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I centocinquant'anni della Società Ligure di Storia Patria

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Academic year: 2021

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Dino Puncuh

I centocinquant’anni della Società Ligure di Storia Patria

[A stampa in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, n.s., XLVII/II (2007), pp. 3-14] © dell’autore – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”

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ATTI

DELLA SOCIETÀ LIGURE

DI STORIA PATRIA

NUOVA SERIE

XLVII

(CXXI) FASC. II

GENOVA MMVII

NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO DUCALE – PIAZZA MATTEOTTI, 5

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I centocinquant’anni della Società Ligure di Storia Patria

Dino Puncuh

Il 22 novembre 1857, in una sala della civica biblioteca Berio, in una se-rata che presumo climaticamente simile a questa, un gruppo di intellettuali genovesi dava vita alla Società Ligure di Storia Patria; erano presenti i pro-motori dell’iniziativa: il marchese Vincenzo Ricci, Michel Giuseppe Canale, Giuseppe Banchero, Federico Alizeri, Emmanuele Celesia, Agostino e Giu-seppe Olivieri, cui si erano aggiunti Vincenzo Marchese, Michele Erede, Cor-nelio Desimoni, Giovanni Papa e molti altri. Alcuni di essi, reduci da prece-denti esperienze culturali, erano da tempo in sospetto presso la polizia pie-montese, soprattutto dopo i noti fatti del ’57, la cui eco non era ancora spenta.

E tuttavia, a ben guardare la composizione sociale dei 109 fondatori (19 avvocati, 18 esponenti del patriziato, 17 religiosi, 15 docenti, 10 impie-gati, 5 politici, ecc.), se ne ricava la netta impressione di un ambiente mode-rato, confermata dall’elezione alla presidenza del domenicano Vincenzo Marchese, preferito, per ragioni di opportunità politica, al presidente prov-visorio, colui che più di tutti si era prodigato per la nascita della Società, il marchese Vincenzo Ricci, che manifestava apertamente sentimenti anti-piemontesi, che non faceva mistero del suo frondismo, coltivando amicizie politiche sospette. L’assenza, dal suo discorso inaugurale, di qualsiasi ac-cenno alla dinastia sabauda, l’insistente riferimento alla storia ligure, alla sto-ria coloniale di Genova, a quel glorioso passato, «che edificava le cattedrali di Genova e Pisa quando Parigi e Londra – e forse il Ricci pensava anche a Torino – erano umili borghi coperti di paglia e fabbricati di rozze tavole», non potevano suonare graditi né al Governo Sardo né alla torinese Deputa-zione di Storia Patria fondata nel 1833 da Carlo Alberto. Significativo appare, infatti, il diverso tono con cui la «Gazzetta di Genova», organo ufficiale, e «l’Italia del Popolo», mazziniano, salutavano l’apparire della nuova società: fredda notizia di cronaca nel primo; caloroso e caldo di simpatia l’annuncio del secondo. Altrettanto significativa del malumore degli storici torinesi nei confronti della prima società storica sorta in Italia per volontà di privati cittadini e non per Regio decreto, «senza l’appoggio di potenti», come eb-be a dire Agostino Olivieri, è la lettera, non troppo gentile nella forma e

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ri-sentita nella sostanza, con cui Pasquale Sbertoli, esponente della Deputa-zione, prendeva atto della nascita della Società Ligure, intesa come un gesto di sfida, di rivendicazione di autonomia.

Ma è un tema da approfondire, sul quale spero di poter dire qualcosa di più in occasione del convegno Politica e cultura nel Risorgimento italiano:

Genova 1857 e la nascita della Società Ligure di Storia Patria, in programma

dal 4 al 6 febbraio 2008, dove al proposito si confronteranno studiosi geno-vesi e torinesi.

Le affinità con le organizzazioni culturali precedenti (tra le quali già Ric-ci aveva posto, quasi a stabilire una discendenza diretta, il benemerito Istituto Nazionale, fondato dalla Repubblica Democratica Ligure) erano comunque ben chiare fin dal programma enunciato da padre Marchese nel suo primo di-scorso: le colonie, la moneta, Colombo, il comune dei consoli, la tavola di Polcevera, temi già dibattuti ampiamente negli organismi precedenti. La no-vità era offerta dall’ampliamento degli orizzonti, dal superamento, per lo me-no nei voti, della storia municipale e regionale: me-non semplice vicenda di con-trasti politici, ma approfondimento dei valori della storia genovese. In tale prospettiva, i grandi liguri apparivano non solo patrimonio di una nazione, ma simboli della loro età, di grandi avvenimenti universali.

