Enrico Guarneri
Gramsci, radiosomaggismo, cadornismo e muli al centro
“Grande” e “Mondiale” sono gli appellativi correntemente usati per la guerra del ‘14-‘18, con allusione alle dimensioni inusuali di essa, sia dal punto di vista della concorso degli eserciti nazionali che per il coinvolgimento diretto della popolazione civile nelle vicende belliche. Entrambe gli aspetti sono espressione delle dimensioni assunte dal sistema economico capitalistico di cui il conflitto fu manifestazione organica e necessaria, ma di per sé non costituiscono novità assolute nella storia europea, nel corso della quale spesso le guerre avevano coinvolto tutto “il mondo”, come ragionevolmente lo si intendeva dal punto di vista della civiltà del tempo, ed in molti casi, come in quello della guerra dei Trenta Anni, la popolazione europea ne era uscita decimata, grazie anche all' “effetto collaterale” delle epidemie.
Nei Quaderni, Antonio Gramsci affronta ripetutamente l’argomento dai più diversi punti di vista1 e soprattutto da quello delle sue conseguenze epocali: la vede come l’evento che, smembrando e stravolgendo tutti gli aspetti dell'assetto uscito dal Congresso di Vienna, imposta gli scenari nuovi della storia mondiale:
«... tutti riconoscono che la guerra del ‘14-‘18 rappresenta una frattura storica nel senso che tutta una serie di questioni che molecolarmente si accumulavano prima del 1914 hanno appunto fatto 2mucchio” modificando la struttura generale del processo precedente: basti pensare all'importanza che ha assunto il fenomeno sindacale, termine generale in cui si assommano diversi problemi e processi di sviluppo di diversa importanza e significato (parlamentarismo, organizzazione industriale, democrazia, liberalismo, ecc.) ,a che obbiettivamente riflette il fatto che una nuova forza sociale si è costituita, ha un peso non più trascurabile ecc.» (p.1824).
«Nel dopoguerra si è verificata una crisi dei costumi di estensione e profondità inaudite, ma si è verificata contro una forma di coercizione [imposta] per le necessità, già concepite come transitorie, della vita di guerra e di trincea ... ha represso specialmente gli istinti sessuali ... in grandi masse di giovani e la crisi che si è scatenata al momento del ritorno alla vita normale è stata resa ancora più violenta dalla sparizione di tanti maschi e da uno squilibrio permanente nel rapporto numerico tra gli individui dei due sessi ... la crisi è stata (ed è ancora) resa più violenta dal fatto che ha toccato tutti gli strati della popolazione ed è entrata in conflitto con le necessità dei nuovi metodi di lavoro [i quali] domandano una rigida disciplina degli istinti sessuali (del sistema nervoso) etc.» (p.2162).
L’attenzione di Gramsci si sofferma su tre aspetti specifici della situazione italiana:
(1) le indecenti modalità e circostanze dell'ingresso dell'Italia nel conflitto, derivanti dalla assenza di chiari interessi reali nel conflitto e dalla fragilità del sistema politico italiano, oscillante fra un neutralismo ampiamente maggioritario nell'opinione pubblica ed in Parlamento, ed un rumoroso interventismo della corte e delle destre;
(2) la concezione del potere e della gestione del comando militare del tutto specifica della monarchia sabauda (il mito del “re soldato”) legata ad una macchina bellica arretrata e primitiva (raccomandazione logistica in caso di attacco: muli al centro; eroiche massime generalizie: le palle si fermano
1 Per comodità del lettore riporto alfabeticamente e con qualche modifica la voce “guerra 1914-18” dell'indice analitico
dell'apparato critico dell'edizione Gerratana, che tuttavia è ben lungi dall' esaurire la tematica che si diffonde su una pluralità di argomenti connessi contemplati in altre voci come Cadornismo, Esercito etc - l'indicazione delle pagine del testo gramsciano si riferisce all'edizione di Gerratana:
- apparato industriale italiano, insufficienza del -- 616-18 / - armamento della Germania, 628-29 /-atteggiamento del Croce ,1211-131207, 1318 / - bilancio della -- 1013-14 / - bollettini di guerra del Comando Supremo Italiano, 145 / - dissoluzione dell'impero Austro-Ungarico, questione della, 1011-12 / - entrata in guerra dell'Italia, 1011-12 / - frattura storica e importanza del fenomeno sindacale, 1824 / - imboscati, polemica sugli 616-17 / - patto di Londra, 979,1011-12 / - pressioni coercitive e crisi dei costumi, 2161-62 / - principio di nazionalità, rifiuto di Sonnino del, 2049-50 / - psicologia delle masse militari in trincea, 1310 / - truppe d'assalto, effetti catastrofici etc. 675.
