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La didattica inclusiva della lingua francese

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

DIPARTIMENTO DI LINGUE E CULTURE MODERNE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUE E LETTERATURE

MODERNE PER I SERVIZI CULTURALI

TESI DI LAUREA

La didattica inclusiva della lingua francese

Analisi dei manuali in adozione e progettazione di

percorsi inclusivi in presenza e a distanza

per la scuola secondaria di I grado

Relatrice:

Prof.ssa Micaela Rossi

Correlatori:

Prof.ssa Lucia Ferlino

Prof. Simone Torsani

Candidata:

Rita Cersosimo

A.A. 2019/2020

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Indice

INTRODUZIONE ... 2

I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO ... 5

1.1QUESTIONI TERMINOLOGICHE ... 5

1.2L’INCLUSIONE SCOLASTICA IN ITALIA ... 6

1.3IDSA E LO STUDIO DELLE LINGUE STRANIERE ... 11

1.3.1 I DSA in prospettiva cross-linguistica ... 15

1.3.2 Il caso della lingua francese ... 17

LA DIDATTICA INCLUSIVA ... 23

2.1I CARATTERI DELLA DIDATTICA INCLUSIVA ... 23

2.2L’ACCESSIBILITÀ GLOTTODIDATTICA ... 25

2.3LE TECNICHE DELL’ACCESSIBILITÀ PER LE LINGUE STRANIERE ... 29

2.4L’UNIVERSAL DESIGN FOR LEARNING ... 40

I MANUALI DI LINGUA FRANCESE NELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO ... 47

3.1LE FASI DELLA RICERCA ... 47

3.2L’ANALISI DEI MANUALI ... 47

3.3I QUESTIONARI ... 63

3.3.1 Il questionario per i docenti ... 64

3.3.2 Il questionario per gli studenti con DSA ... 74

PROPOSTE OPERATIVE PER MATERIALI INCLUSIVI IN LINGUA FRANCESE ... 91

4.1LE COMPONENTI DELLA LINGUA ... 91

4.1.1 La sensibilizzazione fonologica e ortografica ... 91

4.1.2 La morfosintassi ... 98 4.1.3 Il lessico ... 103 4.2LE GLOTTOTECNOLOGIE ... 107 4.3LE MAPPE ... 113 4.4LA VALUTAZIONE ... 118 LA DIDATTICA A DISTANZA ... 128

5.1L’ADATTAMENTO DEL SISTEMA SCOLASTICO ALL’EMERGENZA COVID-19 ... 128

5.2LA DIDATTICA A DISTANZA DELLE LINGUE ... 130

5.2.1 Ricostruire l’ambiente di apprendimento ... 130

5.2.2 Sperimentare nuove modalità di pratica linguistica ... 133

5.2.3 Attuare nuove modalità di feedback ... 143

5.3PROPOSTA DI ADATTAMENTO DEL MATERIALE PER LA FRUIZIONE A DISTANZA ... 145

CONCLUSIONI ... 154

APPENDICE ... 157

I)SCHEDE DI ANALISI DEI MANUALI ... 157

II)PROPOSTA EDITORIALE:SOURIS ... 157

BIBLIOGRAFIA ... 158

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Introduzione

Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini.1

Questa tesi è dedicata ai piccoli triangoli.

L’interesse verso la didattica inclusiva delle lingue straniere nasce dalla mia curiosità – nello studio come nella vita – verso tutto ciò che all’apparenza sembra diverso, complesso e sconosciuto, ma anche e soprattutto dal mio forte desiderio di diventare una buona insegnante, che mi accompagna ormai da molto tempo.

La letteratura dedicata alla didattica inclusiva delle lingue è piuttosto recente e mira a fornire un presupposto teorico che guidi i docenti a gestire l’azione didattica e a non rendere la lingua straniera un ulteriore elemento di difficoltà negli studenti con Bisogni Linguistici Specifici. Una delle più recenti introduzioni, è proprio la definizione di Bisogni Linguistici Specifici (da qui in avanti BiLS)2, che comprende tutti

quegli studenti con differenze evolutive che compromettono lo sviluppo delle competenze nelle lingue (L1, lingue straniere, seconde e classiche) e per i quali occorre ripensare in modo più o meno profondo il percorso di educazione linguistica. I BiLS possono derivare da un disturbo nell’area della comunicazione e del linguaggio (disturbi nella componente comunicativa del linguaggio, Disturbi Specifici del Linguaggio) oppure dell’apprendimento (Disturbi Specifici dell’Apprendimento).

1 PENNAC,D., Diario di scuola, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 107.

2 DALOISO M., Riflessioni sul raggio d’azione della glottodidattica speciale: Una proposta di definizione

e classificazione dei ‘Bisogni linguistici specifici’, in: Educazione Linguistica – Language Education EL.LE,

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In questa tesi abbiamo dapprima riflettuto sulle definizioni e le classificazioni di questi disturbi, analizzandoli anche alla luce delle normative scolastiche che hanno contribuito, negli anni, a portare avanti il processo di inclusione nel nostro paese. Nella maggior parte dei casi si fa riferimento ai Bisogni Educativi Speciali (BES) o ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), perché i BiLS sono stati introdotti dalla letteratura scientifica in tempi recenti.

In seguito, abbiamo reperito e sistematizzato le fonti più significative sulla didattica inclusiva delle lingue, rendendoci conto che le trattazioni dedicate alla lingua francese si limitavano a un solo studio in ambito italiano (Celentin, 2012) e a un numero esiguo in Canada o in Svizzera, cioè in un contesto di lingua seconda (L2) e non di lingua straniera (LS). Per questo motivo, abbiamo deciso di condurre un lavoro di ricerca che potesse contribuire in minima parte a colmare questo vuoto.

La prima fase della ricerca consiste in un’analisi dell’accessibilità e dell’usabilità dei manuali di lingua francese attualmente in adozione nelle scuole secondarie di I grado, per verificare se la mancanza di trattazioni dedicate alla lingua francese influisca sulla qualità e sull’inclusività dei manuali.

La fase successiva prevede una raccolta di dati mediante dei questionari rivolti ai docenti di lingua francese e agli studenti con DSA delle scuole secondarie di I grado. Le domande mirano ad esplorare le modalità con cui i docenti e gli studenti lavorano sui libri di testo e/o adattano i materiali alle loro esigenze, nonché a comprendere quali miglioramenti possano essere applicati nei libri di testo scolastici seguendo i criteri dell’accessibilità.

Questi dati verranno analizzati al fine di elaborare una proposta di libro di testo e di attività didattiche inclusive, che operino come linee guida per la creazione e l’adattamento di materiali adatti ai bisogni specifici degli apprendenti.

Il periodo di stesura della tesi è coinciso con l’emergenza Covid-19, perciò abbiamo ritenuto opportuno completare il lavoro con un capitolo sulla didattica a distanza, nel quale abbiamo riflettuto sui limiti e le potenzialità dell’apprendimento delle lingue a distanza e sulla possibilità di condurre una didattica inclusiva con la tecnologia. Abbiamo concluso, infatti, adattando le attività e i presupposti teorici al

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momento corrente, proponendo un ebook interattivo che può favorire l’apprendimento a distanza.

In generale, la concezione che ha guidato questo lavoro è che «il successo formativo dell’allievo con BiLS dipende in larga misura dal grado di “accessibilità glottodidattica”» (Daloiso, 2015, p. 133) e che adoperarsi per garantire e migliorare l’accessibilità comporta senz’altro un beneficio per tutti gli allievi, indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali. Come scrive uno dei pionieri dello studio dei DSA in Italia, Giacomo Stella3, gli studenti con Bisogni Specifici sono

estremamente importanti perché “indicatori” della buona qualità delle istituzioni scolastiche: se questi alunni stanno bene all’interno degli atti educativi proposti, allora la didattica sarà di buona qualità anche per tutti gli altri.

