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Arne Naess: l'Ecologia Profonda e le sue Radici Filosofiche.

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Academic year: 2021

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INDICE

 INTRODUZIONE 4 1. LA CRISI AMBIENTALE 10 1.1 - Atmosfera e Clima 11 1.2 - Biodiversità 13 1.3 - Habitat 14

1.4 - Inquinamento Chimico, Scorie e Rifiuti 15

1.5 - Impronta Ecologica e Consumi 16

2. UNA STORIA DELLA FILOSOFIA AMBIENTALE 19

2.1 - I Predecessori della Filosofia Ambientale 21

2.2 - Le Origini della Filosofia Ambientale: gli Anni '70 25

2.3 - Biocentrismo e Antropocentrismo 31

2.4 - Verso il Nuovo Millennio 37

3. ARNE NAESS E L'ECOLOGIA PROFONDA 40

3.1 – Una Biografia 40

3.2 - Ecologia Profonda ed Ecologia Superficiale 45

3.3 - Ecologia, Comunità e Stile di Vita 53

3.4 - La Piattaforma dell'Ecologia Profonda 56

3.5 - Il Diagramma “a Grembiule” 74

4. L'ECOSOFIA T: DA ONTOLOGIA A ETICA 78

4.1 - Ecologia e Saggezza, Ipotesi e Norme 80

4.2 - Una “Rivoluzione Copernicana” 85

4.3 - Protagora e il Campo Relazionale 90

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5. NORME FONDAMENTALI, FINI ULTIMI 100

5.1 - Da Spinoza a Naess 103

5.2 - Perseverare In Suo Esse o la Realizzazione del Sé 106

5.3 - Autorealizzazione e Identificazione 109

5.4 - Il Sé Ecologico 115

5.5 - L'Azione Bella in Senso Kantiano 123

5.6 - Friluftsliv: un'Esperienza Gioiosa della Natura 128

6. L'ECOLOGIA PROFONDA DOPO NAESS 133

6.1 - Sostenitori dell'Ecologia Profonda 134

6.2 - Rivisitazioni dell'Ecologia Profonda 140

6.3 - Il Dibattito fra Ecologia Sociale ed Ecologia Profonda 145

6.4 - L'Ecofemminismo e Naess 154

 CONCLUSIONE 162

 BIBLIOGRAFIA 166

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“When we try to pick out anything by itself, we find it hitched to everything else in the universe. One fancies a heart like our own must be beating in every crystal and cell, and we feel like stopping to speak to the plants and animals as friendly fellow mountaineers. Nature as a poet, an enthusiastic workingman, becomes more and more visible the farther and higher we go; for the mountains are fountains — beginning places, however related to sources beyond mortal ken” John Muir

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INTRODUZIONE

“L'essere umano è una parte della natura, e la sua guerra contro la natura è inevitabilmente una guerra contro se stesso” Rachel Carson

Questa dissertazione nasce da una questione che negli ultimi decenni è diventata sempre più attuale e pressante: la crisi ambientale.

A partire dalla fine del Novecento, infatti, è diventato sempre più chiaro che il nostro pianeta si trova a dover sostenere gravissimi problemi ambientali che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza della nostra stessa specie, oltre che quella di tutte le forme viventi che abitano con noi sulla Terra: inquinamento, riscaldamento globale, impoverimento della biodiversità, estinzioni di massa ed esaurimento delle risorse naturali sono solo alcuni dei sintomi del problema che la nostra società è chiamata ad affrontare.

Si tratta di una questione che suscita domande non solo di origine pratica, sul modo in cui risolverla, ma anche importanti interrogativi di natura filosofica.

La crescita della consapevolezza ecologica, infatti, ha portato allo sviluppo di molteplici “filosofie dell'ambiente” che indagano sul valore della natura e sul nostro rapporto con essa, spesso trovandosi in contrasto a causa di approcci e visioni del mondo differenti. Benché tutte queste filosofie siano d'accordo nel sostenere che la natura debba essere protetta, esistono molteplici dibattiti non solo

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sul modo in cui ciò possa essere fatto ma anche su quale tipo di valore essa possegga. Per esempio, esistono ecologie di stampo antropocentrico, che sottolineano che l'ambiente debba essere salvato per il bene dell'uomo e delle generazioni future, ma anche posizioni ecocentriche che attribuiscono alla natura un valore intrinseco, indipendente dalle nostre considerazioni; o ancora, vi sono sostenitori dei diritti individuali degli animali e altri che ritengono che la salvaguardia delle specie debba avere priorità sui singoli, idee che possono entrare in contrasto al momento di dover agire concretamente.

Per questi motivi alcuni studiosi hanno sollevato il dubbio che la filosofia dell'ambiente si trovi in una situazione di stallo, tanto più grave dal momento che l'emergenza ambientale si fa sempre più pressante.

La domanda, dunque, è se sia possibile superare queste divergenze in modo da poter contrastare attivamente, e soprattutto efficacemente, la crisi della natura.

Il mio interesse per questi temi mi ha portato a fare un periodo di studi presso l'Università di Oslo in Norvegia, nazione i cui ambienti accademici sono molto attenti alle questioni ecologiche. Non solo, la Norvegia è anche patria di uno dei più noti filosofi dell'ambiente: Arne Naess, fondatore di un movimento di ispirazione ecofilosofica che lui chiama “Ecologia Profonda”.

L'Ecologia Profonda incarna una tendenza ad approcciarsi ai problemi ambientali da un punto di vista anti-antropocentrico, che ci invita a mettere in discussione le nostre credenze fondamentali sull'uomo e sul suo rapporto con la natura, con la società e con l'economia; ma, soprattutto, è un invito ad agire in maniera ecologicamente responsabile e a trovare soluzioni allo stato attuale delle

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cose. Perché ciò sia possibile è chiaro che i sostenitori di un rapporto uomo-natura armonico abbiano bisogno di trovare un terreno comune da cui partire, ed è proprio ciò che l'Ecologia Profonda si propone di fare attraverso la sua “Piattaforma”: una lista di otto principi su cui anche persone con visioni del mondo molto diverse potrebbero trovarsi d'accordo.

Naess, infatti, non crede che la pluralità di idee sia un ostacolo alla collaborazione fra individui, anzi, ritiene che proprio questa diversità sia una ricchezza fondamentale per la soluzione di problemi così ricchi di sfaccettature come quelli ambientali.

A tal proposito, Naess invita ciascuno a elaborare una propria particolare

ecosofia, ovvero una visione del mondo a cui ci si può sentire di appartenere

filosoficamente e che sia di orientamento per l'azione. In altre parole, come suggerisce l'etimologia del termine, una saggezza dell'abitare in quella che di fatto è la nostra casa: la natura.

Per sottolineare che possono esistere molteplici tipi di saggezza ambientale, egli chiama la sua personale visione del mondo Ecosofia T, dove la T non è solo un modo per distinguerla da altre ecosofie ma è anche un omaggio a Tvergastein, il suo rifugio sulle montagne norvegesi dove egli ha vissuto per molti anni.

L'Ecosofia T è un vero e proprio sistema filosofico che nasce dall'unione di molteplici influenze: il panteismo e l'etica di Spinoza, la nonviolenza gandhiana, la psicologia della Gestalt, le implicazioni filosofiche della fisica quantistica, la biologia della conservazione e il movimento norvegese della friluftsliv per l'esperienza della vita all'aria aperta. Le sue parole chiave sono “realizzazione del

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Sé” e “identificazione”, due antidoti non solo alla distruzione dell'ambiente ma anche allo stato di alienazione in cui versa l'uomo moderno a causa della sua separazione dalla natura e dagli altri.