coi petti; rompere i reticolati coi denti, etc.) che ha sacrificato l'intera popolazione maschile attiva sino a
ricorrere al reclutamento dei diciottenni (i “ragazzi dell’89”);
(3) il coinvolgimento di buona parte della intellettualità nella creazione di un diffuso sentimento patriottardo e militarista (alibi del radiosomaggismo). Di fatto sembra siano esistiti due sentimenti “popolari”, fra loro, almeno apparentemente, opposti e che si manifestano anche sul piano letterario: da un lato una componente fortemente ostile (quella del “disfattismo” la cui responsabilità fu attribuita ai “socialisti”), dall'altro un sentimento ambiguo, ma forte soprattutto fra i reduci, di valutazione "etica", tendente a salvare qualcosa del grande sacrificio collettivo ed il cui riflesso, più o meno autentico e diretto, sono le forti e suggestive canzoni patriottiche dedicate al Monte Grappa ed al Piave2[2], a cui aggiungerei, l’“Inno a Roma” del ‘19.
Sul primo aspetto. Sullo scandaloso Patto segreto di Londra con cui la monarchia, il capo del governo Salandra ed il ministro degli Esteri Sonnino, escludendo dalle trattative Giolitti, ed all'insaputa del Parlamento, impegnarono del tutto illegalmente l'Italia nel conflitto, andando contro la volontà di quasi tutte le componenti politiche e sociali del Paese, Gramsci è cauto, non disponendo dei necessari elementi di giudizio che elenca accuratamente (p. 979):
Il documento Cadorna che Salandra scrive di non avere conosciuto; 2) atteggiamento Salandra-Sonnino per cui essi non si associano a Giolitti, ma pretendono di fare la storia da soli, cioè a beneficio del loro partito, senza però riuscire a dominare le forze politiche dominanti nel paese; 3) atteggiamento di Giolitti nel 1918-19 ... per una Costituente o almeno per una limitazione del potere esecutivo..".
Ma nota duramente che
"la imprecisione e l'ambiguità della formulazione [sulle contropartite previste per l'Italia] sono
connesse al carattere del patto, per cui l'Italia si impegnava a dichiarare guerra all'Austria e non alla Germania"
(Il patto di Londra, p.979).
La questione fondamentale della scelta dell'avversario, Austria o Germania, viene affrontata in una apposita nota complessa e articolata (1915, p. 1011-12).
Sul secondo aspetto. All'intreccio tra forma del potere monarchico, gestione militare ed arretratezza dell'industria bellica, di cui Caporetto è l'evento cardine e costituisce la pagina più drammatica dell'intera storia militare del conflitto, Gramsci. dedica una nota particolarmente attenta (Caporetto, p. 740) in cui rileva la necessità di "fissare alcuni punti chiari e precisi":
(a) Scorgere in Caporetto un fatto puramente militare, attribuito alla "massa militare", il popolo ed i partiti politici che ne sono espressione, è un equivoco tendente a nascondere "l'insufficienza
governativa", cioè l'incapacità di tenere conto "che le vite umane non debbono essere sacrificate inutilmente".
Divertente l'espressione usata per definire i politici incapaci, "semplicioni".
(b) Una sconfitta delle proporzioni di Caporetto non può neppure essere attribuita in via esclusiva alle responsabilità del solo capo supremo, cioè a Cadorna, che di suo ne ha certamente, sia tecniche che politiche, ma si deve estendere all'intera classe dirigente di cui esprime la mentalità.
