaga è la menzione di Grattio. Ma a garantire che il manoscritto scoperto da Sannazaro sia proprio A è l’allusione del

43 Nulla di nuovo ha aggiunto, su questo punto, l’ultimo editore del Pervigilium Veneris, che pure ha dedicato una sezione

piuttosto ampia alla tradizione manoscritta (FORMICOLA 1998, pp. 18-27).

44 L’iter Gallicum di Sannazaro può essere ricostruito con relativa precisione con l’ausilio di fonti documentarie e dei

riferimenti autobiografici contenuti nelle opere stesse dell’umanista. Per ulteriori dettagli sui suoi spostamenti nel quadriennio 1501-1505 si veda VECCE 1988, pp. 35-46 e 178-186.

45 Cfr. VECCE 1988, pp. 70-83. A lungo si è creduto di poter identificare il codice scoperto da Sannazaro con il più antico

ed autorevole testimone del testo di Ausonio, il codice Leida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Vossianus Latinus F111 (IX sec.). Ma una recente indagine sulla tradizione umanistica delle opere del poeta di Bordeaux (TURCAN-VERKERK 2002) ha dimostrato che non è il Vossiano il codice rinvenuto da Sannazaro, bensì un manoscritto antico oggi perduto, testualmente imparentato ma certamente indipendente dal Vossiano.

46 Cfr. VECCE 1988, pp. 89-92.

47 Cfr. VECCE 1988, pp. 84-89; e soprattutto JAKOBI 2014, p.27 e n.65, con bibliografia aggiornata.

48 La lettera è conservata al f.2r del codiceWien, ÖNB, 3261, vergata dalla mano di Coriolano Martirano. È pubblicata

integralmente da A. Mauro, Sannazaro. Opere volgari, Laterza, Roma-Bari, 1961, pp. 401-402; l’estratto relativo alle scoperte dei testi classici è riportato da SCHENKL 1898, p.404, da VECCE 1988, p.57, e VECCE 2009, p.157. Lo cito qui trascrivendolo direttamente dal manoscritto.

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Pontano a Sidonio Apollinare: per quanto ne sappiamo, mai il poeta gallo-romano citò (o imitò) Grattio; la confusione deriva dal fatto che in A (e verosimilmente anche nella copia che Sannazaro ne aveva inviata a Napoli) il testo del Cynegeticon era immediatamente preceduto dall’epigramma AL 391 (Cervus aper coluber …), che richiamava alla memoria del Pontano vari passi dell’opera di Sidonio49; probabilmente l’analogia tematica e la somiglianza stilistica tra questo epigramma ed il poemetto che ad esso seguiva nel manoscritto, indussero il Pontano a credere che anche il distico AL 391 fosse opera di Grattio: donde l’affermazione che Grattio sarebbe stato citato da Sidonio. Chiarito ciò, l’epistola pontaniana ci aiuta anche a precisare le circostanze in cui avvenne la scoperta di A. La data della lettera (13 febbraio 1503) coincide con il primo soggiorno di Sannazaro a Lione, dove il poeta risiedette, più o meno stabilmente, dal settembre 1502 ai primi mesi del 150350. Probabilmente

il codice veniva della biblioteca dell’abbazia di Saint-Martin a Île-Barbe, un isolotto del fiume Saône (affluente del Rodano), da cui proviene anche il manoscritto di Ausonio scoperto in quegli stessi mesi. Abbiamo dunque, molto ben definiti, i termini geografici e cronologici entro cui avvenne l’acquisizione di A.

L’antichità ed il pregio testuale del codice, testimone unico di opere fino ad allora sconosciute, gli garantirono un’immediata fama, che valicò ben presto i confini del circolo pontaniano. Le scoperte sannazariane furono annunciate al grande pubblico dall’amico Pietro Summonte, autore della prefazione all’edizione postuma dei dialoghi del Pontano (Napoli, 1507); la stampa dell’Actius - De

numeris poeticis, dedicato appunto a Sannazaro (che era noto nei circoli letterari dell’epoca con lo

pseudonimo di Actius Sincerus), offrì al Summonte l’occasione di tessere le lodi dell’amico, del quale non mancò di ricordare i brillanti successi filologici51.

