UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Farmacia
Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
TESI DI LAUREA
“Sintesi e valutazione funzionale di nuovi inibitori tirosin
chinasici a nucleo imidazopiridinico come potenziali agenti
anti-tumorali”
Candidata: Relatori: Claudia Tarabugi Prof.ssa Concettina La Motta
Dott. Vito Coviello
ANNO ACCADEMICO 2013/2014 SSD/CHIM08
INDICE
1. Introduzione . . . .1
1.1. I tumori . . . 2
1.1.1. I fattori di rischio . . . 3
1.1.2. La cura dei tumori . . . 5
1.2. L’angiogenesi . . . 6
1.2.1. L’angiogenesi neoplastica . . . 9
1.2.2. Le fasi dell’angiogenesi tumorale . . . 11
1.3. La famiglia del VEGF . . . 14
1.3.1. VEGF-A: Il gene e le sue isoforme . . . 17
1.3.2. VEGF-A: La regolazione dell’espressione genica . . . 20
1.3.3. VEGF-A: La struttura . . . 22
1.3.4. VEGF-A: L’attività biologica . . . 24
1.4. I recettori del VEGF . . . 26
1.4.1. Il VEGFR-1 . . . 31
1.4.2. Il VEGFR-2 . . . 32
1.4.3. Il VEGFR-3 . . . 36
1.5. La via PI3K/Akt/mTOR nell’angiogenesi . . . 37
1.6. Lo stress ossidativo nell’angiogenesi tumorale . . . 39
1.7. La terapia anti-angiogenica del cancro . . . 41
1.7.1. Gli inibitori del VEGF . . . 42
1.7.2. Gli inibitori dei recettori tirosin chinasici . . . 42
1.7.3. Gli inibitori della PI3K . . . 45
2. Introduzione alla parte sperimentale . . . 50 2.1. Sintesi chimica . . . 57 2.2. Valutazione funzionale . . . 59 2.2.1. Il saggio DPPH . . . 60 2.2.2. Il saggio TBARS . . . 63 3. Parte sperimentale . . . 64 3.1. Materiali e metodi . . . 64
3.2. Caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche dei composti sintetizzati . . . 65
1.
INTRODUZIONE
1.1.
I TUMORI
Il termine neoplasia significa letteralmente “nuova crescita”. Il termi-ne tumor era originariamente riferito al gonfiore causato da un’infiammazione. Le neoplasie possono anche indurre un rigonfia-mento, ma da tempo, l’uso non-neoplastico di tumore è passato in di-suso; quindi, il termine viene attualmente usato come sinonimo di neoplasia. L’oncologo inglese Willis ha definito una neoplasia come “massa abnorme di tessuto, la cui crescita supera in modo scoordina-to quella dei tessuti normali e progredisce nello stesso modo eccessi-vo anche dopo la cessazione degli stimoli che ne hanno causato l’insorgenza”. La persistenza dei tumori, anche quando lo stimolo sca-tenante è terminato, deriva dalle alterazioni genetiche ereditabili che vengono trasmesse alla progenie delle cellule tumorali. Queste modi-ficazioni genetiche permettono l’eccessiva e sregolata proliferazione che diventa autonoma (indipendente dagli stimoli fisiologici di cresci-ta), sebbene i tumori rimangano generalmente dipendenti dall’ospite per la loro nutrizione e l’apporto ematico. L’intera popolazione di cel-lule all’interno di un tumore deriva da una singola cellula che ha su-bito un’alterazione genetica e quindi le neoplasie sono considerate le-sioni clonali.
Tutti i tumori, benigni e maligni, hanno due componenti di base: il parenchima costituito da cellule neoplastiche o trasformate e lo stro-ma di sostegno composto da tessuto connettivo e vasi sanguigni. Questi ultimi forniscono alle cellule neoplastiche l’adeguato apporto di sangue necessario per la loro crescita e per l’evoluzione dei tumori. La storia naturale della maggior parte dei tumori maligni può essere divisa in quattro fasi:
• Modificazione maligna delle cellule bersaglio;
• Crescita delle cellule trasformate;
• Invasione locale;
Le differenze tra i tumori benigni e maligni corrispondono a queste caratteristiche, alla loro differenziazione e al loro tasso di crescita. Il termine differenziazione si riferisce alla misura in cui le cellule neo-plastiche sono simili alle cellule normali, sia morfologicamente sia funzionalmente; la mancanza di differenziazione è detta anaplasia. I tumori benigni sono ben differenziati, i tumori maligni, al contrario, variano da forme ben differenziate a forme indifferenziate.
La velocità di crescita dei tumori è strettamente dipendente dal loro livello di differenziazione ed è determinata da tre fattori principali: tempo di raddoppiamento delle cellule tumorali, frazione di cellule tumorali che sono nel pool replicativo e velocità con cui le cellule so-no liberate nella lesione in crescita o perdute. La maggior parte dei tumori maligni cresce più rapidamente rispetto alle lesioni benigne. Quasi tutti i tumori benigni crescono formando masse compatte ed espansive che restano localizzate nella loro sede di origine e non han-no la capacità di infiltrare, invadere o metastatizzare a distanza, ca-pacità che invece hanno i tumori maligni. La crescita dei tumori ma-ligni è accompagnata da una progressiva infiltrazione, invasione e di-struzione del tessuto circostante. La disseminazione può avvenire at-traverso una delle seguenti vie:
• Disseminazione diretta attraverso le cavità e le superfici del corpo;
• Diffusione per via linfatica;
• Diffusione per via ematica.
Per la loro crescita i tumori stimolano la crescita dei vasi ematici dell’ospite, processo detto angiogenesi, che è essenziale per rifornire di sostanze nutritive le cellule tumorali. Senza vascolarizzazione i tu-mori non possono superare il diametro o lo spessore di 1-2 mm. Il li-mite di 1-2 mm è la massima distanza attraverso la quale l’ossigeno e le sostanze nutritive possono diffondere dai vasi ematici. Oltre questo limite, il tumore non riesce ad accrescersi senza vascolarizzazione a
causa della morte cellulare indotta dall’ipossia. L’accesso ai vasi per-mette anche la diffusione a distanza delle cellule tumorali. 1
1.1.1.
I FATTORI DI RISCHIO
Non esiste quasi mai, tranne in alcune rare forme ereditarie, un’unica causa che possa spiegare l’insorgenza di un tumore. Al suo sviluppo concorrono diversi fattori, alcuni dei quali non sono modificabili, co-me i geni ereditati dai proprio genitori o l’età, co-mentre su altri si può intervenire per ridurre il rischio di andare incontro alla malattia.
• Età: l’invecchiamento è il più importante fattore di rischio per il cancro. La maggior parte dei tumori si sviluppa in tarda età. È anche per l’aumento dell’età media della popolazione, che nell’ultimo secolo il numero di persone che hanno sviluppato la malattia è andato aumentando. Ad ogni modo, diverse forme di cancro si possono presentare, con frequenza variabile, a qua-lunque età.
• Fattori ereditari: nella maggior parte dei casi, quando si tratta di tumori, non si parla di “ereditarietà” ma di “familiarità”. Ciò significa che con i geni non si trasmette la malattia, ma solo una maggiore predisposizione a svilupparla. Se quindi ci sono stati diversi casi di cancro in famiglia, non significa che tutti i membri prima o poi si ammaleranno, ma solo che occorre pre-stare maggiore attenzione a seguire stili di vita sani e sottoporsi con regolarità ai controlli suggeriti dal medico. È possibile ere-ditare un gene mutato che rende la cellula più suscettibile alla malattia; ma perché il tumore possa cominciare a svilupparsi e crescere è necessario che si sommino altri errori.
• Stili di vita: così come la familiarità, anche le abitudini della vi-ta quotidiana non causano diretvi-tamente il cancro, ma aumen-tano le probabilità di svilupparlo, per questo sono detti fattori di rischio. Gli stili di vita che più influiscono sul rischio di svi-luppare un tumore sono: fumo, sole e raggi ultravioletti, alcol, tipo di alimentazione, sovrappeso, obesità e sedentarietà.
• Fattori ambientali: ci sono diversi elementi che possono favorire la comparsa della malattia anche nell’ambiente che ci circonda. Alcuni sono presenti in natura, come certi minerali o agenti in-fettivi, altri sono prodotti chimici cui possono essere maggior-mente esposte alcune categorie di lavoratori, senza contare l’effetto delle radiazioni. I più importanti sono: inquinamento atmosferico, agenti chimici, sostanze presenti in natura, agenti fisici e agenti infettivi. 2
Nella figura sotto riportata sono riportati alcuni dei fattori di rischio che aumentano la probabilità di andare incontro alla malattia (vedi Figura 1):
1.1.2.
