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IL CULTO DI ARTEMIDE AD ATENE LA DOCUMENTAZIONE ARCHEOLOGICA

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INTRODUZIONE

La mente umana è un meccanismo complicato, la cui struttura si riflette in quella delle società umane e nei miti che esse creano1. Lévi Strauss, assumendo che la struttura della mente umana è identica in ogni tempo e in ogni luogo, elabora questa teoria, che viene giustamente classificata tra quelle che spiegano i miti e le religioni come prodotti della psyche dell’uomo. La mente tende a polarizzare l’esperienza allo stesso modo del calcolo binario di un computer, classificandola in termini d’insiemi di opposti. Questi opposti riflettono le contraddizioni che incontriamo nelle nostre vite, come quelle tra desiderio e realtà, individuo e società, possibile e impossibile, natura e cultura2. La religione, come il mito, ha la funzione di mediare tra queste contraddizioni.

Particolare oggetto di studio in questa tesi è appunto l’eterna contrapposizione tra cultura e natura, intese come poli opposti ma l’un l’altro complementari, entrambi necessari alla realtà universale ed entrambi riferibili ad ambiti e compiti che non possono in alcun modo essere confusi, e che sembrano trovare proprio nella loro diversità la loro personale ragion d’essere. Si presentano apparentemente come elementi astratti che in realtà hanno una semplice trasposizione su un piano meno simbolico e più concreto, quello della polis. In una città greca, per esempio, il territorio civico, e quindi politico, trova una totale identificazione con il territorio coltivato, il cui limite ne costituisce il confine, la frontiera invalicabile. A questo si contrappone lo spazio incolto, l’agros, tutto ciò che è posto fuori dalla città e ne rappresenta in qualche modo l’alterità. La terra coltivata viene a rappresentare lo spazio degli adulti, dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! "! cittadini, del loro lavoro, delle guerre che essi affrontano per difenderla; l’eschatia è, invece, lo spazio dell’indefinito, del passaggio dall’infanzia all’età adulta, dalla vita alla morte, ed è proprio questa sua naturale vocazione alla transitorietà a proiettare nel concreto il complesso rapporto che intercorre tra civiltà e stato selvaggio, o meglio, tra cultura e natura3. Mescolare i due piani può provocare sciagure.

L’obiettivo di questa elaborazione è dunque quello, attraverso l’esposizione, la più accurata possibile, della documentazione archeologica relativa a tre santuari cardine di Atene, di ricostruire gli aspetti cultuali e rituali legati al mondo di Artemide in connessione con la polis ateniese, privilegiando l’aspetto marginale e transitorio nel quale la dea determina la propria polifunzionalità, e che ne fa una delle figure più articolate e complesse del mondo antico.

Mettendo a confronto, per quanto possibile, evidenza archeologica e dati storici, vedremo come Artemide si presenti, allo stesso tempo, come levatrice, nutrice, consigliera e guerriera, in un intersecarsi di valenze e simbologie che spesso risulta inestricabile.

In un percorso discendente, partendo dall’acropoli, sarà dapprima esaminato il Brauronion ateniese, in cui Artemide, venerata per il suo aspetto courotrofico in relazione con il santuario costiero di Brauron, sanciva uno dei momenti topici della società, in altre parole il passaggio da una condizione infantile caratterizzata da una totale selvatichezza a una piena acquisizione e consapevolezza del ruolo sociale da parte delle ragazze ateniesi. Passeremo poi a uno dei cinque demoi che compongono la città, quello di Melite, in cui uno dei più importanti personaggi storici della Grecia antica, Temistocle, istituì il culto di Artemide Aristoboule per l’ottimo consiglio relativo alla vittoria di Salamina da lui riportata, facendo della dea un punto cardine della propria

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! "! propaganda politica in contrapposizione a quella perpetrata da Cimone, suo principale contendente al comando di Atene. In fine, il nostro viaggio terminerà sulla riva dell’Ilisso, all’esterno della città, per trattare dei resti del tempietto ionico ivi rinvenuto e del culto di Artemide Agrotera, ipostasi di un’Artemide che, presiedendo un’eschatia strettamente legata alla guerra e intervenendo in un modo indiretto, ma altrettanto efficace, nella battaglia di Maratona, ricoprì un ruolo di primo piano nella riuscita dell’impresa ateniese, e quindi nella tutela di tutta la Grecia.

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CAPITOLO I

ARTEMIDE BRAURONIA

Questo primo capitolo è dedicato all’esame del culto di Artemide con l’epiclesi di Brauronia, con particolare riguardo al suo santuario cittadino. Partendo da una breve analisi topografica e architettonica del complesso, saranno presi in considerazione vari reperti rinvenuti sull’acropoli e attribuiti al contesto artemideo. Non potendo prescindere da un riferimento al santuario “madre” di Brauron, sarà poi analizzato il rito principale del culto della dea in riferimento ad una particolare classe ceramica, soffermandosi ampiamente sul significato delle scene su questa raffigurate. Uno spazio privilegiato nella trattazione avrà la veste color croco, simbolo imprescindibile del rituale, e la figura dell’orsa, animale sacro alla divinità. Da ultimo prenderò in considerazione la festa all’interno della quale si espletava il culto e venivano celebrati i riti.

Il santuario di Artemide Brauronia trova la propria collocazione sull’Acropoli ateniese, immediatamente a sud-est dei propilei. Si tratta di un temenos trapezoidale, delimitato a est dalla Calcoteca, a ovest dai resti della cinta micenea e a sud dal muro di cinta della rocca. A nord il margine dello hieron era marcato dallo stesso piano roccioso che, tagliato e lavorato, supportava i blocchi in poros pertinenti al muro di recinzione. Tutta l’area occidentale, nei cui pressi in età medievale era situato l’ingresso della rocca fortificata, risulta livellata e solo ad oriente si distinguono tagli, qualche blocco di fondazione e di stilobate di una stoa. Poco distante dall’estremità orientale, una bassa scalinata garantiva

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! #! l’ingresso al santuario. Al suo interno, però, non è stato identificato né il tempio né l’altare, il che fa pensare che il Brauronion ne fosse sprovvisto4.

Sebbene non abbiamo indicazioni precise su come fosse il santuario di Artemide nel VI sec., né riusciamo a tracciare con estrema certezza il suo sviluppo durante l’età Classica, possiamo però asserire che quasi certamente il culto sull’Acropoli fu introdotto al tempo della tirannide dei Pisistratidi (528 – 510 a.C.), se non prima dallo stesso Pisistrato, originario di Brauron, città marittima sulla costa orientale dell’Attica, distante circa trenta chilometri da Atene, dove era situato il principale santuario della dea5. Proprio grazie all’appartenenza di questa città al demo di Filaide, il tiranno avrebbe provveduto alla duplicazione del culto. Nonostante l’assenza di dati letterari ed epigrafici che sottoscrivano con sicurezza tale eventualità, pochi, ma attendibili indizi archeologici sembrano confermare l’esistenza dello hieron cittadino a partire dalla inoltrata seconda metà del VI sec. a.C.