Fin dal primo volume gli «Atti della Società Ligure di Storia Patria» si caratterizzano per le edizioni di fonti (tra le quali, importantissimi, i due regi-stri della curia arcivescovile editi da Luigi Tommaso Belgrano, il Codice

di-plomatico delle colonie tauro-liguri del Padre Amedeo Vigna, che dedicherà

altri due volumi al suo convento di Santa Maria di Castello; le edizioni di Arturo Ferretto, le iscrizioni greche, romane e medievali della Liguria); mo-nografie (lo studio sulle finanze genovesi di Henri Sieveking, la vita privata dei Genovesi del Belgrano; le marche d’Italia, gli studi sulla moneta e sulla cartografia di Cornelio Desimoni, quelli di Braggio e Gabotto sull’umane-simo dei Liguri); le raccolte miscellanee di studi, spesso frutto degli accesi di-battiti e delle memorie che i soci leggevano nel corso delle riunioni, di alcuni dei quali si ha testimonianza anche attraverso il «Giornale Ligustico» e il «Giornale storico e letterario della Liguria»; in epoca più recente, si aggiun-geranno atti congressuali, repertori, inventari d’archivio.

Di fatto, nonostante l’opera intensissima delle sezioni in cui si articolava, la Società Ligure si identificava, più che nelle figure dei presidenti (6 nel pri-mo quarantennio), in quelle di pochi soci eminenti per cultura e fama: Bel-grano, Vigna, Desimoni, Staglieno, Sanguineti. Ma è soprattutto

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l’infati-cabile Belgrano, l’autore più prolifico degli «Atti», segretario e anima della Società dal 1864 al 1895, il maggiore rappresentante, con Cornelio Desimoni, del primo quarantennio; sia attraverso la partecipazione ai congressi naziona-li, sia in qualità di delegato della Società presso l’Istituto Storico Italiano, sia come animatore della Raccolta Colombiana, conclusiva di mezzo secolo di battaglie e di polemiche della storiografia genovese, sulla quale e sull’edi-zione degli Annali di Caffaro cadeva stroncato il grande segretario nel 1895.

Non appare quindi privo di significato che i soci abbiano eletto alla pre-sidenza, nel 1896, il marchese Cesare Imperiale di Sant’Angelo, che raccoglie-va l’eredità del Belgrano nella continuazione degli Annali, e legaraccoglie-va il suo no-me a quello del defunto segretario, facendo assegnare, nel nono-me di Colombo, Palazzo San Giorgio al Consorzio Autonomo del Porto, per la cui istituzione lo stesso Imperiale aveva speso le sue migliori energie di parlamentare.

La Società chiudeva così il primo quarantennio con legittimo orgoglio: 27 volumi di «Atti» dedicati all’illustrazione della storia genovese nei suoi aspetti più vari, dalla vita privata alla navigazione, dalla numismatica alla cartografia, dall’arte alla stampa, dalla chiesa al costume; il numero delle cronache e dei documenti pubblicati, le polemiche suscitate per la difesa dei monumenti cittadini (si pensi all’accanita lotta condotta da Jacopo Virgilio e dall’intera Società per la conservazione di Palazzo San Giorgio), erano sintomi di una vitalità documentata anche dal raddoppio dei soci e dalla lo-ro qualità, dal conseguimento della prima sede stabile a Palazzo Bianco nel 1896, dall’erezione in Ente Morale nel 1898.

Eppure, nonostante l’ottimismo del momento, la Società necessitava di vasta opera di riorganizzazione, dell’apporto di forze nuove, in grado di as-sicurarne la continuità. La lunga presidenza Imperiale (1896-1920) assume quindi ai nostri occhi il significato di ponte tra la generazione ‘risorgi-mentale’ che andava sparendo ed una più giovane, maggiormente sensibile ai nuovi indirizzi che spiravano dalle aule universitarie.