LA CURA DEI TUMORI
Per combattere il cancro la medicina ha a disposizione diversi stru-menti.
La chirurgia è l’opzione principale nella maggior parte dei tumori so-lidi. Talvolta, per facilitare il lavoro del bisturi, chemioterapia o radio-terapia pre-operatoria possono ridurre le dimensioni del tumore. La rimozione della massa tumorale è possibile quando il tumore è ben localizzato e non in fase di metastasi.
La radioterapia utilizza raggi X ad altissima potenza per danneggiare il DNA delle cellule cancerose. Le cellule cancerose, rispetto alle cellu-le sane, dispongono di meccanismi di riparazione meno efficienti per cui un danno è più facilmente letale per questo tipo di cellule. In ge-nere la radioterapia viene concentrata il più possibile nell’area affetta dalla malattia per evitare di danneggiare le cellule sane. Può essere usata prima della chirurgia per ridurre le dimensioni del tumore soli-do o, talvolta, come unica terapia, se il tumore è molto sensibile all’effetto delle radiazioni. Negli ultimi anni si è diffuso, per alcuni tumori e in particolare circostanze, anche l’uso della radioterapia in-traoperatoria, che durante l’intervento permette di concentrare una maggiore dose di radiazioni proprio nella zone in cui il tumore si era sviluppato, riducendo il rischio di recidive.
La chemioterapia utilizza farmaci citotossici. Solitamente vengono utilizzati in associazione per avere un effetto sinergico per combattere la resistenza da parte delle cellule tumorali. Il loro effetto è quello di bloccare la divisione delle cellule in rapida replicazione, senza però distinguere tra cellule sane e cellule malate. Per questo le chemiote-rapie hanno effetti collaterali su tutti i tessuti a rapido ricambio come le mucose, il bulbo pilifero, il sangue, il midollo osseo, l’ovaio e il te-sticolo. 2
Il lavoro della ricerca farmaceutica è però sempre attivo per tentare di individuare farmaci che selettivamente bloccano e uccidono cellule tumorali limitando gli effetti collaterali sui tessuti sani. Per mettere a
punto strategie terapeutiche mirate l’attenzione è stata focalizzata sulle anomalie delle cellule tumorali e sulle differenze tra cellule tu-morali e cellule sane.
Una nuova strategia terapeutica anti-tumorale è legata all’inibizione dell’angiogenesi. Lo studio di quest’ultima, in particolare, e dei pro-cessi biologici alla sua base ha consentito una migliore conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nella crescita tumorale e nella generazione di metastasi e ha permesso lo sviluppo di nuovi agenti anti-tumorali che inibiscono selettivamente differenti bersagli bio-chimici nella neovascolarizzazione.
1.2.
L’ANGIOGENESI
L’organismo necessita di un continuo apporto ematico per il suo normale funzionamento e tale apporto viene garantito dal sistema va-scolare, sistema che costringe il sangue a circolare.
Il processo di formazione di nuovi vasi viene suddiviso in due tipolo-gie: vasculogenesi e angiogenesi.
La vasculogenesi è il processo di formazione ex novo dei vasi sangui-gni durante lo sviluppo embrionale a partire da precursori delle cellu-le endoteliali, detti angioblasti. Gli angioblasti proliferano, migrano verso siti periferici e si differenziano in cellule endoteliali che formano arterie, vene e vasi linfatici. Cellule simili agli angioblasti, chiamate EPC, sono state riscontrate anche nell’adulto all’interno del midollo osseo e possono essere reclutate nei tessuti per dare inizio all’angiogenesi. 1
L’ angiogenesi è un processo fisiologico che implica una cascata di eventi sequenziali che portano alla formazione di nuovi capillari da vasi sanguigni preesistenti e comprende due fasi: la fase di sprouting e la fase di risoluzione. La fase di sprouting consiste di sei processi: (i) aumento della permeabilità vascolare e deposizione extravascolare di fibrina, (ii) smontaggio della parete del vaso, (iii) degradazione della membrana basale, (iv) migrazione cellulare e invasione della matrice extracellulare, (v) proliferazione delle cellule endoteliali, (vi)
formazio-ne del lume capillare. La fase di risoluzioformazio-ne è costituita da cinque processi: (i) inibizione della proliferazione delle cellule endoteliali, (ii) cessazione della migrazione cellulare, (iii) ricostituzione della mem-brana basale, (iv) maturazione di complessi giunzionali, (v) assem-blaggio della parete del vaso, compreso il reclutamento e la differen-ziazione di cellule muscolari liscie e periciti (entrambi cellule murali). Negli organismi adulti il sistema vascolare è normalmente in uno sta-to quiescente. Le cellule endoteliali vascolari umane adulte corri-spondono ad un’area superficiale di circa 1000 m2, ma solo una ogni
10.000 cellule endoteliali va incontro a mitosi. La produzione di nuovi vasi si verifica unicamente durante alcuni processi fisiologici, quali la guarigione delle ferite, la riparazione tissutale, l’ovulazione, il ciclo mestruale e la gravidanza. In ognuno di questi casi l’evento angioge-nico è strettamente regolato grazie al bilancio tra fattori pro- e anti- angiogenici, in grado rispettivamente di attivare la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali o di sopprimerla.
Nella figura sotto riportata sono elencati alcuni dei fattori pro- e anti-angiogenici (vedi Figura 2).
Figura Esistono circa 30 fattori pro
glia VEGF/VEGFR gioca un ruolo essenziale nel processo angiogen co.
Tra i modulatori negativi dell’angioge giostatina ed End
In condizioni fisiologiche, l’azione dei fattori anti
mina e il processo è quiescente. Esistono tuttavia condizioni in cui l’equilibrio tra fattori inibenti e promuoventi l’angiogenesi risulta compromesso, l’azione dei fattori pro
Figura 2: I fattori pro- e anti-angiogenici
Esistono circa 30 fattori pro-angiogenici endogeni. Tra questi la fam glia VEGF/VEGFR gioca un ruolo essenziale nel processo angiogen
Tra i modulatori negativi dell’angiogenesi quelli più st Endostatina.
In condizioni fisiologiche, l’azione dei fattori anti-angiogenici pred mina e il processo è quiescente. Esistono tuttavia condizioni in cui l’equilibrio tra fattori inibenti e promuoventi l’angiogenesi risulta romesso, l’azione dei fattori pro-angiogenici prevale e la crescita
angiogenici
angiogenici endogeni. Tra questi la fami-glia VEGF/VEGFR gioca un ruolo essenziale nel processo
angiogeni-nesi quelli più studiati sono
An-angiogenici predo-mina e il processo è quiescente. Esistono tuttavia condizioni in cui l’equilibrio tra fattori inibenti e promuoventi l’angiogenesi risulta angiogenici prevale e la crescita
vasale diviene persistente ed incontrollata. 3 Queste condizioni
inclu-dono patologie cardiovascolari (arteriosclerosi), stati infiammatori cronici (artrite reumatoide), diabete (retinopatia diabetica), patologie infiammatorie ed iperproliferative della cute quali psoriasi ed endo-metriosi ed infine neoplasie. 4
1.2.1.
L’ANGIOGENESI NEOPLASTICA
L’angiogenesi rappresenta una tappa obbligata nello sviluppo dei tu-mori solidi.