È assai probabile che tale santuario sia rimasto sempre un duplicato di minore rilevanza rispetto a quello della chora, al quale sarebbero da riferire anche i cosiddetti “inventari brauroni”, cioè stele con iscrizioni inventariali rinvenute sull’acropoli6. Il santuario cittadino è attestato da un’unica fonte letteraria7. I resti sono limitati alle fondamenta delle stoai che in diverse fasi costruttive andarono a costituire il complesso, e al livello sottostante e mancano reperti in situ. Tutto ciò rende piuttosto problematica la ricostruzione dell’assetto dello hieron e dunque anche la comprensione della sua funzione e delle modalità di relazione con il santuario di Brauron8. Unico esempio tra i culti di origine rurale a poter vantare un proprio spazio sacro all’interno della rocca ateniese, il Brauronion è ricordato da Pausania, che ci riferisce come al suo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 4!$%&%'!())*+!,-!./-! 5!01'2344!/***+!,,-!/*56/*7-! 6!!"#!$#%&$'#!"#!!(#)*)%+)*(*#,#)*(-+)*$)! 7 !891:9;39+!3+!(<+!5-! 8!=19'3:>?!()/)+!,-!55-!

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! .! interno fosse conservata, ancora ai suoi tempi una statua di Prassitele raffigurante la dea:

«C’è anche il santuario di Artemide Brauronia e la statua è opera di Prassitele. Il nome è venuto alla dea da quello del demo di Brauron, dove si trova l’antico xoanon che rappresenta l’Artemide che chiamano Taurica.»

Nelle righe precedenti e seguenti scritte dal Periegeta, vengono menzionate una serie di sculture (I 23, 7-10): una statua bronzea di fanciullo con aspersorio opera di Licio, figlio di Mirone, una statua di Perseo dopo aver decapitato Medusa, opera di Mirone; una riproduzione in bronzo del cavallo di Troia; la statua del corridore Epicarino opera di Crizia; il ritratto del politico Enobio; il ritratto del pancraziaste Ermolico e quello del navarca Formione. Tra queste opere, la sola a trovarsi all’interno del temenos brauronio era il cavallo di Troia. Tutte le altre statue, affiancando il sentiero delle Panatenaiche, erano state collocate tra il santuario cittadino di Artemide e la corte d’ingresso occidentale del Partenone9 .

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1 L’INDAGINE ARCHEOLOGICA

1.1 Gli scavi

Il primo scavo dell’area venne effettuato nel gennaio del 1889 sotto la direzione di P. Cavvadias e G. Kawerau10. I lavori di escavazione, come tutti quelli del XIX secolo, furono disastrosi: pur arrivando fino alla roccia di base dell’Acropoli asportando tutto lo strato terroso ad essa sovrapposto, e quindi molti resti dei monumenti che vi si trovavano, portarono comunque all’individuazione di tracce appartenenti alle strutture della fondazione dello hieron11.

L’area scavata dai due archeologi è stata poi successivamente indagata a più intervalli nel corso del novecento da studiosi come F. Versakis12 (1910), Stevens13 (1936), Rhodes e Dobbins14 (1975-6). Nonostante quest’ultimi due studiosi riferiscano diverse fasi edilizie al santuario cittadino di età classica, la lettura dei resti monumentali risulta estremamente problematica. L’orientamento del muro settentrionale del peribolos, parallelo ai Propilei, lascia ritenere che tale sistemazione sia da riferire all’età periclea, forse allo stesso Mnesicle. A sud, addossata al muro cimoniano, vi sarebbe stata una stoa avente il lato lungo di 38,20 m ca. e il lato corto di 6,80 m, con un colonnato composto da dieci colonne di ordine dorico. È dubbio però se essa si estendesse fino al muro miceneo e se presentasse uno o due avancorpi laterali aggettanti di ca. 9,15 x 6,85 m, forniti di semicolonne sul lato lungo interno e di un’apertura su quello corto. Se dell’estremità orientale, infatti, si conservano alcuni blocchi, dell’ala !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! #$!%&''&()&*+!,&-./&0!#1$"2!34!#5#4! 11!60&/)*%7!8$#$2!34!"14! #8!'./*&,)*!#1#$2!34!94! #:!*;.'.<*!#1:9!!34!59$4! #5!/=7(.*>(7??)<*!#1"1!!334!::8>:4!

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! 7! ovest, ipotizzata soprattutto per analogia, non rimangono che scarse tracce di tagli nella roccia.

Lungo il lato orientale del temenos, in base ai tagli di fondazione, si individua un altro edificio rettangolare, generalmente ritenuto di età successiva, avente le misure di ca. 17,20 x 6,80 m15.

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1.2 La cronologia

Alla luce dei primi scavi e delle successive ricostruzioni architettoniche fin ora esaminate, appare dunque certa l’esistenza di una fase arcaica del santuario. Questa certezza viene confermata dal rinvenimento sull’Acropoli di una coppia di cani in marmo aventi un atteggiamento di punta, e ascrivibili agli anni che vanno dal 530 al 520 a.C.16.

Il dato che più di tutti certifica la veridicità di questa ipotesi è costituito da una serie di frammenti di krateriskoi a figure nere, provenienti ancora dall’acropoli e riferibili al VI secolo a.C.17. Il materiale è stato pubblicato da L. Kahil e da lei rapportato con fermezza alle analoghe produzioni provenienti da Brauron e da altri santuari attici della dea18. Questi vasi si datano tutti dal VI al V secolo a.C., e rappresentano, quando hanno una decorazione figurata, una corsa di giovani ragazze sia nude che con indosso un corto chitone, con in mano torce o corone di fiori intrecciate.

La presenza sull’Acropoli di vasi generalmente dedicati al culto di Artemide, in un periodo non posteriore al 510-500 a.C., costituisce per Angiolillo un elemento che va a rafforzare in maniera convincente l’ipotesi che attribuisce a Pisistrato la reduplicazione del culto di Artemide Brauronia ad Atene. Una conferma definitiva di questa tesi arriva dalla pubblicazione del codice Zavordensis 95, il quale restituisce per intero il Lessico di Fozio. Alla voce “Brauronia” possiamo leggere:

«Ad Atene così era chiamata Artemide dalla località di Brauron, dove soprattutto era venerata. Il luogo aveva preso il nome da un eroe che si !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 16!#$%&'(! )"""*! +,! --,! ./01! 213410/! +56! 727895*! 5! 3:1! ;785! </8/! <9795! 58! 417=9>! 2745701891! 58914+419795!13!?788/!;/<959:59/!@/891!35!35A79959/!58!70A59/!7;;73105;/,! 17 !#$%&'(!)"""*!+,!--,! 18!'(#$BC$CCB!)"DE*!+,!E-F,!

