1
S
OMMARIO
CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE ... 3
1.1 STRUTTURA MACRO E MICROSCOPICA DEI NERVI PERIFERICI ... 6
1.2 ANATOMIA DEI NERVI DELL’ARTO SUPERIORE NELL’UOMO E NEL RATTO ... 8
1.3 LE LESIONI TRAUMATICHE DEI NERVI PERIFERICI ... 12
1.3.1 Classificazioni delle neuropatie periferiche ... 12
1.3.2 Epidemiologia e meccanismi traumatici delle lesioni nervose periferiche ... 14
1.3.3 Classificazioni di Seddon e Sunderland delle lesioni nervose periferiche ... 16
1.3.4 Diagnosi clinica di lesione nervosa periferica ... 20
1.3.5 La risposta al trauma nervoso: modificazioni a monte e a valle della lesione ... 21
1.4 LA RIGENERAZIONE NERVOSA ... 27
1.4.1 Funzioni delle cellule di Schwann ... 29
1.4.2 Il cono di crescita assonale ... 30
1.4.3 Il ruolo della forza tensiva nell’allungamento assonale ... 31
1.4.4 Specificità del processo di rigenerazione ... 33
1.4.5 Fattori biomolecolari che influenzano la rigenerazione nervosa ... 35
1.4.6 Altri fattori che influenzano la rigenerazione nervosa ... 41
1.4.7 Differenze tra Sistema Nervoso Centrale e Sistema Nervoso Periferico ... 44
CAPITOLO 2 - ATTUALI OPZIONI TERAPEUTICHE ... 46
2.1 SUTURA MICROCHIRURGICA ... 47
2.1.1 Sutura Epineurale ... 49
2.1.2 Sutura Epineurale con Lembo a Manicotto ... 50
2.1.3 Sutura Fascicolare o Perineurale ... 50
2.1.4 Sutura a Gruppi Fascicolari ... 51
2.1.5 Sutura Termino-Laterale ... 52
2.2 INNESTI NERVOSI... 53
2
2.3.1 Tubuli Biologici ... 58
2.3.2 Tubuli Artificiali ... 59
2.3.3 Limiti della Tubulizzazione ... 67
CAPITOLO 3 - NUOVE PROSPETTIVE: LE NANOTECNOLOGIE ... 68
3.1 NANOTUBI E SCAFFOLD NANOSTRUTTURATI ... 73
3.2 NANOPARTICELLE MAGNETICHE (MNPS) ... 79
3.2.1 Storia delle MNPs ... 81
3.2.2 Applicazioni delle MNPs in Campo Medico ... 83
3.2.3 MNPs e Rigenerazione Nervosa ... 87
3.2.4 Tossicità delle MNPs ... 90
CAPITOLO 4 - STUDIO SPERIMENTALE: EFFETTI DELLE MNPs SULLA RIGENERAZIONE NERVOSA NEL NERVO MEDIANO DI RATTO ... 94
4.1 INTRODUZIONE ... 94
4.2 MATERIALI E METODI ... 96
4.3 RISULTATI ... 99
4.4 DISCUSSIONE ... 103
CAPITOLO 5 - CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE ... 107
3
CAPITOLO
1
INTRODUZIONE
I traumi dei nervi periferici rappresentano sicuramente un argomento di grande interesse per la loro elevata frequenza e per l’impatto altamente negativo che hanno sulla qualità della vita, considerando anche il fatto che la popolazione giovane adulta è quella maggiormente colpita da questo tipo di lesioni.
Oggi le cause più importanti sono: gli incidenti stradali, sportivi e sul lavoro; le ferite riportate nei conflitti militari, anche se meno importanti numericamente rispetto al secolo scorso, comportano spesso grosse perdite di tessuti molli e quindi le lesioni nervose ad esse associate sono spesso devastanti e difficili da trattare; infine, anche le lesioni iatrogene sono abbastanza frequenti.
In generale i nervi dell’arto superiore sono quelli che risultano lesionati più di frequente, rappresentando circa il 70-80% dei casi. In Europa ogni anno si stimano oltre 300.000 nuovi casi di lesione dei nervi periferici e i costi per trattamento, riabilitazione e assistenza sono molto elevati e in continuo aumento.
Una lesione nervosa comporta una serie di conseguenze deleterie per la qualità della vita della persona: in primo luogo la perdita parziale o completa della funzione motoria e di quella sensitiva dell’arto, a ciò si può aggiungere una sindrome dolorosa regionale invalidante, atrofia muscolare e alterazioni trofiche cutanee. Nei casi meno gravi i sintomi sono solo transitori e si può assistere ad un recupero graduale delle varie funzioni, in quanto i neuroni, in seguito ad una lesione, hanno la capacità di dare inizio ad un processo di ricostruzione e di
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allungamento dell’assone leso fino al raggiungimento della sua lunghezza originale e alla reinnervazione dei tessuti rimasti denervati. Questo processo naturale di rigenerazione nervosa è molto complesso e dipende da molti fattori: età del paziente, gravità della lesione, perdita di tessuto nervoso, fibrosi. Inoltre esiste la possibilità che i nuovi assoni crescano nella direzione sbagliata e raggiungano un tessuto diverso da quello che originalmente innervavano, creando un cosiddetto “mismatch” nervoso. Per cui il recupero spontaneo da un trauma nervoso varia molto da persona a persona e molti pazienti non riescono a recuperare in maniera soddisfacente le funzioni dell’arto.
Con l’intento di facilitare la rigenerazione nervosa e di migliorare il recupero funzionale, già durante la Seconda Guerra Mondiale, di fronte all’ampia casistica di traumi nervosi di natura bellica, si mise appunto la sutura termino-terminale dei due monconi nervosi. Poi con lo sviluppo della microchirurgia si sono ottenuti risultati migliori, arrivando a suturare uno ad uno i singoli fascicoli nervosi che compongono il nervo e limitando così il mismatch nervoso. Ma la tecniche di sutura si sono tutte dimostrate fallimentari per le grosse perdite di tessuto nervoso; per questi casi si deve ricorrere all’innesto nervoso autologo o autotrapianto, ma anche questa soluzione presenta diverse limitazioni. L’innesto autologo, infatti, può dare buoni risultati funzionali anche in caso di grosse perdite di sostanza nervosa, ma necessita di due incisioni chirurgiche e del sacrificio di un nervo sano. Per cui, nell’ottica di trovare una strategia alternativa più vantaggiosa, gli studiosi si sono concentrati sui meccanismi biomolecolari e cellulari che stanno alla base della rigenerazione nervosa, in cerca di sistemi che possono facilitare e sostenere tale processo portando ad un recupero completo delle funzione nervosa. Una prima alternativa che venne introdotta più di venti anni fa nella sperimentazione clinica è la “tubulizzzione”, cioè l’uso di condotti biologici e/o sintetici posti a ponte della lesione con la funzione di svolgere da guida per la corretta rigenerazione nervosa; questi si sono dimostrati utili nel favorire la rigenerazione nervosa, ma solo per perdite di sostanza inferiori a 3 cm.
Con l’avvento della nanotecnologia si sono sviluppati anche i cosiddetti tubuli con superficie nanostrutturata, cioè delle speciali guide neurali ancora in fase di
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sperimentazione, progettate in modo da simulare la struttura della matrice extracellulare, aumentare la superficie di contatto per l’assone rigenerato e stimolarne ulteriormente la crescita.
Sempre nell’ambito delle nanotecnologie, recentemente hanno acquisito sempre più interesse nel settore biomedico le nanoparticelle magnetiche (MNPs) . Le MNPs sono costituite più comunemente da ossido di ferro (Fe3O4), hanno dimensioni da 1 a 100 nm e ciò permette loro di entrare nelle cellule (che hanno in media un diametro di 10-100 µm) e di interagire da vicino con i vari bersagli molecolari intracellulari; inoltre hanno proprietà magnetiche e questo conferisce loro il grande vantaggio di poter essere controllate e indirizzate dall’esterno mediante l’applicazione di un campo magnetico. Date queste speciali caratteristiche, le MNPs hanno suscitato grande interesse in vari campi della medicina sperimentale: dalla diagnostica per immagini all’oncologia, alla farmacologia fino alla medicina rigenerativa. Nel campo dell’ingegnerizzazione tissutale le MNPs sono state sperimentate per produrre tessuto cutaneo, tessuto muscolare e parenchima epatico. Per quanto riguarda in particolare la rigenerazione nervosa, studi in vitro hanno dimostrato che, sotto l’influenza di un campo magnetico esterno, le MNPS internalizzate dal neurone riescono ad indirizzare e guidare l’allungamento del cono di crescita assonale secondo la direzione del campo magnetico stesso. L’obiettivo di questa tesi è stato quello di valutare le fasi precoci della rigenerazione nervosa nel nervo mediano di ratto dopo l’applicazione di MNPs a livello del gap nervoso; si tratta di uno studio preliminare volto ad analizzare quali siano gli effetti delle MNPs sul nervo in rigenerazione e in quali cellule si distribuiscono le particelle.
