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La Vita Indipendente non è un caso. Una valutazione di tre modelli d'intervento sperimentali per la Vita Indipendente delle persone con disabilità, utilizzando la Valutazione Basata sulla Teoria.

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UNIVERSITA' DI PISA Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea magistrale in Sociologia e management del servizio sociale LM-87

TESI DI LAUREA

La Vita Indipendente non e' un caso.

Una valutazione di tre modelli d'intervento sperimentali per la Vita Indipendente delle persone con disabilita', utilizzando la Valutazione Basata sulla Teoria.

RELATORE Prof. Gabriele TOMEI

CANDIDATO Ivan GALLIGANI

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INDICE

Introduzione...3

Cap. 1 – Quadro concettuale …...4

1.1 - Il diritto alla Vita Indipendente e la “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”...4

1.2 - L'evoluzione dei paradigmi di studio della disabilità...7

1.3 - Alcune dimensioni salienti nella letteratura sulla qualità di vita della persona disabile...13

Cap. 2 – Quadro delle policy...17

2.1 - La Vita Indipendente nella legislazione e negli atti di programmazione in Italia e Toscana...17

2.2 - I riferimenti programmatici e normativi specifici dei progetti della D.G.R.T. 1413/2016...23

2.3 - Una sintesi dell'evoluzione della normativa in rapporto allo sviluppo delle nuove concezioni sulla disabilità e sulla Vita Indipendente...29

Cap. 3 – Riferimenti metodologici...31

3.1 - La pratica della valutazione...31

3.2 - La valutazione basata sulla teoria...35

3.3 - La ricostruzione della teoria del programma...42

Cap. 4 – La valutazione dei modelli sperimentali della DGRT 1413/2016...47

4.1 - Obbiettivi e disegno della ricerca...47

4.2 - Descrizione dei contesti delle tre SdS...49

4.3 - Il modello di progetto del Decreto Direttoriale 276/2016...50

4.4 - I tre progetti della DGRT 1413/2016...55

4.5 - Discussione sull'allocazione delle risorse (input) nei tre progetti...69

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4.7 - Le ricostruzione delle teorie del programma...77

4.7.1 – Una teoria del programma per la valutazione multidimensionale...77

4.7.2 - Le teorie del programma dei progetti delle SdS...80

4.8 – Il confronto delle teorie del programma della Vita Indipendente...88

Conclusioni. Il giudizio valutativo...94

Bibliografia...100

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Introduzione

La seguente tesi si occupa della valutazione di programmi di tre Società della Salute toscane predisposti per garantire l'esigibilità del diritto ai Progetti per la Vita Indipendente per persone con disabilità.

Tali progetti sono stati approvati ed avviati con la DGRT 1413/2016, rispondendo alla proposta di sperimentazione di un modello d'intervento innovativo in materia di Vita Indipendente per le persone con disabilità, emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il Decreto Direttoriale 276/2016.

La valutazione opererà su tre differenti progetti, sviluppati in tre diverse Zone-distretto toscane, al fine di valutare la plausibilità delle configurazioni progettuali, cui sottendono diverse ipotesi causali di attivazione di meccanismi trasformativi, in funzione degli obbiettivi indicati nella normativa e nei riferimenti programmatici, che riprendono e mettono in pratica le enunciazioni della Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006).

Attraverso tale analisi comparativa verranno delineate ipotesi riguardanti il modello d'intervento ritenuto più plausibile nel promuovere il diritto alla Vita Indipendente per le persone con disabilità. Il metodo e gli strumenti di valutazione impiegati rimandano all'approccio della “Valutazione basata sulla teoria” (Stame, 2016) e al costrutto di “Teoria del Programma”(Weiss, 1998).

Prima di passare alla parte relativa alla descrizione e valutazione dei programmi verrà di seguito descritto un quadro generale sui concetti di Vita Indipendente e disabilità, in modo da ricostruire il quadro concettuale e scientifico che fa da contesto agli specifici programmi oggetto di valutazione. Tale sintesi sarà utile anche in fase di valutazione, come pietra di paragone per la valutazione dell'adeguatezza dei programmi.

Successivamente verrà sviluppata un'analisi del quadro delle policy indirizzate alla garanzia nella pratica del diritto alla Vita Indipendente, seguendo il percorso normativo che porta dalla “Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità” (ONU, 2006), fino al decreto della Giunta della Regione Toscana (DGRT 1413/2016), attraverso cui vengono approvati ed avviati i programmi oggetto di valutazione.

Nel terzo capitolo verranno chiariti i riferimenti metodologici, legati principalmente alla “Valutazione basata sulla teoria” (Stame, 2016) e al costrutto di “Teoria del Programma”(Weiss, 1998).

Infine nel quarto capitolo avverrà la fase di valutazione vera e propria. Verranno descritti i programmi oggetto di studio e saranno ricostruite le teorie del programma che sottostanno ai vari progetti presentati dalle tre diverse SDS, utilizzate come strumento di valutazione.

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Cap. 1 – Quadro concettuale

1.1 – Il diritto alla Vita Indipendente e la “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”

Il concetto di Vita Indipendente nasce in seno al movimento Indipendent Living sviluppato alla fine degli anni sessanta in California, promosso da alcune associazioni di promozione dei diritti delle persone disabili (Fischetti, 2015).

Il concetto di Vita Indipendente è uno degli elementi fondamentali dell'insieme di rivendicazioni delle persone con disabilità proponenti il cosìddetto modello sociale della disabilità. Tale prospettiva spinge verso il riconoscimento dei diritti e l'emancipazione delle persone disabili, individuando nelle condizioni sociali, e non nelle “menomazioni” del singolo, le cause di esclusione che i disabili sperimentano nella vita di tutti i giorni: “Io non posso usare i trasporti pubblici nella maggior parte dei paesi. Questo accade perché ho avuto la polio una trentina d’anni fa oppure perché gli autobus sono costruiti senza considerare i bisogni di tutti gli utenti? Fino a quando la società continua a credere che il problema risiede in me, non ci saranno bus accessibili.” (Ratzka, 1997).

La Vita Indipendente presuppone dunque il riconoscimento delle barriere e delle limitazioni che impediscono ai disabili di godere dei diritti garantiti a tutta la comunità, e richiede l'impegno di tutta la società per eliminare tali barriere e garantire l'uguaglianza (Napolitano, 2007).

In particolare la Vita Indipendente riguarda il diritto all'autodeterminazione, il diritto a compiere le decisioni concernenti la propria vita, dalle più piccole alle più importanti, con le sole limitazioni che hanno le persone senza disabilità (Enil, 2007). Il diritto ad una vita senza impedimenti ragionevolmente evitabili, nel lavoro, nella vita domestica, nelle relazioni familiari e amicali, secondo il principio di pari opportunità e non-discriminazione (Ratzka, 1997; Fischetti, 2015). Il diritto alla Vita Indipendente riguarda tutte le persone disabili, indipendentemente dalla causa della disabilità e a qualunque livello di autonomia, in quanto riguarda la promozione dell'uguaglianza di opportunità per tutti i cittadini, indipendentemente dalle differenze individuali (Ratzka, 1997).

Gli elementi fondamentali che sostanziano il diritto alla vita indipendente spingono verso il rifiuto verso ogni tipo di istituzionalizzazione, connessi al diritto di decidere della propria vita e a quello di scegliere liberamente dove e con chi abitare (Fischetti, 2015).

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origine. L'indipendenza infatti non va certo intesa come atomizzazione, ma come condizione che pur riconoscendo l'interdipendenza fra tutte le persone, permette il dispiegarsi della capacità del soggetto di progettare autonomamente la propria vita (ed assumersi le conseguenti responsabilità) e seguire le proprie aspirazioni, anche al di fuori (se lo si desidera) del proprio contesto familiare (Napolitano, 2007 ; Fischetti, 2015 ).

In quest'ottica rientra anche la rivendicazione del diritto alla figura dell'assistente personale, in sostituzione del caregiver, sovente un familiare, in modo da garantire l'autonomia non solo alla persona con disabilità ma anche ai familiari (Enil, 2007 ; Fischetti, 2015).