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Capitolo 1

I disturbi specifici dell’apprendimento

1.1 Questioni terminologiche

La Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”4 identifica la dislessia, la

disortografia, la disgrafia e la discalculia quali disturbi specifici dell’apprendimento “che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana” (art. 1).

Reperire una definizione univoca dei disturbi specifici di apprendimento, però, è la prima problematica che ci si pone davanti, soprattutto se studiamo in chiave comparativa: le ricerche neuropsicologiche a riguardo sono recenti e variano notevolmente da paese a paese. Nella letteratura psicopedagogica internazionale possiamo imbatterci in tre termini differenti, che cambiano notevolmente la percezione associata alla dislessia: se in Italia utilizziamo il termine disturbo dell’apprendimento, nella letteratura degli altri paesi possiamo trovare difficoltà, disordine, disabilità. Difficoltà è ricorrente nella lingua francese (difficulté) e nel Regno Unito (learning difficulties); nei paesi ispanici prevale il termine disordine (discapacidad), così come in Germania (Störung); negli Stati Uniti, invece, si parla di

learning disability. Un accordo viene ritrovato nella distinzione tra disturbi generali,

che coinvolgono gran parte delle funzioni cognitive, e specifici, legati a un numero limitato di abilità. La dislessia rientra tra i deficit specifici di letto-scrittura,

4 Legge n. 170/2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito

scolastico”: https://www.gazzettaufficiale.it/gunewsletter/dettaglio.jsp?service=1&datagu=2010-10-18&task=dettaglio&numgu=244&redaz=010G0192&tmstp=1288002517919

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riconducibili ai disturbi specifici dell’apprendimento. Sempre la legge 170/2010 la definisce come «un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell'imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura» (art. 1).

Tali disturbi, come sottolineato da Hammill (1990), possono essere accompagnati da difficoltà a livello socioculturale, ma non ne sono il risultato. Infatti, questi disturbi sono congeniti, si manifestano spontaneamente e in assenza di traumi (fisici o psicologici) e conducono al mancato o ridotto sviluppo di determinate abilità. Anche in questo caso, le differenze tra paesi sono rilevanti per la definizione dei DSA. In Italia, si distinguono dislessia, disgrafia e disortografia, quindi rispettivamente le difficoltà nel processo di lettura, nelle abilità motorie connesse alla scrittura, nella sillabazione (Cornoldi, 1999). Nel Regno Unito, invece, si definisce la dislessia come un deficit di natura neurologica che colpisce lettura, spelling, scrittura e comunicazione orale, da una definizione della BDA (British Dyslexia Association, 1998).

Le ricerche più recenti (International Dyslexia Association, 2002) identificano un’origine di natura neurobiologica dovuta a una difficoltà di processamento fonologico, riguardante in particolare le abilità di decodifica. Le conseguenze di una mancata diagnosi precoce sono, dunque, lo sviluppo insufficiente di strategie cognitive compensative e una conseguente riduzione dell’esperienza linguistica nella propria lingua madre prima ancora che nelle lingue di studio. Queste difficoltà, come vedremo, necessitano di azioni particolari e di strumenti compensativi, ma non sono affatto insormontabili.

1.2 L’inclusione scolastica in Italia

Fino agli anni ‘90 gli studenti con difficoltà di apprendimento non sono considerati nelle normative, che si erano espresse unicamente per l’inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole. Questo movimento all’avanguardia rispetto al resto

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del mondo inizia negli anni ‘60 e si conclude nel 2000 con l’inclusione nelle sezioni e classi paritarie, come spiega Nocera (2013).

Nei primi anni 2000 iniziano movimenti di carattere culturale inclusivo e normativo-legale mirati all’inclusione di studenti con diverse difficoltà: sono decisivi a tal proposito gli studi di Stella (2004) e di associazioni come l’AID (Associazione Italiana per la Dislessia).

La legge n. 18 del 3 marzo 2009 sarà seguita da quella fondamentale e già menzionata, la 170/2010, e dalle Linee Guida del luglio 2011, che elencano in forma dettagliata tutte le azioni che gli Uffici Scolastici Regionali, le scuole e le famiglie devono attuare per la tutela e il supporto degli allievi con DSA. Restano ancora alcune difficoltà, come quelle non rientranti sotto le leggi n. 104/92 o n. 170/2010 ma considerate dall’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, 2006).

Per colmare questo vuoto, il 27 dicembre 2012 il MIUR emana una direttiva dove estende agli studenti con BES (Bisogni Educativi Speciali) le norme già in vigore per gli studenti con DSA, seguita da una Circolare Applicativa (n. 8) del 6 marzo 2013. La necessità ben esplicitata è quella di adattarsi alla nuova realtà delle classi, delineando così una definizione di BES:

L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale

attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di

apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente. [...] Vi sono comprese tre grandi sottocategorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. (MIUR, 2012, p.2)

In questa Direttiva Ministeriale si fanno ricadere sotto la categoria di BES tre grandi sottocategorie molto differenti tra di loro. Nella prima, quella della disabilità, sono compresi gli alunni la cui difficoltà è certificata ai sensi della legge 104/92; nella

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seconda sono inclusi i disturbi evolutivi specifici quali disturbi specifici del linguaggio, delle abilità non verbali, i deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività, i disturbi dello spettro autistico lieve non rientranti nella legge 104/1992; la terza, l’area dello svantaggio, è sicuramente la più ampia e comprende una varietà di casi (approfonditi in una successiva Direttiva Ministeriale dell’8/2013) che richiedono, in determinati periodi o in continuità, speciali attenzioni per motivi fisici, psicologici o sociali che causano nello studente difficoltà di apprendimento.

Il quadro che si delinea in Italia si può, dunque, raffigurare in questo modo:

Area dello svantaggio scolastico (Capuano, Storace, Ventriglia, 2013, p.53)

Come l’Italia si era dovuta adattare alle innovazioni portate dalla legge 104/1992, è indubbio che oggi la scuola debba cambiare forma per far fronte a un panorama mondiale in continuo cambiamento, sia per i flussi migratori e le criticità economiche, sia per sostenere il disorientamento dei genitori riguardo il ruolo

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educativo della famiglia5, ma anche per intervenire su situazioni che prima si

ignoravano, come nel caso dei bisogni educativi speciali.

Le azioni e le metodologie utili ad affrontare queste problematiche sono trattate nella maggior parte dei decreti sul tema, che definiscono gli strumenti atti a “compensare” le difficoltà derivanti dai disturbi specifici dell’apprendimento e le misure da adottare in classe.

Per quanto riguarda le lingue straniere, in particolare, si suggerisce l’utilizzo di “strumenti compensativi”: tra le loro funzioni figura in primo luogo la limitazione della lettura tradizionale, favorendo piuttosto l’ascolto, la visualizzazione e tutte quelle pratiche che assicurano un ritmo graduale di apprendimento (mappe concettuali, schemi, correttore ortografico sul pc, sintesi vocali, dizionari digitali ecc.). Vengono altresì identificate aree e prestazioni dalle quali lo studente è dispensato (come la lettura ad alta voce o il prendere appunti in maniera tradizionale) e la possibilità di disporre di tempo aggiuntivo per lo svolgimento di un compito, di essere alleggerito nel carico di lavoro, di avere criteri di valutazione o prove diversificate, che privilegino il contenuto e non la forma.

La sezione 4.4 del decreto n. 170 è dedicata ad alcune misure relative alla didattica delle lingue straniere. Il suggerimento è quello di scegliere una lingua che sia “trasparente” (vedi par. 1.3.1) cioè con un’alta corrispondenza tra la scrittura e la pronuncia; si auspica, poi, lo studio dei caratteri culturali e degli aspetti letterari, ma si suggerisce di proporli nella propria lingua madre. Appare, quindi, un panorama piuttosto scoraggiante per lo studente che si appresta a studiare una lingua straniera.