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! /)! chiamava così. E presso il fiume Erasino c’era il tempio costruito da Pisistrato»19.

Gli scavi del santuario demotico della Brauronia, che effettivamente si trova sulla riva dell’Erasino, vanno a confermare le parole di Fozio: a sud-est della stoa a “!” sono state infatti messe in luce le fondazioni di un tempio dorico datato alla fine del VI secolo a.C.20. Benché per quanto riguarda la filiazione del culto ad Atene gli elementi in nostro possesso restino invariati, questo interesse dimostrato da Pisistrato per il santuario-madre di Brauron, caratterizzatosi nel rapporto tra la fondazione del tempio e l’iniziativa edilizia dello stesso tiranno, costituisce una preziosa prova indiretta a sostegno dell’ipotesi di una fase pisistratea del santuario ateniese21.

Sia Morizot che Kahil, inoltre, con l’intento di confermare ulteriormente l’esistenza di una fase arcaica del temenos cittadino, antecedente anche alla fase pisistratea, chiamano in causa il dinos attribuito a Sophilos, oggi conservato al British Museum e databile al 580 a.C., in cui Artemide compare accanto ad Atena. Questo vaso a figure nere è stato rinvenuto sull’acropoli e raffigura, tra le varie scene, la processione nunziale di Peleo e Teti. Le due dee sono raffigurate sullo stesso carro mentre prendono parte al corteo, precedute da altre divinità .

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! //! Secondo le due studiose, questa stretta connessione tra le due figure divine, dipinta già su un vaso di inizio VI secolo a.C., avvalorerebbe la tesi di una presenza molto antica di Artemide sull’acropoli22. In questa fase arcaica il culto di Artemide doveva essere privo di tutte le implicazioni, a partire dalla connotazione politica, che gli furono assegnate in seguito alle guerre combattute contro i Persiani e che determinarono, nel periodo immediatamente successivo alle vittorie di Maratona e Salamina, la fondazione del santuario dove la dea era venerata come Aristoboule ed Eukleia. Il culto di Artemide sull’acropoli di VI secolo a.C. era verosimilmente incentrato sui suoi aspetti tradizionali, connessi con l’allevamento dei bambini e il matrimonio, gli animali e la natura23.

Non sono noti, pertanto, elementi a favore della tesi di Edmonson secondo cui il Brauronion ateniese sarebbe stato costruito solo nel IV secolo a.C. per rimpiazzare il santuario di Brauron24. Si sono, infatti, finora presentati elementi che rendono assai difficile condividere una simile opinione, sia per quanto

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! "#! riguarda la problematica cronologia del Brauronion cittadino sia soprattutto per quanto riguarda Brauron, che nel IV a.C. risulta ancora ben frequentato25.

Analogamente al V secolo a.C., per il IV a.C. non si hanno certezze sull’assetto architettonico del peribolos. I dati sul culto di Artemide Brauronia nel III a.C. sono sfuggenti e riguardano il santuario di Brauron, mentre sul Brauronion c’è il silenzio assoluto.

Dal modo in cui Pausania si riferisce al Brauronion viene generalmente dedotto che il complesso era ancora in piedi nel II secolo d.C.. Come per le epoche precedenti, però, non è dato sapere quale fosse l’aspetto del peribolos all’epoca della visita del periegeta. Come abbiamo visto, nel riesame del santuario, Rhodes e Dobbins, i quali rimettono in discussione la cronologia di Stevens, da parte loro, non propongono alcuna data assoluta per le tre fasi identificate.

La documentazione archeologica pertinente al santuario cittadino è molto scarsa, il che ci impedisce una ricostruzione cronologica attendibile sia per la fase arcaica sia per quella classica, mentre per le età successive siamo completamente inermi, tanto che non è possibile individuare neanche l’epoca in cui esso viene abbandonato26.

1.3 I reperti del Brauronion

Come abbiamo sottolineato precedentemente, durante gli scavi di Cavvadias e Kawerau non sono stati rinvenuti reperti in situ. É tuttavia possibile collegare un notevole numero di reperti alla figura di Artemide e quindi al suo luogo di culto situato sull’acropoli.

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! /<! Come punto di partenza per la nostra analisi prendiamo la scultura lapidea. L. Ross, in un resoconto sugli scavi nell’area a sud del Partenone, datato 1835, trascrive come “curiosità” il ritrovamento di una statua di orso in marmo accovacciato sulla zampa destra27. La scultura è mancante della punta del muso e delle zampe: soltanto la zampa anteriore destra è stata successivamente ritrovata in un cumulo di pietre situato sul lato opposto dell’acropoli. Lo studioso sostiene vivamente la pertinenza della scultura al santuario di Artemide Brauronia, e al suo specifico culto28. Ross invita infatti a porre l’attenzione sull’arkteia, il rito in cui, secondo quanto testimoniato da diverse fonti letterarie29, le giovani ragazze «facevano le orse». La scultura, alta circa 46 cm e la cui datazione è accertata in età classica, viene collocata ipoteticamente da Ross all’ingresso del santuario o nella corte antistante al tempio30. L’attribuzione del reperto al Brauronion da lui proposta è generalmente accettata31. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 27!'?::!/7<#+!,,-!*(6<-!! 28!'?::!/7"/+!,,-!()*6/)!! 29!8FGHI!JFI!JKJJL!9'3:4?A9;%+!./0/012313+!M-!."#-! 30 !'?::!/7"/+!,-!()#-! 31!=19'3:>?!()/)+!,-!75-! !"#$%E%3(),%")%@(0@1%0")7,)/*1%./--2(30141-"%=%+(%>>>$1.*0(C($F10/@F0,,$"*

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! /"! Alcuni autori, come precedentemente accennato, credono di poter riconoscere come monumento votivo originariamente esposto nel Brauronion una coppia di cani in marmo scoperti sull’acropoli e databili allo scorcio del VI secolo a.C. La collocazione delle due statue all’ingresso del complesso è stata proposta e sostenuta da diversi studiosi. Ad avvalorare simile proposta, è la tesi che riconosce i due cani come segugi da caccia e, di conseguenza, legati alla figura di Artemide32. Partendo da tale premessa, però, la Ridgway è giunta ad una differente conclusione. Secondo l’archeologa i due reperti farebbero parte di un gruppo che comprendeva anche il c.d. cavaliere Rampin e il suo compagno. Stando alle parole della studiosa, il gruppo raffigurava i Dioscuri come cacciatori accompagnati dai loro cani33.