Essa rappresenta anche il momento di più intensa attività pubblica della Società: l’insegnamento della storia ligure nelle scuole civiche; l’organizzazio-ne della Mostra storica coloniale, l’organizzazio-nel 1914, risultato dei viaggi del Presidente e delle relazioni personali che intratteneva col Levante, i consensi riscossi pres-so Accademie, Istituti e Congressi o prespres-so le stesse autorità governative che ne ricercavano la collaborazione per la ricerca e il censimento delle testimo-nianze della presenza genovese nel Mediterraneo Orientale. E già il Presi-dente vagheggiava l’edizione di un codice diplomatico delle colonie liguri e,

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sulle orme del Desimoni, di legare il suo nome a quello dei codici originali dei

Libri iurium, che, sottratti da Napoleone, giacevano ancora, pressoché

ine-splorati, al Ministero degli Esteri di Parigi, quando la guerra europea veniva a sconvolgere piani e progetti, ad alimentare, anche in seno alla Società, diver-genze e preoccupazioni politiche già emerse fin dal primo discorso dell’Im-periale, quando, nel 1896, aveva accennato in termini critici alle vicende afri-cane del momento. Ora, mentre egli comandava squadre di mezzi d’assalto nell’Adriatico, toccava al vicepresidente, Arturo Issel, il compito di com-mentare le difficoltà dei tempi, al segretario, Francesco Poggi (definito dal Presidente «nuovo Belgrano»), quello di reggere le sorti della Società. E se i verbali denunciano l’educazione risorgimentale di molti soci, che auspicano, attraverso la guerra, l’imminente liberazione dei popoli oppressi, non manca-no le preoccupazioni per il futuro, per l’equilibrio che manca-non avrebbe potuto ri-stabilirsi se non attraverso altre perturbazioni, le ansie e il raccoglimento dei momenti difficili, le condanne e l’orrore per l’immane flagello, tutti senti-menti rilanciati dall’ampia relazione sul periodo 1908-1917 che il segretario pubblicava nei primi mesi del 1918. Il Poggi vi esponeva alcune considerazio-ni sull’insegnamento della storia, nella quale egli avrebbe amato vedere la rap-presentazione integrale «della vita normale, ordinaria, comune della società e non soltanto di quella politica che riguarda una minuscola minoranza che si agita al di sopra delle moltitudini che lavorano e producono la ricchezza delle nazioni». Donde conclusioni estreme, inequivocabili. Messe in luce, infatti, le conseguenze esiziali a cui aveva condotto la prevalenza data nella scuola allo studio delle lettere e della storia politica a scopo educativo, il segretario aveva parlato di «sentimento tirannico della patria», concludendo che al cessare della guerra molti si sarebbero accorti che «la famiglia, la personalità umana, la moralità, la libertà, la giustizia, la scienza, l’amore del prossimo erano cose altrettanto sacre quanto la patria». Parole che «un manipoletto di soci, dotti professori di lettere e di storia, convinti e compresi della loro missione di cu-stodi e difensori delle patrie istituzioni» non poteva perdonare a un inse-gnante di matematica, che tuttavia, nell’assemblea del 2 marzo 1919, appella-tosi alla libertà di pensiero, fondamento di qualunque istituto scientifico, era riconfermato consigliere con 25 voti su 29 votanti, essendo rimasti comple-tamente isolati i quattro oppositori e respinta la loro mozione di censura.

Durante le presidenze Issel e Volpicella, nel decennio 1920-1930, Fran-cesco Poggi continuò ad essere l’uomo di punta del sodalizio, trasferito nel 1908 a Palazzo Rosso, l’organizzatore degli «Atti», l’iniziatore della serie de-dicata al Risorgimento, di cui egli era valente studioso, lo storico della

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Socie-tà, al centro di tutte le iniziative, dalla partecipazione al IX Congresso geo-grafico italiano del 1924 con un volume di «Atti» interamente dedicato alla geografia e alla toponomastica, al XIII Congresso di storia del Risorgimento del 1925, in occasione del quale era stato approntato il primo volume del Co-dignola sui fratelli Ruffini, alla collaborazione alla raccolta dedicata alle lapidi genovesi in Crimea della russa Skrzinska, alla riforma statutaria del 1925.