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1.1
STRUTTURA
MACRO
E
MICROSCOPICA
DEI
NERVI
PERIFERICI
I nervi periferici sono fasci di fibre nervose avvolti da guaine connettivali che permettono al sistema nervoso centrale di relazionarsi con il mondo, veicolando stimoli sensitivi provenienti dall’esterno e dirigendo il movimento dei segmenti corporei in risposta a tali stimoli. Ad occhio nudo i nervi appaiono come cordoni cilindrici biancastri.
Figura 1. Struttura del nervo periferico
Le fibre nervose contenute in un nervo risultano suddivise in gruppi detti fascicoli e gli stessi fascicoli formano più gruppi fascicolari. All’interno del fascicolo gli assoni sono circondati da un tessuto connettivale lasso detto endonevrio. Mentre all’esterno ogni singolo fascicolo è delimitato da una guaina connettivale detta perinevrio. Infine la guaina connettivale più esterna prende il nome di epinevrio, esso contiene i vasa nervorum e può essere distinto in due parti: l’epinevrio interno che circonda i gruppi fascicolari e l’epinevrio esterno che racchiude tutto il nervo (Figura 1).
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Una singola fibra nervosa è costituita dall’assone di un neurone motorio o sensitivo, dal rivestimento fornito dalle cellule di Schwann e dalla lamina basale di queste ultime. La lamina basale è costituita da uno strato interno ricco di laminina e da uno strato esterno formato da una delicata rete di fibre reticolari.
Le cellule di Schwann, sono cellule gliali, cioè cellule non neuronali che, come gli oligodendrociti nel SNC, svolgono funzioni di sostegno nel tessuto nervoso.
Esse possono semplicemente circondare la fibra con un esile lembo citoplasmatico e in tal caso si parla di fibre amieliniche; sono fibre di questo tipo le fibre che veicolano la sensibilità termo-dolorifica e le fibre vegetative.
Al contrario, nelle fibre mieliniche, la membrana citoplasmatica delle cellule di Schwann si avvolge più volte intorno all’assone formando uno spesso rivestimento costituito da una serie di lamelle concentriche di fosfolipidi di membrana (Figura 2).
Lo strato più esterno della guaina contiene il nucleo, il citoplasma e gli organelli citoplasmatici della cellula di Schwann e prende il nome di neurilemma. La guaina mielinica, che è tipica delle fibre motrici e delle fibre per la sensibilità propriocettiva e tattile-pressoria, permette una più rapida ed efficiente conduzione nervosa rispetto alle fibre amieliniche. Le cellule di Schwann non formano una guaina continua intorno all’assone, ma restano dei piccoli intervalli di circa 1 µm tra una cellula e l’altra che vengono detti nodi di Ranvier. Ogni tratto di fibra compreso tra un nodo e l’altro, anche detto segmento internodale, è avvolto da una singola cellula di Schwann. La mielinizzazione delle fibre nervose periferiche inizia verso la fine del 4° mese di vita intrauterina a livello delle radici dorsali e ventrali dei nervi spinali e da lì si estende a tutti i nervi periferici.
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All’interno di un nervo possono decorrere soltanto fibre nervose efferenti motorie (nervo motorio), soltanto fibre afferenti sensitive (nervo sensitivo) o entrambi i tipi (nervi misti). In particolare le fibre sensitive originano dai neuroni sensitivi che si trovano ubicati nei gangli dorsali e vanno a formare le radici posteriori dei nervi spinali, mentre gli α-motoneuroni che sono collocati nelle corna anteriori della sostanza grigia midollare, danno origine alle fibre motorie che decorrono nelle radici anteriori dei nervi spinali.
Quindi ogni assone che emerge dal corpo cellulare neuronale deve estendersi per un lungo tratto (anche più di un metro negli arti inferiori) contenuto negli involucri dei nervi periferici per poter raggiungere gli organi periferici che deve innervare, siano essi muscoli, organi propriocettivi, organi sensitivi cutanei o visceri. Gli assoni dipendono metabolicamente dal corpo cellulare, per questo motivo esiste un continuo trasporto bidirezionale di macromolecole lungo tutto l’assone. Si distinguono un trasporto assonale anterogrado che dal corpo cellulare conduce fino al terminale assonico proteine, enzimi, organelli citoplasmatici, subunità citoscheletriche e frammenti di membrana citoplamastica, e un trasporto retrogrado cellulipeto che conduce al corpo cellulare prodotti di scarto e anche fattori di crescita provenienti dalla periferia. Il trasporto assonale in entrambi i sensi avviene grazie all’impalcatura fornita dal citoscheletro assonale costituito da microfilamenti di actina, microtubuli di tubulina e filamenti intermedi o neurofilamenti; le macromolecole trasportate si muovono scorrendo lungo i microtubuli.
1.2
ANATOMIA
DEI
NERVI
DELL’ARTO
SUPERIORE
NELL’UOMO
E
NEL
RATTO
Per questo studio si è scelto di utilizzare il nervo mediano dell’arto superiore del ratto.
L’anatomia dei nervi dell’arto superiore del ratto rassomiglia molto quella umana, seppur con alcune differenze. In questo paragrafo verrà descritta l’anatomia del sistema nervoso dell’arto superiore nell’uomo e nel ratto con particolare attenzione per il nervo mediano.
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Sia nell’uomo che nel ratto i nervi che si distribuiscono all’arto superiore si diramano dal plesso brachiale, una struttura nervosa che si sviluppa attraverso la loggia sopraclaveare, tra muscolo scaleno anteriore e muscolo scaleno medio fino al cavo ascellare passando sotto il muscolo piccolo pettorale. Il plesso brachiale si origina dai rami anteriori del 5°, 6°, 7°, 8° nervo cervicale e del 1° nervo toracico (contribuisce anche un esiguo numero di fibre provenienti dai rami anteriori di C4 e T2). Pur presentando frequenti variazioni individuali, il plesso brachiale è composto da una serie di anastomosi e suddivisioni che danno origine a tre tronchi primari, tre tronchi secondari, vari rami collaterali e rami terminali.
Il ramo anteriore di C5 (con qualche fibra di C4) si anastomizza con il ramo anteriore di C6 formando il tronco primario superiore, il ramo anteriore di C7 da solo costituisce il tronco primario medio, mentre dall’unione del ramo anteriore di C8 e del ramo anteriore di T1 (con qualche fibra di T2) prende origine il tronco primario inferiore. Ogni tronco primario si suddivide in un ramo anteriore e in un ramo posteriore. I rami posteriori dei tre tronchi primari si uniscono per formare il tronco secondario posteriore, che scorre dietro l’arteria ascellare. I rami anteriori dei tronchi primari superiore e medio formano il tronco secondario laterale, mentre il ramo anteriore del tronco primario inferiore da solo va a costituire il tronco secondario mediale.
Il plesso brachiale presenta alcuni rami collaterali che si distribuiscono prevalentemente ai muscoli della spalla, del dorso e del torace (nervo toracico lungo, nervo dorsale della scapola, nervi sottoscapolari superiore e inferiore, nervo toracodorsale, nervo succlavio, nervo soprascapolare, nervo del muscolo grande pettorale, nervo del muscolo piccolo pettorale).
Per quanto riguarda i rami terminali, il tronco secondario posteriore dà origine al nervo radiale e al nervo ascellare, il tronco secondario laterale al nervo muscolocutaneo e alla radice laterale del nervo mediano, e il tronco secondario mediale al nervo ulnare, al nervo cutaneo mediale del braccio, al nervo cutaneo mediale dell’avambraccio e alla radice mediale del nervo mediano (Figura 3).
