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Ca' Foscari
Dorsoduro 3246 30123 Venezia
Corso di Laurea magistrale in
Economia e Gestione delle
Arti e delle Attività Culturali
(Classe LM-76 Scienze
economiche per l'ambiente e
la cultura)
Tesi di Laurea
La cultura possibile: nuove
ipotesi di gestione economica
e trasmissione di saperi. Il
caso del Teatro Valle di Roma.
Relatore
Ch. Prof. Giovanni Favero
Correlatore
Ch. Prof. Carmelo Alberti
Correlatore
Ch. Prof. Lauso Zagato
Laureanda
Lucilla Cerioli
Matricola 831703
Anno Accademico
2011 / 2012
INDICE
INTRODUZIONE p. 3
CAPITOLO PRIMO
LA CULTURA CHE NON SI MANGIA p. 10
1.1 Dai tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo alla chiusura dell'Ente Teatrale Italiano
p. 26
1.2 Il teatro pubblico in Italia: una visione d'insieme p. 34 CAPITOLO SECONDO
IL TEATRO VALLE: UNA BREVE STORIA p. 42 CAPITOLO TERZO
NON SOLO VALLE: IL CASO DEI TEATRI DELLA
PER-GOLA DI FIRENZE E DUSE DI BOLOGNA p. 51
3.1 Il Teatro della Pergola di Firenze p. 51 3.2 Il Teatro Duse e il panorama culturale bolognese p. 55 CAPITOLO QUARTO
I BENI COMUNI: UNA NUOVA MODALITÀ DI POSSE-DERE
p. 65
4.1 Una tassonomia dei beni comuni p. 78
4.2 Il discorso sul comune: analisi e scuole di pensiero p. 83 4.3 Breve storia dei beni comuni e della loro privatizzazione p. 88 4.4 La tragedia della recinzione dei beni comuni p. 106
CAPITOLO CINQUE
UNA NUOVA ESPERIENZA DI GESTIONE ECONOMICA E CULTURALE: I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO AL
TEATRO VALLE. p. 130
5.1 La potenza creativa della politica e la potenza politica della creazione
p. 150 5.2 “Estate, autunno, inverno, primavera... e ancora estate”: la
non-stagione del Teatro Valle Occupato p. 155 5.3 La Fondazione Teatro Valle Bene Comune per le
Dramma-turgie Italiane e Contemporanee p. 163 5.4 Una mobilitazione contagiosa. Esempi e pratiche comunitarie
al di fuori del Teatro Valle Occupato p. 176 CAPITOLO SESTO
UNO SGUARDO DALL'ESTERNO. VOCI FUORI DAL CORO: DIBATTITI E SPUNTI CRITICI SU UNA NUOVA POSSIBILE GESTIONE ECONOMICA DEI TEATRI
PUBBLICI IN ITALIA p. 188
6.1 Le art council inglesi p. 202
6.2 I Länder tedeschi e la politica culturale in Germania p. 204 6.3 Le DRAC e la politica culturale francese p. 206
CONCLUSIONI p. 215 APPENDICI p. 232 BIBLIOGRAFIA p. TESI DI LAUREA p. SITOGRAFIA p. QUOTIDIANI E RIVISTE p.
ATTI E DOCUMENTI GIURIDICI NAZIONALI p.
NORMATIVE E DOCUMENTI EUROPEI p.
RINGRAZIAMENTI p.
Introduzione
“Teatri vuoti e inutili, divisi per etichette, categorie e pubblico. Festi-val di settore, fatti da gente del settore, con gente del settore e poco sentore, tutto sempre uguale.
Fondi pubblici mal distribuiti, soppressione di enti inutili, scioperi del lunedì, accise sulla benzina. Attori senza diarie e sussidio di disoccu-pazione, Stabili con buchi di bilancio, direttori scelti perché piacciono alla mamma del sindaco. Molta tutela del diritto d'autore, nessun ri-spetto dei saperi delle maestranze e dell'intelligenza del pubblico. Bu-rocrati ben saldi, artisti senza soldi. Politica del grande evento, Tea-tro della miseria.
Manca l'epica, manca la crudeltà, manca Dionisio.
E fu così che un giorno di giugno si occupò un teatro del millesette-centoventisette per attuare una rivolta culturale.”
“Mattina del 14 giugno. L'appuntamento è davanti al Teatro Argenti-na, simbolo degli stabili in Italia. Il teatraccio della rappresentazione, usava dire Carmelo Bene. Stentiamo a raggiungere il numero previ-sto, gli artisti – si sa – fanno fatica ad alzarsi presto. Ci contiamo e ricontiamo. Si arriva sparsi. La notte prima, discussione a lume di candela. Tesa, ma romantica. Si prefigura già il pulsare del cuore in questo corpo che si muove. Giornali cornetti innumerevoli caffè. An-diamo. Sono neanche centro metri, passo svelto, a piccoli gruppi. Re-spiro comune. È una trasformazione alchemica, ora per un attimo
sia-mo un corpo solo, espanso, sia-molecolare. Ecco che accade l'unisono nella partitura, è intelligenza collettiva dei corpi. Impulso, cambiare direzione, lasciarsi cadere.”
L'oggetto del lavoro di tesi che si intende approfondire in questa ricerca si concentra sull'analisi dell'esperienza di un nuovo tipo di ge-stione artistica, politica ed economica di un teatro storico, il più antico di Roma: il Teatro Valle.
Questo processo, iniziato con l'occupazione del teatro stesso nel giugno scorso in seguito alla riduzione del Fondo Unico per lo Spetta-colo (FUS) e allo scioglimento dell'Ente Teatrale Italiano (ETI), ha portato e sta portando ad una modalità di autogestione e organizzazio-ne che coinvolge attivamente la collettività e numerosi lavoratori del mondo teatrale e artistico, uniti nell'intento di dare vita ad uno spazio pubblico, aperto, dove la cultura possa costituire un elemento unifi-cante, democratico e accessibile a tutti.
Accanto alla necessità ̶ avvertita da molti degli operatori del set-tore ̶ di evidenziare una situazione allarmante per ciò che riguarda il contesto lavorativo, artistico e culturale nel nostro Paese e gli stru-menti politici pensati per amministrarlo, tale vicenda sembra coinvol-gere elementi e processi diversi, più ampi e articolati, superando una connotazione di protesta superficiale per cercare di immaginare forme e modelli alternativi di gestione di luoghi e spazi culturali.
In particolar modo si intende analizzare questa esperienza dal punto di vista economico-giuridico, come modello che, nel caso riu-scisse a realizzarsi, costituirebbe un'iniziativa importante di
azionaria-to collettivo e popolare che mira a dare una nuova vita e una nuova forma ad una realtà, quella teatrale, dello spettacolo e della cultura in generale, troppo spesso posta in secondo piano da molta leadership politica.
La volontà del comitato del teatro di costituire una fondazione (Fondazione Teatro Valle Bene Comune per le Drammaturgie Italiane e Contemporanee) con uno statuto partecipativo che si propone come frutto di una reale collaborazione di tutti i cittadini, costituirebbe ̶ nel-l'intento dei protagonisti ̶ un segno importante: un tentativo di demo-cratizzazione e di avvicinamento degli individui a un bene comune, il teatro stesso, così come al diritto alla formazione e alla conoscenza, spesso non sempre alla portata di tutti.
Alla base del processo costituente e fondativo di tale esperienza sembra collocarsi il tema dei beni comuni, recentemente riscoperto nel nostro Paese in seguito alla cosiddetta “primavera italiana” dei refe-rendum, ma che abbraccia in realtà una letteratura molto ampia e tra-sversale che ha appassionato e alimentato, nel corso della storia, nu-merosi dibattiti e riflessioni in ambito giuridico, economico e sociolo-gico.
Sotto un profilo organizzativo si proverà ad analizzare l'espe-rienza del teatro Valle come nascita di un nuovo tipo di assetto sociale, che si dichiara lontano dalle logiche privatistiche e dalle leggi del mercato, ma che allo stesso tempo necessita di inserirsi all'interno del tessuto urbano della città, con cui deve essere in grado di instaurare un dialogo proficuo nel lungo periodo.
formativa che questa esperienza sta portando alla luce, allo scopo di analizzare la pluralità dei settori culturali coinvolti, i percorsi artistici intrapresi per illuminare lo sguardo sul contemporaneo, il dialogo che una vicenda forte come questa e sicuramente “estrema” sotto molti punti di vista è riuscita a costruire con la collettività e se, e in che modo, si ipotizza di svilupparlo in modo proficuo e generalizzabile.