Nelle pagine relative al periodo 1917-1929, pubblicate nel ‘30, il segreta-rio ribadiva ancora una volta, a dispetto degli oppositori del 1919, i suoi crite-ri stocrite-riografici; ironizzava sulla civiltà angusta del tempo, nella quale le ener-gie muscolari venivano anteposte ai valori spirituali, polemizzava contro una storia moralistica, fatta apposta per celebrare illustri condottieri di popoli, di eserciti, di partiti, contro una storia dinastica, che rifletteva fedelmente gli atteggiamenti della classe dirigente, contro la diseducazione operata da un tale genere di studi sulla società. E non era tutto: il Poggi riferiva su una questione scottante che aveva movimentato la vita interna della Società.

Nel 1927 il Ministro della Pubblica Istruzione, Pietro Fedele, richiesto di dichiarare monumento nazionale la casa di Montoggio nella quale era nato Giovanni Perasso, da molti identificato nel Balilla, chiedeva lumi alla Società. Già la questione di per sé rientrava, agli occhi del Poggi, in quelle discussioni «alle quali Bisanzio diede l’appellativo»; la storia del Balilla gli sembrava un pretesto, in tempi privi della libertà di ragionare sulle cose del presente, per trarre dal passato argomento alle vanità del momento. Pubbli-cava quindi un ampio resoconto dell’assemblea (non registrata a verbale) che molti studiosi avevano prudentemente disertato e nella quale si era ma-nifestata una grande disparità di vedute.

Ed è chiaro che se il Presidente Volpicella «con i lumi acquistati nella de-scritta riunione – ancora la caustica ironia del Poggi – chiudeva rapidamente la discussione», ed invitava il Ministro a conservare comunque il nome di Balil-la, considerandolo «l’innominato, lo sconosciuto, il Milite Ignoto della giovi-nezza d’Italia», il pensiero del segretario appariva evidente a tutti. In poche battute il Poggi era costretto ad andarsene. Ci appare però carico di significa-ti, che egli, quasi prevedesse il suo commiato, richiamasse nella stessa relazio-ne, con parole anticipatrici della lezione di maestri quali Bognetti, Chiaudano, Falco, Vitale, quella storia comune, normale, cui andavano le sue preferenze, ben documentata dai cartolari notarili:

« Atti storicamente preziosi, perché rendono e riflettono, attraverso l’infinita moltitudi-ne delle minute notizie da essi contenute, tutta l’attività mercantile dei genovesi, che è

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come dire la maggior parte della vita medievale dei genovesi e di una notevole parte di quella delle popolazioni che ebbero con costoro rapporti di commercio ».

La crisi Poggi, tuttavia, se denuncia il clima difficile che sfocerà, nel 1935, nella trasformazione della Società in Regia Deputazione, di impronta governativa, apre un nuovo fruttuoso ciclo condizionato dalla personalità di Vito Vitale, uno dei vecchi oppositori del Poggi, segretario fino al 1945, commissario per due anni e infine presidente fino al 1955. Sono anni in cui la storia è costretta troppo spesso a piegarsi ad esigenze di natura politica, alle rivendicazioni territoriali, a forzare avvenimenti del passato in funzione del presente. La Società, tuttavia, non pare adeguarsi a queste finalità: nonostante le inevitabili dichiarazioni di lealtà al Governo, gli inni all’«Impero, sogno di Dante e di Petrarca», o l’esplicita affermazione che non è opportuno ricor-rere a votazioni «non più consone ai tempi», il nostro organismo si mantiene di fatto estraneo agli indirizzi del tempo, lasciando ad altri enti o nuove riviste specifiche il compito di secondare l’andazzo del momento. La stessa trasfor-mazione della Società in Deputazione, che introduceva l’antipatica distinzio-ne tra Deputati e soci, i primi soggetti, i secondi puri e semplici spettatori, re-cepita come un’imposizione, lasciò gli animi freddi, se non addirittura ostili; tanto che il Presidente, senatore Mattia Moresco, aprendo i lavori del nuovo organismo, era costretto a definirlo propaggine della Società Ligure, che ri-maneva viva nel cuore di tutti come una delle operosità più feconde della Li-guria e di Genova. E dalla Società, dal suo predecessore, Enrico Bensa, More-sco ereditava anche il disegno della pubblicazione dei cartolari notarili. Si deve a lui se il Rotary genovese, sciogliendosi, destinava una somma cospicua al fi-nanziamento di questa iniziativa; a lui spettò l’onore di firmare con Gian Pie-ro Bognetti il volumetto intPie-roduttivo della nuova collana dei notai. ContPie-ro i mugugni di alcuni soci che mal gradivano «i libri mattonosi», Gian Piero Bo-gnetti (principale estensore di quell’introduzione), in pagine che saranno eguagliate per umanità e finissima sensibilità solo da Giorgio Falco, dimostra-va che i notai potedimostra-vano anche andare oltre il puro dato economico ed offrire a chi avesse saputo interpretarli, pagine ricchissime di vita semplice, umana, comune, quotidiana, decisamente spoglia di ogni retorica

Era pur sempre il retaggio della Società, arricchito, e perfezionato in seguito dall’esperienza e dal metodo di una scuola universitaria con la quale i legami venivano intensificandosi.