Il 13 aprile 2017 viene emanato il Decreto legislativo n. 62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”6.

Questo decreto ha alcuni aspetti positivi, per esempio il focus sull’attenzione alla centralità della formazione inclusiva, ma ci sono alcuni passaggi che offrono «un

5 Cfr. TABARELLI, PISANU, I quaderni della ricerca n.3. Elementi generali di approfondimento sui

Bisogni Educativi Speciali nel contesto italiano, Loescher Editore, Torino, 2013, p. 7.

6 Decreto legislativo n. 62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel

primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/05/16/17G00070/sg

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quadro fortemente penalizzante di questi studenti» (AID, Riflessioni sul Decreto

legislativo n. 62/2017) come il comma 13 dell’art. 11 che prevede, in caso di disturbi

gravi, l’esonero dall’insegnamento della lingua straniera:

In casi di particolare gravità del disturbo di apprendimento, anche in comorbilità con altri disturbi o patologie, risultanti dal certificato diagnostico, l’alunna o l’alunno, su richiesta della famiglia e conseguente approvazione del consiglio di classe, è esonerato dall’insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico personalizzato. In sede di esame di Stato sostiene prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, con valore equivalente ai fini del superamento dell'esame e del conseguimento del diploma.

Per questa disposizione, infatti, lo studente che lo richiedesse avrebbe la possibilità di non studiare alcuna lingua straniera nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, risultando esonerato dalla prova all’Esame di Stato e ottenendo comunque il diploma. Questo avverrebbe alle seguenti condizioni: un’opportuna indicazione sulla diagnosi, la richiesta della famiglia e l’approvazione del Consiglio di classe. Come evidenzia l’Associazione Italiana per la Dislessia nell’articolo che commenta questa misura7, la scelta di esonerare lo studente dalle

discipline linguistiche potrebbe comportare una serie di conseguenze negative, visto e considerato che lo studio delle lingue è importante per tutti, specie nella nostra società complessa e multiculturale. Bisognerebbe, invece, investire nella formazione dei docenti e nella loro sensibilizzazione per adottare un approccio didattico «strutturato, sequenziale, multisensoriale, attento a fornire ripetuti rinforzi»8. Se si

compiono le scelte metodologiche giuste, infatti, «non c’è alcun motivo per cui uno studente dislessico non possa imparare, almeno ad un livello base, un’altra lingua o anche più lingue» (Gabrieli, Gabrieli, 2008, p.14). Talvolta, la scelta di esonerare il ragazzo dallo studio delle lingue straniere potrebbe essere intrapresa da famiglie in

7 AID, Riflessioni sul Decreto legislativo n. 62/2017:

https://www.aiditalia.org/it/news-ed-eventi/news/riflessioni-nuove-norme-esami-primo-ciclo (visitato il 10/12/2019)

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stato di frustrazione che comprensibilmente trarrebbero giovamento dall’alleggerimento consistente del carico di studio (ed emotivo) del proprio figlio.

Tuttavia, questo appare come un vantaggio solo nel breve termine: non solo le lingue sono essenziali per il futuro lavorativo di ogni giovane di oggi, ma è stato riscontrato in diversi studi (vedi par. 1.3) che l’approfondimento di una lingua (se adeguatamente adattato ai bisogni dello studente) può giovare all’intero sistema cognitivo, con effetti positivi anche sulla lingua madre. Per questo motivo, lo studio delle lingue straniere non va visto come fine a se stesso, ma come elemento essenziale della formazione di una persona, nonostante gli “ostacoli” che si possono presentare nel processo di apprendimento. La scuola dovrebbe dare a ognuno ciò di cui ha bisogno e garantire il successo formativo, non «togliere a degli studenti la possibilità di diventare cittadini competenti nella società globale della conoscenza»9.

1.3 I DSA e lo studio delle lingue straniere

Come abbiamo visto, quindi, la posizione rispetto alla possibilità che uno studente con un disturbo specifico dell’apprendimento possa imparare una lingua straniera (LS) è spesso accompagnata da un buon grado di scetticismo. Questo avviene anche a causa di un pregiudizio che vede il compito di studiare un’ulteriore lingua come troppo complesso o addirittura come dannoso per il deficit dell’allievo (Daloiso, 2012, p. 61). Tali posizioni non sono affatto supportate dalla letteratura glottodidattica internazionale che, al contrario, incoraggia l’insegnamento delle lingue straniere e ne delinea i fattori che possono incidere sui processi di apprendimento.

Se la conoscenza di una LS è ritenuta essenziale per l’arricchimento di una persona e per il suo inserimento nel mondo, è tuttavia raro che ci si soffermi a riflettere sul contributo che essa può dare a uno studente con disturbi specifici dell’apprendimento, anche al di là dei meri risultati di carattere linguistico. Tra questi

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si possono annoverare effetti positivi a livello personale (Daloiso, Melero Rodríguez, 2016), perché lo studio della nuova lingua straniera si intraprende da zero, quindi dallo stesso livello dei compagni: per questo motivo, se si adottano strategie che favoriscono l’accessibilità glottodidattica (Daloiso, 2012), si può innalzare il livello di autostima spesso carente negli studenti con DSA. Non a caso, essi dimostrano un generale atteggiamento di entusiasmo e curiosità verso le lingue straniere, percepite come occasione di riscatto, ma queste aspettative vengono spesso disattese da atteggiamenti e metodologie glottodidattiche non adeguate e accessibili a tutti (Arnold, Brown, 1999; Piechurska-Kuciel in Kormos, Kontra, 2008). In questo caso, si può incorrere perfino a un peggioramento della situazione psico-cognitiva dello studente, che va incontro a scoraggiamento e al rifiuto della materia. Viene così a mancare un principio base della glottodidattica secondo cui l’apprendimento non può andare a buon fine se viene a mancare la volontà di imparare (Balboni, 2011).

Un altro beneficio, più di carattere strumentale, si riferisce all’eliminazione di ogni barriera all’accesso al mondo del lavoro, nazionale e internazionale. Senza dubbio, la conoscenza di una LS è un requisito fondamentale per raggiungere molti profili lavorativi.

Lo sviluppo di una didattica delle LS che tenga conto delle peculiarità degli studenti con DSA risulta dunque necessario. Per questo motivo, alla classificazione proposta in precedenza, si aggiunge anche la definizione BiLS, Bisogni Linguistici Specifici (Daloiso, 2013):

Per Bisogni Linguistici Specifici10 (BiLS) s’intende l’insieme delle difficoltà evolutive di

funzionamento, permanenti o transitorie, in ambito educativo e/o apprenditivo, dovute all’interazione dei vari fattori di salute secondo il modello ICF, che interessano primariamente lo sviluppo della competenza comunicativa nella/e lingua/e materna/e ed incidono significativamente sull’apprendimento di altre lingue (seconde, straniere, classiche)

10 La scelta di utilizzare il termine specifico piuttosto che speciale è dovuta a una riflessione di natura

semantica: spesso, infatti, speciale viene usato in contrapposizione a normale. In questo caso, infatti, non c’è alcuna giustificazione nel distinguere questi bisogni da quelli che ha uno studente con sviluppo tipico. (p. 644)

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al punto da richiedere interventi di adattamento, integrazione o ristrutturazione del percorso di educazione linguistica.

Un’ulteriore classificazione potrebbe sembrare una complicazione di un panorama già articolato (Daloiso, 2013, p. 644), ma nello stesso articolo viene spiegato come le istituzioni che si occupano di educazione manifestino sempre più spesso la necessità di identificare categorie atte a progettare politiche educative più inclusive. Inoltre, è bene notare che non tutti i BES richiedono interventi di adattamento o modifica del programma di educazione linguistica.