Si proverà dunque ad osservare come il teatro, luogo pubblico e collettivo per eccellenza, possa riabbracciare la sua antica funzione originaria: luogo di immaginazione e di esercizio del pensiero, spazio protetto per alimentare riflessioni critiche e aperte, ambito di incontro e di scontro, scenario di dia-logoi, ovvero di contrapposizione di di-scorsi e non sermoni consensuali, convocazione dei distanti, ricon-giunzione dei contrari, raccoglitore ed elaboratore degli opposti e della duplicità ed ambivalenza dell'esistere umano. Non solo luogo del ri-conoscersi e del conoscere, ma vero e proprio laboratorio di esercizio della diversità e della pluralità. Se la malattia del monoteismo mentale è l'intolleranza della differenza, il teatro appare, ora come allora, po-tente strumento di profilassi psicologica: aiuta le persone a compren-dere e ad accogliere in sé anche ciò che facilmente proietterebbero al-l'esterno e istintivamente maledirebbero. Ciò a livello individuale e, ancor più, come tanta storia bellica insegna, nella dimensione colletti-va.
Il teatro, palcoscenico della vita e dei suoi cambiamenti e con-traddizioni, sembra costituire uno dei luoghi d'eccellenza per riflettere sulle identità individuali e collettive, per ripensare l'incessante dinami-ca fra il mondo interno e i comportamenti e le idee: un vero e proprio
spazio intermedio fra la notte e il giorno, fra le immagini notturne e le ragioni diurne. Fra la psiche individuale e collettiva e la psico-logia individuale e collettiva. La prima, come si sa, necessita di spazi pro-tetti, di accoglienza, di ascolto, di rispetto. Di pazienza. Il teatro come arena di conoscenza e di digestione anche emotiva di ciò che si cono-sce. Come momento antinflazionistico che guida alla riflessione e al-l'equilibrio, che dà moderazione ed evidenzia i rischi di una visione monocola e unilaterale sull'uomo e sul mondo. Luogo che riempie la mente, delimitando e inibendo quel vuoto facilmente colmabile dalla paura, dalla sudditanza e dalla patologia.
Anche per queste ragioni, risulta particolarmente interessante analizzare le dinamiche del teatro nel teatro: gli sviluppi che si sono necessariamente creati all'interno del gruppo nel medio e lungo perio-do, i diversi punti di vista. Le riflessioni e i dibattiti hanno costituito uno spunto interessante per esaminare come i propositi e le motivazio-ni imotivazio-niziali si siano amalgamati e trasformati con i naturali cambiamenti e di quanto la nuova “piccola” realtà costruita all'interno del teatro si sia progressivamente discostata da una realtà più “istituzionale”.
Non solo: questa vicenda sembra scuotere e risollevare l'antico dibattito sui finanziamenti pubblici al mondo dell'arte e della cultura, coinvolgendo la funzione stessa dei teatri stabili e d'innovazione sul territorio e la necessità di riformare -come da diverse postazioni si so-stiene- gli strumenti e gli organismi preposti alla tutela e alla promo-zione teatrale in Italia e all'estero.
Si proverà, anche, a descrivere brevemente il sistema teatrale e culturale di alcuni Paesi europei, analizzando le strutture, gli organi e
le istituzioni dedicate alla tutela e alla diffusione delle arti e dello spet-tacolo, esaminando le competenze e gli obiettivi di alcuni enti dedicati alla promozione della cultura teatrale, soffermandosi infine sui net-work e le reti internazionali di operatori culturali che monitorano e in-centivano la circolazione dei saperi e delle arti.
Questa esperienza sembra sviluppare riflessioni e approfondi-menti molto interessanti nel suo coinvolgere tematiche strettamente at-tuali e di rilevanza culturale e politica: la vicenda sembra infatti evo-care implicitamente una riflessione sul ruolo della cultura all'interno della società contemporanea, che pare ultimamente spinta dagli atteg-giamenti e dalle azioni operative di molta leadership politica ad assu-mere una funzione collaterale, accessoria, di puro intrattenimento e svago.
L'esperimento artistico, civile e politico del teatro Valle sembra riflettere la profonda fase di transizione che stiamo vivendo in questi anni attraversati dalla crisi economico-finanziaria globale e dalle sue ripercussioni sugli aspetti sociali e civili della cittadinanza. Al diffuso e palpabile senso di disagio e insicurezza sembra intravvedersi la ne-cessità e la spinta al cambiamento, a un ripensamento generale degli strumenti politici, etici e creativi di cui disponiamo per trasformare l'e-sistente.
Il Valle, nel suo immaginare gestioni culturali valide e trasparen-ti, nel suo richiedere un coinvolgimento attivo e partecipato, nel suo tentativo di salvaguardare la natura pubblica e collettiva di uno spazio comune qual'è il teatro, nel suo riattivare processi culturali, artistici, creativi, innovativi e sperimentali che sembravano essere stati
sacrifi-cati, appare come uno degli esperimenti più coraggiosi e incisivi degli ultimi anni.
Risulta interessante, pertanto, intercettare questo percorso creati-vo nel suo farsi, analizzarne gli sviluppi e le dinamiche, individuare i rimandi e i collegamenti nella storia, indagare il pensiero che è alla base di questa esperienza, a prescindere, persino, da un suo possibile sviluppo futuro e da una sua funzione strettamente paradigmatica. Il Valle pare rappresentare l'ultima di una lunga serie di forme di auto-gestione e coesione sociale che si stanno verificando in questi anni nel nostro Paese. Un punto di partenza -nel settore- cui sono seguite nuo-ve forme di riappropriazioni di spazi pubblici come il teatro Marinoni di Venezia, il teatro Coppola di Catania, il Garibaldi di Palermo, l'e-sperienza del collettivo artistico di Macao a Milano, la tre giorni di di-battiti ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo e la recentissima vi-cenda del teatro Rossi di Pisa, occupato il 27 settembre di quest'anno.
CAPITOLO PRIMO
LA CULTURA CHE NON SI MANGIA
Le più infauste e dolorose tra le angustie contemporanee sono rese perfettamente dal termine tedesco "Unsicherheit", che designa il complesso delle esperienze definite nella lingua inglese "uncertainty" (incertezza), "insecurity" (insicurezza esistenziale) e "unsafety" (assenza di garanzie di sicurezza per la propria persona, precarietà).
La cosa singolare è che queste afflizioni costituiscono un enorme impedimento ai rimedi collettivi: le persone che si sentono insicure, che diffidano di ciò che il futuro potrebbe riservare loro e che temono per la propria sicurezza personale, non sono veramente libere di assumersi i rischi che l'azione collettiva comporta. Non trovano il coraggio di osare né il tempo di immaginare modi alternativi di vivere insieme; sono troppo assorbite da incombenze che non possono condividere per pensare (e tanto meno per dedicare le loro energie) a quei compiti che possono essere svolti solo in comune.1
Zygmunt Bauman, sociologo polacco che da tempo si occupa di studiare gli effetti della globalizzazione sull'individuo e sulla società nell'era post-moderna, individua nell'indebolimento della “Sicherheit” una delle conseguenze principali e più negative del tipo di libertà propugnata dal mercato.
È una libertà, questa, intesa come assenza di regole, una deregolamentazione fondata sulla mancanza di limiti e costrizioni che arriva così ad occultare una “libertà attiva fondata sulla ragione2”, intrinsecamente legata alla responsabilità individuale di ciascun cittadino e da cui possa derivare una riflessione partecipata, concreta ed incisiva sulla realtà.
Questa condizione, secondo Bauman, porta a un generale sentimento di apatia e disinteresse verso il bene comune che sfiora il 1 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli Editore, 2000, p.5.
cinismo, una perdita di socialità e condivisione insieme alla domanda di luoghi pubblici ad essi preposti.
Il mercato porta con sé naturalmente il concetto di insicurezza, suggerito da diverse parole chiave come competitività, rischio, flessibilità.
“L'economia politica dell'incertezza”, così definita da Bauman3, depotenzia e indebolisce quotidianamente l'individuo, che tristemente oggi ritrova, quasi rassegnato, nella precarietà e nell'incertezza degli elementi paradossalmente costanti.