Al termine del secondo conflitto mondiale, durante il quale l’attività scientifica aveva ristagnato, per cessare quasi del tutto, il 31 maggio 1947,

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revocate le leggi del ‘35, si ricostituiva la Società col ritorno allo statuto del 1925; alla Presidenza era chiamato il senatore Federico Ricci; la sua rinunzia, motivata dai troppi impegni politici, apriva la strada a Vito Vitale, eletto il 20 dicembre 1947. Il nuovo presidente arrecava un’esperienza quaranten-nale di studioso attento e serio, di sicuro indagatore della storia genovese, ed era certamente l’uomo più preparato che il nostro sodalizio potesse esprimere in quegli anni. Giunto tardi alla piena scoperta dell’importanza delle fonti notarili, se ne era fatto divulgatore appassionato ed esperto, fino a lasciarci quel bel volumetto, Vita e commercio nei notai genovesi dei secoli

XII e XIII, che costituisce, unitamente al Breviario della Storia di Genova,

una sorta di manifesto programmatico o di testamento.

Gli anni del dopoguerra sono anni difficili: la necessità di curare le fe-rite provocate dalla trasformazione in Regia Deputazione che, unitamente alle leggi razziali, aveva messo in disparte o allontanato molti soci, preoc-cupazioni di natura finanziaria, lo sfratto da Palazzo Rosso ed il precipitoso e forzato trasferimento in locali gelidi e malsani, praticamente inagibili, che solo eufemisticamente si potevano chiamare di fortuna, con perdite di ma-teriale librario – una ferita al cuore tale da mettere in discussione la stessa sopravvivenza della Società – sono gli aspetti più vistosi della crisi. Sono anche gli anni dell’attesa del Breviario del Vitale, da tempo in gestazione, pubblicato postumo, nel 1955, poco dopo la sua scomparsa.

Gli anni che seguono, sotto la presidenza di Agostino Virgilio, uomo di grande cultura e di affascinante conversazione, ma scarsamente operati-vo, segnano un momento di profonda crisi d’identità. Il silenzio presso-ché totale delle attività sociali nel periodo 1956-1962, rotto solo dalla pubblicazione di tre volumi di «Atti» e di due della collana dei notai, parrebbe accentuare il solo messaggio conclusivo dell’opera del Vitale, come se essa, corredata di una ricchissima bibliografia, curata da Teofilo Ossian De Negri, allora Segretario, e di un’altrettanto ricca problematica, non fosse di stimolo ad ulteriori ricerche. In quegli anni la Società sem-brava dominata dalla preoccupazione di salvare un patrimonio ideale e materiale, dal timore che i tempi non concedessero ancora una ripresa co-stante e matura, che, esaurita la vecchia guardia della Storia Patria, non fossero ancora pronte ed attive nuove energie in grado di raccoglierne l’eredità. In parole povere la stasi!

Fu così che nel 1962, con un’assemblea straordinaria – non se ne teneva-no da sei anni – si provvide a rinteneva-novare radicalmente il consiglio, chiamando

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alla presidenza l’anziano Onorato Pastine e immettendovi, accanto a figure prestigiose del passato, sensibili alle esigenze del rinnovamento, forze nuove, anche giovanili, provenienti dalle aule universitarie (dalle scuole di Falco, Pi-starino, Borlandi), dagli archivi, dalle biblioteche, rinnovamento – ripeto – e-videnziato, oltreché dalla presidenza, dal 1963 in seguito al decesso di Pastine, di Franco Borlandi, dall’elezione di un trentenne – chi vi parla – alla segrete-ria: un fatto inconcepibile anche per gli spiriti più aperti.

