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Neoclassical Hollywood Music. John Williams e il recupero dello stile classico di Hollywood

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Academic year: 2021

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Scuola di Dottorato in Storia delle Arti visive e dello Spettacolo Anno Accademico 2011-2012

Neoclassical Hollywood Music

John Williams e il recupero dello stile classico di Hollywood

Candidato:

Emilio Audissino

Tutor:

Prof. Pier Marco De Santi

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“There is nobody in my experience who made the kind of impact on my career and my films than this man. This man has absolutely transformed everything that I have done into something that I could not imagine ever having done. And he does it because he communicates so well with all of you. He has rediscovered something that was very popular and important in the 1930s and 1940s. […] And I know of no one who knows how to write film music that goes straight to your heart and straight to your soul than my good friend John Williams. [...] And John is actually one of the greatest storytellers of all time.”

“Non conosco nessuno che abbia avuto sulla mia carriera e suoi miei film l'impatto che ha avuto quest'uomo. Quest'uomo ha assolutamente trasformato qualunque cosa che io abbia fatto in qualcos'altro che non avrei mai immaginato di poter fare. E riesce a fare questo perché è capace di comunicare così bene con tutti quanti voi. Ha riscoperto qualcosa che era molto popolare negli anni '30 e '40. Non conosco nessun altro che sappia scrivere musica per film che vada così dritta al cuore e all'anima di ognuno come il mio buon amico John Williams. E John è davvero uno dei più grandi narratori di tutti i tempi.”

Steven Spielberg, “Hollywood Bowl Hall of Fame Ceremony”, 23 giugno 2000

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Ringraziamenti

Il primo pensiero e ringraziamento va doverosamente alla mia famiglia: a papà Vittorio, a mamma Silvia, a mia sorella Sara. Hanno sopportato per fin troppo tempo la desolante visione di me leopardianamente segregato nel mio ufficio e chino sulle “sudate carte” e hanno tollerato i miei modi scorbutici e la mia labile concentrazione nelle pause del mio negotium. Un pensiero va anche – perché no – ai molti animaletti domestici che fanno anch'essi parte della mia famiglia e sono sempre stati fonte di grande allegria: i cagnetti Gnammy, Ciotto, Pimpa, Lippa e il gatto Tigrì.

Un ringraziamento va poi al Dipartimento di Storia delle Arti dell'Università di Pisa, in cui ho trascorso serenamente questi tre anni di scuola dottorale. In particolare ringrazio il mio tutor Pier Marco De Santi per la grande fiducia che ha da subito mostrato verso il mio progetto di ricerca; Lorenzo Cuccu per avere dato l'iniziale assenso al progetto; Sandra Lischi per la sua consulenza e i suoi consigli sul video e la multimedialità; Anna Barsotti, Maria Ines Aliverti, Cinzia Maria Sicca e Alberto Ambrosini per il loro aiuto durante questi anni.

Gran parte del presente lavoro è basato su una ricerca sul campo svolta a Boston, MA U.S.A., che ha riguardato sia la mia presenza annuale a tutti i concerti bostoniani di John Williams dal 2007 al 2011, sia la ricerca d'archivio presso i Boston Symphony Archives e il WGBH Educational Foundation Media Library and Archives di Boston. Vorrei ringraziare per la loro preziosa e paziente collaborazione Bridget P. Carr e Barbara Perkel (Boston Symphony Archives) e Keith Luf, Nancy Dillon e Leah Weisse (WGBH Archives). Un ringraziamento caloroso va ai miei cari amici della Symphony Hall Doreen M. Reis e Vincenzo Peppino Natale, che sono sempre stati gentilissimi nell'aiutarmi a organizzare la logistica delle mie visite. Un grazie a Ron Della Chiesa per le belle chiacchierate sull'opera italiana e sulla storia dei Boston Pops. E un grazie di cuore va anche a tutti i miei amici di Boston che hanno reso le mie visite uno dei momenti più piacevoli dell'anno: Adam Castiglioni, Victor Brogna, Carol Bonomo Albright, Jon Shore.

Un grazie va anche alle mie amiche e ai miei amici italiani, che hanno passato gli ultimi anni a sentirmi parlare di John Williams con una frequenza preoccupante e, nonostante ciò, non sono scappati. In particolare un grazie a Vito Lasaponara per avere avuto il coraggio di leggere alcune parti della mia tesi ed aver prestato più di una volta l'orecchio alle mie teorie; a Giovanni Doria Miglietta per le sue utilissime osservazioni di natura musicale e ad Alessandra Chiappori che si è gentilmente prestata come eccellente correttore di bozze.

Un ringraziamento particolare va a John Norris – anch'egli cultore della musica per film e di John Williams – che non solo è un caro amico e un interlocutore acuto e preparato sulla materia, ma che è anche stato un indispensabile assistente nelle mie ricerche negli archivi di Boston e il mio testimone oculare in quei concerti fuori Boston a cui non ho avuto modo di presenziare.

Ringrazio Jamie Richardson della Gorfaine/Schwartz Agency per la pazienza con cui ha ascoltato le mie richieste.

Infine, last but not least, un grazie al Maestro John Williams per la grande gentilezza e affabilità che mi ha dimostrato in tutte le occasioni in cui ci siamo incontrati. Avendolo conosciuto direttamente, ho avuto l'impressione che oltre ad essere un grande artista sia anche una bella persona.

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Indice

Premessa metodologica p. 7

Introduzione p. 17

Lo stile musicale classico hollywoodiano. Storia, stile, funzioni p. 22

PARTE PRIMA: LA MUSICA PER FILM NEL FILM

Star Wars e lo stile musicale classico p. 76

Il neo-classicismo di John Williams p. 123

Raiders of the Lost Ark: il ritorno di Max Steiner p. 181

PARTE SECONDA: LA MUSICA PER FILM FUORI DAL FILM

Riflessioni sulla musica per film fuori dal film p. 221

John Williams e la Boston Pops Orchestra p. 268

Forme della musica per film in concerto p. 323

Conclusioni p. 369

APPENDICI

Partiture per lungometraggi p. 379

Partiture per serie televisive e film per la TV p. 384

Principali collaborazioni d'inizio carriera p. 385

Musica non cinematografica p. 387

Catalogo dei pezzi da concerto tratti dalle partiture cinematografiche p. 389 Evening at Pops. Elenco delle puntate con musica per film (1980-2004) p. 393 Riproduzioni di materiale archivistico

- Programma del concerto del 25 maggio 1979 p. 397 - Programma del concerto del 22 gennaio 1980 p. 398 - Programma del concerto del 29 aprile 1980 p. 399 - Lettera di congratulazioni del Presidente Bill Clinton p. 400

Bibliografia p. 401

Siti consultati p. 413

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Premessa metodologica

“You do not need a Big Theory of Everything to do enlightening work in a field of study. […] You can do a lot with films besides interpreting them.”

David Bordwell1

L'approccio metodologico adottato in questo lavoro è quello neoformalista.2

Il film è visto come un'opera d'arte creata secondo date norme in un dato periodo storico e che produce dati effetti estetici – non è un testo che veicola un messaggio. Alla base del sistema formale del film ci sono i dispositivi, ossia tutti gli elementi strutturali di natura tecnica, narrativa, tematica che concorrono a costruire un particolare film: illuminazione a tre punti, carrellata, dissolvenza, costumistica, scenografia, flashback, montage, montaggio incrociato, personaggi, allusioni extrafilmiche, idee filosofiche etc...3

I dispositivi svolgono una funzione all'interno del film e la loro presenza deve rispondere a una motivazione. Ci sono quattro tipi di motivazioni: motivazione compositiva – un elemento è nel film perché necessario alla costruzione causale, temporale o spaziale del racconto –, motivazione realistica – un elemento è nel film perché la sua presenza è verosimile –, motivazione intertestuale – un elemento è nel film perché segue le convenzioni di un certo genere –, motivazione artistica – l'elemento non ha altra motivazione se non quella estetica.4

Vediamo alcuni esempi.