È convinzione comune considerarci essere umani sostanzialmente liberi nelle nostre scelte di vita, sociali, politiche, nei nostri credo, nelle nostre azioni. Eppure, specialmente in questo particolare momento storico, non capita di rado la sensazione che questa certezza venga in qualche modo tradita, indebolita, messa in crisi. Si prova allora a raccogliere le idee, a riflettere, ad accomunare i reciproci pensieri per dare vita ad un riscatto, ad un improvviso e spesso estemporaneo risveglio dal generale torpore.
Queste due credenze sembrerebbero contrapposte: pensare realisticamente di vivere nel migliore dei mondi possibili ma al tempo stesso immaginarne qualcuno di ancora più giusto da costruire.
È interessante quindi cercare di capire come queste tendenze si manifestino contemporaneamente e come la società e la politica stiano mandando forti segnali che innescano e rafforzano in qualche modo quella sensazione fastidiosa di speranze disattese.
Il filosofo greco Cornelius Castoriadis ha affermato che il problema della nostra società è che ha smesso di interrogarsi, di 3 Ibidem.
perseguire quelle domande necessarie a preservare il significato della propria identità all'interno di un contesto globale e frenetico.
(…) l'alfa e omega dell'intera questione è l'esplicazione di creatività sociale che, se lasciata dispiegare liberamente, supererebbe ancora una volta di gran lunga tutto quanto siamo in grado di pensare oggi (…) «Convincere con la ragione» la gente oggi significa assisterli nella conquista della propria autonomia.4
Il rimettere in discussione sistemi, regole, convenzioni, assetti sui quali si basa il nostro modus vivendi risulta verosimilmente difficile, ostacolato anche dal fatto che questi meccanismi sono spesso invisibili, impliciti, consolidati.
La conoscenza di tali sistemi può indurre, ricorda Bauman citando gli studi del sociologo francese Pierre Bordieu, verso due differenti mondi: uno letto tramite una visione “cinica” e uno tramite una percezione “clinica”.
Al primo corrisponde intuitivamente una visione basata essenzialmente sulla conoscenza dei meccanismi sociali a vantaggio del singolo individuo.
La seconda visione coinvolge una dimensione più sociale e partecipata, in cui i soggetti si incontrano per condividere la loro conoscenza ed esperienza delle cose al fine di individuare gli elementi critici e cercare di risolverli.
Sembrerebbe, però, che parallelamente al concetto di libertà dell'individuo, elemento spesso esibito e chiamato in causa anche dalla politica e dai partiti, si accompagni un indebolimento della capacità e del potere dell'agire collettivo dei cittadini, che si ritrovano spesso in sofferenti condizioni di forzata impotenza.
Le sensazioni di insicurezza e precarietà prima richiamate 4 Z. Bauman, Voglia di comunità, Roma, Editori Laterza, 2001, p. 77.
inducono importanti conseguenze nell'individuo, che progressivamente lo portano ad allontanarsi da una dimensione sociale e partecipativa di dialogo, di confronto aperto, per rifugiarsi in uno stato di cupo individualismo, apatia e cinico disincanto.
L'arena politica, con i suoi cerimoniali e routine pubblicitarie, con la sua sempre meno sottaciuta struttura cleptocratica e tribale, fomenta in maniera considerevole tali percezioni, e il ruolo delle istituzioni sembra cercare di alleviare il diffuso sentimento di
unsafety, di insicurezza e incertezza personale, tramite l'alimentazione
della paura dell'altro e di tutto ciò che è difforme dalle nostre abitudini.
Gli studi di René Girard, antropologo e sociologo francese, contestualizzano e spiegano tali fenomeni in un'ottica più ampia, che trova origine nelle sue riflessioni sul rapporto tra violenza e religione.
Analizzando i rapporti e le relazioni umane, Girard individua alla base dei conflitti tra individui una dinamica mimetica del desiderio.
Si tratta di una dinamica triangolare in cui il soggetto, in assenza di un oggetto vero e proprio sui cui indirizzare il proprio desiderio, osserva i modelli per cui nutre ammirazione ed è portato a imitare i loro desideri.
L'uomo desidererebbe quindi sempre secondo “l'altro”, azione che comporta, secondo lo studioso francese, a conflitti mimetici sempre più estesi e contagiosi.
Alla violenza diffusa e incontrollata però, segue un processo di
transfert e di proiezione da parte della comunità verso quel soggetto
in sé le ombre personali e individuali dei componenti della collettività. Questo meccanismo, secondo Girard, rappresenta il cuore dei miti fondatori delle religioni arcaiche, che si articolano sempre secondo uno schema ben definito: la folla, la comunità, agisce nel giusto, per salvaguardare la propria incolumità, mentre la vittima rappresenta la minaccia e l'aggressività, che tramite la sua uccisione viene estirpata, o meglio, espiata.
Girard, non a caso, utilizza il termine greco katharsis5 per
descrivere questo tipo di azione collettiva che, cieca nel riconoscere la reciproca aggressività, si libera, si purifica ed espia in questo modo i propri lati ombra, pericolosi e distruttivi, eliminando letteralmente l'individuo scelto per incarnare questi aspetti così difficili da gestire e accettare di noi stessi.
Il contagio mimetico collettivo trasforma la violenza devastatrice del tutti
contro tutti in quella terapeutica del tutto contro uno. La comunità può
compattarsi a spese di un'unica vittima.6
L'aggressività diffusa viene convogliata in un'unica direzione, passando così da motivo di separazione e spaccatura interna, a forza unificatrice con grande potere identitario e riconciliatorio.
Le comunità trasferivano mimeticamente tutte le loro ostilità su una singola vittima e si riappacificavano sulla base dell'inganno risultante(...)durante la crisi le rivalità mimetiche si intensificano cancellando via via le differenza culturali esistenti e trasformando comunità perfettamente ordinate in masse indistinte. Quando si supera un certo limite di intensità, gli oggetti del desiderio vengono
5 Il termine, dal verbo greco kαθαίρώ (pulisco, purifico) è genericamente assunto quale strategia di purificazione e liberazione dal male. Joseph Breuer e Sigmund Freud hanno designato come “catartico” il loro metodo di cura, finalizzato a liberare i pazienti dalle proprie difficoltà emotive e a “scaricare” e “sfogare” i propri irrisolti personali (abreazione). La catarsi, più propriamente, allude sia ad una liberazione delle passioni tramite la loro proiezione ed esternalizzazione, sia ad un processo di loro trasformazione ed integrazione nella coscienza del soggetto. Vedasi C.Musatti, Trattato di psicoanalisi, Torino, Boringhieri, 1974, pp. 25-51. 6 R. Girard, Violenza e religione, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002, p. 14.
consumati, distrutti o dimenticati. La frenesia mimetica si ripercuote sugli stessi avversari. Gli uomini che poco prima non riuscivano a smettere di lottare perché condividevano lo stesso desiderio, ora condividono avversari e odio. Paradossalmente, dove manca l'amore, il solo sentimento che può mettere d'accordo gli uomini è il suo contrario, l'odio reciproco.7
Il paradosso che si delinea quindi, è quello di una violenza generata da un forte impulso aggressivo interiore, che agisce violentemente per salvaguardarsi da essa.
Si ricorre quindi ad una “violenza sostitutiva”8, afferma Girard, demonizzando, uccidendo e poi divinizzando la vittima prescelta, colpevole di minacciare l'equilibrio e la struttura della collettività.
Gli atti di violenza compiuti in nome della religione danno conto quindi della nostra rabbia interiore, con cui è fondamentale entrare in contatto e dialogare, per evitare le azioni mimetiche sopra descritte.
Nell'epoca contemporanea, ma specialmente durante il XX secolo, il sistema della vittima sacrificale e del capro espiatorio ha costituito il centro da cui hanno preso vita numerosi regimi totalitari e dittatoriali, è stata motivo di persecuzioni e guerre, stermini e propagande9.
L'agire “in nome di” offriva un'efficace e rassicurante motivazione per perpetrare azioni ignobili, incanalando aggressività, 7 Ivi, p.14.