Advexit [scil. Sannazaro] nuper ex Heduorum usque finibus atque e Turonibus dona quaedam, mirum in modum placitura literatis viris; Martialis, Ausonii et Solini codices, novae atque incognitae emendationis, tamque a nostris diversos ut hos certo ac legitimo partu natos, reliquos vero liceat spurios existimare. Praetereo epigrammata, quae tam multa hic leguntur, alibi hactenus non visa. Immo Solini liber hic auctore ab ipso, quod iam titulus indicat nec eius negat vetustas, et recognitus est et editus. Is etiam ad nos attulit Ovidii fragmentum de piscibus, Grattii poetae Cynegeticon, cuius memenit Ovidius ultima de Ponto elegia, Cynegeticon item Aurelii Nemesiani, qui floruit sub Numeriano imperatore, et Rutilii Namatiani elegos, quorum tenuitatem et elegantiam a saeculo illo agnoscas Claudiani. Atque haec quidem omnia statim post Pontani libros emittentur.

Summonte offrì quello che può ben essere considerato un elenco completo dei codici rinvenuti da Sannazaro in Francia, fornendoci così una seconda importante testimonianza sulla scoperta di A. Egli individua due grandi aree di provenienza dei libri sannazariani: se l’indicazione di Tours potrebbe riferirsi genericamente alla valle della Loira, in cui si situa dubitativamente la scoperta di Solino52, la

menzione degli Aeduorum fines rinvia senz’altro all’area di Lione e al bacino della Saône, sulle cui sponde aveva dimorato l’antico popolo degli Aedui. Sicuramente da Lione, e precisamente dal cenobio di Île-Barbe, proveniva il codice di Ausonio. E in quello stesso ambiente dovette avvenire la scoperta di A, se, come si è già visto, lì risiedeva Sannazaro nei primi mesi del 1503, al tempo dello scambio epistolare col Poderico e col Pontano53.

49 SCHENKL1898, pp. 404-405, per i paralleli. 50 Cfr. VECCE 1988, pp. 112-113 e 181-182.

51 La prefatoria del Summonte è oggi pubblicata da C. Previtera, Giovanni Pontano. I dialoghi; edizione critica a cura di

Carmelo Previtera, Firenze, 1943, pp. 123-126. L’estratto sulle scoperte codicologiche è riportato da SCHENKL 1898,

p.406, da VECCE 1988, pp. 57-58, e VECCE 2009, p.156. Lo cito qui direttamente dall’edizione napoletana del 1507.

52 Cfr. VECCE 1988, p.90.

53 Una diversa interpretazione delle parole del Summonte è data da ULLMAN 1960, p.1028, che ha suggerito che anche

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Malgrado la promessa del Summonte (chiaramente formulata nelle ultime parole dell’estratto citato), i nuovi testi classici recuperati da Sannazaro nel corso del soggiorno transalpino restarono inediti per alcuni anni, per essere poi divulgati al grande pubblico solo dopo la morte del filologo (1530). L’editio

princeps delle operette cinegetiche di Grattio, Ovidio e Nemesiano uscì solo nel 1534, curata

dall’umanista tedesco Georg von Logau (Georgius Logus) e stampata a Venezia da Paolo Manuzio, che era succeduto al padre Aldo nella gestione dell’illustre tipografia appena un anno prima. La discendenza dell’Aldina da A è praticamente certa, perché l’editore lascia degli spazi bianchi (dovuti, presumibilmente a difficoltà di lettura) precisamente in luoghi in cui A è danneggiato (a causa del deterioramento della pergamena e dell’inchiostro), e giustifica le lacune proprio con l’antichità ed il cattivo stato di conservazione del manoscritto54. Così, ad esempio, alla fine del Cynegeticon di Grattio

(p.10r), dopo aver riprodotto quasi fotograficamente la lacuna di A, l’editore aggiunge: Nonnulla

erosa legi non potuerunt. Haec descripta sunt ex codice longobardicis literis scripto55. Analogamente, alla fine dell’Halieuticon, dopo aver riportato gli ultimi brandelli di testo conservati in A (anche qui riproducendo la situazione di A con fotografica precisione), l’editore commentata: Deerant non

admodum multa in eo exemplari consumpta penitus vetustate. Tuttavia, a quanto pare, per ammissione

dello stesso Logau, l’edizione si fondò non su A, ma su un apografo trattone dal collega tedesco Johann Albrecht (Johannes Lucretius Aesiander, o in italiano Esiandro)56:

