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Gli studi sul «classicismo»

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139 C A P I T O L O Q U A R T O

Gli studi sul «classicismo»

Come abbiamo visto, è con Dostoevskij e l’antichità che Pumpjanskij dimostra il suo interesse per il mondo classico, anche se, come detto nel precedente capitolo, l‟idea di classicità e antichità era già stata anticipata nel 1919 nei saggi scritti in forma di appunti (Dostoevskij come poeta tragico e Breve intervento sulla disputa su Dostoevskij).

Negli anni 1922-1926 il critico utilizza indistintamente due concetti apparentemente diversi: «classico», che a sua volta è sinonimo di «antico» riferito al solo mondo greco, e «classicismo». Nel presente capitolo cercheremo di capire qual è il significato attribuito ad entrambe le idee.

Il capitolo si suddivide in due parti. La prima parte è strettamente connessa ai contenuti del secondo capitolo, in cui avevamo individuato i primi due elementi che caratterizzano l‟antichità, lo «spargimento di sangue» e il «giudizio» (Infra 3.3.2, 3.3.3). Adesso cercheremo di comprendere il valore attribuito all‟antichità attraverso l‟analisi di tre ulteriori componenti, ovvero le Muse, lo stile e l‟entusiasmo (parr. 4.1, 4.1.1, 4.1.2, 4.1.3). In un secondo momento, tenteremo di capire qual è stato lo sfondo culturale entro cui hanno preso forma questi tre concetti (par. 4.6).

La seconda parte analizzerà l‟applicazione empirica dei presupposti teorici definiti e si concentrerà sul lavoro svolto da Pumpjanskij sui testi dei poeti che il critico definisce «classicisti».

Giova sottolineare che l‟idea di «classicismo» di Pumpjanskij poggia su numerose letture che, come dimostra lo Spisok (AP SPb), vanno oltre i confini della critica letteraria tout court e accedono alla sfera della filosofia estetica per indagare fenomeni e categorie astratte evidentemente care alla sensibilità teorica del nostro. Vista la ricchezza di elementi concettuali che compongono l‟idea di antichità,

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140 iniziamo a delineare il mondo simbolico che Pumpjanskij costruisce e cerchiamo di capire la fitta trama di significati che viene attribuita alla dimensione classica.

4.1 Che cos‟è l‟antichità

Il concetto di antichità di Pumpjanskij risente degli studi che il critico ha compiuto nel corso della sua carriera liceale a Vil‟na, della sua amicizia con Nikolaj Bachtin (Ustinov, Gardzonio 1998; Garzonio 2002; Garzonio 2003; Gardzonio 2008, Infra parr. 1.2.3 e 4.6.2), dell‟esperienza al circolo «Omphalos» e della sua, seppur breve, carriera universitaria. L‟attenzione verso l‟antichità in generale caratterizzò anche tutto il periodo «neveliano» (1919-1927) e la fase che abbiamo definito «accademica» (1932-1940). È infatti il modello teorico della filosofia neokantiana che aveva nutrito il critico negli anni del circolo filosofico di Nevel‟ a fare da pietra angolare su cui far poggiare tutta la struttura del sistema che Pumpjanskij definisce «classicista».

Lo studioso intende per «classica» quella letteratura che dialoga con un modello sovratemporale, «trans-storico» che il nostro identifica con il mito dell‟Ellade. Questo modello, lontano dalla stilizzazione o dalla pedissequa imitazione dei paradigmi greci (Nikolaev 2000: 17, 18), è a sua volta composto da tre elementi che vanno ad unirsi al «пролитие крови» e al «суд» (Infra par. 3.3.2, 3.3.3): le Muse, l‟entusiasmo e lo stile. Attraverso il continuo dialogo con questa dimensione mitizzata del passato ogni generazione di letterati si confronta con i paradigmi consolidati dalla generazione immediatamente precedente e dà vita a un‟idea di «stile» che rivitalizza continuamente lo spirito greco (Pumpjanskij 2000h: 30, 35, 54, 56, 58) (sullo «stile» Infra par. 4.1.2).

Sul piano della storia letteraria, l‟elemento «classico» si incarna nella letteratura che Pumpjanskij chiama «classicista», ovvero in quella letteratura capace di ricreare lo statuto ellenico e le sue componenti. In tal modo «classico» e «classicista» diventano praticamente sinonimi. Secondo il critico, la Russia ha conosciuto questo tipo di letteratura nel periodo da Lomonosov a Puškin attraverso le fasi intermedie di Kantemir, Trediakovskij e Petrov. Durante questo

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141 arco temporale gli autori russi che più di tutti hanno rinnovato il canone greco sono Lomonosov e Derţavin: il primo perché ha preso le distanze dall‟esperienza sillabica e ha creato l‟ode pindarica, e il secondo perché è diventato l‟artefice di un nuovo modello di stile, genere e lingua che ha trasformato completamente, e di conseguenza rinnovato, i criteri lomonosoviani (Vinogradov 1982: 154-158; Uspenskij 1996: 790, 791, 797, 798, 804; Alekseeva 1993: 75; Alekseeva 2005:12, 13). È utile osservare che in questa trattazione non viene praticamente mai menzionata la poetica di Sumarokov e quella della sua scuola che invece, come sappiamo, determinò per molti versi lo sviluppo della storia della lingua e dei generi letterari. A differenza di quanto accade in Gukovskij, in cui è centrale l‟analisi della poetica dell‟autore delle Vzdornye ody (Gukovskij 1939: 121-127), in Pumpjanskij Sumarokov, anche se sporadicamente citato, non acquista alcun valore estetico, perché non risponde ai criteri di «classicità» elaborati (Pumpjanskij 2000h: 45, 76, 77; Pumpjanskij 1935: 112). Sumarokov, quindi, non è funzionale al sistema che lo studioso sta formulando.

Torniamo alla definizione di «classico» e organizziamo i significati assegnati alle Muse, allo stile e all‟entusiasmo.

4.1.1 La «concezione delle Muse» («концепция Муз»)

L‟immagine della Musa ispiratrice del canto del poeta compare in Pumpjanskij nei saggi K istorii russkogo klassicizma (Per una storia del classicismo russo) e Lomonosov i nemeckaja škola razuma (Lomonosov e la scuola tedesca della ragione), dove si dichiara che il poeta realizza il suo prodotto artistico su ordinazione delle Muse, divinità tutelari delle arti (Pumpjanskij 1983: 29; Pumpjanskij 2000h: 35). Alla base di tali affermazioni giace l‟idea fondante della Grecia arcaica e tardo arcaica, un‟idea che era ovviamente nota a Pumpjanskij e tocca tanto la natura quanto l‟origine della poesia, ovvero il rapporto che si istituisce fra cantore e Musa, fra mondo umano e ordine divino. Così come Omero nell‟Iliade e nell‟Odissea ed Esiodo nella Teogonia, ma anche come i poeti tardo arcaici della statura di Pindaro, il poeta classico, per Pumpjanskij, è colui che

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142 canta un catalogo di eventi solo perché prescelto dalle Muse, definite «странствующие Музы» («le Muse erranti») (Pumpjanskij 1983: 30, 33, 34, 39), dispensatrici di verità e saggezza incontestate; il dono del canto viene quindi elargito all‟aedo da una sfera superiore e trascendente. Il poeta classico è così „collaboratore‟ e servitore delle Muse, un aedo a cui le figlie di Zeus riservano il privilegio straordinario della parola, della verità assoluta, sostenendolo, se invocate, nei momenti di difficoltà.

Nella lettura di Pumpjanskij, il primo poeta russo che presenta queste caratteristiche e assolve a questo compito è Lomonosov (Pumpjanskij 2000h: 55), giacché la sua Oda na vzjatie Chotina (Ode per la presa di Chotin, 1739), secondo il critico, è stata capace di recuperare quel rapporto privilegiato che aveva legato Omero e i poeti tardo arcaici alla Musa e permette allo stesso cantore di farsi guidare nel percorso letterario che lo attende (Infra par. 4.5.1). Lomonosov è dunque un poeta «classicista». Anche la materia narrata da Lomonosov, come vedremo più nel dettaglio nel paragrafo 4.5.1, giustifica il suo status di poeta classicista e lo avvicina all‟esperienza degli aedi, visto che l‟esaltazione di ragione e scienza, quelle stesse sfere presiedute dalle Muse, sono temi preponderanti nella sua ode.

Oltre alle Muse, che occupano nel processo di tessitura del canone classico un ruolo primario, giova notare un ulteriore tassello che permette di comporre il mosaico, ovvero ciò che Pumpjanskij chiama «stile».