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Figura 3. Anatomia del plesso brachiale nell'uomo
Il nervo mediano è un nervo misto che nasce nella cavità ascellare dall’unione di due radici che provengono dal tronco secondario laterale e da quello mediale. E’ il nervo più voluminoso del plesso brachiale e ha la caratteristica di portare le proprie fibre alla mano e all’avambraccio senza dare rami durante il suo percorso nel braccio. Alla sua origine le due radici convergono a “V” al davanti dell’arteria ascellare, formando la cosiddetta “forca del nervo mediano”. Il mediano percorre la loggia anteriore del braccio scorrendo lungo il margine mediale del muscolo bicipite, accompagnato dall’arteria brachiale e dalle vene omonime. All’altezza del gomito è incrociato superficialmente dal lacerto fibroso del muscolo bicipite; nell’avambraccio passa tra capo ulnare e capo omerale del muscolo pronatore rotondo e, mantenendosi sulla linea mediana attraversa la loggia anteriore passando tra muscolo flessore profondo delle dita e muscolo flessore superficiale delle dita. Al polso il nervo passa nel canale del carpo e in corrispondenza della
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palma della mano si divide nei suoi rami terminali: il nervo dell’eminenza tenar e i nervi digitali palmari (Figura 4).
Figura 4. Anatomia del nervo mediano nell'uomo
Il nervo mediano nell’uomo è deputato all’innervazione dei muscoli della loggia anteriore dell’avambraccio, ad eccezione del muscolo flessore ulnare del carpo e della parte mediale del muscolo flessore profondo delle dita (innervati dal nervo ulnare). Inoltre con i rami terminali innerva i muscoli dell’eminenza tenar, eccetto il muscolo adduttore del pollice e il capo profondo del muscolo flessore breve del pollice (innervati dal nervo ulnare), i muscoli 1° e 2° lombricali, la cute che riveste l’eminenza tenar, la cute del pollice, dell’indice, del medio e della metà laterale dell’anulare.
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La differenza principale tra nervo mediano dell’uomo e del ratto sta nella distribuzione delle fibre motorie: nell’uomo i muscoli flessori dell’avambraccio vengono innervati in parte dal nervo mediano e in parte dal nervo ulnare; nel ratto il nervo mediano (Figura 5) da solo innerva tutti i nervi flessori. Tale caratteristica rende il nervo mediano del ratto un modello sperimentale particolarmente efficace per lo studio del recupero funzionale in seguito a lesione e ricostruzione nervosa.
Figura 5. Anatomia del nervo mediano nel ratto
1.3
LE
LESIONI
TRAUMATICHE
DEI
NERVI
PERIFERICI
Le lesioni traumatiche dei nervi periferici fanno parte di una categoria più ampia di patologie che prendono il nome di “neuropatie periferiche”. Le neuropatie periferiche possono essere provocate da qualsiasi noxa patogena che sia in grado di alterare dal punto di vista anatomico-strutturale o soltanto funzionale, uno o più nervi periferici e quindi di comprometterne la normale conduzione nervosa.
1.3.1CLASSIFICAZIONI DELLE NEUROPATIE PERIFERICHE
Esistono molti criteri diversi per classificare le neuropatie periferiche. Secondo il criterio topografico di livello lesionale si distinguono:
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- Plessopatie: coinvolgimento di un plesso nervoso;
- Neuropatie tronculari: coinvolgimento di un nervo periferico. Secondo il criterio eziologico si distinguono:
- Neuropatie traumatiche;
- Neuropatie metaboliche ( diabete mellito, malattia renale cronica, malattia epatica cronica);
- Neuropatie infettive ( HIV, lebbra, CMV, sifilide);
- Neuropatie infiammatorie immunomediate ( sindrome di Guillain-Barrè); - Neuropatie vasculitiche (panarterite nodosa, artrite reumatoide, LES); - Neuropatie tossiche ( piombo, arsenico);
- Neuropatie da farmaci;
- Neuropatie da paraproteinemie e amiloidi; - Neuropatie paraneolastiche;
- Neuropatie carenziali ( alcolismo, deficit di vitamina B12, deficit di niacina);
- Neuropatie ereditarie (malattia di Charcot-Marie-Tooth). In base al decorso si distinguono neuropatie:
- Acute; - Subacute; - Croniche.
In base alla distribuzione delle lesioni si distinguono:
- Mononeuropatie: interessano un singolo nervo (traumatiche, infettive, da compressione);
- Multineuropatie: interessano più nervi, ma in tempi diversi e con una distribuzione in genere asimmetrica (forme vasculitiche);
- Polineuropatie: interessano più nervi contemporaneamente con una distribuzione simmetrica e un andamento tipicamente ascendente (sindrome di Guillain-Barrè, neuropatia diabetica, neuropatia alcolica).
Secondo il criterio semeiologico si distinguono neuropatie: - Sensitive;
14 - Sensitivo-motorie;
- Autonomiche; - Miste.
In questo studio ci occuperemo principalmente dei problemi connessi alle lesioni nervose di origine traumatica che rappresentano la causa più frequente di mononeuropatia acuta.
1.3.2EPIDEMIOLOGIA E MECCANISMI TRAUMATICI DELLE LESIONI NERVOSE PERIFERICHE
Una lesione traumatica nervosa può seriamente compromettere la qualità della vita di un paziente e comportare elevati costi per la società e per il servizio sanitario. Per esempio, una sezione completa del nervo mediano e/o ulnare comporta un’alterata sensibilità della mano, ridotta funzione motoria e talora dolore persistente; di conseguenza, non solo si creano problemi nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche le attività quotidiane e ricreative possono essere fortemente limitate.
Anche se il tronco nervoso leso viene riparato usando tecniche microchirurgiche, tale lesione rappresenta un serio problema per il paziente, infatti dopo la ricostruzione è necessaria un’intensa riabilitazione, inoltre il periodo di assenza dal lavoro per malattia può essere molto lungo e talora il paziente è costretto a cambiare tipo di lavoro.
Uno studio svedese ha riscontrato che il costo totale per la società (considerando i giorni di lavoro persi) e per il settore sanitario (considerando trattamento e riabilitazione) si aggira intorno a EUR 51, 238 per la lesione del nervo mediano e a EUR 31,186 per il nervo ulnare; la maggior parte del costo (87%) è imputabile ai numerosi giorni di assenza dal lavoro. La mediana del periodo di tempo di assenza dal lavoro per una lesione del nervo mediano, del nervo ulnare e di entrambi è rispettivamente di 273, 157 e 232 giorni 1.
Secondo uno studio epidemiologico durato 16 anni (1989-2006) su 456 pazienti l’età media dei pazienti che subiscono lesioni traumatiche nervose è circa 32 anni
15
con prevalenza nel sesso maschile (74%). Nell’83% dei casi è interessato l’arto superiore e la lesione del nervo ulnare risulta essere quella più frequente 2. Un altro studio retrospettivo su 938 pazienti condotto da Eser et al. ha in gran parte confermato questi dati e ha rilevato che la principale causa di traumi nervosi è data dagli incidenti stradali soprattutto su motoveicolo, in cui meccanismi di stiramento del nervo giocano un importante ruolo 3. Oltre agli incidenti sulla strada, le lesioni nervose periferiche sono piuttosto frequenti in ambito sportivo, lavorativo e militare. Le lesioni nervose riportate durante attività sportiva rappresentano circa il 5,7% di tutte le lesioni e possono essere provocate sia da un unico importante trauma che da microtraumi ripetuti nel tempo 4. In ambito militare le granate ed altri tipi di esplosivi, provocando grosse perdite di tessuti molli, rappresentano la principale causa di gravi danni del sistema nervoso periferico, spesso associati a lesioni vascolari che peggiorano la prognosi di queste ferite 5. Da ricordare sono anche le lesioni iatrogene che, secondo uno studio su 722 casi di lesione traumatica nervosa, rappresentano il 17,4% di tutte le lesioni 6.