8 Ivi, p.16.
9 Una sorprendente e acuta analisi dei meccanismi proiettivi collettivi che potentemente operano nelle comunità umane è rinvenibile anche negli scritti di Carl Gustav Jung dagli anni '40 in poi, raccolti nei volumi Civiltà in transizione. Il periodo tra le due guerre, Torino, Bollati Boringhieri, 1985, vol. 10/1, e in Civiltà in transizione. Dopo la catastrofe, Torino, Bollati Boringhieri, 1986, vol. 10/2. Lo psicoanalista svizzero ritiene il popolo tedesco ispiratore degli orrori hitleriani. L'epidemia psichica di insoddisfazione e voglia di rivincita di una nazione umiliata dalla prima guerra mondiale avrebbe indotto la comunità tedesca a scegliersi un interprete del male in grado di ordinare il male sottilmente da lei commissionato. Non casualmente, Hannah Arendt, nel suo resoconto del processo di Eichmann per il New Yorker e riflettendo sulle personalità dei responsabili nazisti nel processo di Norimberga, parlava di “banalità del male”. Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli Editore, 2003.
rabbia, paura verso tutto ciò che risultava difforme dalla consuetudine, che poteva costituire una minaccia verosimile agli occhi della collettività.
Nel campo politico e sociale, il capro espiatorio costituisce una vecchia strategia, una dinamica psicologica collettiva: l'additare un male esterno quale responsabile delle difficoltà interne sembrerebbe rendere il proprio disagio in qualche modo più definibile, comprensibile, accettabile e, chissà, superabile.
Sebbene la violenza sacrificale non si presenti più come sacrificio di sangue, essa sembra presentarsi ai nostri giorni sotto forme diverse, più taciute e meno evidenti e quindi, forse, più pericolose.
L'arena politica contribuisce in questo senso alla suddivisione della collettività in gruppi distinti, etichettando, suddividendo, nominando, agitando spauracchi e fomentando paure potenzialmente dannose, che parlano direttamente alle nostre zone d'ombra più nascoste.
La scomparsa delle limitazioni sacrificali e dei divieti religiosi – prosegue Girard ̶ favorisce lo scatenarsi delle rivalità mimetiche non solo nelle forme maggiormente creative, come nel caso della competizione scientifica, ma anche nelle forme distruttive, nelle forme suicidarie del terrorismo che trasformano le meraviglie della moderna tecnologia in armi indiscriminatamente omicide10.
Le religioni arcaiche ̶ è la sua tesi ̶ più che ingenue spiegazioni dell'universo o “tentativi scientifici falliti” di comprensione del mondo, sono state e sono ancora per certi aspetti vere e proprie psicoprofilassi, strumenti mentali atti a mantenere la pace e salvaguardare la specie umana. La stessa violenza di cui si sono 10 Girard, Violenza e Religione, cit., pp. 24-25.
servite “non è stata una loro invenzione, ma messa a disposizione, più o meno pronta all'uso, dall'evoluzione spontanea delle relazioni umane”11. La loro più importante istituzione è stato il sacrificio rituale: immolando solennemente la vittima si innesca nella comunità la speranza di prevenire o limitare i conflitti mimetici. La vittima sacrificata tiene al riparo il sacrificio della comunità.
In assenza di ponti ̶ riflette Bauman ̶ la comunicazione sporadica tra la sponda del privato e quella del pubblico viene mantenuta con l'aiuto di palloncini che hanno la seccante abitudine di afflosciarsi o scoppiare nel momento in cui toccano terra; e molto spesso prima di giungere a destinazione.
Se l'arte del tradurre è ridotta in condizioni pietose, le sole lagnanze a trovare espressione nella sfera pubblica sono le angosce e i tormenti privati che, comunque, non si trasformano in questioni pubbliche solo per il fatto di essere esibiti pubblicamente.
In assenza di ponti solidi e duraturi, nonché di perizia nell'arte del tradurre, poco praticata o totalmente dimenticata, gli affanni e le pene private non si sommano e non riescono a cementarsi in cause comuni.
Date le circostanze, che cosa può unirci? La socialità, per così dire, è incerta, alla vana ricerca di un punto fermo cui appigliarsi, un traguardo visibile a tutti su cui convergere, compagni con cui serrare le file. Ce n'è molta tutto intorno: caotica, confusa, sfocata. Priva di sfoghi regolari, la nostra socialità viene tendenzialmente scaricata in esplosioni sporadiche e spettacolari, dalla vita breve, come tutte le esplosioni.12
La condivisione dei saperi, la cultura, il ritrovarsi, il riflettere, il tendere verso qualcosa di più alto sembrano momenti ormai poco esperibili e alla portata di quegli individui così impegnati a risolvere situazioni incombenti e più “terrene”.
Si è venuta così a delineare una netta separazione tra ciò che caratterizza la vita quotidiana dei cittadini e ciò che sembra destinato ad essere fruibile solo nei momenti liberi, di svago, di leggerezza, di 11 Ibidem.
evasione.
Elementi fondamentali per lo sviluppo culturale, etico, psicologico degli individui coinvolgono inevitabilmente un processo di maturazione e conoscenza che passa dai quei luoghi di condivisione dei saperi, di arricchimento e crescita personale e collettiva che rendono possibile la presa di coscienza di se stessi e dello stare al mondo.
Le basi necessarie ed essenziali per la crescita dell'essere umano, che dovrebbero nutrire la sua esistenza in maniera costante e naturale, vengono quindi a definirsi come elementi precari, elitari, momenti sporadici di evasione dalle “brutture” quotidiane e dalla routine.
In questo senso la nota e discussa battuta dell'ex-ministro dell'Economia Giulio Tremonti che dà il titolo al presente capitolo sintetizza un diffuso modo di pensare gli aspetti hard e soft del vivere13.
In un'intervista di qualche mese fa al quotidiano La Repubblica, Fabrizio Gifuni evidenziava molto chiaramente questa situazione:
Quando si capirà che la cultura non è tempo libero, che non c'è una spaccatura del tempo in tempo delle cose serie – che sono la produzione e il consumo ̶ e il tempo libero ̶ quello durante il quale ci si svaga un po', quando si capirà che il terreno della cultura fa parte a tutto diritto del tempo delle cose serie, allora forse le cose cominceranno a cambiare.14
Tale situazione di disagio diffuso trova sicuramente origine in 13 Al ministro della Cultura Sandro Bondi, che nel corso del Consiglio dei ministri del 7 ottobre
2010 chiedeva finanziamenti per Scuola, Ambiente e Cultura, il ministro Tremonti ha replicato:”La gente non si mangia mica la cultura”. La Repubblica, Francesco Bei,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/08/ora-bondi-minaccia-le-dimissioni-tremonti-chiude.html, data di consultazione 10 aprile 2012.
14 Il Lavoro Culturale, Al Teatro Valle la cultura occupa la scena,
http://www.lavoroculturale.org/spip.php?article104 , data di aggiornamento 5 luglio 2011, data di consultazione 6 aprile 2012.
questa netta separazione: i cittadini, così impegnati ed assorbiti a risolvere questioni percepite come più immediate e quindi di maggiore importanza, sottraggono energia al loro bisogno naturale di confrontarsi, dialogare, maturare dibattiti e discussioni così utili per uno sviluppo e una crescita più consapevole e duratura.
In un momento che si delinea così precario, incerto e mutevole, il dedicarsi ad attività ritenute non fondamentali alla soluzione di problemi immediati viene considerato superfluo, momento accessibile da pochi privilegiati, poco fertile, costruttivo e spendibile nel quotidiano.
Ritornando alla divisione del mondo proposta da Bourdieu, sembra prevalere una conoscenza ed una visione “cinica”, a vantaggio del singolo individuo.
Individuo che trova facilmente uno specchio di sé nella politica e nelle istituzioni, dove prevalgono meccanismi incentrati sulla privatizzazione di beni comuni, atteggiamenti che si basano sull'arraffare tutto ciò che è possibile a discapito della collettività e lo spendere soldi, energia e contributi solo con ciò che ci permette di mangiare.
“Privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite”, per usare un termine molto riproposto in questo periodo.
È opportuno in ogni caso analizzare la situazione di precarietà in cui ci troviamo a muovere oggi giorno anche da un punto di vista più strettamente economico, perché se è vero che il momento di profondo disagio dell'individuo contemporaneo affonda le sue radici nelle cause fin qui brevemente analizzate, esso trova una corrispondenza più
“concreta” e immediata nella situazione di crisi finanziaria che accompagna da circa quattro anni la realtà di diversi Paesi.
La crisi finanziaria esplosa nel 2008 con il fallimento della banca d'affari Lehman Brothers ha avuto e continua ad avere fortissime ripercussioni in diversi settori delle società di numerosi stati del mondo: dai grandi comparti dell'economia e dell'industria alla crisi dei settori occupazionali, fino a coinvolgere, inevitabilmente, i comportamenti e le consuetudini di tutti i cittadini.