4.1.2 Il concetto di «stile» («стиль»)

Insieme al dono del canto, la Musa offre al poeta/aedo ciò che Pumpjanskij definisce «stile». Lo stile, che quindi è un «высший дар Муз» («dono supremo delle Muse») e di conseguenza ne simboleggia la presenza (Pumpjanskij 2000h: 54, 56), viene definito come «черта, отделяющая художество от реальности,

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143 ободок недоступности вокруг сцены искусства»160

; si tratta, in altre parole, di un insieme di tecniche e strumenti che permettono al poeta di allontanarsi dalla realtà sensibile – e dunque «relativa», secondo il lessico di Pumpjanskij – di cui egli stesso fa parte e di accedere a un ordine ideale che sta al di là dell‟hic et nunc, un piano universale in cui la Verità è custodita dalle Muse. Pumpjanskij definisce lo stile come qualcosa che assume i tratti di una «дереализация» (derealizzazione), ovvero di una presa di distanza dalla realtà per accedere a una dimensione altra, suprema. Lo stile, dunque, non viene considerato come un‟unità di forme, di atteggiamenti e di segni, e quindi di fenomeni sensibili che vengono plasmati dal poeta, ma viene ritenuto il momento dell‟invenzione di idee suggerite direttamente da un‟entità superiore alla dimensione in cui vivono i letterati; lo stile diventa pertanto espressione diretta dei simboli (Pumpjanskij 2000h: 30, 35). Per emulare l‟antichità, fonte indiscussa del valore supremo della bellezza, il poeta inoltre deve rinunciare alla propria individualità di cantore e ricorrere al principio oggettivo dello stile che gli fa modellare forme artistiche il più possibile vicine ai concetti di armonia e perfezione, tratti peculiari della cultura greca. Al poeta, quindi, è richiesto l‟annullamento della sua personalità e la completa dedizione al progetto dettato dalla Musa. In qualche misura, tuttavia, l‟individualità del poeta sopravvive a questo percorso «verso l‟alto», nel momento in cui egli si rende conto della superiorità dello «stile». Nel sistema elaborato da Pumpjanskij, perché lo stile si manifesti al poeta occorre che lo stesso cantore dialoghi con la propria coscienza e sia consapevole della propria attività artistica; solo attraverso la propria conoscenza interiorizzata il poeta sarà capace di adempiere al suo compito di aedo. C‟è un altro elemento che permette a chi canta di elevarsi a una dimensione superiore, il «восторг» («l‟entusiasmo»), una potenza che invasa e travolge il poeta al punto tale da mostrargli quanto sta al di là della realtà empirica.

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«il tratto che divide l‟arte dalla realtà, la corona dell‟inaccessibilità intorno alla scena dell‟arte.»

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144 4.1.3 L‟«entusiasmo» («восторг»)

Il principio dell‟autocoscienza è visto da Pumpjanskij, come detto poc‟anzi, come il momento che permette al poeta di seguire lo schema codificato dalle Muse, ideale assoluto che infonde la parola e le tecniche dello stile. Perché il poeta diventi cosciente della propria autonomia, deve essere «rapito» dal cosiddetto «entusiasmo». Solo allora egli si lascia travolgere da questa forza unica e straordinaria, il «восторг», che consente di liberare il canto.

È in Dostoevskij e l’antichità che Pumpjanskij parla per la prima volta di «entusiasmo dionisiaco» (Pumpjanskij 1922: 9), riferendosi evidentemente allo sconfinamento cosmico nietzschiano (Infra par. 4.6.2). Con «entusiasmo dionisiaco» Pumpjanskij allude all‟esaltazione prodotta dalla riscoperta dell‟antichità che aveva caratterizzato tanto il Rinascimento europeo quanto quello che secondo lui è stato quello russo (si veda l‟idea di «Terzo Rinascimento», Infra par. 1.2.3), un Rinascimento di cui Pietro il Grande, e con lui la poesia di Lomonosov, si era fatto promotore (Pumpjanskij 1922: 9; Pumpjanskij 1983: 44; Pumpjanskij 2000h: 31). Il poeta (in questo caso Lomonosov) dunque si spoglia di qualsiasi implicazione autobiografica, si lascia invasare dalle Muse perché travolto dall‟ispirazione divina, canta il loro disegno e accede a una realtà superiore.

A questo punto occorre sottolineare il nesso sistematico che si crea fra queste affermazioni e quanto abbiamo detto sul simbolo nel corso del secondo capitolo. Come già visto, il simbolo è un‟idea che giace in una dimensione trascendente e pertanto si rivela come dote universale. Per esplorare i simboli il poeta/artista si deve «immergere» in essi (Pumpjanskij 1997b: 10) e per riconoscerli deve essere travolto dall‟entusiasmo. Si tratta dunque di un sistema che parte «dall‟alto» (la Musa) e si dirige verso «il basso» (il poeta) e che dal basso ritorna verso l‟alto (il poeta invasato dall‟entusiasmo accede a un ordine superiore, ne riconosce i simboli e ne canta la grandezza).

L‟entusiasmo di cui parla Pumpjanskij, oltre a risentire di tinte nietzschiane, ricorda molto lo θυμός della poesia arcaica, concetto che designa quella passione

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145 incontrollata a cui l‟aedo non è in grado di sottrarsi161. Così come lo θυμός aveva invasato l‟aedo e gli aveva mostrato il percorso letterario da compiere, anche il «восторг» di cui scrive Pumpjanskij permette al poeta «classicista» di entrare in stretta comunione con la Musa e di raggiungere sostanzialmente uno stato di pura «follia». E, infatti, come detto nel paragrafo 3.3.4, in Dostoevskij e l’antichità Pumpjanskij equipara la «follia» del poeta classicista provocata dalle Muse con quella dell‟eroe del romanzo causatagli dal sogno: «помешательство героя есть прямое продолжение “безумия” классического поэта […] герой классической поэзии не характеризируем психологически […] Вот почему античные литературы так бесконечно богаты поэтикою (т.е. материалом эстетического, непсихологического анализа): их творцы были безумны, - не их герои.»162

(Pumpjanskij 1922: 23). In sostanza, poeta ed eroe, seppur in momenti diversi della storia dei generi letterari (l‟ode per il poeta classicista e il romanzo per l‟eroe), attraversano la fase dell‟invasamento e in virtù di questo stato di follia accedono a una realtà superiore, trascendente. Come precisa lo stesso Pumpjanskij, l‟unica differenza che intercorre fra poeta ed eroe è la seguente: mentre durante il classicismo i poeti, privi della propria individualità, cantano un progetto supremo senza riconoscere alcuna indipendenza alla materia e ai personaggi del proprio canto («их творцы были безумны, – не их герои»), nell‟epoca del romanzo è l‟eroe che si «emancipa», si affranca dalla volontà del suo creatore, l‟autore, e impazzisce attraverso il sogno (si pensi ad Amleto, Jean Valjean e Raskol‟nikov, Infra pp. 134, 135). L‟autore, pur lottando, non riesce a vincere la forza del proprio eroe (Infra par. 3.3.6).

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Confrontiamo tipologicamente quanto affermato da uno dei più autorevoli studiosi del mondo greco, Jean Pierre Vernant, che nel suo Aspetti mitici della memoria scrive: «La poesia costituisce una delle forme tipiche della possessione e del delirio divini, lo stato di «entusiasmo» nel senso etimologico della parola. Posseduto dalle Muse, il poeta è l‟interprete di Mnēmosynē come il profeta, ispirato dal dio, è interprete di Apollo. […] L‟aedo e l‟indovino hanno in comune uno stesso dono di «veggenza», privilegio che hanno dovuto pagare a prezzo dei loro occhi. Ciechi alla luce, vedono l‟invisibile. Il dio che li ispira scopre loro, in una specie di rivelazione, le realtà che sfuggono allo sguardo umano.» (Vernant 19783: 95).

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«la follia dell‟eroe è la diretta continuazione della “pazzia” del poeta classicista […] l‟eroe della poesia classicista non lo caratterizziamo psicologicamente […] Ecco perché le letterature antiche sono infinitamente ricche di poetica (cioè di materiale di analisi estetica e non psicologica): i loro creatori erano folli e non i loro eroi.»

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146 C‟è un altro raffronto tipologico che è opportuno tener presente e che riguarda il concetto di «meraviglia» formulato da Hegel nella sua Estetica.

Hegel tesse l‟elogio della «meraviglia» quando vede in essa il momento in cui ha inizio l‟intuizione artistica o religiosa e dunque il momento della ricerca: «L‟uomo che ancora nulla meraviglia» scrive «vive in uno stato di ottusità e di torpore», come a dire che senza meraviglia l‟uomo non riconosce se stesso e le cose che lo circondano (Hegel 1997: I, 356, 357). Pumpjanskij conosceva molto bene gli scritti hegeliani e aveva senza dubbio letto l‟Estetica. Difficile però stabilire se e in che misura egli attingesse a questo concetto per formulare la sua idea di «восторг». Siamo più propensi nel credere che tale elaborazione sia piuttosto il frutto di approfondite letture e di numerose suggestioni assorbite riprendendo dall‟idealismo tedesco in generale.