I meccanismi traumatici più comuni che possono provocare una lesione nervosa comprendono ferite penetranti, contusioni, trazioni ed ischemia. In generale la trazione rappresenta il tipo più frequente di lesione nervosa. I nervi periferici hanno infatti proprietà elastiche derivanti dal collagene presente nell’endonevrio, ma quando la forza tensiva supera la capacità di allungamento del nervo, si verifica un danno delle strutture nervose. Se la forza applicata è abbastanza grande, si può ottenere una completa interruzione della continuità del tronco nervoso, come succede nelle avulsioni del plesso brachiale. Comunque più frequentemente la continuità è mantenuta. Le lacerazioni come quelle provocate da un coltello, sono un altro tipo molto comune di lesione, arrivando a comprendere il 30 % delle gravi lesioni secondo alcuni studi. Un’ altra frequente causa è la compressione nervosa che associa fenomeni di deformazione meccanica a fenomeni ischemici; è’ stato piuttosto difficile comprendere quale di questi due ultimi meccanismi fosse il più importante, ma esperimenti degli anni Trenta sulla compressione da tourniquet hanno dimostrato che, almeno nelle compressioni di breve durata, è l’ischemia e non la pressione in se per sé a causare il blocco della conduzione. Le grosse fibre
16
mieliniche sembrano più suscettibili all’ischemia, per questo i sintomi motori sono più marcati. Le lesioni dovute a compressione in genere provocano ben poche alterazioni istologiche e gli effetti sulla conduzione risultano reversibili a meno che l’ischemia non permanga per più di 8 ore 7. Vanno infine ricordati altri
meccanismi traumatici meno frequenti come shock termico, shock elettrico, vibrazioni e radiazioni 8.
1.3.3CLASSIFICAZIONI DI SEDDON E SUNDERLAND DELLE LESIONI NERVOSE PERIFERICHE
Seddon per primo nel 1942 9 propose una classificazione della gravità delle lesioni traumatiche del nervo periferico, che poi è stata modificata da Sunderland nel 1968
10
. Queste classificazioni si sono dimostrate molto utili soprattutto per la loro correlazione con la prognosi e la probabilità di recupero dalla lesione. Seddon distinse 3 tipi principali di lesione: neuroaprassia, assonotmesi e neurotmesi; Sunderland riprese questa classificazione e suddivise l’ assonotmesi in tre ulteriori gradi diversi di gravità, ottenendo 5 tipi di lesione (tabella 1 e Figura 6).
Seddon Sunderland Funzioni Anatomia
Patologica Neuro-aprassia I grado Blocco locale della
conduzione nervosa
Lesione locale della mielina soprattutto delle fibre di grosso calibro. Continuità assonale mantenuta. Degenerazione Walleriana assente Assono-tmesi II grado Perdita della
conduzione nervosa a livello della lesione e distalmente
Interruzione della continuità assonale con degenerazione Walleriana. Endonevrio, perinevrio ed epinevrio intatti. III grado Perdita della
conduzione nervosa a livello della lesione e distalmente
Perdita della continuità di assoni ed endonevrio. Perinevrio ed epinevrio intatti
IV grado Perdita della
conduzione nervosa a livello della lesione e distalmente
Perdita della continuità di assoni, endonevrio e perinevrio.
Epinevrio intatto. Neuro-tmesi V grado Perdita della
conduzione nervosa a livello della lesione e distalmente
Completa interruzione di tutte le strutture del nervo
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La neuroaprassia o lesone di primo grado di Sunderland si caratterizza per un blocco temporaneo della conduzione nervosa, dovuto ad una lesione focale del rivestimento mielinico, mentre gli assoni mantengono la propria integrità; la causa più frequente è una compressione del nervo e dei vasa nervorum con conseguente sofferenza ischemica che in genere si risolve spontaneamente se la compressione non è troppo prolungata (non oltre 6-8 ore). Comuni esempi sono la “paralisi del sabato sera” del nervo radiale e la paralisi del nervo peroneo nei pazienti magri che sono soliti accavallare le gambe. Una neuroaprassia comporta soprattutto deficit motori, fino alla completa paralisi flaccida, dal momento che le grosse fibre mieliniche motorie risentono della lesione maggiormente rispetto alle piccole fibre sensitive; in ogni caso ci possono essere anche lievi parestesie e formicolii. A causa della demielinizzazione, seppur focale, all’elettroneurografia compare una riduzione della velocità di conduzione nervosa a livello della lesione, mentre distalmente ad essa il nervo conduce normalmente. Non comportando processi di degenerazione assonale, né quindi di rigenerazione, queste lesioni si risolvono rapidamente e completamente nel giro di qualche settimana, senza la necessità di nessun tipo di intervento chirurgico: infatti nell’arco di 6-8 settimane l’edema perilesionale si risolve, il processo di rimielinizzazione si completa e la velocità di conduzione nervosa torna normale. Se il nervo impiega più tempo per riprendere le proprie funzioni, si può ipotizzare una lesione di grado più grave.
L’assonotmesi è la lesione di gravità intermedia nella classificazione di Seddon; essa, come suggerisce il nome (in greco “τµησις” significa “taglio”), comporta un’interruzione degli assoni, mentre le strutture connettivali di supporto del nervo (endonevrio, perinevrio, epinevrio) si mantengono almeno in parte intatte. Questo tipo di lesione si verifica per traumi più importanti, ma insufficienti a interrompere completamente la continuità del nervo. A differenza della neuroapressia, nell’assonotmesi ed anche nella neurotmesi, il segmento assonale a valle della lesione va incontro ad un processo di demolizione che prende il nome di degenerazione Walleriana, a cui fanno seguito due importanti processi di recupero:
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la gemmazione di fibre collaterali a partire dagli assoni rimasti integri e la rigenerazione di nuovi assoni a partire del moncone prossimale. La completa ricostituzione delle funzioni nervose avviene in un periodo piuttosto lungo che va da 2 a 18 mesi a seconda della gravità delle lesioni. L’assonotmesi è stata distinta da Sunderland in lesioni di secondo, terzo e quarto tipo in base al grado di interessamento degli involucri delle fibre nervose.
Le lesioni di secondo grado di Sunderland si caratterizzano per il completo risparmio di tutte le strutture endo-, peri- ed epineurali, per cui soltanto le fibre assonali vengono interrotte. La prognosi in questi casi è buona, in quanto i tubi endoneurali intatti facilitano la rigenerazione assonale conducendo le nuove fibre nervose ai tessuti periferici originali. Il recupero della funzione sensitivo-motoria è in genere completo, anche se più lento rispetto alla neuroaprassia.
Nelle lesioni di terzo grado di Sunderland si verifica l’interruzione degli assoni e dei tubi endoneurali, mentre perinevrio ed epinevrio risultano integri; l’edema e l’emorragia inducono la produzione di tessuto cicatriziale e la rigenerazione può portare con alta probabilità ad un mismatch assonale; la prognosi è peggiore: il recupero è spesso lento e solo parziale e, in alcuni casi, può essere indicato l’intervento chirurgico.
Nella lesione di quarto grado di Sunderland è coinvolto anche il perinevrio, per cui l‘unico rivestimento intatto è l’epinevrio. Di conseguenza si verifica una totale disorganizzazione degli elementi guida con formazione di abbondante tessuto cicatriziale intraneurale e mismatch assonale. Il recupero spontaneo in questi casi è molto raro per cui spesso l’intervento chirurgico risulta necessario.
La neurotmesi o lesione di quinto grado di Sunderland consiste nella completa interruzione del nervo. L’edema, la fibrosi e il rigonfiamento dei monconi rendono praticamente impossibile ogni tipo di processo di rigenerazione in assenza di un intervento di sutura chirurgica, e anche a seguito di una eventuale sutura, i risultati
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non sono sempre soddisfacenti. L’elettroneurografia ha le stesse caratteristiche nella neurotmesi e nell’assonotmesi: in entrambi i casi a seguito della degenerazione assonale, che si completa nel giro di alcuni giorni, scompaiono i SAP (Potenziale d’Azione Sensitivo) e i cMAP (Potenziale d’Azione Motorio composto) distalmente alla lesione. Invece all’elettromiografia i muscoli denervati presentano una attività elettrica anomala sotto forma di potenziali spontanei di fibrillazione e fascicolazioni a causa della perdita della funzione trofica fornita dal nervo. Questa attività elettrica spontanea muscolare compare 2-6 settimane dopo la lesione assonale e permane fino a che le fibre muscolari non sono completamente denervate oppure reinnervate. Nel caso della demielinizzazione da neuroaprassia queste alterazioni all’elettromiografia non compaiono in quanto il muscolo riceve ancora il supporto trofico dell’assone rimasto intatto per definizione 11.
.
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Nel 1988 Mackinnon ha infine introdotto un sesto grado per descrivere lesioni miste per cui nello stesso tratto nervoso danneggiato si possono ritrovare fascicoli con lesioni di grado più lieve e fascicoli con gradi più elevati di lesione. Di conseguenza anche il recupero delle funzioni sarà vario: alcuni fascicoli riprenderanno rapidamente a funzionare, altri recupereranno solo parzialmente, altri ancora, riportando gravi alterazioni, non avranno nessun recupero 12.