La mia tesi è che il pensiero di Naess, in tutte le sue declinazioni, offra molteplici spunti di riflessione interessanti sui temi di cui si occupa la filosofia ambientale e, soprattutto, che ci indichi una direzione per agire in maniera concreta. L'Ecosofia T, infatti, ci invita a guardare il mondo da un punto di vista diverso e a riscoprire che l'uomo è una parte integrante di quella rete di relazioni che compone la natura, una scoperta che può essere non solo fonte di gioia per noi ma anche di salvezza per l'ambiente. L'Ecologia Profonda, d'altra parte, nel suo cercare di riunire gli spunti positivi di diverse teoria sulla natura potrebbe essere un ottimo punto di partenza per superare la situazione di stallo in cui versa la filosofia ambientale.

Per sostenere questa tesi ho deciso di fornire prima di tutto un quadro complessivo sulla situazione critica in cui si trova la biosfera terrestre, parlando di alcune questioni chiave, tra cui clima, biodiversità, distruzione degli habitat naturali e inquinamento.

Nel secondo capitolo, poi, delineerò una storia della filosofia ambientale dalla sua nascita fino ai giorni nostri, in modo da illustrare quali sono gli autori e i temi principali di cui essa si occupa, operazione che ritengo necessaria per comprendere esattamente in che contesto si sviluppi il pensiero di Naess.

Il terzo capitolo inizia a entrare nel vivo con una breve biografia di Naess, un aspetto che ritengo importante dal momento che egli fu non solo filosofo ma

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anche attivista all'interno dei movimenti ambientalisti, dimostrando così un profondo accordo tra le sue idee e le sue azioni (cosa rara per un essere così pieno di contraddizioni com'è l'essere umano). Il capitolo continua poi descrivendo i principi fondamentali dell'Ecologia Profonda con l'obiettivo di mostrare quali sono i suoi elementi innovativi, di rottura rispetto ad altri approcci ritenuti “di superficie”, e i suoi punti di forza.

Nel capitolo successivo spiego che cosa intenda Naess col termine “ecosofia” e parlo della sua Ecosofia T, soffermandomi in particolar modo sul suo essere una sorta di “rivoluzione copernicana” dal momento che ribalta la nostra concezione della realtà, suggerendo che i problemi ambientali derivano proprio da una concezione del mondo che, oltre a spogliare di valore la natura, non rispetta la nostra esperienza spontanea delle cose. Secondo Naess, infatti, questa nostra concezione tende a vedere come soggettivi, e quindi meno reali, tutti gli aspetti che fanno parte della nostra esperienza immediata del mondo vivente e della natura, con i suoi suoni, colori, impressioni e stati d'animo; eppure sono proprio queste qualità, tradizionalmente definite secondarie e terziare, a costituire la realtà in cui siamo immersi, la stessa in cui dobbiamo quotidianamente operare decisioni e azioni.

Il sesto capitolo parla del concetto di “realizzazione del Sé”, il principio fondamentale della sua ecosofia, e del suo legame con due pensatori all'apparenza molto lontani tra loro: il filosofo Baruch Spinoza e Mahatma Gandhi. Ad accomunarli, come vedremo, è l'idea di fondo secondo cui il nostro processo di autorealizzazione è indissolubilmente legato alla nostra capacità di identificarci

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con gli altri e al nostro essere parte di una comunità, che Naess estende fino a comprendere tutti gli esseri che costituiscono la biosfera.

L'ultimo capitolo, infine, è dedicato al modo in cui il pensiero di Naess è stato reinterpretato da altri sostenitori dell'Ecologia Profonda, che in più occasioni lo hanno equivocato, e criticato da altri ecologisti. In particolare mi sono soffermata sulle critiche mosse dall'Ecologia Sociale e dall'Ecofemminismo, che a mio avviso hanno sollevato delle questioni interessanti ma che hanno spesso mal interpretato il pensiero di Naess, così da non comprendere la sostanziale compatibilità che esiste fra l'Ecologia Profonda e gli altri movimenti di stampo ecologico e sociale.

Grazie a questo lavoro di ricerca mi auguro che la filosofia di Arne Naess possa emergere, alla luce di un'interpretazione diretta, ripulita dalle interpretazioni fuorvianti che ne hanno fatto alcuni dei suoi lettori, sia fra i suoi seguaci che fra i detrattori.

La mia opinione, per cui rimando alle conclusioni, è che il suo pensiero sia ancora molto attuale, nonostante egli abbia iniziato a scrivere di ambiente negli anni '70. Attuale e prezioso, non solo per il suo invito a ripensare il nostro posto nel mondo – come genere umano e come individui – ma soprattutto per indicarci una strada per rendere questo mondo una casa migliore per noi e per tutte le creature che lo abitano.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELL'AMBIENTE

Non è questo il luogo per analizzare in dettaglio la situazione attuale dell'ambiente ma, per dimostrare pienamente quanto sia necessaria una rivoluzione del nostro pensiero sulla natura, è utile offrire una panoramica sulla criticità in cui versa l'ecosistema del nostro pianeta. Questo passo si rivela particolarmente importante al giorno d'oggi, viste le recenti controversie su questioni come il cambiamento climatico, le quali sono sintomatiche della tendenza umana a sottovalutare i problemi dell'ambiente, specialmente quando gli sforzi necessari per risolverli rischiano di andare in conflitto con interessi economici e politici a breve termine.

Inoltre, benché con la nascita del movimento ecologista la questione ambientale sia entrata a far parte della sensibilità comune e i media contribuiscano a diffondere informazioni al riguardo, spesso alla persona non addetta ai lavori può sfuggire quale sia la reale portata delle minacce ambientali. Per esempio, nonostante la questione dell'inquinamento atmosferico sia particolarmente nota, vista anche la frequenza con cui compare nei titoli dei giornali, può mancare una conoscenza approfondita delle sue cause e su quali siano le conseguenze sugli altri esseri viventi oltre all'uomo.

Questo capitolo, dunque, non avrà la pretesa di fornire un quadro dettagliato di ogni minaccia ambientale, ma vuole fornire una visione di insieme su alcuni dei maggior problemi che una filosofia ecologica si trova ad affrontare, accompagnandola con alcuni dati e statistiche in modo da rendere misurabile

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l'estensione della crisi ambientale.

Le fonti utilizzate sono i rapporti stilati negli ultimi anni da enti come UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), EPA (Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti), WWF (World Wildlife Fund), FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) e WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità), oltre a dati estratti da alcuni studi e riviste scientifiche.

1.1 - Atmosfera e Clima

L'inquinamento atmosferico, l'assottigliamento dello strato di ozono e il surriscaldamento climatico sono tre fra i problemi che più incidono sulla salute dell'uomo e degli ecosistemi e sono strettamente legati fra loro.

Attività antropiche quali le industrie, i trasporti, il riscaldamento domestico e gli allevamenti intensivi1 producono un gran numero di inquinanti atmosferici

come il particolato, i composti del carbonio, dello zolfo e dell'azoto, i metalli pesanti, che in larga quantità hanno effetti negativi sulla salute umana, per cui possono essere tossici e cancerogeni, e sull'ambiente, in quanto causa di fenomeni come il cosiddetto "buco dell'ozono", l'amplificazione dell'effetto serra e le piogge acide.