Guardiamo ora cosa accade sul piano della storia della letteratura russa. Secondo Pumpjanskij, l‟entusiasmo si manifesta per la prima volta nell‟ode per la presa di Chotin, perché in essa Lomonosov diventa cosciente della grandezza del proprio popolo, egli si lascia invasare dalle Muse e riceve da esse il dono dello stile:

Чтобы понять происхождение гениального дела 1739 г., надо вообразить ту первую минуту, когда восторг перед Западом вдруг (взрыв) перешел в восторг перед собой, как западной страной. […] Русские поняли себя они уже сорок лет знали, что стремятся к величию, понятно собственное величие – это была решающая в истории культуры минута, потому что минута постигнутого величия себя есть уже минута Муз. А первый признак присутствия Муз – стиль [...]163 (Pumpjanskij 200h: 54, 55)

Secondo Pumpjanskij, l‟invocazione alle Muse, lo stile e l‟entusiasmo non sono solo dei topoi letterari, ma determinano i confini entro cui si sviluppa un sistema classicista inteso anche da un punto di vista etico. Riconoscersi come popolo ed elogiare la propria potenza significa, per Pumpjanskij, riprodurre l‟ideale ellenico

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«Per capire l‟origine della geniale questione del 1739 occorre immaginare quel primo minuto in cui l‟entusiasmo per l‟Occidente all‟improvviso (esplosione) si trasformò in entusiasmo per se stessi come paese occidentale. […] I russi compresero se stessi: già da quarant‟anni sapevano di tendere alla grandezza, ma all‟improvviso, lungo questo cammino verso la grandezza, essi compresero di essere già grandi. Fu un momento decisivo nella storia della cultura, poiché il momento in cui si concepisce la propria grandezza è già il momento delle Muse. E il primo indizio della presenza delle muse è lo stile.» (Trad. italiana di Guido Carpi. Carpi 2010: 84, 85). La prima riga della traduzione («Per capire l‟origine della geniale questione del 1739 occorre immaginare») è nostra.

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147 che giunge al genio di Lomonosov attraverso l‟intermediazione delle Muse; grazie a questa presa di coscienza il poeta, e di conseguenza il popolo russo, è riuscito a pensarsi Stato, nazione equiparabile agli stati moderni europei. A questo si riferisce il critico quando scrive: «1) есть Европа, и ее величие неоспоримо, как солнце, 2) есть величие России, и притом же.»164

(Pumpjanskij 2000h: 54). Ecco, dunque, che ritorna il problema dell‟etica, questione centrale nelle discussioni della Scuola di Nevel‟, un‟etica che stavolta è legata all‟etica di Stato. Passiamo adesso all‟analisi del livello induttivo entro cui si articola il sistema classico che abbiamo ricostruito e analizziamone le poetiche, così da comprendere come lavora Pumpjanskij sul piano della storia della letteratura. Partiamo da uno dei problemi più insidiosi della storia letteraria russa, ovvero la questione della periodizzazione.

4.2 La periodizzazione della letteratura russa

L‟idea più audace della concezione generale del classicismo che ha attirato l‟attenzione di alcuni studiosi165

è contenuta in K istorii russkogo klassicizma e riguarda il problema della periodizzazione. Si tratta di una questione che, com‟è noto, ha costituito in ambito slavista motivo di discussione anche durante tutto il secolo scorso166.

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«1. c‟è l‟Europa e la sua grandezza è indiscutibile come il sole, 2. c‟è la grandezza della Russia, che poi è la stessa cosa.» (Trad. italiana di Guido Carpi. Carpi 2010: 84). 165

Nell‟attribuire una funzione rinascimentale al barocco russo, Lichačëv ricorda che il primo studioso a parlare di «barocco» fu proprio Pumpjanskij, quando si occupò dei fenomeni letterari russi di fine XVII-inizio XVIII secolo (Pumpjanskij 1937: 160; Lichačëv 1973: 75-126, 165-214). È lo stesso Lichačëv, tuttavia, ad ammettere che il termine di cui si avvale Pumpjanskij deve essere utilizzato con grande scrupolosità (Lichačëv 1973: 202).

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Ricordiamo, infatti, che la periodizzazione della letteratura russa è stata al centro di un acceso dibattito cui hanno dato il loro contributo insigni slavisti come D. Lichačëv, D. Čiţevskij, A. Pančenko, D. Blagoj, A. Morozov, G. Brogi Bercoff, S. Garzonio. Fra questi studi vale la pena segnalare il recente lavoro di K. Rogov che individua un «sostrato barocco» («барочный субстрат») nella letteratura russa dei primi decenni del XVIII secolo, un sostrato che è indissolubilmente legato allo sfondo culturale di quegli anni. In questo senso devono essere compresi i lavori del giovane Trediakovskij così come la Petriade di Kantemir e la tendenza di Prokopovič verso la tradizione poetica latina e neolatina. Una volta compresa in questi termini la questione del barocco russo,

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148 Pumpjanskij rintraccia i prodromi del classicismo russo nel Rinascimento polacco e nel barocco ruteno e ne estende l‟idea fino ai primi decenni dell‟Ottocento, a cui risalgono alcune opere di Puškin che ripropongono in modo originale il rapporto con l‟antichità (Kinžal, il Mednyj vsadnik e il Pamjatnik ispirato all‟oraziano Exegi monumentum tradotto da Lomonosov, poi rielaborato da Derţavin) (Pumpjanskij 1931: 88; Pumpjanskij 1977: 151).

Da un punto di vista temporale, dunque, il modello classicista russo per Pumpjanskij si sviluppa dalla metà del 1500 circa fino ai primi decenni dell‟Ottocento e copre quasi tre secoli all‟interno dei quali vengono distinte tre fasi: 1) una fase «pre-preparatoria», quella del Rinascimento polacco e del barocco ruteno; 2) una fase «preparatoria» che corrisponde ai cento anni che separano la nascita dell‟accademia mogiliana di Kiev (1631) dalla comparsa del Rassuždenie o ode voobšče (Ragionamento sull’ode in generale) di Trediakovskij (1734) (Pumpjanskij 2000h: 36); 3) una terza fase in cui si manifesta il vero e proprio «classicismo», ovvero dal 1739, data in cui viene composta l‟Ode per la presa di Chotin di Lomonosov e il 1836, anno a cui risale il Pamjatnik di Puškin. All‟interno di questa ripartizione temporale, che vede la letteratura russa come ricettacolo della letteratura greca ed europea (Ibidem: 30, 54), si scandiscono, nella lettura del critico, cinque momenti cruciali, cui dedicheremo la nostra attenzione nei paragrafi successivi: 1) l‟opera di Kantemir e il suo avvicinamento ai canoni europei costituisce l‟humus culturale su cui si è innestato il classicismo russo (Infra par. 4.3); 2) l‟Oda na vzjatie Chotina (1739) di Lomonosov sancisce l‟inizio della letteratura moderna (Infra par. 4.5.1), taglia i ponti con la tradizione letteraria dei virši e decreta l‟avvicinamento della Russia alle popolazioni germaniche («la scuola tedesca della ragione», Infra par. 4.4); 3) l‟ode di Vasilij Petrov rivitalizza l‟ode solenne lomonosoviana, ma tende verso una commistione di stili aulico e basso (Infra par. 4.5.3); 4) l‟ode di Derţavin, ereditata l‟esperienza di Petrov, si pone su un doppio binario: da una parte, riporta la letteratura russa verso la tradizione romanza, specialmente oraziana, e dall‟altra, crea un nuovo stile, sviluppando l‟idea di commistione di registri (Infra par. 4.5.4); 5) Puškin fa

sarà possibile capire l‟evoluzione della poesia panegirica e la definizione del canone dell‟ode (Rogov 2006: 64, 65).

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149 proprio il principio derţaviniano del doppio registro linguistico e decreta la fine del classicismo (Infra par. 4.5.5).

Vediamo, dunque, come si articolano queste quattro fasi qui illustrate sinteticamente e cerchiamo di comprendere come si realizzano nel concreto le condizioni teoriche che nei paragrafi precedenti abbiamo rintracciato nel modello «classico».

4.3 Kantemir

La poetica di Kantemir acquista un posto particolare nella concezione di classicismo di Pumpjanskij. Troviamo alcune analisi dell‟opera dell‟autore delle Satire in frammenti di Per una storia del classicismo russo, nel secondo capitolo del già citato manuale di Gukovskij (1939) e nel capitolo rielaborato, uscito postumo nell‟edizione accademica della Storia della letteratura russa (1941), nonché nell‟articolo Kantemir e la cultura italiana (1935).

Pumpjanskij esamina l‟opera di Kantemir soprattutto durante il suo periodo trascorso a Londra (1732-1738), quando il giovane Antioch espletava le sue funzioni di ambasciatore in Inghilterra, e durante la sua permanenza in Francia (1738-1744) che lo portò a conoscere Montesquieu, Voltaire e l‟abbate Guasco, il quale poi si adoperò per la diffusione della sua opera. Vediamo come viene trattata la poetica di Kantemir da Pumpjanskij, facendo riferimento all‟ambiente culturale in cui si trovava ad agire il poeta russo.