1.3.4DIAGNOSI CLINICA DI LESIONE NERVOSA PERIFERICA
Il risultato del trattamento di una lesione nervosa periferica dipende anche dalla precocità della diagnosi e dell’intervento di riparazione. Ogni procedura diagnostica o terapeutica inadeguata può peggiorare ulteriormente i risultati dell’intervento, mentre riconoscendo correttamente il tipo di lesione e iniziando una terapia appropriata, il medico, al quale si è rivolto per primo il paziente, può influenzare positivamente l’esito finale del trattamento. La diagnosi di una lesione nervosa dipende in primo luogo da un attento esame obiettivo delle funzioni motorie e sensitive degli arti, per cui una dettagliata conoscenza dell’anatomia è fondamentale, soprattutto per quanto riguarda la mano e il braccio, in quanto sono più frequenti le lesioni nervose che colpiscono l’arto superiore. Bisogna porre attenzione alle caratteristiche e alla posizione della ferita e interrogare il paziente riguardo il meccanismo e le condizioni con cui il trauma si è verificato. Le funzioni motorie e sensitive devono essere valutate in tutti i pazienti. La forza dei muscoli innervati dal nervo leso è valutata con test contro resistenza, mentre la sensibilità è testata toccando l’area di innervazione e confrontandola con aree rimaste illese. Gli studi elettrofisiologici, come elettromiografia e elettroneurografia, piuttosto che in acuto, sono indicati circa tre settimane dopo l’evento traumatico, quando i processi di degenerazione nervosa e denervazione muscolare sono completi. Comunque, quando esiste una significativa lesone assonale o persino una grave neuroaprassia, il reclutamento delle unità motorie si modifica immediatamente e un esperto elettromiografista può rilevarlo. Queste
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precoci alterazioni possono aiutare a localizzare il sito preciso della lesione e in parte anche il grado della lesione. Gli studi di conduzione nervosa a livello del segmento leso saranno anch’essi anomali sull’immediato. La principale limitazione sta nel fatto che in acuto non si può differenziare una neuroaprassia, cioè un semplice blocco di conduzione, da una neurotmesi o assonotmesi, in cui esiste un’interruzione della continuità degli assoni 13
. Questa distinzione potrà essere fatta soltanto almeno 10-12 giorni dopo, quando la degenerazione Walleriana, tipica della lesione assonale, provocherà la perdita di conduzione nervosa distalmente alla lesione, cosa che non avviene nella neuroaprassia. Gli studi elettrofisiologici sono poi utili per valutare nel follow-up il processo di reinnervazione e di recupero funzionale. Ecografia, TC e MRI possono essere utili in alcuni casi particolari (per esempio TC e RMI vengono usati per lesioni del plesso brachiale), ma non dovrebbero ritardare una eventuale esplorazione chirurgica 14.
1.3.5LA RISPOSTA AL TRAUMA NERVOSO: MODIFICAZIONI A MONTE E A VALLE DELLA LESIONE
Ogni qualvolta si verifichi un’interruzione della continuità dell’assoplasma (lesioni di grado dal II al V), le strutture nervose a valle e a monte della lesione subiscono un processo di rimodellamento che coinvolge fibre nervose, cellule di Schwann e strutture connettivali ed ha come obiettivo quello di porre le basi per un futuro tentativo di rigenerazione nervosa.
A seguito del trauma, già nelle prime ore, i monconi vengono come sigillati e tendono a gonfiarsi per l’accumulo di organelli cellulari poiché il trasporto assonale anterogrado nella parte prossimale e quello retrogrado nella parte distale, persistono per diversi giorni8. Successivamente dal sito della lesione si genera una serie di segnali diretti sia a valle che a monte e finalizzati alla stimolazione di una pronta risposta al danno, la quale si realizza attraverso due processi principali: la cromatolisi del corpo cellulare neuronale e la degenerazione Walleriana del segmento assonale distale.
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Modificazioni a monte della lesione: la cromatolisi del corpo cellulare e la riorganizzazione del SNC
I cambiamenti che subiscono i corpi cellulari dei neuroni e le fibre disposte a monte della lesione dipendono dalla gravità della lesione stessa così come dalla vicinanza del segmento danneggiato al corpo cellulare.
Lungo il tratto prossimale in vicinanza della lesione, le cellule di Schwann inevitabilmente degenerano, mentre gli assoni e la mielina si riducono visibilmente di diametro. Questo processo di degenerazione prossimale può essere minimo (estendendosi dal sito di lesione indietro fino al successivo nodo di Ranvier) o può risalire fino al corpo cellulare nei traumi maggiori. Se il neurone degenera, cosa che può accadere nelle lesioni molto gravi, l’intero tratto prossimale va incontro a degenerazione Walleriana e viene poi fagocitato. Dopo una lesione importante il diametro assonale prossimale si riduce significativamente, soprattutto se le connessioni funzionali agli originali organi bersaglio non vengono rapidamente ristabilite. La conduzione nervosa è anch’essa ridotta. Quando il processo di rigenerazione prende avvio, il diametro assonale riaumenta gradualmente, ma non tornerà mai alle originali dimensioni. Esiste una ben definita interdipendenza tra corpo cellulare del neurone e assone in termini di recupero: il corpo cellulare non può completamente recuperare senza la ricostituzione delle connessioni periferiche funzionali e il calibro finale dell’assone dipende, in buona parte, dal recupero del corpo cellulare; esso reagisce alla lesione assonale in maniera relativamente prevedibile. Entro 6 ore dal trauma, il nucleo migra alla periferia della cellula e diviene di forma irregolare, il volume cellulare si accresce e i corpi di Nissl, piccole masserelle di reticolo endoplasmatico rugoso e ribosomi normalmente presenti nel neurone, si disgregano e si disperdono; tale processo prende il nome di cromatolisi 7. La disorganizzazione degli agglomerati ribosomiali è associata ad un’aumentata sintesi proteica; ciò fa pensare che la cromatolisi, in realtà, rappresenti il primo evidente passo del neurone leso verso una risposta anabolica
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finalizzata alla successiva fase rigenerativa. Questa interpretazione è sostenuta anche dai vari cambiamenti biochimici che si verificano all’interno della cellula neuronale: aumentata espressione del DNA, aumentata sintesi e trasporto nucleo-citoplasmatico dell’RNA e aumentato contenuto proteico cellulare 15. Anche il metabolismo glucidico del neurone si modifica e si assiste ad un incremento dell’uptake cellulare di glucosio, probabilmente al fine di alimentare lo shunt dell’esosomonofosfato attraverso cui la cellula può produrre il ribosio necessario per la sintesi di grandi quantità di RNA. Tutti questi cambiamenti all’interno del corpo cellulare conseguono alla assonotmesi, ma la vera identità del segnale che fa da intermediario tra lesione assonale e reazione neuronale non è stata ancora completamente chiarita 16. Una serie di studi risalenti ai primi anni Novanta e condotti su mollusco (Aplysia californica) ha dimostrato l’esistenza di multipli segnali di lesione che giungono al corpo cellulare: probabilmente il primo avvertimento è dato dai potenziali d’azione prodotti nel sito di lesione per il massivo passaggio di calcio e sodio dal liquido extracellulare all’assoplasma; altri importanti segnali sono l’interruzione del normale trasporto retrogrado di fattori neurotrofici derivati dagli organi periferici (anche detti segnali di lesione negativi), e l’arrivo di nuovi segnali molecolari prodotti a livello del sito di lesione (anche detti segnali di lesione positivi), come MAP-kinasi e citochine infiammatorie 17. Mentre la cellula neuronale subisce questi cambiamenti, ha luogo un’animata risposta proliferativa delle cellule gliali perineuronali, molto probabilmente stimolata in qualche modo dalla stessa cromatolisi. I processi gliali si estendono fino al neurone leso e interrompono le connessioni sinaptiche, probabilmente per isolare il neurone durante la fase di recupero.