Siquidem cum proxima aestate Romae essem, conflata mihi non mediocris amicitia fuit com Ioanne Lucretio Aesiandro Germano, iuvene cum rara et exquisita bonarum artium et literarum cognitione, tum Graece Hebraicaeque et Latinae linguae peritia egregie instructo. Is mihi trium optimorum et antiquissimorum authorum, qui tam diu latuerunt ut penitus in oblivionem hominum venerint, copiam fecit: Gratii, qui de venatione sive κυνηγετικῶν librum carmine conscripsit; itemque M. Aurelii Nemesiani qui idem tractavit argumentum; quibus adiunctum erat P. Ovidii Nasonis fragmentum de piscibus. […] Aesiander quidem ex vetustissimo codice quod nobilis et cultissimus nostri temporis poeta Actius Syncerus Sannazarius longobardicis literis scriptum ex Galliis secum aliquando attulerat, quam potuit integre et incorrupte descripsit [scil. Grattio] una cum autoribus illi coniunctis. Quorum exemplar mihi cum dedisset, non modo ut edendos curarem volenti mihi permisit, verum etiam, id ut facerem ultro ipse me est adhortatus.

Il codice scritto longobardicis literis trovato da Sannazaro in Francia, e del quale Esiandro trasse un apografo personale, è quasi certamente A. Tuttavia, Esiandro dovette avere a disposizione non solo A, ma anche D ed E (o una loro derivazione), cioè le copie umanistiche trattene da Summonte e Sannazaro, perché in più punti l’edizione aldina recepisce lezioni peculiari dell’uno o dell’altro codice: e si tratta di emendazioni congetturali di Sannazaro che difficilmente Esiandro o Logau avrebbero potuto fare indipendentemente da D ed E.

A questo punto, il quadro è completo. La prefazione del Logau è l’ultima testimonianza diretta sulla scoperta di A, che da questo momento in avanti sarà sempre citato per via indiretta attraverso il tramite degli apografi sannazariani o dell’Aldina. Lasciamo dunque la tradizione umanistica, i cui tratti fondamentali si possono definire con relativa nitidezza. Ed accostiamoci invece allo spinoso problema della relazione esistente tra i due testimoni più antichi e preziosi del florilegio: A e B.

54 REEVE 2016, p.197.

55 Sul significato di litterae longobardae in età umanistica cfr. RIZZO 1973, pp. 122-126; usata in origine per indicare la

scrittura beneventana, questa espressione fu poi estesa a designare qualsiasi scrittura minuscola corsiva medievale. L’attributo di literis longobardicis scriptus si adatta quindi perfettamente ad un codice quale A.

56 L’estratto che segue è riportato e commentato da SCHENKL 1898, pp. 392-394; e VECCE 1988, pp. 60 e 147-148. Lo

cito qui direttamente dall’edizione aldina del 1534, p. A3 r-v. Nulla di nuovo su questo punto ha aggiunto l’ultimo editore di Nemesiano: JAKOBI 2014, pp. 27-28.

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13 2.2 Collocazione di B: un discendente indiretto di A

Il nodo cruciale del rapporto intercorrente tra i due testimoni antiquiori del Florlegium Thuaneum fu posto per la prima volta da M. Haupt, in una pionieristica edizione dell’Halieuticon ovidiano e del

Cynegeticon di Grattio57. Data l’indiscutibile anteriorità cronologica di A rispetto a B, che esclude automaticamente la possibilità che il primo dipenda dal secondo, lo studioso oscillò tra le due ipotesi della dipendenza di B da A o della discendenza di entrambi da un comune modello, optando infine per quest’ultima soluzione. L’idea che B sia una copia di A fu sostenuta per la prima volta, e con decisione, da L. Traube, la cui autorevole opinione finì per influenzare molti dei filologi che si interessarono in seguito del problema58. Bisognò aspettare un ventennio prima che qualche studioso

iniziasse ad avanzare qualche timido dubbio sulla perentoria affermazione del Traube; ed anche i pochi che tentarono di confutare l’opinione del maestro, lo fecero in maniera sciatta e con argomenti tanto fragili da essere quasi inconsistenti. Già F. Vollmer59 si era accorto dell’esistenza di un certo numero di casi in cui B conserva la lezione corretta a fronte di un errore di A; ma nessuno di essi gli sembrò tale da escludere la discendenza di B da A, poiché tutti erano spiegabili come facili emendazioni ope ingenii da parte del copista di B. Il successivo editore dell’Halieuticon (S.G. Owen)60 ribadì la superiorità di B rispetto ad A su alcune lezioni, e citò exempli gratia tre casi (Hal.5