Ella arriva anche all’ipotesi di identificare la c.d. kore con il peplo, datata 540 a.C. ca. e rinvenuta sull’acropoli, come xoanon di Artemide Brauronia, sostenendo che la statua non rappresenta una mortale, ma un’immagine divina. Questa interpretazione è stata elaborata in base ad alcuni dettagli tecnici (ad es. la resa anatomica dei piedi) e la peculiarità dell’ abbigliamento, che secondo la studiosa trovano riscontri in raffigurazioni di xoana. L’identificazione come Artemide Brauronia è proposta sulla base del fatto che la divinità era venerata sull’acropoli e che a lei era associata una tradizione relativa ad uno xoanon, quello portato in tempi mitici dalla Tauride34. Questa interpretazione, dunque, presupporrebbe l’esistenza di una statua di culto

Contemporaneamente, la studiosa non esclude però altre possibilità, come la raffigurazione di un’Atena o di un’Afrodite armata. Infatti non prende posizione, limitandosi a sostenere che la kore è una “replica in marmo della veneranda immagine di qualche potente dea35”.

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! /#! Entrambe le proposte della Ridgway sono state accolte con molta cautela dagli studiosi36. Allo stato attuale, infatti, non è dimostrabile un collegamento certo tra la c.d. kore con il peplo e il Brauronion, anche se l’identificazione della scultura come statua di Artemide sembra più che plausibile37. In un recente studio effettuato da C. M. Keesling38, però, si può scorgre la volontà da parte della studiosa di dar credito alla seconda proposta della Ridgway; l’autrice dello studio riconosce nella c.d. Kore con il peplo una raffigurazione di Artemide e non di Atena, poiché, considerando i possibili attributi della statua, la lancia inserita orizzontalmente nella mano destra presenterebbe problemi pratici. Le fotografie a raggi ultravioletti eseguiti da V. Brinkmann, inoltre, hanno rivelato che la fronte della parte inferiore della veste della statua era decorata con quattro metope, in cui si vedono animali e un uomo a cavallo, forse un cacciatore. Mentre la Keesling interpreta la statua come visiting god invece che come dedica ad Artemide Brauronia, rilevando la mancanza di basi iscritte pertinenti a tale culto, il Brinkmann non ha dubbi nell’identificare la kore con il peplo come Artemide Brauronia. Tra gli elementi addotti da entrambi gli studiosi per l’identificazione, vi è la probabile integrazione di arco e frecce come attributi e il riferimento alla caccia nel ricamo della veste. In più Brinkmann fornisce un’analisi dettagliata della policromia della scultura e una serie di ricostruzioni grafiche del ricamo della veste39. Lo studioso, tuttavia, non prende posizione su una possibile interpretazione della scultura come oggetto votivo del temenos cittadino o come replica della statua di culto. La datazione della statua, come abbiamo visto, coincide con l’età di Pisistrato, ma poiché, come vedremo, le più antiche tracce di ceramica per il santuario di Artemide sull’acropoli sono datate alla fine del VI secolo a.C., e che l’idea che il tiranno abbia fondato il santuario è soltanto una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! /.! deduzione basata sulle fonti che associano Pisistrato a Brauron, permangono dei dubbi. Dal momento che non sono state rinvenute sull’acropoli basi di statue di VI o V secolo a.C., con iscrizione di dedica ad Artemide, infatti, ogni associazione tra le statue ivi trovate e il santuario di Artemide è puramente ipotetica.

Morizot propone di riconoscere tra i reperti una testa di orso in marmo, contrassegnata come Acr. 122 e databile al 570/550 a.C.40. Se così fosse, ne !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! /5! deriverebbe automaticamente la sua

provenienza dal santuario cittadino, vista l’importanza simbolica che questo animale aveva nel culto di Artemide Brauronia. L’attribuzione di questa scultura al temenos artemideo dell’acropoli, grazie alla sua datazione, sarebbe un’ulteriore prova dell’esistenza di un santuario dedicato ad Artemide in piena età arcaica, precedente

quindi alla duplicazione del culto brauronio da parte di Pisistrato.

Per quanto riguarda i rilievi votivi in marmo pertinenti al Brauronion, Vikela ne fornisce cinque, tre dei quali conservati nel Museo dell’Acropoli, e due al Museo Nazionale di Atene41.

Il primo frammento del Museo dell’Acropoli (Acr 2674) restituisce soltanto la parte inferiore della divinità, la quale indossa una lunga veste, reca una torcia in ciascuna mano e avanza rapidamente verso destra; una cerva le corre affianco. Davanti a lei si trova una figura maschile barbata, di piccole dimensioni, anch’essa rivolta verso destra42. Come osserva A. Comella, è probabile che sulla sinistra ci fosse un’altra figura divina, probabilmente Apollo43.

Del secondo frammento (Acr 3316+3370) si conserva soltanto la parte sinistra, che raffigura Artemide in corsa verso destra, con un cane che corre al suo fianco, mentre la dea reca una lancia44.

Nel terzo frammento (Acr 2596) è visibile solo una parte della figura di Artemide; è voltata per tre quarti verso destra e sembra tenere un arco tra le mani protese45. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 41!P3D%C9!())7+!,-!/7<-! 42!=19'3:>?!()/)+!,-!*/-! 43!P3D%C9!/**5+!,-!/7<-!! 44 !P3D%C9!/**5+!,-!/7<-! 45!P3D%C9!/**5+!,-!/7<-! !"#$%J%*,.*(%+"%10.1%")%@(0@1%=%+(% >>>$/)".1?$)($"*

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! /7! L’Artemide raffigurata nel primo frammento del Museo Nazionale di Atene (NM 2445), invece, è raffigurata in veste di cacciatrice e munita di torcia. Ella compare insieme ad una figura maschile con chitone corto e himation identificata da Kahil come Hermes46.

Sul secondo frammento (NM 2361) la dea è seduta su una roccia. A fianco e in secondo piano, è visibile la testa di un animale, probabilmente un cane. Sulla gamba sinistra della divinità è invece presente una mano, che potrebbe appartenere ad una persona inginocchiata ai suoi piedi47.

Kahil, attraverso una comparazione tra i due rilievi appena descritti, e due altri simili, uno conservato ai Musei Statali di Berlino (inv. 941) e l’altro ai Musei Capitolini di Roma (inv. 1639), ipotizza che l’iconografia di Artemide seduta e affiancata da un animale, documentata già da un pinax a Brauron, possa risalire ad una statua di culto della divinità48.

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! /*! Uno degli elementi più significativi che sembrano trasparire dall’analisi del Brauronion ateniese è dato senz’ombra di dubbio dall’apparente assenza di un vero e proprio edificio templare. Questo argomento, tendente a rimarcare la centralità di Brauron nell’economia del culto, dev’essere letto all’interno di un’ottica più ampia e articolata, incentrata sui rapporti intercorrenti tra Artemision metropolitano e santuario demotico, rapporti di cui, in realtà, conosciamo al momento ben poco49.