Inoltre l'indipendenza si esprime nella relazione fra persona e il proprio contesto. Certamente si sviluppa nel rapporto interno con il proprio Sé, tra il Sé e le relazioni prossimali (affetti, autonomia-dipendenza, etc), e nel prendersi per le proprie scelte e le proprie responsabilità nella partecipazione al contesto socio-economico e culturale (mondo del lavoro, istituzioni, etc) (Napolitano, 2007).

Ma si esprime sopratutto anche nella costruzione collettiva della capacità di rivendicare autonomamente i propri diritti (Ratzka, 1997). Oltre a rivendicare, verso professionisti e policymakers, la propria competenza non solo sulle decisioni ma anche rispetto alla conoscenza e consapevolezza della propria condizione, in quanto soggetti che sperimentano una conoscenza di prima mano della condizione disabile (idem).

A tal fine è riconosciuta l'importanza del sostegno alla pari e della diffusione di Centri per la Vita Indipendente, come strumento di condivisione di conoscenze, supporto reciproco, ed azioni di mainstreaming1 e advocacy2 verso la società e le istituzioni (ibidem).

Il concetto di Vita Indipendente ha trovato negli anni largo consenso, venendo inserito come uno dei diritti riconosciuti dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità” (ONU, 2006), ratificata dalla Repubblica Italiana con la legge 18/09.

La Convenzione si basa sui principi del rispetto della dignità umana e sulla promozione della piena partecipazione e inclusione sociale, attraverso la garanzia della non discriminazione, delle pari 1 Per mainstreaming si intende l'inclusione e l'attenzione alle tematiche legate alla disabilità in ogni ambito di legislazione, non esclusivamente nei settori specificamente indirizzati alle persone con disabilità (Grifo, 2005)

2 Una definizione completa di advocacy, che restituisce la disposizione dei servizi di assistenza alla promozione dei diritti degli utenti: “L’advocacy è l’azione del parlare a sostegno delle preoccupazioni o dei bisogni dell’uomo. Quando le persone sono in grado di parlare per sé, l’advocay è finalizzata ad assicurarsi che le persone vengano ascoltate; quando hanno difficoltà a esprimersi, l’advocacy si propone di aiutarle; quando infine non sono in grado di farlo per nulla, significa sostituirsi e parlare per loro conto” (Herbert, 1989, p.49)

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opportunità e dell'accessibilità ai servizi secondo il principio di uguaglianza ed equità (The Lancet, 2009a).

La Convenzione esprime una visione della disabilità incentrata sul ruolo della società come fattore decisivo nel determinare condizioni di isolamento e deprivazione dei disabili (Bellanca, Biggeri, 2011) e obbliga gli aderenti a promuovere il superamento delle condizioni discriminanti come strategia imprescindibile per la garanzia dei diritti umani (ANFFAS, Caserta et al, 2015).

La Convenzione ONU all'articolo 19 enuncia il diritto alla “Vita Indipendente ed inclusione nella società” (ONU, 2006):

“Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che:

1. le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione;

2. le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione;

3. i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.

Gli elementi dell'articolo 19, e le prescrizioni che ne derivano verranno più ampiamente discussi nel secondo capitolo, comunque è possibile già da subito notare come la Convenzione riprenda chiaramente quelli che sono i punti fondamentali (precedentemente riportati) rivendicati nelle battaglie per i diritti alla Vita Indipendente.

La riaffermazione del diritto all'uguaglianza e il diritto alla libera scelta del luogo e del contesto in cui vivere (punto 1), superando definitivamente il concetto di istituzionalizzazione e segregazione, anche nelle forme più intermedie (come piccole comunità e/o forme di coabitazione) (Fischetti, 2015). Con tutti i corollari, a livello di servizi e sostegni da predisporre, per adempiere a tale obbligo.

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inoltre un cambiamento sostanziale a livello di tutta l'organizzazione sociale, mettendo in campo un variegato insieme di servizi basati sulla comunità (idem), che promuovano l'eliminazione di tutte le barriere presenti all'esercizio dei diritti delle persone disabili (punto 3).

1.2 - L'evoluzione dei paradigmi allo studio della disabilità

Nel mondo vi sono 650 milioni di persone che sperimentano varie forme di disabilità (The Lancet, 2009b).

La definizione di disabilità cambia però in base alla lente utilizzata per analizzare le molteplici esperienze definibili appunto come forme di disabilità.

La disabilità, e più in generale la salute delle persone, è una condizione o esperienza di vita che assume un significato specifico all'interno di uno specifico sistema sociale, che a vari livelli (micro-meso-macro) costituisce il contesto, medico, politico, socio-economico, in cui salute e malattia si manifestano, vengono analizzate, classificate e gestite, dal sistema di tutela collettiva della salute (Genova, 2008 p 12-16.).

Il contesto quindi è l'insieme dei vincoli all'azione, delle risorse attivabili e delle prassi sociali in cui si esprimono le condizioni e l'agire individuali, che interagiscono con il sistema di analisi (diagnosi) e classificazione delle condizioni di salute della persona, ovvero conoscenze e prassi scientifiche e assunti ideologici prevalenti, interagendo inoltre con l'insieme delle risorse (sociali) e delle policy (politico-istituzionali) predisposte dal sociale organizzato a tutela della salute della popolazione (idem).

Con lo sviluppo delle moderne conoscenze scientifiche e dei moderni sistemi di welfare, il sistema collettivo di tutela delle condizioni di salute, specificamente in questo caso per le persone disabili, è stato costruito passo per passo attraverso il riconoscimento delle istanze delle persone con disabilità, connesse allo sviluppo del più ampio ambito dei diritti sociali di cittadinanza, interagendo con l'evoluzione di differenti approcci-paradigmi indirizzanti l'analisi delle condizioni di salute e disabilità.

Per quanto riguarda l'evoluzione dei paradigmi guidanti lo studio, e le pratiche di “gestione”, della condizione disabile, è possibile identificare un graduale passaggio, favorito da un progressivo riconoscimento delle istanze dei portatori di disabilità, da una visione della disabilità come caratteristica, menomazione, individuale, al consenso verso una moltitudine di punti di vista che riconoscono sempre più il ruolo del contesto sociale come fattore fondamentale della produzione effettiva di disabilità delle persone.

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Fino agli anni settanta del secolo scorso le concezioni di salute e disabilità sono incentrate prevalentemente sul così detto modello individuale o medico.

Il modello medico manifesta un approccio di tipo negativo , in cui la disabilità è vista come una devianza rispetto alla norma, in termini di normali funzioni psico-fisiche (Dubois, Trani, 2009). Tale devianza si caratterizza come una menomazione delle possibilità di azione della persona che porta a una riduzione della qualità di vita e delle possibilità di partecipazione al contesto sociale (Biggeri, Bellanca, 2011).

Questo modello è definito anche “individuale” perché considera la disabilità come risultato di caratteristiche intrinseche della singola persona, ovvero delle sue condizioni di salute, da cui derivano le limitazioni all'attività e le necessità di assistenza medica e sociale (OMS, 2001).

L'approccio di gestione delle condizioni di disabilità è conseguentemente improntato alla compensazione delle restrizioni individuali alle normali attività di vita dovute alle menomazioni, attraverso la cura e/o contrasto degli effetti delle stesse e all'apprendimento o modificazione di comportamenti individuali funzionali, con una netta prevalenza dell'approccio medico-riabilitativo (Biggeri, Bellanca, 2011; OMS, 2001).

Le problematiche principali del modello medico possono essere dunque ricondotte al suo non prendere in considerazione il ruolo esercitato dal contesto sull'effettiva esperienza della disabilità. Non considerando quindi le barriere e le facilitazioni all'accesso a risorse sociali, economiche e di servizi, e al più generale ambiente socio-culturale (attitudini, prassi, norme, istituzioni) che concorrono a determinare l'esperienza effettiva della disabilità (Ratzka, 1997 ; Dubois, Trani, 2009), così come concorrono a determinare il benessere e la salute più in generale (cd.“determinanti di salute”) (Genova, 2009 p.60-82).