Appena giunto a Londra, Kantemir non conosceva la lingua inglese e vista la sua familiarità con l‟italiano ebbe la possibilità di venire a contatto con l‟ampia colonia italiana che là soggiornava. Nella capitale, infatti, conobbe diplomatici e letterati come Giovanni Giacomo Zamboni (1683-1753), allora rappresentante del duca Hessen-Darmstadt, Gian Battista Gastaldi, console della repubblica di Genova, lo scrittore e saggista Francesco Algarotti167, i cantanti Nicola Porpora

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Interessante notare che sulle orme di Pumpjanskij Il‟ja Serman ha pubblicato un saggio dedicato proprio ad Algarotti e Kantemir (Serman 1995), in cui l‟autore definisce il lavoro di Pumpjanskij sul poeta russo un esempio chiaro che apporta convincenti prove

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150 (1686?-1766) e Cafarielli (Gaetano Maiorano, 1710-1783), nonché il poeta e librettista Paolo Antonio Rolli (1687-1765), alle cui Rime (1733) Kantemir si rifece probabilmente per la stesura della sua ode V pochvalu nauk (In lode delle scienze, 1735) (Pumpjanskij 1935: 89, 96). Secondo Pumpjanskij, tutta questa cerchia di personaggi non solo permise al giovane autore russo di stringere rapporti con l‟establishment italiano, ma gli dette la possibilità di approfondire e migliorare la sua conoscenza della stessa lingua e cultura (Pumpjanskij 1935: 89; Belousova 2008). Oltre agli aspetti biografici il critico nota una serie di riflessioni sul verso di Kantemir e sui temi che si ritrovano nelle sue odi e nelle sue satire. Sul piano della versificazione, Pumpjanskij definisce l‟autore russo un sostanziale «завершитель силлабического […] периода» («epigono del periodo sillabico») (Pumpjanskij 2000h: 36), giacché la lunghezza del suo verso e la clausola finale femminile sono in perfetto accordo con la tradizione dei virši, anche se proprio l‟ode V pochvalu nauk rivela l‟utilizzo dell‟endecasillabo italiano (Pumpjanskij 1935: 95). È successivamente nel Pis’mo Charitona Makentina k prijatelju o složenii stichov russkich (Lettera di Chariton Makentin a un amico sul modo di comporre versi russi) del 1742 (poi uscito nel 1744) che l‟autore russo difende, oltre alla tradizione sillabica, il modello italiano ed entra così a far parte, secondo Pumpjanskij, nel novero delle quattro «confessioni» russe che avevano dato avvio a una profonda riflessione sul verso nazionale: Trediakovskij con il Novyj i kratkij sposob k složeniju rossijskich stichov (Nuovo e breve metodo per la composizione dei versi russi, 1735), Lomonosov con il Pis’mo o pravilach rossijskogo stichotvorstva (Epistola sulle norme della versificazione russa, 1739), Kantemir con il suo Pis’mo (1742) e Sumarokov nella nota competizione poetica con Trediakovskij e Lomonosov (1743) per la traduzione del salmo 143 (Pumpjanskij 2000h: 40). Inoltre, è proprio V pochvalu nauk ad anticipare e sperimentare il tema delle «Muse erranti» tanto caro a Lomonosov che aprirà la strada all‟elogio delle scienze, topos letterario di stampo chiaramente classicista (Nikolaev S. 1996: 12).

alla tesi secondo cui Kantemir, una volta a Londra, entrò in stretto contatto con la colonia italiana (Ibidem: 56, 57).

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151 Nella sua trattazione su Kantemir Pumpjanskij accosta le satire dell‟autore russo alla pubblicistica moralista inglese del politico e drammaturgo Joseph Addison, collaboratore dello scrittore e saggista Richard Steele, e fondatore nel 1711 della rivista «The Spectator», un periodico rivolto alla borghesia che trattava questioni prettamente sociali (Pumpjanskij 1939a: 50, 51; Pumpjanskij 1947: 430). Nella lettura di Pumpjanskij, Kantemir ha assorbito indirettamente l‟influenza di «The Spectator», visto che le riviste francesi a lui note – come testimoniano gli appunti del suo diario del 1728 – si rifacevano proprio alla struttura del periodico di Addison. In sostanza, il tono didattico e moralista che assume gran parte delle satire è da ricercare proprio in questo precedente letterario, il quale, a sua volta, fu l‟antesignano del romanzo moralista di Samuel Richardson (si pensi a Pamela) (Pumpjanskij 1941a: 196; Levin 1994: XXVII).

Vediamo dunque che la cifra poetica di Kantemir viene presa in esame da Pumpjanskij per rivelare come il letterato russo svolga, pur con tutte le sue limitazioni, il ruolo di «apripista» del classicismo; tale ruolo, come vedremo nei paragrafi successivi, sarà ereditato ed espletato da Lomonosov il quale, parimenti a Kantemir, si avvicinò alla cultura europea, stavolta tedesca, segnando l‟inizio del dominio culturale germanico nella letteratura russa del Settecento. Presentiamo allora l‟analisi di Pumpjanskij sulla cosiddetta «scuola tedesca della ragione» per arrivare a capire quale sia la base culturale su cui si innesta la poetica del primo autore classicista.

4.4 La «scuola tedesca della ragione» («немецкая школа разума»)

All‟interno delle poetiche del XVIII secolo Pumpjanskij sviluppa una riflessione rigorosa e analitica su quella che definisce la «немецкая школа разума» («scuola tedesca della ragione»).

Si tratta di un concetto da lui autonomamente elaborato che designa quella schiera di poeti tedeschi, principalmente legati alle figure di Gottlob Friedrich Wilhelm Juncker (1703-1746) e Jacob von Stählin (1709-1785), che a partire dal 1731

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152 (anno in cui Juncker si trasferì a Pietroburgo) prestò servizio all‟Accademia russa delle Scienze e si pose in netto contrasto con le tendenze mariniste italiane sviluppatesi nei territori tedeschi dagli anni Venti agli anni Settanta del XVII secolo grazie all‟opera dei letterati Martin Opitz, Paul Fleming, Christian Hofmannswaldau. Alla poetica di questi ultimi Pumpjanskij, profondo conoscitore della letteratura e della cultura tedesche, aveva dedicato i capitoli della Istorija nemeckoj literatury (Storia della letteratura tedesca, 1962), di cui si conservano le varianti inedite nell‟archivio privato del critico (AP SPb). Nei saggi della Storia della letteratura tedesca, così come in Trediakovskij i nemeckaja škola razuma (Trediakovskij e la scuola tedesca della ragione, 1937), si parla di «первая» e «вторая силезская школа» («prima» e «seconda scuola slesiana») (Pumpjanskij 1937: 160; Pumpjanskij 1962a; Pumpjanskij 1962d), un termine che, probabilmente sulla scorta di volumi e monografie della fine del XIX o inizio XX secolo, si riferiva al gruppo di Opitz e alla sua pratica poetica fortemente dipendente da quella marinista italiana.

La poetica di Opitz e dei suoi epigoni giocava molto sull‟esuberanza delle immagini, sull‟uso continuo di metafore, su uno stile formale e decorativo a cui si contrapposero, secondo la lettura di Pumpjanskij, i rappresentanti della «scuola tedesca della ragione», i quali ripulirono la letteratura dagli eccessi barocchi in favore dell‟esaltazione di valori come scienza e ragione, venutisi ad affermare grazie alle nuove conquiste scientifiche e alle rivoluzioni filosofiche in terra germanofona (Leibniz prima e Wolff poi). Vediamo chi furono e come vengono descritti da Pumpjanskij i fautori della «škola razuma» anche alla luce di studi più recenti che, sulla scorta delle osservazioni mosse dal critico di Vil‟na, hanno approfondito la vita e l‟opera di queste rilevanti personalità messesi al servizio della corte russa degli zar.

Gottlob Friedrich Wilhelm Juncker (1703-1746) era cresciuto sotto la diretta influenza di Johann Burkhard Menke (1674-1732/1736), professore di storia presso l‟Università di Lipsia, dove aveva studiato il giovane Juncker fra il 1717 e il 1719. Menke aveva fondato e presieduto nel 1697 la Görlitzische poetische Gesellschaft, una società poetica molto vicina alle tendenze artistiche del classicismo francese che nel 1722 prese il nome di Deutsche Gesellschaft in

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153 Leipzig, riorganizzata poi nel 1727 da Gottsched (DCLT 1976: II, 1087) (da allora, infatti, assunse il nome di Deutsche Gesellschaft); a essa prese parte lo stesso Juncker (Markwardt 1958: I, 319-322; Alekseeva 2002; Alekseeva 2005: 96). All‟Università di Lipsia era noto un altro nome che esercitò uno spiccato ascendente sul giovane Juncker, ovvero il professor Johann Christian Günther (1695-1723), il cui elogio delle scienze, successivamente ripreso e sviluppato tanto da Juncker quanto da Stählin, così come anche da Lomonosov, era manifesto nell‟ode An die Frau von Bresslerin, su cui lo stesso Pumpjanskij si fermerà per rintracciarne le influenze sull‟ode di Lomonosov del 1747 (Pumpjanskij 1935: 129, 130; Pumpjanskij 1983: 10). Oltre alle illuminazioni, Juncker scrisse versi panegirici in occasione di numerosi eventi come il matrimonio della cognata di Biron (1733) e il saluto al duca Anton Ulrich (1733), alla principessa Anna Leopol‟dovna e al presidente dell‟Accademia delle scienze Hermann Karl Keiserling (1733) (Pumpjanskij 1983: 31; Alekseeva 2005: 92, 93)168. I temi dominanti dei versi di Juncker, che Lomonosov conobbe personalmente a Friburgo nel 1739 (Pumpjanskij 1983: 29), sono molto legati alla celebrazione del potere illuminato, protettore delle scienze – quelle che Pumpjanskij aveva definito le stranstvujuščie Muzy (Infra par. 4.1.1) – e alla descrizione della vita economica, commerciale e politica del paese (Pumpjanskij 1983: 24). Tutti questi leit-motiv risentivano della poesia di Menke e di Günther, a loro volta debitori di Malherbe, e dettero avvio in Russia alla fortuna di quella che è stata definita l‟«ode pindarica» (Alekseeva 2005: 96).

