• Non ci sono risultati.

Correlazione tra i parametri di rigidità arteriosa e la funzione diastolica in una popolazione di pazienti ipertesi.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Correlazione tra i parametri di rigidità arteriosa e la funzione diastolica in una popolazione di pazienti ipertesi."

Copied!
98
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove

Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Gaetano Pierpaolo Privitera

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“Correlazione tra i parametri di rigidità arteriosa e la funzione

diastolica in una popolazione di pazienti ipertesi.”

Relatore

Chiar.mo Prof. Stefano Taddei

Candidato

Claudio D’Amelio

(2)

INDICE

RIASSUNTO ANALITICO

6

RIGIDITA’ ARTERIOSA

7

1.   Caratteristiche strutturali delle arterie

7

Arterie elastiche

8

Arterie muscolari

10

Arteriole

11

2.   La distensibilità vascolare nella funzione del

sistema arterioso

12

Modelli

13

Struttura dell’onda pressoria di una grande

arteria

14

Indici di rigidità arteriosa

15

Accoppiamento ventricolo – arterioso 20

3.   Cause di rigidità arteriosa

23

Invecchiamento delle arterie

24

Rigidità arteriosa e ipertensione

26

Rigidità arteriosa e diabete mellito

26

Segnali neuroendocrini e introito salino

28

Insufficienza renale cronica

29

(3)

4.   Rigidità arteriosa e danno d’organo

30

Lo stress meccanico ciclico e la parete

arteriosa

30

Effetti cardiaci

31

Effetti sugli organi periferici

32

5.   Tecniche di misurazione di rigidità arteriosa

33

Rigidità arteriosa sistemica

34

Rigidità aortica

35

DISFUNZIONE DIASTOLICA

41

1.   Fisiopatologia della diastole

42

2.   Valutazione della funzione diastolica

45

3.   Valutazione ecocardiografica della funzione

diastolica

47

Studio doppler del flusso transmitralico

47

Doppler tissutale pulsato a livello del-

l’anello mitralico

49

Misurazione del volume atriale

51

Studio doppler del flusso venoso polmonare

53

Valutazione della velocità di flusso al Color

M-mode

55

(4)

5.   Stima delle pressioni di riempimento in pazienti

con FE normale e con FE ridotta

62

6.   Ipertensione e disfunzione diastolica

65

SCOPO DELLA TESI

68

MATERIALI E METODI

69

1.   Selezione e caratteristiche dei pazienti

69

2.   Studio della rigidità aortica

70

3.   Studio ecocardiografico

71

4.   Analisi statistica

72

RISULTATI

73

1.   Caratteristiche cliniche della popolazione

73

2.   Parametri vascolari ed ecocardiografici

74

3.   Modello di analisi univariata

75

4.   Modello di analisi multivariata

77

(5)

CONCLUSIONE

84

BIBLIOGRAFIA

85

(6)

RIASSUNTO ANALITICO

Background: La rigidità arteriosa potrebbe favorire l’insorgenza di disfunzione diastolica del ventricolo sinistro in pazienti con ipertensione arteriosa, probabilmente favorendo l’incremento del carico cardiaco. Tuttavia, l’associazione tra la rigidità arteriosa e la disfunzione diastolica ventricolare sinistra in pazienti affetti da ipertensione arteriosa non è stata ancora chiarita.

Scopo: analizzare la relazione tra i parametri di stiffness arteriosa e le anomalie della funzione diastolica in pazienti con ipertensione arteriosa.

Metodi: Lo studio ha incluso 102 pazienti ipertesi (età 61±11 anni, pressione arteriosa – PA - 141 ± 17/79 ± 11 mmHg, 82.4% trattati, 32.4% diabetici). I pazienti sono stati sottoposti ad ecocardiogramma transtoracico per calcolare il rapporto tra la velocità di picco E e la velocità di picco A del flusso transmitralico al doppler pulsato (E/A), la velocità protodiastolica mitralica anulare al tissue doppler (e’m) e il rapporto E/e’m. Contemporaneamente sono stati misurati i parametri di stiffness aortica (pulse wave velocity carotido-femorale, PWV) e di riflessione d’onda (augmentation index, AIx).

Risultati: Nella popolazione generale la media di E/A era 0.87±0.23 e di E/e’m 9.0±1.6. Nel modello univariato di regressione lineare E/A correlava con l’età, con l’indice di massa ventricolare sinistra (LVMi), e PWV (r= -0.38, r= -0.23, r= -0.36, rispettivamente, p <0.05 per tutti). e’m correlava con Aix, PWV, LVMi (r= 0.22, r= -0.38, r= -0.38 rispettivamente, p <0.05 per tutti). E/e’m correlava con l’età, con PA sistolica e media, AIx, PWV, LVMi (r =0.32, r =0.27, r=0.24, r=0.21, r=0.21, r=0.24 rispettivamente, p <0.05 per tutti). Tuttavia, nel modello di regressione multipla, né E/A, né e’m o E/e’m correlavano con i parametri di stiffness, ma risultavano indipendentemente associati con età e PA media.

Conclusioni: in un campione di pazienti ipertesi con un grado di disfunzione diastolica assente/lieve, la correlazione tra i parametri di funzione diastolica e quelli di stiffness arteriosa sembra dipendere dall’impatto dell’età e del carico pressorio su entrambi i distretti.

(7)

RIGIDITA’ ARTERIOSA

La rigidità arteriosa è la tendenza del vaso a resistere alla deformazione della pressione sistolica durante il ciclo cardiaco. La rigidità arteriosa delle grandi arterie è il determinante principale dell’aumento della pressione arteriosa differenziale ed entrambi hanno valore predittivo per eventi cardiovascolari, indipendentemente dai classici fattori di rischio cardiovascolari. La rigidità aortica è, infatti, considerata un’importante e indipendente determinante degli outcome cardiovascolari, anche dopo correzione per i valori di pressione arteriosa, in pazienti con ipertensione, insufficienza renale cronica, diabete mellito, così come in una popolazione di pazienti anziani (1).

1.   Caratteristiche strutturali delle arterie

Le arterie e le vene hanno tipicamente una struttura trilaminare. La tonaca intima Figura  1:  Struttura  di  una  tipica  grande  arteria  elastica.

(8)

consiste di un monostrato di cellule endoteliali in continuità con quelle dei capillari. La tonaca media è composta da strati di cellule muscolari lisce. Lo strato più esterno, l’avventizia, è composta da una matrice extracellulare più lassa con sporadici fibroblasti, mastociti e terminazioni nervose. Le grandi arterie hanno una vascolarizzazione dedicata, i vasa vasorum, che nutre la componente esterna della tonaca media. Tra la tonaca intima e la media e tra quest'ultima e la tonaca avventizia si trovano le lamine elastiche, interna ed esterna.

In relazione al diametro e alle caratteristiche della parete vascolare le arterie si suddividono in arterie elastiche, arterie muscolari e arteriole. Le arterie di tipo elastico hanno parete dello spessore pari a 1/10 del calibro; nelle arterie muscolari e nelle arteriole tale rapporto sale a 1/4 e 1/2, rispettivamente.

Arterie elastiche

Le arterie elastiche corrispondono alle arterie di grosso calibro (7-30 mm di diametro), quali l’aorta, i vasi arteriosi maggiori (arteria brachiocefalica, arterie carotidi interne ed esterne, succlavie, iliache comuni) e il tronco polmonare.

La tonaca intima delle arterie elastiche ha uno spessore di circa 100 μm ed è formata da uno strato endoteliale, pavimentoso semplice, che poggia su un esile strato di tessuto connettivo lasso, costituito da collagene, fibre elastiche e rari fibroblasti, macrofagi e cellule muscolari lisce. La lamina elastica interna è formata da una o più lamine elastiche con fenestrazioni, attraversate da processi endoteliali che si pongono in rapporto con le cellule muscolari lisce della tonaca media.

All'esame in microscopia elettronica le cellule endoteliali presentano inclusioni citoplasmatiche, dette corpi di Weibel-Palade, che rappresentano siti di accumulo del fattore di von Willebrand. Tale proteina viene sintetizzata dalle cellule endoteliali arteriose e liberata nel sangue, dove svolge un ruolo nei meccanismi di aggregazione e adesione piastrinica.