Non è facile per il segretario di allora, che ha avuto il privilegio di stare accanto a Borlandi fino alla sua scomparsa prematura, nel 1974, ripercorre-re le tappe di una pripercorre-residenza pripercorre-restigiosa e largamente positiva nei risultati: la ripresa regolare degli «Atti», dal 1962 periodico semestrale, arricchito da nuovi apporti, in gran parte giovanili; la nuova prestigiosa sede in Albaro nel 1967, il ristabilimento dei cambi con le principali riviste storiche, in particolare quelle regionali, l’avvio di programmi di conferenze, dibattiti, presentazioni di libri, l’attiva partecipazione alla mostra storica del nota-riato medievale ligure (1964); la pubblicazione della versione italiana della grande, per molti versi insuperata, opera di Georg Caro dedicata al periodo dei Capitani del popolo (1257-1311); l’accoglimento del Circolo Numi-smatico Ligure, allora guidato da Corrado Astengo, come sezione della So-cietà, sono solo alcuni aspetti della sua presidenza.

Non sono mancate, è vero, negli anni ’68-69 alcune scosse di assesta-mento, con epicentri esterni alla Società, in ambienti accademici, già avver-tibili fin dal 1964, in occasione della Mostra del notariato, culminate nello sterile tentativo di sfiduciare l’intero consiglio. E proprio a questi dissidi è addebitabile l’affossamento del grande progetto di un Centro nazionale per la storia del notariato italiano, con sede presso la nostra Società, annunciato da Borlandi nel 1964, finanziato dal CNR e in accordo con la Direzione Generale degli Archivi di Stato, che si assumeva l’onere della stampa dei ri-sultati (studi e soprattutto edizioni).

E tuttavia, al di là delle sterili polemiche, credo che ciò che ha inciso in profondità sia il disinteressato spirito di servizio che Borlandi ha insegnato e lasciato in eredità ai successori: Giovanni Pesce (1974), Giorgio Costa-magna (1975-1977), a me stesso, eletto nel 1978 e successivamente ricon-fermato fino ad oggi.

Si trattava di guardare lontano, di inventarsi nuovi percorsi, di tra-sformare cioè il sodalizio da destinatario passivo di studi compiuti al di fuori di esso in un centro attivo, in grado di progettare e attuare proprie

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attività di ricerca. Fu determinante l’incontro, nel 1976, con la marchesa Carlotta Cattaneo Adorno, proprietaria del più importante e ricco com-plesso archivistico privato della Liguria e di una splendida biblioteca patri-zia, dotata di pregevoli manoscritti e incunaboli. Il compito del riordina-mento ed inventariazione di tale patrimonio storico fu assunto da noi con senso di responsabilità, come dovere civico nei confronti della società ge-novese, con spirito di servizio, fors’anche un po’ avventatamente, dal mo-mento che all’inizio eravamo impegnati nell’impresa solo in due, Antonella Rovere, ai suoi primi passi nel cammino della ricerca, ed io.

Vedevano così la luce diversi volumi dedicati, ai manoscritti, edito nel 1979 per mia cura, cui seguì nel 1988 quello di Alberto Petrucciani rivolto agli incunaboli; agli archivi dei Durazzo (del 1981, ad opera di Giuseppe Felloni e di Antonella Rovere, oltreché mia), dei Pallavicini (1995-1996) e dei Sauli (2000), curati da Marco Bologna con la collaborazione di un grup-po di giovani studiose: Maria Bibolini, Marta Calleri, Maddalena Giordano, Sandra Macchiavello, Cristina Soave. Questi lavori imponevano la Società all’attenzione del mondo culturale italiano: donde finanziamenti del Consi-glio Nazionale delle Ricerche e dello stesso Ministero per i Beni culturali, del cui Consiglio Nazionale fui chiamato a far parte per due mandati in rappresentanza degli Istituti culturali.

Così la legge 123 del 1980, che riservava la concessione dei contributi statali agli enti culturali di ricerca, non ci trovava impreparati: la collabora-zione di alcuni Istituti/Dipartimenti dell’Università di Genova, di Scienze dell’antichità, del Medioevo e geografico-ambientali; di cultura giuridica “Giovanni Tarello” – sezione di Storia del Diritto –, di Economia e metodi quantitativi – sezione di Storia economica – e di giovani collaboratori, in gran parte provenienti dai corsi di dottorato di ricerca in Diplomatica del-l’Università di Genova, consentiva di allargare gli orizzonti: nei soli ultimi trent’anni la Società ha triplicato il numero delle pagine degli «Atti», rea-lizzato importanti coedizioni con l’École française di Roma, la Regione Li-guria, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti e soprattutto col Mini-stero per i beni e le attività culturali, quadruplicato la consistenza libraria della biblioteca, promosso nuove attività di ricerca. Cicli tematici di confe-renze, sette grandi convegni a carattere nazionale e internazionale tra il 1984 e il 2001, l’affidamento alla Società dell’inventariazione del grande ar-chivio del Banco di San Giorgio, progetto colombiano, magistralmente di-retto da Giuseppe Felloni, pressoché ultimato, la gestione, per conto del