L’autore fornisce una proposta di classificazione dei Bisogni Linguistici Specifici, dalla quale la nostra ricerca può prendere le mosse:

Una proposta di classificazione dei Bisogni Linguistici Specifici (Daloiso, 2013, p. 647)

Un paradigma ormai condiviso in glottodidattica (Balboni, 2011), vede la competenza comunicativa in lingua straniera come costituita da tre componenti: la competenza linguistica (fonologia, morfosintassi, semantica), la competenza socio-pragmatica (gestire le variabili legate al contesto) e la competenza extra-linguistica (i linguaggi non verbali, come la mimica). A questi tre nuclei si aggiunge la competenza

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metalinguistica, cioè la riflessione sulla lingua, consentita da un collegamento tra linguaggio e cognizione: proprio nei passaggi tra la mente e l’azione comunicativa possono emergere alcuni Bisogni Linguistici Specifici. Già da bambini, alcuni presentano difficoltà nella comprensione e nell’uso della morfosintassi e del lessico della lingua materna, dunque la glottodidattica della LS dovrà essere particolarmente attenta perché mancheranno determinati prerequisiti che si danno spesso per scontati. L’impostazione tradizionale della lezione di lingua, infatti, pone diversi problemi all’allievo con DSA e spesso rischia di fargli assumere un carico cognitivo eccessivo.

Una prima barriera si riscontra già a livello di memoria di lavoro, essenziale per l’elaborazione iniziale dell’input e utile, ad esempio, negli esercizi che prevedono una lettura/ascolto e una successiva comprensione del testo. Il deficit a livello di memoria di lavoro non è, però, indiscriminato: lo studente potrebbe trarre giovamento da un’elaborazione uditiva oppure visuo-spaziale dell’input, in base al suo stile di apprendimento.

Le attività di comprensione sono più difficoltose se presentano unicamente un testo scritto: la dislessia agisce primariamente sulla decodifica, prerequisito necessario ad accedere al significato di un brano (entrano così in gioco strumenti compensativi come la sintesi vocale).

In merito alla comprensione orale, ci possono essere casi di specifiche difficoltà, legate soprattutto a una bassa consapevolezza fonologica che rende complessa l’identificazione delle unità di significato all’interno del flusso di parola.

Per quanto riguarda le abilità produttive, la difficoltà può emergere nell’articolazione di alcuni suoni, soprattutto all’interno di parole non familiari. Anche la fluenza può essere limitata, in quanto diretta conseguenza di un’automatizzazione di alcune procedure linguistiche. In generale, però, queste aree risultano un problema che rientra nella norma se si considera che si è nel quadro dell’apprendimento di una LS.

In riferimento all’abilità di scrittura, vanno considerate anche la disgrafia e la disortografia, spesso associate tra loro a determinare profili di studenti molto diversi;

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gli strumenti compensativi, in questo caso, possono essere il computer e il correttore automatico. Come tiene a sottolineare Daloiso (2012, p. 70), però, se è vero che le problematiche evidenziate rendono più difficili alcuni compiti, esse non impediscono a priori lo sviluppo di tutte le abilità linguistiche, perciò è essenziale un attento e specifico intervento da parte del docente.

A conclusione di questa breve analisi generale, è bene prendere in esame anche le abilità socio-pragmatiche. Sempre più frequentemente, infatti, la glottodidattica è finalizzata a sviluppare abilità linguistiche che entrino in gioco in situazioni comunicative precise (come salutare, ringraziare, argomentare, chiedere informazioni…). In questo caso, non sono stati riscontrati particolari impedimenti teorici allo sviluppo dell’efficacia comunicativa da parte dello studente con DSA, ma va tenuta presente l’influenza che questi disturbi possono avere sul piano psicologico, che ha un ruolo fondamentale nella produzione di lingua: per questo, è essenziale che nell’ambiente di apprendimento e di uso regnino la serenità e la positività, per evitare gli ormai frequenti stati di frustrazione dell’alunno con DSA.

1.3.1 I DSA in prospettiva cross-linguistica

Un fattore da prendere in considerazione quando si parla di didattica della LS, è sicuramente la natura della lingua straniera che si va a insegnare. Sono stati compiuti alcuni studi a proposito, come quello che ha portato all’ipotesi della “dislessia differenziale” di Smythe (2004) secondo cui si potrebbe essere dislessici in una lingua ma non in un’altra. Egli offre una comparazione di 118 lingue e i dati raccolti confermano che, indipendentemente dalla lingua, i soggetti dislessici mostrano problemi nella consapevolezza fonologica (ulteriore dimostrazione della natura neurobiologica della dislessia). Secondo Smythe, i sistemi ortografici delle lingue incidono sulle manifestazioni dei DSA: nelle lingue cosiddette “opache” abbiamo scarsa fluenza e difficoltà di spelling, mentre nelle “trasparenti” il problema maggiore è la velocità di lettura.

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Nell’affrontare questa tematica, Daloiso (2012) propone una griglia con le lingue più frequentemente studiate nella scuola italiana, ritenendo accettabile considerare solo una forma più “debole” di dislessia differenziale:

TRASPARENZA

ORTOGRAFICA AFFINITÀ LINGUISTICA CON L’ITALIANO

Fonologia Morfo-sintassi Lessico Francese Moderata Moderata Alta Alta

Inglese Bassa Bassa Moderata Moderata

Spagnolo Alta Alta Alta Alta

Tedesco Alta Bassa Bassa Bassa Fattori incidenti sulla dislessia differenziale, Daloiso (2012, p. 75)

Come si evince dalla tabella, i fattori presi in considerazione sono:

a. La trasparenza ortografica: in questo caso nelle lingue opache appare anche l’inaccuratezza oltre alla lentezza.

b. l’affinità linguistica: è il grado di somiglianza tra le lingue e può avvenire a livello di:

- fonologia: riguarda soprattutto la capacità discriminazione delle sillabe e la differenza principale è tra lingue isosillabiche o isoaccentuali;

- morfo-sintassi: le diverse modalità di formazione nominale e verbale;

- lessico: il grado di somiglianza semantica e formale tra la lingua straniera e quella materna.

Alcune lingue risultano, dunque, meno problematiche per l’alunno dislessico italiano. Tale considerazione non deve, però, suggerire di evitare alcune lingue, bensì dare una linea guida al docente che si appresta a insegnarle sul grado di competenza perseguibile.

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17

1.3.2 Il caso della lingua francese

Gli studi sull’apprendimento della lingua francese per le persone con DSA non sono molti e si concentrano soprattutto in Canada o in Svizzera (in misura minore), cioè in paesi dove il francese è una delle lingue ufficiali e ne è richiesta la conoscenza a fini lavorativi e/o sociali. Siamo quindi in un contesto di lingua seconda (L2) più che di lingua straniera (LS)11, perciò gli studi dovranno essere guardati in quest’ottica,

anche se le difficoltà e gli errori commessi sono simili (Celentin, 2012). Ad oggi, le pubblicazioni specifiche sulla didattica della lingua francese a stranieri con DSA sono molto poche, soprattutto se confrontate con la mole di studi compiuti sulla lingua inglese.

Come emerge dalla tabella riportata poco sopra (Daloiso, 2012), il francese è una lingua considerata “mediamente opaca”, perché conta 190 grafemi per realizzare 35 fonemi (in italiano, lingua cosiddetta “trasparente” abbiamo 33 grafemi per rappresentare 25 fonemi; in inglese, lingua nettamente opaca, 1120 grafemi per rendere 40 fonemi). In francese, però, si possono apprendere alcune regole per automatizzare la scrittura della maggior parte dei suoni, riuscendo così a scrivere correttamente circa il 50% delle parole. Le rimanenti possono essere lette avendo già in mente l’immagine sonora della parola, attraverso la via lessicale; un esempio possono essere le parole irregolari come tabac e femme, lette erroneamente come /tabak/ e /fem/ invece che come /taba/ e /fam/. L’ortografia della lingua francese è un elemento da sempre largamente dibattuto, i tentativi di riforma e di normalizzazione sono innumerevoli e continuano ancora oggi (senza essere accolti dai “puristi” della lingua)12. Esemplari sono le parole di Paul Valéry:

Je ne parlerai donc pas de notre orthographe, malheureusement fixée, en toute ignorance et absurdité, par les pédants du XVIIe siècle et qui n’a cessé depuis lors de désespérer l’étranger et de vicier la prononciation de nos mots. Sa bizarrerie en a fait un

11 La lingua straniera è la lingua che viene studiata in una zona in cui essa non è presente se non a

scuola; la lingua seconda è quella che lo studente trova anche nel contesto extra-scolastico (Balboni, 2011, p. 117).