La tonaca media delle arterie elastiche ha uno spessore di circa 500 μm ed è

(9)

elastici. Tra le lamine elastiche si trovano cellule muscolari lisce, disposte circolarmente, e fibre di collagene ed elastina in matrice proteoglicanica. La distribuzione di elastina e collagene varia fortemente lungo l’asse longitudinale dell’aorta. Nell’aorta prossimale, l’elastina rappresenta la componente preponderante, mentre nella parte distale dell’aorta il rapporto collagene-elastina è invertito e, nelle arterie periferiche, prevale il collagene.

Questo passaggio avviene rapidamente nei 5 cm distali dell’aorta toracica al di sopra del diaframma e, in una distanza simile, nei rami che si dipartono dall’arco dell’aorta. Successivamente, le cellule muscolari lisce predominano largamente. Quindi è giustificato dal punto di vista anatomico dividere l’albero arterioso in due componenti, quella prossimale e quella distale. Durante lo sviluppo, le cellule muscolari lisce di diverse origini embriologiche rispecchiano chiaramente le differenze di localizzazione anatomica. L’intervento di cellule muscolari lisce di origini ectodermiche è essenziale per la formazione e organizzazione delle lamine elastiche e dei meccanocettori nelle grandi arterie. Le cellule della muscolatura liscia vascolare non rappresentano una popolazione omogenea, ma possono coesistere diversi fenotipi di fibrocellule muscolari, con diverso comportamento non solo contrattile e sintetico, ma anche proliferativo e apoptotico. La presenza dei vari fenotipi non dipende solo dall’età ma anche dalla localizzazione nell’albero vascolare e dalla presenza di condizioni patologiche. Le proprietà contrattili, che sono principalmente espresse nel compartimento arterioso distale, sono responsabili delle proprietà meccaniche attive dei vasi di conduzione. Cambiamenti nel tono muscolare vascolare possono essere diretti o indotti da segnali provenienti dalle cellule endoteliali.

Diversi fattori neurormonali, in particolare quelli legati al sistema dell’angiotensina II e dell’aldosterone, possono regolare l’accumulo di collagene. Quest’ultimo può essere soggetto anche a importanti modificazioni chimiche, come scissione, legami crociati, glicazione, che comportano un cambiamento marcato nella rigidità.

La lamina elastica esterna è frequentemente discontinua.

La tonaca avventizia è abbastanza sottile ed è formata da tessuto connettivo. Fasci longitudinali di fibre collagene e un reticolo di sottili fibre elastiche contribuiscono alla sua formazione. Queste fibre partecipano alle proprietà meccaniche arteriose.

(10)

Il collagene è il principale responsabile di discontinuità nella parete arteriosa, principalmente a livello delle biforcazioni. Esso, inoltre, modifica enormemente la rigidità arteriosa e il transito delle onde riflesse, incrementando di conseguenza la pressione pulsatoria. Lo stress ciclico d’altra parte, causa frammentazione delle fibre di elastina e calcificazioni, in particolare negli anziani. Per permettere la vascolarizzazione degli strati esterni della parete delle arterie elastiche vi sono dei piccoli vasi, detti vasa vasorum, che si ramificano nell'avventizia e nella parte esterna della tonaca media. Le porzioni più interne della parete ricevono nutrimento direttamente dal sangue contenuto nel lume arterioso.

La matrice extracellulare è responsabile delle proprietà meccaniche passive delle arterie, in particolare nell’aorta e nei suoi rami principali. In un vaso cilindrico, quando la pressione transmurale sale, si realizza una funzione pressione-volume di tipo curvilineo, causata teoricamente dal reclutamento dell’elastina a basse pressioni, e delle fibre di collagene ad alte pressioni. Tuttavia, anche altre molecole, attraverso la loro funzione nei collegamenti cellula-cellula e cellula-matrice, potrebbero contribuire alla ripartizione tridimensionale delle forze meccaniche nella parete arteriosa. Un esempio emblematico è dato dal ruolo dei diversi isotipi di connessina lungo l’asse aortico (2). Un altro esempio è nei modelli murini, in cui una dieta ipersodica è associata ad un’aumentata rigidità sistemica isobara e riduzione dei proteoglicani della MEC aortica (3). Analogamente, l’eccesso cronico di aldosterone produce un aumento della rigidità carotidea isobara e della fibronectina arteriosa.

Arterie muscolari

Le arterie muscolari rappresentano la maggior parte delle arterie dell'apparato circolatorio e presentano un diametro di 0,1-7 mm.

La tonaca intima è simile a quella delle arterie elastiche, ma è più sottile. Le cellule

endoteliali sono disposte prevalentemente in direzione longitudinale e poggiano su un sottile strato sottoendoteliale. La lamina elastica interna si presenta in sezione

(11)

come uno strato ondulato ben evidente. Anche nelle arterie muscolari la lamina elastica interna presenta fenestrazioni attraversate da processi endoteliali che giungono in contatto con le cellule muscolari.

L’endotelio è una fonte di segnali, in particolare il monossido d’azoto, e di meccanismi di trasduzione del segnale che influenzano le proprietà biofisiche delle arterie di conduzione. NO è il principale mediatore, dilatando maggiormente le arterie più grandi rispetto a quelle più piccole.

Mentre la dilatazione mediata dal flusso e dall’endotelio non è ristretto ad una particolare categoria arteriosa, il ruolo dei mediatori espressi dall’endotelio è predominante nelle arterie muscolari distali. In questi vasi, il punto e il pattern delle onde di riflessione sono influenzati dagli effetti differenziali locali di NO e di sostanze vasocostrittive (noradrenalina, angiotensina, endotelina).

La tonaca media è costituita prevalentemente da cellule muscolari ad andamento circolare o elicoidale. Nelle arterie muscolari più piccole si possono individuare 3-4 strati di cellule muscolari, mentre nelle arterie più grandi tali strati possono arrivare fino a 40. Le cellule muscolari sono separate tra di loro da una lamina basale che si interrompe nei punti in cui le cellule vengono in contatto tra di loro, permettendo la conduzione intercellulare. La lamina elastica esterna è più sottile di quella interna ed è costituita da fasci a decorso prevalentemente longitudinale.

La tonaca avventizia è molto sviluppata, tanto che può talora essere più spessa della tonaca media. È costituita da fasci di fibre collagene. Anche nella tonaca avventizia delle arterie muscolari di maggior calibro si trovano vasa vasorum.

Arteriole

Le arteriole rappresentano la principale componente della resistenza periferica al flusso sanguigno. Esse hanno un diametro di 40-100 μm e danno luogo alle

cosiddette metarteriole > di 10-15 μm, che regolano l’afflusso del sangue alla rete

capillare.

(12)

su uno strato sottoendoteliale molto sottile. Non è più apprezzabile una lamina elastica interna continua, ma solo alcuni tratti discontinui costituiti da fibre elastiche. La tonaca media è costituita da due o tre lamine di cellule muscolari lisce. La componente muscolare delle metarteriole costituisce un dispositivo di regolazione

dell'afflusso sanguigno alla rete capillare (sfintere pre-capillare).

La tonaca avventizia, molto sottile, è formata da fibre collagene e sporadici

fibroblasti.

2.   La distensibilità vascolare nella funzione del sistema arterioso

Alle grandi arterie sono riconosciute due distinte funzioni: la funzione di condotto che, sulla base del gradiente pressorio, consiste nel fornire il flusso sanguigno ai tessuti e agli organi periferici; e la funzione di smorzamento, in grado di attenuare le oscillazioni pressorie che risultano dall’eiezione ventricolare intermittente (effetto “Windkessel”). Nonostante tutte le arterie dell’albero vascolare partecipino a queste due funzioni, le arterie prossimali (ad esempio l’aorta e i suoi rami principali) hanno un ruolo dominante nello smorzamento, mentre le arterie distali e le arteriole contribuiscono maggiormente alla distribuzione del flusso di sangue (4).

La componente di flusso costante della pressione sanguigna, espressa dalla pressione arteriosa media (MAP), è il prodotto della portata cardiaca e la resistenza vascolare, riferita alle arterie di piccolo calibro. La componente di flusso pulsatile può essere espressa dalla pressione pulsatile (PP, o pressione differenziale), calcolata come differenza tra la pressione arteriosa sistolica e diastolica. La pressione pulsatile centrale è determinata dalla gittata sistolica, onde di riflessione e rigidità arteriosa. La MAP e la PP sono entrambi indicatori indipendenti di eventi cardiovascolari. Mentre la MAP predice il rischio cardiovascolare globale (incluso quello di scompenso cardiaco), la PP predice le complicanze legate all’aterosclerosi, principalmente a carico delle arterie coronariche (5).