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Ministero per i beni culturali, della mostra cartografica colombiana nel 1992 (Colombo e l’apertura degli spazi) rappresentano altrettante tappe del nostro cammino, che prosegue, con rinnovato vigore dal 1993 nella nuova sede di Palazzo Ducale, a seguito dell’abbandono, dopo 25 anni, di quella di Albaro, ormai impraticabile a causa della dilatazione della nostra biblioteca, raddoppiata per consistenza rispetto al ’67.

Da questa sede sono partite nuove iniziative: accanto ai tradizionali «Atti», giunti al CXXI volume (XLVII della nuova serie), una nuova collana di ‘Fonti per la storia della Liguria’, pervenuta all’XXI volume, della quale vo-glio ricordare in particolare i nove tomi (1992-2002) dell’edizione del primo volume, duecentesco, dei libri iurium della Repubblica di Genova, raccolta ufficiale dei documenti fondamentali del Comune (privilegi imperiali, papali, di regni e principati, trattati internazionali e intercomunali) a partire dal 958, prima edizione completa, basata sui manoscritti originali, emigrati in Francia in epoca napoleonica e restituiti solo dopo la seconda guerra mondiale, a dif-ferenza di quella ottocentesca, condotta su copie incomplete; di quella del se-condo, contenente documentazione tre-quattrocentesca, sono previsti tre tomi, uno dei quali uscito quest’anno, a cura di Michela Lorenzetti e France-sca Mambrini. Sono altresì in questa collana le edizioni delle carte del mona-stero di San Siro (952-1328), 4 volumi editi tra il 1997 e il ’98 da Marta Calle-ri, Sandra Macchiavello e Maria Traino, di quello di S. Andrea della Porta (1109-1370), a cura di Cristina Soave (2002); cui seguirà nei prossimi mesi, in quattro volumi, Il codice diplomatico del monastero di Santo Stefano

(965-1327), a cura di Marta Calleri e Domenico Ciarlo; Il catasto della podesteria di Sestri Levante, a cura di Carlo Carosi (1998); alcune edizioni statutarie

(Al-benga, ad opera di Josepha Costa Restagno, con introduzione di Vito Pier-giovanni (1995); Rezzo, di Sandra Macchiavello (2000); Varazze, di Ausilia Roccatagliata (2001) e il Repertorio degli statuti della Liguria (secc.

XII-XVIII), a cura di Rodolfo Savelli (2003); mentre è in cantiere – se ne prevede

l’ultimazione nel 2009 – l’edizione del grande carteggio Andrea Doria-Carlo V, curata da Arturo Pacini.

Da segnalare anche la recente ripresa della collana dei notai liguri con le edizioni degli atti di tre notai attivi nella curia arcivescovile nei secoli XIII, XIV e XV, nonché alcune pubblicazioni del Circolo Numismatico Ligure, tra le quali, oltre a raccolte degli scritti di Enrico Janin e Giovanni Pesce, una recentissima monografia sui dalla Volta e gli Zaccaria nell’Egeo orientale, dello studioso greco Andreas Mazarakis.

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E ancora, nel 2003-2004, la Storia di Genova. Mediterraneo. Europa.

Atlantico, la prima realizzata da specialisti come Il cammino della Chiesa genovese del 1999; La storia della cultura ligure, in 4 volumi (44 saggi scritti

da 41 autori), che la Società ha regalato, o sta donando, per il tramite delle Province, alle biblioteche comunali e degli istituti scolastici superiori, della Liguria; mentre sono in gestazione, per il prossimo anno, una storia della Società nonché altre attività editoriali che potranno decollare solo attraver-so l’acquisizione di cospicue riattraver-sorse finanziarie, da sempre il nervo scoperto per chi è costretto a registrare indifferenza, incomprensione, talvolta sprezzanti rifiuti.