La situazione di emergenza e di precarietà in cui ci muoviamo oggi trova le sue radici nello scoppio della bolla speculativa immobiliare statunitense e nei mutui subprime concessi.
Per porre rimedio a questa situazione sono stati posti in atto diversi piani di salvataggio, ognuno dei quali però prevedeva un massiccio intervento del settore pubblico in aiuto a quello privato.
Le origini dell'attuale crisi, a detti di molti, sono però più profonde e sono da ricercarsi nella fase di sovrapproduzione che caratterizza l'economia occidentale degli ultimi trent'anni.
Attraverso la delocalizzazione, infatti, le imprese hanno spostato le loro fasi di produzione in quei paesi dove i costi del lavoro sono notevolmente più bassi, facendo sì, in questo modo, che i redditi ed i salari dei lavoratori venissero decurtati in favore delle rendite e dei profitti finanziari.
Tutto ciò ha avuto e continua ad avere pesanti ripercussioni sulla quotidianità dei cittadini, che inevitabilmente sono portati a modificare i loro consumi e i loro stili di vita.
verifica quindi parallelamente un impoverimento costante delle capacità di spesa delle famiglie.
Per risolvere tale paradosso, sono stati concessi mutui di tipo
subprime, mutui cioè che potevano essere stipulati con le banche
anche da individui che non potevano presentare garanzie in termini di reddito, lavoro e condizioni economiche.
Operazione evidentemente molto rischiosa, sia dal punto di vista del debitore che da quella del creditore, che permetteva però alle banche di scaricare questi debiti sui mercati finanziari.
La situazione che ne è derivata è una crescita dei consumi e un alto tasso di domanda di prodotti in realtà solo apparente, poiché sotto tale desiderio di ricchezza si celano masse di consumatori sempre più indebitati e impoveriti nelle loro capacità di spesa.
La finanza è stata il mezzo per mantenere alta la domanda di consumi e, nello stesso momento, è stata un fine, garantendo tassi di profitti sempre più elevati ai grandi capitali. Le due cose sono strettamente legate: di fatto il 5% più ricco della popolazione diventa sempre più ricco e utilizza il surplus di reddito che non viene consumato per erogare prestiti al 95% della popolazione.15
Questo meccanismo ha iniziato a cercare nuovi mercati sui cui agire, allo scopo di rigenerarsi ed avere nuove continue spinte.
Proposte di privatizzazioni, anche di beni pubblici ed essenziali come l'acqua, si sono verificate anche nel nostro Paese.
L'economia reale, in questo modo, si è di fatto indebolita mentre i cittadini sembrano venire chiamati a colmare l'enorme debito contratto dalla finanza.
Si tratta di un gioco paradossale in cui le vittime (i cittadini) sono 15 A. Baranes, Manifesto degli economisti sgomenti. Capire e superare la crisi, Roma, Minimum
chiamati ad intervenire per salvare il loro carnefice, alimentando di fatto il meccanismo stesso.
Al fine di «rassicurare i mercati» si è improvvisato un fondo di stabilizza-zione per l'euro, mentre piani di tagli alla spesa pubblica tanto drastici quanto indiscriminati sono stati varati in tutta Europa. Il numero di dipendenti pubblici è di -minuito ovunque, minacciando la tenuta stessa dei servizi prestati alla collettività. Le prestazioni della previdenza sociale sono state ridotte duramente, mentre il li-vello della disoccupazione e la mancanza della sicurezza del posto di lavoro sono destinati ad aumentare nei prossimi anni.16
Da anni ci si interroga su quali siano le misure più adatte da adottare per regolamentare il mondo della finanza, senza però riuscire a trovare fino ad oggi delle soluzioni efficaci.
Paesi come la Grecia, l'Irlanda o l'Italia sono stati oggetto di grandi speculazioni che sfruttano le forti oscillazioni dei mercati per scommettere sui titoli di stato.
Tramite i cosiddetti contratti CDS, Credit Default Swaps, diventa possibile infatti assicurarsi contro il fallimento di un terzo soggetto, rendendo di fatto molto più facile la speculazione in caso di default e notevolmente più alto il prezzo per assicurarsi contro quest'ultimo.
I CDS permettono di trasferire a terzi il rischio di credito relativo a una transazione tra due parti e soprattutto di speculare su eventi futuri. Così, posso acquistare dei CDS che mi assicurano contro il fallimento della Grecia. Se la situazione del Paese ellenico peggiora, aumenta il rischio di fallimento, e di conseguenza il prezzo per assicurarsi contro questo fallimento. I CDS che avevo comprato a un prezzo più basso valgono adesso di più, permettendomi di guadagnare dalle difficoltà altrui.17
Questa tipologia di contratti, poco trasparenti e quindi di difficile 16 P. Askenazy, T. Coutrot, A. Orléan, H. Sterdyniak, Manifesto degli economisti sgomenti, cit., p.
5. Philippe Askenazy è ricercatore presso il Cnrs (Centre national de la recherche scientifique) di Parigi; Thomas Coutrot è membro del consiglio scientifico di Attac ( Association pour la taxtation des transactions financières et pour l'action citoyenne); André Orléan è ricercatore del Cnrs e dell'École des hautes études en sciences sociales di Parigi; Henri Sterdyniak è
ricercatore presso l'Ofce (Observatoire français des conjonctures économiques). 17 Ibidem.
misurazione, sembrano aver contribuito in maniera decisiva alla situazione di emergenza che si è verificata in Paesi come la Grecia e, seppur in maniera più contenuta, in Italia.
Nel nostro Paese le misure urgenti adottate in materia di stabilizzazione economica hanno previsto perlopiù piani di austerità (con incremento della tassazione dei cittadini) e tagli alla spesa pubblica. Un trend, questo, in atto già da alcuni anni, in cui vi è stata una sensibile decurtazione delle spese pubbliche, dei finanziamenti a settori anche fondamentali quali l'istruzione, la ricerca, la cultura, l'assistenza sociale e la sanità.
Lo stesso meccanismo circolare e paradossale sembra ripetersi: l'erosione del welfare determina l'impoverimento di quei settori sociali (per lo più lavoratori dipendenti) cui viene contemporaneamente chiesto di finanziare l'economia del Paese.
La lotta all'evasione fiscale, una tassazione dei privilegi patrimoniali ed un incremento del contrasto alla criminalità organizzata (con relativa facilitazione del recupero dei beni confiscati) sembrerebbero alcune delle strategie maggiormente invocate da settori civili e gruppi politici per riequilibrare l'unidirezionalità del prelievo fiscale, recuperare la notevole mole di denaro che ogni anno sfugge al fisco italiano, evidenziare tutte le entrate “sommerse” e i beni dell'economia criminale, che si caratterizza quale vera e propria economia parallela (mafia, camorra, 'ndrangheta, corruzione, lavoro nero e così via), decurtare l'eccessivo costo di elefantiaci settori amministrativi (province, regioni, enti locali, comunità montane).
La riflessione implicita che emerge in questo momento così critico e sentito da parte della cittadinanza ruota intorno proprio al concetto di fallimento e default, reale o paventato che sia: quale Stato è da dichiararsi in fallimento? Quello che decurta la spesa pubblica, la ricerca, l'università, le pensioni o quello che, per salvaguardare i propri cittadini, decide di non pagare il debito di chi ha speculato?
Ad un impoverimento concreto, materiale e diffuso, sembra accompagnarsi uno svilimento e una svalutazione morale, etica, culturale e sociale che non trova origine solo nella crisi, ma che da quest'ultima pare ricevere una notevole spinta propulsiva.
A questo generale “imbarbarimento” e primitivizzazione, oltre che impoverimento, ha contribuito nel nostro Paese una settoriale politica culturale che, negli ultimi anni soprattutto, ha compiuto un taglio netto orizzontale alla spesa pubblica destinata al settore dell'istruzione, delle attività culturali e del welfare.
A tutto ciò si aggiunge la soppressione di numerosi enti ed istituti scientifici, nonché notevoli riduzioni ai fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo culturale del Paese, che ha portato e sta portando tutt'ora alla chiusura di numerosi luoghi di ritrovo e condivisione dei saperi.
In altri Paesi europei la situazione dei finanziamenti al settore culturale presenta caratteristiche assai diverse.