(13)

Modelli

Ci sono diversi modelli che sono stati proposti per spiegare le proprietà elastiche del sistema arterioso. Il modello più vecchio è quello del Windkessel (camera d’aria), il serbatoio pieno d’aria delle vecchie autopompe in grado di trasformare il flusso pulsatile di una pompa a vapore o azionata a mano in un flusso regolare attraverso la bocchetta. In questo modello, il serbatoio rappresenta la funzione di smorzamento delle arterie, mentre la bocchetta, la resistenza periferica. Nonostante sia utile dal punto di vista concettuale, questo modello non è realistico perché le proprietà elastiche non sono presenti in un unico punto ma sono distribuite lungo l’aorta e le arterie maggiori. L’onda pressoria ha una certa velocità d’onda all’interno delle arterie e, inoltre, le forme dell’onda pressoria sono differenti in ampiezza e nel profilo nelle arterie centrali e periferiche. Le proprietà fisiche delle arterie sono esse stesse differenti, e diverse arterie, in punti differenti, rispondono diversamente agli effetti dell’invecchiamento, dell’ipertensione, dei farmaci. L’utilità del modello Windkessel è piuttosto limitata come spiegazione esauriente del comportamento arterioso in differenti circostanze, nonostante in determinate circostanze (invecchiamento avanzato, ipertensione grave), possa sembrare realistico. Un modello più realistico del sistema arterioso è rappresentato da un semplice tubo con un’estremità rappresentata dalle resistenze periferiche, e l’altra estremità che riceve sangue in maniera intermittente dal cuore. Un’onda, generata dall’attività cardiaca, viaggia lungo il condotto verso la periferia e viene riflessa indietro. L’onda pressoria in un punto qualsiasi lungo il condotto è la risultante dell’onda incidente e di quella riflessa. Quando il condotto è distensibile, come nell’individuo giovane, la velocità

Figura  2.  La  funzione  di  smorzamento  e  di  conduzione  del  sistema   arterioso   possono   essere   rappresentati   separatamente   con   un   serbatoio  (Windkessel)  prossimale  e   un   condotto  di  distribuzione   periferico   (A),   o   con   un   singolo   condotto   distensibile   in   cui   entrambe  le  funzioni  sono  combinate  (B).

(14)

dell’onda è lenta, quindi l’onda di riflessione torna indietro più tardi al cuore, durante la diastole. Quando la parete del vaso è irrigidita, come nell’individuo anziano, l’onda viaggia a velocità elevata, e l’onda riflessa si fonde con la parte sistolica dell’onda incidente, causando un’alta pressione sistolica e una corrispondente pressione diastolica più bassa attraverso il vaso (6).

Struttura dell’onda pressoria di una grande arteria

La pressione sanguigna è in grado di trasmettere energia e segnali meccanici indipendentemente dai segnali neurormonali. Questa caratteristica risulta dalla propagazione di un’onda di pressione ad alta velocità (5-7 m/s). La generazione dei segnali, che sono frequenza-dipendenti, coinvolgono due differenti meccanismi. Il primo è legato allo sviluppo di un’onda ad alta pressione dal ventricolo sinistro che si contrae in aorta prossimale. Il secondo è indiretto, proveniente dal compartimento distale attraverso l’influenza della rigidità arteriosa e delle onde di riflessione. L’eiezione di sangue in aorta genera un’onda pressoria che si propaga alle altre arterie lungo il corpo. Come in dei condotti elastici, quest’onda anterograda può essere riflessa in tutti i punti di discontinuità strutturale o funzionale all’interno dell’albero arterioso. Da questi punti di discontinuità, localizzati principalmente a livello delle arterie distali, nel punto in cui originano i rami arteriolari, viene generata un’onda di riflessione che viaggia in senso retrogrado verso l’aorta ascendente. In questo modo, l’onda incidente e quella riflessa sono in una costante interazione lungo tutto il circuito arterioso e si combinano nell’onda pressoria risultante.

(15)

Figura   3:   Profilo   dell'onda   del   polso   pressorio   aortico.   Le   pressioni   sistolica   e   diastolica   corrispondono   al   picco   e   alla   depressione   dell’onda.   La   augmentation   pressure   è   la   pressione   addizionale   dell’onda   riflessa   sull’onda   incidente.   L’augmentation   index   è   rappresentato   dall’augmentation   pressure   espressa   come   percentuale   del   polso   pressorio.   L’incisura  dicrota  rappresenta  la  chiusura  della  valvola  aortica  ed  è  usata  per  calcolare  la  durata  dell’eiezione.  Il  tempo   alla  riflessione  è  il  tempo  dall’origine  dell’onda  incidente  a  quella  dell’onda  riflessa.

L’ampiezza e la forma dell’onda pressoria che viene misurata in aorta sono determinate dal rapporto di fase (tempismo) tra le due onde componenti. Il tempismo dell’onda pressoria incidente e riflessa dipende dal PWV, dalla distanza percorsa delle onde pressorie, e dalla durata dell’eiezione ventricolare.

Nei soggetti giovani, in condizioni fisiologiche, l’onda pressoria retrograda ritorna dal compartimento arterioso distale durante la diastole, rendendo la pressione differenziale più alta nelle arterie periferiche rispetto a quelle centrali. Questo fenomeno, chiamato “amplificazione del polso pressorio”, è influenzato dal PWV (pulse wave velocity).

Indici di rigidità arteriosa

Una serie di indici sono stati proposti per quantificare la rigidità arteriosa. Ci sono delle riserve su molti di questi indici, poiché questi possono essere influenzati da uno o più dei seguenti fattori: un uso di un modello arterioso inappropriato, assunzione di valori di output cardiaco non validati, relazione di variazioni del diametro prossimali rispetto a variazioni pressorie in un punto distante (es.

(16)

variazione del diametro in aorta rispetto alla variazione pressoria sistolica dell’arteria brachiale, trascurando la variabile amplificazione dell’onda del polso pressorio tra le arterie centrali e quelle periferiche) e l’influenza della frequenza cardiaca e della contrattilità.

La tonaca media arteriosa è composta da un misto di collagene ed elastina che provoca una conseguente relazione non lineare tra la pressione e il diametro. Quindi, la rigidità può essere quantificata ad un dato livello di pressione come la tangente di una curva. Inoltre, il collagene e l’elastina sono collegati al muscolo liscio, la cui attività modula il contributo di ciascuna componente alla rigidità arteriosa; dunque, la misurazione della rigidità stessa varia con il tono della muscolatura liscia, la quale, a sua volta, è influenzata da segnali nervosi, endocrini, o da sostanze prodotte localmente, come l’ossido nitrico, rilasciato dall’endotelio vascolare, o da farmaci. In aggiunta, poiché la parete arteriosa è disomogenea, l’applicazione di indici come il modulo di Young, il quale tiene conto dello spessore della parete vasale, ma considera anche l’omogeneità della parete stessa, possono essere non realistici. Infine, le arterie di medio calibro (muscolari) mostrano cambiamenti vasomotori spontanei, i quali causano cambiamenti nel diametro e nella rigidità di parete; tuttavia, non coinvolgendo l’aorta e le grandi arterie elastiche, ed essendo non concordi in diversi letti arteriosi periferici, hanno un effetto trascurabile sugli indici globali come quelli che derivano dal profilo dell’onda pressoria. Tutti questi fattori ostacolano il tentativo di determinare in maniera efficace le proprietà elastiche nelle singole arterie.

La distensibilità vascolare è normalmente espressa dall’incremento di volume per ogni mmHg di incremento pressorio, secondo la seguente formula:

Distensibilità vascolare = aumento del volume mmHg-1

aumento della pressione x volume iniziale

Negli studi emodinamici di solito è molto più importante conoscere la quantità totale di sangue che può essere immagazzinata in una specifica parte del circolo, per ogni mmHg di aumento pressorio, che conoscere la distensibilità dei singoli vasi. Questo

(17)

valore è chiamato compliance o capacitanza del rispettivo letto vascolare ed è esprimibile con la seguente formula:

Compliance vascolare = aumento di volume cm3/mmHg

aumento di pressione

La compliance e la distensibilità sono due concetti del tutto differenti. Infatti, un vaso molto distensibile che abbia un piccolo volume può avere una compliance molto minore rispetto a quella di un vaso molto meno distensibile che però abbia un volume maggiore (7). La compliance è infatti data dal prodotto della distensibilità per il volume, il suo reciproco è detto elastanza.