Nel primo atto di Back to the Future (Robert Zemeckis, 1985) Marty McFly incontra un anziano signore che raccoglie fondi per riparare la torre dell'orologio. L'uomo consegna a Marty un volantino e gli racconta di come la torre sia stata danneggiata da un fulmine trent'anni prima. Il fatto che la narrazione proponga questo episodio, che qui appare irrilevante, viene motivato successivamente. Proprio grazie al volantino che si ritrova in tasca, Marty sarà in grado di tornare nelle sua epoca, perché grazie al volantino conoscerà l'ora esatta in cui il fulmine colpirà la torre e potrà così sfruttarne la potenza per alimentare la macchina del

1) David Bordwell, Contemporary Film Studies and the Vicissitudes of Grand Theory, in David Bordwell, Noël Carroll (ed.), Post-Theory. Reconstructing Film Studies, The University of Wisconsin Press, Madi-son WI 1996, p. 29.

2) I testi fondamentali sono David Bordwell, Kristin Thompson, Film Art. An Introduction, McGraw-Hill, New York 2010 (9° ed.); Kristin Thompson, Eisenstein's Ivan the Terrible: A Neoformalist Analysis, Prin-ceton University Press, PrinPrin-ceton NJ 1981; David Bordwell, Narration in the Fiction Film, Routledge, London 1985; Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor. Neoformalist Film Analysis, Princeton Uni-versity Press, Princeton NJ 1988.

3) Thompson, Breaking the Glass Armor, cit., p. 15. 4) Ibid., pp. 16-20.

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tempo e andare via dal passato in cui è imprigionato. L'episodio del volantinaggio è motivato compositivamente, perché si rivela un dispositivo narrativo necessario affinché il racconto possa proseguire. La causalità che lega gli eventi in modo più lasco, o i tempi morti del cinema neorealista o del cinema d'autore, sono motivati realisticamente: nella vita reale i tempi morti esistono e le cause e le conseguenze non sono chiare e stringenti come nelle sceneggiature hollywoodiane. Quando vediamo Gene Kelly, Debbie Reynolds e Donald O'Connor smettere di conversare e iniziare improvvisamente a cantare e ballare “Good Morning” in giro per tutta la casa, la cosa non ci appare bizzarra. È una convenzione dei musical come Singin' in the Rain (Gene Kelly, Stanley Donen, 1952) a cui siamo abituati grazie alla familiarità con altri esemplari dello stesso genere filmico – motivazione intertestuale. Le inquadrature lunghe e compositivamente immotivate nei film di Yasujiro Ozu, o la manipolazione irrealistica del suono nei film di Jacques Tati sono motivati artisticamente.5

Per quanto riguarda gli effetti, il neoformalismo presuppone uno spettatore attivo che comprende e interpreta il film tramite inferenze e ipotesi basate sulle aspettative che gli derivano dal suo bagaglio di conoscenze pregresse delle convenzioni artistiche e degli eventi della vita reale – schemata.6

Secondo il neoformalismo, analizzare non significa “leggere” il “testo” del film in cerca dei suoi significati. La ricerca dei significati – interpretazione – è una delle operazioni dell'analisi, non il suo scopo finale. Il significato non è un contenuto veicolato da una forma: il significato fa parte della forma perché è esso stesso un dispositivo formale. Scopo dell'analisi è invece spiegare come funziona il sistema formale del film e perché produce certi effetti nello spettatore, ricostruendo il background storico e la poetica all'interno delle cui norme è stato prodotto.7

L'analisi prende in considerazione l'interazione tra il livello narrativo, il livello tematico e il livello stilistico.8

Il livello narrativo riguarda le operazioni di costruzione e presentazione del'intreccio – syuzhet – da parte di quel processo formale chiamato narrazione. La narrazione ha lo scopo di guidare lo spettatore nella comprensione degli eventi narrativi e nella costruzione mentale della fabula, ossia il corretto riordinamento e completamento della cronologia degli eventi presentati nel film sotto forma di intreccio. Per fare questo, la narrazione presenta l'intreccio secondo tre principi: la logica narrativa – causa/effetto, principalmente –, il tempo e lo spazio.9 Il livello tematico riguarda i significati del film – il

cosiddetto “messaggio” – e questo è il territorio dell'analisi interpretativa, che tenta di spiegarne la dimensione connotativa.10

Il livello stilistico, infine, riguarda

5) Sui film in cui predomina la motivazione artistica – parametric form – cfr. Bordwell, Narration in the

Fiction Film, cit., pp. 274-310 e Thompson, Breaking the Glass Armor, cit., pp. 19-20, 247-250.

6) Sull'applicazione del costruttivismo cognitivista, cfr. David Bordwell, “A Case for Cognitivism”, in Iris, n. 9, Spring 1989, pp 11-40 e Id., Narration in the Fiction Film, cit., p. 29-47.

7) Sulla “historical poetics of cinema” cfr. David Bordwell, Poetics of Cinema, Routledge, New York-Lon-don 2008.

8) Thompson, Breaking the Glass Armor, cit., pp. 97-108. 9) Bordwell, Narration in the Fiction Film, cit., pp. 49-53.

10) Sulle diverse categorie di significato presenti nei film e sull'interpretazione, cfr. David Bordwell, Making

Meaning. Inference and Rhetoric in the Interpretation of Cinema, Harvard University Press, Cambridge

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l'uso significativo e sistematico che il film fa delle tecniche proprie del mezzo.11

L'analisi, nel perseguire il suo obiettivo, deve prestare particolare attenzione alla funzione e alle motivazioni dei dispositivi. La musica altro non è che uno dei dispositivi stilistici che costituiscono il sistema formale del film.12 A livello

narrativo, la musica contribuisce alla presentazione dell'intreccio sia agendo sul sistema della logica narrativa – può rivelarci i pensieri di un personaggio e in questo modo chiarire le motivazioni del suo agire –, ma anche sul sistema temporale – legando per esempio i frammenti di una sequenza di montage e dandole continuità – e spaziale – denotando la nazionalità di uno spazio con la citazione di un inno identificativo. Ugualmente, si può analizzare il contributo della musica a livello stilistico – per esempio usando timbri scuri la musica può rafforzare la percezione delle ombre di un'illuminazione low key – e tematico – la versione grottesca de La Marseillaise presentata in Metropolis (Fritz Lang, 1927) durante la scriteriata rivolta degli operai potrebbe invitare a un'interpretazione negativa delle rivolte in generale. In quanto dispositivo formale, la musica dunque svolge delle funzioni e risponde a delle motivazioni. L'elaborazione di una metodologia di analisi della musica nel film dovrebbe proprio partire dalla riflessione sulle funzioni che la musica può svolgere.

La difficoltà nell'avvicinarsi alla musica per film sta proprio nella scelta dell'approccio analitico da adottare in questa materia interdisciplinare, che si occupa sia di musica che di cinema. In generale, gli approcci dei musicologi tendono a concentrarsi, ovviamente, sulla componente musicale, a scapito della componente filmica e dell'interazione della musica con il sistema formale del film. In pratica, si analizzano le partiture cinematografiche in relazione al solo contenuto narrativo del film, non molto diversamente da come si analizzerebbe la drammaturgia musicale di un'opera lirica, di un balletto o di un poema sinfonico. Scarsa o nulla è l'attenzione verso l'interazione della musica con altri dispositivi formali del film – come la musica funziona in relazione al montaggio, all'illuminazione... La musica è vista come un testo musicale piuttosto che come dispositivo formale del film.13

Dall'altra parte, gli studiosi di cinema – quando non evitano il problema ignorando completamente la musica14

– si rifugiano spesso in schemi che risentono dell'analisi testuale. Uno dei problemi di questo approccio è il rischio della deriva strutturalista, che può portare all'elaborazione di griglie di analisi troppo

11) David Bordwell, On the History of Film Style, Harvard University Press, Cambridge MA 1997, p. 4. 12) David Bordwell, Janet Staiger, Kristin Thompson, The Classical Hollywood Cinema. Film Style & Mode

of Production to 1960, Columbia University Press, New York 1985, pp. 33-35.