Gli sforzi congiunti di organizzazioni sovranazionali, governi, industrie e dei 1 In tutto, i gas a effetto serra (GHG) associati alla filiera produttiva zootecnica sono responsabili fino a 7,1 gigatonnellate (Gt) di anidride carbonica equivalente (CO2) l'anno - vale a dire il 14,5 per cento di tutte le emissioni di gas serra prodotte dagli esseri umani.

Fonte: Gerber, P.J., Steinfeld, H., Henderson, B., Mottet, A., Opio, C., Dijkman, J., Falcucci, A. & Tempio, G. Tackling climate change through livestock: A global assessment of emissions and mitigation opportunities. Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Roma, 2013.

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movimenti per l'ambiente sono riusciti ad ottenere importanti risultati in alcuni ambiti: si calcola per esempio che dal 1986 al 2009 la produzione di sostanze dannose per l'ozono, come i clorofluorocarburi, sia stata ridotta del 98% (UNEP, 2011).

In molti altri casi, però, la situazione sta continuando a peggiorare velocemente nonostante il richiamo a trattati internazionali come il Protocollo di Kyoto. I livelli di anidride carbonica (CO2), uno dei principali gas serra, sono in continua crescita e ad oggi hanno raggiunto il livello record di più di 400 parti per milione, un picco mai raggiunto prima d'ora in 3 milioni di anni2.

Gli scienziati prevedono che se non si farà qualcosa per diminuirne drasticamente la concentrazione ci saranno conseguenze disastrose per la vita di tutte le specie animali e vegetali. L'effetto serra è, infatti, la causa principale dell'innalzamento della temperatura del pianeta, la cui media cresce a ritmi che non hanno precedenti nel corso della storia delle variazioni climatiche del pianeta3. Un aumento della temperatura comporta effetti come lo scioglimento dei

ghiacciai e delle calotte polari, con conseguente innalzamento del livello dei mari e riduzione delle terre emerse, un aumento di eventi meteorologici estremi (cicloni, alluvioni, siccità ecc), danni all'agricoltura e acidificazione degli oceani. Inoltre, uno studio prevede che di un campione di 1103 specie di piante ed animali, dal 18% al 35% si estingueranno per il 2050, in base ai futuri mutamenti climatici4.

2 Dlugokencky, Ed, e Tans Pieter. "Trends in Atmospheric Carbon Dioxide". NOAA Earth System Research Laboratory, dati al 6 Gennaio 2017, www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends

3 Dunbar, Brian. “NASA Finds 2011 Ninth-Warmest Year on Record.” NASA, NASA, 19 Gennaio 2012, www.nasa.gov/topics/earth/features/2011-temps.html.

4 Thomas, Chris D. “Extinction risk from climate change.”, in Nature, Vol. 427, n. 6970, Agosto 2004, pp. 145–148.

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1.2 - Biodiversità

Ogni anno il WWF pubblica un report sugli andamenti del cosiddetto “Indice del pianeta vivente” (LPI - Living Planet Index), un indicatore che misura lo stato della biodiversità attraverso i dati ottenuti da 14.152 popolazioni monitorate di 3.706 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, anfibi, rettili) provenienti da tutto il mondo. Dal 1970 al 2012, l’LPI globale mostra un calo complessivo del 58% dell’abbondanza delle popolazioni dei vertebrati, con un calo medio anno del due per cento5. Se questo andamento dovesse mantenersi costante, il 12 per

cento delle specie volatili e il 25 per cento delle specie mammifere potrebbero estinguersi entro i prossimi 30 anni6 (UNEP, Geo-3, 2002). Dati come questi

hanno fatto parlare i biologi di una nuova "estinzione di massa", la sesta, a seguire le altre 5 grandi estinzioni di massa del passato, l'ultima delle quali è quella che vide l'estinzione dei dinosauri durante il Cretaceo-Terziario, 66 milioni di anni fa. La differenza sostanziale è che in questo caso la causa principale è dovuta all'azione di una sola specie, la specie umana, mentre le altre furono dovute a catastrofi naturali e incontrollabili, come l'eruzione di vulcani e la caduta di asteroidi7.

5 WWF. Living Planet Report Sintesi 2016. WWF, Gland, Switzerland, Ottobre 2016. 6 UNEP. Global Environmental Outlook 3, 2002.

web.unep.org/geo/assessments/global-assessments/global-environment-outlook-3

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1.3 - Habitat

Una delle cause dell'estinzione delle specie è data dall'alterazione e dalla distruzione dei loro habitat da parte dell'uomo. La crescente urbanizzazione, la deforestazione, lo sfruttamento delle risorse naturali hanno decimato le zone di natura selvaggia (wilderness) in cui molte specie vivono e si riproducono.

Particolarmente disastrosa da questo punto di vista è la distruzione di alcuni degli habitat a più alto tasso di biodiversità del pianeta, quali le foreste tropicali e le barriere coralline. Circa il 50% delle foreste sono state già abbattute e ad oggi esse coprono solo il 31% del totale della superficie terrestre. È bene notare che il tasso di deforestazione annuale ha visto una decrescita nel decennio 2000-2010: 13 milioni di ettari riconvertiti ad altro uso in contrasto con i 16 milioni del decennio precedente; ma i dati sono ancora allarmanti, specialmente se si considera che solo il 13% della superficie forestale totale è tutelata sotto forma di area naturale protetta8.

Circa il 25% delle barriere coralline e degli atolli sono ormai distrutti e oltre metà di quelli rimasti corrono il rischio di degradarsi nel corso dei prossimi 30 anni9. Si stima inoltre che almeno 605 degli ecosistemi terrestri siano già in fase

di deterioramento10 e che solo una piccolissima parte degli ecosistemi si trovi in

zone protette.

8 FAO’s Global Forest Resources Assessment (FRA). Global forest resources assessment 2010: main report. Food and Agriculture Organization of the United Nations. Roma, 2010.

9 Questi dati provengono dal Dr. Richard Aronson del Dauphin Island Sea Lab, citato da Radford, Tim. “The White Death.”, in The Guardian, Guardian News and Media, 18 Feb. 2004,

www.theguardian.com/science/2004/feb/19/science.environment. 10 Reid, W. Millennium ecosystem assessment 2005. UNEP, 2005.

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1.4 - Inquinamento Chimico, Scorie e Rifiuti

Oltre al cambiamento climatico, la produzione di agenti inquinanti dovuta a svariate attività umane, prime tra cui quelle industriali e agricole, ha molti altri effetti negativi sugli ecosistemi e sulla salute di molteplici specie animali e vegetali, uomo compreso.

Benché tutte le sostanze sintetiche, se presenti in eccesso, siano da considerarsi inquinanti, ci sono alcune sostanze particolarmente pericolose per la loro tossicità e per la difficoltà (se non impossibilità) con cui esse possono essere rimosse dall'ambiente. Sostanze come i metalli pesanti, le diossine e gli idrocarburi contaminano acqua, aria e suolo e sono potenzialmente causa di malattie ed avvelenamento per tutti gli organismi. Negli ultimi decenni si è reso sempre più evidente il collegamento fra inquinanti chimici e atmosferici e la crescente incidenza di malattie come il cancro nell'uomo11, così come crescono in numero le

ricerche che ne evidenziano l'effetto sul normale sviluppo biologico delle altre specie.