Sebbene toccati dalla profonda crisi economica, in Paesi come l'Inghilterra la cultura viene finanziata in maniera considerevole attraverso Fondazioni formatesi con le donazioni e i lasciti di numerosi soggetti privati.
che permette generose esenzioni fiscali per le donazioni in favore di Fondazioni culturali.
Il supporto alla spesa pubblica risulta quindi indiretto, generato dalla perdita del gettito fiscale sulle donazioni da parte dei privati.
Le Fondazioni a loro volta sono in grado di finanziare ed incoraggiare economicamente numerose attività culturali ed artistiche tramite i rendimenti del loro capitale.
In questo particolare momento storico i rendimenti subiscono sicuramente una flessione negativa, ma le Fondazioni possono ad ogni modo fare affidamento sulle donazioni private, incoraggiate dal sistema di esenzione fiscale permanente.
Al contrario, l'economia della cultura del nostro Paese si basa essenzialmente su finanziamenti pubblici; ma ha assistito negli anni alla crescita e allo sviluppo di numerose Fondazioni di origini bancaria che si sono occupate di sostenere economicamente la tutela del patrimonio artistico e culturale del nostro territorio attraverso i rendimenti dei loro capitali.
Anche questo tipo di risorsa sta però subendo gli effetti economici della crisi finanziaria e, in mancanza di un regime di esenzione fiscale permanente, anche le donazioni ed i lasciti da parte di soggetti privati non sembrano praticabili così come nel mondo anglosassone.
La via intrapresa nel nostro Paese da qualche anno ha previsto tagli netti ed incisivi alla spesa pubblica, con forti ripercussioni anche nel settore culturale ed artistico.
1.1 Dai tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo alla chiusura dell'Ente Teatrale Italiano
La chiusura dell'Ente Teatrale Italiano (ETI) e i considerevoli tagli deliberati al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) si inseriscono nel contesto politico ed economico cui si sta facendo riferimento.
La storia dell'ETI, peraltro, abbraccia circa settant'anni di teatro italiano.
Nato sul finire del ventennio fascista come ente senza scopo di lucro con la legge n.365 del 19 marzo 1942, esso aveva lo scopo specifico di promuovere “l'incremento delle attività teatrali e di pubblico spettacolo nel quadro delle direttive fissate dal Ministero della Cultura Popolare”.18
Tra le mansioni principali vi era la valorizzazione delle attività teatrali di prosa, musica e danza, la promozione ed il coordinamento delle differenti e numerose realtà teatrali in Italia, nonché la gestione diretta di alcuni teatri di proprietà.
Fuori dalla sua competenza restavano le attività legate al circo, allo spettacolo viaggiante e alle opere liriche.
Dal dopoguerra fino ai primi anni '70 l'Ente arrivò ad occuparsi di circa 180 sale e sotto la sua competenza diretta compariva la gestione di quattro teatri italiani: il teatro Duse di Bologna, la Pergola di Firenze, il teatro Valle e il teatro Quirino di Roma, quest'ultimo passato in affidamento al Teatro Stabile di Calabria.19
18 Wikipedia Italia, Ente Teatrale Italiano, http://it.wikipedia.org/wiki/Ente_Teatrale_Italiano, data di consultazione 7 aprile 2012.
Nel corso degli anni l'Ente subì diverse modifiche all'interno della sua struttura e nelle sue funzioni principali In particolar modo durante gli anni '70: anni di rinnovamento e trasformazione sociale e culturale.
La nascita dei primi circuiti teatrali territoriali, l'azione decisa delle cooperative del settore congiunta a quelle di altri enti locali che iniziavano ad occuparsi in modo diretto della gestione delle sale, rischiò di mettere in crisi l'Ente, che venne così riformato per la prima volta: esso non avrebbe più dovuto occuparsi di gestire direttamente i teatri, ad esclusione di quelli di sua proprietà, ma avrebbe sviluppato le sue originarie funzioni di promozione e valorizzazione della cultura teatrale nel Paese.
Negli anni '80 e '90 l'Ente ha mostrato una sensibilità nuova che si è manifestata concretamente con progetti di formazione, di sostegno al teatro di ricerca, al “teatro-ragazzi”, alla drammaturgia e ha allacciato numerosi contatti e collaborazioni con enti ed istituzioni teatrali internazionali.
In seguito all'abrogazione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo nel 1993 però, vennero sciolti gli organi statutari dell'Ente, che fu così commissariato.
Sul finire degli anni '90, durante il governo di centro-sinistra, fu avvertita la necessità di porre fine al periodo di commissariamento con un riforma radicale ed incisiva che toccasse la struttura dell'Ente, accompagnata parallelamente ad una revisione delle competenze tra Stato e Regione.
http://www.trax.it/olivieropdp/mostranotizie2.asp?num=62&ord=11, data di consultazione 7 aprile 2012.
Sull'Eti del resto avevano puntato molto i ministri Veltroni e Melandri, tanto che il progetto di legge di ispirazione governativa sul teatro di prosa (approvato nel '99 dalla Camera), ne prevedeva l'autorevole trasformazione in un organismo cardine dell'ordinamento ipotizzato: il Centro Nazionale per il Teatro. Ma le cose sono andate in modo molto diverso.20
In seguito all'istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha esercitato di fatto un ruolo di vigilanza sull'Ente, quest'ultimo ne diventò il braccio esecutivo.
Una delle prime innovazioni riguardò la composizione del consiglio di amministrazione dell'Ente, interamente scelto e voluto dal Ministero, con un mandato di carica della durata di tre anni.
L'ETI, sotto il nuovo governo Berlusconi, venne così nuovamente riformato, sebbene dal mondo teatrale e culturale fosse emersa la necessità di una riforma organica di tutto il settore e di più ampio respiro.
Una forte impronta verticistica sembrò quindi caratterizzare l'ente, a cui si sentì il bisogno di affiancare due nuove organismi consultivi: una Consulta Territoriale e una tecnico-artistica.21
Nel 2010, nell'ambito delle misure adottate dal governo in materia di “stabilizzazione finanziaria e competitività economica” l'Ente Teatrale Italiano venne soppresso tramite il Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010.22
Nel corso della sua storia, la vita dell'Ente è stata segnata da numerosi cambi di rotta, trasformazioni al suo interno, riordinamento 20 Ibidem.
21 Ibidem.
22 Senato della Repubblica, Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78,
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?
tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=00483764&part=doc_dcarticolatodl_dl31m2010n78pnson114la gun125d31m2010&parse=no, data di consultazione 7 aprile 2012. Per l'elenco degli enti pubblici soppressi si rimanda all'allegato n. 2, articolo 7, comma 20 degli atti parlamentari,
delle competenze, senza però essere oggetto di una vera e propria riforma più organica e generale, che mirasse a snellire le spese di (auto) mantenimento dell'ente e rendesse più efficace e puntuale la sua attività di coordinamento, valorizzazione e gestione del panorama italiano delle arti teatrali.
Anche per queste ragioni e attese la notizia della chiusura brusca e immediata dell'Ente suscitò nell'ambiente teatrale e delle attività culturali in generale numerose perplessità circa le modalità e i tempi di azione.
Una chiusura che lascia ancora ombre e misteri: per le modalità, certo, ma anche e soprattutto per le prospettive. Possibile che nessuno si fosse accorto di niente? Che nessuno avesse avuto sentore della chiusura? (…) Possibile che un governo possa “avocare” a sé progetti, mandati, iniziative, personale, di un ente con cinquanta anni di vita senza un minimo di contestualizzazione e progettazione? Possibile che l'unico “ente inutile” dei tanti italiani, davvero chiuso sotto la scure di Tremonti sia stato l'Eti? Non sarebbe stato ipotizzabile, e forse più saggio, programmare una dismissione intelligente, pensata entro, che so, un anno?23
Se una riforma del settore veniva invocata a gran voce da parecchi anni, la soppressione definitiva dell'Ente, con il successivo passaggio dei suoi compiti sotto la diretta gestione del Ministero dei Beni Culturali, sezione Spettacolo dal Vivo, è apparsa, agli occhi di molti osservatori e tecnici, frettolosa ma, soprattutto, utile solo a tamponare la grande fuoriuscita di denaro dalle casse dello Stato in un periodo che si è presentato certamente difficile, ma che forse, a maggior ragione, avrebbe necessitato di misure più ragionate in una prospettiva di lungo periodo.