13) Analisi di questo tipo si trovano in Ben Winters, Erich Wolfgang Korngold's The Adventures of Robin

Hood. A Film Score Guide, Scarecrow Press, Lanham MD 2007; James Buhler, Star Wars, Music, and Myth, in Caryl Flinn, David Neumeyer (ed.), Music and Cinema, Wesleyan University Press, Hanover NH

2000; David Neumeyer e James Buhler Analytical and Interpretive Approaches to Film Music (I):

Analy-sing the Music, in K.J. Donnelly, Film Music. Critical Approaches, The Continuum International

Publi-shing Group, New York 2001, pp. 16-38.

14) Peter Larsen dimostra come la segmentazione di The Big Sleep operata da Raymond Bellour sia inesatta perché non tiene conto della musica: cfr. Peter Larsen, Film Music, Reaktion Books, London 2005, p. 118. Uno studioso rigoroso come David Bordwell confonde il compositore hollywoodiano Alfred New-man con il musicologo inglese Ernest NewNew-man, mostrando la disattenzione di molti studiosi di cinema verso la componente musicale: cfr. Bordwell, Staiger, Thompson, The Classical Hollywood Cinema, cit., pp. 33.

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complesse e pesanti per essere d'aiuto nell'applicazione pratica. Il puntiglio semiologico di Cristina Cano, per esempio, porta a una sistematizzazione di più di trenta funzioni tra classi e sottoclassi.15

A nostro avviso, più lo schema analitico è rigido e complesso, più l'analisi rischia di essere predeterminata e conformarsi allo schema piuttosto che all'oggetto analizzato.16

Sempre in ambito semiologico, una delle categorie analitiche più sfruttate è quella della distinzione tra il posizionamento della musica a livello diegetico – proveniente dal mondo del racconto –, a livello extradiegetico – come fosse un narratore esterno al mondo del racconto –, a livello metadiegetico – proveniente dall'interiorità di un personaggio.17

A nostro avviso, basare un metodo analitico sulla posizione enunciazionale della musica e sulla sua mobilità tra i livelli della diegesi rischia di privilegiare un'ottica interpretativa. Il passaggio da un livello all'altro, infatti, è tipico di quelle situazioni in cui la musica diventa una manifestazione evidente di una narrazione che propone un “commento”, ossia si fa portatrice di un significato.18

Si tratta, beninteso, di categorie indispensabili da tenere in considerazione, ma che non danno sempre dei risultati convincenti. Si pensi alla scena in Casablanca (Michael Curtiz, 1942, musica di Max Steiner) in cui Rick si sta ubriacando dopo aver incontrato Ilsa dopo tanti anni. Sam sta suonando al pianoforte “As Time Goes By”, la canzone “proibita” associata a Ilsa. A un certo punto, dal pianoforte del livello diegetico, il tema musicale passa all'orchestra del livello non-diegetico, fungendo da ponte verso il flashback di Parigi, ma anche anticipandoci che la ferita emotiva di Rick – simboleggiata da quella canzone messa al bando – è ricollegabile a un trauma avvenuto nel passato proprio a Parigi. Si potrebbe anche dibattere sul posizionamento di quella musica: proviene davvero dal livello non-diegetico oppure da un livello meta-diegetico, dalla memoria di Rick? In altri casi, tuttavia, il passaggio da un livello all'altro è un semplice gioco formale senza troppo peso: quale significato ha il fatto che ne Il bigamo (Luciano Emmer, 1956, musica di Alessandro Cicognini) subito dopo che il tema principale è stato presentato nei titoli di testa, il personaggio di Marcello Mastroianni entri in scena fischiettando quello stesso tema? Questo metodo di stampo enunciazionale tende a concentrarsi troppo sull'interpretazione del significato della musica – “commento” – e poco sull'analisi delle sue funzioni “meno nobili” – “accompagnamento”.19

15) Cristina Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine, racconto, Gremese, Roma 2002. 16) Thompson, Breaking the Glass Armor, cit., pp. 3-7.

17) I termini intradiegetico, extradiegetico e metadiegetico derivano da Gérard Genette, Figures III, Seuil, Paris 1972, trad. it Figure III. Discorso del racconto, Einaudi, Torino 1986, pp. 275-281. La terminologia genettiana applicata alla musica è discussa in Claudia Gorbman, Unheard Melodies. Narrative Film

Mu-sic, BFI-Indiana University Press, London-Bloomington 1987, pp. 20-26. Queste categorie sono state

ri-battezzate livello interno – livello esterno – livello mediato in Sergio Miceli, La musica nel film. Arte e

artigianato, Discanto, Fiesole 1982, p. 223-230. Altri autori non prendono in considerazione il livello

me-tadiegetico. Le due categorie restanti – diegetico e extradiegetico – vengono chiamate musica da schermo e musica da buca in Michel Chion, L'audio-vision. Son et image au cinéma, Nathan, Paris 1990, trad it.

L'audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino 2001, pp. 82-83; musica in e musica off in

Ermanno Comuzio, Colonna sonora. Dialoghi, musiche rumori dietro lo schermo, Il Formichiere, Milano 1980, p. 4; source music e background music nel gergo di Hollywood, cfr. “Introduction”, in Buhler, Flinn, Neumeyer (ed.), Music and Cinema, cit., p. 18.

18) Cfr. funzioni drammaturgiche primarie in Sergio Miceli, Musica per film. Storia, Estetica, Analisi,

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L'impostazione di questo lavoro non è musicologica ma cinematografica. Di conseguenza, non opteremo per analisi del testo musicale che sono al di là della nostra competenza e dell'ambito di questo studio, né per analisi di tipo drammaturgico-musicale che privilegiano quel rapporto musica/racconto che è presente anche in altri ambiti della musica applicata e che finisce per trascurare aspetti più caratterizzanti dello specifico filmico. Parimenti, in quanto neoformalisti, riteniamo che il film non sia un testo da leggere e di conseguenza scartiamo le metodologie di tipo semiologico-enunciazionale.20

Vari studiosi in varie epoche hanno proposto elenchi di possibili funzioni, a partire da Raymond Spottiswoode nel 193521

, passando per T.W. Adorno e Hanns Eisler nel 194422

,Aaron Copland nel 194923

, fino ad arrivare alla sistematizzazione di Zofia Lissa del 196524

che prevede undici funzioni. In questa sede abbiamo elaborato un modello basato su tre funzioni principali, che ci sembra più maneggevole e adatto alle nostre esigenze. Per sviluppare la nostra metodologia ci siamo rivolti agli studi di Leonard B. Meyer sull'emozione e il significato della musica25

e i risultati di alcuni studi condotti applicando la psicologia cognitiva alla musica.26

Riassumendo estremamente, secondo Meyer il significato intrinseco di un brano musicale tonale deriva dal gioco che mette in atto con le aspettative e le attese dell'ascoltatore – una certa progressione armonica ci porta a formulare una previsione circa una determinata risoluzione – mentre il significato referenziale e le connotazioni sono il risultato di stratificazioni culturali – il suono dell'oboe comunica immagini bucoliche perché tradizionalmente associato a motivi pastorali. La musica, poi, è capace di comunicare date emozioni in una data cultura perché ha tradotto in note l'umore e i gesti di certe situazioni emotive – il lutto in Occidente è associato a pianto, movimenti lenti, doloroso contegno, parlare sottovoce, e parimenti la musica funebre è tradizionalmente caratterizzata da tempi lenti, ritmo composto, modo minore.27

La musica per film, come vedremo, è molto formulaica e derivativa proprio perché deve comunicare in modo immediato e universale significati ed emozioni basandosi su convenzioni consolidate, aspettative e attese condivise. Passando invece alla psicologia cognitiva, Annabel J. Cohen indica tre principali funzioni: la musica interpreta le

19) Per esempio, James Buhler, Analytical and Interpretive Approaches to Film Music (II): Analysing

Inte-ractions of Music and Film, in Donnelly, Film Music, cit., pp. 39-61.

20) Sui problemi dell'applicazione delle teorie di matrice linguistica al cinema, cfr. Bordwell, Narration in

the Fiction Film, cit., pp. 21-26.