L’unico dato che potrebbe in questo senso rivelarsi di una certa utilità è costituito da una serie di documenti epigrafici di notevole rilevanza, affrontati a più riprese da vari studiosi e noti come inventari brauroni. Questi sono una serie di iscrizioni su stele provenienti dall’acropoli o dalle sue più immediate vicinanze. Nei documenti sono riportate lunghe liste di offerte consacrate dai fedeli alla dea, elementi che rivestono ovviamente un’importanza centrale nella lettura delle problematiche rituali legate al culto50. Le stele sono state collegate al culto di Artemide sulla base di due elementi: nel testo si fa talora riferimento all’iscrizione “sacro ad Artemide” e dal fatto che in Euripide51 si legge che a Brauron si dedicavano vesti a Ifigenia. Attraverso l’elaborazione di questi dati, si è pensato, dunque, che gli inventari fossero relativi ad oggetti custoditi nel Brauronion, e per questo è stato dato loro il nome di tabulae curatorum Brauronii52.

Le epigrafi, tutte di IV secolo a.C. tranne due frammenti per i quali è stata proposta una cronologia più alta, sono state oggetto di uno studio complessivo ad opera di T. Linders53. Sulla base di questo, Giuman ci informa che le offerte votive, riportate in stele opistografiche, sono accuratamente separate per tipologia (tessuto, materiali preziosi, bronzo ecc.) e registrate di frequente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 49!=31$9;!/***+!,-!#.-! 50!=31$9;!/***+!,-!#5-! 51!%1'383E%+!!4/5,6/3#123#/#7382/+!MM-!/".(65! 52 !=19'3:>?!()/)+!,-!*#-! 53!=31$9;!/***+!,-!#5-!

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! ()! nell’ordine cronologico della dedica. L’anno è indicato dal nome del sacerdote, a volte accompagnato da quello dell’arconte; inoltre, molto spesso era presente l’indicazione del luogo fisico in cui l’offerta era conservata. Le dedicanti sono nella quasi totalità donne; tuttavia, in alcuni casi, sono presenti anche dediche maschili.

Stando a quanto riportano le iscrizioni, le offerte di vesti e tessuti rappresentano la parte più consistente del materiale votivo indicato in queste liste54. Esse ricordano oltre venti tipi di indumenti registrati per forma, colore e decorazione; sono presenti chitoni, clamidi, tarantina e himatia, vesti meno comuni come enkykla e leida, oltre alla presenza di varie unità di krokotos55, la veste rituale che, come vedremo, costituisce un elemento di primaria importanza nel rituale dell’arkteia.

Sempre tramite Linders, Giuman ci fa notare quanto sia significativo il fatto che in un solo caso appaia specificato con chiarezza come l’indumento offerto alla dea sia “ nuovo”. Questo dato potrebbe indicare con molta probabilità che la consuetudine rituale del culto prevedesse la dedica di vesti “usate”. Nell’analizzare questa consuetudine è possibile scorgere una curiosa quanto elementare magia simpatica; un particolare legame di possesso con l’oggetto consacrato, stabilendo un rapporto più diretto tra dedicante e dedicato, che doveva amplificare le potenzialità magiche del gesto d’offerta56.

Le liste riportano anche dediche di vesti che vengono definite hemiyphai, ovvero “non terminate”, “semitessute”. Nonostante vari tentativi di interpretare questo termine in senso tecnico, è più che probabile quanto affermato da Linders, ovvero che non esistono motivi concreti per non credere che le vesti semitessute del santuario di Artemide Brauronia non fossero che indumenti realmente «non portati a termine»: «almeno in quattro casi i capi semitessuti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! (/! sono accompagnati da lana e filo. Sebbene offerte separate di lana siano ricordate più volte, lana e filo ricorrono solo in connessione con le vesti semitessute. Lana e filo, quindi, sembrano dover essere interpretati come materiali destinati a completare gli indumenti hemiyphai»57. Se ci rifacciamo ai versi di Euripide: “e a te porteranno i bei pepli delle donne morte di parto”, questi hemiyphai sembrerebbero dunque pezzi di stoffa solamente abbozzati dalla donna e portati al santuario di Brauron dopo la morte di colei che aveva cominciato il lavoro. A riguardo, però, non disponiamo di un’attestazione certa che possa provare che l’offerta di strumenti atti alla lavorazione dei tessuti fosse associata unicamente o prevalentemente a quella delle vesti semitessute. È forse preferibile, al momento, interpretare con Kontis questo tipo di dedica come un’offerta che deve essere inquadrata in un senso più generico da riconnettere ad Artemide quale divinità protettrice dei lavori domestici, ambito nel quale la tessitura, come noto, doveva costituire un elemento essenziale58. Un altro tipo di offerta la cui lettura sembra presentarsi complessa è costituito da un particolare tessuto, più volte presente nelle liste inventariali e riportato con il termine rakos (vedi infra).

Come detto, vedremo più avanti che in queste liste sono presenti in gran numero esemplari di un altro tipo di veste, il krokotos, che, così come i frammenti ceramici di krateriskoi precedentemente citati, devono essere analizzati contestualmente all’esposizione del rituale praticato nel santuario di Brauron, in quanto linee guida per la comprensione dell’arkteia. Per quanto riguarda la ceramica proveniente dall’area intorno al santuario ateniese della dea, possiamo annoverare dodici frammenti a figure rosse, tutti pertinenti a lebetes gamikoi, i cui temi sono riconducibili all’ambito femminile, nella fattispecie a quello propriamente nunziale e all’ambito rituale. L’ambito !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! ((! cronologico di pertinenza di questi frammenti si protrae dal secondo quarto del V all’inizio del IV secolo a. C59. Questa forma vascolare, che per antonomasia allude alle nozze, non sembrerebbe compatibile con la dea vergine per antonomasia; si tratta, infatti, di una particolare caratteristica della divinità legata al mito delle sue origini, e pertanto come sarà spiegato, connessa al parto nonché alla cura e all’educazione dei bambini.

Sulla rocca ateniese sono stati rinvenuti anche pinakes con raffigurazioni di Artemide e statuette fittili della dea; ciò costituisce l’unico elemento a sostegno di un’attribuzione al Brauronion. Come nel caso della ceramica e dei rilievi, infatti, anche nel caso di tali materiali non si dispone di informazioni dettagliate sul contesto di rinvenimento60.

I pinakes dell’acropoli attestano il tipo della divinità in trono, con diadema o basso polos, una phiale e forse un cervo accanto al seggio. Su un frammento (Acr 13070) infatti sono visibili soltanto le zampe dell’animale61. Solo in quest’ultimo caso l’attribuzione del pezzo ad Artemide è certa. Gli altri due frammenti di pinakes (Acr 13057 e Acr13056) di cui non si conserva nessun particolare attributo, sono da altri studiosi interpretati come raffigurazioni di Atena, seppure con discussione sull’epiclesi62.

Per quanto riguarda le statuette fittili, invece, Guarisco riporta che già nel 1893 F. Winter, presentando statuette fittili rinvenute sull’acropoli, fa menzione di alcune raffigurazioni di Artemide, caratterizzata dall’attributo del cucciolo di cervo tenuto sul braccio sinistro o destro. In due casi la divinità è stante, in due casi è in trono. Gli esemplari in trono sono messi in relazione dallo studioso con

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! (<! la statua cultuale antica di Artemide Brauronia sull’acropoli, l’archaion hedos ricordato nelle c.d. tabulae curatorum Brauronii63.