Modulo elastico volumetrico = aumento di pressione = DP

(Aumento di volume/volume totale) (DD/D) mmHg

Variazione di pressione richiesta per un aumento volumetrico (teorico) del 100%, senza alterazione della lunghezza.

Modulo elastico = DP x D mmHg

DD

Variazione di pressione richiesta per una distensione (teorica) del 100% dal diametro di riposo ad una lunghezza del vaso fissa.

Modulo di Young = DP x D mmHg/cm

DD x h (spessore)

Modulo elastico per unità di superficie; variazione di pressione richiesta per cmq per una distensione (teorica) dalla lunghezza di riposo.

(18)

Pulse wave velocity (PWV) = Distanza cm/s

Dt

Velocità dell’onda pressoria lungo un segmento arterioso.

Pressure augmentation: Aumento della pressione aortica o carotidea

successivamente al picco di flusso sanguigno nel vaso (mmHg o % della PP).

Impedenza caratteristica: Relazione tra la variazione di pressione e velocità di

flusso in assenza di onde di riflessione (mmHg/cm/s).

Indice di stiffness: ln (Ps/Pd)

(Ds-Dd)/Dd

Rapporto tra il logaritmo naturale del rapporto tra pressione sistolica e diastolica e la variazione relativa del diametro.

Indice di elasticità delle grandi arterie: Relazione tra la caduta pressoria e la caduta

volumetrica nell’albero arterioso durante la componente esponenziale del declino pressorio diastolico (cm3/mmHg).

Figura  4:  Curva  pressoria  di  una  grande  arteria  elastica  risultante   dell’onda  anterograda  e  dell’onda  retrograda.      

(19)

Indice di elasticità delle piccole arterie: Relazione tra la variazione di pressione e la

variazione di volume oscillatori durante la componente esponenziale del declino pressorio diastolico (cm3/mmHg).

Il progressivo sviluppo di rigidità in queste arterie conduce ad una serie di conseguenze avverse dal punto di vista emodinamico, quali un aumento della pressione arteriosa differenziale, fino allo sviluppo di ipertensione arteriosa sistolica isolata.

La misura di rigidità arteriosa più considerata è la pulse wave velocity (PWV). Essa è una misurazione della rigidità arteriosa regionale del territorio arterioso che c’è tra i due punti di misurazione. Questo parametro è collegato non solo al modulo elastico ma anche alla geometria arteriosa (raggio, spessore parietale) e alla densità del sangue. È considerabile inoltre una misurazione diretta di rigidità poiché corrisponde alla radice quadrata dell’inverso della distensibilità. La misurazione del PWV richiede la misurazione di due quantità: il tempo di transito del polso pressorio arterioso lungo il segmento arterioso analizzato e la distanza sulla superficie cutanea attraverso entrambi i punti di registrazione (8). Il suo valore predittivo è stato validato in numerosi studi epidemiologici in differenti popolazioni e località geografiche (9). La pulse wave velocity delle grandi arterie elastiche come l’aorta aumenta marcatamente con l’età, mentre quella nelle arterie muscolari dell’arto superiore non incrementano.

Figura   5:   Curva   di   stress-­‐rilasciamento   dell’aorta   umana.   Relazione   non   lineare   tra   stress   arterioso   (pressione)   e   rilasciamento   (variazione   del   diametro  relativo).   Gli  effetti  dell’età   o  della   perdita   di  elasticità   arteriosa   sono,   generalmente,   di   reclutare   le   fibre   di   collagene   per   rilasciamenti   inferiori,  conseguentemente  incrementando  la  PP  a  parità  di  rilasciamento.

(20)

Con una PWV aumentata, i siti di riflessione dell’onda pressoria del compartimento distale appaiono “più vicini”, all’aorta ascendente, e le onde pressorie riflesse compaiono precocemente, risultando più vicine in fase con l’onda pressoria incidente in quella regione. Questo precoce ritorno delle onde pressorie riflesse implica che esse raggiungano le arterie centrali durante la sistole e non durante la diastole. Quest’alterazione del segnale ha come risultato un aumento delle pressioni aortica e ventricolare durante la sistole e una riduzione della pressione aortica durante la diastole (4).

Poiché tutti i valori di rigidità arteriosa sono pressione-dipendenti, le comparazioni devono essere eseguite alle stesse pressioni di distensione (MAP). Infatti, a bassi livelli di pressione arteriosa, il modulo elastico dell’elastina domina il comportamento meccanico e la parete è relativamente estensibile. A più alti livelli di pressione arteriosa, il modulo elastico del collagene è preponderante e la parete è relativamente inestensibile. In altre parole, la compliance e la distensibilità della parete arteriosa diminuiscono con l’aumentare della pressione arteriosa (fenomeno da distinguere dai cambiamenti strutturali che portano a una diminuzione nella compliance della parete arteriosa). In più, è da sottolineare la natura non lineare dell’elasticità arteriosa: il cambiamento del modulo elastico per una certa variazione della pressione intraarteriosa è più grande ad alti valori di pressione sanguigna che a bassi valori. Perciò, l’aumento di pressione sanguigna porta a un notevole incremento del PWV (10).

Accoppiamento ventricolo – arterioso

Quando si prendono in considerazione le implicazioni fisiopatologiche della rigidità arteriosa, è importante non trascurare il ruolo ricoperto dal cuore, al quale i vasi sanguigni sono funzionalmente accoppiati. Un accoppiamento efficace del cuore al sistema arterioso può essere definito in diversi modi. Uno è il trasferimento ottimale di sangue dal cuore alla periferia, senza eccessive variazioni di pressione arteriosa. Un altro è il garantire una riserva di flusso cardiovascolare ottimale senza

(21)

compromissione delle pressioni arteriose. Si può esprimere matematicamente l’accoppiamento ottimale come l’interazione che più potenzia il lavoro cardiaco sull’organismo. Infine si deve considerare l’efficienza del cuore nel compiere il lavoro, ovvero il consumo di energia richiesto dal cuore per svolgere il lavoro esterno (11).

La rigidità sistolica ventricolare (contrattilità) è espressa come elastanza telesistolica, rappresentata dalla pendenza della retta data dal rapporto di pressione e volume telesistolici (ELV). Il calcolo di ELV considera che la relazione PV telesistolica sia indipendente dal carico, che la sua pendenza sia lineare e che il volume di partenza sia insensibile alle influenze inotrope. In condizioni di carico fisiologiche, queste approssimazioni sono ragionevoli. Nonostante ELV sia considerato un indice di contrattilità ventricolare sinistra carico-indipendente, essa è comunque influenzata dalle proprietà geometriche e biochimiche che soggiacciono alla rigidità ventricolare telesistolica.

Il postcarico cardiaco è spesso concepito come equivalente alla pressione arteriosa sistolica, portando a conclusioni e interpretazioni errate. Le pressioni sanguigne sistemiche sono determinate dalla complessa e dinamica interazione di ventricolo e sistema vascolare, variano con il precarico, con la contrattilità e con la frequenza cardiaca. Un’alternativa è valutare il carico vascolare che si oppone

all’eiezione indipendentemente dalla funzione ventricolare. Il gold standard tradizionale è l’impedenza aortica; essa è però espressa nel dominio della frequenza, rendendo difficile il confronto con tipiche misure della funzione sistolica ventricolare, espresse nel dominio del tempo. È stata elaborata, quindi, una misura

Figura  6:  Diagramma  pressione  -­‐  volume  da  cui  derivano  l’elastanza   arteriosa  (EA)  e  l’elastanza  telesistolica  ventricolare  (ELV).  L’area   colorata  rappresenta  il  lavoro  cardiaco  mentre  l’area  tratteggiata   rappresenta  l’energia  potenziale.  

(22)

di rigidità arteriosa “netta”, l’elastanza arteriosa (EA), che condivide la stessa unità di misura di ELV, oltre ad essere calcolabile più facilmente, per studiare l’interazione ventricolo – arteriosa (12). EA non è una misura di una specifica proprietà vascolare, ma un indice integrato che incorpora i principali elementi del carico arterioso, inclusi la resistenza vascolare periferica, la compliance arteriosa totale, l’impedenza caratteristica e gli intervalli di tempo diastolici e sistolici. Esso può, quindi, essere considerato una misura del carico arterioso netto che viene imposto sul ventricolo sinistro. Il rapporto della pressione telesistolica e il volume d’eiezione costituisce una stima accurata di EA nei pazienti ipertesi e normotesi (13). Graficamente, EA è la pendenza negativa della retta che passa attraverso il volume telesistolico e telediastolico.