La poesia di Juncker era conosciuta, come ricorda Pumpjanskij, dal giovane Lomonosov, il quale ne rielaborò magistralmente il repertorio tematico e formale (Infra par. 4.5.1). Fu proprio Lomonosov a tradurre, inoltre, nell‟aprile 1742, i versi che Juncker aveva composto in occasione dell‟incoronazione di Elisabetta (Pumpjanskij 1983: 29, 30).

Altro alfiere della «scuola della ragione» cui volge l‟attenzione Pumpjanskij fu Jacob von Stählin (1709-1785), giunto a Pietroburgo su invito dell‟Accademia delle Scienze (1735). Stählin fu una personalità intellettuale che ricoprì un ruolo

168

Tutte queste poesie, uscite in edizioni diverse, sono custodite presso la Filiale dell‟Archivio e presso la Biblioteca dell‟Accademia delle Scienze di Pietroburgo.

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154 rilevante alla corte di Anna Ioannovna, Elisabetta Petrovna e Caterina II, compose versi encomiastici e si occupò delle coreografie e dell‟organizzazione di spettacoli d‟opera (Bartlett: 2002: 21; Alekseeva 2005: 132). Allo stesso modo di Juncker, Stählin aveva frequentato durante gli anni universitari la Deutsche Gesellschaft in Leipzig di Gottsched (di cui sentì grandemente l‟influenza) e vi aveva partecipato traducendo dal greco una poesia di Saffo (1734) e dall‟italiano l‟idillio giovanile di Scipione Maffei La fida Ninfa (Die treue Schäferin), che poi lo stesso Maffei trasformò in libretto (Pumpjanskij 1983: 5; Alekseeva 2005: 133; SRP: III, 424). La conoscenza di numerose lingue – fra cui anche l‟italiano e il francese – è attestata infatti dai copiosi materiali inediti di Stählin che sono conservati presso la Filiale dell‟Archivio dell‟Accademia delle Scienze di Pietroburgo e presso la Sezione Manoscritti della Biblioteca nazionale di Pietroburgo169.

Il poeta tedesco-pietroburghese compose la sua prima ode, Allerunterthänigster Glück-Wunsch in einer Ode an Ihro Kayserl. Maj. Anna Ioannowna <…> zum Eintritt des 1736 sten Jahres auss von der Academie der Wissenschaft, in perfetto stile classicista francese e la dedicò all‟Accademia delle Scienze; l‟ode, inoltre, era accompagnata da una traduzione in versi che portava la firma di Trediakovskij, come del resto gran parte delle traduzioni delle odi che Stählin scrisse fra il 1736 e il 1737 (Alekseeva 2005: 133, 138). Uno dei motivi più ricorrenti nella produzione in versi di Stählin a cui Pumpjanskij presta particolare attenzione è l‟ampia e lucida celebrazione del sovrano, dipinto come protettore delle Muse-scienze e quindi come regnante «giusto» e illuminato (Pumpjanskij 1983: 30). Non ci stupirà notare che dello stesso motivo abbiamo parlato in merito alla poesia di Juncker, che tendeva inoltre a mettere in luce aspetti politico-sociali ed economici della Russia del Settecento. Furono proprio questi i nuclei tematici che confluirono, secondo Pumpjanskij, nella poetica di Lomonosov e che lo decretarono a tutti gli effetti un erede della «scuola della ragione».

Indaghiamo ora il significato attribuito dal critico di Vil‟na al cantore di Chotin; procederemo poi enucleando i momenti della storia letteraria russa che

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Si veda SPFA AN, f. 170, op. 1, Stählin Ja. Ja., rukopisi trudov 1725-1785 gg. e OR RNB, f. 871 (Ja.Ja. Štelin).

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155 Pumpjanskij mette a fuoco sino ad arrivare a capire la ragione per cui il classicismo viene fatto terminare con Puškin (Infra par. 4.5.5).

4.5 Da Lomonosov a Puškin: avvertenza

Tutto ciò che abbiamo descritto e discusso sinora ha avuto lo scopo di gettare le basi per comprendere i contenuti di questo paragrafo, ovvero l‟applicazione empirica di quanto Pumpjanskij aveva costruito scrupolosamente sul piano teorico. Come già detto nel paragrafo 4.2, il critico considera «classicisti» tutti i letterati che, alla luce dei principî teorici esposti (Muse, stile, entusiasmo), sviluppano la propria poetica dal Lomonosov dell‟ode di Chotin fino al Puškin del Pamjatnik. In questa linea temporale che abbraccia di fatto un secolo trovano maggiore spazio alcuni intellettuali che presenteremo nei prossimi sottoparagrafi. L‟itinerario che abbiamo scelto di seguire all‟interno del sistema classicista di Pumpjanskij aderisce all‟apparato speculativo tracciato nei paragrafi precedenti (Infra parr. 2.2.2.1-2.2.2.4, 2.2.4, 3.3.1-3.3.6): tratteremo solo alcuni aspetti principali che Pumpjanskij riscontra nelle poetiche di Lomonosov, Trediakovskij, Petrov, Derţavin e Puškin, ovvero l‟evoluzione degli stili e dei generi letterari e il rapporto di questi letterati con l‟idea di «classico» sopra enunciata. Tralasceremo la trattazione di Pumpjanskij riservata alle «odi spirituali e teologiche» di Lomonosov e Derţavin cui si dedica in Per una storia del classicismo russo (Pumpjanskij 2000h: 64, 103-108) e lasceremo da parte la disamina, seppur esposta in forma incompleta, sulla storia della versificazione russa nel XVIII secolo dal punto di vista metrico, ritmico e sintattico (Ibidem: 36-43, 46-54, 68-71, 124-127), sulla commedia di Fonvizin (Ibidem: 134-153) e sulla poetica di Radiščev (Ibidem: 153, 154; Pumpjanskij 1941c; Pumpjanskij 1947: 441, 443-445; Pumpjanskij 20002).

Una scelta di questo tipo può sembrare arbitraria, visto che ha lasciato fuori dalla nostra analisi alcuni percorsi „secondari‟ – che riteniamo tali in Pumpjanskij almeno in questo momento della nostra ricerca – e che lo stesso critico attraversa con particolare acume esegetico e acribia filologica. La selezione che abbiamo

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156 operato, tuttavia, ci sembra inevitabile almeno in questa momento del nostro studio: lo scopo che qui ci prefiggiamo è capire come viene applicato il concetto di «classico»/«classicismo» alla storia della letteratura russa. In un futuro prossimo auspichiamo di completare le parti che a oggi risultano mancanti.

Fatte queste premesse, passiamo ora ad affrontare la questione sull‟orientamento poetico di Lomonosov, seguendo gli spunti del paragrafo 4.4 e tenendo ben presente il modello «classico»/«classicismo» con i rispettivi fattori discussi nei paragrafi precedenti e nel capitolo secondo.

4.5.1 Michail Lomonosov: rappresentante supremo del classicismo russo

Pumpjanskij investe Lomonosov del titolo di primo poeta classicista russo quando afferma che con l‟Ode per la presa di Chotin si manifesta per la prima volta nella storia della letteratura russa quello che chiama «stile» (Pumpjanskij 2000h: 54, 55) (Infra par. 4.1.2). In altre parole, è solo nell‟ode del 1739 che prende forma, secondo questa lettura, uno dei tratti distintivi dell‟ideale classico e quindi del classicismo. Vediamo cosa si cela dietro queste osservazioni.