Sull'onda delle rivendicazioni sociali e politiche delle persone disabili (Ratzka, 1997 ; Barnes, 2008), a partire dagli anni ottanta il modello sociale della disabilità pone un'istanza di superamento dell'individualismo riduzionista proprio del modello medico, focalizzandosi sulle condizioni sociali che impediscono l'esercizio dei diritti umani per le persone con disabilità.

Il focus è quindi sulle barriere e le limitazioni, presenti nella società, che impediscono la partecipazione alla vita sociale in condizioni di uguaglianza con gli altri cittadini: “La disabilità è un qualcosa che viene imposto alle nostre menomazioni dal modo in cui siamo ingiustificatamente isolati ed esclusi dalla piena partecipazione sociale [...]; le persone con disabilità sono perciò un gruppo sociale oppresso”(Marra, 2009).

Il modello sociale di analisi della disabilità rigetta la prospettiva individualizzante del modello medico e la concezione di menomazione come devianza rispetto a una norma di funzionamento

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(Dubois, Trani, 2009).

Mentre il modello medico assume una prospettiva da taluni definita “essenzialista”, il modello sociale della disabilità afferma un approccio di stampo “costruttivista” (Winance, 2016), dove la disabilità è derivata, piuttosto che dalle caratteristiche individuali, da pratiche di esclusione e discriminazione; dall'occupare una posizione sociale svantaggiata in un sistema che non riesce a garantire l'uguaglianza sostanziale.

In questa prospettiva infatti la disabilità è l'esito del processo di mutua interazione fra le caratteristiche dell'individuo e quelle dell'ambiente (fisico, sociale, etc), costituito come insieme di vincoli e risorse, atteggiamenti e pratiche di inclusione ed esclusione (Marra, 2009; Winance, 2016). Questo processo concorre a trasformare una caratteristica individuale in un elemento sufficiente a produrre una effettiva limitazione all'agire, dunque una disabilità, a causa dell'incapacità della società di “accogliere la differenza nei funzionamenti umani” (Biggeri, Bellanca, 2011, p.24) e garantire il raggiungimento dei medesimi livelli di funzionamento a persone con capacità individuali differenti.

E' quindi un fallimento o mancanza del contesto sociale, e non dell'individuo, a produrre una mancanza di integrazione e dunque esclusione e disabilità (OMS, 2001).

In maniera simmetricamente opposta rispetto al modello medico-individuale, il modello sociale attribuisce alla società nel suo complesso, piuttosto che all'intervento sul singolo, la responsabilità principale di contrastare le conseguenze negative delle differenze nei funzionamenti (la disabilità), attraverso un adattamento del contesto sociale alle differenze individuali (e non il contrario). Passando dal riconoscimento e tutela dei diritti delle persone, così come agendo sulla sfera degli atteggiamenti, della cultura e delle pratiche di partecipazione, inclusione e anti-discriminazione (Barnes, 2008; Dubois, Trani, 2009; Winance, 2016).

Il modello bio-psico-sociale supera la dualità fra società e individuo e fra salute e malattia, riconoscendo come nel corso della vita di ognuno non sia possibile sperimentare pienamente momenti di perfetta salute o di totale menomazione, ma ci si posizioni, a seconda delle fasi, lungo un continuum di salute che oscilla fra il minore o maggiore possesso di funzionamenti (Biggeri, Bellanca, 2011).

Il modello standard internazionale di valutazione delle condizioni di salute dell'O.M.S., l'International Classification of Functionings (OMS, 2001), assume tale prospettiva, superando l'approccio fortemente bio-medico del precedente strumento della stessa organizzazione internazionale “Classificazione Internazionale di Menomazioni, Disabilità ed Handicap” (ICIDH), (OMS, 1980), ridefinendo il concetto di disabilità ed abbandonando quelli di menomazione e

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handicap (Marra, 2009).

Il nuovo sistema e si costituisce come strumento di analisi delle diverse componenti della salute della persona (OMS, 2001). Lo strumento tiene in considerazione le dimensioni intra-individuale, inter-individuale e contestuale (meso e macro-sistema) dei funzionamenti della persona, attraverso l'analisi delle condizioni di salute (dimensione bio-organica), dei funzionamenti relativi alle attività di vita e alla partecipazione sociale, fino al contesto più allargato dei fattori ambientali (il contesto fisico-spaziale, contesto culturale, i servizi, etc) che interagiscono con le altre dimensioni della salute come facilitatori o limitazioni/barriere.

In questa prospettiva la salute e la disabilità sono visti come prodotto dell'interazione dinamica fra le condizioni di salute individuali e i fattori contestuali-ambientali, e nello specifico la disabilità si caratterizza in quanto limitazione alle attività e restrizioni alla partecipazione sociale.

E' da segnalare inoltre l'apporto allo studio sulla condizione disabile dato dal Capability Approach. Sviluppato dal lavoro del filosofo ed economista indiano A.Sen e dalla filosofa americana M.Nussbaum si costituisce come framework teorico generale per lo studio della libertà e del Ben-Essere (“well-being”) della persona, oltre che del livello di giustizia sociale in una determinata società.

Gli elementi principali del Capability Approach sono i costrutti teorici di functioning e capability. I funzionamenti possono essere definiti come stati di essere e di fare che la persona riesce a realizzare per soddisfare i propri bisogni ed accrescere il proprio benessere (Sen, 1994).

I funzionamenti non si risolvono nel mero possesso di determinate risorse, o nella disponibilità di determinati servizi, ma dipendono dalle capacità di conversione delle risorse in effettive realizzazioni, in termini di utilità effettiva, di ogni singola persona (Sen, 2001 ; Matutini, 2013). Le problematiche legate alla difficoltà di conversione (Bickenbach, 2013) delle risorse in funzionamenti effettivi è una tematica centrale per lo studio dell'esperienza disabile, in quanto i disabili, a parità di risorse con altri soggetti non-disabili, riescono a ricavare meno utilità dalle stesse, a causa delle maggiori barriere che si trovano ad affrontare. Ne deriva che, come già evidenziato dallo stesso A.Sen (Robeyns, 2006), le persone disabili hanno necessità di maggiori input in termini di capability per raggiungere l'eguaglianza sostanziale di opportunità con i non-disabili (ANFFAS, Caserta et al, 2015).

Come esempio di questa constatazione si può citare la tendenza delle persone disabili a essere meno remunerati per il proprio lavoro, a parità di mansione, nonostante essi abbiano bisogno di sostenere maggiori costi (es .acquisto di ausili) per raggiungere gli stessi funzionamenti di un altro lavoratore non disabile (Robeyns, 2006).

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L'insieme dei funzionamenti raggiunti, e di quelli potenzialmente raggiungibili in base alla volontà e libertà effettiva di scelta della persona, costituiscono il capability set dell'individuo, ovvero la reale capacità della persona di esercitare la propria libertà e perseguire il proprio benessere (Sen, 2001).

Analizzare la disabilità attraverso gli strumenti del Capability Approach permette di ampliare lo sguardo oltre la constatazione delle menomazioni e delle conseguenti limitazioni sulle attività e sull'autonomia della persona, includendo nell'analisi la dimensione della libertà di scegliere come perseguire il proprio benessere, e le condizioni necessarie all'esercizio di tali diritti (Biggeri, Bellanca, 2011).

Seguendo quest'ottica è possibile notare come la disabilità effettiva possa essere considerata non come risultato delle menomazioni, ma come una sostanziale carenza nel capability set individuale (Robeyns, 2006), rispetto cui le menomazioni rivestono certamente un ruolo rilevante, ma non fino ad essere individuate come causa esclusiva.