La sopravvivenza neuronale non è garantita in caso di lesioni molto gravi. L’incidenza della morte apoptotica nei neuroni dei gangli dorsali a seguito di un’assonotmesi, va dal 20 al 50%. La morte cellulare si verifica più frequentemente se l’assonotmesi è molto vicina al corpo cellulare e nelle lesioni che interessano nervi sensitivi o craniali. Questo processo di apoptosi indotto dalla lesione assonale rimane ancora di difficile comprensione, ma si pensa che le
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condizioni all’interno del microambiente del sito della lesione giochino un importante ruolo 7.
Molto interessanti sono anche gli eventi che si verificano dopo una lesione nervosa periferica nelle strutture nervose centrali. Grazie alla spiccata plasticità dei neuroni si può assistere ad una precoce riorganizzazione dei sistemi motori e somato-sensitivi a più livelli: midollo spinale, tronco encefalico, talamo e corteccia. Ovviamente minore è l’età del paziente, maggiori sono le capacità di adattamento del sistema nervoso centrale, ma anche nell’adulto le cellule nervose hanno ancora una discreta plasticità. Già poche ore dopo l’interruzione della conduzione nervosa, compare un’aumentata eccitabilità a livello dell’area corticale adiacente a quella che rappresenta la regione corporea denervata e si realizza una riorganizzazione della rappresentazione corticale. Per esempio, se la lesione interessa un nervo sensitivo, la corteccia somanto-sensitiva che riceveva impulsi da tale nervo, diviene responsiva a impulsi provenienti dalle regioni corporee vicine ancora innervate. Un processo simile si verifica per lesioni di nervi motori, dove la rappresentazione corticale delle aree vicine si espande a scapito di quella rimasta denervata. Se la lesione nervosa non è grave e la rigenerazione assonale può avvenire, mentre le fibre nervose reinnervano gli originali tessuti periferici, la rappresentazione corticale del nervo ritorna progressivamente alla sua normale configurazione. Quando invece la rigenerazione nervosa avviene in maniera scorretta e conduce a fenomeni di mismatch nervoso, si verificano ulteriori cambiamenti nel mappaggio corticale: per esempio nei primati, superfici cutanee in origine funzionalmente ben definite, come il dito indice o il palmo della mano, vengono ad essere rappresentate attraverso multiple piccole regioni all’interno dell’area corticale del nervo rigenerato 15,18,19
.
Modificazioni a valle della lesione: degenerazione Walleriana e atrofia muscolare
Nel 1850 lo studioso Augustus Waller, dopo aver sezionato i nervi glossofaringeo e ipoglosso di rana, osservò al microscopio gli effetti che la lesione aveva sulla
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porzione distale dei nervi e descrisse dei tipici processi di coagulazione e agglutinazione della mielina in ammassi di varie misure 20. Questo fu il primo passo verso la comprensione della cascata di eventi cellulari e molecolari di disgregazione che interessano tutto il tragitto nervoso posto a valle di una lesione che abbia interrotto la continuità assonale. Proprio in onore di Waller questo processo di smantellamento post-traumatico viene ancora oggi definito “degenerazione Walleriana” (Figura 7).
L’interruzione dell’assoplasma provoca un completo blocco del trasporto anterogrado di sostanze trofiche provenienti dal corpo cellulare e importanti alterazioni del flusso ionico transmembrana: la perdita dell’omeostasi della concentrazione citoplasmatica del calcio riveste un ruolo particolarmente importante. Nel segmento distale alla lesione si verifica un forte aumento del flusso in ingresso di calcio e probabilmente proprio l’innalzamento dei livelli citoplasmatici di questo ione provoca l’attivazione di proteasi che disgregano i neurofilamenti e il citoscheletro, dando inizio alla degenerazione Walleriana 21,22 . Nelle prime 24-48 ore si completa la distruzione delle guaine mieliniche e dell’assoplasma che vengono frantumati in blocchi mielinici di varia forma contenenti frammenti di assoni (“camere di digestione di Cajal”). La disgregazione della mielina procede in senso prossimo-distale a grandissima velocità: 45,6 mm/24 h per le fibre più spesse e 252 mm/24 h per quelle più sottili, secondo gli studi eseguiti su nervo frenico di ratto da Lubinska 23,24. Una volta frammentati, gli assoni e gli involucri mielinici vengono fagocitati dai numerosi macrofagi che vengono reclutati a seguito della lesione lungo tutto il tratto distale del nervo 25. Analisi immunocitochimiche hanno rilevato che dopo lo schiacciamento di un nervo sciatico, le cellule T e i macrofagi infiltrano il sito di lesione entro 2 giorni e diffondono a valle lungo l’intero segmento nervoso a partire dal quarto giorno 26.
Le cellule di Schwann oltre a partecipare al processo di fagocitosi dei detriti assonali 27, proliferano e vanno incontro ad un fenomeno di dedifferenziazione. La proliferazione delle cellule di Schwann è stimolata in parte dagli stessi macrofagi attraverso la secrezione di citochine come l’interleuchina-1 28
e in parte dalla modificazione dei rapporti tra assone e cellula di Schwann a seguito della lesone.
26
Infatti in condizioni normali segnali assonali, attraverso il contatto diretto o per mezzo di molecole diffusibili, regolano l’espressione genica, la proliferazione e la differenziazione delle cellule di Schwann. Questo fine equilibrio viene completamente sovvertito quando si verifica un’assonotmesi. La cellula di Schwann denervata acutamente passa dalla funzione di mielinizzazione alla funzione di supporto degli assoni rigeneranti. Per cui si verifica una down-regulation dell’espressione dei geni delle proteine mieliniche e una up-down-regulation dell’espressione dei geni di fattori di trascrizione, fattori di crescita, citochine, molecole di adesione, recettori di membrana e componenti della membana basale
29. Quando poi, grazie alla rigenerazione nervosa, le cellule di Schwann tornano a
contatto con l‘assone, riconvertono la loro espressione genica e riacquistano la loro normale funzione di cellule produttrici di involucri mielinici 30. All’interno del processo di rigenerazione nervosa le cellule di Schwann svolgono funzioni di guida, sostegno e trofismo dei nuovi assoni. Dopo un’intensa proliferazione queste cellule, aderendo alla propria lamina basale, si allineano formando le cosiddette “colonne di Bϋngner” 31, strutture fondamentali per la rigenerazione, in quanto,
proprio seguendo la direzione delle colonne e aderendo ad esse, i nuovi assoni emergenti possono crescere fino a raggiungere gli organi bersaglio periferici. La lamina basale è sicuramente un altro elemento fondamentale in questi processi, svolgendo la funzione di substrato di adesione per cellule di Schwann e assoni. Essa si comporta come una struttura polarizzata, in cui la superficie interna lega le cellule di Schwann e gli assoni soprattutto grazie alla laminina, mentre la superficie esterna, ricca in fibronectina, aderisce alle strutture connettivali circostanti, come le fibre collagene endoneurali 32,33.
27
Ancora più a valle le cellule muscolari denervate vanno incontro ad un processo di atrofia e di sostituzione fibrosa. A seguito della denervazione le fibre muscolari perdono fino all’80-90% della loro sezione trasversa senza diminuire di numero. Tali cambiamenti iniziano entro una settimana dal trauma. Nella cellula muscolare il nucleo, normalmente disposto perifericamente, migra verso il centro, dando origine alle cosiddette “cellule bersaglio” che si possono trovare nel muscolo denervato. Entro 3 mesi dalla lesione, soprattutto in mancanza di attività o movimento passivo, la fibrosi interstiziale sostituisce gradualmente il tessuto muscolare. Nel giro di 2-3 anni il muscolo è completamente sostituito da tessuto fibroadiposo 34.
1.4
LA
RIGENERAZIONE
NERVOSA
Durante la vita embrionale, i neuroni possiedono un’intrinseca capacità di accrescimento, che viene poi repressa durante la vita adulta per permettere i normali collegamenti sinaptici. Quando si verifica una lesione nervosa, i neuroni ripassano dalla funzione di neurotrasmissione a quella di accrescimento, attraverso una modificazione dell’espressione genica e dell’assetto metabolico. In particolare si verifica un aumento della produzione di actina, tubulina e altre componenti citoscheletriche, mentre la produzione di neurofilamenti, neurotrasmettitori e dei loro recettori viene soppressa 35.