Un altro problema è dato dall'inquinamento radioattivo. I processi di fissione delle centrali nucleari comportano la produzione di scorie e rifiuti radioattivi pericolosi dalla vita pressoché infinita: basti considerare che il tempo di dimezzamento dell'Uranio U-325 è di 700 milioni di anni. Tali rifiuti non possono essere smaltiti nell'ambiente in forma definitiva, ma necessitano di essere stoccati in ambienti sotterranei appositamente schermati, i quali dovranno essere monitorati per milioni di anni.

11 Si veda per esempio: “Cancer and Toxic Chemicals.” Physicians for Social Responsibility, 9 Ottobre. 2013, www.psr.org/environment-and-health/confronting-toxics/cancer-and-toxic-chemicals.html.

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Alla produzione di scorie si aggiunge anche la possibilità di incidenti che, per quanto bassissima, visti gli elevati standard di sicurezza delle centrali nucleari, suscita preoccupazione a causa dell'entità dei danni che un singolo incidente potrebbe causare.

Anni dopo l'incidente della centrale nucleare di Fukushima, avvenuto a causa del maremoto del Tohoku dell'11 marzo 2011, le stime sugli effetti negativi delle fughe radioattive sull'ambiente sono ancora incomplete a causa della complessità e dell'intensità dell'impatto. Ciò che è sicuro, in base agli studi effettuati, è che le sue conseguenze saranno misurabili per centinaia di anni12.

1.5 - Impronta Ecologica e Consumi

L'"impronta ecologica" è un indicatore complesso introdotto da Mathis Wackernagel e William Rees a metà anni '9013. Si tratta di una formula

matematica utilizzata per valutare:

- il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità del pianeta di rigenerarle.

 il tasso di produzione di rifiuti rispetto alla capacità della Terra di riassorbirli.

12 Ulrich, Kendra, e Greenpeace Japan. “Radiation Reloaded: Ecological Impacts of the Fukushima Daiichi Nuclear Accident 5 years later.”. Greenpeace, 2016,

www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2016/GPJ_Fukushima_Radiation_Reloaded_Report.pdf. 13 Wackernagel, Mathis, e William E. Rees. Our ecological footprint: reducing human impact on the

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È possibile applicare questo calcolo a individui, ma anche a regioni e stati, così da stimare quanti "pianeta Terra" servirebbero per sostenere l'umanità, qualora tutti vivessero secondo un determinato stile di vita.

Per esempio, l'impronta ecologica di un paese si calcola facendo un rapporto fra l'effettiva estensione del territorio nazionale e la somma di tutti i terreni agricoli, i pascoli, le foreste e gli stock ittici che sarebbero necessari per produrre ciò che viene consumato, per assorbire il biossido di carbonio emesso producendo energia e per fornire lo spazio sufficiente per le infrastrutture da realizzare.

È chiaro che il risultato ideale di questo calcolo dovrebbe essere uguale o minore di 1, ovvero: l'estensione territoriale coincide con quella necessaria a soddisfare la nostra domanda di risorse. I dati reali, però, sono ben diversi:

"Fin dai primi anni 70, l’umanità ha richiesto più di quanto il nostro pianeta possa offrire in modo sostenibile. Nel corso del 2012, per fornire le risorse naturali ed i servizi che l’umanità ha consumato in quell’anno, è stata necessaria una biocapacità equivalente a 1,6 Terre. È possibile oltrepassare la biocapacità della Terra a tal punto solo per brevi periodi. Infatti solo per un breve periodo si possono tagliare gli alberi più velocemente del tempo necessario alla loro rigenerazione, pescare più pesce di quanto gli oceani possano ripristinare, o emettere più carbonio nell’atmosfera di quanto le foreste e gli oceani possano assorbire. Le conseguenze di questo overshoot (“sorpasso”) sono già evidenti: gli habitat e le popolazioni delle specie sono in declino ed il carbonio nell’atmosfera si sta accumulando"14.

È importante sottolineare che l'indice dell'impronta ecologica varia 14 WWF Living Planet Report 2016

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significativamente a seconda delle aree geografiche e delle fasce di popolazione: i dati sull'impronta ecologica media per persona e per paese del 2012 mostra che, in media, un cittadino degli Stati Uniti ha un'impronta superiore al 7, mentre un abitante del Kenya raggiunge un valore inferiore a 1,7515.

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CAPITOLO 2. UNA STORIA DELLA FILOSOFIA AMBIENTALE

Prima di considerare quali sono stati i contributi di Arne Naess alla filosofia dell'ambiente è utile fornire un quadro generale su questa disciplina. Questo capitolo tenterà di darne una definizione e di delinearne la storia, per meglio comprendere quali siano i suoi obiettivi e in che modo si situi nel contesto della filosofia e della storia del Novecento.

La filosofia dell'ambiente (environmental philosophy) è una branca della filosofia, e in particolar modo dell'etica, che si concentra sulla natura e sulla posizione dell'uomo all'interno di essa.

Come disciplina filosofica e speculativa si propone di definire cosa sia ciò di cui parliamo quando parliamo di "natura", qui intesa come ambiente ed ecosistema di cui l'uomo è allo stesso tempo parte integrante, in quanto animale, ma anche agente esterno, in quanto ha il potere di agire su di essa secondo la propria volontà, con esiti positivi o, come spesso accade, negativi.

Il suo obiettivo principale è descrivere quali siano i valori posseduti dal mondo non-umano, se essi siano indipendenti dal nostro giudizio e, soprattutto, dai nostri interessi. Come etica ambientale, inoltre, si occupa di prescrivere un approccio che sia in grado di preservare questi valori e di fornire una guida su quali siano le azioni eticamente corrette nei confronti del mondo che ci circonda; si tratta, quindi, di un'etica applicata in quanto volta alla soluzione pratica di questioni morali specifiche.

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quali casi l'uomo dovrebbe mettere da parte i propri interessi per il bene della natura?", "animali e piante hanno uno stato morale?", "come è giusto comportarci nei confronti degli animali non-umani?" o anche "in che modo possiamo far fronte a problemi ecologici come l'inquinamento atmosferico?".

Viste le sue sfide è chiaro che la filosofia dell'ambiente sia una disciplina che ha la necessità di spaziare su vari campi filosofici ma anche più strettamente scientifici. Per cercare di rispondere alle sue domande essa combina l'etica con l'ecologia intesa come studio degli ecosistemi, si fa antropologia per comprendere le diverse concezioni umane della natura a seconda dei periodi e delle società, si occupa di storia della scienza e della tecnologia, necessita di conoscenze in campo biologico e chimico per comprendere gli effetti delle pratiche umane sull'ambiente. Non solo, al suo interno comprende diverse branche, tra cui possiamo citare l'estetica ambientale, che si occupa del valore estetico della natura, l'ermeneutica dell'ambiente, che indaga sui significati che attribuiamo a temi che riguardano l'ecologia, l'Ecofemminismo, un movimento che evidenzia il collegamento tra la condizione di subordinazione della donna e il degrado della natura, e infine la teologia della natura, un approccio teologico che studia il rapporto fra Dio e l'ambiente.

Come si può immaginare, inoltre, la filosofia dell'ambiente è un campo relativamente recente in quanto ha come obiettivi la risoluzione di sfide che sono caratteristiche del XXI secolo. In particolare, come vedremo, essa si configura come disciplina specifica e assume importanza crescente a partire dagli anni '60-'70.

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2.1 - I Predecessori della Filosofia Ambientale

Prima di parlare della nascita della filosofia dell'ambiente vera e propria, però, è bene sottolineare che essa ha dei predecessori, dato che il mondo naturale ha già fatto parte degli interrogativi dell'uomo in passato, anche se non nello stesso modo e con gli stessi fini, e da questi interrogativi la filosofia dell'ambiente ha attinto materiale.