(c) Questa erronea attribuzione di responsabilità è finalizzata a fare dell'evento un singolo episodio di importanza limitata, liberando l'intero quadro politico dalla responsabilità della sconfitta (il sistema è efficace: in fondo con un escamotage del genere il "culto della personalità" è stata usato per attribuire a Stalin le colpe di un intero regime stalinista).
E' recensendo un articolo di Missiroli, che Gramsci si era espresso con grande chiarezza sulle responsabilità di Cadorna: non nega le colpe della sua direzione militare, (Cadorna pp. 259-62) consistente nel burocratismo per cui “quando aveva fatto le sue ipotesi logiche, dava torto alla realtà e si rifiutava
di prenderla in considerazione"”. Ma conferma il carattere fondamentale delle responsabilità politiche:
2 Il cui testo reca le tracce della diversa valutazione di Caporetto, che da “tradimento” , in seguito alla migliore o dei fatti si
“perché si dovrebbe domandare a Cadorna una grande capacità politica se non si domanda ai capi politici una
corrispondente capacità militare?” E comunque, di fronte al fatto che si conoscesse il crollo del morale della
truppa, e soprattutto che il Comando supremo fosse informato delle modalità dell'offensiva a Caporetto, appare evidente “la responsabilità è del governo che doveva ... sostituire Cadorna ed occuparsi
politicamente dell’esercito” (p. 261-2).
Estende poi la riflessione (Elementi di politica, p. 1753) coniando, con stile tipico dei Q. un termine specifico, il “cadornismo” (che si affianca al “brescianesimo”, al “lorianesimo” al “taylorismo” etc.) cioè:
la persuasione che una cosa sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta: se non viene fatta la colpa viene riversata su chi avrebbe dovuto ecc. .. così è difficile estirpare la abitudine criminale di trascurare di evitare il sacrifizio inutile.
Un punto particolarmente rilevante sembra essere quello in cui accenna all’arretratezza dell'industria e dell'apparato bellico che genera lo spreco enorme di vite umane, e nel cui quadro si pone la questione degli imboscati (Direzione politico-militare della guerra 1914-1918 (pp. 616 ss.):
In Italia, col ristretto apparato industriale in confronto delle necessità del tempo di guerra, il problema è spinoso ... necessariamente la industria metallurgica e meccanica ... ma anche altre ...devono essere mobilitate e ... ampliate ... quindi dovranno farsi nuove assunzioni ... la maggior parte degli operai dovrà lavorare per l'attrezzamento e il munizionamento ... la composizione dell'esercito sarà perciò in prevalenza contadina.
Questa arretratezza “strutturale” ha un gravissimo immediato risvolto nella mentalità diffusa: “la contrapposizione di combattenti e di esonerati e imboscati”. Gramsci sottolinea
come sia politicamente erroneo chiamare imboscati gli addetti all'industria in tempo di guerra ... la contrapposizione ... lasciò formarsi l'opinione che gli esonerati fossero dei veri imboscati e non elementi indispensabili per l’attività bellica”. E stigmatizza: “questa propaganda ...ebbe conseguenze deplorevoli ...furono mandati a Torino dei reparti d'assalto che incominciarono la caccia all'imboscato ... fare di questa necessità un elemento di agitazione demagogica potrà avere questa conseguenza ... il problema della produzione subirà una crisi la guerra potrà essere perduta nelle officine per mancanza di rendimento.
Infine - terzo aspetto della riflessione gramsciana - sul fenomeno della creazione artificiosa del consenso popolare al conflitto l'analisi di Gramsci richiama due ordini di considerazioni: la prima riguarda l'azione con cui:
i capi e i gruppi dirigenti suscitano le passioni delle folle artatamente e le conducono alla lotta e alla guerra ... l'ultima guerra ha ... mostrato che non la passione manteneva le masse militari in trincea, ma o il terrore dei tribunali militari o un senso del dovere freddamente ragionato e riflessivo (p. 1309).