L'insieme delle capability è infatti costituito non solo dai funzionamenti riferibili strettamente ad ogni singolo individuo, ma anche dalle risorse, e funzionamenti, attivabili attraverso la dimensione relazionale (i vari livelli di capitale sociale) (Migheli, 2011), costituenti le cosiddette social capabilities (Dubois, Trani, 2009), e quelle attivabili attraverso varie forme di azione collettiva (collective capabilities) (Phillips, 2011). Nell'insieme più esteso, ma non per questo meno stringente, vanno considerate anche le risorse, le facilitazioni e le opportunità attivabili dal contesto sociale istituzionale e culturale, includendo quindi l'insieme dei servizi di sostegno pubblici e l'insieme di pratiche e conflitti (anche fra gruppi di interesse) determinanti inclusione/esclusione sociale (Dubois, Trani, 2009).

Il capability approach dunque riconosce l'importanza del processo di interazione fra caratteristiche individuali e contesto sociale nella produzione dell'esperienza della disabilità (Biggeri, Bellanca, 2011), implementando l'attenzione sulla sfera della libertà e delle possibilità di scelta come costituente del benessere individuale. Colmando alcune delle lacune riconosciute dell'ICF come la scarsa considerazione delle componenti dell'agency della persona e delle concrete condizioni socio-economiche in cui la stessa si trova a compiere le proprie scelte e sperimentare forme di limitazione e compressione effettiva dei propri diritti (Bickenbach, 2013 ; Dubois, Trani, 2009 ; Biggeri, Bellanca, 2011).

Infine devono essere considerati gli apporti allo studio sulla disabilità derivanti dal filone di studi legato all'approccio ecologico alla disabilità (AAIDD; Luckasson et al, 2002), inserito nel più ampio contesto degli studi sulla Qualità di Vita.

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In questo approccio la disabilità viene considerata come limitazione dei funzionamenti umani (attività, partecipazione sociale, etc), esito del rapporto fra le caratteristiche della persona (manifestazione delle differenze nella natura umana), il sistema dei fattori ambientali (supporto e opportunità sociali, etc) attivabili, e l'insieme dei sostegni disponibili (pratiche professionali, tecnologie, ausili, etc), che fungono da mediatori tra le caratteristiche dell'individuo e gli esiti in termini di funzionamento (Buntinx, Schalock, 2010).

Le dimensioni che l'approccio ecologico ritiene rilevanti per la qualità di vita della persona disabile, come (fra gli altri), sviluppo personale, autodeterminazione, inclusione sociale e benessere fisico, trovano peraltro precisa corrispondenza con le dimensioni deducibili dagli articoli della Convenzione ONU (Verdugo et al, 2012)

L'approccio viene definito ecologico proprio per l'attenzione alle caratteristiche situazionali del contesto in cui la persona è immersa, che si costituisce come insieme di barriere e sostegni alla partecipazione della persona alla vita sociale (ANFFAS, Caserta et al, 2015).

Le strategie di sostegno si sostanziano non solo come sostegni di tipo tecnico, come le tecnologie assistive, i supporti protesici e le pratiche professionali d'aiuto, ma possono essere definiti come l'insieme delle strategie e risorse che promuovono il benessere della persona disabile, potenziandone i funzionamenti (Buntinx, Schalock, 2010). Tali “sostegni” devono operare in connessione con i “fattori ambientali” (relazioni, supporto sociale, servizi istituzionali, etc) della persona nel proprio contesto (ANFFAS, Caserta et al, 2015 ; Claes et al, 2012).

La valutazione della salute e del benessere, non può prescindere dunque da una prospettiva d'analisi olistica che vada oltre la classificazione e rilevazione di dimensioni e indicatori standard, e che guardi all'integrità e all'unicità della persona, nelle sue caratteristiche individuali e nella complessità del suo specifico e concreto contesto esperienziale (ANFFAS, Pati, 2015).

La partecipazione intesa come percezione della propria posizione e della propria connessione con il contesto sociale e culturale di riferimento è uno degli elementi cardine della definizione di Qualità di Vita (ANFFAS, Caserta et al, 2015), che integra alla dimensione bio-funzionale (la salute), la dimensione socio-relazionale e le aspettative sul raggiungimento dei propri obbiettivi di vita (agency).

Analizzando infine le connessioni fra l'evoluzione dei paradigmi medico-scientifici e l'affermazione dei principi della Vita Indipendente è possibile individuare importanti connessioni, dovute presumibilmente ad un'interazione reciproca, fra il processo di affermazione dei diritti dei disabili e lo sviluppo dei paradigmi scientifici orientati alla disabilità.

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critica di rivendicazioni che hanno portato al passaggio dalla prevalenza del modello medico o individuale verso il modello sociale della disabilità.

Tale passaggio è sancito anche dalla definizione di disabilità fatta propria dalla stessa convenzione ONU, che definisce la disabilità come: “(..) results from the interaction between persons with impairments and attitudinal and environmental barriers that hinders their full and effective participation in society on an equal basis with others” (OMS, 2006). Rimarcando il ruolo decisivo dato dal contesto sociale (barriere e facilitazioni) per la determinazione della effettiva condizione disabile.

Il modello bio-psico-sociale permette di analizzare chiaramente il rapporto fra le varie dimensioni componenti la salute della persona, in rapporto ai funzionamenti che sostanziano l'esperienza del vivere in salute.

L'approccio delle Capabilities offre invece un supporto filosoficamente robusto per l'enfasi sull'importanza della libertà di scegliere, di autodeterminarsi, e delle condizioni necessarie per l'esercizio di tale diritto come elemento imprescindibile del ben-essere della persona.

L'approccio ecologico, oltre a rimandare al rapporto fra persona e contesto, e tradurre in dimensioni operative i contenuti della Convenzione ONU (Verdugo et al, 2012), evidenzia analiticamente l'importanza dei “sostegni” e dei fattori ambientali come elementi mediatori nel processo che porta l'insieme delle caratteristiche personali a produrre limitazioni nei funzionamenti effettivi.

1.3 - Alcune dimensioni salienti nella letteratura sulla qualità di vita della persona disabile

Gli studi sulla disabilità hanno apportato negli anni contributi interessanti all'analisi di alcune dimensioni specificamente salienti per la vita indipendente, ad esempio attraverso l'analisi del rapporto fra qualità di vita, autonomia, autodeterminazione.

L'enfasi posta dall'approccio ecologico alla disabilità sui “sostegni” come elementi mediatori fra la caratteristiche individuali e la carenza di funzionamenti, e dunque di qualità di vita, ritrova importanti conferme in letteratura (ANFFAS, Claes, 2015).

Il concetto di bisogno di sostegni individuali rimanda alla constatazione che il funzionamento della persona è determinato dalla congruenza tra la capacità della persona e le richieste dell'ambiente, ed enfatizza il ruolo delle strategie di sostegno e del supporto sociale, come facilitatori del funzionamento e della partecipazione (Claes et al, 2012).

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Le differenze, innanzitutto nei contesti, oltre che nelle persone, necessitano calibrazioni specifiche, sia in termini qualitativi (tipologie) che quantitativi (estensione e intensità) di sostegni (Buntinx, Schalock, 2010).

Rendendo chiara la necessità della personalizzazione e de-standardizzazione delle strategie di sostegno, nella logica del supporto alla progettualità individuale della persona-nel-contesto (contesto di capacità, barriere, facilitazioni, relazioni) e in coerenza con le proprie specifiche ambizioni di vita.

Oltre che con i così detti sostegni, la qualità di vita della persona disabile tende a correlare (tra gli altri) anche con il livelli di autodeterminazione, possibilità di scelta, partecipazione e integrazione sociale (ANFFAS, 2015). Peraltro tra queste dimensioni si ha un evidente meccanismo di rinforzo reciproco (Wehmeyer, Bolding, 2001 ; Nota et al, 2007)

Partecipazione e/o integrazione sociale sono ritenuti fra i più importanti facilitatori per il benessere della persona, garantendo possibilità di ricevere sostegno, materiale ed emotivo, e come elemento che permette soddisfacimento dei bisogni di socialità (ANFFAS, 2015). Oltre che modalità fondamentale di esprimere la propria individualità e sentirsi membro attivo della società (Power, Bartlett, 2015) .