In particolare, la filosofia ambientale affronta alcuni dei temi e delle questioni fondamentali di un periodo storico e di un pensiero che, in accordo con il filosofo francese Jean-François Lyotard, potremmo definire “postmoderni”16.

Il “postmoderno” è un concetto che descrive l'atmosfera del nostro tempo come avente principi e idee contrapposti a quelli che hanno caratterizzato la cosiddetta “modernità”, ovvero il periodo storico che va all'incirca da Cartesio a Nietzsche.

Secondo Lyotard la modernità è caratterizzata dalla fede in una serie di visioni onnicomprensive di natura filosofico-politica o religiosa, da lui chiamate “grandi racconti” o “metanarrazioni”, che hanno cercato di offrire un senso unitario della realtà e di legittimare il pensare e l'agire umano nei termini di progresso ed emancipazione. Sono esempio di metanarrazioni l'illuminismo, l'idealismo, il marxismo e il capitalismo, filosofie e modi di pensare che hanno caratteri completamente diversi ma sono accomunati dal concepire la storia dell'umanità come un percorso diretto verso una meta di natura positiva: la libertà, l'uguaglianza, il benessere, l'emancipazione dalla povertà ecc.

16 Cfr. Lyotard, Jean-Francois. La Condizione Postmoderna: Rapporto sul Sapere. Feltrinelli Economica, 1983.

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Da ciò nasce la valutazione positiva da parte della modernità di tutto ciò che è “nuovo” e “superamento”, e dunque anche la grande fiducia nelle conquiste della tecnoscienza, a cui si accompagna una concezione della natura come qualcosa di plasmabile dall'uomo a suo piacimento, per il raggiungimento dei suoi fini.

Al contrario, il postmoderno è caratterizzato dalla sfiducia in questo tipo di metanarrazioni totalizzanti e unitarie, a cui contrappone la ricerca di saperi di natura molteplice, pluralistica e multiculturale. Viene meno anche la fede nel progresso, nel “nuovo” e nelle “magnifiche sorti” dell'umanità, la cui storia non è più concepita come un irrefrenabile processo verso la redenzione: le guerre mondiali, i campi di concentramento, gli squilibri del capitalismo costringono l'uomo a ripensare la sua fede nel progresso necessario e senza fine.

La tecnologia e la scienza vengono ora sottoposte a critiche: la ragione umana non viene più identificata con la ragione tecnico-scientifica, uno dei capisaldi della modernità, e vengono denunciati gli effetti distruttivi che il dominio tecnologico dell'uomo ha avuto sull'ambiente.

La sensibilità postmoderna è insomma terreno fertile per la nascita dell'ecologismo e per un ripensamento del ruolo dell'uomo: da “dominatore” incontrastato della natura l'uomo diventa una parte di essa, pertanto avrà bisogno di riscoprire un nuovo modo di abitare, se vorrà evitare la catastrofe ecologica e assicurare un futuro a se stesso e al resto degli abitanti del pianeta Terra.

Alcune idee di Albert Schweitzer, filosofo e teologo franco-tedesco la cui

Filosofia della Civiltà risale al 1923, sono state riprese dalla filosofia ambientale

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di vivere, uno slancio verso la realizzazione del sé che secondo lui accomuna tutti gli esseri viventi, senzienti o meno. Riconosciuto questo impulso fondamentale, esso dovrebbe portarci a provare rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni e quindi a rispettare non solo noi stessi e i nostri simili, ma anche gli animali, le piante e la natura in generale. Per Schweitzer, infatti, la volontà di vivere è uguale per tutti e gli esseri umani non hanno il diritto di giudicare la propria vita più preziosa di quella altrui.

Concetti simili, come vedremo, sono stati ripresi da alcuni filosofi dell'ambiente, specialmente fra quelli legati ai diritti degli animali17.

Un altro padre dell'ambientalismo e in particolar modo della biologia della conservazione è lo statunitense Aldo Leopold, ecologista, guardia forestale e professore di gestione della fauna selvatica all'università del Wisconsin.

La sua opera più importante, Almanacco di un mondo semplice (titolo originale: A Sand County Almanac), è una raccolta di saggi pubblicata nel 1949, un anno dopo la sua morte18. L'ultimo saggio, intitolato L'Etica della Terra, apre

la strada a considerazioni su un tipo di etica che potremmo definire "ecocentrica" e che assumerà grande rilevanza come corrente filosofica ambientale.

Secondo Leopold ogni etica è un'indagine filosofica dettata a differenziare fra ciò che è giusto e non giusto fare e, secondo le sue parole, fra ciò che è "sociale e antisociale", all'interno di un gruppo di individui fra loro interdipendenti. Ogni etica, dunque, è strettamente correlata al concetto di comunità.

Leopold nota dunque che l'etica umana è andata evolvendosi nel tempo,

17 Cfr. Schweitzer, Albert. Filosofia della civilta. Tradotto da Alberto Guglielmi Manzoni, Fazi, 2014. 18 Cfr. Leopold, Aldo. A Sand County Almanac. Oxford University Press, 1949.

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estendendosi fino a comprendere via via comunità sempre più ampie: Aristotele poteva parlare di etica, di giusto e sbagliato, e allo stesso tempo escludere da essa gli schiavi, in quanto considerati alla stregua di oggetti di proprietà anziché persone come gli altri membri della comunità, mentre l'etica moderna comprende idealmente tutti gli esseri umani.

Leopold, dunque, auspica che l'etica, fino ad ora antropocentrica, faccia un passo ulteriore e diventi ecocentrica, dilatando i confini della comunità "per includere il suolo, le acque, le piante e gli animali: la terra (Land)". In questo modo il ruolo dell'uomo passa da conquistatore e distruttore della “comunità biotica” a quello di semplice membro e cittadino di essa19.

Questo passo, secondo lui, è necessario nell'ottica della conservazione dell'ambiente, perché considerare l'ambiente solo per il suo valore economico e strumentale, e quindi al di fuori della nostra comunità, come gli schiavi nell'antica Grecia, ha effetti distruttivi molto spesso imprevedibili sulla comunità biotica nel suo intero.

Leopold infatti, in quanto ecologista, pone l'attenzione sul concetto di ecosistema: ogni ecosistema è un sistema complesso costituito da organismi (animali e piante) che interagiscono fra loro e con l'ambiente circostante (suolo). Si tratta di una vera e propria struttura, paragonata dagli ecologisti come Leopold a una "piramide biotica", tenuta in equilibrio da un complesso intreccio di catene e circuiti di cui noi esseri umani sappiamo ancora molto poco. L'equilibrio degli ecosistemi è fragile e i cambiamenti apportati dall'uomo, spesso inavveduti e violenti, possono avere effetti distruttivi e irreparabili sull'ordine delle cose . 19 Leopold, A. A Sand County Almanac. Op. cit., p. 204.

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L'alternativa è dunque l'educazione a un'etica della terra, che non consideri animali, piante e suolo come qualcosa di cui possiamo disporre a piacimento, secondo i nostri interessi economici, ma come altri membri della nostra comunità, da cui noi stessi dipendiamo. In questa ottica "una cosa è giusta quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica. È sbagliata quando tende al contrario"20.