Che sono precise allusioni da un lato alle mistificazioni del “radiosomaggismo” dall’altro alle decimazioni. Nell’operazione della creazione della “passione” in qualche modo legata alla origine “militare” dello spirito nazional-popolare all’italiana, Gramsci denuncia in modo specifico il ruolo degli intellettuali: cita scritti di Papini, Oriani, Jahier ed i libretti di Abba e Longanesi (Ricerca delle tendenze e
degli interessi morali e intellettuali etc. pp. 2196-2197):
«G. C. Abba può essere citato come esempio italiano di scrittore nazional-popolare ...Sono da analizzare non solo gli scritti dell'Abba che hanno valore poetico, ma anche gli altri come quello rivolto ai soldati che fu premiato dalle autorità governative e militari e per qualche tempo fu diffuso nell'esercito. Nella stessa direzione è da ricordare il saggio di Papini pubblicato in Lacerba dopo gli avvenimenti del giugno 1914 [la
settimana rossa]. La posizione di A. Oriani ... è troppo astratta e oratoria e deturpata dal suo titanismo etc.[osservazione interessante perché denota la reale importanza che G. attribuisce agli scritti in
oggetto]. Qualcosa è notevole nell'opera di Piero Jahier ... anche di carattere popolare-militare etc ... mal condita
però etc. [v.s.] ... il Longanesi deve avere scritto un libriccino per le reclute, ciò che dimostra come le scarse tendenze nazional-popolari nascano forse più che altro da preoccupazioni militari…»
Subito dopo (p. 2197) Gramsci cita Luigi Russo. Ma curiosamente il discorso dalla tematica militare si sposta su quella più generica “morale-culturale”. È senz’altro sorprendente il silenzio di Gramsci sulle lezioni tenute da Russo alla scuola militare di Caserta - dal titolo Vita e morale militare, e
L'Esercito e l'educazione nazionale. Il primo, edito da Treves nel ‘17 e la cui terza edizione è del ‘19 ; il
secondo, del ‘18, rivolto agli allievi del Corso Piloti Aviatori di Caserta. Lavori che avevano avuto risonanza certo maggiore di quelli citati, anche perché ripetutamente editi da Treves ed onorati da varie recensioni, una delle quali di Luca Pignato (“Cronache Nazionali”, 2 dicembre, 1917), appartenente ad un gruppo del quale (p.83) sottolinea la relazione con Gobetti; un'altra di Brognoligo (“Fanfulla della Domenica”, 13 gennaio, 1918), ma soprattutto da quella prestigiosa ed impegnativa di Gentile, nel '17 pubblicata nel Giornale di Firenze, poi divenuta prefazione della terza edizione Treves, che si concludeva con le parole: “ispirato alle idee del più elevato e schietto idealismo ... Indirizzato a suscitare fiamme di fede ... è un
libro che fa onore all'esercito e alla scuola”. Proprio la capacità di “suscitare fiamme di fede” attribuisce al
libro di Russo il ruolo di creazione artificiosa del consenso popolare alla guerra di cui s parlava sopra: ... noi chiariremo a noi stessi la nostra vita, i nostri ideali, ed educheremo le nostre energie a pratici effetti ... per metterci in condizione di sentire ... le nobili passioni che animano l'ufficiale nell'esercizio del suo grado. (Vita e morale militare, III ed. p. 4)
uomini venerabili per ingegno e per cuore hanno evangelicamente predicato alle turbe ... il verbo del pacifismo ... ma qualche volta ci si domanda se la guerra, come la presente ... sia un capriccio degli uomini oppure un'eterna necessità dello spirito contro cui è inutile battagliare ... e per le quali è solo utile prepararsi con tutte le forze dell'animo e i migliori mezzi” ... se la vita è lotta ... la guerra si moralizza solo per il fatto stesso di essere vita ... poiché tutto quello che è, è razionale, e ciò che è razionale è anche morale (una patetica caricatura di Hegel, pp. 7, 11-12)
L’esercito ... deve farsi valere ... come istituzione educativa della Nazione stessa ... contro [l']analfabetismo civico ... che pare abolirsi nei momenti gravi di commozione storica, ma che torna a pesare ... nelle lunghe tregue di spensieratezza nazionale ... come perpetuo riscatto dei nostri egoismi individuali ... i tributi pecuniari e personali, come il servizio militare, che lo stato impone ai cittadini sono ... mezzi educativi per l’approfondimento del sentimento nazionale e civico ... in tempi di godimenti e di guadagni è facile smarrire il sentimento di alcune virtù virili ... per le quali un popolo diventa glorioso nella storia ... (pp. 29, 31,40)
L'enfasi pedagogica del bellicismo del tenente Russo, decorato con medaglia d'argento, si spinge tanto oltre da sfiorare la parodia:
... un giorno per pigrizia allenterò i miei propositi di puntualità. Pure sono inquieto, nervoso; vorrei liberarmi da quella fiacchezza: la combatto ma non la vinco: interviene il superiore, che mi facilita il compito ... egli mi scuote con un suo ammonimento o rimprovero, e il superiore si è fatto mio alleati per combattere con me la mia rilassatezza ... L'autorità del superiore è stata liberatrice! (p.53).