La socialità e la percezione della propria connessione con il contesto relazionale tende a far aumentare l'autostima e contribuisce a creare opportunità e capacità di espressione di sé stessi e di prendere decisioni, favorendo dunque le potenzialità di autodeterminazione (Verdonshot et al, 2009 ; Hästbacka, Nygård, Nyqvist, 2016)

La partecipazione sociale della persona disabile trova nella società diverse tipologie di barriere. L'accessibilità ai luoghi e ai servizi e la mobilità della persona sono le barriere di tipo fisico-funzionale più ricorrente (Verdonshot et al, 2009 ; Hästbacka, Nygård, Nyqvist, 2016). Talvolta anche i costi aggiuntivi connessi alle attività legate alla partecipazione possono costituirsi come ostacolo, specie nell'ambito lavorativo (Hästbacka, Nygård, Nyqvist, 2016 ; Robeyns, 2006).

Ma la più consistente tipologia di barriera alla partecipazione e dunque all'integrazione è legata agli atteggiamenti presenti nella società e delle persone nei confronti dei disabili (Hästbacka, Nygård, Nyqvist, 2016). Costituendosi non solo come elemento di sfiducia e/o discriminazione nei confronti del portatore di disabilità, ma anche come freno al riconoscimento delle capacità e della titolarità di autodeterminazione della persona (Ratzka, 1997). Anche nel senso di riconoscimento delle capacità di mettere a frutto le proprie potenzialità e di partecipare attivamente nel mondo del lavoro (Hästbacka, Nygård, Nyqvist, 2016).

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Il supporto alla partecipazione dunque passa per la trasformazione degli elementi di limitazione (accessibilità, costi, atteggiamenti) in elementi di rinforzo della stessa, attraverso il riassetto istituzionale e il cambiamento degli atteggiamenti sociali.

L'autodeterminazione interessa anzitutto per una questione di riconoscimento delle capacità di determinarsi della persona e della garanzia dei diritti di uguaglianza (Enil, 2007). Specificamente legata alla facoltà di esercizio della libertà di scegliere, e di coltivare le proprie aspirazioni, come fattore e indicatore cardine del ben-essere della persona (Sen, 2001 ; Biggeri, Bellanca, 2011 ; Biggeri et al, 2011 ; Wehmeyer, Bolding, 2001).

L'esercizio dell'auto-determinazione è riconosciuto come fattore fondamentale della qualità di vita (Lachapelle et al, 2005 ; Buntinx, Schalock, 2010) e interagisce in direzione positiva con molti altri aspetti della vita della persona, come l'autostima e la titolarità percepita alla partecipazione e l'integrazione sociale (Nota et al, 2007)

L'autodeterminazione è strettamente connessa anche ai processi di de-istituzionalizzazione. La stringente esigenza della de-istituzionalizzazione è ampiamente supportata dalla letteratura scientifica e dall'evoluzione normativa, da diversi decenni, quindi non verrà discussa in questo elaborato. Ed è peraltro rivendicata come elemento prioritario nell'ottica della garanzia del diritto della persona disabile ad una vita libera ed autonoma, e contro ogni tipo di esclusione e segregazione (Fischetti, 2015).

E' bene ricordare che nell'ottica del diritto alla Vita Indipendente, anche le forme soft di istituzionalizzazione, come il co-housing e le case famiglia, devono essere considerate come soluzioni non rispondenti (eccetto nei casi in cui sia espressamente preferito dalla persona), vista la necessità di garantire il diritto a scegliere liberamente dove e con chi vivere (Enil, 2007).

In questa sede ci limitiamo a rilevare come nella letteratura venga ampiamente dimostrato che soluzioni di vita non indipendente (ai vari livelli di istituzionalizzazione), non volontarie, tendono a produrre evidenti conseguenze negative in termini di partecipazione sociale (anche relativamente alla capacità lavorativa), auto-percezione delle proprie capacità, auto-determinazione e sviluppo dell'autonomia (anche nei compiti basilari quotidiani) e dunque riduzioni significative della qualità di vita complessiva (Wehmeyer, Bolding, 2001 Verdonshot et al, 2009 ; Nota et al, 2007 ; Power, Bartlett, 2015 ; ANFFAS, 2015).

In ultimo l'attenzione all'unicità della persona e del suo contesto di vita, e la garanzia dei diritti relativi alla libertà di scelta e al rispetto delle preferenze individuali, trova riconoscimento sia nella letteratura (fra gli altri: Barbuto, Biggeri, Griffo, 2011 ; Bellanca, Biggeri, 2011 ; Biggeri et al, 2011

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; ANFFAS, 2015) sia nelle prescrizioni normative italiane e toscane (fra le altre: L.328/00, LT 41/05, etc ).

A livello operativo tali obbiettivi si concretizzano nella promozione della progettualità individuale, nella personalizzazione degli interventi, nel coinvolgimento della persona e della famiglia nella definizione dei progetti d'assistenza individuale, e nella autonoma definizione del progetto di vita nell'ambito dei progetti per la vita indipendente. Come verrà descritto più estesamente nel prossimo capitolo.

Come valorizzazione della persona e delle proprie competenze, in quanto portatore di conoscenza di prima mano, legata all'esperienza di vita, e relativamente alla capacità collettiva, dei disabili in quanto gruppo culturale che condivide esperienze comuni, è da ricordare anche l'importanza attribuita alle azioni di consulenza alla pari (Barbuto, Biggeri, Griffo, 2011 ; Biggeri et al, 2011 ; Fischetti, 2015).

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Cap. 2 – Quadro delle policy

2.1 - La vita indipendente nella legislazione e negli atti di programmazione in Italia e Toscana

Nella legislazione italiana il concetto di Vita Indipendente viene introdotto con la legge 162/98 apportante modifiche alla L.104/92, che orienta le regioni a disciplinare “programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati, per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia" (L.162/98 art. 39 comma ter).

Con tale prescrizione viene da subito a delinearsi l'ossatura delle prassi organizzative miranti alla garanzia del diritto alla Vita Indipendente, basate sullo strumento del piano/progetto individuale, da gestirsi anche in forma indiretta, ovvero attraverso l'assegnazione di un contributo economico al beneficiario, finalizzato a finanziare il progetto di vita elaborato dalla persona.

La legge quadro 328/00 sul Sistema Integrato di Interventi e Servizi Sociali riprende tale impostazione, e all'art.14 disciplina lo strumento dei “Progetti individuali per le persone disabili”. In questo caso vi è un ritorno ad un approccio più diretto alla programmazione degli interventi da parte delle istituzioni pubbliche, in questo caso il Comune, che, su richiesta dell'interessato, predispone il progetto individuale (che può prevedere anche prestazioni indirette) da gestirsi in maniera integrata secondo il principio dell'integrazione socio-sanitaria.

Il comma 2 del suddetto articolo entra nel merito degli elementi del progetto individuale, comprendente l'istituto della valutazione diagnostico-funzionale (che tiene conto delle potenzialità della persona e dei sostegni esterni presenti nel contesto relazionale), e la suddivisione delle prestazioni, tra quelle a carico del Servizio Sanitario Nazionale (quota sanitaria) e quelle (quota sociale) a carico dei comuni, che si sommano alle misure economiche indirizzate al superamento delle condizioni di povertà ed esclusione sociale.

Configurando quindi, nel quadro della 328/00, un insieme di prestazioni che concretizzano i “progetti individuali” costituite prevalentemente da interventi diretti (a gestione integrata), coadiuvati da trasferimenti monetari. Coerentemente con la scelta organizzativa più centrata sulla regia da parte dei servizi che sul protagonismo dei beneficiari, in questa prospettiva risulta ancora in secondo piano l'obbiettivo, e prassi organizzativa, del coinvolgimento della persona e della sua famiglia nella formulazione del progetto (ONCPD, 2016, p.47-48).

Nel 2009 la Repubblica Italiana ratifica la Convenzione ONU (ONU, 2006) con la legge 18/09, e poco dopo tali principi sono recepiti anche dal nuovo Statuto della Regione Toscana (2010) che

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pone tra le finalità principali (art 4, lett. e), il diritto delle persone con disabilità e delle persone anziane ad interventi intesi a garantirne la vita indipendente e la cittadinanza attiva.