Anche se in presenza di anomalie genetiche che alterano la regolazio-ne della crescita e della sopravvivenza delle singole cellule, i tumori non possono superare il diametro o lo spessore di 1-2 mm se non vengono vascolarizzati. La proliferazione di una rete di vasi sanguigni che penetra nel tumore fornisce, da un lato, l’ossigeno ed i nutrienti necessari alla sua crescita e, dall’altro, rimuove le scorie metaboliche dal sito tumorale. In ogni modo, nonostante i fenomeni angiogenici, nei tumori solidi al momento della loro diagnosi vengono riscontrati frequentemente fenomeni ipossici poiché le cellule tumorali spesso proliferano tanto rapidamente da superare la capacità della vascola-tura dell’ospite a portare i nutrimenti. Cellule tumorali a più di 100 µm dai vasi sanguigni subiscono una serie di stress di tipo ipossico. Molte di queste cellule saranno destinate ad essere eliminate attra-verso l’attivazione di pathways apoptotici, ma alcuni cloni cellulari riescono a sopravvivere all’ipossia generata, grazie all’attivazione di pathways angiogenici. Questi cloni possono rimanere “dormienti” per mesi o anni prima di subire un cambiamento verso il fenotipo angio-genico. Il reclutamento di nuovi vasi avviene alla periferia del tumore che espandendosi gradualmente causa una progressiva ipossia cen-trale. L’ipossia generata induce l’espressione di fattori pro-angiogenici attraverso l’hypoxia-inducible factor-G (HIF-G) e, allorchè questi sono in eccesso rispetto a quelli anti-angiogenici, può determinarsi il cam-biamento verso il fenotipo angiogenico (vedi Figura 3). 5
La crescita tumorale è quindi caratterizzata da due fasi: fase avasc lare e fase vascolare. Nella fase avascolare la massa neoplastica non supera le dimensioni di 2 mm e nutrienti e o
traverso un processo di diffusione dal liquido interstiziale. Il tumore viene definito carci
a questo piccolo tumore sono molto rare.
termina il passaggio del tumore alla fase vascolare
formano ed infiltrando la massa tumorale permettono a questa di i vadere i tessuti circostanti
zione che è lo step finale della progressione neoplastica 4). 7
Figura 4: L’angiogenesi nello sviluppo, crescita e metastatizzazione Figura 3: Lo "Switch angiogenico" 6
La crescita tumorale è quindi caratterizzata da due fasi: fase avasc e fase vascolare. Nella fase avascolare la massa neoplastica non supera le dimensioni di 2 mm e nutrienti e ossigeno sono forniti a
processo di diffusione dal liquido interstiziale. Il tumore viene definito carcinoma in situ ed è privo di vasi, metastasi associate a questo piccolo tumore sono molto rare. Lo “switch”
termina il passaggio del tumore alla fase vascolare, nuovi capillari si formano ed infiltrando la massa tumorale permettono a questa di i vadere i tessuti circostanti e quindi di metastatizzare
che è lo step finale della progressione neoplastica
ngiogenesi nello sviluppo, crescita e metastatizzazione tumorale 3
La crescita tumorale è quindi caratterizzata da due fasi: fase avasco-e fasavasco-e vascolaravasco-e. Navasco-ella fasavasco-e avascolaravasco-e la massa navasco-eoplastica non
ssigeno sono forniti at-processo di diffusione dal liquido interstiziale. Il tumore
, metastasi associate “switch” angiogenico
de-, nuovi capillari si formano ed infiltrando la massa tumorale permettono a questa di
in-e quindi di min-etastatizzarin-e. Min-etastatizza- Metastatizza-che è lo step finale della progressione neoplastica (vedi Figura
1.2.2.
LE FASI DELL’ANGIOGENESI TUMORALE
I vasi sanguigni sono costituiti da un singolo strato di cellule endote-liali e da tessuto connettivo in cui si trovano i periciti (o cellule mura-li). La matrice extracellulare (ECM) che circonda i capillari è costituita da tre gruppi di macromolecole: le proteine fibrose strutturali, come il collagene e l’elastina, un gruppo di glicoproteine di adesione, i prote-oglicani e l’acido ialuronico. Queste macromolecole, presenti nelle giunzioni intercellulari e presso la superficie delle cellule, possono assemblarsi in due tipi di organizzazione generale: la matrice intersti-ziale e la membrana basale. La membrana basale è in stretta connes-sione con la superficie cellulare e consiste in una rete di collagene amorfo non fibrillare (collagene IV), laminina, eparan solfato, proteo-glicani e altre glicoproteine.
Affinché avvenga il processo angiogenico è necessario che la mem-brana basale e la matrice extracellulare siano degradate in modo da permettere alle cellule endoteliali di migrare e di proliferare nella massa tumorale.
I passaggi principali del processo sono:
• Vasodilatazione in risposta a NO e aumento della permeabilità dei vasi preesistenti indotta dal VEGF
• Degradazione proteolitica della membrana basale del vaso pre-esistente ad opera di metalloproteinasi (MMP) e distruzione dei contatti tra le cellule endoteliali del vaso da parte dell’attivatore del plasminogeno
• Migrazione delle cellule endoteliali verso lo stimolo angiogenico
• Proliferazione delle cellule endoteliali
• Maturazione delle cellule endoteliali, che comprende l’inibizione della crescita e il rimodellamento dei capillari
• Reclutamento di cellule periendoteliali (periciti per i piccoli ca-pillari e cellule muscolari liscie per i vasi più grandi) allo scopo di fornire sostegno alle strutture endoteliali e formare i vasi ma-turi.
Il VEGF è il fattore di crescita pro-angiogenico che svolge un ruolo di particolare importanza. Esso appare implicato in importanti funzioni pro-angiogeniche come l’aumento della permeabilità vasale. 1
L’aumento della permeabilità vasale e la vasodilatazione dei vasi in ri-sposta alla presenza di NO determinano la fuoriuscita di proteine pla-smatiche che vanno a costituire un substrato extracellulare ottimale per l’attecchimento e la proliferazione delle cellule endoteliali. 8
Cellule neoplastiche rilasciano quindi fattori pro-angiogenici, tra cui appunto il VEGF, che diffondono nei tessuti vicini e si legano ai recet-tori delle cellule endoteliali dei vasi sanguigni preesistenti, portando alla loro attivazione e proliferazione. In seguito alla loro attivazione le cellule endoteliali secernono proteasi, eparinasi e altri enzimi che di-geriscono la membrana basale intorno ai vasi. 5
La degradazione della matrice extracellulare richiede la cooperazione del sistema attivatore del plasminogeno e delle metalloproteinasi di matrice (MMP).
Le MMP costituiscono una vasta famiglia di enzimi proteolitici. Nell’uomo sono state identificate circa 22 MMP in grado di degradare diverse componenti della ECM. Le gelatinasi (MMP-2 e 9) rivestono un ruolo fondamentale nei meccanismi angiogenici grazie alla loro speci-fica attività proteolitica nei confronti del collagene di tipo IV.
Il tissue-type Plasminogen Activator (t-PA) e l’urokinase-type Plasmi-nogen Activator (uPA) sono due serin proteasi responsabili della con-versione del plasminogeno in plasmina. Nello specifico, mentre l’attivazione del plasminogeno a livello ematico avviene ad opera del t-PA, nei tessuti l’attività fibrinolitica avviene ad opera dell’uPA. L’interazione di uPA con il proprio recettore (uPAR) porta alla degra-dazione di molteplici substrati: fibrina, fibronectina, laminina ed alte-razione del core proteico dei proteoglicani.
Queste proteasi, tagliando le proteine della ECM, non solo permetto-no alle cellule endoteliali di invadere tessuti vicini ma sopermetto-no anche re-sponsabili del rilascio di fattori di crescita legati alla matrice.
In seguito all’alterazione della connessione tra cellule endoteliali, proiezioni endoteliali passano fra gli spazi creati e migrano verso il tumore formando nuovi vasi. 7 L’adesione delle cellule endoteliali
av-viene grazie alle molecole di adesione. Esse aiutano la creazione di nuovi germogli vascolari fungendo da “appigli” e permettendo quindi una migrazione direzionale. La maggior parte delle molecole di ade-sione può essere classificata in quattro principali famiglie:
• Immunoglobuline CAM (Cell Adhesion Molecules), garantiscono sia interazioni omotipiche che eterotipiche.
• Caderine, coinvolte in interazioni omotipiche calcio-dipendenti
• Integrine, legano sia le proteine di matrice quali la fibronectina e la laminina, in maniera da mediare l’adesione tra le cellule e la ECM, sia le proteine di adesione di altre cellule, stabilendo così contatti cellula-cellula.
• Selectine.
Le cellule endoteliali danno quindi luogo alla formazione di nuovi vasi sanguigni che si connettono formando loop per permette la circola-zione del sangue e dando luogo a una rete di anastomosi. 1
La formazione del lume è guidata da importanti interazioni fra le pro-teine associate alla superficie endoteliale e la matrice extracellulare. Alcune delle proteine di superficie identificate in questa interazione sono gli oligosaccaridi ibridi galectina-2, PECAM-1 e VE-caderina. 5
I vasi di recente formazione sono infine fragili e necessitano di mag-giore “stabilità”. La stabilizzazione richiede il reclutamento di periciti e cellule muscolari lisce per costruire la membrana basale e dare supporto ai vasi. Le angiopoietine 1 e 2 (Ang1 e Ang2), il PDGF e il TGF-β partecipano al processo di stabilizzazione. Ang 1 interagisce con un recettore posto sulla superficie delle cellule endoteliali, detto Tie2, per reclutare le cellule periendoteliali. Il PDGF partecipa al re-clutamento delle cellule muscolari lisce, mentre il TGF-β incrementa la produzione delle proteine della ECM. L’interazione Ang1/Tie2 me-dia la maturazione dei vasi a partire dalle strutture endoteliali più
semplici fino alle strutture
scenti le cellule endoteliali. Ang2, al contrario, interagendo con Tie2 rende più labili le cellule endoteliali che diventano più sensibili alla stimolazione dei fattori di crescita.