2.2 - Le Origini della Filosofia Ambientale: gli Anni '70

Leopold fu di fatto un'avanguardia, perché la questione della crisi ambientale è emersa pienamente solo nella seconda metà del XX secolo, in particolar modo a partire dagli anni '60 e '70, presentandosi all'attenzione non solo della comunità scientifica e dei filosofi, ma anche della sensibilità comune.

Nel 1962 Rachel Carson, biologa e zoologa statunitense, pubblica il libro che viene spesso considerato la scintilla che ha fatto scattare la nascita del movimento ecologista: Silent Spring, in italiano Primavera silenziosa21. In esso Carson

denuncia i terribili danni dei pesticidi, come il DDT, sia sulla natura selvatica che sugli esseri umani, corroborando la sua ricerca con numerose analisi scientifiche.

Il libro fece molto scalpore perché accusava l'industria chimica e il ministero dell'agricoltura di diffondere disinformazione sugli effetti negativi dei pesticidi usati per la coltivazione dei campi, accuse che si scontrarono con una forte opposizione da parte delle compagnie incriminate ma che ebbero un forte impatto

20 Ivi, p. 224.

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sull'opinione pubblica degli americani, che per la prima volta si trovavano a fare i conti con questioni ambientali che li riguardavano direttamente. Il lavoro di Carson portò a un divieto nazionale dell'uso del DDT in agricoltura e sulla sua onda si formò un movimento ambientalista che contribuì alla nascita, tra le altre cose, dell'Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente (EPA) nel 1970.

Nel 1971, presso l'Università della Georgia negli Stati Uniti, venne tenuta la prima conferenza sulla filosofia dell'ambiente22.

Nel 1973 Richard Sylvan (nato Routley) pubblica un articolo intitolato Is

There a Need for a New, an Environmental, Ethic?23. La sua risposta alla

questione è affermativa: per affrontare i problemi della relazione fra umanità e ambiente non basta estendere le etiche che conosciamo affinché includano anche il resto della biosfera, ma è necessario un cambiamento radicale, una nuova etica.

Il pensiero etico tradizionalmente dominante in Occidente, infatti, è sostanzialmente antropocentrico. Sylvan lo definisce "sciovinismo umano"24,

asserendo che in questa filosofia liberale l'uomo ha il primato su qualsiasi cosa e la natura è concepita come suo dominio, di cui egli può disporre senza incorrere nel rischio che le sue azioni dannose per l'ambiente siano considerate immorali. Questa visione delle cose, tuttavia, sta cominciando a cambiare e il rapporto degli uomini nei confronti degli animali e dell'ambiente naturale sta cominciando a essere rivalutato, così come in passato la schiavitù è stata rivalutata nell'ottica dei diritti umani; questi cambiamenti comportano la necessità 22 Palmer, Clare. “An Overview of Environmental Ethics”, in Environmental Ethics: an Anthology. A

cura di Andrew Light e Holmes Rolston III. Blackwell Publishing, 2012, p.15.

23 Cfr. Routley, Richard. "Is There a Need for a New, an Environmental, Ethic?", in Proceedings of the XVth World Congress of Philosophy. Bulgaria: Sofia Press, 1973, pp. 205-210.

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di un'etica, intesa come disciplina filosofica, adeguata a discernere sulla base di concetti nuovi, come quelli di "conservazione, inquinamento, crescita e salvaguardia", concetti che nell'etica dominante non sono presenti.

Anche nelle etiche minori, che Sylvan chiama posizione della gestione (stewardship) e della cooperazione (co-operative), benché sia riconosciuto che l'uomo ha delle responsabilità nei confronti della natura, il suo rapporto con essa è sempre paragonabile a quella con un giardino, di cui egli intende disporre in maniera armonica ma sempre come suo padrone. Anche in questo caso si tratta di una posizione incompatibile con alcune necessità dell'ambiente, come quella della conservazione e della protezione di aree selvatiche dall'influsso dell'uomo, perché dà la precedenza ai desideri dell'uomo; e, nella parole di Sylvan, "le preferenze e gli interessi umani sono troppo campanilistici per fornire delle fondamenta soddisfacenti per decidere cosa sia desiderabile dal punto di vista ecologico"25.

Sempre nel 1973, nella rivista Inquiry, esce un articolo di Arne Naess intitolato

The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movements26. Come si vedrà nei

capitoli dedicati a Naess, questo articolo ebbe grande risonanza e, insieme agli altri suoi lavori, portò alla nascita di una corrente ambientalista di ispirazioni filosofiche che verrà denominata "Ecologia Profonda".

Nel 1974 John Passmore pubblica Man's Responsibility for Nature, in cui anch'egli sostiene la necessità di cambiare il nostro comportamento nei confronti dell'ambiente, poiché lo sfruttamento senza regole della biosfera non è più sostenibile27. Contrariamente agli autori già menzionati, però, Passmore ritiene 25 Ivi, p. 210

26 Naess, Arne. “The Shallow and the Deep, Long‐range Ecology movements. A summary.”, in Inquiry, Vol. 16, n. 1, 1973, pp. 95-100.

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che non sia affatto necessario abbandonare la tradizione occidentale del razionalismo scientifico e dell'etica antropocentrica e critica il tentativo di attribuire un valore intrinseco alla natura. È suo parere, infatti, che il valore dell'ambiente consista nel contribuire al benessere e allo sviluppo dell'uomo e delle altre creature senzienti.

Nel 1975 viene pubblicato Animal Liberation di Peter Singer, autore che ha svolto un ruolo fondamentale nella nascita e sviluppo del movimento per i diritti animali28. Singer pone la stessa questione che aveva posto Jeremy Bentham, il

padre dell'utilitarismo filosofico: "La domanda da porsi non è se sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire"29. Come Bentham, dunque, Singer

ritiene che non sia la razionalità il criterio adatto per cui includere o meno un essere nella sfera della morale e dei diritti, ma la capacità di soffrire (o provare piacere), capacità che è comune a tutti gli esseri senzienti e non solo agli esseri umani. Per decidere della liceità di un'azione bisogna considerare se questa intacca o meno le preferenze altrui, di cui la più fondamentale è il desiderio di vivere e di vivere senza dolore. Data la fondamentale uguaglianza dell'uomo e degli altri animali su questo punto, Singer ritiene che ogni essere senziente abbia diritto ad un'equa considerazione morale e che non ci siano basi etiche o logiche per dare preminenza ai desideri dell'uomo rispetto a quello delle altre forme di vita. Il rifiutare ciò è per lui un pregiudizio e una forma di razzismo che viene definita "specismo".

Alla fine degli anni '70 l'interesse per l'etica dell'ambiente da parte della

Traditions. Scribner Book Company, 1974.

28 Singer, Peter. Animal Liberation. HarperCollins, 1975.

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filosofia era abbastanza elevato da permettere a Eugene Hargrove di iniziare la pubblicazione di una rivista accademica, Environmental Ethics, di cui Holmes Rolston III fu co-fondatore. Attiva fin dal 1979 e con 38 volumi pubblicati ad oggi, si tratta senza dubbio della rivista più importante del settore e comprende articoli, recensioni e discussioni sugli aspetti filosofici dei problemi ambientali, col contributo di esperti in diverse discipline.

Il 1979 è anche l'anno di altre due pubblicazioni importanti rispettivamente per l'ecologia e l'etica ecologica: Gaia. Nuove idee sull'Ecologia dello scienziato e inventore James Lovelock30 e Il Principio Responsabilità del filosofo tedesco

Hans Jonas31.