In Toscana i primi progetti per la Vita Indipendente sono stati realizzati con la fase di sperimentazione avviata nel 2004 (D.G.R:T. 997/03) a livello di cinque zone-distretto, e si è allargata a tutto il territorio regionale solo successivamente, con le delibere D.G.R.T. 923/09 e D.G.R.T. n.1166/2009, in coerenza con le indicazioni del PISR 2007-2010.

In quegli anni intanto si assisteva ad una fase di riordino del sistema sanitario regionale (L.40/05) e del sistema di servizi sociali a livello regionale (L.41/05).

La legge regionale 41/05 di riordino del “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale” inserisce fra i principi generali del sistema integrato (art.3) il rispetto dell'unicità e della dignità della persona, il riconoscimento delle capacità e risorse individuali di ognuno, la tutela dell'uguaglianza e delle pari opportunità rispetto a condizioni sociali e bisogni differenti.

Sempre all'art. 3 introduce concetti che sono di particolare salienza per quanto riguarda la Vita Indipendente, attraverso l'enunciazione del principio dell'adeguatezza, efficacia e personalizzazione degli interventi, dell'esercizio della possibilità di scelta tra le diverse prestazioni erogabili, e il principio del sostegno all'autonomia delle persone disabili e non-autosufficienti.

L'art.55 della L.41/05 pone il focus delle “Politiche per le persone disabili” sull'obbiettivo della piena integrazione della persona con disabilità riferendosi agli ambiti della famiglia, della scuola, del lavoro e della società nel suo complesso.

Tale obbiettivo deve essere perseguito attraverso le linee d'azione indicate nel medesimo articolo, che elenca una serie di indirizzi che rimandano ai concetti propri della Vita Indipendente, pur con alcune criticità. Ad esempio le azioni di potenziamento dei servizi domiciliari (diretti e indiretti) e diurni/semiresidenziali, organizzati nell'ottica di favorire lo sviluppo di forme di autonomia della persona, anche attraverso la sperimentazione di progetti innovativi finalizzati alla predisposizione di modalità di abitare indipendente (art.55, punti “a”, “b”, “c”), rimangono nella prospettiva di sostegno istituzionale, o comunitario, che pur configurandosi come passo in avanti nell'ottica della de-istituzionalizzazione, si rivelano come soluzione ancora poco coerente con l'approccio prettamente indipendent living basato sulla libertà di scelta del proprio setting abitativo (Enil, 2007).

Altri elementi, come le forme di agevolazione alla diffusione di tecnologie ed ausili “(...) atti a facilitare la vita indipendente”(art.55, punto “g”), agevolazioni all'accesso ai servizi (es. trasporti) e il sostegno all'eliminazione delle barriere nell'ottica dell'accessibilità (art.55, punti “f” e “h”),

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risultano invece pienamente coerenti con i principi della Vita Indipendente.

Anche la L.R. 66/08, sull'istituzione del Fondo per la Non-Autosufficienza, va ad incidere sulle politiche a favore della disabilità. In tale legge vengono definite le modalità di finanziamento e delineate con maggiore precisione, rispetto alle indicazioni generali della 328/00, le fasi del percorso generale di assistenza della persona disabile (rimandando alle categorie di azione e di utenza dell'art.55 della 41/05).

Le risorse del Fondo per la Non-Autosufficienza sono indirizzate a favorire percorsi assistenziali volti a realizzare la domiciliarità e la vita indipendente (art.1, comma 3), In particolare (art.7) a garantire l'accesso alle funzioni della Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM), e l'erogazione dei Piani di Assistenza Personalizzati (PAP), che si compongono di prestazioni domiciliari o per la vita indipendente erogati sia in forma diretta che indiretta (acquisto di servizi). La legge 66/08 istituisce dunque con chiarezza due strumenti fondamentali del sistema integrato, che interessano trasversalmente diversi settori di intervento, fra cui anche quello indirizzato alla disabilità.

La UVM (art.11) è la funzione che si occupa dell'analisi del bisogno della persona, attraverso una valutazione multidimensionale (riguardante la varietà delle dimensioni della salute bio-psico-sociale) e multiprofessionale (presenza di assistente sociale, psicologo, infermiere e altre professionalità necessarie), ed elabora il PAP da condividere con l'utente, occupandosi infine della gestione integrata delle prestazioni e dei servizi predisposti.

Il PAP (art.12), contiene gli obbiettivi e gli esiti attesi del progetto (in base alla valutazione multidimensionale), raggiungibili attraverso la gestione integrata delle prestazioni, che deve essere condiviso, e nel caso ridefinito, con l'utenza, riconoscendo in questo modo la titolarità della persona sulle scelte che incidono sul proprio percorso di vita (autodeterminazione).

La 66/08 impone all'UVM l'uso degli standard ICF (ICF, 2001) per la valutazione del bisogno e delle potenzialità della persona, nonché per gli esiti dei PAP (art.13), affermando anche nelle prassi organizzative istituzionali, il superamento dell'approccio medico individuale alla disabilità.

La legge 66/08 troverà ulteriore definizione procedurale con la D.G.R. 370/2010 “Progetto per l’assistenza continua alla persona anziana non autosufficiente” che allo stesso tempo prevedeva la determinazione di percorsi integrati di presa in carico anche per la persona disabile di età inferiore a 65 anni. Ma all'epoca non ci furono ancora interventi di strutturazione normativa ulteriore alla 66/08 per l'ambito della disabilità, contrariamente a quanto fatto sul versante degli ultra-sessantacinquenni. Per una definizione puntuale degli elementi della presa in carico globale della persona disabile si dovrà attendere la Decisione G.T. 7 aprile 2015 n.11.

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Il PISSR 2012-2015 sintetizza gli elementi principali del modello di Vita Indipendente regionale via via consolidato, inserendo strumenti che portano il modello regionale sempre più in coerenza con quello rivendicato dalle associazioni per la Vita Indipendente.

Un elemento imprescindibile è la possibilità di scegliere liberamente (secondo il principio di pari opportunità) il proprio luogo e contesto di residenza/convivenza. Ferma restando la necessità di disporre di servizi di sostegno (assistente personale, assistenza domiciliare, etc) che permettano una effettiva vita autonoma, e impedendo situazioni di isolamento e/o deprivazione.

Viene riconosciuto inoltre il diritto al contributo finalizzato all'assunzione dell'assistente personale, che si configura come strumento che sostanzia il diritto all'autodeterminazione e alla libertà di scelta, e come elemento di supporto ad una autonoma progettazione di un proprio percorso di vita (attività , tempi, funzioni, etc) indipendente dal proprio contesto familiare e dal controllo diretto delle istituzioni.

Infatti il ricorso all'assistente personale e la gestione del rapporto contrattuale, sono interamente demandate al soggetto, che ne decide liberamente i tempi e le modalità di utilizzo, e si assume le responsabilità delle proprie scelte, in un contesto di pieno esercizio dell'autonomia personale.

L'assistenza personale è dunque legata al proprio progetto di vita comprendente le proprie aspirazioni e le proprie esigenze, e che si caratterizza dunque inevitabilmente per l'esigenza di garantire personalizzazione e flessibilità.

Nel quadro sopra definito il progetto personale viene autonomamente presentato dall'interessato alla valutazione della UVM, che può proporre modifiche e integrazioni del progetto da condividere con l'interessato. Ai fini dell'erogazione del contributo la titolarità sull'approvazione rimane comunque alla UVM competente.

Avvicinandoci al quadro programmatorio da cui scaturiscono i progetti per la Vita Indipendente oggetto di studio, è da menzionare la Decisione G.T. 7 Aprile 2015, n.11, che recependo le indicazioni scaturite dalla Conferenza Regionale sulla Disabilità (Gennaio 2015), emana l'atto di indirizzo “Azioni di sistema e strategie per il miglioramento dei servizi socio-sanitari nell’ambito delle politiche per la disabilità”.

L'atto della Giunta definisce finalmente gli indirizzi per il “progetto globale di presa in carico” della persona disabile, corrispettivo del già menzionato D.G.R. 370/2010 per la materia dei non-autosufficienti ultra-sessantacinquenni.