21) Raymond Spottiswoode, A Grammar of the Film: an Analysis of Film Technique, [Faber&Faber, London 1935], University of California Press, Berkeley 1962, pp. 192-193.

22) Theodor W. Adorno, Hanns Eisler, Composing for Film, [1947], Continuum, London-New York 2007, pp. 13-20.

23) Pubblicate il 6 novembre 1949 sul New York Times. L'articolo è ristampato in Tony Thomas, Film Score.

The Art and Craft of Movie Music, Riverwood, Burbank CA, 1991, pp. 10-17. L'elenco di Copland è

am-piamente commentato in Roy M. Prendergast, Film Music. A Neglected Art. A Critical Study of Music in

Films, Norton, New York 1977, pp. 201-214.

24) In Zofia Lissa, Ästhetik der Filmmusik, Henschelverlag, Berlin 1965, presentate in Miceli, Musica per

film, cit., pp. 549-551.

25) Leonard B. Meyer, Emotion and Meaning in Music, University of Chicago Press, Chicago-London 1956. 26) John Sloboda, The Musical Mind. The Cognitive Psychology of Music, Oxford University Press,

Oxford-New York, 1999, nuova ed. e Robert Jourdain, Music, the Brain and Ecstasy. How Music Captures Our

Imagination, Harper, New York 1997.

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immagini e aggiunge significato; la musica aiuta la memoria; la musica crea la sospensione dell'incredulità. Cohen passa poi in rassegna alcuni studi che hanno dimostrato che la musica è capace di modificare la comprensione di un'immagine, di far concentrare l'attenzione su un elemento dell'immagine piuttosto che su di un altro, di modificare la percezione della velocità dell'azione visiva, di aiutare a fissare le immagini nella memoria, di rafforzare il senso di compiutezza di un episodio, di trasmettere sulle immagini il suo contenuto emotivo e persino – per quanto sembri paradossale – di far apparire il mondo del film più reale di quanto non sembrerebbe senza musica.28

Dall'incrocio tra gli studi di Meyer, quelli della psico-musicologia e del neoformalismo abbiamo ricavato le seguenti funzioni, battezzate secondo i tre livelli di coinvolgimento dello spettatore – emotivo, percettivo, cognitivo.29

- FUNZIONE EMOTIVA (macro e micro)

la funzione macro-emotiva serve a unificare l'esperienza estetica dell'oggetto-film per lo spettatore. Svolge la funzione della cornice in un quadro. Tramite il tema presentato nei titoli di testa, poi ripreso in variazioni nel corso del film e ripetuto in chiusura, la musica contribuisce alla percezione dell'unità formale del film e funge da indicatore convenzionale dei confini del racconto, circoscrivendone il limite iniziale e finale.30

Un esempio è il celebre “Tema di Tara” di Max Steiner, che apre, attraversa e chiude tutto Gone with the Wind (Victor Fleming, 1939), rafforzandone la coesione formale.

La funzione micro-emotiva è la sollecitazione di una particolare risposta emotiva dello spettatore in un singolo momento del film. La musica trasferisce sulle immagini la sua componente emotiva. Gli esempi più comuni – e banali – sono le scene d'amore accompagnate da una “romantica” musica per violini. Sono però molto più numerosi e variegati i casi in cui la funzione micro-emotiva della musica può influenzare in modo determinante la riuscita di una scena. Un esempio famoso è la scena d'apertura di The Lost Weekend (Billy Wilder, 1945) in cui Ray Milland “pesca” la bottiglia di whisky dalla finestra: prima dell'intervento della musica di Miklós Rózsa, quell'incipit faceva

28) Annabel Cohen, Film Music. Perspectives from Cognitive Psychology, in Buhler, Flinn, Neumeyer (ed.),

Music and Cinema, cit., pp. 360-377. Cfr inoltre William Forde Thompson, Frank A. Russo, Don Sinclair,

“Effects of Underscoring on the Perception of Closure in Filmed Events”; Valerie J. Bolivar, Annabel J. Cohen, John C. Fentress, “Semantic and Formal Congruency in Music and Motion Pictures: Effects on the Interpretation of Visual Action”; Scott D. Lipscomb, Roger A. Kendall, “Perceptual Judgement of the Relationship between Musical and Visual Components in Film”; George Sirius, Eric F. Clarke, “The Per-ception of Audiovisual Relationships: A Preliminary Study”; Shin-ichiro Iwamiya, “Interactions between Auditory and Visual Processing when Listening to Music in an Audio Visual Context: 1. Matching 2. Au-dio Quality”;William H. Rosar, “Film Music and Heinz Werner's Theory of Physiognomic Perception”; Claudia Bullerjahn, Markus Güldering, “An Empirical Investigation of Effects of Film Music Using Qua-litative Content Analysis”, tutti in Psychomusicology, Vol. 13, primavera/autunno 1994.

29) Thompson, Breaking the Glass Armor, cit., p. 10.

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pensare ad una commedia anziché a un dramma sull'alcoolismo.31

- FUNZIONE PERCETTIVA: la musica guida o modifica la percezione dello spettatore, indirizzando la sua attenzione su un particolare elemento dell'inquadratura (funzione percettiva spaziale), oppure alterando o potenziando la sua percezione del ritmo visivo e della rapidità del montaggio (funzione percettiva temporale). Un esempio di funzione percettiva temporale è l'inseguimento in auto tra Thornill ubriaco e i suoi aguzzini in North by Northwest (Alfred Hitchcock, 1959): il frenetico fandango di Bernard Herrmann proietta la rapidità del suo ritmo sul montaggio, rendendo l'azione più incalzante. Un esempio di funzione percettiva spaziale in The Sea Hawk (Michael Curtiz, 1940) è l'accordo d'arpa che risuona nel silenzio per indirizzare la nostra attenzione su un avvenimento nello spazio del film: la musica di Erich Wolfgang Korngold evidenzia il cambio di espressione di uno degli spagnoli quando vede riflesso nel suo calice l'arrivo inaspettato del capitano Thorpe e dei suoi uomini, liberatisi dalle catene.

- FUNZIONE COGNITIVA: la musica – agendo su tempo, spazio e logica narrativa – aiuta la comprensione del racconto e l'interpretazione delle connotazioni. La musica può unire i frammenti di un montage e aiutare a comprenderne la progressione temporale; può denotare un luogo o un'epoca citando brani di repertorio; può legare assieme più inquadrature di uno stesso ambiente facendoci apparire unitario quello spazio; può svelare i pensieri di un personaggio presentando su un suo primo piano un tema musicale associato in precedenza a un altro elemento narrativo e chiarire così la motivazione della sua azione; può legare due elementi narrativi distanti e indicare un significato implicito. Per esempio, in The Treasure of the Sierra Madre (John Huston, 1948), quando il soffitto della miniera crolla intrappolando Dobbs – uno dei tre cercatori d'oro –, il suo socio Curtin accorre in suo soccorso, ma poi indugia all'ingresso della galleria. La musica di Max Steiner ci propone il motivo associato all'oro e guida così la nostra comprensione: Curtin sta pensando che se uno dei soci morisse, la frazione di guadagno dei restanti due sarebbe maggiore. La solidarietà, però, prende il sopravvento sull'avidità e la musica passa dal motivo dell'oro alla melodia associata all'amicizia tra i cercatori: Curtin ha scacciato la tentazione e salverà Dobbs. In Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) la musica di Bernard Herrmann chiude il film con lo stesso motivo di tre note – associato alla follia – che chiudeva Psycho (Alfred Hitchcock, 1960), suggerendoci che Travis – nonostante le circostanze – non è un eroe ma uno psicopatico non meno pericoloso di Norman Bates. The Adventures of Robin Hood (Michael Curtiz, William Keighley, 1938) si apre con la battuta “News have come from Vienna”: il fatto che Korngold usi come tema principale la melodia del valzer viennese “Miss Austria”32

rafforza la menzione di Vienna e contribuisce a dare connotazioni politiche

31) Cfr. Fred Karlin, Listening to Movies. The Film Lover's Guide to Film Music, Schirmer, Belmont CA 1994, pp. 17-18.

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di stretta attualità – era appena stato firmato l'anschluss – a quello che in apparenza è un film su una leggenda medievale.