12 Cfr. DISTER A.,MOREAU M.L. (a cura di), Reforme de l’orthographe française - Craintes, attentes et

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moyen d’épreuve sociale: celui qui écrit comme il prononce est, en France, considéré inférieur à celui qui écrit comme on ne prononce pas.13

Se entriamo nel campo dei disturbi dell’apprendimento, la problematica dell’ortografia si fa ancora più complessa. Un allievo con DSA può trovare particolari difficoltà soprattutto in questi ambiti:

a. La compitazione: si presentano numerose anomalie (es. il raddoppiamento delle consonanti che non segue regole precise);

b. L’accento: l’assenza dell’accento tonico su ogni parola rende particolarmente difficile la comprensione e la discriminazione dei segmenti di frase;

c. La liaison: la sua presenza rende difficile la distinzione e il confine tra le parole.

Lo studio di Celentin (2012) fornisce un’esaustiva tabella che presenta gli errori tipici dell’allievo con DSA in francese: questo strumento è utilissimo per i docenti di lingua, perché permette di classificare gli errori e valutarli per la loro natura:

Tipologia di errore

Abilità in cui si

manifestano Descrizione Esempi

Errori a dominante fonetica Produzione orale e scritta Omissione di

lettere pote al posto di porte

sillabe paye al posto di papaye

parole

cerniera à, où, et, qui, sur, sous Aggiunta di lettere arbustre al posto di arbuste

Inversione cra al posto di car,

fitre al posto di frite

Confusione di origine uditiva consonanti sorde e consonanti sonore /f/ = /v/, /s/ = /z/, /c/ = /g/ ecc.

e quindi le coppie minime come boule-poule,

faut-vaut, cran-grand, tard-dard

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19 nasali

/un/ = /in/, /m/ = /n/, /on/ = /an/, ecc. e quindi le coppie minime come “mille”-“nil”

Confusione di origine visiva

u = n, b = d, m = n, ou = on, p = q, h

= l ecc.; e quindi le parole come fête

e père, belle e balle ecc. oppure le parole con

aspetto simile importance e

impotence, dans e danse, obstacle e spectacle.

Errori legati alle regole di

lettura Lettura

Lettere c,g,s cent letto /cent/ al posto di /san/ genoux letto /gienu/ al posto /jenu/

L mouillé ill, ail, eil Suoni complessi

(semivocali) e parole lunghe

ien, oin, ecc. e le parole come philoso- phique, inestimable, proprieté ecc. Errori nella individuazione delle parole nella frase. Produzione scritta Fusione «jaime» al posto di

«j’aime» «pluvite» al posto di «plus vite» «onnetalé» al posto di «on est allé» «chessoi» al posto di «chez soi» «féduski» al posto di «fait du ski» «quarantan» al posto di «quarante ans»

Segmentazione «d’ossié» al posto di «dossier» Errori legati

all’ortografia degli omofoni

Produzione scritta

Omofoni grammaticali a=à,on=ont,et=est,son=sont

Omofoni lessicali ver, vers, verre, vert mer, mère, maire sang, sans, cent

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20 Grafie non esistenti in francese Produzione scritta

A differenza degli errori nella segmentazione delle parole nella frase, qui si tratta di parole che non possono esistere

in francese perché contrarie alle regole di conversione fonema/ grafema.

«il au» al posto di «il a eu» «carrte» al posto di «carte» «il avè» al posto di «il avait» Errori grammaticali Produzione sia scritta che orale Mancato riconoscimento della natura delle parole e difficoltà nell’analisi della loro funzione

«Il a été en France»: été viene inter- pretato come sostantivo «estate» e la frase diventa

incomprensibile Errori di accordo «Une fête amusant» al posto di «Une fête

amusante» Confusione

nell’individuazione del tempo dei verbi

«Ils étaient jeunes»: étaient viene recepito all’orale come participio passato été e la frase diventa incom- prensibile In generale, difficoltà di comprensione e di applicazione delle regole di grammatica. Ad esempio, confusione della prepo- sizione articolata du: «Les étudiants de le lycée» al posto di «Les étudiants du lycée»

Errori tipici dell’allievo con DSA in francese LS, Celentin (2012)

Un primo elemento da considerare nell’apprendimento della lingua francese è la “consapevolezza fonologica”, cioè la capacità di identificare e manipolare i fonemi o le sillabe. Alcune volte, anche gli studenti che frequentano la scuola secondaria e non presentano disturbi specifici dell’apprendimento possono dimostrare fatica nel memorizzare la corrispondenza tra grafemi e fonemi, quindi un lavoro in questo senso può portare giovamento all’intera classe. Alcuni meccanismi critici sono la

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modalità d’uso della cediglia, i casi in cui /g/ e /c/ sono dolci o duri, grafemi complessi come euil, eil, ail.

Un dato da tenere in considerazione, è anche che circa il 67% degli studenti dislessici è anche affetto da un disturbo cosiddetto “fonologico” (Barrouillet et al., 2007) che porta a frequenti errori di decodifica nella lettura (come confusione dei suoni, inversione delle lettere, difficoltà di segmentazione lessicale e difficoltà a leggere le parole meno frequenti), ma anche nella lingua orale, nella memoria verbale a breve termine e nelle capacità metafonologiche.

Per favorire l’alleviarsi dello stress legato all’apprendimento sarebbe bene mostrare spesso le regolarità della lingua francese, soprattutto in chiave comparativa con l’italiano (un esempio possono essere i prefissi e i suffissi, che si aggiungono alle parole in maniera del tutto regolare). Un lavoro breve, ma metodico, è da privilegiare in ogni caso. Per apprendere il lessico, per esempio, si possono presentare delle parole decontestualizzate e poi proporre all’allievo di trovarne altre che seguono la stessa regola; egli potrà così sistematizzarle in una tabella (meglio se al computer, con correttore automatico) e accorgersi in questo modo delle regolarità e delle irregolarità della lingua, prima ancora di entrare nel contesto. È comunque consigliato lavorare sull’ortografia in sessioni brevi, ma ripetute (se possibile) ogni settimana, in momenti in cui la concentrazione dell’alunno è alta. Questo processo dovrebbe portare il ragazzo a rendersi conto che la lingua è un sistema che ha una certa regolarità al suo interno.

Anche i rimandi alla storia della lingua possono stimolare la curiosità dello studente, che insieme a capire i motivi di una determinata irregolarità, si può sentire all’interno di un compito sfidante e complesso, meno infantile delle solite attività (per esempio, ricordando che l’accento circonflesso è una s che è sparita nel tempo, come nel caso di hôpital).

Un’altra tappa è sicuramente l’acquisizione delle marche finali scritte del genere, del numero e della persona, nella maggior parte dei casi non pronunciate. Anche la revisione di alcuni omofoni può essere utile ad allenare la consapevolezza fonologica, ma per essere efficace, dev’essere svolta affrontando una sola parola per

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volta, in quanto il confronto potrebbe aumentare la confusione. A questo punto, si potranno utilizzare mnemotecniche come le rime, le analogie, i gesti (meglio se con una buona dose di divertimento) ma anche il confronto con la propria lingua.