Sopprimendo l'Ente si è fatto immediatamente “cassa”, come si 23 Ateatro, Webzine di cultura teatrale, Cosa resterà dell'Eti?, A. Porcheddu,
http://www.trax.it/olivieropdp/mostranotizie2.asp?num=128&ord=4, data di consultazione 7 aprile 2012.
usa dire, ovvero si è posto un argine ai molti costi, alcuni dei quali realmente inutili; ma sembra essersi creato di fatto un vuoto per ciò che riguarda le attività di coordinamento e di promozione del vasto panorama teatrale italiano. Un'operazione, dunque, non solo unilaterale e frettolosa, ma che, nel complesso, è parsa risultare fuori misura e inappropriata, come se si fosse voluto decapitare chi lamentava mal di testa.
La strategia di azzeramento ha determinato la situazione in cui si trovavano ad operare i tre teatri storici italiani (Valle, Duse e La Pergola), la cui gestione diretta da parte dell'ex-Ente è ora passata sotto la responsabilità del Ministero dei Beni Culturali.
Questa brusca chiusura è rientrata nelle misure adottate dall'ultimo governo Berlusconi per affrontare la crisi economico- finanziaria e per alleggerire le spese dello Stato, ma non è stata la sola.
Oltre alla chiusura di diversi Enti, i finanziamenti destinati al Fondo Unico per lo Spettacolo sono stati notevolmente diminuiti con la legge finanziaria approvata nel 2010.
Creato nel 1985, con l'articolo 1 della legge n. 163 del 30 aprile, il FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) nacque come sostegno finanziario ad organismi, associazioni ed enti che operavano in differenti settori culturali, quali il cinema, il teatro, la danza, la musica, il circo e lo spettacolo viaggiante.24
Il Fondo è stato pensato anche per valorizzare e promuovere festival, manifestazioni ed iniziative di carattere culturale in Italia e all'estero.
24 Wikipedia Italia, Fondo Unico per lo Spettacolo,
http://it.wikipedia.org/wiki/Fondo_unico_per_lo_spettacolo, data di consultazione 8 aprile 2012.
Dalle relazioni annuali al Parlamento25, curate dall'Osservatorio sullo Spettacolo, sull'utilizzazione del Fondo Unico, emergono dati precisi sull'andamento dei finanziamenti: dal 1999 sino al 2003 il fondo si è mantenuto su livelli costanti (circa 500.000 euro), per poi oscillare tra i 610.000 euro del 2003 ai 680.000 euro del 2009, fino a raggiungere il suo punto più basso con i 398.000 euro del 2010.
In particolare, la legge finanziaria del 2010 prevedeva uno stanziamento iniziale pari a 414.581,115 euro da cui sono stati in seguito accantonati 4.878,368 a copertura di futuri provvedimenti normativi, in applicazione del decreto legge n.1 del primo gennaio 2010.
Nella seconda metà dell'anno però, ulteriori tagli conseguenti alla manovra correttiva del bilancio dello Stato hanno ridotto nuovamente il fondo, che è arrivato a toccare il suo apice negativo di 398.067,013 euro.
Il riparto del fondo per il 2012 prevedeva uno stanziamento di 411.464.000,00 euro, 3.854.000,00 euro in più rispetto alle risorse destinate al fondo 2011, di cui 65.992.059,00 euro stanziati per le attività teatrali di prosa.
A fronte di questi dati poco incoraggianti, emerge però una riflessione sui meccanismi e gli organi preposti al finanziamento della cultura nel nostro Paese ed i criteri in base ai quali vengono decise misure di intervento da adottare per salvaguardare il ricco patrimonio storico artistico.
25 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per il Cinema, Comunicazione, Documenti, Anno 2011,
http://www.cinema.beniculturali.it/Notizie/1566/67/fus-2010-relazione-al-parlamento/, data di consultazione 8 aprile 2012. I dati relativi allo stanziamento economico per il settore dello spettacolo e l'andamento dei finanziamenti al FUS citati da qui in poi sono stati tratti dalla Relazione al Parlamento 2011 sopra evidenziata.
Se sono state sollevate negli anni parecchie perplessità circa le modalità di gestione, coordinamento e sostegno al panorama culturale di organismi come l'ormai ex ente teatrale italiano, sembra doveroso approfondire la riflessione anche su altre strutture, forse verosimilmente più dannose.
Una di queste è la Arcus S.p.A, società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo, il cui capitale sociale è sottoscritto dal Ministero dell'Economia ma in cogestione con il Ministero delle Infrastrutture e con quello dei Beni e delle Attività Culturali.
Mission dichiarata della società è il “sostenere in modo
innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo dei beni e delle attività culturali, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese”.26
Il nome della società infatti, si trova anche nelle Relazioni al Parlamento sul Fondo Unico per lo Spettacolo, nella parte dedicata all'analisi della provenienza dei finanziamenti per il fondo e le rispettive realtà erogatrici.
Tale società, istituita nel 2004 con atto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, si è occupata nel tempo di finanziare restauri, sostenere eventi in ambito culturale, tutelare il paesaggio, rendere fruibili beni culturali a tutta la cittadinanza, tramite la gestione di soldi pubblici.
Sono emerse però nel corso degli anni, numerose perplessità riguardo le modalità di intervento e i criteri di scelta in base ai quali venivano annoverate nella lista delle opere da tutelare alcuni beni a 26 Arcus S.p.A, Mission, http://www.arcusonline.org/?go=profilo_mission, data di aggiornamento
discapito di altri.
Fino al 2008, infatti, era di competenza dei ministri segnalare alla società quali edifici, siti o monumenti necessitavano di un sostegno economico per essere salvaguardate, che il Ministero poi avrebbe provveduto a finanziare.
Questo meccanismo ha sollevato però parecchi dubbi e la Corte dei Conti ha invocato una riforma del sistema che mirasse a istituire una normativa più chiara e trasparente in materia di finanziamenti, pena la chiusura della società.
Dal 18 novembre 2008 infatti, la Arcus è tenuta a pubblicare un bando aperto a soggetti privati, pubblici, fondazioni e Onlus ed, in seguito ad una preistruttoria, è compito della società stessa segnalare al Ministero tutti quei beni che necessitano di un intervento di recupero e salvaguardia. Tuttavia, il funzionamento del meccanismo ̶ sostengono molti ̶ sembra rimanere oscuro.
In particolare, paiono sollevare numerosi dubbi i cospicui finanziamenti destinati a beni ecclesiastici, come l'edificio che ospita la sede di Propaganda Fide in piazza di Spagna, restaurato nel 2004, i cortili interni della Pontificia Università Gregoriana, o il restauro dei palazzi Lucchesi e Frascara, sempre di proprietà dell'Università Gregoriana.27
Tali beni, infatti, sono ritenuti extraterritoriali e non potrebbero per questo motivo ricevere alcun finanziamento dallo stato italiano, tanto meno attraverso decreti ministeriali. Per beneficiare di un sostegno economico dovrebbe essere invece stipulato un accordo tra i 27 Il Fatto Quotidiano, G. Calapà,
ministri degli esteri dei due diversi Paesi.
La vicenda di finanziamenti mirati e clientelari nella storia della società sono numerosi e sembrano coinvolgere non solo i beni della Santa Sede, ma anche Regioni ed amministrazioni comunali.
Sorge spontaneo chiedersi, dopo gli ultimi sviluppi di questi anni e i decreti approvati, quali siano realmente gli enti e le associazioni che andrebbero riformati e ripensati in una situazione che presenta così tanti punti di criticità.
Un sistema “emergenziale”, di tamponamento immediato della grande fuoriuscita di soldi pubblici, pensato forse più per riscuotere consensi elettorali, non sembra ̶ a detta di molti osservatori ̶ il meto-do più adatto per rispondere alla situazione economica e finanziaria di questo periodo, se non accompagnato da una più profonda analisi e ri-flessione sui meccanismi, ormai così consolidati, che sostengono eco-nomicamente diversi settori culturali e sociali del nostro paese.