Chiudiamo questa premessa chiarendo alcuni termini che verranno usati ed annunciando l'assenza di altri che saranno volutamente scartati.

Quando la musica è emotivamente e formalmente concorde con le immagini – un paesaggio bucolico con musica pastorale, per esempio – alcuni autori parlano di parallelismo, mentre nel caso in cui la musica sia in contrasto – paesaggio bucolico con hard rock – parlano di contrappunto.33

Un caso famoso di cosiddetto contrappunto è il pestaggio del clochard sulle note di “Singin' in the Rain” in A Clockwork Orange (Stanley Kubrick, 1971). Rifiutiamo questo binomio perché è scorretto sia dal punto di vista terminologico, sia da quello teorico. Innanzitutto, in musica il contrappunto non è una lotta tra due melodie che non hanno nulla a che fare tra loro. Il contrappunto è l'intreccio di due linee melodiche con caratteri distinti ma in armoniosa fusione. Parlare di contrappunto nel caso in cui immagini e musica siano in contrasto è dunque scorretto.34

Se proprio si vuole tirare in ballo il contrappunto, ne sarebbe piuttosto un esempio il trattamento musicale dei dialoghi nel sistema classico hollywoodiano, nei cui casi migliori le battute degli attori sono trattate come una delle linee melodiche della partitura e l'accompagnamento musicale fa da contrappunto ai dialoghi – non nel senso che la musica propone una marcia funebre sotto una scena d'amore, ma nel senso che la musica si intreccia armoniosamente con il dialogo. A livello teorico, poi, parlare di contrappunto o parallelismo equivale a considerare la musica un elemento esterno in competizione con le immagini: la musica come un fattore estraneo che sceglie se scorrere parallela oppure opporsi al film che ha di fronte.35

La musica fa parte del film: se la narrazione ci presenta una scena d'amore accompagnata da una marcia funebre, vuol dire che la narrazione ci sta forse anticipando lo sviluppo di quella storia d'amore. Forse lei è una psicopatica e accoltellerà lui nella scena successiva: la musica collabora con la narrazione nella costruzione di quest'anticipazione, non è in contrasto con le immagini. L'incongruità che avvertiamo in questo accostamento viola le nostre aspettative e ha la funzione cognitiva di incitarci a trovare una spiegazione a questa scelta. Altre proposte come il binomio sincrono/asincrono36

, empatico/anempatico37

, acritico/critico38

sono più corrette dal punto di vista terminologico, ma ci appaiono altrettanto improntate a una separazione tra musica e film. La musica ha sempre e comunque una funzione formale, non è qualcosa di esterno che commenti criticamente o si adegui acriticamente al film, oppure che assista agli eventi con empatia o senza empatia. La coppia sincrono/asincrono è poi imprecisa perché rischia di creare confusione tra una definizione tecnico-ritmica – una marcia che rispetta il ritmo di

33) Sull'origine del termine, cfr. Kathryn Kalinak, Settling the Score. Music and the Classical Hollywood

Film, The University of Wisconsin Press, Madison WI 1992, pp. 20-29.

34) La critica è condivisa da Chion, L'audio-vision, cit., p. 42. 35) Kalinak, Settling the Score, cit., pp. 30-31.

36) Cfr. Miceli, Musica per film, cit., p. 508. 37) Chion, L'audio-vision, cit., p. 17. 38) Miceli, Musica per film, cit., pp. 650-653.

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montaggio o meno – e una concezione emotiva – tornando alla nostra scena d'amore, la marcia funebre sarebbe asincrona, emotivamente, anche se fosse ritmicamente sincrona con i raccordi di montaggio. Per le stesse ragioni, rifiutiamo la distinzione tra accompagnamento e commento39: se l'uso della

musica in una scena ci schiude orizzonti connotativi profondi, non significa che la musica, come dall'esterno, commenti le immagini. Ripetiamo: è la narrazione che si serve della musica per schiuderci la dimensione connotativa.

Un altro termine che non useremo nell'accezione corrente è colonna sonora, che viene usato per definire l'insieme delle musiche composte per un dato film. La colonna sonora, in realtà, è la parte del supporto pellicolare del film su cui è fissata la componente acustica ed è l'insieme di tre colonne audio: la colonna dialoghi, la colonna rumori e la colonna musica. Per parlare della componente musicale di un film useremo il termine colonna musica.

Per definire la posizione della musica rispetto al mondo del racconto adotteremo il binomio diegetico/non-diegetico, preferendo quest'ultimo termine a extradiegetico, sia per allinearci alla pubblicistica anglosassone40

sia perché in questo modo il termine è meno connotato in senso semiologico e si integra meglio in una trattazione neoformalista.

Utilizzeremo poi i termini tema e motivo per indicare rispettivamente una melodia lunga almeno otto misure e ogni altro elemento melodico di estensione ridotta, entrambi dotati di una propria “personalità” musicale. Indicheremo invece con inciso la presentazione di un frammento di una o due misure ricavato da un tema o motivo presentati in precedenza – non useremo altri termini che sono più precisi dal punto di vista musicologico ma rischierebbero di appesantire la trattazione.41

Utilizzeremo il termine “musica colta” per riferirci alla musica d'arte composta per la sala da concerto e distinguerla dalla “musica popolare” di largo consumo – di cui fa parte la musica per film – seguendo la consuetudine, benché questa terminologia ci risulti negativamente discriminante e figlia di vecchi pregiudizi che rifiutiamo – una discriminazione che esiste anche in lingua inglese tra “serious music” e “popular music”: come se i compositori di musica popolare fossero tutti necessariamente “non colti” o “non seri”.

Sulla scorta di Sergio Miceli42

, definiremo la musica cinematografica musica per film e non musica da film, sia per evitare le connotazioni negative che in alcuni ambienti colti sono legate al termine – musica da balera, musica da osteria, musica da film – sia perché si tratta di un tipo di musica indirizzato a un uso particolare, non genere musicale di per sé.

Infine, due segnalazioni. Tutti i titoli dei film e delle opere musicali saranno citati in originale, senza la versione italiana. Le analisi riportate, ugualmente, sono state condotte sulle edizioni in lingua originale. Spesso, infatti, oltre ad inventare titoli fuorvianti – come il famigerato Non drammatizziamo... è solo questione di corna! per Domicile conjugal, più adatto ad un film di Sergio Martino che a uno di

39) Ibid., pp. 632-634.

40) Gorbman, Unheard Melodies, cit., p. 3. 41) Miceli, Musica per film, cit., pp. 607-629. 42) Ibid., pp. 11-12.

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Truffaut – le versioni italiane manomettono anche la colonna musica: è il caso di Frankenstein (James Whale, 1931) la cui versione originale è priva di musica, mentre nella versione italiana qualcuno ha pensato di dover colmare arbitrariamente quel vuoto.43

Infine, in nota sono riportati i testi nell'edizione originale. Viene indicata anche la versione italiana solo nel caso in cui non sia stato possibile consultare l'edizione originale. La traduzione italiana – a nostra cura – degli estratti in lingua straniera citati nel testo si trova alla fine del relativo capitolo, indicata dal numero di nota corrispondente.

Traduzione delle citazioni

1) Non c'è bisogno di una Grande Teoria del Tutto per compiere un lavoro illuminante in un campo di studi. Si possono fare tantissime cose con i film oltre che interpretarli.

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Introduzione

“Fine symphonic scores for motion pictures cannot help but influence mass acceptance of finer music. The cinema is a direct avenue to the ears and hearts of the great public and all musicians should see the screen as a musical opportunity.”

Erich Wolfgang Korngold1

“You and I both know if Richard Wagner were alive today, he'd own his own movie studio. He'd produce his own films. He'd be Bertolucci, Coppola, and Spielberg rolled into one. Mozart would be writing film scores. He'd be Sondheim to the ninth power.”