seurpius A : scurpius B; Hal. 62 emiso A : emisso B; Hal. 96 helops A : elops B), dei quali gli ultimi

due sono chiaramente inservibili per ogni ragionamento stemmatico, in quanto si tratta di meri fenomeni ortografici; difatti l’editore non mutò la propria opinione sulla dipendenza di B da A, che gli sembrò comunque certa; si riservò tuttavia il diritto adottare in qualche caso le lezioni di B, “propter vetustatem codicis”61. W. Heraeus, per primo, mise esplicitamente in dubbio l’idea che B fosse un descriptus di A, senza tuttavia chiarire le ragioni della sua posizione62. Qualche anno dopo, W.F. Lenz si disse pronto a credere che B discendesse da un codice gemello (quasi Menaechmum) di A, o tutt’al più che fosse una copia tratta da A collazionando allo stesso tempo anche l’antigrafo di A63; peccato che, a sfogliare la sua prefazione, non vi si trovi un solo caso utile a sostenere questa ipotesi: dopo aver citato i tre casi precedentemente segnalati da Owen (e dei quali si è vista l’inconsistenza), il filologo elenca una serie di errori congiuntivi AB che non dimostrano nulla se non che i due codici siano imparentati tra di loro. Segue una caotica lista di supposte correzioni (o tentativi di correzione) di B, con la quale si tenta di dimostrare la buona competenza linguistica del copista (che è giudicato non imprudentem). Posta quest’ultima, viene fornito un certo numero di casi in cui B commette degli errori singolari che non si spiegherebbero sulla base della lezione di A, e che dovrebbero dimostrare, nella prospettiva di Lenz, che B non copiava A stesso (di fronte al quale sarebbe stato impossibile per un copista colto commettere tali errori) bensì il suo modello. Il ragionamento è evidentemente viziato da un errore metodologico di fondo, perché il filologo tenta di dimostrare l’indipendenza di B da A non attraverso lezioni buone di B contro errori di A (che

57 HAUPT 1838, p. XIII.

58 Traube aveva espresso il suo giudizio al riguardo in una recensione al secondo volume del Corpus Poetarum Latinorum

di J.P. Postgate (Londra, 1893-94), in Berliner philologische Wochenschrift 16 (1896), col.1050. Sulla sua scia si posero, senza troppo riflettere, SCHENKL 1898, p. 387 e 399; VOLLMER 1911, p.7; LINDSAY 1903, p.10. La dipendenza di B da A parve talmente certa a quest’ultimo che, nel pubblicare il testo di Marziale, egli scelse di non indicare mai la lezione di B laddove era disponibile la testimonianza di A (LINDSAY 1929, Praef. p.II n.2).

59 VOLLMER 1911, p.7. 60 OWEN 1915, p.X.

61 Criterio assolutamente poco metodico, che incontrò infatti le critiche di LENZ 1939, pp. XVI-XVII. 62 HERAEUS 1925, p.IV n.4. Sicché giustamente LENZ 1939, p. XVII, si dolse del silenzio del collega. 63 LENZ 1939, pp. XVIII-XIX.

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sarebbero le prime da commentare e valorizzare), ma attraverso errori singolari di B che a suo giudizio non potevano prodursi trascrivendo A, e la cui esistenza sarebbe appena sufficiente a dimostrare che B non è una copia diretta di A (ma potrebbe tranquillamente discenderne per mezzo di un esemplare intermedio).

Di fronte a sì debole evidenza, è naturale che il successivo editore dell’opera, J.A. Richmond, rifiutasse l’opinione del collega, tornando alla tradizionale teoria della dipendenza di B da A64. Invero il grande merito di Richmond è quello di aver tentato per la prima volta (ed era ora!) di dimostrare positivamente che B discende da A: cercando cioè errori singolari di B che possano spiegarsi solo e soltanto sulla base della situazione grafica di A. Ne trovò molti, e decisivi (come vedremo); però la fretta gli impedì di valorizzare quelli davvero importanti, e lo portò ad insistere su casi che sono in verità meno probativi di altri. Tra i casi citati dallo studioso a sostegno della sua tesi, grande importanza viene data ad Hal.108 et ex se] 7exse A : texe B : texse B1. Qui, per ragioni contingenti, A utilizza la nota tironiana per et (7), che gli permette di guadagnare spazio a fine rigo; e appunto questo simbolo, che poteva essere scambiato per una t, starebbe dietro l’errore di B (texe). In verità il caso mi pare assai poco decisivo, sia perché in teoria la nota tironiana poteva comparire già nel modello di A65, sia soprattutto perché l’errore di B non è necessariamente di natura paleografica: ammesso anche che un 7 possa somigliare ad una T capitale, la caduta della e poteva essere determinata molto più banalmente dal contesto fonetico (synodontes et ex se).