L’accoppiamento ventricolo – arterioso è spesso descritto dall’interazione di questi due valori, espressa come rapporto di EA/ELV. L’intersezione di queste due rette ad un dato valore di precarico individua la pressione e il volume telesistolici. Il rapporto EA/EVL si conserva con l’età mantenendo l’efficienza ottimale negli uomini, ma declina in qualche modo nelle donne, poiché il denominatore (rigidità ventricolare) aumenta in maniera sproporzionata rispetto al numeratore (carico vascolare). Un rapporto di accoppiamento EA/ELV da 0,6 – 1,2 raggiunge un lavoro cardiaco e un’efficienza ottimali. Questo intervallo è di solito mantenuto sotto vari stress fisiologici. Esso può diventare molto alto nello scompenso cardiaco sistolico. Il rapporto di accoppiamento è correlato inversamente alla frazione d’eiezione e normalmente si abbassa con l’esercizio fisico, poiché l’aumento di E LV (contrattilità) eccede l’aumento di postcarico per incrementare la portata cardiaca e la pressione sanguigna. Con l’invecchiamento, l’abbassamento di EA/ELV durante l’esercizio fisico è compromesso, ciò spiega in parte la riduzione dipendente dall’età nella capacità aerobica.

Un segnale pressorio che si sviluppa dalle arterie distali attraverso un’alterata onda di riflessione può alterare l’accoppiamento ventricolo-arterioso e portare ad aumentato rischio cardiovascolare. Le onde riflesse alterano l’accoppiamento non solo attraverso un aumento della rigidità arteriosa e un cambio nelle tempistiche di insorgenza ma anche attraverso modificazioni della loro ampiezza. Queste, a loro volta, dipendono dalle proprietà di riflessione dell’albero arterioso, che si presentano

(23)

nella parte più distale di questo. Tali proprietà sono influenzate dalla geometria, dal numero, dalla struttura e dalla funzione delle piccole arterie muscolari e delle arteriole (14).

3.   Cause di rigidità arteriosa

Figura  7:  Schematizzazione  delle  multiple  cause  e  localizzazioni  della  rigidità  arteriosa.

La rigidità arteriosa è spesso considerata come il risultato di un semplice “danno da usura” a carico delle grandi arterie, e in particolare degli elementi elastici contenuti nella loro tonaca media. In realtà i processi fisiopatologici sottostanti sono più complessi e non ancora interamente chiariti. Un ruolo fondamentale è quello svolto dall’invecchiamento, attraverso la serie di cambiamenti legati all’età che sono stati descritti (10). Importante è anche il duplice ruolo dell’ipertensione, come conseguenza di irrigidimento delle arterie e come fattore aggravante dello stesso, causando un circolo vizioso (15). Condizioni come il diabete e l’insufficienza renale cronica devono essere inoltre chiamate in causa, poiché associate alla rigidità arteriosa attraverso un meccanismo di “invecchiamento vascolare prematuro”. Non da ultimi devono essere presi in considerazione i fattori genetici che spiegherebbero la variabilità di stiffness arteriosa tra popolazioni geografiche differenti così come tra i singoli individui (16).

(24)

Invecchiamento delle arterie

Nel momento della nascita, il passaggio da una circolazione a bassa pressione ad una ad alta pressione, dovuta a cambiamenti emodinamici periferici perinatali, inducono la produzione di elastina nelle grandi arterie. La raffinata interazione che si stabilisce tra la portata cardiaca, il reclutamento di elastina e collagene, il tono della muscolatura liscia dei vasi e la funzione endoteliale assicura un flusso distale, uno stress parietale arterioso e un lavoro cardiaco ottimali in varie condizioni fisiologiche (es. gravidanza, esercizio fisico). Un fattore limitante in questo sistema emodinamico è la impossibilità dell’elastina di rigenerarsi, dopo la iniziale produzione che avviene nel periodo neonatale. Il suo progressivo deterioramento, assieme alle alterazioni delle altre componenti di questo circuito, portano a una compromissione progressiva emodinamica e all’attivazione di fattori proinfiammatori (17). In aggiunta, I cambiamenti nella struttura e nella funzione dell’apparato cardiovascolare a causa del processo di invecchiamento rappresentano un substrato sul quale si innestano i meccanismi fisiopatologici che determinano l’insorgenza, la severità e la prognosi delle specifiche patologie (es. aterosclerosi, ipertensione arteriosa, stroke) (18).

L’ispessimento parietale e la dilatazione sono i cambiamenti strutturali prominenti che avvengono nelle grandi arterie elastiche con l’invecchiamento (19). È stato calcolato che in media lo spessore della tonaca intima e media della parete arteriosa aumenta in modo lineare fino a 3 volte fra i 20 e i 90 anni, anche in assenza di lesioni aterosclerotiche (20). L’ispessimento intimale rappresenta un fattore di rischio per l’aterosclerosi e un indicatore indipendente di eventi cardiovascolari. L’ispessimento intimo-mediale è stato documentato anche in assenza di aterosclerosi.

L’incremento età-dipendente dello spessore della media e dell’intima è accompagnato sia da dilatazione del lume vascolare e da una riduzione della compliance o della distensibilità, con un aumento della rigidità vascolare (21). Un aumento del PWV è collegato ad alterazioni strutturali nella tonaca media vascolare: aumento del collagene, riduzione del contenuto di elastina,

(25)

scomposizione dell’elastina. I frammenti di elastina fungono a loro volta da nuclei di calcificazione. Questi cambiamenti sono attribuiti in parte ai ripetuti cicli di distensione e ritorno elastico della parete arteriosa. L’irrigidimento arterioso può avvenire indipendentemente dall’aterosclerosi.

La rigidità non è determinata solo da cambiamenti strutturali nella matrice extracellulare, come appena descritto, ma anche dalla regolazione endoteliale del tono della muscolatura liscia vascolare e da altri aspetti strutturali e funzionali della parete arteriosa. Al contrario delle arterie centrali, la rigidità delle arterie muscolari è molto meno affetta dall’aumentare dell’età (22). Di conseguenza, le manifestazioni dell’invecchiamento arterioso possono variare all’interno di diversi letti vascolari, a seconda delle differenze nella composizione strutturale delle arterie e dei segnali che modulano le proprietà arteriose o differenze nella risposta a questi stessi segnali lungo l’albero arterioso.

La relazione tra il genere e la rigidità aortica è controversa. Un maggiore aumento di stiffness aortica con l’età è stato descritto nelle donne, in particolare dopo la menopausa, ed è stato attribuito ai cambiamenti dell’assetto ormonale.

Figura   8:   Rappresentazione   grafica   dei   polsi   arteriosi   in   un   paziente   normoteso,   in   un   paziente  con  ipertensione  sistolica/diastolica  e  in  un  paziente  con  ipertensione  sistolica   isolata.

(26)

Rigidità arteriosa e ipertensione

La relazione tra rigidità arteriosa e ipertensione è complessa e spesso controversa. Da un punto di vista emodinamico, l’ipertensione essenziale può essere divisa in due forme: l’ipertensione sistolica/diastolica, che insorge nella mezza età, e l’ipertensione sistolica isolata, tipica dell’anziano. Queste due forme differiscono tra loro per prevalenza, fisiopatologia e terapia. La pressione sistolica è elevata in entrambe le forme, ma l’elevazione della pressione diastolica nella prima forma è dovuta ad un aumento delle resistenze periferiche, mentre i valori normali o diminuiti della stessa nella seconda forma sono dovuti alla rigidità arteriosa (23).

L’aumento della rigidità arteriosa delle arterie muscolari nell’ipertensione sistolica/diastolica è legato direttamente ai più alti regimi pressori che vigono nelle arterie e, quando la pressione viene ridotta ad un range normale, la rigidità torna nella normalità. Anche le grandi arterie elastiche risultano più rigide, con un PWV più alto rispetto ai controlli (24), ma se anch’esso sia dovuto alle più alte pressioni in arteria è meno chiaro.