John Williams2

John Williams è forse il compositore di maggior successo della storia del cinema. Il suo nome è associato ai più grandi campioni di incasso del cinema hollywoodiano degli ultimi 40 anni. In oltre 50 anni di carriera ha ricevuto tantissimi riconoscimenti, tra Golden Globes, Emmy Award, Grammy Award, BAFTA Award, Dischi d'oro e di platino, decine di lauree honoris causa, nonché 5 premi oscar – ricevendo anche un totale di 45 nomination, una cifra che fa di lui la persona, dopo Walt Disney, che ne ha ricevuto di più nella storia. I dischi tratti dalle sue partiture cinematografiche hanno venduto milioni di copie. Ma il successo di Williams non si limita al cinema. Per 14 anni è stato direttore stabile della più famosa orchestra sinfonica americana – la Boston Pops Orchestra – dirigendo non solo negli Stati Uniti, ma anche in Giappone e in Europa, e tutt'ora continua ad avere un'intensa attività di direttore d'orchestra. Williams ha portato avanti anche una carriera come compositore di musica colta, con commissioni arrivate da prestigiose istituzioni quali la New York Philharmonic, la Chicago Symphony, la Boston Symphony – Placido Domingo lo aveva anche corteggiato affinché componesse un'opera per la Los Angeles Opera House.3

Inoltre, negli anni Williams è diventato anche una sorta di “Composer Laureate” d'America, sia per la grandissima popolarità della sua musica per film, sia per la sua grande visibilità come direttore dei Boston Pops, ma soprattutto per il grandissimo numero di pezzi celebrativi che gli sono stati commissionati per importanti eventi della vita e della storia americana – facendo di lui una specie di Handel made in

1) Erich Wolfgang Korngold cit. in Jessica Duchen, Erich Wolfgang Korngold, Phaidon, London 1996, p. 180.

2) John Williams cit. in David Vernier, “Magnificent Modern Maestro”, in Digital Audio, marzo 1988. 3) Cfr. Stephen Moss, “The Force Is with Him”, in The Guardian, 4 febbraio 2002.

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USA. Fanfare, marce e ouverture composte per l'occasione hanno accompagnato – spesso dirette da Williams stesso in mondovisione – le Olimpiadi di Los Angeles del 1984, le celebrazioni per il bicentenario della Statua della Libertà nel 1986, la centesima edizione delle olimpiadi ad Atlanta nel 1996, il giuramento del presidente Barak Obama nel 2009, le olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002 – anno in cui Williams è stato anche insignito dell'Ordine Olimpico per il suo contributo. “Williams' work is often described as quintessentially American. He writes big music for big studio movies. He has been called 'the king of grandiosity'”.4

Il contrappasso di questo grandissimo successo è una scarsa considerazione in ambito accademico e saggistico e una a volte non troppo velata ostilità da parte della critica. Gli unici libri a lui dedicati – scriviamo queste righe nel novembre 2011 – sono tre: uno in lingua spagnola5

, uno in lingua tedesca6

e uno in lingua francese.7 Non esistono libri in inglese o in italiano. Nel primo caso, la ragione

può derivare dal sospetto verso questo successo clamoroso e da alcuni pregiudizi ideologici che vedremo più avanti. Si consideri questo esempio eclatante. Negli Stati Uniti esiste una collana dedicata alla musica per film8

– si tratta di una serie di monografie sull'analisi di singoli film dal punto di vista musicale – che ha pubblicato ormai una decina di opere su compositori classici fondamentali come Erich Wolfgang Korngold, Bernard Herrmann, Max Steiner, Franz Waxman, ma anche su compositori più vicini a noi come Ennio Morricone, Nino Rota e persino su autori contemporanei come Danny Elfman, Michael Danna, Zbigniew Preisner, Gabriel Yared. Nessun libro della collana, stranamente, prende in considerazione John Williams. Passando al caso italiano, invece, la ragione è da ricercare nell'esiguità degli studi sulla musica per film e nella tendenza di quei pochi a concentrarsi sull'ambito nazionale – in particolare su Morricone – e a ignorare un compositore forse ritenuto troppo commerciale e simbolo dell'imperialistica industria cinematografica hollywoodiana – “If, as some argue, American cinema has conquered the world, then Williams can lay claim to have written the victory march”.9

Williams ha moltissimi ammiratori, ma altrettanti detrattori che affrontano il suo lavoro con condiscendenza o addirittura con un astio che si riscontra raramente nel caso di altri compositori cinematografici – anche in questo caso vedremo alcuni esempi. Il successo di Williams ha portato troppi a etichettarlo e archiviarlo come “compositore commerciale” e ha concentrato l'attenzione degli specialisti sui suoi lavori di maggior successo come Star Wars (George Lucas, 1977), Superman The Movie (Richard Donner, 1978) o Raiders of the Lost Ark (Steven Spielberg, 1981), portandoli a trascurare o ignorare del tutto i lavori più sperimentali come Images (Robert Altman, 1972) o raffinati come Jane Eyre (Delbert Mann, 1970) e Memoirs of a Geisha (Rob Marshall, 2005).

Williams non è solo Star Wars o Superman, come è possibile scoprire con un

4) Geoffrey McNab, “They Shoot, He Scores”, in The Times, 25 settembre 2001.

5) Roberto Aschieri, Over the Moon. La mùsica de John Williams para el cine, Fierro & Ramìrez, Santiago del Cile 1999.

6) Peter Moormann, Spielberg-Variationen: Die Filmmusik von John Williams, Nomos, Baden-Baden 2010. 7) Alexandre Tylski (ed.), John Williams. Un alchimiste musical à Hollywood, L'Harmattan, Paris 2011. 8) La serie di chiama “Scarecrow Film Score Guides”, The Scarecrow Press, Lanham MD-Toronto-Oxford. 9) Tom Shone, “How to Score in the Movies”, in The Sunday Times, 21 giugno 1998.

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minimo di ricerca e di attenzione. Allo stesso modo, liquidare le partiture per Star Wars o Superman come musica banale, derivativa e di facile presa emotiva – definirle semplici “marcette” – è indice di superficialità o di snobismo. In questo lavoro, ci occuperemo delle opere di maggior successo di Williams, cercando però di prenderle sul serio e di mostrare la conoscenza storica, la raffinatezza di scrittura e l'acume drammaturgico che è possibile trovarvi se si mettono da parte i pregiudizi e si supera l'idea che ciò che è popolare sia necessariamente di minor valore artistico. Cosa più grave, la scarsa attenzione verso Williams ha ritardato lo studio dei due contributi fondamentali che storicamente egli ha dato alla musica cinematografica: il recupero dello stile musicale classico e la divulgazione in sede concertistica del canone della musica hollywoodiana.

Questi sono appunto i due aspetti della carriera di Williams che intendiamo mostrare e dimostrare in questo lavoro. Negli anni '70, Williams ha riportato in auge alcuni elementi ormai desueti dello stile classico e ha dato il via a una corrente neo-classica della musica cinematografica, di cui è stato ed è tutt'ora il maggior esponente. Negli anni '80, come direttore della Boston Pops Orchestra, Williams è stato uno dei più convinti fautori della presentazione in concerto della musica per film e uno dei principali artefici della divulgazione – ma anche della compilazione – del suo canone.