Per riassumere, il docente dovrà essere più attento a farsi comprendere, dovrà aiutare lo studente a percepire suoni nuovi e a cogliere il significato in base al contesto. Sarà utile un più ampio ricorso alla lingua materna e un insegnamento più sistematico ed esplicito, alla ricerca di regolarità ed eccezioni. Il lato positivo, è che da questi processi potrà trarre giovamento l’intera classe: è il principio sul quale si basa la didattica inclusiva, che introdurremo nel prossimo capitolo. Nel capitolo quarto, invece, riprenderemo gli aspetti peculiari della lingua francese proponendo attività per favorire il suo apprendimento.

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Capitolo 2

La didattica inclusiva

2.1 I caratteri della didattica inclusiva

Una delle caratteristiche prioritarie della didattica è senza dubbio quella di essere “inclusiva”. Con questo termine si intende che il compito della scuola è, oltre a garantire la partecipazione di tutti gli studenti alla vita scolastica, quello di rimuovere tutti gli ostacoli.

Il primo manifesto della scuola inclusiva può essere identificato nella Dichiarazione di Salamanca14, documento emanato nel 1994 dall’UNESCO per

garantire a tutti il diritto allo studio. In questo piano di intervento viene menzionato il modello dell’Inclusive Education, il quale prevede che i sistemi educativi sviluppino una pedagogia centrata sul singolo alunno e che risponda alle differenze di ognuno; si fonda, quindi, su una nuova idea (Lascioli, 2011): le differenze possono diventare una risorsa, ma la loro identificazione deve essere intercettata da un sistema educativo capace di assolvere a questo compito.

È da questo momento che gli studiosi cominciano a parlare di didattica inclusiva e la diversità inizia a essere considerata come una condizione normale, nell’aula come nella società (Pavone, 2014). Il sistema scolastico dovrà, man mano, adattarsi ai nuovi scenari, ma non dimentichiamoci che la Costituzione italiana, ancor prima della Dichiarazione di Salamanca, diceva: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva

14 Dichiarazione di Salamanca (UNESCO, 1994):

http://www.iclamon.org/wordpress/wp-content/uploads/2014/11/DichiarazionediSalamanca-1994.doc (visitato il 10/12/2019).

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partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art.3). I diritti linguistici e di uguaglianza presenti nella Costituzione sono riportati anche in un testo fondamentale per la didattica delle lingue, le Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica15 elaborate dal GISCEL (Gruppo di Intervento

e di Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) negli anni ‘70 per definire i presupposti teorici basilari e le linee d’intervento dell’educazione linguistica.

Negli ultimi anni, in particolare, la sfida della scuola è quella di assumere le caratteristiche di un ambiente che possa rispondere alle necessità di tutti gli studenti con BES, quindi includere un numero di studenti ben più ampio rispetto a prima. Ricordiamo che da una recente ricerca del MIUR (2018) i numeri risultano essere i seguenti (ci si limita solo agli studenti con DSA, se ampliassimo ai BES il numero aumenterebbe drasticamente):

Ordine di scuola Alunni con DSA Totale alunni % alunni con DSA

Infanzia16 774 1.518.843 0,05%

Primaria 53.832 2.764.810 1,95%

Sec. I grado 92.483 1.711.954 5,40%

Sec. II grado 107.525 2.664.967 4,03%

TOTALE 254.614 2.664.967 2,94%

Fonte: MIUR - DGCASIS - Ufficio Statistica e Studi - Rilevazioni sulle scuole

Sovente, accanto alla nozione di inclusione, si può trovare quella di integrazione (talvolta riservata, per esempio, agli studenti neoarrivati in Italia che presentano, dunque, un BES). Come fa notare Pavone (2014, p. 161):

Alle spalle del concetto di integrazione (da integro, «rendere qualcosa completo, più valido aggiungendovi ulteriori elementi»; «inserire una persona in un ambiente, in modo che

15 Giscel, Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica:

https://giscel.it/dieci-tesi-per-leducazione-linguistica-democratica/

16 “Per la scuola dell'infanzia e per il I e il II anno della scuola primaria si tratta di alunni a rischio di

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ne diventi parte organica») c’è la visione sistemica appartenente alla nostra migliore tradizione, per cui la qualità dell’azione educativo-didattica è determinata dal reciproco adattamento-accomodamento attivo tra l’individuo e il contesto, oltre che dalla disponibilità di risorse efficaci ed efficienti, adeguate alla situazione.

L’autrice suggerisce, quindi, che il paradigma dell’integrazione sia molto diverso da quello dell’inclusione, perché in questo caso l’aiuto viene fornito al fine di inserire lo studente in un ambiente strutturato per persone “normali” (Ventriglia, Storace, Capuano, 2015, p. 59). L’inclusione, invece, prevede un approccio rivolto ad un gruppo considerato eterogeneo a priori, che fornisca a tutti le stesse occasioni formative ed educative. Gli interventi, infatti, sono indirizzati al sistema nel suo insieme e ogni variabile è pensata per essere destinata ad ogni tipologia di utente. In questo senso, il docente inclusivo (Ventriglia et al., 2015, p. 62) sarà pronto a: valutare la diversità dell’alunno (apprendere le differenze e identificare le modalità più valide per rispondervi); sostenere l’alunno (promuovendo il suo apprendimento e sviluppando una serie di caratteristiche quali l’indipendenza, la socializzazione e l’autostima); lavorare con gli altri (costruire una rete con gli altri docenti, le famiglie e i professionisti); aggiornarsi sia a livello professionale che a livello personale.

La realizzazione di una scuola inclusiva, infatti, non può che andare di pari passo con la creazione di una cultura e di un ambiente inclusivi che circondino gli studenti. In tale prospettiva, gli insegnanti assumono il ruolo di punti di riferimento e mediazione tra i professionisti che conducono le ricerche e il sistema scolastico. Il modello, in ogni caso, non è uno unico, ma sono valorizzate alcune linee guida e strategie didattiche da adattare ai diversi contesti.

2.2 L’accessibilità glottodidattica

Rientrando nel campo di indagine della glottodidattica, l’adattamento dei materiali risulta essere un’ulteriore caratteristica atta al compimento di una didattica inclusiva.

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Negli ultimi anni, come sottolinea Daloiso (2012), il tema dell’insegnamento delle lingue agli studenti con DSA sta riscontrando un aumento di interesse, tanto che sono numerose le nuove pubblicazioni a riguardo. Si assiste alla creazione di materiali e strumenti a supporto della glottodidattica sia da parte delle case editrici, sia da parte di docenti o professionisti. È essenziale, però, che queste azioni si inseriscano in un quadro teorico ben definito, fatto di principi sortiti dalle numerose ricerche nel campo della glottodidattica tradotti, poi, nel concreto.

In questi casi, si utilizza un termine adottato precedentemente dai campi dell’informatica e della pedagogia speciale: “accessibilità”. Esso si ritrova spesso con riferimento alla fruibilità di un prodotto tecnologico, talvolta come strumento assistivo per le persone con disabilità.

Se ci spostiamo nel campo della glottodidattica, però, riscontriamo che l’utilizzo di questo termine è relativamente nuovo, tanto che nei dizionari di recente diffusione (Treccani17, Hoepli18) vengono riportate definizioni come «possibilità di facile

accesso», che non aiutano nel nostro caso. Per quanto riguarda l’aggettivo “accessibile”, però, il dizionario Treccani riporta anche un’accezione figurata, che si può applicare a persone, nozioni o processi.

Secondo Daloiso (2012, p. 95), quindi, il termine risulta polivalente e include: «la disponibilità e la facilità di accesso fisico, l’intelligibilità cognitiva, nonché l’insieme delle tecniche che consentono di creare prodotti con queste caratteristiche o di veicolare informazioni rispettando questi criteri».