Similmente, mi paiono poco probanti i due casi in cui B incappa nella confusione grafica tra a e z:

Hal.52 ire] iraer > ire A66 : irzer B67; Hal.104 caeruleaque] caeroleaque A : czeroleaque B. L’errore di B è certamente dovuto a cattiva lettura di una particolare forma di a aperta, il cui primo tratto è alto sul rigo, lievemente coricato verso sinistra, e lega in basso con il secondo tratto formando una sorta di ε, in maniera tale da somigliare ad una z68; e questo è appunto il modo in cui A realizza la a

in iraer e caeroleaque69.

(1) (2)

L’argomento di Richmond è parso debole a R. Verdière e F. Capponi, i quali hanno prontamente notato che esistono altri casi nei quali A realizza una a simile (ɛ) e B la comprende perfettamente (Hal. 116 suae; Hal. 130 ulla)70. L’obiezione lascia evidentemente il tempo che trova, perché in questi ultimi due casi anche un copista quale B, abituato al sistema grafico della minuscola carolina (e dunque alla a di forma onciale), poteva intuire il significato del segno che aveva davanti agli occhi: a suggerirglielo era il contesto, e nella decifrazione potevano intervenire anche fattori più ampiamente

64 RICHMOND 1962, pp. 6-9.

65 Possibilità che non è sfuggita a CAPPONI 1972, p.172.

66 Qui e sempre, con il segno > indico una correzione (eventualmente indicando di volta in volta se essa è effettuata

dalla stessa mano che verga o il codice o meno).

67 In realtà le lezione di B è oggi di difficile lettura, a causa di una macchia che copre la parte destra della colonna. Irzer

fu letto da HAUPT 1838, a cui fa ancora riferimento RICHMOND 1962, p.7; la lezione è stata confermata da CAPPONI 1972, che ha ricollazionato il manoscritto con l’ausilio dei raggi ultravioletti.

68 Questa particolare forma di a (ε), derivante dalla corsiva nuova, è presente praticamente in tutte le scritture cosiddette

“nazionali” dell’alto medioevo: cfr STEFFENS 1964, tav. 22 (corsiva nuova), r.5 (taxatione); tav. 24 (semi-corsiva), r.3 (satis), r.5 (Zaccheus), r.6 (Abrahae), r.10 (nutriat); tav. 28 (merovingica), r.2 (palacio), r.7 (roganti), r.10 (Boctharius); tav. 35 (visigotica), rr. 16-17 (exaudiat ad sanitatem non exaudit ad volumtatem); tav. 25B (minuscola nord-italiana), r.3 (ac), r.8 (ec-clesiae), r.9 (placeat), r.14 (acetum). In tutti questi esempi la morfologia della lettera è la stessa, sebbene essa abbia realizzazioni differenti a seconda della maggiore o minore corsività della scrittura.

69 Cfr. SCHENKL 1898, p.415; VECCE 1988, p.97. 70 VERDIERE 1963, p.298; CAPPONI 1972, pp. 172-173.

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psicologici (suae e ulla sono parole comunissime in latino). Al contrario, in casi come iraer e

caeroleaque, la difficoltà stessa dei termini (il primo inesistente in latino, il secondo molto raro)

induceva un processo di trascrizione meccanica, svincolata della comprensione del senso, in cui ben si poteva produrre la confusione (di natura strettamente grafica) a / z. Piuttosto, per ridimensionare il peso dell’argomento del Richmond, si potrà notare che i passi or ora menzionati (Hal.52 iraer;