La trattazione si apre con un capitolo che definisce cosa si intende per stile classico musicale di Hollywood, tracciandone la storia, le correnti, i principali autori, le caratteristiche linguistiche, le tecniche compositive, i mezzi musicali usati e le funzioni formali che questo stile era tipicamente chiamato a esercitare nei film. Seguono due sezioni di tre capitoli ciascuna. La prima studia la musica per film in ambito cinematografico, la seconda in ambito extracinematografico. La prima sezione è dedicata all'attività cinematografica di Williams come responsabile del recupero dello stile classico e fondatore della corrente neo-classica. Nel primo capitolo analizzeremo il caso di Star Wars, che è considerato il film che ha dato inizio alla “Film Music Renaissance”. Partiremo ricostruendo il contesto in cui il film esce nelle sale, sia in riferimento al genere Sci-Fi, sia in riferimento allo stile musicale dell'epoca – che definiremo “stile moderno” e di cui tracceremo le origini, le caratteristiche e le differenze rispetto a quello classico. Analizzeremo, poi, quegli elementi che hanno fatto della partitura di Star Wars un caso in controtendenza e rifletteremo sull'influenza che ha avuto sulla musica per film seguente. Il secondo capitolo sarà dedicato alla rassegna delle caratteristiche che fanno di Williams un compositore neo-classico. Partiremo col delineare il contesto della New Hollywood in cui la “rivoluzione” williamsiana ha avuto luogo. Passeremo in rassegna la filmografia di Williams degli anni '60, ricercando quegli elementi che lo distinguevano dai maggiori esponenti dello stile moderno e che ne anticipavano la svolta neo-classica del decennio successivo. Il film fondante della corrente neo-classica è Jaws (Steven Spielberg, 1975): analizzeremo le scelte musicali e indicheremo quei tratti neo-classici che esploderanno in tutta la loro evidenza successivamente con Star Wars, ma che sono già riscontrabili in questo film. Passando in rassegna la filmografia di Williams, isoleremo i momenti neo-classici e presteremo particolare attenzione

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alla collaborazione con Steven Spielberg. Infine, rifletteremo sulle ragioni che portano molti studiosi ad affrontare Williams con pregiudizio, superficialità, oppure a trascurarlo del tutto. La prima sezione si chiude con un capitolo che presenta un'analisi dettagliata delle funzioni della musica in Raiders of the Lost Ark, la cui partitura è presa come modello del neo-classicismo di Williams.

La seconda sezione è dedicata al contributo extra-cinematografico di Williams. Il primo capitolo è una rapida introduzione alle tipologie, all'estetica e alle problematiche della musica per film fuori dal film. Cercheremo di spiegare le ragioni storiche, filosofiche e teoriche dei pregiudizi dei musicisti colti nei confronti della musica per film e vedremo quali sono i motivi che portano molti studiosi a rifiutare di prendere in considerazione la musica cinematografica fuori dal film. Proporremo, invece, alcune ragioni per studiare la musica per film anche fuori dallo schermo. Tenteremo una classificazione delle varie tipologie di dischi tratti dalle colonne musica dei film e sosterremo la legittimità della presentazione di musica per film anche in sala da concerto. Mostreremo come lo studio della musica cinematografica fuori dallo schermo – in disco o in concerto – non è di competenza solo del musicologo o dello storico della musica – che spesso però rifiutano di occuparsene – ma anche dello storico e dello studioso di cinema che si occupi di musica per film. Nel secondo capitolo presenteremo un resoconto storico della carriera di Williams come direttore della Boston Pops Orchestra e individueremo le tappe più importanti dell'impegno di Williams nei confronti del recupero del canone classico e della sua divulgazione. Tracceremo una breve storia della Boston Pops Orchestra e tramite l'analisi dei programmi da concerto dell'Era Williams confrontati con quelli del predecessore, mostreremo l'incremento non solo quantitativo ma anche qualitativo che la programmazione del repertorio cinematografico ha subito. Nel terzo capitolo, infine, proporremo una classificazione delle possibili forme di presentazione della musica per film in concerto e ci concentreremo in particolare sull'analisi delle presentazioni multimediali – musica dal vivo in sincrono con la proiezione di estratti dal film –, una forma che Williams ha sviluppato negli anni e in cui ha raggiunto dei livelli d'eccellenza e altissimo virtuosismo.

Coerentemente con l'ottica sia cinematografica che extracinematografica con cui è stata studiata la musica per film in questo lavoro, in appendice – oltre alla filmografia – sono presenti anche un catalogo delle suite da concerto delle partiture cinematografiche di Williams e l'elenco delle puntate della serie televisiva Evening at Pops in cui Williams e la Boston Pops Orchestra hanno presentato musica cinematografica.

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Traduzione delle citazioni

1) Le buone partiture composte per il cinema non possono fare a meno di creare un'accettazione di massa nei confronti della musica ancora più buona. Il cinema è una via che conduce direttamente alle orecchie e ai cuori del grande pubblico e tutti i musicisti dovrebbero guardare al cinema come a un'opportunità per la musica.

2) Sappiamo tutti e due che se Richard Wagner fosse vivo oggi possiederebbe una propria casa di produzione cinematografica. Produrrebbe i suoi stessi film. Sarebbe come Bertolucci, Coppola e Spielberg riuniti in una sola persona. Mozart scriverebbe musica per film. Sarebbe Sondheim all'ennesima potenza.

4) I lavori di Williams vengono spesso descritti come la quintessenza dell'America. Williams compone grande musica per i grandi film degli studios. È stato chiamato 'il re della grandiosità'. 9) Se, come qualcuno sostiene, il cinema americano ha conquistato il mondo, allora Williams può sostenere di aver composto la marcia della vittoria.

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Lo stile musicale classico hollywoodiano Storia, stile, funzioni

“Every character should have a theme”

Max Steiner1

Cosa si intende per “Stile musicale classico di Hollywood”? In questo capitolo tenteremo di fornire un'introduzione generale. Innanzitutto, proporremo un rapido resoconto storico, individuando i confini del fenomeno, i principali autori e gli sviluppi linguistici. L'approccio terrà conto sia della storiografia socio-economica2

, sia di quella stilistica3

, senza tralasciare i contributi canonico-autoriali4

, nonostante siano attualmente piuttosto svalutati.5

I confini temporali che ci sembra corretto fissare sono da un lato il 1933 – anno in cui Max Steiner dimostra con la sua partitura per King Kong (Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack) l'efficacia dell'uso non-diegetico della musica nel film sonoro – e dall'altro il 1958 – anno in cui una rinegoziazione dei contratti di lavoro dei musicisti di Hollywood segna la fine di un'epoca.

Prima di cominciare, è bene spendere qualche parola sui termini “stile” e “classico”. Riguardo al concetto di stile in musica, ci rifacciamo qui alla definizione del musicologo Leonard B. Meyer: “Style is a replication of patterning, whether in human behavior or in the artifacts produced by human behavior, that results from a series of choices made within some set of constraints”.6

Valida in generale – Meyer insiste sull'influenza esercitata dal contesto e dalle norme7

– questa definizione è ancor più calzante per la musica cinematografica, la cui composizione avviene all'interno del sistema produttivo hollywoodiano, basato appunto su “norme, paradigmi, standard”.8

In ambito musicale, la tendenza è di pensare allo stile in senso stretto, cioè al

1) Max Steiner cit. in Kathryn Kalinak, Settling the Score. Music and the Classical Hollywood Film, The University of Wisconsin Press, Madison WI 1992, p. 113.

2) James Wierzbicki, Film Music. A History, Routledge, New York 2009.

3) Mervyn Cooke, A History of Film Music, Cambridge University Press, Cambridge UK 2008.

4) Christopher Palmer, The Composer in Hollywood, Marion Boyars, London-New York 1990 o Tony Tho-mas, Music for the Movies, Silman-James, Beverly Hills CA 1997.

5) L'accusa più frequente è di parzialità ed a-contestualità. Cfr. Claudia Gorbman, Film Music, in John Hill, Pamela Church Gibson (ed.), The Oxford Guide to Film Studies, Oxford University Press, Oxford-New York 1998, pp. 43-44 e Wierzbicki, Film Music, cit., pp. xi-xiv.

6) Leonard B. Meyer, Style and Music. Theory, History, and Ideology, Chicago University Press, Chicago-London 1989, p. 3.

7) Ibid., pp. 109-122.

8) Cfr. David Bordwell, Janet Staiger, Kristin Thompson, The Classical Hollywood Cinema. Film Style &

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linguaggio con cui una certa musica viene composta: stile barocco, stile classico, stile romantico, stile modernista etc... In questa sede utilizzeremo un concetto allargato di stile, che comprende non solo l'aspetto linguistico-musicale, ma anche i mezzi musicali utilizzati e le pratiche compositive adottate. Kathryn Kalinak definisce la musica classica di Hollywood come “an institutional practice for the regulation of nondiegetic music in film”9

, ed è questa la strada che seguiremo. La musica hollywoodiana classica, infatti, è sia un prodotto musicale – che adotta un certo “stile musicale” in senso stretto – sia un prodotto industriale – che risponde a precisi standard, si compie attraverso tecniche, “procedure istituzionalizzate” e si serve dei mezzi che l'“industria” mette a disposizione per il compito. Quando parliamo di stile musicale classico hollywoodiano, quindi, non intendiamo solo il linguaggio musicale adottato, ma anche le tecniche, i mezzi e le funzioni che adempie nel film – come l'ancrage di cui parla Gorbman10

, per esempio, ossia la funzione cognitiva.