Nel paragrafo «Ранний Ломоносов» («Il giovane Lomonosov») di Lomonosov e la scuola tedesca della ragione Pumpjanskij ricostruisce la carriera tedesca del poeta russo, sottolineando l‟apprendistato spirituale presso il già citato Günther e l‟influenza subita dalla poesia di Juncker. Lo studioso sostiene che grazie all‟ode ufficiale di Günther Lomonosov abbia compreso la necessità di sperimentare l‟ode solenne, perché ciò che lo accomunava al letterato tedesco era il carattere sociale della sua poesia. La celebrazione delle scienze, l‟amore e il rispetto per la conoscenza, il dominio delle passioni erano temi che stavano alla base della sensibilità güntheriana, tutti tratti peculiari che spingono Pumpjanskij a definire Günther un portavoce dello Sturm und Drang ai primi stadi del suo sviluppo (Pumpjanskij 1983: 9-11). Il giovane Lomonosov, continua il critico, aveva colto tutti questi motivi dominanti – conosceva a memoria i versi del poeta tedesco – e a essi si era ispirato per la composizione dell‟Ode per la presa di Chotin (Ibidem: 9).

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157 Dall‟ode di Chotin si dipana poi, per Pumpjanskij, un vero e proprio filo tematico che passa attraverso la «scuola della ragione» (Juncker in primis), a sua volta debitrice della poetica güntheriana, e porta Lomonosov a utilizzare gli stessi topoi letterari di Juncker: l‟espansionismo della Russia (Chotinskaja oda), la celebrazione del sovrano (Oda na pribytie Elizavety Petrovny iz Moskvy v Sanktpeterburg, Oda na den’ roždenija Elizavety Petrovny), l‟affermarsi dell‟industria mineraria (Na den’ vosšestvija na prestol imperatricy Elisavety Petrovny 1747 goda) e la celebrazione di scienza e ragione (Pis’mo o pol’ze stekla) (Pumpjanskij 1983: 4, 5, 22-36; Ospovat 2007a).

C‟è però un elemento che, secondo Pumpjanskij, allontana Lomonosov dalla «škola razuma»: il suo stile (Pumpjanskij 1983: 4,5, 42). Vediamo come viene descritto da Pumpjanskij.

Nell‟Oda na vzjatie Chotina, composta, com‟è noto, in occasione della vittoria sugli eserciti turchi, la meta conclusiva verso cui tende la storia è il popolo russo e lo zar, nella cui descrizione riecheggiano moduli epici: ricordiamo, per esempio, l‟apparizione quasi epifanica di Pietro il Grande, il «Герой» che è venuto a salvare il suo popolo dalle truppe nemiche (Lomonosov 1959: VIII, 21, 22). Per Pumpjanskij è sintomatico l‟incipit dell‟ode – «Восторг внезапный ум пленил» («Un entusiasmo improvviso soggiogò la mente») (Ibidem: 16) – che dimostra come lo stile lomonosoviano sia l‟espressione di una forma di pensiero che «non deve essere inteso tale soltanto per le sue caratteristiche formali» (Pumpjanskij 1983: 38, 43, 44). Lo stile di Lomonosov viene definito «парящий стиль» (uno «stile alato», «che si libra nell‟aria») (Ibidem: 40), uno stile che aderisce pienamente al modello classico di cui abbiamo parlato, ovvero un insieme di parole che accedono a una realtà trascendente e conservano pienamente e unicamente la ricchezza di pensiero (Pumpjanskij 2000h: 55). Ancora una volta troviamo espresso tra le righe quel concetto di entusiasmo sopra esposto che porta a contatto il poeta con una sfera superiore (Infra parr. 4.1.2, 4.1.3). Secondo il critico, la fiducia incondizionata che Lomonosov accorda a scienza e ragione sono dettate direttamente dalle Muse cui il poeta stesso si rivolge (nell‟ode del 1742 leggiamo: «Взлети, превыше молний, Муза», «Alzati in volo, oltre i lampi, Musa») (Lomonosov 1959: VIII, 82).

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158 È per questo che Pumpjanskij si dimostra critico nei confronti di Gukovskij, quando questi aveva parlato di «sontuosità» per definire lo stile lomonosoviano, strettamente legato, secondo Gukovskij, all‟ambiente cortigiano (Gukovskij 1936: 14; Pumpjanskij 1983: 40, 41). Nella lettura di Pumpjanskij, ciò che conta in Lomonosov non è tanto l‟uso frequente di metafore e biblismi che si registrano nella sua ode, ma uno spirito incondizionato verso valori eterni che spinge il poeta a farsi travolgere dalla forza del canto e quindi dalle Muse. Giova notare che poco più tardi nei suoi Očerki po istorii russkoj literatury XVIII veka (Saggi sulla letteratura russa del XVIII secolo, 1939) lo stesso Gukovskij si pronuncerà in termini diversi sullo stile di Lomonosov, dando sicuramente merito alle osservazioni che Pumpjanskij gli aveva mosso qualche anno prima: «Реальность изображаемого мыслилась не как эмпирическая реальность конкретных предметов, а как концептуальная реальность вечных объективно данных идей.»170

(Gukovskij 1938: 239). Torniamo al critico di Vil‟na.

Nonostante il nesso sistematico che era riuscito a stabilire fra lo stile lomonosoviano e il significato teorico di «stile», Pumpjanskij sembra non essere soddisfatto della sua indagine, poiché essa continua in Lomonosov i Malerb (Lomonosov e Malherbe, 1935). Nel saggio egli ricerca le radici storiche dello stile lomonosoviano nella pratica poetica del portavoce del classicismo francese. Vale la pena notare che dopo l‟indagine di Pumpjanskij e sicuramente fino al 1968 171 la comunità scientifica russa non ha dimostrato interesse verso l‟argomento, il che manifesta una lacuna sul chiarimento dei rapporti stilistici fra il cantore di Chotin e il poeta francese. Il tema, dunque, meriterebbe una disamina critica più profonda e circostanziata. In questa sede ci limiteremo a esporre la posizione che Pumpjanskij assume nel momento in cui analizza alcune odi solenni di Malherbe, fra cui Au Roi Henri Le Grand, sur la prise de Marseille (scritta nel 1596 ed edita nel 1630), e i versi di Sur le même sujet (1630) – ovviamente dipendenti dall‟ode a Enrico IV – in relazione alla pratica stilistica lomonosoviana.

170

«La realtà del rappresentabile fu pensata non come una realtà empirica di oggetti concreti, ma come una realtà concettuale di queste idee oggettivamente eterne.»

171

Si veda a tal proposito Istorija russkoj kul’tury XVIII veka. Bibliografičeskij

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159 Ricordiamo che sia l‟ode per la presa di Marsiglia che il componimento Sur le même sujet celebrano l‟entrata nella città da parte delle truppe reali di Enrico IV che nel 1596 avevano costretto alla fuga il preposto Louis d‟Aix e ucciso il console cittadino Charles Casaulx, legato al protettorato spagnolo di Filippo II. Due sono, secondo Pumpjanskij, le caratteristiche che avvicinano i piani stilistici di Malherbe e Lomonosov, ovvero l‟utilizzo di due topoi che il critico definisce «la caduta del titano» e «il terrore dell‟Oriente» (Pumpjanskij 1935: 114). L‟immagine di Casaulx, descritto da Malherbe come un «effroyable colosse» e un «grand Titan» (Malherbe 1971: 30, 32), si trasferisce nella descrizione di Biron nel Lomonosov dell‟ode del 1741 (Lomonosov 1959: VIII, 37): così come la potenza di Casaulx aveva minacciato la stabilità politica di Enrico IV, il regime dispotico e tirannico di Biron aveva insidiato la corona russa (Pumpjanskij 1935: 114) e, come dirà il poeta nell‟ode del 1746 a Elizaveta Petrovna, umiliato lo stesso popolo («Уже народ наш оскорбленный / В печальнейшей нощи сидел») (Lomonosov 1959: VIII, 140).

Seconda occorrenza rintracciata riguarda la rappresentazione dell‟Oriente. Nell‟ultima strofa dell‟ode del 1596, infatti, Malherbe profetizza la conquista dell‟Oriente quando scrive che dopo la liberazione di Marsiglia e del trionfo degli eserciti francesi la città egiziana di Memphis trema, è «pâle d‟effroi» (Malherbe 1971: 31) nel sapere dell‟avanzamento delle truppe di Enrico IV (Pumpjanskij 1935: 113, 114). In Lomonosov l‟immagine del Vostok alla stregua – secondo Pumpjanskij – della produzione poetica di Malherbe ritorna due volte: nell‟ode del 1754, quando con l‟epiteto «Дракон ужасный» («terribile drago») viene designato il sultano turco e nell‟ode del 1764 per alludere all‟imperatore cinese attraverso l‟espressione «напыщенный исполин» («ampolloso gigante»). Nella lettura del critico, tale dato stilistico si trasferirà poi nell‟ode per la presa di Očakov di Petrov (1788), dove comparirà la figura dell‟ammiraglio turco Hassan, «simile a un gigante» («Гассан, подобье великана»), e nel Fragmentum (1772) del giovane Derţavin, in cui il «Великий страшный исполин» («Grande gigante terribile») sarà l‟immagine per definire la forza islamica (Pumpjanskij 1935: 117). In sostanza, secondo il nostro, il consapevole recupero stilistico di alcune espressioni malherbiane da parte di Lomonosov non è disgiunto dalle ragioni

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160 estetiche del poeta russo, poiché la sua ode in generale, come del resto tutta la produzione dell‟ode classicista, tende all‟esaltazione della politica espansionistica della monarchia assoluta e all‟affermazione dell‟orgoglio nazionale (Pumpjanskij 1935: 124; Pumpjanskij 20002: 50, 51).