I passaggi chiave nella angiogene 5.
Figura
1.3.
LA FAMIGLIA DEL
Nel 1989, dopo anni di intensi studi volti a chiarire la funzione svolta dai fattori di crescita nella formazione di nuovi vasi sanguigni, fu dentificato ed isolato dalle cellule follicolari pituitarie di bovino una nuova proteina in grado di legare l’epa
tale proteina presentava una forte attività proliferativa unicamente nei confronti delle cellule endoteliali vascolari fu denominata “Vas lar Endothelial Growth Factor”.
Tra i fattori promuoventi l’angiogenesi il VEGF
tività mitogena specifica per le cellule endoteliali capace di agire sui semplici fino alle strutture più elaborate e aiuta a mantenere
le cellule endoteliali. Ang2, al contrario, interagendo con Tie2 rende più labili le cellule endoteliali che diventano più sensibili alla stimolazione dei fattori di crescita. 1
I passaggi chiave nella angiogenesi tumorale sono riportati in Figura
Figura 5: Le fasi dell’angiogenesi tumorale
FAMIGLIA DEL VEGF
Nel 1989, dopo anni di intensi studi volti a chiarire la funzione svolta dai fattori di crescita nella formazione di nuovi vasi sanguigni, fu dentificato ed isolato dalle cellule follicolari pituitarie di bovino una nuova proteina in grado di legare l’eparina con elevata affinità. Poiché tale proteina presentava una forte attività proliferativa unicamente nei confronti delle cellule endoteliali vascolari fu denominata “Vas
Endothelial Growth Factor”. 10
Tra i fattori promuoventi l’angiogenesi il VEGF è l’unico fattore ad a tività mitogena specifica per le cellule endoteliali capace di agire sui
più elaborate e aiuta a mantenere quie-le celluquie-le endoteliali. Ang2, al contrario, interagendo con Tie2 rende più labili le cellule endoteliali che diventano più sensibili alla
si tumorale sono riportati in Figura
angiogenesi tumorale 9
Nel 1989, dopo anni di intensi studi volti a chiarire la funzione svolta dai fattori di crescita nella formazione di nuovi vasi sanguigni, fu i-dentificato ed isolato dalle cellule follicolari pituitarie di bovino una
rina con elevata affinità. Poiché tale proteina presentava una forte attività proliferativa unicamente nei confronti delle cellule endoteliali vascolari fu denominata
“Vascu-è l’unico fattore ad at-tività mitogena specifica per le cellule endoteliali capace di agire sui
vasi sia del macro che del microcircolo. Viene indicato anche come fattore di permeabilità vascolare (VPF) in quanto aumenta la perme bilità degli endoteli emat
anti-apoptotiche. Molte specie cellulari, cellule tumorali ed infiamm torie, piastrine, cheratinociti, osteoblasti, cellule endoteliali, cellule murali sono in grado di rilasciare VEG
fici. 11
Diversi studi nei topi hanno evidenziato la grande importanza biolog ca di VEGF. L’inattivazione di uno dei suoi alleli nel topo provoca nomalie vascolari mortali, mentre la distruzione di entrambi gli alleli risulta nella quasi complet
embrionale precoce. La famiglia del VEGF (VEGF/VPF), VEGF
tor (PlGF). Il più importante e il più conosciuto fra questi è il
ed i suoi effetti biologici si esplicano principalmente in seguito al l game con VEGFR
diverse isoforme di VEGF
alternativo dell’mRNA del gene codificant
VEGF sono glicoproteine omodimeriche contenenti un motivo a nodo di cisteina (cysteine knot) essenziale per stabilire la struttura terzi ria. 13
Figura
vasi sia del macro che del microcircolo. Viene indicato anche come fattore di permeabilità vascolare (VPF) in quanto aumenta la perme bilità degli endoteli ematici e linfatici ed ha inoltre importanti funzioni
apoptotiche. Molte specie cellulari, cellule tumorali ed infiamm torie, piastrine, cheratinociti, osteoblasti, cellule endoteliali, cellule murali sono in grado di rilasciare VEGF sotto l’azione di sti
Diversi studi nei topi hanno evidenziato la grande importanza biolog ca di VEGF. L’inattivazione di uno dei suoi alleli nel topo provoca nomalie vascolari mortali, mentre la distruzione di entrambi gli alleli risulta nella quasi completa assenza di vascolatura e quindi in morte embrionale precoce. 5
La famiglia del VEGF in realtà comprende diversi membri:
, VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D ed il Placental Growth Fa . Il più importante e il più conosciuto fra questi è il
ed i suoi effetti biologici si esplicano principalmente in seguito al l game con VEGFR-2 (vedi Figura 6). 12 Oltre a questi membri esistono
diverse isoforme di VEGF-A, VEGF-B e PlGF derivanti da uno splicing alternativo dell’mRNA del gene codificante. 4 I membri della famiglia
VEGF sono glicoproteine omodimeriche contenenti un motivo a nodo di cisteina (cysteine knot) essenziale per stabilire la struttura terzi
Figura 6: La famiglia VEGF e i suoi recettori
vasi sia del macro che del microcircolo. Viene indicato anche come fattore di permeabilità vascolare (VPF) in quanto aumenta la
permea-ici e linfatpermea-ici ed ha inoltre importanti funzioni apoptotiche. Molte specie cellulari, cellule tumorali ed infiamma-torie, piastrine, cheratinociti, osteoblasti, cellule endoteliali, cellule
F sotto l’azione di stimoli
speci-Diversi studi nei topi hanno evidenziato la grande importanza biologi-ca di VEGF. L’inattivazione di uno dei suoi alleli nel topo provobiologi-ca a-nomalie vascolari mortali, mentre la distruzione di entrambi gli alleli
a assenza di vascolatura e quindi in morte
comprende diversi membri: VEGF-A D ed il Placental Growth Fac-. Il più importante e il più conosciuto fra questi è il VEGF-A ed i suoi effetti biologici si esplicano principalmente in seguito al
le-Oltre a questi membri esistono B e PlGF derivanti da uno splicing membri della famiglia VEGF sono glicoproteine omodimeriche contenenti un motivo a nodo di cisteina (cysteine knot) essenziale per stabilire la struttura
VEGF-B: consiste di due isoforme che risultano dallo splicing alterna-tivo del pre-mRNA sintentizzato da un singolo gene contenente sette esoni. 15 VEGF-B186 è liberamente diffusibile mentre VEGF-B167,
l’isoforma predominante, si lega al proteoglicano eparan solfato e non diffonde liberamente in vivo. Entrambe le isoforme esistono come o-modimeri legati da ponti disolfuro. I livelli più alti di trascritti VEGF-B si concentrano nel cervello, cuore, reni e testicoli ma anche diverse forme di neoplasie umane esprimono VEGF-B. 16 La funzione del
VEGF-B non è del tutto chiara ma sembra che esso sia necessario per una normale funzionalità cardiaca negli adulti. Non sembra essere necessario per lo sviluppo cardiovascolare o per l’angiogenesi. Tutta-via la sua espressione in tumori umani e la sua capacità di attivare VEGFR-1 e neuropilina-1 lo rende un potenziale bersaglio anti-tumorale. 14
VEGF-C: è sintetizzato come pre pro-proteina e subisce un complesso processo proteolitico che dà la forma matura del fattore di crescita. VEGF-C esiste come omodimero senza legami disolfuro tra le subuni-tà. Il cuore umano adulto, le ovaie, la placenta, il muscolo scheletrico e l’intestino tenue contengono alti livelli di mRNA del VEGF-C, ma modeste quantità sono anche presenti in altri tessuti. 17 La forma
matura di VEGF-C si lega sia al VEGFR-2 che al VEGFR-3 e parteci-pa alla linfoangiogenesi durante l’embriogenesi e al mantenimento dell’endotelio linfatico nell’adulto. 18 Circa la metà dei topi privi di
VEGF-C muoiono tra il quindicesimo e diciassettesimo giorno em-brionale e nessuno sopravvive alla gestazione. Ciò dimostra quanto il VEGF-C sia essenziale per la linfoangiogenesi embrionale. Lo sviluppo dei vasi sanguigni avviene invece normalmente in topi privi di VEGF-C. VEGF-C è espresso da vari tumori umani, il che lo rende un po-tenziale target terapeutico. 19
VEGF-D: come il VEGF-C, il VEGF-D viene sintetizzato come pre pro-proteina, la quale subisce un intricato processo proteolitico per diven-tare forma matura del fattore di crescita. La forma matura del
VEGF-D è un omodimero non-covalente e si lega sia al VEGFR-2 che al VEGFR-3. 20 A differenza dei topi privi di VEGF-C, i topi privi di
VEGF-D sopravvivono. Durante lo sviluppo embrionale la linfoangio-genesi avviene normalmente e l’animale adulto presenta un normale sistema linfatico. Ciò suggerisce che il VEGF-C e forse altri fattori possono sostituire il VEGF-D. 21 Colon, cuore, polmoni, muscoli
sche-letrici e intestino tenue contengono alti livelli di VEGF-D. Esso è an-che espresso in molti tumori solidi, rappresentando un potenziale target terapeutico. 22-24
PlGF: è una glicoproteina omodimerica la cui sequenza amminoacidi-ca è per il 42% identiamminoacidi-ca a quella del VEGF-A. Il suo gene contiene set-te esoni ed esprime quattro isoforme (PlGF131, PlGF152, PlGF203 e PlGF224). 25,26 I livelli più alti di trascritti si trovano principalmente
nella placenta ma possono anche essere trovati in tessuti sani e tu-morali. 27 Topi privi di PlGF sono vivi e fertili ma esibiscono una
mi-nore vascolarizzazione della retina e del corpo luteo. PlGF migliora l’azione del VEGF-A e la sua espressione potrebbe ovviare alla terapia anti-VEGF-A. 3
1.3.1.