Il progetto globale di presa in carico è da intendersi come un percorso in cui in base al bisogno vengono attivate l'insieme delle risposte e degli interventi che fungono da accompagnamento della

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persona per lo sviluppo delle capacità individuali e la soddisfazione dei bisogni durante il percorso di vita.

L'accompagnamento del percorso viene garantito attraverso alcuni strumenti organizzativi, che ricalcano il modello di presa in carico globale già implementata per la non-autosufficienza.

L'accesso al sistema dei servizi avviene attraverso un Punto Unico di Accesso (PUA) che si definisce come livello strategico-organizzativo in cui confluiscono i vari canali di rilevazione del bisogno, come i servizi front-office a cui il cittadino presenta le proprie richieste (ma anche tramite segnalazione del servizio sociale professionale, MMG, etc), e dove viene attivato il percorso di presa in carico con il recepimento dei dati utili alla segnalazione per l'invio all'UVM.

L'UVM si occupa della valutazione della gravità del bisogno e predispone il PAP che viene poi condiviso con l'utente.

Successivamente vengono avviate le prestazioni da gestire in maniera integrata (unificazione dei diversi sistemi di risposta) nella logica del riconoscimento della complessità del bisogno e della multidimensionalità della salute bio-psico-sociale della persona, richiedente quindi risposte integrate.

La centralità è quindi riconosciuta nella necessità dell'integrazione, rispetto al bisogno, e della progettualità legata alle esigenze individuali (personalizzazione) nel corso del percorso di vita. Tali obbiettivi sono resi raggiungibili attraverso pratiche organizzative che favoriscano l'integrazione delle risposte e il case management. Ovvero la predisposizione di un unico luogo di valutazione e gestione del percorso (l'UVM), l'utilizzo di un codice condiviso tra tutti i professionisti (lo standard ICF), la creazione di un fascicolo personale, e l'assegnazione di responsabilità verso un referente unico che si occupa dell'accompagnamento del progetto personale. La logica della Vita Indipendente, presuppone che in tutte le fasi sopra menzionate sia garantita all'utente libertà di autodeterminazione, attraverso un cambiamento di prospettiva che non si limita alla ricerca del semplice coinvolgimento o consenso della persona alle decisioni prese dai professionisti, ma che pone la persona come soggetto attivo, titolare delle proprie scelte, che da oggetto di cura diventa soggetto attivo che si autodetermina, e delinea il proprio progetto di vita. La Decisione 11/15 riprende inoltre gli strumenti principali predisposti per favorire la progettualità della Vita Indipendente così come indicati nel PISSR 2012-2015, riconfermando la preminenza dello strumento del contributo per l'assunzione dell'assistente personale.

Lo stesso atto definisce i destinatari dei progetti per la Vita Indipendente come le le persone disabili, con capacità di esprimere la propria volontà, di età compresa fra 18 ed i 65 anni, in possesso della certificazione di gravità ai sensi dell’art. 3 comma 3 della legge n. 104/92.

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Il “Testo unico della Regione Toscana sui diritti e le politiche per le persone con disabilità” (Regione Toscana, 2015) riconferma le linee d'azione caratterizzanti il sistema integrato di tutela dei diritti di cittadinanza così come proposti con la LT 41/05 (vedi sopra). Il Testo Unico, che assegna interamente il proprio Titolo V alla Vita Indipendente, recepisce gli sviluppi normativi e programmatici intercorsi successivamente alla LT 41/05 (LT 66/08, PISSR 2012-2015, DGT 11/15, etc) rimarcando, fra le varie questioni, l'importanza del potenziamento delle risposte in forma indiretta a promozione della progettualità individuale, attraverso il contributo per l'acquisto dell'assistenza personale, e la definizione concertata (in sede UVM) di un budget di progetto per ogni singolo utente.

Infine la DGRT 1329/2015 emana il più recente (all'epoca dei programmi oggetto di studio) "Atto di indirizzo per la predisposizione dei progetti di Vita Indipendente” in cui vengono ripresi i principi e gli elementi organizzativi delineati con l'evoluzione normativa e programmatica sopra riportata, e vengono definiti a livello specifico/pratico, requisiti e modalità per la presentazione dei progetti di Vita Indipendente. Definendo l'insieme delle procedure, lato beneficiario, necessarie per presentare il proprio progetto personale (sedi competenti, documentazione, rendicontazione, etc), e l'insieme delle strutture organizzative che sono necessarie ad accompagnare il processo (es. UVM).

Vengono definiti con chiarezza i criteri di valutazione utilizzati in sede UVM, ovvero la Gravità funzionale, come limitazione dell'autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana, la valutazione della Condizione familiare, abitativa e ambientale, la Tipologia degli obbiettivi specifici di Vita Indipendente nell'ambito del PAP (vita quotidiana, studio, lavoro, relazioni sociali, etc), e le risorse assistenziali necessarie a raggiungere tali obbiettivi.

Tale valutazione orienta la definizione del PAP, o l'opera di integrazione del PAP autonomamente presentato dal beneficiario, nonché la quantificazione delle risorse economiche necessarie al progetto, anche in funzione dell'acquisto dell'assistenza personale.

La tipologia di azioni che possono essere previste nel PAP, in base alla necessità della persona, interessano gli ambiti della cura della persona (attività di base come vestirsi, lavarsi, mangiare, etc), l'assistenza personale nei vari ambiti di vita (domestica, lavoro, studio, relazioni, etc) e in interventi per l'accessibilità e la mobilità.

Il contributo mensile al progetto varia da un ammontare di € 800,00 ed un massimo di € 1.800,00. Stante la possibilità, attestata la sussistenza di adeguati obbiettivi di autodeterminazione, autonomia, e integrazione sociale, di predisporre (motivatamente) contributi inferiori alla soglia di € 800,00. Nell'insieme, tale contributo è indirizzato a coprire spese (motivate dal progetto di vita) relative non solo all'assistenza personale, ma anche all'acquisto di ausili informatici a fini didattici e lavorativi,

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ausili domotici e spese eseguite per l'acquisto di servizi di trasporto a favore della mobilità della persona.

Per ogni annualità, l'entità dei contributi, a livello regionale, per i progetti di Vita Indipendente viene assegnata con specifiche delibere della Giunta Regionale, recependo gli indirizzi per la progettualità definiti dagli Atti di Indirizzo precedentemente emanati, ed attivando gli interventi. Riguardo alla delibera sopra menzionata, la 1329/2015, fanno di riferimento i criteri di allocazione delle risorse indicati nella DGRT 991/2015. Mentre per l'annualità più recente rispetto ai progetti sperimentali di cui tratta questa tesi, fa riferimento la DGRT 1371/2016, che riconferma, come per le annualità precedenti, il finanziamento a carico del “Fondo per la non autosufficienza” (LT 66/08), dell'ammontare annuo di 9.000.000,00 di Euro, garantendo così la prosecuzione dei progetti individuali e la continuità assistenziale.

2.2 - I riferimenti programmatici e normativi specifici dei progetti della DGRT 1413/2016

Dopo la precedente rassegna dell'evoluzione del quadro normativo e programmatorio sulla Vita Indipendente è possibile entrare nel merito delle fasi di programmazione specifica riguardanti i progetti oggetto di studio.

Nel 2016, anno in cui verranno presentati i progetti oggetto di studio, viene promosso il “II Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità”3 che si prefigge di attuare i principi e gli obbiettivi della Convenzione ONU (ONU, 2006), ratificata con la legge nazionale 18/09.

La Vita Indipendente, nella logica del Programma di Azione, richiede un salto di qualità valoriale, dall'essere uno fra i tanti ambiti d'intervento del welfare state, a divenire un criterio fondamentale ispirante il sistema stesso di welfare e l'obbiettivo a cui aspirare per la definizione delle politiche nell'ambito della disabilità.

Rispetto al capitolo Vita Indipendente (Cap.4 del programma) il Programma d'Azione individua diversi indirizzi strategici d'intervento.

All'azione programmatica 1 (cap. 4, linea intervento 1) viene enunciato l'obbiettivo primario della de-istituzionalizzazione.