Il catalogo delle statuette fittili raffiguranti Artemide fornito da V. Vlassopoulou nel 2003 comprende un totale di sette esemplari, inclusi quelli già presentati da Winter. In quattro di essi, Artemide è rappresentata seduta, negli altri tre è rappresentata stante. Costante anche in questa serie è la presenza del piccolo cervo tenuto stretto con un braccio. Rispetto a Winter, però, la studiosa rinuncia al collegamento tra le raffigurazioni in trono e l’archaion hedos menzionato negli inventari Brauronii64.

Pausania nella sua descrizione del santuario sull’Acropoli, come accennato in precedenza, menziona anche una statua di bronzo raffigurante il Cavallo di Legno con alcuni eroi greci che guardano all’esterno65. Nell’analisi di questo monumento, un’ulteriore informazione ci è fornita da uno scolio di Aristofane che, assicurando che il cavallo sull’acropoli sia lo stesso menzionato dal commediografo, riporta anche il nome del dedicante, non meglio conosciuto che con il nome di Cheredemo66. Queste fonti sono supportate dal fatto che la base della statua è tuttora presente sulla terrazza del Brauronion67. La sua iscrizione riporta anche il nome dello scultore, Strongilione68. Cercando di datare il monumento, un sicuro terminus ante quem è strettamente connesso con un passo degli Uccelli di Aristofane69, messa in scena nel 414 a.C.. Questa statua appare anche nelle Troiane di Euripide70, rappresentata nella primavera del 415 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 63!=19'3:>?!()/)+!,-!**-! 64!PC9::?8?1C?1!())<+!,,-!5#!O!RIJ-!333!/7+!/<567!O!TGU-!/7+!V-!..!WM-!4IM!>X>P333YQ!/*+!/<7Q!()+!/<7! O!TGU-!()+!V-!..!WZ2G[JLF!/7*<+/".!O!9\\-!(5+!/".Q!DI]G^!/*7"!I+!RIJ-!.."+!3!.5/_!M-!4IM!>X>P333YQ!(/+! /<7!WZ2G[JLF!/7*<+!/".!O!9\\-!(.+!/".!Z!TGU-!<+!4IM!>X>P33YQ!((+!/<7!O!TGU-!((+!V-!.5!WM-!4IM!>X>3XYQ! (<+!/<*!O!TGU-!(<+!V-!.5!WZ2G[JLF!/7*<+!/".!O!9\\-!("+!/".!Z!TGU-!(+!4IM!>X>P33Q!M-!4IM-!>X>3XYQ!("+! /<*!O!TGU-!("+!V-!.5!WZ2G[JLF!/7*<+!/".!O!9\\-!(<+!/".!Z!TGU-!/+!4IM-!>X>P33Q!M-!4IM!>X>3XY-!!! 65!891:9;39!3+!(<+!7-! 66!E`9=?:43;?!()).+!,-!/7#-! 67!:4%P%;:!/*<.+!,-!".)-! 68!E`9=?:43;?!()).+!,-!/7#-! 69 !9'3:4?A9;%+!:;;,<</+!M-!//(7-! 70!%1'383E%+!72=/36,+!MM-!*6/"Q!#//6#5.-!

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! ("! a.C., benché negli scolia dell’opera non ve ne sia menzione. Il contesto storico sembra indicare l’inizio dello stesso anno come possibile data per l’erezione del monumento71. Il luogo scelto per la collocazione del cavallo non è affatto casuale, ma piuttosto ricco di significati simbolici. La statua, infatti, si trovava immediatamente dopo i Propilei, all’entrata dell’acropoli. Questa era la posizione che più si confaceva alle caratteristiche di Artemide in quanto era considerata la dea che presiedeva ai riti di passaggio. Il cavallo, posizionato all’entrata della cittadella, era inoltre connesso in una relazione simbolica con il tempio di Athena Nike, che era appena stato costruito72.

Vi è poi una connessione fondamentale anche tra l’epos troiano e la stessa dea. Artemide è sempre presente, infatti, tra le donne troiane73. È lei che presiede alla partenza della spedizione achea dall’Aulide, o (secondo alcune fonti) da Brauron. Il suo ruolo è espresso irrevocabilmente dal sacrificio di Ifigenia, che diventerà sacerdotessa a Brauron e là verrà sepolta74. In una delle sue opere, Vernant75 afferma che il ruolo di Artemide nell’occasione della partenza della spedizione troiana rispecchia una delle sue principali prerogative. Nell’immaginario religioso dell’antica Grecia, infatti, è la dea che presiede alla partenza per la guerra. Questo aspetto della dea era ovviamente ben conosciuto nel 415 a.C., anno in cui ebbe inizio la spedizione ateniese in Sicilia. È probabile che, alla vigilia della partenza della flotta che apparve sin dall’inizio, sia a coloro i quali erano favorevoli, sia a coloro che non erano d’accordo, come decisiva per la vita della città, un altro elemento giocò un ruolo importante nel suggerire agli Ateniesi di rivolgersi ad Artemide, ovvero la memoria di Salamina76.

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! (#! Come proiezione del destino di Atene sul mare e ad Ovest, la spedizione siciliana può essere interpretata in una prospettiva temistoclea. La vittoria di Salamina arrivò grazie all’intervento congiunto delle due anime della città. Da parte di Temistocle, Atene fu posta sotto la protezione di Artemide, ma fu altrettanto posta sotto l’ègida di Atena attraverso la solenne offerta, da parte di Cimone, di un morso di cavallo sull’altare della dea eponima77. Dal punto di vista politico, l’offerta di Cimone esprime il consenso dell’aristocrazia ateniese alla decisione di affidare il destino della città ad una battaglia navale78. Sulle caratteristiche guerresche di questa polivalente divinità torneremo più avanti, quando parleremo del culto di Artemide Agrotera.

B. D’Agostino, però, riconosce una ragione più profonda nella scelta di Cheredemo e nella speciale connessione tra il suo monumento ed Artemide: Il doureios hippos, il dolos fabbricato da Epeio sotto la guida di Atena, epitomizza il tragico destino di Troia. Con l’aggiunta di Menesteo ed altri eroi ateniesi, il cavallo di Strongilione si ergeva come il simbolo del ruolo di Atene nella presa di Troia.

Per quanto riguarda l’agalma prassitelico menzionato da Pausania, Despinis è certo che si trattasse di una statua di culto ospitata in un tempio, come espone chiaramente in un articolo del 199479. Lo studioso riprende in considerazione una testa in marmo che era già stata pubblicata nel 1988 come testa di Dioniso, rinvenuta nel 1953 presso il terreno Makryianni, a sud del teatro di Dioniso. Sulla base di una serie di confronti e della traccia di un orecchino applicato, Despinis sostiene che la testa raffigura una giovane donna e che può essere datata agli anni ’30 del IV sec. A.C..