VEGF-A: IL GENE E LE SUE ISOFORME
Il gene del VEGF umano è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6. La regione codificante misura approssimativamente 14 Kb e con-tiene otto esoni. Lo splicing alternativo del singolo pre m-RNA genera cinque diverse isoforme (VEGF-A121, VEGF-A145, VEGF-A165, VEGF-A189, VEGF-A206). Gli amminoacidi codificati dagli esoni 1-5 e 8 sono conservati in tutte le isoforme, esse differiscono per l’assenza o la presenza di sequenze amminoacidiche codificate dal sesto o dal settimo esone (vedi Figura 7).
Figura
Gli esoni 6 e 7 codificano due distinti domini leganti eparina. La pr senza o l’assenza di questi domini influenza la solubilità e
ne in vivo. Il dominio legante eparina codificato dall’esone 6 determ na il legame alla matrice extracellulare
dominio sono completamente sequestrate dalla matrice extracellulare in quanto si trovano legate a proteoglicani contenenti eparina. Is forme mancanti di questo dominio si trovano in forma libera.
VEGF-A165 è un omodimero di circa 46 kDa ed è
le. Ha caratteristiche basiche e una moderata affinità per l’eparina grazie alla presenza di 15 amminoacidi basici nei 44 residui codificati dall’esone 7. Il VEGF
trice extracellulare attraver solfato dei proteoglicani
VEGF-A121, mancante proprio della regione presente nell’isoforma 165, è una proteina debolmente acida, non legante l’eparina per l’assenza dei domini codificati dagli esone 6 e 7 ed
fattore solubile. VEGF-A189 e VEGF
dizionali codificate dal sesto esone e sono in grado di legare strett Figura 7: Il gene e le isoforme di VEGF-A
7 codificano due distinti domini leganti eparina. La pr senza o l’assenza di questi domini influenza la solubilità e
. Il dominio legante eparina codificato dall’esone 6 determ na il legame alla matrice extracellulare. Isoforme conten
dominio sono completamente sequestrate dalla matrice extracellulare in quanto si trovano legate a proteoglicani contenenti eparina. Is forme mancanti di questo dominio si trovano in forma libera.
A165 è un omodimero di circa 46 kDa ed è l’isoforma princip le. Ha caratteristiche basiche e una moderata affinità per l’eparina grazie alla presenza di 15 amminoacidi basici nei 44 residui codificati
Il VEGF-A165 si trova per il 50-70% associato alla m trice extracellulare attraverso l’interazione con le catene di eparan solfato dei proteoglicani (HSPG).
A121, mancante proprio della regione presente nell’isoforma 165, è una proteina debolmente acida, non legante l’eparina per l’assenza dei domini codificati dagli esone 6 e 7 ed è rilasciata come
A189 e VEGF-A206 contengono sequenze amminoacidiche a dizionali codificate dal sesto esone e sono in grado di legare strett
A
7 codificano due distinti domini leganti eparina. La pre-senza o l’aspre-senza di questi domini influenza la solubilità e la diffusio-. Il dominio legante eparina codificato dall’esone 6 determi-. Isoforme contenenti questo dominio sono completamente sequestrate dalla matrice extracellulare in quanto si trovano legate a proteoglicani contenenti eparina. Iso-forme mancanti di questo dominio si trovano in forma libera. 4
l’isoforma principa-le. Ha caratteristiche basiche e una moderata affinità per l’eparina grazie alla presenza di 15 amminoacidi basici nei 44 residui codificati 70% associato alla
ma-le catene di eparan
A121, mancante proprio della regione presente nell’isoforma 165, è una proteina debolmente acida, non legante l’eparina per è rilasciata come
sequenze amminoacidiche ad-dizionali codificate dal sesto esone e sono in grado di legare
stretta-mente l’eparina. Queste isoforme sono completastretta-mente sequestrate all’interno della matrice extracellulare.
Il VEGF-A145, infine, possiede una sequenza amminoacidica codifica-ta dal sesto esone che conferisce un’affinità per l’eparina simile a quella che, nell’isoforma VEGF-A165, è codificata dal settimo esone. Questa sequenza permette al VEGF-A145 di legare componenti della matrice extracellulare mediante meccanismi indipendenti da eparina o eparan-solfato. Il complesso ECM-VEGF-A145 presenta attività mi-togena nei confronti delle cellule endoteliali.
Le isoforme sequestrate dalla matrice extracellulare costituiscono una importante riserva di fattore di crescita. Il loro rilascio può avvenire grazie all’azione delle eparinasi o più rapidamente grazie all’azione di enzimi proteolitici quali plasmina e urokinase-type plasminogen acti-vator (uPA).
La plasmina, tramite clivaggio delle isoforme A165 e VEGF-A189, è responsabile della formazione di un frammento di 110 residui amminoacidici, VEGF-A110, altamente diffusibile ma con un’attività mitogena inferiore a quella delle isoforme da cui deriva. Le sequenze codificate dagli esone 6 e 7 non solo regolano la biodisponibilità del VEGF-A attraverso il legame al proteoglicano eparan-solfato ma esse aumentano anche l’attività mitogena. 28
Il Vascular Endothelial Growth Factor può quindi interagire con le cellule endoteliali per mezzo di due meccanismi: sottoforma di fattore solubile o tramite attivazione proteasica e clivaggio delle isoforme più lunghe. La perdita del dominio legante l’eparina si traduce però in una sostanziale diminuzione dell’efficacia del VEGF-A come agente mitogeno. 29
1.3.2.
VEGF-A:LA REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE
GENICA
Il termine ipossia indica uno stato di insufficiente disponibilità di os-sigeno nell’ambiente cellulare e può instaurarsi in una delimitata a-rea di tessuto come conseguenza di crescita neoplastica. Il principale meccanismo molecolare di risposta alla carenza di ossigeno da parte delle cellule è la stabilizzazione del fattore di trascrizione indotto dall’ipossia (HIF). Questo fattore è responsabile dell’attivazione del gene per il Vascular Endothelial Growth Factor.
HIF è un fattore di trascrizione eterodimerico costituito dalle subuni-tà G e β. La subunisubuni-tà β è costitutivamente espressa nell’organismo. L’espressione e l’attività della subunità G sono strettamente controlla-te dalle concentrazioni cellulari di ossigeno.
Esistono tre differenti subunità G ma le più importanti e studiate so-no la 1 e la 2.