Prima di passare al prossimo paragrafo riteniamo opportuno offrire alcune riflessioni critiche sull‟analisi dell‟ode lomonosoviana che Pumpjanskij conduce negli studi appena illustrati.

Nonostante al critico vada riconosciuto il merito di aver avviato la ricerca sugli influssi europei nella prassi stilistica ed estetica di Lomonosov, e sebbene egli rifletta sulla genesi del genere dell‟ode, occorre riflettere su alcuni punti della sua interpretazione.

Abbiamo visto che l‟ode di Chotin viene percepita come una vera e propria innovazione non solo per l‟introduzione del verso sillabo-tonico, ma perché il sistema di valori che aveva istituito rispondeva a quell‟ideale classico che, come vedremo più avanti, rappresenterà il paradigma per il Kinžal e il Mednyj vsadnik di Puškin (Infra par. 4.5.5). Questa lettura multidimensionale dell‟ode lomonosoviana, che porta Pumpjanskij ad analizzare stilisticamente gli aspetti della lirica di Lomonosov e contemporaneamente a legittimare un sistema estetico formulato in precedenza, si concentra quasi esclusivamente su due elementi: i temi e lo stile. Passa completamente in secondo piano – e risulta quasi escluso dall‟analisi – un motivo che è altrettanto dominante in Lomonosov: l‟orientamento declamatorio.

L‟attenzione verso la declamazione è manifesta, del resto, già nella prima edizione della Ritorika, quando Lomonosov spiega come deve essere pronunciato ciascun periodo: dopo aver terminato la lettura di un periodo, occorre fare una piccola sosta; quando un periodo è separato da un punto e virgola occorre mutare la voce e fermarsi in modo appena percettibile (Lomonosov 1952: VII, 78). Affinché poi l‟ode espleti la sua funzione declamatoria, essa risponde a un sistema in cui l‟intonazione, l‟aspetto sonoro, il gesto, la dizione sono elementi preponderanti (Ibidem: 23-79). Tutte queste componenti acquistano un valore pressoché nullo nella disamina di Pumpjanskij e devono invece essere tenute in considerazione per

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161 comprendere la natura dell‟ode lomonosoviana nella sua dimensione di rappresentazione pubblica (Tynjanov 1977: 236, 237, 241, 249).

Proseguiamo adesso la nostra disamina e presentiamo come vengono esaminate da Pumpjanskij la figura e il ruolo di Trediakovskij nel processo di formazione della storia letteraria nazionale.

4.5.2 Vasilij Trediakovskij: il punto di transizione

Accanto allo studio della poetica e dello stile lomonosoviani Pumpjanskij focalizza il proprio interesse attorno all‟opera di Trediakovskij.

Se nel capitolo dedicato a Kantemir e Trediakovskij uscito nel manuale di Gukovskij, Pumpjanskij considera l‟autore del Telemaco un epigono della tradizione sillabica (Pumpjanskij 1939a: 64, 72), nel capitolo della storia della letteratura russa uscito postumo (1941) Pumpjanskij evidenzia la complessità del ruolo giocato da Trediakovskij nello sviluppo della storia letteraria. Pur non avendo rifiutato la tradizione metrica precedente, scrive lo studioso, l‟opera di Trediakovskij ha comunque compiuto una riforma che per ragioni storiche non poteva operarsi nel giro di pochi mesi: occorreva prima formare e consolidare un verso di transizione («переходный стих») e poi incentivare e stimolare il passaggio definitivo dalla vecchia alla nuova tradizione (Pumpjanskij 1941: 215, 226).

Più che un vero e proprio allievo del magistero dei virši, Trediakovskij è quindi concepito come un importante, decisivo e indispensabile punto di passaggio fra la generazione di Polockij e quella di Lomonosov. È vero che egli non rompe mai definitivamente con la scuola sillabica, visto che mantiene una lunghezza del verso fra le 11 e le 13 sillabe e una clausola finale femminile, ma è altrettanto vero che nel suo laboratorio si sono sperimentati sistemi di versificazione come l‟esametro, poi ripreso da Gnedič nella sua traduzione dell‟Iliade e da Ţukovskij nella sua traduzione dell‟Odissea, e generi poetici – come il poema amoroso – che avevano il compito di formare una nuova letteratura nazionale. Furono, infatti, numerosi gli esempi che aprirono la strada alla rivoluzione lomonosoviana e

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162 testimoniarono la ricerca continua di un nuovo principio metrico, stilistico e sintattico: l‟Oda na sdače Gdanska (Ode per la presa di Danzica, 1734) modellata sull‟Ode sur la prise de Namur di Boileau (1693) (Trediakovskij 2009: 158), il Rassuždenie o ode voobšče (1734) che riprende il Discours sur l’ode di Boileau (1693), nonché il Novyj i kratkij sposob (1735) (Serman 1968a: 63, 65; Ţivov 1996: 263, 264) che fu letto da Lomonosov e contribuì dialetticamente a dar vita al Pis’mo o pravilach russkogo stichotvorstva.

Secondo Pumpjanskij, il punto di svolta della poetica di Trediakovskij che lo avvicinerebbe alla sensibilità di Lomonosov è rappresentato dall‟incontro con Juncker, fondamentale per lo sviluppo degli studi della letteratura e del sistema tedesco che Trediakovskij intraprese a Pietroburgo (Pumpjanskij 1937: 177, 178). Sarebbe stato lo stesso Juncker a incidere sulla produzione del poeta russo a partire dal 1732, o comunque non più tardi del 1733, visto che il carisma del letterato tedesco viene ricordato in una variante del Rassuždenie o ode voobšče (Trediakovskij 2009: 381, 382).

Le odi scritte da Trediakovskij dopo il 1732-1733, dopo cioè la sua nomina come traduttore ufficiale presso l‟Accademia delle Scienze (1732), risentono dell‟estetica della «scuola della ragione», giacché ripresentano il tema delle «Muse erranti» come si registra nel Pozdravlenie baronu Korfu del 1734 («Есть Российска муза, всем и млада и нова»). C‟è da aggiungere che l‟ode composta da Trediakovskij in questo periodo, come ben ricorda Pumpjanskij, deve fare i conti con quella lomonosoviana che in questi anni si fa sempre più autorevole e che dominerà incontrastata fino alla seconda metà degli anni ‟60, quando, ancor prima di Derţavin, il sistema coniato da Lomonosov viene riformulato dalla pratica poetica di Vasilij Petrov.

Ciò che occorre qui sottolineare è il fatto che Trediakovskij viene ritenuto da Pumpjanskij il presupposto indispensabile perché Lomonosov adempia ai suoi compiti di innovatore e possa portare a compimento quella riforma già avviata dall‟autore del Telemaco. In altre parole, Trediakovskij viene considerato da Pumpjanskij la ragione storica, l‟elemento formale e concettuale che giustifica e stimola la rivoluzione lomonosoviana.

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163 Continuiamo ora la disamina degli autori che il nostro considera classicisti e presentiamo gli studi del critico sull‟ode di Vasilij Petrov.

4.5.3 Vasilij Petrov e l‟Oda na velikolepnyj karusel’ (1766)

Perno di tutta la trattazione di Pumpjanskij su Petrov è l‟Oda na velikolepnyj karusel’ (Ode al sontuoso carosello, 1766) che partendo da moduli lomonosoviani propone una nuova pratica stilistica.

Com‟è noto, l‟ode fu scritta in occasione di una festa equestre in costume, il carosello appunto, ballo in cui cavalli e cavalieri eseguivano in perfetto stile cortese occidentale passi, movimenti e salti dell‟alta scuola equestre. L‟evento ebbe luogo a Pietroburgo nel giugno 1766 e vide la partecipazione dei massimi dignitari alla corte di Caterina II: Petr Ivanovič Repnin, maestro d‟equitazione a corte e général en chef in quiescenza, il principe Petr Alekseevič Golicyn, Oberst-Jägermeister, e il generale Burkhard Christoph von Münnich.

Pumpjanskij evidenzia l‟alto registro stilistico delle prime strofe (I, III, V), in cui il richiamo a Pindaro, Plutone, Febo, Diana è di chiaro retaggio lomonosoviano (Petrov 1972: 326, 327). Tuttavia non mancano nel testo, scrive Pumpjanskij, delle espressive novità stilistiche. L‟abile commistione e l‟uso alternato di elementi lessicali del registro basso a quelli del registro alto danno luogo a contrasti stilistici che diventano la cifra di Petrov, il quale, nel dedicare un‟ode a una festa di corte, aveva già dimostrato il suo carattere „rivoluzionario‟ (Gukovskij 1947: 354). Di fatto, nella lettura di Pumpjanskij, Petrov non fa altro che preannunciare la decisiva rivoluzione stilistica che si compirà con Derţavin. È per questo che all‟autore dell‟Ode al sontuoso carosello viene affidato un compito simile a quello riconosciuto a Trediakovskij: Petrov rappresenta il punto di intersezione fra la disposizione poetica di Lomonosov e quella di Derţavin, l‟anello di congiunzione fra due generazioni di letterati.