All'azione 3 viene chiarito il concetto dell'abitare in autonomia, riconfermando il dovere pubblico 3 Il primo “Programma d'Azione” risale al 2013.

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alla garanzia di servizi di sostegno che permettano alle persone con disabilità di abitare e vivere la propria quotidianità in modo autonomo, e non dipendente da particolari setting imposti (anche, ad esempio, semiresidenziali) , sia all'interno che all'esterno dalla famiglia di origine.

La stessa azione programmatica definisce i concetti di “sostegni per l'abitare”e “servizi per l'abitare”.

I sostegni per l'abitare sono le misure, gli interventi, le modalità organizzative che sostengono la persona rispetto alla realizzazione del proprio progetto di vita nel setting ritenuto più opportuno dal beneficiario stesso, sia all'interno dell'abitazione della famiglia d'origine che esternamente.

In questo ambito rientrano non solo i sostegni all'indipendent living, ma anche tutto l'insieme delle modalità organizzative che promuovono la presa in carico globale della persona e il potenziamento delle capacità individuali, in funzione dello sviluppo dell'indipendenza, non solo dal punto di vista abitativo.

I servizi per l'abitare sono le modalità organizzative che permettono alle persone con disabilità di vivere autonomamente, in luoghi differenti dall'abitazione della famiglia d'origine.

Con l'azione 4 viene posta la necessità di diffondere e potenziare modelli uniformi nell'ambito della'“assistenza personale autogestita”, come strumento cardine del potenziamento dell'autonomia e dell'esercizio dei diritti per la persona con disabilità, inteso come supporto al progetto di vita individuale.

In questo senso il programma biennale indica la necessità di formulare linee guida condivise al fine di strutturare il processo di redazione del progetto personale e potenziando le opportunità di collegamento funzionale fra contributo monetario e progetto, anche disponendo trasferimenti indirizzati a spese propedeutiche all'inclusione sociale, dunque non strettamente connesse all'assistenza personale.

Le linee guida devono anche contenere indicazioni che orientino il processo di individuazione di risorse congrue a sostegno della progettualità individuale, garantendo il coinvolgimento e il protagonismo dell'interessato (nell'elaborazione del progetto e nella scelta dell'assistente). Anche semplificando e snellendo i processi burocratici con cui l'interessato deve rapportarsi, ad esempio con l'individuazione del referente unico presso l'ente, il potenziamento dei servizi di peer counseling offerti dalle agenzie e centri per la Vita Indipendente, e con un generale snellimento dei procedimenti e della documentazione richiesta per la presentazione e redazione dei progetti e per la rendicontazione.

All'azione programmatica 5 entra più nello specifico riguardo al progetto personale, mirando alla promozione di linee guida che armonizzino i procedimenti per la progettazione.

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Viene in primis proposta la necessità di linee guida per la valutazione non solo delle funzioni e strutture corporee e limitazioni alla partecipazione (standard ICF), ma anche riguardanti le aspettative e le preferenze della persona, nonché le risorse personali e del contesto familiare ed allargato. Inoltre viene richiesta maggiore condivisione sulle modalità di valutazione degli esiti esistenziali nel senso di qualità di vita della persona, sia con parametri oggettivi che soggettivi. Infine viene richiamata la necessità di definizione di modelli condivisi anche per la quantificazione e gestione dei “budget personalizzati”, in termini di risorse economiche, professionali e umane necessarie per il sostegno al progetto di vita della persona, considerando anche l'esigenza di un utilizzo coordinato delle suddette risorse, in una logica di integrazione professionale anziché di frammentazione prestazionale.

Nel giugno del 2016 l' ”Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità” pubblica lo Schema di linee comuni per l’applicazione dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, (ONCPD, 2016). Tale atto di indirizzo fa il punto della situazione sull'evoluzione delle prassi organizzative atte a garantire i diritti di cui all'art.19 della Convenzione, e promuove la definizione di linee comuni riguardanti la programmazione degli interventi, la redazione dei progetti individuali e le modalità di concessione dei contributi per i progetti di Vita Indipendente.

Si tratta quindi di una operazione di sintesi delle conoscenze sulle esperienze passate riguardanti la Vita Indipendente, volta a spingere verso la costruzione di un modello condiviso di servizio pienamente coerente con le indicazioni della Convenzione ONU (ONU, 2006), che funge da orientamento per i successivi atti di programmazione.

Come ribadito nello schema di linee comuni (ONCPD, 2016), il diritto alla Vita Indipendente riguarda tutte le persone con disabilità, a prescindere dall'età, dalla capacità di autodeterminazione, dalla gravità e tipologia di menomazione. Ferma restando la necessità di garantire una particolare attenzione verso le persone con bisogno di sostegno intensivo.

Proprio per questo un sistema efficace presuppone non solo un'adeguata strutturazione dei servizi specificamente orientati (alla Vita Indipendente), ma un lavoro di più ampio respiro, che si muova nell'ottica di perseguire, ad ogni livello, e trasversalmente ai diversi settori d'azione, l'empowerment della persona intesa come cittadino pienamente titolare di diritti, anche per i disabili e le loro famiglie. Oltre al mainstreaming nelle politiche pubbliche, anche in quelle non specificamente legate alla disabilità, al fine di modificare organizzazioni e servizi a garanzia dell'equità e dell'accessibilità, eliminando le barriere alla partecipazione e all'inclusione delle persone con

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disabilità.

Per implementare un'organizzazione efficace a garantire tali diritti e supportare la Vita Indipendente della persona con disabilità, è necessaria una ristrutturazione del sistema dei servizi pubblici, che necessita di azioni di potenziamento dei servizi e delle prestazioni già esistenti (fra quelli che vanno nella direzione della de-istituzionalizzazione e del supporto all'autonomia), e la realizzazione di nuovi servizi e prestazioni specifiche necessarie a comporre quel quadro di supporti necessari alla piena garanzia della progettualità della persona.

Nel concreto dunque è necessario il potenziamento del processo d'accompagnamento al progetto personale, dello strumento dell'assistenza individuale autogestita, e dei servizi di supporto al vivere in autonomia.

Il progetto personale è lo strumento che sostanzia il diritto alla persona all'autodeterminazione. E' da considerarsi necessario quindi un assetto organizzativo che garantisca il coinvolgimento e la libera decisionalità dell'assistito in ogni fase della stesura del progetto.

Anche la valutazione multidimensionale deve essere organizzata in tal senso, prevedendo, oltre alla valutazione bio-psico-sociale dei funzionamenti della persona, e quella del contesto e dei sostegni relazionali, anche una specifica attenzione alle aspettative ed ai desideri della persona. Fornendo supporto alla progettualità del percorso di vita e alla partecipazione della persona nella società come membro attivo che si autodetermina.

A supporto della progettualità è altresì stringente la certezza della disponibilità di risorse. L'ammontare, la temporalità, e le modalità di erogazione (diretta o indiretta), devono essere adeguate in funzione della realizzazione del progetto personale, assicurandone effettività e continuità nel tempo. Devono essere inoltre previste possibilità di rimodulazione delle risorse coerentemente con eventuali esigenze di ridefinizione del progetto.

Nell'ottica dell'autodeterminazione vanno garantiti spazi di gestione autonoma del budget di cura stabilito, che trova una delle principali finalità (in termini quantitativi e di occasioni di autodeterminazione) nell'acquisto di assistenza personale autogestita.

Le istituzioni devono inoltre favorire la collaborazione con un terzo attore da includere nel modello organizzativo (oltre alla persona e all'ente pubblico) ovvero con i Centri per la Vita Indipendente. Tali attori, secondo un meccanismo di consulenza alla pari, forniscono una funzione di accompagnamento alla progettazione e all'autogestione del progetto, di supporto riguardo le pratiche amministrative di contrattualizzazione dell'assistente personale, nonché formazione degli stessi. La consulenza alla pari, da parte di persone che condividono esperienze e condizioni di salute simili, riveste un ruolo importante di condivisione e diffusione delle informazioni, ascolto della

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