Da qui il panegirico della punizione e della parte ad essa dedicato dal Regolamento di Disciplina che consacra il “diritto inalienabile dell’educatore” (pp. 76-ss) e di missione di educatore dell'ufficiale (101 ss.), e corollariamente la lunga parte dedicata al Valore militare (Appendice, pp. 134 ss.), ed alla relazione fra il coraggio e la paura , di cui paradossalmente viene evidenziato il carattere comico.
La vita chiusa e laboriosa della caserma, e la vita di passione della trincea, sono chiese profonde di mistero in cui è necessario si smorzino i rumori della vita esterna, perché ci si possa dedicare serenamente alla Patria ... mentre noi, della dolce vita nella città rumorosa e spensierata ci tormentiamo
vanamente a trascendere il mondo, e qualche volta ci viene incontro melanconico il ricordo delle pause di silenzio e ci pare che un giorno, di faccia al nemico, sentimmo anche noi nel nostro spirito! (p.62)
Citazioni sufficienti a garantire a Russo un posto di tutto rispetto nella letteratura bellicista cui allude Gramsci. Ma il silenzio sui lavori di Russo è tanto più “inspiegabile” in quanto nello scritto del giovane ufficiale si trovano osservazioni che coincidono con le critiche gramsciane alla direzione militare della guerra, ed in particolare del “cadornismo”, una delle quali addirittura contiene un riferimento a Caporetto: “solo è vero che noi calunniamo il soldato e lo scolaro quando siamo mediocri noi stessi: il
soldato e lo scolaro non sono mai mediocri quando non è mediocre il loro maestro e condottiero” ( p. 103). Alla mente
del lettore del tempo dovette apparire immediata l'allusione alle polemiche su Cadorna e Caporetto, del resto espressamente richiamata a p. 16 de L’esercito e l’educazione nazionale.
Esclusa l'eventualità della mancata conoscenza del libro di Russo, - anche perché le lezioni trasfuse nel volumetto del Russo erano state quasi certamente ascoltate da Togliatti come allievo ufficiale di Caserta - il silenzio di Gramsci è un trattamento di favore, che esclude arbitrariamente Russo dal catalogo degli intellettuali responsabili dell'atteggiamento bellicista stigmatizzato. Si tratta di una circostanza curiosa, soprattutto in considerazione dello spirito spietatamente critico di Gramsci con gli intellettuali italiani. Ma forse spiegabile con l'intenzione di distanziare quanto più possibile dalla cultura pre e fascista un intellettuale a cui riteneva riservato un ruolo determinante nella cultura post-fascista3.
3 E di iper-valutarlo, attribuendogli pensieri specifici di Gramsci stesso, o che comunque Gramsci era perfettamente in
grado di elaborare a prescindere dai suggerimenti del Russo, v. E. Guarneri,Antonio Gramsci e Luigi Russo, in “Annali Liceo Garibaldi”, Palermo, nn. 25-27 1988-1990, pp.233-249, in cui c’è l'elenco di tutti i passi più significativi dei Quaderni contenenti riferimenti a Russo.