Vediamo allora cosa accade con Derţavin e cerchiamo di capire quale nuova immagine di «stile» viene offerta dal cantore di Felica.

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164 4.5.4 Gavriil Derţavin: dallo stile «carnevalesco» all‟autobiografismo

Insieme a Lomonosov, Derţavin occupa un ruolo dominante nel sistema classicista di Pumpjanskij e questo perché nel poeta, così come nell‟autore della Chotinskaja oda, si compie il recupero e il rinnovo dei moduli classici.

Pumpjanskij individua due grandi periodi nella poetica derţaviniana: il primo dal 1774 al 1784, e il secondo dal 1788 al 1807 con un intervallo temporale fra il 1784 e il 1788. All‟interno di questa suddivisione Pumpjanskij opera un ulteriore frazionamento che viene scandito dall‟avvicinamento di Derţavin al circolo di Pietroburgo, dove intorno alla fine degli anni Settanta il poeta strinse amicizia con Kapnist, Chemnicer e soprattutto con N.A. L‟vov, i quali gli mostrarono l‟ode oraziana e la lirica amorosa italiana e francese (Pumpjanskij 2000h: 84, 85; Gukovskij 2001: 195).

Come abbiamo detto nell‟avvertenza a questo capitolo, scopo del presente paragrafo non è quello di far luce su tutta la poetica derţaviniana studiata da Pumpjanskij, ma di circoscriverla a quegli aspetti che più ci sembrano utili per dimostrare la struttura e la validità del modello classicista elaborato; le odi cui accenneremo sono pertanto una selezione limitata di quelle che il nostro esamina nei saggi scritti fra il 1923 e il 1939 (K istorii russkogo klassicizma, Mednyj vsadnik i poėtičeskaja tradicija XVIII veka, Ob ode A. Puškina «Pamjatnik», Poėzija F.I. Tjutčeva).

Rispetto alla tradizione immediatamente precedente – Lomonosov e Petrov – Derţavin, secondo Pumpjanskij, presenta degli elementi decisamente innovativi, anche se il poeta ha ben presente sia l‟ode pindarica di Lomonosov che il principio del doppio registro linguistico introdotto da Petrov. Fondamentali per suffragare questa tesi sono, per Pumpjanskij, le odi Felica (1782) e Na sčast’e (1789) in cui si registra tanto una tendenza verso l‟uso dello stile alto, quanto un orientamento verso l‟utilizzo di registro più «basso», un orientamento che si sintetizza nella formulazione del linguaggio medio (srednij jazyk) (Pumpjanskij 2000h: 97; Serman 1968a: 136, 138, 141).

In Felica, di cui a più riprese Pumpjanskij offre una riflessione generale, si incrociano infatti generi e stili assai eterogenei: elementi di un registro aulico che

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165 attingono all‟ode e al lessico lomonosoviani («Богоподобная царевна», «в славе великодушна», «оком лучезарным», «Она мой дух и ум пленяет» che ricorda l‟incipit dell‟ode di Chotin «Внезапный ум пленил») si confondono con elementi bassi e talvolta volgari (tre sono le occorrenze in cui si incontrano lessemi con prefisso дур-: «Играя в дураки с женой»; «Дурачества сквозь пальцы видишь»; «Ты не дурачишь так людей»), ed elementi che traggono invece origine dalla fiaba, in particolar modo dalla Fiaba sullo zarevič Chlor che Caterina II scrisse per i suoi nipoti («Где роза без шипов растет», «Почасту ходишь ты пешком/, И пища самая простая / Бывает за твоим столом») (Pil‟ščikov, Šapir 2006: 519).

Nel tessuto poetico di Na sčast’e (Alla fortuna, 1789) Pumpjanskij registra lo stesso procedimento espressivo di Felica, anche se egli non manca di notare la maggiore intensità con cui si manifesta quello che Derţavin definì il zabavnyj russkij slog (Pumpjanskij 2000h: 83, 98). Dopo le prime strofe in cui la solennità del registro utilizzato è chiaramente di stampo lomonosoviano («Всегда прехвально, препочтенно, / Во всей вселенной обоженно / И вожделенное от всех, / О ты, великомощно Счастье!») (Derţavin 1864: I, 246), si passa a una rappresentazione comico-ironica del potere («вселенну в трантелево гнут», «и припевает хем, хем, хем», Vinokur 1947: 117; Uspenskij 1996: 802), arrivando dunque a uno stile che, nella lettura di Pumpjanskij, sovverte completamente l‟ordine sino ad allora consolidatosi. Uno stile di questo tipo induce il critico a parlare di «чепуха и карнавал» («sciocchezze e carnevale»), di «стиль карнавала» («stile carnevalesco») (Pumpjanskij 2000h: 98) e di «раблезианский эпос» («epos rabelaisiano») (Ibidem). In altre parole, Pumpjanskij intende sostenere che l‟ode offre risorse espressive che aboliscono il tabù, la regola e la gerarchia canonizzati dal Predislovie o pol’ze knig cerkovnych v rossijskom jazyke (Prefazione sull’utilità dei libri ecclesiastici in lingua russa) e che aveva dominato il panorama letterario sino ad allora.

Interessante osservare che queste frammentarie affermazioni sull‟idea di «carnevale» e il richiamo all‟epos di Rabelais sono decisamente affini al concetto di «carnevale» discusso da Michail Bachtin nella sua dissertazione del 1940, poi rielaborato nell‟opera Fransua Rable i narodnaja kul’tura (François Rabelais e la

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166 cultura popolare, 1965). Non sarà quindi superfluo rilevare, anche se su questo aspetto ritorneremo nel quinto capitolo, che anche nel saggio incompiuto Gogol’, scritto fra il 1922 e il 1925, compaiono nuclei concettuali molto simili a quelli articolati più tardi da Bachtin. Pumpjanskij parla infatti di «эпичность» (carattere epico) (Pumpjanskij 2000f: 283, 284, 297, 333), «комический эпос» (epos comico) (Ibidem: 276, 279, 283, 322), «смех» (riso) (Ibidem: 291, 305, 306, 333) e «карнавал» (carnevale) (Ibidem: 277). Tutto questo non fa altro che confermare la tesi della centralità della questione del «riso» e del «carnevale» – così come quella del romanzo che sarà oggetto del prossimo capitolo (Infra par. 5.2) – all‟interno delle discussioni che ebbero luogo nel circolo di Nevel‟ durante gli anni ‟10. Non intendiamo certo sollevare problemi di paternità intellettuale – problemi che, sia detto per inciso, non sono sufficienti a chiarire la complessità e la natura dei fenomeni – ma ci limitiamo solo a segnalare come il ruolo della scuola di Nevel‟ sia stato decisivo per tutti i suoi componenti.

Torniamo a Derţavin.

Pumpjanskij ammette di non conoscere le radici dello stile medio («Происхождение этого «среднего» языка я не могу объяснить (хотя бы потому, что все проблемы теории смешного...)») (Pumpjanskij 2000h: 93)172

e lascia ai posteri la soluzione dell‟enigma sulla genesi dello stile derţaviniano173. Tuttavia, la nuova immagine di stile proposta da Derţavin, al di là delle questioni sulla sua origine, affonda le proprie radici nella tradizione letteraria precedente e assorbe nuovi elementi letterari, trasformandosi e proseguendo il proprio percorso fino al Puškin dell‟Onegin, in cui il principio dello srednij jazyk di Felica

172

«L‟origine di questo linguaggio «medio» non posso spiegarla (nonostante tutti i problemi di teoria del comico...)»

173

Nel 1990 Cesare De Michelis pubblica per la prima volta il poema giovanile di Puškin

Ten’ Barkova (L’ombra di Barkov) (De Michelis 1990) che getta luce sull‟utilizzo dello

stile osceno. Sulla barkoviana ha poi scritto Zorin (Zorin 1991) e Sulpasso (Sulpasso 2004; Sulpasso 2006), mentre sullo stile di Derţavin si è espresso Zapadov, avanzando l‟ipotesi di una diretta influenza barkoviana (Zapadov 1996). Il tema Barkov-Derţavin è stato successivamente ripreso da Pil‟ščikov, Šapir e Proskurina (Šapir 1996: 87, 94, note nn. 30, 31; Šapir 2002: 421-439; Pil‟ščikov, Šapir 2006: 516; Proskurina 2009: 119, 120; Proskurina 2010). Ci limitiamo in questa sede a rilevare che la questione merita un‟attenzione particolare che va oltre, a nostro avviso, l‟influenza della barkoviana sullo stile di Derţavin. Si deve infatti tenere maggiore conto della tradizione dell‟Elisej di Majkov così come, probabilmente, di quella del burlesco europeo di matrice francese.

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