Diversamente da quello che avviene in altri tessuti del corpo umano, la reazione del nervo periferico al danno non implica processi di mitosi e proliferazione cellulare, ma consiste in una riparazione cellulare. Dopo una lesione nervosa, soltanto il segmento assonale distale ormai separato dal resto del neurone, va incontro a degenerazione, mentre il corpo cellulare, sempre che il danno non sia troppo grave, si mantiene in vita e mette in moto il processo di rigenerazione del tratto assonale perduto. La degenerazione Walleriana e la cromatolisi, descritte in precedenza, sono due step fondamentali che precedono e permettono la realizzazione della rigenerazione. La prima crea un microambiente favorevole alla crescita del nuovo assone, mentre la seconda conduce ad un cambiamento del
28
fenotipo cellulare neuronale tale da poter sostenere metabolicamente la rigenerazione nervosa.
La rigenerazione nervosa è un processo complesso ed estremamente delicato a cui partecipano non solo cellule nervose, ma anche cellule di Schwann, cellule infiammatorie, citochine, fattori di crescita e strutture connettivali della matrice extra-cellulare.
La velocità di rigenerazione assonale è molto lenta nelle prime fasi e, soltanto 3-4 giorni dopo la lesione, raggiunge un valore costante. Il primo metodo di misurazione della velocità di accrescimento assonale fu ideato da Tinel, che si accorse che la percussione delle estremità degli assoni rigeneranti evocava delle parestesie. Quindi la velocità della progressione del “segno di Tinel” fornisce una stima della velocità di rigenerazione nervosa. La velocità stimata con questa tecnica va da 1-2 mm/die a 2-5 mm/die. Tecniche più moderne di radiomarcatura hanno rilevato una velocità di rigenerazione nervosa di 3-4 mm/die 36.
Inizialmente da ogni moncone assonale prendono origine numerosi nuovi assoni che possono crescere nel segmento distale degenerato; quando le fibre raggiungono i tessuti periferici, quelle in eccesso vengono gradualmente eliminate
15.
Rigenerazione assonale non è sinonimo di recupero funzionale; dopo la rigenerazione le fibre nervose devono anche maturare adeguatamente per poter avere di nuovo una buona funzionalità. Questi processi di maturazione sono molto lenti e si svolgono in parte durante la rigenerazione e in parte dopo che quest’ultima è già terminata. La rimielinizzazione è uno dei principali fenomeni di maturazione e procede in maniera simile alla mielinizzazione degli assoni durante lo sviluppo fetale: le cellule di Schwann si allineano e si avvolgono intorno alla fibra formando una guaina pluristratificata.
Questo fenomeno comincia entro 2 settimane dall’inizio della rigenerazione assonale e comporta la formazione di assoni mielinizzati simili agli originali, eccetto che per una distanza internodale ridotta. Inoltre il diametro assonale cresce progressivamente fino al raggiungimento delle normali dimensioni, ma questa
29
crescita dipende dalla ricostituzione delle connessioni funzionali tra estremità assonale e organo bersaglio appropriato 7.
1.4.1FUNZIONI DELLE CELLULE DI SCHWANN
L’ambiente che gli assoni trovano a valle della lesione è cruciale per la loro rigenerazione. Un nervo periferico intatto non presenta una crescita assonale efficace come quella di un nervo degenerato, a causa della presenza di molecole inibenti la rigenerazione, come i proteoglicani della matrice extracellulare e i fattori inibitori associati alla mielina. Durante la degenerazione Walleriana i macrofagi e le cellule di Schwann fagocitano tutti i detriti assonali e mielinici, quindi eliminano anche questi fattori che bloccano la rigenerazione e creano un ambiente più favorevole.
Le cellule di Schwann, a seguito della lesione, dedifferenziano, proliferano, perdono le loro classiche funzioni di cellule mielinizzanti e acquistano nuove potenzialità utili alla rigenerazione, quali fagocitosi dei detriti mielinici, reclutamento dei macrofagi, produzione di fattori neurotrofici e neurotropici, sintesi di elementi costituenti la matrice extra-cellulare e formazione delle colonne di Bϋngner, che costituiscono un substrato di adesione ottimale per la crescita degli assoni. Il ruolo chiave delle cellule di Schwann è evidenziato dallo scarso recupero funzionale ottenuto utilizzando un graft nervoso acellulare per riparare un nervo sezionato 37,38. Quando la rigenerazione è avvenuta e l’assone riprende contatto con la cellula di Schwann, questa torna alla sua originale funzione di produzione di involucri mielinici. Quindi è la presenza/assenza del contatto con l’assone che principalmente regola il fenotipo e le funzioni delle cellule di Schwann.
All’interno del gap nervoso gli assoni in rigenerazione affiancati dalle cellule di Schwann crescono formando dei minifascicoli. Ogni minifascicolo risulta costituito da un piccolo gruppo di assoni circondati da almeno uno strato di cellule di Schwann. Questo singolare processo di compartimentalizzazione si estende da un moncone all’altro oppure, se il moncone distale non viene raggiunto, termina formando un neuroma, cioè un ammasso disordinato di fibre nervose e tessuto
30
fibroso. La formazione dei minifascicoli può essere uno strumento per controllare l’ambiente osmotico degli assoni in rigenerazione nei punti in cui il perinevrio è deficitario. Infatti se il perinevrio è intatto i minifascicoli non si formano 30.
1.4.2IL CONO DI CRESCITA ASSONALE
Entro 24 ore dal trauma nervoso, ogni moncone assonale a monte della lesione produce multipli processi e forma un’unità rigenerativa. Ogni processo termina con un rigonfiamento, detto “cono di crescita”, una struttura altamente mobile e dinamica che, per guidare correttamente la rigenerazione assonale, svolge precise funzioni: esplorare l’ambiente circostante in cerca di segnali fisici e biomolecolari e tradurre tali segnali in movimento. Tale movimento quindi non è casuale, ma viene orientato in una direzione ben precisa fino a condurre la fibra nervosa al suo originale bersaglio. Il cono di crescita è sensibile a segnali fisici derivati dal contatto con le cellule di Schwann e la lamina basale, e a stimoli biomolecolari neurotrofici e neurotropici prodotti dalle cellule di Schwann e dai macrofagi. La funzione motoria di avanzamento dei coni di crescita è mediata da complessi processi di polimerizzazione e depolimerizzazione del citoscheletro.
All’interno del cono di crescita, dal punto di vista funzionale e strutturale, si possono distinguere tre parti:
- Il dominio periferico (P-domain) che rappresenta la parte più distale, maggiormente dinamica e ricca soprattutto di filamenti actinici; da esso prendono origine i “lamellipodi”, cioè delle strutture membranose piatte lamellari, da cui originano numerosi filopodi, cioè dei processi digitiformi molto fini. L’actina contenuta in questi processi è estremamente dinamica e subisce continui rimaneggiamenti in base agli stimoli esterni dando luogo a fenomeni di allungamento e accorciamento dei filopodi.
- La zona di transizione (T-zone) che è situata tra P-domain e C-domain. - Il dominio centrale (C-domain) che rappresenta la regione più prossimale
del cono di crescita e il principale sito di polimerizzazione dei microtubuli
31
Il movimento del cono di crescita si articola in tre fasi. Per prima cosa la membrana cellulare protrude in avanti dando origine a lamellipodi e filipodi grazie alla polimerizzazione dei filamenti di actina (fase di protrusione). Poi si ha la fase di ingorgo, in cui i microtubuli stabilizzano i filamenti actinici e permettono agli organelli cellulari presenti nel C-domain di portarsi all’interno delle protrusioni. Infine nelle fase di consolidazione il nuovo segmento assonale viene stabilizzato attraverso la retrazione dell’actina all’altezza del collo del cono di crescita e la definitiva stabilizzazione del citoscheletro 35,40 (Figura 8).
Figura 8. Fasi dell'avanzamento del cono di crescita
1.4.3IL RUOLO DELLA FORZA TENSIVA NELL’ALLUNGAMENTO ASSONALE
Un assone durante lo sviluppo può crescere ed allungarsi anche per decine e decine di centimetri, basti pensare che nell’uomo una fibra nervosa può arrivare a misurare anche più di un metro e addirittura nella balena si possono osservare anche nervi di 30 metri.
L’allungamento assonale è un fenomeno meccanico molto interessante che dipende principalmente dai movimenti dinamici del citoscheletro e dallo sviluppo di forze tensive all’interno della stessa fibra nervosa 41. Infatti durante lo sviluppo
32
nelle prime fasi, dall’avanzamento del cono di crescita, mentre successivamente, quando il terminale assonico ha ormai raggiunto l’organo bersaglio, la tensione è prodotta dall’accrescimento dei segmenti corporei che allontana il corpo cellulare neuronale dai tessuti periferici.