HIF-1G possiede numerosi domini regolatori che la rendono in grado di legare molecole coinvolte nella sua attivazione o degradazione (vedi figura 8):
• Domini di degradazione dipendenti dall’ossigeno (ODD), che ne mediano l’ubiquitinilazione O2-dipendente, tramite il legame
della proteina onco-soppressore Von Hippel Lindau (pVHL). Questo legame dipende dall’idrossilazione di due residui di pro-lina (Pro402 e Pro564) in un processo enzimatico che richiede O2,
ferro allo stato ferroso e G-chetoglutarato.
HIF-1G-prolina + G-chetoglutarato + O2 HIF-1G-prolina-OH +
succinato + CO2
• Domini PAS e domini bHLH, necessari per la dimerizzazione e il legame al DNA
• Domini trans-attivanti, TAD-N e TAD-C, che legano i co-attivatori trascrizionali CBP/p300. Il dominio TAD-C contiene un residuo di asparagina (Asn803) e l’idrossilazione di questo
lega-me ai co-attivatori con conseguente riduzione dell’attività tr scrizionale. L’attività del fattore FIH dipende strettamente dalla presenza di O
HIF-1G-asparagina +
Il controllo di HIF
e asparagina; in particolare, la stabilità di HIF idrossilazione della prolin
sparagina.
Figura
In condizioni di normossia, ovvero in presenza di ossigeno, HIF viene rapidamente idrossilata dalle prolil idrossilasi
permette il legame con la proteina oncosoppressore pVHL (von Hi pel-Lindau) tramite interazioni a idrogeno. Questa interazione causa la ubiquitinilazione di HIF
soma. pVHL funge da componente di ri cole del complesso della E3 ubiquitina ligasi.
In condizioni di ipossia viene inibito il legame della subunità proteina pVHL. HIF
citoplasma al nucleo dove dimerizza con complesso trascrizionalmente attivo (HIF
quenza nota come elemento di risposta all’ipossia (HRE) presente sul promotore del gene del VEGF
9).30
HRE è una sequenz
promotore del VEGF umano e murino. Un calo della tensione di oss geno attiva l’espressione genica di VEGF
mediatore angiogenico ipossia
attivatori con conseguente riduzione dell’attività tr scrizionale. L’attività del fattore FIH dipende strettamente dalla presenza di O2, ferro allo stato ferroso e G-chetoglutarato.
paragina + G-chetoglutarato + O2
HIF-1G-+ succinato HIF-1G-+ CO2
Il controllo di HIF-1G è mediato dall’idrossilazione di residui di prolina ; in particolare, la stabilità di HIF-1G è controllata dalla idrossilazione della prolina, mentre la sua attività da quella della
Figura 8: Le componenti funzionali di
HIF-In condizioni di normossia, ovvero in presenza di ossigeno, HIF viene rapidamente idrossilata dalle prolil idrossilasi e questa modifica permette il legame con la proteina oncosoppressore pVHL (von Hi
Lindau) tramite interazioni a idrogeno. Questa interazione causa la ubiquitinilazione di HIF-1G e la degradazione da parte del prote soma. pVHL funge da componente di riconoscimento per altre mol
le del complesso della E3 ubiquitina ligasi.
In condizioni di ipossia viene inibito il legame della subunità
proteina pVHL. HIF-1G sfugge quindi alla degradazione e trasloca dal nucleo dove dimerizza con HIF-1β divenendo cos complesso trascrizionalmente attivo (HIF-1); HIF-1 si lega ad una s quenza nota come elemento di risposta all’ipossia (HRE) presente sul promotore del gene del VEGF-A e ne attiva la trascrizione (vedi Figura
HRE è una sequenza genica di 28 basi localizzata nella regione 5’ del promotore del VEGF umano e murino. Un calo della tensione di oss geno attiva l’espressione genica di VEGF-A che risulta quindi l’unico mediatore angiogenico ipossia-dipendente. 28
attivatori con conseguente riduzione dell’attività tra-scrizionale. L’attività del fattore FIH dipende strettamente dalla
chetoglutarato.
-asparagina-OH
residui di prolina è controllata dalla a, mentre la sua attività da quella della
a--1.
In condizioni di normossia, ovvero in presenza di ossigeno, HIF-1G e questa modifica permette il legame con la proteina oncosoppressore pVHL (von
Hip-Lindau) tramite interazioni a idrogeno. Questa interazione causa G e la degradazione da parte del
proteo-conoscimento per altre
mole-In condizioni di ipossia viene inibito il legame della subunità G con la G sfugge quindi alla degradazione e trasloca dal 1β divenendo così un 1 si lega ad una se-quenza nota come elemento di risposta all’ipossia (HRE) presente sul
A e ne attiva la trascrizione (vedi Figura
a genica di 28 basi localizzata nella regione 5’ del promotore del VEGF umano e murino. Un calo della tensione di
Figura 9: La r
1.3.3.
VEGF
VEGF-A è una glicoproteina dimerica con un
42 kDa composta da due subunità di identico peso molecolare (23 kDa).
La struttura cristallina mostra due monomeri
parallelo a formare un omodimero. I monomeri sono legati da ponti disolfuro e interessan
La regolazione dell’espressione genica di VEGF
VEGF-A: LA STRUTTURA
una glicoproteina dimerica con un peso molecolare
42 kDa composta da due subunità di identico peso molecolare (23
La struttura cristallina mostra due monomeri disposti in senso ant parallelo a formare un omodimero. I monomeri sono legati da ponti disolfuro e interessano la Cys51 e la Cys60 (vedi Figura 11
Figura 11: La struttura di VEGF-A
espressione genica di VEGF-A
peso molecolare di 34-42 kDa composta da due subunità di identico peso molecolare (23
disposti in senso anti-parallelo a formare un omodimero. I monomeri sono legati da ponti
L’omodimero è caratterizzato da un motivo cysteine knot per stabilire la struttura terziaria. Questo motivo
anello di otto residui formato da due ponti disolfuro (Cys
Cys61-Cys104) tra due foglietti β adiacenti e di un terzo ponte disolfuro
(Cys26-Cys68) passante per que
Test di mutagenesi hanno permesso di identificare i residui ammin acidici essenziali per il legame con VEGFR
acidi codificati dall’ legame al VEGFR
dall’esone 4, sono essenziali per il legame al VEGFR
Le catene dell’omodimero si legano ai recettori tramite siti di binding localizzati ai due poli, prevalent
bico, e ciò permette non solo l’omo dimerizzazione recettoriale
Il VEGF lega il secondo dominio immunoglobulinico del VEGFR secondo e terzo dominio immunoglubulin
Figura 12: L’interazione di VEGF
L’omodimero è caratterizzato da un motivo cysteine knot
per stabilire la struttura terziaria. Questo motivo è costituito da otto residui formato da due ponti disolfuro (Cys
) tra due foglietti β adiacenti e di un terzo ponte disolfuro ) passante per questo anello. 31
Test di mutagenesi hanno permesso di identificare i residui ammin enziali per il legame con VEGFR. I residui amminoacidici acidi codificati dall’esone 3 Asp63, Glu64 e Glu67 sono essenziali per il
legame al VEGFR-1. I residui basici Arg82, Lys84 e His
dall’esone 4, sono essenziali per il legame al VEGFR-2.
Le catene dell’omodimero si legano ai recettori tramite siti di binding localizzati ai due poli, prevalentemente con interazioni di tipo idrof bico, e ciò permette non solo l’omo-dimerizzazione ma anche l’etero
recettoriale (vedi Figura 12).
Il VEGF lega il secondo dominio immunoglobulinico del VEGFR e terzo dominio immunoglubulinico del VEGFR
nterazione di VEGF-A con i recettori VEGFR VEGFR-2 (B)
L’omodimero è caratterizzato da un motivo cysteine knot essenziale è costituito da un otto residui formato da due ponti disolfuro (Cys57-Cys102 e
) tra due foglietti β adiacenti e di un terzo ponte disolfuro
Test di mutagenesi hanno permesso di identificare i residui ammino-residui amminoacidici
sono essenziali per il e His86, codificati
2.
Le catene dell’omodimero si legano ai recettori tramite siti di binding interazioni di tipo idrofo-dimerizzazione ma anche
l’etero-Il VEGF lega il secondo dominio immunoglobulinico del VEGFR-1 e il del VEGFR-2. 32
1.3.4.