L’ipertensione sistolica isolata, caratterizzata da un aumento della pressione differenziale, è invece una condizione fisiopatologicamente legata alla rigidità delle arterie, in particolare dell’aorta rispetto alle arterie periferiche (10), dopo correzione per la pressione media. In questo caso l’irrigidimento arterioso risulta accelerato, poiché lo stress ciclico, provocato dall’aumento della pressione differenziale a carico della parete arteriosa, aggrava il processo di degenerazione delle fibre elastiche. Questo meccanismo costituisce un circolo vizioso che aggrava progressivamente i cambiamenti emodinamici e strutturali del sistema arterioso.

Rigidità arteriosa e diabete mellito

Il diabete mellito è una patologia in cui il processo di alterazione strutturale che porta ad irrigidimento delle arterie può essere accelerato.

(27)

Sempre più evidenze scientifiche dimostrano che, anche prima dell’insorgenza del diabete, siano manifesti segni di alterata distensibilità delle arterie in pazienti in stadi pre-clinici, compresi alterata glicemia a digiuno, intolleranza al glucosio e insulino-resistenza (25). È stato dimostrato che, anche nel range della normalità, i valori della glicemia (65-100 mg/dL) sono correlati a rigidità arteriosa in un gruppo di pazienti non diabetici (26).

L’aumento di rigidità arteriosa è stato anche associato alla sindrome metabolica (27). Tra i fattori di rischio di sindrome metabolica, l’alterato metabolismo del glucosio potrebbe giocare un ruolo chiave nello sviluppo di stiffness arteriosa. Inoltre, nei pazienti con diabete mellito conclamato, la rigidità arteriosa è strettamente correlata alla progressione delle complicanze della patologia diabetica. Numerosi studi hanno stabilito l’associazione tra stiffness arteriosa e nefropatia diabetica: anche dopo correzione per i fattori di rischio cardiovascolari comuni, l’albuminuria era significativamente associata al PWV (28). La rigidità arteriosa è stata associata allo sviluppo di retinopatia diabetica, un indicatore indipendente di mortalità nella popolazione dei pazienti diabetici (29).

La PWV centrale è stata inoltre correlata alla disfunzione autonomica, con l’ipotesi che questa porti ad un appiattimento delle variazioni circadiane della pressione arteriosa, con un aumento del carico complessivo pressorio nelle 24 h, e che il mancato decremento della frequenza cardiaca durante la notte che avviene nella neuropatia autonomica, porti ad un’accelerata degradazione delle fibre elastiche arteriose (30).

Una compromissione della distensibilità è associata anche a neuropatia periferica e disfunzione cognitiva dei pazienti con diabete mellito.

Molti studi hanno chiamato in causa gli AGEs nella accelerazione dei cambiamenti vascolari legati all’età nei pazienti diabetici e non. La deposizione di AGEs può avvenire nella parete arteriosa, maggiormente nelle fibre collagene, portando a legami crociati patologici. In più, la presenza di legami crociati mediati dagli AGEs può conferire un’aumentata resistenza alla proteolisi enzimatica che contribuisce all’aumento di contenuto di collagene nella parete arteriosa, caratteristica dell’invecchiamento e accelerata nel DM.

(28)

In più, l’insulino-resistenza contribuisce alla disfunzione endoteliale interferendo con la vasodilatazione mediata da NO. Nello stato insulino-resistente, l’attivazione della NO sintetasi è compromessa ed è aumentata la produzione di anioni superossido. È stato infine ipotizzato che la stessa rigidità arteriosa possa condurre ad alterato metabolismo del glucosio: l’aumento di pressione e pulsatilità del flusso a livello del tessuto pancreatico potrebbe precipitare la disfunzione pancreatica che porta a DM; l’aumento di energia pulsatile al muscolo scheletrico potrebbe anche provocare disfunzione endoteliale e disregolazione metabolica.

Segnali neuroendocrini e introito salino

Molti ormoni sono coinvolti nella modulazione della elasticità vascolare. L’angiotensina II stimola la formazione di collagene, stimola il rimodellamento della matrice e l’ipertrofia vascolare, deprime la segnalazione NO-dipendente, aumenta lo stress ossidativo. In più AII stimola citochine e fattori di crescita nella matrice che contribuiscono all’aumento della risposta infiammatoria.

Molti di questi cambiamento sono trasdotti dalla NADPH ossidasi stimolata da AII e dal disaccoppiamento della NO sintetasi.

L’aldosterone, la cui sintesi è stimolata dall’interazione dell’AII con il recettore dell’angiotensina di tipo I, promuove la rigidità arteriosa e l’ipertensione stimolando l’ipertrofia delle fibrocellule muscolari lisce vascolari, la fibrosi e la fibronectina. L’introito salino dietetico incrementa la rigidità arteriosa con l’aumentare dell’età. In risposta all’introduzione di NaCl, il tono delle fibrocellule muscolari lisce viene stimolato e la composizione della parete vascolare viene alterata, con marcato incremento dello strato mediale, ipertrofia delle fibrocellule muscolari e abbondante apposizione di collagene.

L’introito di sale interagisce con i polimorfismi genetici per geni come il recettore dell’angiotensina di tipo I, NO e aldosterone sintetasi.

Il sodio interferisce anche con la funzione endoteliale, riducendo la produzione di NO da parte della NO sintetasi, diminuendo di conseguenza la biodisponibilità di

(29)

NO, stimolando gli inibitori di NOS e aumentando l’attività della NADPH ossidasi. Ne consegue un aumento di ROS come meccanismo comune di rigidità arteriosa (31).

Insufficienza renale cronica

La rigidità arteriosa aumenta nei pazienti con insufficienza renale cronica e la PWV è un indicatore forte e indipendente di mortalità in questa popolazione. La perdita di distensibilità nella malattia renale coinvolge diversi meccanismi: ispessimento intimo-mediale in risposta all’incremento di stress parietale dell’ipertensione, aumento del contenuto del collagene nella matrice extracellulare e proliferazione delle cellule muscolari lisce, promossi dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. In aggiunta, l’elasticità e la digeribilità del collagene e altre proteine della matrice extracellulare sono ridotte a causa della formazione di AGEs e reazioni con composti carbonili reattivi, aumentati nei pazienti uremici. La rigidità arteriosa nella malattia renale è anche favorita dalla calcificazione diffusa della tonaca media (31).

Fattori genetici

Diversi polimorfismi genici sono stati associati ad un aumento della rigidità arteriosa. Questi possono essere divisi in due gruppi: quelli legati alla fisiopatologia dell’ipertensione, come il sistema renina-angiotensina-aldosterone, il sistema della NO sintetasi endoteliale, i sistemi dell’a-adducina, e quelli legati all’invecchiamento dell’apparato cardiovascolare, in particolare quelli legati all’elastina, al collagene e alla lunghezza dei telomeri (14). Disordini monogenici come la malattia di Marfan, la sindrome di Williams e la sindrome di Ehlers-Danlos rappresentano una importante fonte di studio riguardo l’influenza degli effetti di singoli geni sulla

(30)

stiffness vascolare (32). È però importante sottolineare come tutti questi studi siano stati effettuati su popolazioni piccole e preselezionate. Nessuno di questi geni sembra infatti avere un effetto marcato sulla popolazione generale, che riflette maggiormente la natura multifattoriale e poligenica dell’ipertensione.

4.   Rigidità arteriosa e danno d’organo

Oltre ad agire come fattore di rischio, la rigidità arteriosa può anche promuovere il danno d’organo e contribuire allo sviluppo di patologie attraverso diversi meccanismi.

Lo stress meccanico ciclico e la parete arteriosa

Su modelli in vitro, la distensione ciclica a lungo termine incrementa le proprietà meccaniche di preparati equivalenti alla tonaca media basati sul collagene, e incrementa inoltre l’accumulo di collagene e fibronectina in modelli di muscolatura liscia vascolare umani e animali.

La distensione e il rilassamento continui innescano una serie di complessi segnali di trasduzione che portano a trascrizione genica e risposte funzionali a carico delle fibrocellule muscolari lisce, con la transizione dal fenotipo contrattile a quello sintetico.

Le corrispondenti evidenze valutate in vivo sono scarse e quasi esclusivamente costituite da dati epidemiologici che mostrano che lo stress pulsatile, rappresentato dal PP, onde di riflessione e rigidità arteriosa, è un indicatore di rischio cardiovascolare migliore dello stress non ciclico, rappresentato dal valore di pressione sistolica e diastolica (33).