Il cono di crescita della fibra rigenerante o in sviluppo, attratto dagli stimoli biochimici e fisici presenti nell’ambiente circostante, si porta in avanti attraverso la polimerizzazione e la depolimerizzazione degli elementi citoscheletrici. L’avanzamento del cono di crescita mette inevitabilmente in tensione l’assone e proprio questa tensione meccanica, per mezzo di fenomeni di sjgnaling intracellulare ancora non ben chiariti, induce l’allungamento assonale. Da notare che per allungamento non si intende un mero stiramento della fibra, ma una crescita vera e propria con un reale aumento della massa dell’assone; questo è dimostrato anche dal fatto che mano a mano che la lunghezza della fibra sotto tensione aumenta, il calibro non si riduce ma si mantiene tale.
Il primo che comprese l’importanza della tensione meccanica nel processo di allungamento assonale fu Harrison che nel 1935 descrisse questo fenomeno come “allungamento passivo” 42
, mentre pochi anni più tardi Weiss lo definì “towed growth” (“crescita per trascinamento”) 43.
Bray nel 1979 verificò indirettamente l’esistenza di una forza tensiva negli assoni in allungamento 44 e nel 1984 dimostrò che l’applicazione di una tensione meccanica per mezzo di microaghi di vetro inseriti nei coni di crescita, favoriva l’allungamento dell’assone senza ridurne il diametro 45
. Questi dati sono stati confermati anche da altri 46.
Nei vari studi elencati sopra, la forza tensiva veniva comunemente creata applicando all’assone dei microaghi di vetro, ma più recentemente Fass et al hanno introdotto una nuova tecnica che prevede l’uso di piccole sfere magnetiche. Queste piccole particelle sono coperte con anticorpi anti-β1-integrina, in modo che aderiscano alla superficie del cono di crescita assonale, e vengono sottoposte ad una campo magnetico ad alto gradiente 47. Prendendo spunto dalla strategia adottata da Fass, Riggio et al.48 hanno sperimentato in vitro particelle magnetiche in scala nanometrica internalizzate dalle cellule neuronali e sottoposte ad un
33
campo magnetico, dimostrando di poter indurre una tensione che stimola l’allungamento assonale.
Un aspetto importante di tutti questi studi è che le forze tensive sono state applicate a bassi livelli per prolungati periodi di tempo (da ore a giorni). Notoriamente lo stiramento acuto con lo sviluppo di un’alta tensione, come accade in ambito clinico quando larghi gap nervosi sono suturati direttamente, ostacola la rigenerazione assonale 49. Quindi questi risultati indicano che la tensione meccanica, se attentamente controllata, può essere un potente fattore stimolante la crescita assonale 41.
Basandosi proprio sul concetto di allungamento indotto dalla tensione, questo nostro studio vuole dimostrare che, mediante l’utilizzo di MNPs e l’applicazione di un campo magnetico esterno, siamo in grado di creare una forza meccanica attrattiva che guidi il processo di rigenerazione nervosa in vivo.
1.4.4SPECIFICITÀ DEL PROCESSO DI RIGENERAZIONE
Come descritto precedentemente, dopo un’assonotmesi in cui gli involucri connettivali sono ben conservati, il recupero funzionale è in genere buono. Al contrario, nelle assonotmesi di grado elevato e nella neurotmesi la grave alterazione degli involucri comporta frequenti mismatch nervosi e una reinnervazione aberrante dei tessuti periferici con conseguenti pessimi risultati funzionali, indipendentemente dal tipo di tecnica chirurgica adottata per la riparazione. Per esempio, assoni motori efferenti possono essere dirottati verso organi sensitivi, mentre fibre afferenti sensitive verso placche motorie o verso organi sensitivi inappropriati per modalità sensitiva o per collocazione. Di conseguenza le funzioni motorie e sensitive saranno fortemente ridotte o addirittura perse completamente, a seconda della gravità del mismatch. Di fronte a questa problematiche, acquista un rilevante ruolo lo studio della specificità della rigenerazione assonale, cioè la capacità delle fibre nervose di reinnervare gli
34
originali organi bersaglio. Tale proprietà, anche se tutt’altro che perfetta, è stata osservata in diversi studi e la comprensione dei meccanismi che ne sono alla base può essere utile per escogitare dei modi per migliorare tale specificità, ridurre i mismatch nervosi ed ottenere migliori risultati funzionali. Possiamo distinguere:
- specificità tissutale, cioè la crescita preferenziale degli assoni verso il moncone nervoso distale invece che verso altri tessuti circostanti;
- specificità fascicolare, cioè la preferenziale rigenerazione all’interno del fascicolo nervoso originale; questa fu ipotizzata nei primi studi, ma non è mai stata confermata negli studi successivi;
- specificità dell’organo bersaglio, cioè la reinnervazione di organi sensitivi da parte di fibre sensitive e di organi motori da parte di fibre motorie;
- specificità topografica, cioè la capacità dell’assone di reinnervare lo stesso muscolo o lo stesso organo sensitivo che innervava originalmente, invece di altri.
Per quanto riguarda i meccanismi che consentono una specifica reinnervazione degli organi periferici, sono state avanzate diverse ipotesi. Brushart sostiene la teoria della cosiddetta reinnervazione motoria preferenziale (PMR), secondo la quale gli assoni motori rigeneranti di un nervo misto reinnervano selettivamente il tessuto muscolare, attraverso un processo di “potatura” degli assoni motori che hanno erroneamente reinnervato organi sensitivi 50.
La crescita preferenziale degli assoni motori verso i propri bersagli può essere spiegata in vari modi: la produzione di fattori neurotropici che attirano un determinato tipo di assone invece di un altro (neurotropismo), l’espressione di molecole di adesione nel moncone distale e nelle cellule di Schwann che vengono riconosciute selettivamente da assoni motori piuttosto che dai sensitivi o ancora la presenza di fattori neurotrofici che mantengono in vita solo gli assoni motori e non quelli sensitivi (neurotrofismo). Sono comunque necessari ulteriori studi per chiarire meglio la vera natura di questi meccanismi.
35
1.4.5FATTORI BIOMOLECOLARI CHE INFLUENZANO LA RIGENERAZIONE NERVOSA
Fattori neurotrofici e neurotropici
Numerosi studi hanno descritto il ruolo dei fattori neurotrofici nella sopravvivenza neuronale durante lo sviluppo embrio-fetale e durante la rigenerazione nervosa a seguito di una lesione. In condizioni fisiologiche, diverse cellule non-neuronali sintetizzano e secernono molti fattori trofici necessari per il mantenimento dell’omeostasi dei neuroni sani. Le cellule di Schwann e vari tessuti periferici (muscolo, cute, ecc.) presentano una basale produzione di fattori neurotrofici fondamentale per promuovere le normali funzioni dei neuroni sensitivi, motori e autonomici. Dopo una lesione nervosa, nel moncone distale l’espressione dei fattori neurotrofici aumenta nel tentativo di sostenere la sopravvivenza e la crescita degli assoni rigeneranti e la reinnervazione dei tessuti denervati. I loro livelli ritornano normali a rigenerazione avvenuta, ma in caso di una cronica denervazione la produzione di fattori neurotrofico può mantenersi fino a 6 mesi dopo la lesione 35.
Dal punto di vista teorico si possono distinguere due funzioni principali di questi fattori: una funzione neurotrofica vera e propria, cioè di preservazione del neurone dalla morte cellulare, e una funzione neurotropica, cioè di attrazione dell’assone rigenerante attraverso la creazione di un gradiente di concentrazione che guidi la crescita nella giusta direzione. Dal punto di vista pratico, invece, risulta molto difficile distinguere fattori neurotrofici e fattori neurotropici, dal momento che la maggior parte delle molecole sembra svolgere entrambe le funzioni.
Le neurotrofine rappresentano la famiglia di fattori neurotrofici più importante. Si tratta di peptidi strutturalmente e funzionalmente correlati che esercitano potenti effetti sulla sopravvivenza e sulla differenziazione di varie popolazioni neuronali nel SNC e nel SNP.
NGF (nerve growth factor), il prototipo di questa famiglia, fu isolato, purificato e identificato nei primi anni 50 da Stanley Cohen, Viktor Hamburger e Rita Levi-Montalcini 51. Circa trent’anni più tardi fu scoperta una seconda molecola