Hal.104 caeroleaque; Hal. 116 suae; Hal. 130 ulla) sono gli unici quattro casi in cui A realizzi la a

in forma di ɛ, mentre di solito preferisce la forma cc o anche la a onciale71: la disomogeneità grafica potrebbe indicare che in questi quattro casi il copista stava riproducendo il segno dal modello “fotograficamente”, disegnandolo senza capirlo; e proprio in questa direzione sembrerebbe indirizzare il tratto incerto e tremolante della a in iraer, tale da dare l’impressione di una lettera disegnata più che scritta coscientemente. Se così stanno le cose, se ne dovrà concludere che una a di questo tipo non è esclusiva del copista di A, ma si trovava già nel suo antigrafo; ragion per cui i due casi addotti da Richmond non potrebbero essere utilizzati per sostenere la discendenza di B da A. Fra le altre argomentazioni di Richmond, assumono particolare rilievo i casi in cui A, commesso un errore di trascrizione, si sarebbe autocorretto inter scribendum, generando una situazione “unica”, sulla base della quale soltanto si comprende l’errore di B. L’editore indica i seguenti casi72: (1) Hal.3

tenera] tenerco > tenera A : teneraco B; (2) Hal.39 concitus] concicitatur (?) > concitatur A : contricitatur B; (3) Hal.44 morsu] versu > morsu A : moversu B. E ad essi se ne potrebbe anche

aggiungere un quarto (ignoto all’editore inglese, che collazionò solo il testo dell’Halieuticon), in cui la correzione in A è effettuata esattamente nello stesso modo: Cyn.17 nemorum umentes]

nemorumentes > nemosumentes A : nemorsumentes B.

(1) (2) (3) (4)

(1) (2) (3) (4)

In tutti e quattro i casi la correzione sembra opera dello stesso copista che scrive il testo (sebbene qualche dubbio possa permanere sui puntini, che, a rigore, non possono essere attribuiti ad una mano piuttosto che a un’altra). Nel caso (1) l’errore di A (tenerco) è certamente dovuto a cattiva lettura di un antigrafo in minuscola con a aperta (nella forma cc, eventualmente con la seconda c molto chiusa, tale da potersi confondere con o: insomma, un segno morfologicamente non dissimile da quello che usa A stesso nei casi visti sopra); la correzione è eseguita in A aggiungendo la a sopra la o ed espungendo la o per mezzo di un puntino sottoscritto; impossibile chiarire se l’espunzione si riferisca anche alla c, come sembrerebbe naturale. Nel caso (2) resta assai dubbia la prima lezione di A: potrebbe essere un conticitatur (con ti realizzato in legamento73 ), o concicitatur con un’anomala legatura ci74, o ancora conconcitatur (interpretando il segno ɔ come un compendio per con75); fatto

71 SCHENKL 1898, p.415; CLA X, p.11; VECCE 1988, p.97.

72 Cito il testo dell’Halieuticon dall’edizione CAPPONI 1972, del quale seguo la numerazione.

73 Così lo interpreta RICHMOND 1962, p.2. In effetti si trova spesso in A il gruppo ti legato nella classica forma di 8,

tipica della corsiva nuova e delle scritture da essa derivate: ad esempio in timore (Hal. v.65, f. 56v, r.13), in notis (Cyn. v.289, f. 65r, r.11), e ancora in vitis adeuntibus (Cyn. v.311, f. 65v, r.11). Ma è pur vero che esso non è del tutto identico al legamento che vediamo qui.

74 Così HAUPT 1938, SCHENKL 1898, VOLLMER 1911, e LENZ 1939; e ultimamente anche RICHMOND 1998, p.84

n.19, che rettifica rispetto a quanto affermato nell’edizione del 1962.

75 CAPPONI 1972, p.166. L’uso del compendio ɔ per con è affatto estraneo alle abitudini scrittorie del copista (cfr.

SCHENKL 1898, p.415; CLA X, p.11; VECCE 1988, p.98, sulle abbreviazioni usate da A); ma nulla esclude, in teoria, che qui A lo copiasse per inerzia da suo antigrafo.