(31)

Effetti cardiaci

L’elevata pressione sistolica promuove ipertrofia ventricolare sinistra e irrigidimento ventricolare, i quali a loro volta portano a disfunzione diastolica e scompenso cardiaco. L’aumento di rigidità arteriosa è associata ad un’elevata velocità di trasmissione dell’onda pressoria generata dall’eiezione ventricolare. Il precoce ritorno dell’onda riflessa che torna indietro durante la sistole può portare ad un aumento dell’ampiezza dell’onda pressoria aortica centrale, incrementando di conseguenza il post-carico ventricolare sinistro e la pressione aortica centrale (34). L’aumento del post-carico promuove l’ipertrofia dei miocardiociti e può anche rallentare direttamente il rilassamento del ventricolo sinistro (35). La riduzione concomitante nella pressione diastolica centrale può compromettere la perfusione coronarica che, in associazione con l’ipertrofia miocardica e l’aumento del post-carico, può esacerbare l’ischemia subendocardica. Questo meccanismo può compromettere ulteriormente il rilassamento miocardico e promuovere la fibrosi interstiziale portando a una riduzione della compliance del ventricolo sinistro. Infatti, un aumento della rigidità ventricolare in associazione con l’irrigidimento arterioso è stato dimostrato in pazienti con scompenso cardiaco diastolico manifesto. L’interazione di questi

processi può essere

importante per l’espressione clinica dello scompenso (36). Studi precedenti su pazienti ipertesi hanno anche riportato un’associazione tra la rigidità arteriosa e cambiamenti strutturali del ventricolo sinistro, inclusi il rimodellamento concentrico e l’ipertrofia, che sono a loro Figura  9:  Vie  fisiopatologiche  attraverso  cui  la  stiffness  aortica  può  

(32)

volta associate alla disfunzione diastolica (37) (38).

La relazione tra compliance arteriosa e disfunzione diastolica può essere particolarmente importante nelle donne ipertese, le quali hanno una più alta prevalenza di scompenso cardiaco a FE conservata rispetto agli uomini. Studi sperimentali e clinici indicano che in risposta all’incremento del post-carico, le donne manifestano un più alto grado di rimodellamento concentrico, associato sia con la rigidità arteriosa sia con la disfunzione diastolica.

Effetti sugli organi periferici

Mentre per il cuore la predominanza di forze pulsatili è evidente, data la perfusione prevalentemente diastolica della circolazione coronarica. Nei tessuti periferici, come il cervello o il rene, le forze meccaniche costanti sono più importanti da considerare nel mantenimento di una corretta perfusione. Questi due organi sono caratterizzati da una bassa resistenza vascolare e un alto flusso. Questo permette all’aumento della pulsatilità pressoria indotta dall’irrigidimento dell’aorta di penetrare all’interno del loro microcircolo. Questo causa un danno alla microcircolazione cerebrale e renale di maggiore entità rispetto a quello degli organi a maggiore resistenza vascolare. La malattia microcircolatoria cerebrale clinicamente silente è associata a infarti lacunari, microsanguinamenti, iperintensità della sostanza bianca, tutti indipendentemente correlati alla PWV nei pazienti anziani ipertesi.

L’aumento di PWV è stato anche associato a decadimento della funzione cognitiva. Studi separati, in pazienti con malattia renale cronica hanno mostrato una relazione indipendente del PWV col declino della funzione renale e la mortalità totale (39). Una ridotta filtrazione glomerulare e un aumento dell’escrezione di albumina sono stati anch’essi correlati ad una minore compliance arteriosa.

Dunque, la rigidità arteriosa dell’aorta, a causa di arteriosclerosi, porta a complicanze microcircolatorie cerebrali e renali che differiscono da quelle dell’arteriopatia occlusiva causata dall’aterosclerosi.

(33)

Un aumento della rigidità aortica o arteriosa, manifestata da un aumento del PWV, è stata rilevata come un fattore in diverse patologie apparentemente non collegate. La più comune causa di mortalità nella BPCO è di natura cardiovascolare. Anche quando viene corretta per gli altri fattori pertinenti, la PWV resta elevata nella BPCO e correla con la sua gravità. L’aumento di PWV in questa patologia è stato associato con mediatori infiammatori circolanti. PWV è anche associata a obesità ed è elevata in patologie reumatologiche come l’artrite reumatoide (23).

5.   Tecniche di misurazione di rigidità arteriosa

La rigidità arteriosa può essere stimata a livello sistemico, regionale e locale. Diversamente dalla rigidità arteriosa sistemica, che può essere calcolata indirettamente tramite modelli matematici, la rigidità arteriosa locale e regionale sono misurabili in maniera diretta e non invasiva in diversi siti dell’albero arterioso. Il principale vantaggio nell’utilizzare queste ultime è quello di ottenere delle misurazioni dirette di parametri fortemente associati alla rigidità arteriosa.

La seguente tabella riassume le principali metodiche di misurazione finora utilizzate: Tabella  1:  Strumenti  e  metodi  di  misurazione  della  rigidità  arteriosa.  

Strumento Metodi

Rigidità Regionale Complior® Sphygmocor® Pulsepen® Vicorder® WallTrack® Artlab® Sistemi US Trasduttore meccanico Tonometro Tonometro Tonometro/Oscillometro Echotracking Echotracking Ecodoppler

Rigidità locale WallTrack® NIUS®

Echotracking Echotracking

(34)

Artlab® Sistemi US vari Sistemi MRI Echotracking Echotracking Cine-MRI

Rigidità sistemica Metodo dell’area HDI PW CR-2000 SV/PP

Decadimento diastolico Windkessel modificato

V di eiezione e Pulse pressure SV/PP = volume di eiezione/pressione di pulsazione.

Rigidità arteriosa sistemica

Per valutare la compliance capacitativa prossimale e la compliance oscillatoria distale, è stata sviluppata una metodica basata su un circuito elettrico strutturato sul modello Windkessel modificato della circolazione (HDI/PulseWave CR-2000 Research CardioVascular Profiling System; Hypertension Diagnostics Inc., Eagan, MN, USA). Questa tecnica si basa sulla registrazione del polso arterioso a livello della arteria radiale e identifica le riflessioni in diastole come un’onda di decadimento sinusoidale (40) (41) (42) (43).

La compliance arteriosa sistemica può anche essere misurata adottando il cosiddetto “metodo dell’area” (44) (45), il quale richiede la misura del flusso ematico aortico (con un sensore posto a livello del giugulo) e delle pressioni associate (con un tonometro ad applanazione a livello del tratto prossimale dell’arteria carotide comune destra). La compliance arteriosa sistemica (SAC) è quindi ricavata dalla formula:

SAC =   A&/ R P*  − P&

dove A& rappresenta l’area sotto la curva di decadimento pressorio diastolico dalla tele-sistole alla tele-diastole, R la resistenza totale periferica, P*   la pressione tele-sistolica e P& la pressione tele-diastolica (calibrate a partire dalla pressione in arteria brachiale).

(35)

Infine, in passato è stata usata una approssimazione grezza della compliance arteriosa sistemica: il rapporto tra volume di eiezione e pressione di pulsazione (PP) (46). Comunque questo metodo presenta una scarsa precisione, dovendo essere determinati con accuratezza e in maniera non invasiva sia il volume d’eiezione che la pressione di pulsazione a livello dell’aorta ascendente.

Rigidità aortica

L'aorta è il vaso di maggior interesse quando si determina la rigidità arteriosa regionale, per almeno due motivi: in primo luogo il tratto toracico e addominale dell’aorta forniscono il contributo maggiore alla funzione di “cuscinetto” arteriosa; in secondo luogo la PWV aortica è un predittore indipendente di eventi in una varietà di popolazioni. Comunque tutti i siti arteriosi hanno un potenziale interesse dal punto di vista clinico e soprattutto dal punto di vista scientifico-sperimentale.