VEGF-A: L’ATTIVITA’ BIOLOGICA
VEGF-A è una molecola la cui attività mitogena si esplica quasi e-sclusivamente a livello delle cellule endoteliali di arterie, vene e vasi linfatici, essendo i suoi recettori prerogativa di queste popolazione cellulari. Nonostante ciò, recentemente, è stata riscontrata un’azione proliferativa VEGF-mediata (sia in vivo che in vitro) anche a carico di altre cellule quali cellule dei dotti pancreatici, linfociti, cellule di Schwann, cellule neuronali, epatociti e cellule endoteliali sinusoidali. Oltre alla caratteristica capacità di indurre proliferazione, migrazione e differenziazione delle cellule endoteliali con una azione di tipo diret-to, il VEGF-A appare implicato in altre importanti funzioni pro-angiogeniche:
• Aumento della permeabilità vasale: conosciuto anche con il nome di Vascular Permeability Factor (VPF), il VEGF-A è una delle poche citochine in grado di influenzare la permeabilità va-scolare e di indurre un importante aumento dell’essudazione vasale. L’induzione della permeabilità vascolare è il passaggio iniziale necessario per l’angiogenesi e tutti gli esempi di angio-genesi finora studiati, sia fisiologici che patologici, sono carat-terizzati da un aumento della micropermeabilità vascolare. L’effetto permeabilizzante esercitato dal VEGF-A è mediato in gran parte da un organulo recentemente scoperto nel citopla-sma dell’endotelio venulare, l’organulo vescicolo-vacuolare (VVO). I VVO sono gruppi di vescicole e di vacuoli interconnessi a forma di grappolo presenti lungo tutto lo spessore dell’endotelio; in seguito all’attivazione da parte del VEGF-A forniscono una via cellulare trans-endoteliale per lo stravaso delle proteine plasmatiche dal lume verso lo spazio extracellu-lare. È stato inoltre osservato che il VEGF-A è in grado di in-durre la formazione di zone di assottigliamento dell’endotelio, dette fenestrazioni. In queste zone, il lume del vaso e l’interstizio sono separati solamente da un sottile diaframma
che fornisce una via alternativa per lo stravaso dei soluti. La deposizione extravascolare di proteine plasmatiche, in partico-lare fibrina, funziona da substrato per la crescita delle cellule endoteliali;
• Inibizione dei fenomeni apoptotici ed aumento dell’emivita delle cellule endoteliali: l’attività antiapoptotica del VEGF-A si realiz-za tramite l’espressione di specifiche proteine a livello endote-liale, Bcl-2 e A1 e tramite la via di trasduzione del segnale che, attraverso la fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K), attiva le seri-na/treonina kinasi – proteina kinasi B (PKB/Akt) e la proteina knasi C (PKC). Grazie a questa capacità di contrastare la morte programmata delle cellule endoteliali, il VEGF-A limita la re-gressione delle strutture neoformate e stabilizza il tessuto va-scolare sia nell’ambito dei processi fisiologici, sia in processi patologici quali quelli neoplastici;
• Induzione dell’espressione, da parte delle cellule endoteliali, di proteasi: l’espressione di proteasi quali uPA, uPAR, tPA e me-talloproteinasi-collagenasi interstiziale comporta la degradazio-ne ed il rimodellamento della membrana basale vascolare e del-la matrice extracelludel-lare, permettendo del-la migrazione e del-la gem-mazione delle cellule endoteliali;
• Mantenimento dell’equilibrio del processo proteolitico: il VEGF-A induce l’espressione del PVEGF-AI-1 (PVEGF-A inhibitor 1);
• Aumento nelle cellule endoteliali della capacità di trasporto dell’esoso: il VEGF-A stimola il trasposto dell’esoso in sintonia con le maggiori esigenze nutrizionali delle cellule in rapida pro-liferazione;
• Induzione dell’espressione di molecole di adesione a livello en-doteliali (VCAM-1 e ICAM-1);
• Amplificazione dei meccanismi di adesione delle cellule natural killer all’endotelio attraverso l’interazione di VCAM-1 e ICAM-1 con CD18 e VLA4.
Come evidenziato in precedenza, l’azione del VEGF-A si verifica anche a livello di cellule non endoteliali:
• Cellule della linea ematopoietica: promozione della chemiotassi monocitaria ed induzione della formazione di colonie di cellule progenitrici di macrofagi e neutrofili;
• Cellule presentanti antigene (cellule dendritiche): inibite seletti-vamente se si trovano in uno stadio di immaturità, inducendo un calo della risposta immunitaria;
• Cellule neuronali: studi hanno evidenziato un’attività neutrofi-ca del VEGF che, tramite interazione con i recettori tirosin chi-nasi e neuropiline a livello del sistema nervoso periferico, si rende responsabile della stimolazione della crescita assonale grazie ai suoi effetti proliferativi ed anti-apoptotici. 33
1.4.
I RECETTORI DEL VEGF
Le funzioni biologiche dei membri della famiglia del VEGF sono me-diate dall’interazione con tre recettori appartenenti alla famiglia delle tirosin chinasi: VEGFR-1 (conosciuto anche come Flt-1), VEGFR-2 (conosciuto anche come KDR/Flk-1) e VEGFR-3 (conosciuto anche come Flt-4). VEGFR-1 e VEGFR-2 sono espressi sulla vascolatura en-doteliale, mentre VEGFR-3 è espresso principalmente sull’endotelio dei vasi linfatici. In aggiunta, un numero di co-recettori mancanti dell’attività catalitica intrinseca legano i VEGF e modulano gli effetti dei VEGFR. Questi recettori includono le neuropiline (Neuropilin1 e -2) e i proteoglicani eparan-solfato (HSPG). Le prime sono espresse sulle cellule endoteliali mentre i proteoglicani eparan-solfato si trova-no sulla membrana plasmatica e nella matrice extracellulare. I cinque membri della famiglia VEGF hanno affinità diverse per i tre recettori tirosin chinasici e legandosi ad essi portano alla formazione di omo- ed etero-dimeri (vedi Figura 13 e 14). 34
Figura 13: Specificità di legame e complessi di trasduzione
Figura
Da un punto di vista strutturale i recettori del
zione extracellulare di circa 750 amminoacidi (catena N costituita da sette domini immunoglobulina
di legame per il ligando
da un ponte disolfuro), un s
juxtamembrana, un dominio chinasico contenente un inserto di circa 70 residui amminoacidici e una coda C
16).
: Specificità di legame e complessi di trasduzione
Figura 14: VEGFR, i loro ligandi e le loro funzioni
Da un punto di vista strutturale i recettori del VEGF hanno una po zione extracellulare di circa 750 amminoacidi (catena N
costituita da sette domini immunoglobulina-simili e contenenti il sito di legame per il ligando (nel VEGFR-3 il quinto dominio Ig è sostituito da un ponte disolfuro), un segmento transmembrana, un segmento juxtamembrana, un dominio chinasico contenente un inserto di circa 70 residui amminoacidici e una coda C-terminale (vedi
: Specificità di legame e complessi di trasduzione
funzioni
VEGF hanno una por-zione extracellulare di circa 750 amminoacidi (catena N-terminale)
simili e contenenti il sito 3 il quinto dominio Ig è sostituito egmento transmembrana, un segmento juxtamembrana, un dominio chinasico contenente un inserto di circa vedi Figura 15 e
Figura
Questi enzimi catalizzano la seguente reazione: MgATP1- + Protein
dove –OH è un gruppo ossidrilico di una Tyr. Il dominio chinasico
osservata in tutte le proteine chinasi
Figura 15: La struttura dei VEGFR
Figura 16: Organizzazione del recettore VEGFR Questi enzimi catalizzano la seguente reazione:
+ Protein-OH Protein-OPO32- + MgADP + H
OH è un gruppo ossidrilico di una Tyr.