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16

sta che questa prima lezione è stata corretta da A tramite un puntino sottoscritto (collocato a metà tra la n ed il segno seguente) ed un’asta diagonale che taglia la lunga i in legamento, in maniera tale da arrivare alla lezione concitatur. Nel caso (3) le lettere ve sono espunte tramite due puntini sottoscritti e sormontate dal gruppo mo. Nel caso (4) infine la r è stata espunta con un puntino sottoscritto (appena visibile) ed una s è stata aggiunta in interlinea. Ebbene, in tutti e quattro i casi, laddove A ha la correzione, B presenta una lezione erronea che sembra chiaramente esito di una cattiva comprensione della situazione di A. Per questo motivo, i suddetti casi costituirebbero, a parere dello studioso anglosassone, solidi indizi del fatto che “A is either an immediate or a more remote ancestor of B”76. Da allora il dibattito è esploso. Alle conclusioni di Richmond sono state opposte sostanzialmente due obiezioni: primo, che in tutti questi casi la correzione in A era palese, e difficilmente poteva essere fraintesa, sicché l’errore di B non si spiegherebbe se si ammettesse la dipendenza da A77; secondo, che i suddetti casi sarebbero utili a sostenere la dipendenza di B da A solo qualora si potesse dimostrare che la situazione grafica di A si è prodotta in A stesso, essendo esclusiva di questo manoscritto. La prima obiezione è evidentemente inconsistente, perché per spiegare l’errore di B, anche davanti ad una correzione palese ed inequivocabile di A, basterebbe ipotizzare l’esistenza di un anello intermedio tra A e B, che riproducesse fedelmente le lettere soprascritte in A (ad esempio la

a sopra tenerco, il gruppo mo sopra versu, la s sopra nemorumentes) ma omettesse invece quei segni

“diacritici” (puntini di espunzione, barre di depennamento) che in A disambiguavano la correzione (omettesse, quindi, i segni di espunzione in tenerco, in versu, in conticitatur, in nemorumentes)78. La

seconda obiezione è di maggior peso, perché in effetti, nei quattro casi citati dal Richmond, non possiamo essere sicuri che l’errore sia stato commesso e corretto dal copista stesso di A79: in teoria, la situazione di A (lezione erronea con correzione supralineare) poteva trovarsi già nel suo modello (magari senza i segni di disambiguazione delle correzioni) ed essere stata riprodotta fotograficamente da A (la cui attitudine iper-conservativa è stata più volte notata80). Se così fosse, se cioè l’errore e la

successiva correzione non andassero attribuiti al copista di A stesso ma a qualcuno prima di lui, le corruttele di B non potrebbero più essere utilizzate come prove della dipendenza di quest’ultimo da A, poiché la situazione di A non sarebbe esclusiva di questo manoscritto. Sicché si potrebbe immaginare che di fronte ad un comune antigrafo, che presentava degli errori corretti mediante l’aggiunta di lettere in interlinea, A abbia semplicemente riprodotto le correzioni del suo modello (magari aggiungendovi dei segni di disambiguazione per renderle più chiare), mentre B avrebbe frainteso quelle stesse correzioni, creando dei monstra come teneraco, contricitatur, moversu e

nemorsumentes.

76 RICHMOND 1962, p.7.

77 Cfr. ad esempio VERDIERE 1963, p.297 (a proposito di Hal.3); VERDIERE 1964, p.89 (a proposito di Hal. 3 e 44);

VERDIERE 1987, p.30 (a proposito di Hal. 3 e 44); VERDIERE 1988, p.251; VECCE 1988, p.107.

78 Del resto, la possibilità di una discendenza mediata era stata prospettata già da Richmond stesso (RICHMOND 1962,

p.8 n.1; RICHMOND 1981, pp. 2746-2748); ed è stata ribadita dallo stesso studioso molti anni dopo (RICHMOND 1998, p.90). In alternativa, si potrebbe addirittura pensare che l’errore di B si sia prodotto su A stesso, ricorrendo ad un’ipotesi forse un po’ macchinosa ma non del tutto improbabile: immaginando, cioè, che il primo copista di A avesse semplicemente aggiunto le lettere soprascritte (e non i puntini di espunzione), e che solo in un secondo momento (dopo che da A era già stato tratto B) un altro copista abbia aggiunto in A i segni “di disambiguazione” che vediamo oggi.

79 Questa condizione è data per certa dallo studioso, allorché afferma (RICHMOND 1962, p.7): “Very significant are

places where the scribe of A made an error and corrected it in the succeeding letter. These instances show that the correct reading was before the scribe of A and that the blunder was made, and corrected, by him”.

80 Ad esempio da VECCE 1988, p.107. FORMICOLA 1988, p.37, parla di una “assoluta scrupolosità del copista di A nei

confronti del modello”. RICHMOND 1998, p.93, osserva che “the text of A must often reproduce the text of the common ancestor with almost photographic accuracy”.

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