Proprio per questo è doveroso additare con profonda gratitudine gli enti o le persone che hanno appoggiato, o appoggiano finanziariamente il nostro lavoro: primo il Comune di Genova che ci ospita dal 1896; la Regione Liguria per i saltuari interventi in favore della collana delle fonti, della quale risultava coeditrice; per il riordinamento ed inventariazione dell’Archivio del Banco di San Giorgio il Ministero per i beni culturali, attraverso la Di-rezione Generale per gli Archivi, la Provincia di Genova, la Banca di San Giorgio e la Compagnia di San Paolo; per gli altri lavori archivistici conclu-si, oltre alla famiglia Cattaneo Adorno, il CNR e la stessa Direzione Gene-rale che si segnala per analogo impegno, tuttora in corso, rivolto all’archivio del Collegio dei Notai e soprattutto al fondo notarile tre-quattroccentesco dell’Archivio di Stato di Genova; preziosa, per lo svilup-po di tali progetti, la collaborazione del personale dello stesso archivio, che ringraziamo sentitamente. Infine la Curia arcivescovile genovese per la rea-lizzazione di un Codice diplomatico della Chiesa Genovese, un ambizioso progetto, avviato durante l’episcopato del card. Tettamanzi, inteso al cen-simento ed edizione dei documenti di natura ecclesiastica contenuti nei notai liguri dei secoli XIII-XV, da porre in rete.

Ma è altrettanto doveroso esprimere un pubblico ringraziamento ai nostri Soci che ci sostengono con le quote sociali, ricordare con commo-zione il legato del socio William Piastra nel decennale della morte; con altrettanto affetto i Soci scomparsi recentemente (mi scuso per le invo-lontarie omissioni): Alberto Bemporad, socio onorario, Giuseppe Ore-ste, decano della Società e membro del collegio dei probiviri, Giovanni Vallebella, Giancarlo Carlevaro e Luigi Trucchi, del circolo numismatico, al quale apparteneva anche Gino Terzago, consigliere della Società, scom-parso da pochi giorni.

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Di tutte le realizzazioni recenti, mi si perdoni l’immodestia, sono molto orgoglioso, tanto più se constato – me l’hanno fatto osservare i miei collaboratori – di aver realizzato pressoché per interro un programma edi-toriale, il ‘libro dei sogni’ (come l’avevo chiamato) enunciato nel corso di un convegno albenganese del 1982; orgoglioso per il recente conferimento alla Società del ‘grifo d’oro’.

Ne siano orgogliosi anche i Vicepresidenti, consiglieri, revisori dei conti e probiviri che hanno collaborato con me in quest’opera di servizio e tutti coloro che hanno partecipato a questa lunga avventura. in primis An-tonella Rovere, la prima donna eletta nel 1980 consigliere della Società as-sumendone la segreteria, la prima, dal 1975, allora unica, collaboratrice im-pegnata nella gestione della Società e nella ricerca, via via seguita dai tanti già nominati in precedenza, ai quali è doveroso aggiungere, oltre a Fausto Amalberti, preziosissimo segretario di redazione degli «Atti», e impareg-giabile responsabile dell’editing, Maria Grazia Alvaro, Cristina Cannonero, Serena Cavalieri, Barbara Celsi, Claudia Cerioli, Sabina Dellacasa, Elisa-betta Madia, Eleonora Pallavicino, Luca Polledri, Sabrina Pulimanti, Ales-sandra Rebosio, Valentina Ruzzin e gli ultimi arrivati, Olga Briamonte, Stefano Gardini, Luca Lo Basso e Georgia Puppo. A tutti – e quanti altri che non ricordo – i miei sentimenti di gratitudine. Senza il loro apporto quanto realizzato non sarebbe stato possibile.

Molto resta comunque da fare: più necessaria che mai una grande sto-ria di Genova in più volumi, richiamata anche dal Sindaco in occasione della consegna del grifo d’oro. Per questo la Società si rivolge a tutti: essa ha bi-sogno di soci, di studiosi, dell’apporto di tutti quei genovesi cui stanno a cuore le sorti e la storia della nostra città, «la memoria del passato, il patri-monio più ricco che lasciamo ai giovani» (sono parole indirizzatemi re-centemente dal card. Dionigi Tettamanzi).

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