Il dominio chinasico dei VEGFR ha la caratteristica struttura bilobata osservata in tutte le proteine chinasi. Il sito di legame dell’ATP è loc
VEGFR
+ MgADP + H+
ha la caratteristica struttura bilobata . Il sito di legame dell’ATP è
loca-lizzato in una tasca presente all’interfaccia tra due lobi, N C-terminale. 35
Concettualmente, gioni (vedi Figura 17
Figura 17: La rappresentazione delle cinque regioni del sito di legame
• Regione dell’adenina: è una regione idrofobica costituita da un piccolo peptide di connessione tra il lobo N
terminale. Accoglie l’anello purinico dell’ATP che forma tre l gami a idrogeno. Questi vedono coinvolti l’atomo di azoto in p sizione 1, il gruppo amminico in posizione 6, che si comportano rispettivamente come accettore e donatore di idrogeno, e l’idrogeno legato a
giunta a queste interazioni polari, l’adenina forma anche delle interazioni non polari con residui idrofobici localizzati a livello dei lobi N-terminale e C
• Regione dello zucchero: il ribosio dell’ATP regione. L’ossidrile 2’
residuo polare localizzato all’inizio del lobo C ralmente Ser, Asp, Glu o Gln);
• Regione del fosfato: questa regione accoglie il gruppo trifosfato ed è principalmente costituita da un loop flessibile ricco di gl cina e da una struttura ad
lizzato in una tasca presente all’interfaccia tra due lobi, N
Concettualmente, il sito di legame dell’ATP può essere diviso in 5 r (vedi Figura 17):
appresentazione delle cinque regioni del sito di legame dell’ATP
Regione dell’adenina: è una regione idrofobica costituita da un piccolo peptide di connessione tra il lobo
N-Accoglie l’anello purinico dell’ATP che forma tre l gami a idrogeno. Questi vedono coinvolti l’atomo di azoto in p sizione 1, il gruppo amminico in posizione 6, che si comportano rispettivamente come accettore e donatore di idrogeno, e l’idrogeno legato al carbonio in posizione 2 dell’adenina. In a giunta a queste interazioni polari, l’adenina forma anche delle interazioni non polari con residui idrofobici localizzati a livello
terminale e C-terminale;
Regione dello zucchero: il ribosio dell’ATP si posizione in questa regione. L’ossidrile 2’-OH forma un legame a idrogeno con un residuo polare localizzato all’inizio del lobo C-terminale (gen ralmente Ser, Asp, Glu o Gln);
Regione del fosfato: questa regione accoglie il gruppo trifosfato ed è principalmente costituita da un loop flessibile ricco di gl cina e da una struttura ad G-elica che orienta il gruppo fosfato lizzato in una tasca presente all’interfaccia tra due lobi, N-terminale e
re diviso in 5
re-appresentazione delle cinque regioni del sito di legame
Regione dell’adenina: è una regione idrofobica costituita da un -terminale e C-Accoglie l’anello purinico dell’ATP che forma tre le-gami a idrogeno. Questi vedono coinvolti l’atomo di azoto in po-sizione 1, il gruppo amminico in popo-sizione 6, che si comportano rispettivamente come accettore e donatore di idrogeno, e l carbonio in posizione 2 dell’adenina. In ag-giunta a queste interazioni polari, l’adenina forma anche delle interazioni non polari con residui idrofobici localizzati a livello
si posizione in questa OH forma un legame a idrogeno con un terminale
(gene-Regione del fosfato: questa regione accoglie il gruppo trifosfato ed è principalmente costituita da un loop flessibile ricco di
dell’ATP per la catalisi. Nella maggior parte delle strutture cri-stalline ATP-chinasiche, ritroviamo un legame a idrogeno tra il gruppo fosfato in posizione G e β dell’ATP e la Lys295. Il gruppo
fosfato in posizione γ interagisce invece con il residuo di Arg388; • Regione nascosta: è una tasca idrofobica di dimensioni variabi-li, opposta alla regione dello zucchero e non occupata dalla mo-lecola di ATP. A livello di questa regione vengono identificate le più significative differenze strutturali e sequenziali tra i compo-nenti della superfamiglia delle chinasi;
• Regione accessibile al solvente: le dimensioni di questa regione dipendono dall’assenza o dalla presenza di residui di glicina che causano una variazione conformazionale della proteina tra la regione dell’adenina (regione cerniera) e l’inizio del lobo C-terminale. Anche questa regione può essere esplorata per au-mentare l’affinità del ligando verso la proteina. 36
I VEGF interagiscono con i recettori tirosin chinasici inducendone la dimerizzazione come diretta conseguenza della simmetria stessa della molecola del VEGF. Il contatto tra le due code intracellulari contigue dei recettori attiva la loro funzione chinasica, con l’effetto che ciascu-no fosforila l’altro. La fosforilazione interessa specifici residui di Tyr delle loro code citosoliche. Le Tyr fosforilate funzionano da siti di le-game per un nutrito gruppo di proteine segnalatrici. Alcune di queste, nel legarsi al recettore, vengono fosforilate e attivate e propagheranno il segnale; altre servono solo da adattatori che associano il recettore a proteine della segnalazione, concorrendo così alla costruzione del complesso di segnalazione. Tutte queste proteine intracellulari della segnalazione possiedono un dominio specializzato capace di ricono-scere particolari residui fosforilati di Tyr. 37
1.4.1.
IL VEGFR-1
VEGFR-1 si lega a VEGF-A, PlGF e VEGF-B. il suo peso molecolare è di circa 210 kDa e la sua funzione varia a seconda dello stadio di svi-luppo e della posizione in cui si trovano le cellule endoteliali che lo producono. L’affinità di VEGFR-1 per VEGF-A è maggiore rispetto a quella di VEGFR-2, inoltre, in seguito ad attivazione da parte di VEGF-A, è dotato di una più debole attività di fosforilazione tirosin chinasica. Sei residui nella coda C-terminale sono stati identificati come siti di fosforilazione (vedi Figura 18).
L’attivazione di VEGFR-1 non ha effetti proliferativi o sul citoscheletro diretti, 38 ma comunque la sua attivazione è implicata nell’aumento
dell’espressione, nelle cellule endoteliali, di attivatori del plasminoge-no di tipo urochinasico e dell’inibitore-1 dell’attivatore del plasmiplasminoge-no- plasmino-geno, 39 molecole coinvolte nella degradazione della matrice
extracel-lulare e nella migrazione celextracel-lulare. Un altro importante ruolo di VEGFR-1 è svolto nella chemiotassi dei monociti. 40
Il gene umano VEGFR-1 contiene 30 esoni e si trova sul cromosoma 13 in posizione 13q12. Lo splicing alternativo del pre-mRNA genera una isoforma solubile, detta sVEGFR-1, la quale può legare ed inibire l’azione di VEGF. 41 sVEGFR-1, dopo il clivaggio del peptide segnale, è
formato da 661 amminoacidi corrispondenti ai primi 6 dei 7 domini extracellulari immunoglobulinici.
L’attivazione della proteina tirosin chinasi recettoriale e l’inizio della trasduzione del segnale coinvolgono l’autofosforilazione dei residui ti-rosinici e molti recettori vanno incontro ad autofosforilazione attra-verso quello che è chiamato un loop di attivazione che aumenta l’attività dell’enzima. VEGFR-1 al contrario non segue questa via. So-no stati identificati nella coda carbossi-terminale di questo recettore sei residui che fungono da siti di fosforilazione ma uno di essi, la fo-sfotirosina 1169, è implicata nel legame e nell’attivazione della fosfo-lipasi C-γ (PLC-γ1), che porta all’attivazione della via di segnalazione delle MAP (Mitogen.Activated Protein) chinasi. 42,43
Figura 18: I siti di fosforilazione VEGFR
1.4.2.
IL VEGFR
VEGFR-2 è un recettore a cui si legano proteine VEGF a più basso peso molecolare (da 110 a 165 residui amminoacidici). Il suo peso molecolare è di circa 210 kDa, esso è il mediatore
zione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali stimolata da VEGF-A, nonché dell’aumento della permeabilità vascolare. Non stante l’affinità fra VEGF e VEGFR
e VEGFR-1, VEGFR
sin chinasica in risposta al suo ligando. Struttura dominio chinasico VEGFR
struttura bilobata e il sito di legame dell’ATP si trova all’interfaccia tra i lobi N- e C- terminale
iti di fosforilazione VEGFR-1 e la trasduzione del segnale
VEGFR-2
2 è un recettore a cui si legano proteine VEGF a più basso peso molecolare (da 110 a 165 residui amminoacidici). Il suo peso molecolare è di circa 210 kDa, esso è il mediatore principale di migr zione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali stimolata
A, nonché dell’aumento della permeabilità vascolare. Non stante l’affinità fra VEGF e VEGFR-2 sia minore di quella fra VEGF 1, VEGFR-2 è dotato di una più solida attività protein tir sin chinasica in risposta al suo ligando. 44
Struttura dominio chinasico VEGFR-2: il dominio catalitico ha la tipica struttura bilobata e il sito di legame dell’ATP si trova all’interfaccia tra
terminale (vedi Figura 19).
trasduzione del segnale
2 è un recettore a cui si legano proteine VEGF a più basso peso molecolare (da 110 a 165 residui amminoacidici). Il suo peso principale di migra-zione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali stimolata
A, nonché dell’aumento della permeabilità vascolare. Nono-2 sia minore di quella fra VEGF-A i una più solida attività protein
tiro-il dominio catalitico ha la tipica struttura bilobata e il sito di legame dell’ATP si trova all’interfaccia tra