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Dr. Oscar Bonavitacola

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Academic year: 2022

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Dr. Oscar Bonavitacola

Presidente della I Sezione Tribunale di Brescia

IL DANNO BIOLOGICO PERMANENTE SECONDO I CRITERI DI LIQUIDAZIONE DEL TRIBUNALE DI BRESCIA

Per quanto riguarda il danno biologico permanente, abbiamo ritenuto che la tabella milanese richiedesse qualche aggiustamento, soprattutto perché parte da valori eccessivamente ridotti, avendo fissato la base minima in L.1.000.000 al punto, per un giovane, che si riduce a £. 500.000 al punto per una persona di 65 anni.

Inoltre in quella tabella sono previsti dei coefficienti di demoltiplicazione e di incremento, in relazione alle fasce d’età, molto macchinosi e non sempre giustificati.

Innanzitutto abbiamo fissato il valore iniziale del punto di invalidità in £. 2.000.000, che costituisce già da qualche tempo il valore del punto mediamente applicato non soltanto dal nostro Tribunale.

Abbiamo ridotto le fasce d’età, portandole da tredici a sei, con fascia unica fino a trenta anni, essendoci sembrato che non abbia molto senso differenziare la liquidazione tra un giovane di 18 anni ed uno di 24.

Abbiamo uniformato il demoltiplicatore, fissandolo nella percentuale costante del 10% in meno per ogni fascia d’età, in modo che la liquidazione si riduca al 50% soltanto oltre la soglia degli 80 anni.

Abbiamo reso costante l’incremento per ogni punto in più, man mano che la percentuale di invalidità cresce.

Qui si innesta la particolarità più interessante, che riguarda il mantenimento della doppia liquidazione, quella del danno biologico e quella dell’incapacità lavorativa “generica”, cioè quella che riguarda ogni persona valida, anche se priva di un reddito attuale di lavoro, come il disoccupato o lo studente o la casalinga. Abbiamo previsto, però, un tetto del 15%, che opera nel modo seguente.

Fino al 10% il danno per incapacità lavorativa generica permanente non va liquidato, costituendo micropermanente, sicché va liquidato soltanto il danno biologico.

Otre il 15% va sempre liquidato, integralmente, in base al sistema tabellare, oltre al danno biologico.

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Quello compreso nella fascia che va dall’11% al 15% va liquidato in misura ridotta, pari al 50%, al fine di consentire il passaggio graduale tra la fascia dell’esclusione e quella della liquidazione integrale.

Per quanto riguarda gli incrementi, il danno biologico fino al 15% va incrementato in misura maggiore (£. 100.000 al punto) in considerazione della mancata o ridotta liquidazione del danno per incapacità lavorativa.

Oltre il 15% va incrementato in misura ridotta (£. 50.000 al punto) in considerazione della doppia liquidazione.

Questo sistema sembra preferibile perché porta a risultati più equilibrati, pur non discostandosi molto dai parametri della tabella milanese, salvo che per le fasce più basse e per quelle più alte. Per esempio, per una frattura del bacino, con postumi permanenti dell’8%, la tabella milanese prevede la liquidazione di £. 11.000.000 mentre quella bresciana di £. 20.000.000.

In questi primi mesi di applicazione abbiamo potuto verificare la congruità delle liquidazioni. La nostra tabella, quindi, può costituire un utile strumento di lavoro, peraltro abbastanza facile, naturalmente nei limiti di un certo criterio di massima, senza alcuna limitazione della facoltà di procedere liberamente alla liquidazione del danno con criteri diversi.

Il danno biologico temporaneo

Credo che convenga spendere qualche parola anche in merito al danno biologico temporaneo, dato che negli ultimi anni in alcune sentenze è stata esclusa la liquidazione di tale voce di danno, che invece il nostro Tribunale liquida, di norma, in una somma che si aggira intorno a £. 50.000 per ogni giorno di invalidità totale. Peraltro questa somma corrisponde a quella indicata nella tabella milanese.

A me pare che il danno biologico temporaneo debba essere liquidato separatamente da quello permanente in quanto il primo riguarda il danno alla salute che si verifica nel corso della malattia, fino alla guarigione clinica, ed il secondo il danno alla salute che segue alla avvenuta guarigione clinica.

Normalmente il danno alla salute nella fase iniziale e acuta della malattia è più intenso e più grave, come quello che si verifica nel corso della degenza ospedaliera dell’infortunato, il quale subisce così una immobilizzazione fisica che gli impedisce totalmente di godere della sua salute, cioè di camminare o di svolgere qualsiasi attività rientrante nella vita di relazione (svago, sport, viaggi, sesso, ecc.).

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I postumi permanenti, invece, comportano un impedimento residuale, che normalmente limita soltanto in modo parziale la vita di relazione.

Si tratta, dunque, di danni riguardanti momenti diversi e di entità differente, per cui è impossibile liquidarli con un medesimo criterio. Essi, quindi, vanno liquidati entrambi, ma separatamente.

Se si dovesse aderire alla tesi della non liquidazione separata del danno biologico temporaneo, so perverrebbe al risultato ingiusto di negare il risarcimento del danno temporaneo a chi guarisse senza postumi apprezzabili, pur dopo avere subito un lungo periodo di degenza ospedaliera.

D’altra parte la liquidazione separata di questa voce di danno è condivisa dalla giurisprudenza non soltanto di merito, ma anche di legittimità (Cass. 10.3.92 n. 2840, Foro It. 1993 col. 1960).

Il danno biologico dei congiunti

Altra questione molto interessante è quella del danno biologico dei congiunti delle vittime di incidenti.