Per questo motivo, l’accessibilità può riguardare, oltre l’uso delle tecnologie in classe, anche tutte quelle tecniche che rendono fruibili le risorse didattiche e comprensibili i materiali utilizzati ai fini dell’apprendimento. Lo stesso autore, per delineare una definizione di riferimento sull’accessibilità glottodidattica, la definisce come:

17 Accessibilità su Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/accessibilita/ 18 Accessibilità su Dizionario Hoepli:

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un processo costituito da precise scelte teorico-metodologiche che il docente compie allo scopo di garantire pari opportunità di apprendimento linguistico all’allievo con bisogni speciali massimizzando l’accesso (e dunque rimuovendo le relative barriere) ai materiali, ai percorsi e alle attività didattiche a livello fisico, psico-cognitivo, linguistico e metodologico. (Daloiso 2012, p. 99)

Egli ci fa notare che in questo caso non si tratta di un nuovo approccio nell’insegnamento, ma di un insieme di scelte adottate dal docente sul piano metodologico per sostenere gli studenti che presentano bisogni specifici. Come da definizione, un ruolo chiave lo hanno i materiali didattici, i quali incidono fortemente sull’efficacia dell’insegnamento (rappresentano, infatti, il riferimento sul quale gli studenti si preparano in classe e a casa) e non devono, quindi, presentare barriere all’apprendimento.

Dalla definizione, comprendiamo che l’accessibilità glottodidattica è percepita come un processo trasversale alle varie fasi della progettazione didattica: entra quindi in gioco nell’analisi dei bisogni, nella programmazione, nella creazione di materiali, nella gestione della lezione e nella valutazione. Possono così essere identificati più livelli sui quali l’accessibilità glottodidattica può intervenire.

Il primo è quello “macro”, che riguarda le scelte teoriche di fondo che vengono applicate nell’educazione linguistica, come la scelta degli obiettivi di apprendimento, dei metodi e dei criteri di valutazione, ma anche della continuità didattica a livello orizzontale (tra le diverse lingue) e verticale (tra i vari gradi scolastici).

L’altro livello è quello “micro”, che invece riguarda le strategie che si impiegano per aumentare l’accessibilità delle singole componenti del percorso glottodidattico (come l’impianto delle unità didattiche e delle lezioni) e del materiale didattico. Anche se questi interventi vengono inevitabilmente declinati diversamente per ogni contesto di apprendimento nel quale il docente si trova, possono essere identificati quattro principi fondamentali per una didattica accessibile a questo livello (Daloiso, 2012): la sistematicità, la multisensorialità, la multimedialità, l’adattamento, che ripercorreremo più nel dettaglio nel capitolo 3 per la nostra analisi dei manuali di lingua francese.

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La sistematicità prevede che la lezione appaia chiara e strutturata agli occhi dello studente, con fasi metacognitive in apertura e in chiusura che sottolineino gli obiettivi da raggiungere e frequenti ricapitolazioni. A questo proposito, può essere utile predisporre schemi delle lezioni e delle unità e successivamente guidare lo studente in una mappatura cognitiva della lezione, nella quale possa ripercorrere i contenuti affrontati, le attività, gli obiettivi.

La multisensorialità risiede nel piano neuropsicologico e in numerosi studi che affermano come «un determinato input linguistico viene interiorizzato in maniera tanto più stabile quanto maggiore è il numero di canali sensoriali attivati» (Daloiso, 2012, p. 139). Questo diventa una necessità nel caso degli apprendenti con BiLS, perché l’integrazione di più linguaggi agisce da compensatore e può aggirare le barriere dello studente attraverso l’uso di canali sensoriali diversi. Alcune strategie sono la codificazione cromatica, i supporti sensoriali (immagini, oggetti…), le attività psicomotorie o le esperienze olistiche (teatro, scoperta...).

La multimedialità si configura come indispensabile per uno studente con BiLS, che utilizza strumenti compensativi senza i quali le sue competenze sarebbero compromesse. Nell’ambito della progettazione didattica, però, il docente deve essere in grado di scegliere le glottotecnologie in un’ottica inclusiva, consapevole che non tutte sono adeguate ai bisogni degli studenti e che il loro uso debba essere di sostegno e di supporto, non creare ulteriori difficoltà. Alcuni criteri possono essere l’intuitività e la flessibilità delle risorse, l’interattività, la supplementarietà o la complementarietà con il lavoro del docente (Porcelli, 2004), ma anche la conoscenza e la preparazione all’utilizzo da parte dell’insegnante.

L’adattamento è l’aspetto su cui ci focalizzeremo di più, perché in un certo senso coinvolge anche i princìpi precedenti. L’obiettivo del docente, come già detto, deve essere la rimozione delle barriere e questo avviene adattando l’input ai bisogni educativi dei suoi studenti. Alcune strategie sono la decelerazione (il programma deve essere proporzionato al monte ore e non bisogna avere l’ansia di completarlo a tutti i costi), la ridondanza, la semplificazione e la segmentazione (per seguire i ritmi dell’apprendimento degli studenti).

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2.3 Le tecniche dell’accessibilità per le lingue straniere

Per valutare il grado di accessibilità dei materiali glottodidattici, si devono studiare attentamente le funzioni cognitive che lo studente attiva quando si avvicina a quegli elementi. Secondo Daloiso (2012) questo è un aspetto fortemente sottovalutato dalla ricerca scientifica, la quale si è dedicata prevalentemente alla conoscenza dei fenomeni e alla definizione di principi teorici e metodologici generali. A questo proposito, viene delineato un modello (Daloiso, 2012) che descrive i livelli di interazione tra lo studente e i manuali di lingua che tiene particolarmente conto dei processi cognitivi messi in atto dallo studente, in particolare:

a. il riconoscimento: come lo studente si orienta all’interno nel manuale, sia nel suo insieme, sia nelle singole parti;

b. l’elaborazione: come lo studente comprende e studia i contenuti del materiale (vengono offerti strumenti e strategie per la memorizzazione, la rielaborazione e la sintesi?);

c. l’applicazione: come lo studente riutilizza le conoscenze apprese e le trasferisce, come esercita le abilità acquisite (per esempio, nei manuali disponibili sono spesso assenti sezioni di stampo metacognitivo nelle quali lo studente può riflettere sul suo livello di apprendimento).

Una tabella può sintetizzare i tre livelli cognitivi ed elencare alcune delle possibili azioni che lo studente compie di fronte al materiale didattico o al manuale. Gli allievi con DSA possono riscontrare difficoltà in tutti i livelli citati.

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Livello cognitivo Contatto superficiale con il materiale didattico Comprensione e studio del materiale didattico Applicazione delle conoscenze, esercitazione delle abilità Possibili azioni

dell’apprendente • Si orienta nello spazio della pagina; • Individua gli obiettivi didattici e la struttura del materiale; • Comprende le richieste degli esercizi; • Analizza rapidamente il materiale a livello visivo; • Riesce ad applicare quanto ha appreso attraverso gli esercizi; • Comprende la natura e la funzione del materiale; • Riflette sulla lingua (lessico, regole grammaticali, funzioni comunicative) a partire dai supporti offerti dal materiale didattico (schemi, tabelle, spiegazioni ecc.); • Si esercita sulle singole abilità in modo graduale e sistematico; • Associa la consegna del docente a quanto presentato nel materiale; • Valuta la propria performance e il proprio livello di apprendimento; • Decodifica il

testo scritto; • Memorizza, rielabora, personalizza e

• Individua possibilità per il recupero o il

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31 • Ricerca le informazioni rilevanti per il compito. sintetizza il materiale da apprendere. potenziamento delle proprie abilità.

Livelli cognitivi e fruizione del materiale didattico, Daloiso (2014, p. 43)

Un primo problema sorge nel processo di riconoscimento, laddove la ricerca da parte degli editori nel rendere il materiale accattivante comprometta la sua accessibilità; alcune scelte grafiche, infatti, seppur ricercate esteticamente, potrebbero rendere il materiale visivamente poco chiaro. Queste osservazioni valgono sia per il livello “micro” (le sezioni e le pagine), che per il livello “macro” del manuale, cioè l’organizzazione generale che permette una ricerca rapida e funzionale delle informazioni.