Le proporzioni colossali e il luogo di rinvenimento portano lo studioso ad escludere che si tratti del ritratto di una mortale. Anche le tracce di colpi di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! (.! martello in corrispondenza degli occhi e della bocca sono, a suo avviso, intenzionali e tipiche del trattamento riservato dai Cristiani alle immagini delle divinità pagane. Inoltre, secondo Despinis, l’acconciatura dei capelli, comune a quella di ragazzine e ragazzini, come risulta anche da confronti con sculture brauronie, è particolarmente appropriata per Artemide Brauronia alla luce della speciale relazione rituale, l’arkteia, che esisteva tra tale divinità e le ragazzine.

Da questa identificazione egli arriva alla convinzione della sicura presenza nel settore occidentale dell’acropoli di un vero e proprio tempio di Artemide Brauronia provvisto di naos, senza tuttavia saper fornire informazioni sul suo aspetto e sulla sua cronologia.

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! (5! La tesi di Despinis ha riscosso tra gli studiosi sia adesioni che confutazioni. La labilità dei dati e l’opinabilità delle varie interpretazioni non ci permettono di accreditare né smentire questa ipotesi. È quindi necessario mantenersi nel dubbio sin quando ulteriori prove archeologiche non getteranno luce sulla vicenda. È bene ricordare, comunque, che tra gli studiosi moderni, G. Despinis si trova pressoché isolato nel riconoscere la presenza di un tempio nel santuario.

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2 IL CULTO

Riguardo al culto praticato nel santuario di Artemide Brauronia ci possiamo fortunatamente avvalere, per far chiarezza sui rituali che vi si tenevano, sia di fonti scritte, sia di fonti iconografiche ed architettoniche.

La più importante tra tutte le fonti scritte è costituita da un passo della Lisistrata di Aristofane80:

«A sette anni subito sono stata arrhephoros; poi, a dieci anni, sono stata aletris per l’Archegetis; e poi, indossando la veste color zafferano, sono stata arktos ai Brauronia; e, una volta divenuta una bella ragazza, sono stata kanephoros indossando la collana di fichi secchi.»

Chi pronuncia queste parole è Lisistrata, la protagonista dell’opera omonima messa in scena nel 411 a.C., nota per aver organizzato la celebre astinenza ”sessuale” messa in atto dalle donne ateniesi col fine di obbligare i mariti a negoziare la pace con gli Spartani, mettendo così fine alla guerra del Peloponneso81. In questo passo Lisistrata elabora un resoconto della sua vita vissuta, facendo esplicito riferimento e perno sui rituali e le feste religiose a cui ha partecipato quando era una giovane ragazza ateniese di buona famiglia.

Questo passo fa chiaramente intendere che vi fosse una determinata permanenza per le bambine in età prepuberale all’interno del santuario di Artemide, quanto meno a Brauron. Durante questa permanenza le bambine partecipavano ai riti e ai sacrifici che vi si tenevano, e molto probabilmente aiutavano nell’allestimento della grande festa dei Brauronia82.

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2.1 Gli aitia di fondazione

Il soggiorno rituale nel santuario veniva chiamato arkteia e le fanciulle che servivano, arktoi, ovvero piccole orse. Sappiamo che il rito, definito mysterion, consisteva nel “fare le orse”. Uno scolio al verso 645 della Lysistrata di Aristofane, infatti, recita così:

«[a] Sono stata orsa ai Brauronia: imitando le orse compivano il mysterion. Coloro che facevano le orse per la dea indossavano la veste color zafferano. E celebravano il sacrificio per Artemide Brauronia o per la Mounichia ragazze scelte né sopra i dieci anni né sotto i cinque. Le ragazze celebravano il rito per placare la dea, dopo che gli Ateniesi si erano imbattuti in una carestia avendo ucciso alla dea l’orsa domestica. Alcuni dicono che i fatti riguardanti Ifigenia si sono svolti a Brauron e non ad Aulide.

Euforione: marittima Brauron, cenotafio Ifigenia.

[b] Sembra che Agamennone abbia sacrificato Ifigenia a Brauron e non ad Aulide e che sia stata data in cambio di lei un’ orsa e non una cerva. Perciò celebrano il mysterion per quella.

[c] Un’orsa fu data al santuario di Artemide e fu addomesticata. Una volta una ragazza si mise a giocare con lei e la sua vista fu tolta dall’orsa. Addolorato il fratello di lei uccise l’orsa. Artemide adirata ordinò che ogni ragazza prima delle nozze imitasse l’orsa e curasse il santuario portando un himation color zafferano. E ciò veniva detto “essere orsa”»83

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! <)! Un’altra fonte che fa esplicito riferimento al rito, è costituita da una glossa annotata nella Suda a spiegazione delle parole «sono stata orsa ai Brauronia»:

«[1] Fanciulle, comprese tra i cinque e i dieci anni, vestite di un manto color dello zafferano, compivano una cerimonia in onore di Artemide per placare la dea. [2] Dopo che un’orsa selvaggia giunse e si fermò nel demo di Philaidai, essa fu addomesticata e nutrita da parte degli uomini, ma una fanciulla, giocando con l’animale con smodata fanciullezza, eccitò l’orsa, che la sbranò; così, i fratelli della fanciulla, presi dall’ira per quanto accaduto, uccisero l’orsa.

[3] A causa di tale fatto un morbo contagioso colpì gli Ateniesi e a questi che lo consultavano l’oracolo rispose che la purificazione ci sarebbe stata solo se essi avessero costretto le loro fanciulle a essere orse, come espiazione per l’animale ucciso. Così gli Ateniesi decretarono ufficialmente che nessuna fanciulla si sarebbe potuta sposare con un uomo prima di aver compiuto l’arkteia per la dea.»84

Entrambe le fonti appena riportate, oltre a costituirsi come elementi centrali per l’elaborazione di informazioni inerenti al rito e alla collocazione di questo all’interno del percorso formativo delle giovani ateniesi, forniscono contestualmente anche gli aitia di fondazione del rito stesso. In questo caso ci troviamo in presenza di due tradizioni distinte, sebbene riferibili ad un unico archetipo.