L'ipotesi Gaia è una teoria scientifica sviluppata da Lovelock con il contributo della biologa Lynn Margulis. Il suo titolo, suggerito a Lovelock dallo scrittore e amico William Golding, si ispira all'omonima divinità greca Gaia, dea della Terra e madre primordiale. Questo riferimento all'animismo dell'antica Grecia è rilevante, poiché Lovelock vuole suggerire che il pianeta Terra non sia solo un insieme di atomi senza vita ma che, considerata nella sua interezza, essa sia equiparabile a un super-organismo vivente: così come un essere vivente è un organismo composto da diversi sistemi in relazione fra loro, così la Terra è un organismo composto da ecosistemi legati tra di loro in un equilibrio complesso, una simbiosi che comprende non solo le componenti geofisiche del pianeta, come gli oceani e la crosta terrestre, ma anche tutte le specie animali, vegetali e i 30 Cfr. Lovelock, James. Gaia: a New Look at Life on Earth. Oxford University Press, 2016.

31 Cfr. Jonas, Hans. Il principio responsabilita: un'etica per la civilta tecnologica. Traduzione a cura di Pier Paolo Portinaro, Einaudi, 2014.

Per l'edizione in lingua originale si veda: Jonas, Hans. Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik fur die technologische Zivilisation. Suhrkamp, 1988.

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microrganismi. Proprio come un organismo, inoltre, sarebbe in grado di rinnovarsi e regolarsi autonomamente, adattandosi a diverse condizioni in modo da mantenere una certa stabilità interna, specialmente per quanto riguarda l'atmosfera e la temperatura32.

Benché, almeno in origine, Lovelock abbia presentato questa ipotesi come una teoria scientifica, essa ha avuto impatto anche nel campo dell'etica ecologica.

Come nota Patrick Curry in Environmental Ethics. An Introdution, da una parte l'enfasi sull'olismo e l'inclusione di elementi inanimati oltre agli organismi viventi come parte integrante della biosfera sembra condurre naturalmente a un'etica di tipo ecocentrico: se ogni frammento di Gaia è essenziale al suo equilibrio, la sua esistenza deve essere rispettata. Dall'altra parte non è mancato chi ha interpretato l'ipotesi di Lovelock in senso antropocentrico, in quanto proteggere l'equilibrio del pianeta può essere visto come di semplice interesse per la sopravvivenza della nostra specie.33

Nel suo saggio del 1979, Hans Jonas nota come lo sviluppo della tecnica e il suo essere applicata senza freni ha modificato la natura dell'agire umano. Un tempo l'uomo, pur avendo una maggiore capacità di manipolare il suo ambiente rispetto agli altri animali, non aveva i mezzi per modificare in maniera significativa la sostanziale immutabilità della natura. Non essendo in grado di intaccare negativamente il suo equilibrio, l'uomo non aveva neanche motivo di sentire alcuna responsibilità nei confronti della natura e del suo pianeta. Oggi invece, grazie alla tecnologia, l'uomo è in grado di plasmarla a suo piacimento

32 Curry, Patrick. Ecological Ethics: an Introduction. Polity Press, 2011, p. 98. 33 Ibidem, p. 99

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con conseguenze inquietanti e potenzialmente disastrose e di creare danni che la natura da sola non ha la forza di arginare. Questa nuova natura dell'uomo, secondo Jonas, presenta la necessità di un mutamento dell'etica: l'etica tradizionale, incentrata unicamente sull'uomo, e su un uomo il cui campo di azione era molto meno vasto del presente, non tiene conto del nuovo carattere vulnerabile della natura. Oggi occorre un'etica che ci imponga una responsabilità nei confronti della natura, che ci spinga a riflettere su quale sia il suo valore come oggetto morale, che ci porti a chiedere quali saranno le conseguenze delle nostre azioni non solo nel qui e ora, ma anche in un futuro difficilmente prevedibile. Da ciò dipende non solo la salvezza della natura ma soprattutto, sottolinea Jonas, dell'umanità stessa in quanto parte della natura. Se si volesse sintetizzare questo principio in una massima sul modello dell'imperativo categorico kantiano, scrive Jonas, oggi il nuovo imperativo dovrebbe essere: "agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra"34.

2.3 - Biocentrismo e Antropocentrismo

Durante gli anni '80 alcuni autori cominciano a raccogliere in dei libri le idee che avevano espresso tramite articoli e pubblicazioni: tra di loro vi sono Holmes Rolston III e Paul Taylor.

Nel 1975 la rivista Ethics aveva pubblicato un articolo di Rolston intitolato Is

There an Ecological Ethic?35: fu il primo articolo apparso in una importante

34 Jonas, Il Principio Responsabilita.. Op. cit., pp. 1-16.

(32)

rivista accademica a sfidare l'idea che la natura sia priva di un proprio valore e che tutti i valori abbiano origine dalla prospettiva umana36.

Rolston riprese questo tema in Environmental Ethics, Duties to and Values in

the Natural World37, dove presenta una teoria che concepisce la natura come

portatrice di molteplici tipi di valore, alcuni dei quali possono essere strumentali per l'uomo (valore ricreativo, valore economico, valore scientifico), ma ciò non toglie che la natura possegga in primo luogo un valore puramente intrinseco, indipendente e assoluto, che domanda rispetto da parte dell'uomo.

Le fondamenta di questo valore intrinseco si posa sul fatto che gli organismi, e su una più larga scala anche le specie e gli ecosistemi, operano attivamente per crescere, riprodursi, guarire le proprie ferite e resistere alla morte, e nel fare ciò esse agiscono come un sistema assiologico, valutando ciò che per loro è benefico e di valore. Ciò si applica anche agli organismi non senzienti ed è quindi indipendente dalla presenza di una coscienza o meno: un albero, per esempio, beneficia del sole e del nutrimento del suolo e, anche se non possiamo certo dire che esso ne sia conscio, queste cose hanno comunque un valore per lui perché sostengono la sua vita.

Ciò impone agli individui responsabili un dovere: rispettare la volontà di vivere delle specie e dei loro ecosistemi come qualcosa che ha valore in se stesso ed evitare di mettere a rischio la loro esistenza.

Una tesi che ha elementi simili, in quanto sostiene che la natura abbia valore in se stessa, viene argomentata anche da Paul Taylor in Respect for Nature. A 36 Turner, Darrell J. “Holmes Rolston III.” Encyclopædia Britannica, Encyclopædia Britannica, inc., 23

Nov. 2015, www.britannica.com/biography/Holmes-Rolston-III.

37 Rolston, Holmes III. Environmental Ethics, Duties to and Values in the Natural World. Temple University Press, 1988.

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Theory of Environmental Ethics38. Secondo la sua prospettiva, che egli definisce

"biocentrica", tutti gli organismi, senzienti o meno, sono "centri di vita teleologici" (teleological centers of life) in quanto hanno la tendenza a perseguire ciò che è "buono" per loro, in modo da continuare a vivere e svilupparsi. Questo

telos universale conferisce a ogni singolo organismo un valore "inerente"

(inherent worth), un valore che richiede rispetto39. Il fatto che il telos sia

condiviso e uguale per tutti, inoltre, implica che gli esseri umani non siano inerentemente superiori alle altre specie, ma che si trovino in termini egualitari con tutte le altre specie che fanno parte della "comunità vitale" che costituisce la biosfera terrestre.