Il motivo di tali ostacoli risiede in un basso livello di leggibilità sia su un piano tipografico (legibility), sia su quello di organizzazione dei contenuti (readability). Per questo motivo, Daloiso (2014, p. 47) ha tradotto e riportato sul suo volume la “Guida stilistica della British Dyslexia Association”, molto utile per chiunque si approcci alla creazione di materiale didattico.

Guida stilistica della British Dyslexia Association19

1. Accessibilità di un testo scritto

Lo scopo di questa sezione è assicurarsi che i materiali scritti prendano in considerazione lo stress visivo che molte persone con dislessia vivono, e facilitarne perciò l’accessibilità grafica. Applicare queste buone pratiche per i lettori dislessici ha il vantaggio di rendere i documenti più accessibili graficamente a tutti i lettori.

1.1. Materiale

• La carta dovrebbe avere uno spessore tale da impedire che si intraveda quanto è scritto nell’altro lato del foglio.

• Utilizzare preferibilmente la carta opaca rispetto a quella patinata.

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32

• Evitare sfondi bianchi, che possono risultare troppo abbaglianti; si possono usare piuttosto sfondi chiari color pastello.

1.2. Font

• Utilizzare font semplici20, senza grazie e che distanziano sufficientemente le lettere (ad

esempio, Arial, Comic Sans, o in alternativa Verdana, Tahoma, Century Gothic). Nel selezionare il font migliore ci si dovrebbe assicurare anche che:

- le lettere b/d e p/q siano distinte in qualche modo;

- la lettera i maiuscola, la l minuscola e il numero 1 non sembrino uguali; - la distanza tra le lettere sia tale da non far confondere rn con m.

• La dimensione del font dovrebbe essere di 12-14 punti (a seconda del tipo di font e della severità della dislessia).

• Scrivere il testo con un font di colore scuro su sfondo chiaro (non bianco); vanno evitati colori come il rosso e il rosa, che possono creare difficoltà a studenti daltonici.

1.3. Titoli ed evidenziazioni

• Per evidenziare una parola utilizzare preferibilmente il grassetto; le sottolineature e il corsivo, invece, vanno evitati perché fanno sembrare le lettere “tutte attaccate”.

• Evitare il maiuscolo, in quanto può risultare di difficile lettura21; se si vuole evidenziare

un titolo si può aumentare la dimensione del font e usare il grassetto. • Utilizzare bordi e riquadri per enfatizzare alcune parti del testo.

1.4. Impaginazione e organizzazione dei paragrafi

• Allineare il testo a sinistra, assicurandosi che ogni riga finisca in un punto diverso del margine a destra.

20 Altri caratteri ad alta leggibilità creati ad hoc per i DSA sono riportati nella pagina del Gruppo DEAL

(Università Ca’ Foscari, Venezia): https://www.dealvenezia.it/2560/ (visitato il 10/12/2019).

21 Nota dell’autore alla tabella: “Su questo punto sembrano coesistere visioni contrastanti, e talvolta

viene invece suggerito di utilizzare il maiuscolo per rendere il testo più accessibile. Va tenuto presente che il maiuscolo, assegnando la stessa dimensione a tutte le lettere, facilita una lettura basata sulla decodifica di ogni singola lettera, strategia che può rivelar-si utile in lingue a ortografia regolare come l’italiano e lo spagnolo. Questo tipo di lettura, tuttavia, è largamente inefficace in una lingua come l’inglese, in cui la decodifica lettera per lettera non aiuta a riconoscere le molte parole irregolari sul piano ortografico. Il minuscolo, al contrario, assegnando alle lettere dimensioni e forme diverse, può favorire un’analisi visiva delle parole a livello globale, aiutando a memorizzarne e a riconoscerne la forma grafica complessiva, strategia utile nel caso di una lingua con ortografia irregolare come l’inglese.” (Daloiso, 2012, p. 48)

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33 • Evitare di disporre il testo in colonne. • Utilizzare preferibilmente un’interlinea 1,5.

• Le righe non dovrebbero superare i 60-70 caratteri ciascuna.

• Riformulare i paragrafi che risultano troppo lunghi e densi di informazioni

• Avvalersi degli elenchi puntati per presentare le informazioni in modo efficace e sintetico.

• Evitare di iniziare una frase alla fine di una riga.

1.5. Stile

•Assicurarsi di usare frasi brevi e semplici.

•Dare le istruzioni in modo chiaro, evitando lunghe spiegazioni. •Utilizzare preferibilmente la forma attiva, rispetto a quella passiva. •Evitare le doppie negazioni e le abbreviazioni.

1.6. Per una maggiore accessibilità delle informazioni

•Per spiegare una procedura usare un diagramma di flusso.

•Per aiutare a localizzare le informazioni usare pittogrammi e grafici.

•Per sintetizzare comandi, suggerimenti e buone pratiche utilizzare i decaloghi piuttosto che testi espositivi.

•Se si utilizzano sigle o termini specialistici fornire un glossario.

•Per documenti di una certa lunghezza fornire un indice e un sommario.

1.7. Controllare la leggibilità

•Per attivare la funzione di controllo della leggibilità con Word 2003, è necessario andare su Strumenti > Opzioni > Ortografia e Grammatica, e spuntare la casella corrispondente a “Leggibilità”. In questo modo verrà mostrata la leggibilità ogniqualvolta si procede con il controllo ortografico.

•Nelle versioni successive di Word è necessario entrare nella finestra “File”, entrare nella sezione Opzioni e poi andare alla sezione Strumenti di correzione dell’ortografia e della grammatica. Infine, è necessario spuntare la casella “Mostra le statistiche di leggibilità”. • Se si stanno creando documenti più lunghi, è utile controllare la leggibilità delle singole sezioni per capire quali parti sono più complesse.

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2. Formati accessibili

È importante che i documenti e le pubblicazioni siano preparati in modo da essere accessibili alle persone con disabilità visive o difficoltà di lettura attraverso formati alternativi, incluso un formato elettronico leggibile mediante sintesi vocale. I documenti cartacei vengono creati al computer, quindi dovrebbe essere possibile rendere disponibili i relativi file elettronici. Alcuni documenti, inoltre, sono ormai disponibili solo in formato elettronico.

2.1. Formati elettronici più accessibili

• I file Word sono i più semplici da adattare alle preferenze visive di ciascuno e sono facilmente leggibili con la sintesi vocale.

• I file in formato PDF conservano il layout meglio dei file Word, ma non sono altrettanto semplici da usare.

Si suggerisce pertanto, quando possibile, di fornire entrambi i formati elettronici.

2.2. Preparare un documento per la lettura con sintesi vocale

Nella progettazione del documento si tengano presenti le seguenti indicazioni:

• Ascoltare un documento con la sintesi vocale richiede più tempo rispetto alla lettura. • Inserire il punto dopo ciascun titolo in modo che la sintesi vocale usi l’intonazione appropriata e si fermi; si possono inserire i punti usando un colore tenue simile a quello dello sfondo (cfr. Guida stilistica par. 1.1) in modo che distraggano meno sul piano visivo. • Inserire punti e virgola, virgole o punti dopo ciascuna riga di un elenco puntato, in modo che la sintesi vocale inserisca una pausa.

• Se si utilizza Word, organizzare i titoli e la formattazione usando i comandi della sezione “Stili”.

• Evitare la numerazione automatica perché alcune sintesi vocali non riescono a leggere gli elenchi numerati. Se è necessario, inserire i numeri manualmente.

• Nell’indice dei contenuti, si dovrebbe prevedere per ciascun titolo un collegamento ipertestuale alla relativa sezione del documento, in modo da facilitare la navigazione. • Utilizzare collegamenti ipertestuali interni ed esterni al documento per agevolare la navigazione.

• Evitare di inserire parole in maiuscolo all’interno del testo, perché potrebbero essere pronunciate lettera per lettera.

Riferimenti

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