Misurazione della PWV

La misurazione della PWV è considerata generalmente il metodo più semplice, non invasivo, robusto e riproducibile per determinare la rigidità arteriosa regionale. La PWV carotido-femorale (cfPWV) è una misurazione che si basa sull’ampiamente accettato modello propagativo del sistema arterioso. Misurata lungo il tratto aortico e aortico-iliaco, è il parametro più rilevante dal punto di vista clinico, dal momento che l'aorta e le sue diramazioni iniziali sono quelle che il ventricolo sinistro “vede” e sono perciò responsabili della maggior parte degli effetti fisiopatologici della rigidità arteriosa. Tra tutti i siti di misurazione, cfPWV è stata utilizzata come parametro di valutazione della rigidità aortica in diversi studi epidemiologici, che ne hanno dimostrato il valore predittivo per eventi cardiovascolari. Inoltre un’elevata cfPWV è considerata espressione di danno d’organo sub-clinico nel paziente iperteso, secondo quanto introdotto dalla Linee Guida ESH-ESC per il Management dell’Ipertensione del 2007. Per il calcolo di cfPWV, le forme d’onda sono ottenute

(36)

per via transcutanea a livello dell'arteria carotide comune di destra e a livello dell'arteria femorale destra (47).

Il valore della PWV è calcolato dal rapporto tra distanza attraversata dall’onda di pulsazione e il tempo da essa impiegato a completare tale percorso. Pertanto esso dipende sia dal tipo di algoritmo impiegato per identificare il cosiddetto “piede d’onda” ai siti di registrazione, sia dalla misurazione della lunghezza del percorso seguito dall’onda di pulsatilità.

Il tempo di transito (Δt) o delay time, cioè il tempo impiegato dall’onda pressoria a viaggiare lungo una distanza conosciuta, è calcolato sulla base della differenza temporale tra due punti caratteristici individuati a livello delle forme d’onda carotidea e femorale. Questi punti caratteristici vengono scelti in base al tipo di forma d’onda (onda di flusso, pressione o di distensione trasversa) e dall’algoritmo adottato per la sua determinazione (48). I due algoritmi più adoperati sono l’algoritmo della tangente intersecante o metodo “da-piede-a-piede” (per il sistema SphygmoCor® e la valutazione manuale) e quello del punto di massima eiezione sistolica (es. per il sistema Complior®). Algoritmi diversi applicati alla stessa forma d’onda possono portare a differenze in termini di valori di PWV ottenuti del 5-15% (49). Dal momento che l’algoritmo basato sul punto di massima eiezione sistolica ha mostrato di sottostimare la PWV, specialmente quando l’ascesa dell’onda è lenta (49), è stato scelto quello della tangente intersecante per la standardizzazione delle tecniche di misurazione. La formula di Millasseau et al. consente di convertire il tempo di transito misurato col sistema di eiezione massimale in quello della tangente intersecante (49):

∆t./0120.2  30.24*25/0.2 = ∆.6788967  :9:;9<=:D.E@EC  >?@.BC (ms)

Usando il metodo “da-piede-a-piede” delle diverse onde, il tempo di transito (Δt) in caso di acquisizione simultanea è ricavato dalla distanza tra il piede delle onde registrate, mentre nell’acquisizione sequenziale esso è calcolato dalla distanza del piede d’onda in rapporto al complesso QRS dell'ECG. Il piede d'onda è definito alla fine della diastole, quando comincia la ripida ascesa dell'onda sfigmica (47). I valori di PWV dipendono anche dal tipo di misurazione del percorso carotideo-femorale effettuata. Tale percorso può essere determinato dalla misurazione diretta della distanza tra i siti di misurazione carotideo e femorale (misurata in linea dritta),

(37)

oppure dalla sottrazione della distanza intercorrente tra il sito misurazione carotideo e il giugulo, da quella esistente tra giugulo e sito femorale.

Le differenze nella lunghezza di tale percorso possono condurre a variazioni del valore di PWV ottenuto nell’ordine del 30% (50) (51). Pertanto, sono state pubblicate alcune equazioni atte a convertire le diverse modalità di misurazione della distanza (52):

x&342../ = 0.45x*J..4/../  +  0.21  ×altezza + 0.08  (m) x*J..4/../ = 1.04x&342../−  0.11  ×altezza − 0.02 (m)

Tuttavia, queste formule rappresentano un’approssimazione e possono introdurre ulteriori errori (53).

Il tipo di misurazione della distanza più ampiamente adoperato è quello diretto. Ad ogni modo, poiché l’utilizzo della distanza diretta (stabilita a livello della superficie cutanea) conduce a una sovrastima anche del 25.4% della PWV reale - calcolata con risonanza magnetica (MRI) o con tecniche invasive (54) - si suggerisce (48) di impiegare un fattore di scala di 0.8 derivato da Sugawara et al. (55) e Weber et al. (56) al fine di ottenere la PWV “reale” a partire da quella ottenuta con la distanza diretta:

PWV = 0.8  VW9X:YY7

∆. (m/s)

La distanza ottenuta col metodo della sottrazione sottostima la reale lunghezza del percorso effettuato dall’onda di pulsazione dal 10,3% al 29,9%, se comparata alla distanza misurata con immagini MRI (54). Al contrario, l’80% della distanza diretta carotido-femorale risulta più accurato, dal momento che sottostima solo dello 0,4% la distanza reale tra i due siti di misurazione,

Infine, sono state proposte due equazioni per la misurazione della distanza, basate sull’altezza e dotate di buone performance:

x =  /Z.2[[/@ +  7.28 (cm) proposta da Weber et al (56); x = altezza×0.29 (cm) proposta da Filipovsky et al. (57)

Queste sottostimano la distanza reale rispettivamente dell’1% e dell’1.8%.

Un modello ottenuto attraverso un’analisi di regressione lineare multipla (r²=0.64) è stato:

Distanza  reale  percorsa = 0.286×a. carotide  comune − a. femorale  comune + 0.101×età + 0.159×peso + 16.165 (cm)

(38)

con la distanza diretta espressa in cm, l’età in anni e il peso in kg.

Questa formula è però eccessivamente complicata per poter essere applicata nella pratica clinica, a meno che non sia inserita in un dispositivo dedicato (53).

Un fattore di confondimento può essere rappresentato dal fisiologico incremento della distanza carotido-femorale con l’età. Nello studio effettuato da Huybrechts et al. (54), la variazione della distanza diretta ottenuta con la misurazione superficiale (arteria carotide comune-arteria femorale × 0.8) e quella reale misurata con MRI è stata per buona parte da attribuirsi all’invecchiamento (30%) e in misura nettamente inferiore dal body mass index (indice di massa corporea, BMI, 4%). Tuttavia, l’uso di una formula corretta per l’età non si è mostrata migliore nei soggetti più anziani, rispetto alla misura diretta della distanza carotido-femorale. Perciò si consiglia di impiegare, come standard nella pratica clinica, la misurazione diretta della distanza carotido-femorale corretta per 0.8.

Figura  10:  Misurazione  della  PWV  col  metodo  “da-­‐piede-­‐a-­‐piede".

È importante considerare alcune limitazioni della metodica. La forma d'onda pressoria femorale potrebbe essere difficile da registrare in maniera accurata in pazienti con obesità, diabete e malattie dei vasi arteriosi periferici. In presenza di stenosi aortica, iliaca o femorale prossimale, l'onda pressoria potrebbe essere attenuata e ritardata. Infine l'obesità addominale, soprattutto nell'uomo, o un seno voluminoso nella donna, possono rendere imprecisa la misurazione delle distanze (58).

∆  L  =  Distanza  tra  i  due  siti  di   misurazione  

Riferimenti

Documenti correlati

Il tossicodipendente con il recupero della sua autonomia e della sua autostima, indicherà agli operatori sanitari quali persone coinvolgere, e in quale misura.12 Al contrario

Infatti, dall’esame dei test di significatività tra tutte le terapie applicate cura degli occhi durante l’igiene del viso, toilette con soluzione fisiologica, chiusura meccanica

Se si confrontano il primo e il secondo fascicolo, ci si accorge che l’inizio del secondo – indicato da Morante stessa come «principio definitivo» (c.1 bis, in rosso) – propone,

convenzione, che costituisce uno dei pochi esempi di strumenti vincolanti nel settore del rispetto dei diritti umani nelle procedure di appalto pub- blico, impone agli Stati parte

The aortic lesions' progression have been followed in vivo by means of imagin tecniques and arterious pathological segments were drawn and processed for

For this problem we adopted a solution based on an additional hypothesis: ev- ery random big resource type system (big in the number of resource types) with a coherent

Data la mancanza di ulteriori funzionalit` a di alto livello e l’inadeguatezza di quelle messe a disposizione da Spark per un’operazione di basso livello come il benchmark del disco

/&#34;(! questo ci autorizza a ritenere possibile che già in età classica i diversi contendenti dell’agone politico abbiano elaborato diverse versioni della vicenda