1.2 Il teatro pubblico in Italia: una visione d'insieme
Ragioni culturali ma soprattutto ragioni economiche tengono lontano il popolo dal teatro, mentre il teatro per la sua intrinseca sostanza, è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività, mentre il teatro è il miglior strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti, si formassero questa precisa coscienza del teatro considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio, alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che per questo preziosissimo pubblico servizio, nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all'attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico ristretto, ridonandolo alla sua vera antica essenza e alle sue larghe funzioni.28
28 Wikipedia Italia, Teatro Stabile, http://it.wikipedia.org/wiki/Teatro_stabile, data di consultazio-ne 9 aprile 2012.
Quando chiamati ad intervenire sul futuro del teatro pubblico in Italia, sono in tanti, tra critici teatrali e giornalisti, a richiamare alla memoria questa celebre affermazione di Paolo Grassi, cofondatore insieme a Giorgio Strehler del Piccolo Teatro di Milano.
Già allora si sentiva la necessità di evidenziare lo stretto profondo legame che lega la cultura, di cui il teatro è importante set elaborativo, al naturale, profondo bisogno della collettività di emanciparsi dando un senso alla propria esistenza.
Nella cultura, come nel teatro, ci si ritrova, ci si confronta, si prende consapevolezza di noi stessi e degli altri, si nutre la nostra memoria collettiva ed individuale, si sviluppa il senso di appartenenza ed un senso identitario: senza questo incontro fondamentale si è persi.
Eppure il dibattito sui finanziamenti pubblici alla cultura, sui sostegni economici dello Stato verso i teatri pubblici, trovano quotidianamente spazio sui nostri giornali.
Il primo teatro ad iniziativa pubblica in Italia fu creato appunto da Paolo Grassi e Giorgio Strehler con il preciso e dichiarato obiettivo che fosse un servizio pubblico destinato alla collettività, che parlasse direttamente alla sensibilità dei cittadini, senza essere confinato a rivestire un bene elitario, monopolio di un pubblico ristretto.
Peculiarità dei Teatri Stabili Pubblici è lo stretto legame che instaurano con il territorio di appartenenza ed il legame profondo con la collettività che lo abita.
Fin dalla loro creazione e diffusione negli anni '50 e '60, i teatri pubblici si sono proposti come luoghi di mediazione e di incontro tra i cittadini e classe dirigente, orecchio teso alle problematiche comuni,
spazio aperto di dibattito, dissenso, fatto di forme e identità eterogenee da cui poteva nascere un arricchimento prezioso e comune.29
L'autonomia organizzativa e gestionale del teatro pubblico, nelle sue intenzioni originarie, ha costituito senza dubbio la sua forza ed il suo lato più lodevole, insieme ad una consapevolezza diffusa del suo ruolo fondamentale per la crescita della comunità.
Consapevolezza e coscienza che erano riscontrabili non solo da parte dei direttori artistici e tecnici del teatro, ma anche da parte del pubblico, pienamente in grado di comprendere il grande potere educativo e sociale di tale arte e di tale mestiere.30
Questi aspetti, con il passare del tempo, sembrano essersi progressivamente modificati tramite profonde trasformazioni che hanno rispecchiato il complesso contesto socioculturale.
La cultura e i luoghi ad essa preposti, infatti, risentono profondamente dei cambiamenti e delle circostanze storico-sociali del Paese, trovando in essi una forte scia motivazionale per costruire nuove realtà, modificare le linee guida di quelle già esistenti o anticipare, con grande sensibilità, nuove future tendenze.
In uno scambio reciproco, il teatro assorbe le modificazioni che avvengono nella polis e quest'ultima, a sua volta, si nutre ed elabora le contraddizioni del presente.
Come la fine della guerra e dei regimi totalitari ha visto nascere l'Italia democratica e lo sviluppo dei primi teatri pubblici, il clima di cambiamento egualitario e di modernizzazione degli anni '60 e '70 ha
29 Ateatro, Webzine di culturale teatrale, Le Buone Pratiche 2010, O. P. Di Pino, M. Gallina,
http://www.trax.it/olivieropdp/BP2010.asp#125and1, data di consultazione 8 aprile 2012. 30 Ibidem.
accompagnato la nascita delle prime cooperative e gruppi di ricerca.31 Negli anni '80 i teatri hanno risentito del clima di generale riordino della società, con interventi mirati a riorganizzare un sistema che si era sviluppato in maniera disorganica e disomogenea, con un'attenzione particolare rivolta al mercato e al profitto.32
Più recentemente il panorama teatrale italiano ha visto svilupparsi gli intrecci tra teatro e politica, con spettacoli di satira e comici che danno vita a veri e propri movimenti.33
Con il passare degli anni, il teatro ha subito radicali trasformazioni, raccontando il presente, articolando di volta in volta i nuovi linguaggi della società e della nuova generazione di spettatori che si è andata trasformando.
Anche per ciò che riguarda i finanziamenti, si è passati da una realtà erogatrice principalmente centralizzata, il Ministero, ad un sostegno ed un interesse sempre più crescente da parte di realtà più piccole e decentrate: gli enti locali, le regioni e le province. Con importanti differenziazioni e disomogeneità fra il nord e il sud del Paese.
Con la nascita del primo teatro pubblico, lo Stato ha fatto il suo ingresso in una nuova dimensione: non più organismo che risponde alla dittatura vigente, sostenendo o censurando uno spettacolo piuttosto che un altro, ma parte attiva nella fase progettuale e di messa in scena dell'opera.
Questa responsabilizzazione ha sottolineato la funzione pubblica e unificatrice del teatro, bene comune pensato per essere condiviso da 31 Ibidem.
32 Ibidem. 33 Ibidem.
tutta la comunità.
Con la nascita della Prima Repubblica, lo scenario ha iniziato lentamente a cambiare.
Il teatro italiano ̶ a cominciare dagli stabili, governati da consigli di amministrazione di nomina politica e dunque soggetti alle regole della “lottizzazione” tra i diversi partiti e coerenti ̶ si trova a dover cercare il sostegno pubblico destreggiandosi tra maggioranza e minoranza, e spesso anche tra le differenti maggioranze e minoranze di Comune, Provincia, Regione e governo centrale.34
Lontani dalle pesanti ingerenze politiche che hanno sembrato caratterizzare gli anni successivi, si è cercato fortemente il sostegno pubblico, anche in alcune figure più politicizzate, ma con l'obiettivo chiaro di salvaguardare economicamente il panorama teatrale.
Con “l'eterna transizione verso la Seconda Repubblica”, le circostanze sociali e politiche hanno iniziato a mutare e, con esse, anche l'ambiente teatrale al suo interno.35
Il cambiamento in senso federalista ha comportato sicuramente una maggiore autonomia economica ed organizzativa, contribuendo ad avvicinare il teatro al territorio e alle differenti comunità, ma ha evidenziato al tempo stesso una forte disuguaglianza e un grande disequilibrio in termini economici, gestionali e di attribuzione delle competenze tra i vari enti e le diverse regioni.
A questa situazione di disagio ha contribuito una sempre maggiore ingerenza della politica nelle strutture interne dei teatri, collaborando di fatto all'instaurarsi di un sistema clientelare basato sulle conoscenze, sulle amicizie e su reciproci favoritismi.
Inoltre, si è spesso lamentato una grande mancanza di 34 Ibidem.
consapevolezza e preparazione della classe dirigente, che volentieri travalica il suo ruolo, arrivando ad occuparsi di ambiti e settori non di competenza.
In questa condizione, così mutevole, confusa e disorganizzata, l'identità stessa del teatro sembra aver perso chiarezza, stretta tra interessi commerciali e di mercato, spinte e pressioni dall'alto, e una legislazione in materia che sembra collaborare paradossalmente a questo schema così appannato.
Perdendo la sua identità, i suoi contorni, il teatro rischia di venir meno al suo ruolo di contenitore delle contraddizioni e delle tensioni della polis, al suo essere luogo condiviso e partecipato in cui queste ultime prendono corpo, vengono elaborate, diventano nutrimento per la sensibilità e la conoscenza dei cittadini.
La sua forza risulta così indebolita e depotenziata, cristallizzata in una situazione di mediocrità e di stallo che rischia di lasciare tutto e tutti indifferenti.
Forse è proprio questo l'aspetto più pericoloso e negativo: l'adattamento passivo, quasi darwinistico, alla situazione dei fatti, una generale omologazione dei linguaggi e delle modalità partecipative che neanche il palcoscenico sembra essere più in grado di riscattare e far emergere.
Il problema che si nasconde alla base di questa situazione così preoccupante è una revisione generale del senso e dell'importanza della cultura nel nostro Paese, spesso vista come un costo più che come una risorsa per la comunità.