E’ noto che la giurisprudenza distingue il danno iure hereditatis da quello iure proprio.

Per quanto riguarda il danno iure hereditatis, non poche decisioni hanno affermato che il danno alla salute subito dalla persona poi deceduta possa essere risarcito agli eredi soltanto quando tra l’incidente ed il decesso dell’infortunato sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo e non anche quando la morte sia stata istantanea o sia sopravvenuta poco dopo o comunque in tempo estremamente ravvicinati all’incidente, tanto da essere assimilabile alla morte istantanea.

Questa tesi non mi sembra molto convincente perché è difficile comprendere la distinzione tra una sopravvivenza lunga ed una meno lunga. Se si riconosce che il bene salute costituisce un diritto della persona, deve ritenersi che la perdita di quel bene comporti in ogni caso la perdita di un diritto e quindi l’obbligo di risarcire il danno all’infortunato, che è titolare di quel bene, indipendentemente dal fatto che la morte sia stata o meno istantanea. In entrambe le ipotesi il diritto al risarcimento è sorto al momento dell’incidente in capo al titolare del diritto alla salute e quindi, in sua mancanza, non può non trasferirsi agli eredi.

Spero in una evoluzione favorevole della giurisprudenza, dato che finora le decisioni prevalenti sono in senso contrario.

Mi sembra, invece, che possa essere condiviso l’orientamento giurisprudenziale in materia di danno biologico iure proprio dei congiunti, di cui è normalmente esclusa la risarcibilità. L’unica eccezione ammissibile mi pare quella del caso in cui sia provato che il turbamento psichico subito da un congiunto per la morte di un familiare non si esaurisca in uno stato di sofferenza temporaneo,

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ma degeneri in un trauma fisico o psichico che provochi un danno permanente alla salute del congiunto, tale da giustificare una voce di danno autonoma, distinta dal danno morale.

Il danno non patrimoniale

La tabella adottata dal Tribunale di Brescia si occupa anche del danno morale, proponendo un criterio che ne prevede la liquidazione in relazione all’entità del danno biologico.

La proposta è quella di liquidare il danno morale in misura pari alla metà del danno biologico, permanente e temporaneo. Questa proposta è analoga a quella della tabella milanese.

Trattasi, ovviamente, di un criterio estremamente elastico, essendo molto diverso, caso per caso, le sofferenze fisiche e psichiche delle persone infortunate.

Veramente difficile è, invece, fissare un criterio per la liquidazione del danno morale da morte perché la misura del dolore varia fortemente caso per caso. Per esempio, il dolore per la morte di un figlio è chiaramente più intenso per quei genitori che abbiano perso il loro unico figlio, con essi convivente, rispetto a quello dei genitori che abbiano subito la perdita di uno dei figli, allontanatosi dalla famiglia da anni senza dare più notizie di sé.

Mi piacerebbe allargare il discorso del danno morale, ma non posso farlo per noN uscire dal tema. Permettetemi, però, un piccolo sconfinamento soltanto per auspicare che a questo argomento possa essere dedicata una maggiore attenzione perché proprio per il danno morale si verificano spesso situazioni di grave iniquità, che meritano di essere studiate per trovare adeguate soluzioni.

Mi riferisco specialmente a due filoni, costituiti dal diniego del danno morale nel caso di colpa presunta, quando l’infortunato non sia in grado di fornire le prove necessarie per superare la presunzione di colpa, prevista dall’art. 2054 CC, e quello del diniego del danno morale dei prossimi congiunti di infortunati gravi, per il motivo che la loro sofferenza non sarebbe conseguenza immediata e diretta del resto di lesione colpose, essendo considerato parte lesa soltanto l’infortunato e non anche il congiunto.

Faccio un solo esempio. Mentre il danno morale è giustamente riconosciuto ad una donna che abbia perso il marito a causa di un incidente, nulla è riconosciuto alla donna il cui marito sia sopravvissuto, ma in condizioni di totale invalidità, per gravissime infermità permanenti, che lo abbiano ridotto a corpo inerte, bisognoso dell’assistenza diretta e continua della moglie. Sembra evidente che il dolore di questa donna, destinato a rimanere sempre uguale per tutto il resto della vita, con sacrificio personale di così grandi proporzioni, sia persino maggiore del dolore della vedova, inizialmente più intenso, ma destinato a placarsi nel tempo, a prescindere dalla possibilità

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Se è vero che situazioni come questa sono inique, occorre trovare un rimedio. E poiché la giurisprudenza non vi è riuscita, finora, non rimane altra strada che quella di sollecitare che venga cambiata la legge.

A mio parere sono maturi i tempi per proporre che venga abbandonato il principio dell’agganciamento del danno morale al reato previsto dagli art. 2059 CC e 185 CP.

Questo principio non ha mai trovato una motivazione veramente convincente. Non esiste una valida ragione per la quale il danno morale possa essere riconosciuto soltanto nel caso in cui esso costituisca conseguenza di un reato.

Tanto il danno patrimoniale che quello non patrimoniale hanno la medesima matrice, cioè un fatto illecito.

Non si comprende perché il nostro ordinamento debba ritenere che il danno patrimoniale siA risarcibile se derivi da un illecito civile mentre il danno non patrimoniale sia risarcibile soltanto se derivi da un illecito penale.

Né si comprende perché sia ritenuta sufficiente la colpa presunta per il danno patrimoniale e non anche per quello non patrimoniale.

Il diverso trattamento è motivato principalmente da regioni di classificazione giuridica, di natura più formale che sostanziale, che potrebbero essere facilmente eliminate da un legislatore più moderno, sensibile al fatto che spesso il danno morale è molto più intenso di qualsiasi perdita economica.

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