Riguardo allo stile in senso stretto – il linguaggio musicale adottato –, recuperiamo una tripartizione di Meyer che ci sembra molto utile: dialetto, idioma, stile intraopera.

Dialects are substyles that are differentiated because a number of composers – usually but not necessarily, contemporaries and geographical neighbors – employ (choose) the same or similar rules and strategies. […] Dialects can, for examples, be subdivided in terms of geographical area, nationality, or movements: northern versus southern Renaissance music, Venetian versus Roman opera, impressionism versus expressionism. […] Within any dialect, individual composers tend to employ some constraints rather than others; indeed, they may themselves have devised new constraints. Those that a composer repeatedly selects from the larger repertory of the dialect define his or her individual idiom. […] While dialect has to do with what is common to works by different composers, and idiom has to do with what is common to different works by the same composer, intraopus style is concerned with what is replicated within a single work.11

Facciamo un esempio. Prendiamo Max Steiner ed Erich Wolfgang Korngold, di cui diremo tra breve. Entrambi lavorano alla Warner Bros. e operano all'interno dello stile musicale classico Hollywoodiano, in accordo quindi a certe pratiche produttive dettate dal paradigma – entrambi si servono della tecnica del leitmotiv, per esempio. Il loro dialetto è principalmente quello del tardo-romanticismo mitteleuropeo – Korngold, però, rispetto a Steiner si rifà anche all'impressionismo. Pur operando all'interno del medesimo stile e utilizzando sostanzialmente il medesimo dialetto, i loro idiomi si distinguono perché caratterizzati rispettivamente da frammentarietà ed estrema aderenza al visivo –

9) Kalinak, Settling the Score, cit., p. xiv.

10) Claudia Gorbman, Unheard Melodies. Narrative Film Music, BFI-Indiana University Press, London-Bloomington 1987, p. 32.

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Steiner – e da un trattamento a “temi estesi e concatenazioni motivico-tematiche”12

di natura operistica – Korngold. All'interno della loro produzione, poi, lo stile intraopera varia, da casi più improntati al melodismo – Gone With the Wind (Victor Fleming, 1939) per Steiner e The Adventures of Robin Hood (William Keighley, Michael Curtiz, 1938) per Korngold – a casi caratterizzati da una scrittura più cupa e dissonante – rispettivamente King Kong e The Sea Wolf (Michael Curtiz, 1941).

Lo stile in senso lato, invece, potrebbe corrispondere al concetto di “paradigma” usato da David Bordwell, Janet Staiger e Kristin Thompson:

A group style thus establishes what semiologists call a paradigm, a set of elements which can, according to rules, substitute for one other. Thinking of the classical style as a paradigm helps us to retain a sense of the choices open to filmmakers within the tradition. At the same time, the style remains a unified system because the paradigm offers bounded alternatives.13

Quest’ultima citazione ci porta al secondo termine in gioco, “Classico”. L'aggettivo che viene usato per identificare questo stile è innanzitutto un calco di quel “Classical Hollywod Cinema” che è il titolo e l'oggetto di studio del libro di Bordwell, Staiger e Thompson. La musica è infatti uno dei dispositivi formali di cui la narrazione, all'interno del paradigma classico hollywoodiano, si serve per costruire il film.14 Il termine “classico” usato in questa sede non deve essere

confuso, quindi, con la categoria linguistica di “classico” usata in ambito storico-musicale: la musica della seconda metà del XVIII secolo, di Haydn e Mozart, per semplificare. Lo stile musicale hollywoodiano non è classico in quel senso, anzi ne è molto distante – semmai è romantico –: raramente si usa il classicismo musicale come dialetto di riferimento, e lo si fa perlopiù per denotare storicamente alcuni film in costume, come The Three Worlds of Gulliver (Jack Sher, 1960, musica di Bernard Herrmann). “Classico” è qui inteso come categoria storico-cinematografica: è la musica tipica del periodo classico hollywoodiano, uno stile musicale di gruppo plasmato in base alle esigenze dello stile cinematografico dello studio system.15 Com'è noto, il successo della definizione di “classico”

riferita a quel cinema lo si deve ad André Bazin.16

Commentando l'affermazione di Bazin, Bordwell porta avanti l'uso di questo aggettivo, motivandolo in modo più specifico:

It seems proper to retain the term [Classical] in English, since the principles which Hollywood claims as its own rely on notions of decorum, proportion, formal harmony, respect for tradition, mimesis, self-effacing craftsmanship, and cool control of the perceiver's

12) Sergio Miceli, Musica per film. Storia, Estetica, Analisi, Tipologie, LIM-Ricordi, Lucca-Milano 2009, p. 616.

13) Bordwell, Staiger, Thompson, The Classical Hollywood Cinema, cit., p. 5. 14) Ibid., pp. 33-35.

15) Sull'uso di “classico” in questi termini, cfr. Caryl Flinn, Strains of Utopia. Gender, Nostalgia, and

Holly-wood Music, Princeton University Press, Princeton 1992, p. 14.

16) André Bazin, L'évolution du langage cinématographique, in Id., Qu'est-ce que le cinéma?, Éditions du Cerf, Paris 1976, trad. it. Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1999, p. 82.

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response – canons which critics in any medium usually call “classical”.17

Riguardo questo termine, è interessante riportare alcune riflessioni di Meyer sul classicismo musicale, riflessioni che possono aiutarci meglio a capire la differenza tra “classico” inteso come classificazione linguistica e “classico” inteso come concezione del far musica:

Classicism has been characterized by a valuing of shared conventions and rational restraint, the playful exploitation of established constraints and the satisfaction of actuality (Being), the coherence of closed forms and the clarity of explicit meanings; while romanticism has been characterized by a valuing of the peculiarities of the individual innovation and the yearning arising from potentiality (Becoming), the informality of open structures and the suggestiveness of implicit significance.[…] In the eighteen century […] unity of expression is significantly dependent upon kinds of dance steps, rhetorical figures, syntactic processes, and other conventional means. As observed earlier, Classic composers use such means to represent sentiment shared by humankind. Romantic composers, on the other hand, reject convention in order to express – to present, not represent – their own personal and individual feelings.18

Il dialetto musicale usato a Hollywood era innegabilmente quello romantico/tardo-romantico, non quello classico. Tuttavia, la concezione della musica era decisamente classica, non romantica: era basata cioè – seguendo Meyer – su convenzioni e limitazioni razionali prefissate, figure retoriche, significati condivisi e sull'immediata comprensibilità che la musica doveva avere. Non c'era posto per una concezione individualistica romantica tendente a mettere in mostra comportamenti innovativi e personali – salvo rare eccezioni come Bernard Herrmann, la cui figura si staglia nel panorama del cinema americano proprio per l'individualismo romantico.19 In un cinema come quello americano classico, che

mirava a raggiungere con i suoi prodotti il maggior numero possibile di persone in tutto il mondo, una concezione musicale che permettesse di parlare a ognuno comunicando “sentimenti condivisi da tutta l'umanità” era fondamentale. Riassumendo, il termine “classico” applicato alla musica per film deriva dalla classicità del cinema a cui quella musica forniva i suoi servigi, e in questa ottica l'aggettivo mette in luce l'universalità di quello stile musicale e anche la sua esemplarità: la musica classica di Hollywood, come tutte le opere classiche, è un modello da tenere in considerazione. Sia per imitarlo, sia per rifiutarlo.

17) Bordwell, Staiger, Thompson, The Classical Hollywood Cinema, cit., p. 4. 18) Meyer, Style and Music, cit., pp. 163, 327.

19) Cfr. Steven C. Smith, A Heart at Fire's Center. The Life and Music of Bernard Herrmann, California University Press, Berkeley CA 2002, II ed.

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