L’intreccio narrativo del mito, pur nelle lievi differenze presentate dai testi, è nelle sue linee essenziali piuttosto chiaro: un’orsa, selvaggia nella glossa,

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! </! mansueta nello scolio, penetra nel santuario di Artemide, nel demo di Filaide, e viene allevata dalla comunità; una fanciulla, giocando con l’animale, lo eccita a tal punto che questo le si rivolta contro, accecandola o sbranandola; i fratelli, o il fratello, della fanciulla uccidono per vendetta l’orsa. A questo punto i due testi iniziano a percorrere strade diverse: nella Suda al misfatto segue il morbo, l’intervento dell’oracolo e l’istituzione dell’arkteia come atto necessario alla purificazione collettiva. Nello scolio, invece, vediamo l’intervento diretto della divinità che, adirata, impone l’arkteia come elemento di espiazione per l’uccisione dell’orsa. In entrambi i casi, benché non sia mai specificato, si intuisce che l’animale dovesse essere sacro alla dea, e solo così, probabilmente, si può comprendere la locuzione «un’orsa fu data al santuario di Artemide»85. Le due fonti sono concordi anche nello specificare che le fanciulle dovessero imitare l’orsa «prima delle nozze».

Giuman riporta l’esemplare analisi di C. Montepaone 86 . «Il logos dell’intervento dell’orsa, in Suda è più articolato e corredato di particolari: si definisce il carattere selvaggio dell’animale, si sottolinea la volontarietà quasi da favola del suo inserimento nella comunità, come si fornisce la localizzazione, significativa per il riferimento al tempo della sistemazione per demi dell’Attica preclistenica, e sottolineante ancora una volta il rapporto tra questo culto e il demos di Filaide. Nello scolio l’unica determinazione spaziale è invece riferita al tempio della dea, configurandosi in questo rapporto immediatamente l’orsa come animale sacro e quindi legato alla divinità, in una relazione che ricorda quella delle fanciulle “orse” rispetto ad Artemis».

Le due fonti, dunque, sembrano riflettere una realtà cultuale omogenea ma cronologicamente diacronica87: nello scolio non viene indicato il demo, ma specificatamente il «santuario di Artemide», con il suo culto antichissimo, la cui !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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! <(! esistenza precederebbe lo stesso aition di fondazione relativo all’arkteia; e l’istituzione di questo rituale avviene per un intervento diretto della dea, la quale, secondo uno schema diretto che sembra precedere la fortuna delle divinità oracolari specializzate88, ordina che «ogni fanciulla imitasse l’orsa prima delle nozze». In questa prospettiva, l’assenza degli Ateniesi, ovvero coloro che in Suda decretano ufficialmente l’istituzione del rituale dell’orsa, sembra sottintendere una realtà culturale molto arcaica all’interno della quale le strutture sociali della comunità non svolgono ancora un’azione regolatrice e di interposizione tra divinità e individuo. Scrive ancora C. Montepaone89:

«la presenza dell’oracolo (Suda), mediatore tra gli uomini e gli dei, è invece un segno dell’esistenza della polis. La funzione ordinatrice e regolatrice del cosmo umano greco, degli oracoli, comincia a essere preminente dal VII secolo in poi, tempo in cui il suo intervento, non in materia unicamente religiosa, opera sempre in funzione conservatrice. L’oracolo, infatti, interpreta la volontà divina e l’antico rituale viene riutilizzato per stigmatizzare il ruolo subordinato delle fanciulle alla polis. La comunità degli uomini si serve del culto per «chiudere» l’esperienza femminile entro precisi ruoli, cui è iniziata attraverso il rito che prevede la permanenza nel santuario». Come vedremo più avanti, proprio in quel luogo, le fanciulle, reclutate in base alle classi d’età e temporaneamente «orse», morivano e rinascevano, dopo esser state formate ai bisogni della comunità.

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2.2 L’arkteia, svolgimento e simbologia

Come in precedenza accennato, per la ricostruzione di questo rituale non possiamo prescindere dall’analisi dettagliata dei frammenti di krateriskoi studiati e pubblicati da L. Kahil90.

Si tratta di una serie di piccoli crateri di una peculiare produzione attica destinata esclusivamente al culto di Artemide e che sono stati rinvenuti a centinaia in tutta l’area del santuario. A Brauron, la presenza di questi vasi, per la maggior parte a figure nere, viene da subito caratterizzandosi per una forma di chiara matrice arcaizzante, assai simile a quella che contraddistingue i c.d. “calici chioti” di età arcaica o, soprattutto per quanto concerne il profilo della vasca, i grandi crateri delle produzioni protoattiche91: doppia ansa orizzontale, spesso schiacciata contro la superficie del vaso, orlo molto aperto ed ampia vasca che si allarga verso l’alto; il piede, più o meno alto, può essere costituito da una base troncoconica ancora di chiara ascendenza protoattica oppure, anche se più raramente, da un piede a coppa. L’interno dei vasi presenta una superficie con decorazione a bande concentriche, mentre assai più complessa si mostra la decorazione esterna, suddivisa dalla studiosa in tre gruppi fondamentali92. Il primo è formato da krateriskoi decorati mediante semplici linee ondulate a vernice nera, con perimetro dell’orlo anch’esso nero e bande circolari nere intorno alla base; in altri casi possono essere presenti decorazioni a zig-zag realizzate con applicazione di vernice bianca direttamente sull’argilla.

Un secondo gruppo, veramente limitato per numero, è formato da krateriskoi la cui ornamentazione esterna consta di rappresentazioni figurate quali sfingi e

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! <"! civette che apparentemente non sembrano mostrare rapporti diretti con il culto di Artemide.

Il terzo, infine, si compone di krateriskoi per i quali le rappresentazioni ceramografiche sono invece manifestamente riconducibili al culto di Artemide. Queste rappresentazioni, che sono le più ricorrenti, sono a loro volta suddivisibili in due sottogruppi principali: nel primo, alcuni personaggi femminili nudi o vestiti di un corto chitone, spesso raffigurati con una torcia o una corona tra le mani, corrono verso un altare sopra al quale può essere apprestato un fuoco; nell’altro, le medesime protagoniste sembrano compiere una sorta di processione o di danza ritmata. In entrambi i casi appare ricorrente l’associazione con una palma. La ricorrenza di questo segno iconico, che in una prospettiva metasimbolica trova trasposizione diretta sul piano della fertilità, si traduce in un sistema rituale, quello dell’arkteia, dedito alla preparazione delle giovani ateniesi ad un corretto conseguimento del menarca, la giusta acquisizione delle proprie capacità riproduttive93.

Queste immagini, rappresentano certamente le arktoi di Aristofane, quelle ragazze che lo scoliasta dice essere di età compresa tra i cinque e i dieci anni, che indossavano il krokotos, la veste gialla, perché forse ricordava la pelle dell’orsa che esse imitavano durante la cerimonia94.

Che dovesse esistere un nesso funzionale preciso e ben percepibile agli occhi dei devoti tra questa particolare classe ceramica ed il culto di Artemide Brauronia, è nitidamente confermato dal rinvenimento di materiale analogo, in molti casi attribuibile addirittura alla medesima fabbrica, proveniente dai principali santuari attici della dea o da luoghi a cui è possibile ricondurre la sua presenza: è il caso del santuario di Artemide Tauropolos presso l’antica Halai Arphenides e di quello di Mounichia al Pireo, ovvero realtà cultuali direttamente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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