Nel 1983 esce I Diritti Animali di Tom Regan40, già coautore, insieme a Peter

Singer, di Diritti Animali, Obblighi Umani41: si tratta di due libri chiave per la

nascita del movimento per i diritti animali. Benché condivida le stesse preoccupazioni del movimento per la liberazione animale, quello per i diritti si fonda su una base filosofica diversa. L'etica di Regan è fondata su un'espansione dei diritti umani individuali, estesi a tutti gli animali: tutti i mammiferi adulti sono autocoscienti e posseggono desideri, speranze e possibilità di agire e in quanto tali sono "soggetti-di-vita". È questo, e non la capacità di ragionare, che rende un organismo un oggetto morale avente dei diritti che domandano di essere rispettati, ed è per questo che riconosciamo diritti anche agli esseri umani che non dispongono di questa capacità, come i neonati o le persone con una forte disabilità mentale. Ne consegue un rifiuto dell'utilizzo dei mammiferi come mezzi 38 Taylor, Paul. Respect for Nature: a Theory of Environmental Ethics. Princeton University Press, 1986. 39 Palmer, C. “An Overview of Environmental Ethics”, Op.cit., p.22.

40 Regan, Tom. The Case for Animal Rights. University of California Press, 1983.

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per fini umani, quindi degli allevamenti, della caccia sportiva e della sperimentazione con effetti nocivi.

Al 1989 risale In Defense of the Land Ethic42 di J. Baird Callicott. Facendo propria la posizione di Aldo Leopold, il padre della "land ethic", Callicott sostiene che per affrontare efficacemente i problemi dell'ambiente, come le estinzioni di massa, dobbiamo considerare la natura come un tutt'uno di cui l'essere umano è solo una parte: un'etica dell'ambiente, nella sua opinione, dovrebbe essere non antropocentrica e olistica. Non antropocentrica perché l'uomo non è misura di ciò che è giusto o sbagliato, olistica perché assegna un valore morale maggiore alle comunità, ovvero alle specie e alla comunità biotica che le contiene, rispetto agli individui.

Per arrivare a un'etica di questo tipo, però, dobbiamo superare l'ostacolo di un pensiero tradizionale che considera solo gli esseri umani come aventi un valore intrinseco – ovvero, avente valore di per sé – mentre tutto il resto ha unicamente un valore strumentale – ovvero, valido solo in quanto è un mezzo per un fine. Questo concetto ha profonde radici nella filosofia, nella scienza e nell'etica occidentale: ha origine con l'atomismo nell'antica Grecia, continua con Descartes e la sua distinzione fra la natura come res extensa e l'umanità come res cogitans, e arriva a noi tramite la deontologia kantiana. Kant, nota Callicott, basava il valore intrinseco di una persona sulla sua capacità di usare la ragione, escludendo così gli altri esseri viventi. Inoltre, per essere qualificabili come oggetti morali, verso cui noi abbiamo responsabilità, un essere vivente deve essere a sua volta un

42 Callicot, J. Baird. In Defense of the Land Ethic: Essays in Environmental Philosophy. State University of New York Press, 1989.

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soggetto morale e un agente in grado di agire con responsabilità, cose di cui gli altri animali non sono capaci. Essere violenti nei confronti di un animale sarebbe eticamente sbagliato, ma ciò non dipenderebbe da un suo presunto valore morale, bensì dal fatto che in tal caso avremmo fallito nei confronti di noi stessi, in quanto esseri razionali e morali, e del nostro dovere di comportarci come tali43.

Callicott è critico anche nei confronti dell'altra scuola principale della filosofia morale, l'utilitarismo di Bentham. Benché un'etica sul modello di Bentham, basata non sulla razionalità ma sulla capacità di soffrire, sia più inclusiva della deontologia kantiana in quanto si estende a tutti gli esseri senzienti, essa è limitata in quanto si focalizza unicamente sul singolo individuo, lasciando le comunità al di fuori del suo campo. Non si può infatti dire che una comunità sia senziente allo stesso modo di un singolo essere. Per questa ragione un'etica ecologia utilitarista fallirebbe nel considerare le specie e gli ecosistemi come aventi valore intrinseco e, benché utile per la difesa di singoli animali, non sarebbe in grado di affrontare problemi come il crescente indice di estinzione delle specie animali e vegetali.

In secondo luogo, un'etica utilitarista lascerebbe fuori dal suo campo gli esseri non senzienti e la materia inorganica, che pure fanno parte integrante degli ecosistemi e della biosfera e, nelle parole di Aldo Leopold, della "comunità biotica".

Un altro punto interessante della sua tesi è il suo punto di vista su egoismo e altruismo. Callicott sostiene che la filosofia etica moderna ha posto l'egoismo come suo punto di partenza: "io ho la certezza, in quanto ego conscio di sé, di possedere un valore intrinseco e che perciò i miei interessi siano riconosciuti e 43 Ivi, pp. 177-201.

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considerati dagli altri". Il secondo passo è l'etica della reciprocità o "regola d'oro": "dal momento che anche gli altri individui avanzano le mie stesse pretese, io tratterò loro come tratterei me stesso, a patto che loro facciano altrettanto con me"44.

In realtà, osserva Callicott, l'altruismo è altrettanto fondamentale e insito nell'uomo e negli altri animali quanto lo è l'egoismo, perciò siamo portati per natura a riconoscere la presenza di valori intrinseci anche al di fuori di noi stessi45. Per sostenere ciò, egli si basa sul pensiero di Charles Darwin e David

Hume.

Come spiega Darwin nell'Origine dell'Uomo i sentimenti morali, quali per esempio l'empatia e la generosità, hanno origine nell'istinto e sono comuni a svariate specie animali, che trovano nella vita in comunità il modo migliore per sopravvivere e prosperare. Le qualità sociali di questo tipo, infatti, sono essenziali per la sopravvivenza dei membri di una specie all'interno della loro comunità e della comunità all'interno di un ecosistema competitivo. Darwin ritiene inoltre che nell'uomo questi sentimenti si siano evoluti di pari passo con la sua storia, andando via via a includere nuclei sempre più grandi: così il senso di cura e affetto dell'uomo primitivo verso la propria progenie si sarebbe estesa ad altri esseri umani, portando alla nascita di tribù e di comunità sempre più grandi, terreno per la maturazioni di sentimenti morali sempre più complessi46.

44 Ivi, p. 84. 45 Ibidem, p. 85.

46 Darwin, Charles. L'Origine dell'Uomo e la Selezione Sessuale. Traduzione di Giuseppe Montalenti, Newton Compton, 2010, Parte I, Cap V.

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2.4 - Verso il Nuovo Millennio

Dagli anni '80 a oggi abbiamo assistito a un'espansione della ricerca, delle pubblicazioni e degli insegnamenti riguardanti l'etica ecologica.

Nel 1989 è stata fondata la Società Internazionale per l'Etica dell'Ambiente (ISEE, International Society for Environmental Ethics). Molte università, specialmente negli Stati Uniti e in Europa, hanno iniziato a offrire corsi di laurea su questi temi e, a partire dagli anni '90, sono nate nuove riviste accademiche:

Environmental Values (1992), Worldviews: Environment, Culture, Religion (1997)

e Ethics, Place and Environment (1998) nel Regno Unito; negli Stati Uniti Ethics

and the Environment (1996) e Philosophy and Geography (1997).

Un'ottima panoramica degli sviluppi della filosofia dell'ambiente è stata offerta da Andrew Brennan in un articolo dal titolo What is Environmental

Philosophy?47.

Egli nota che a partire dagli anni '80 l'ambientalismo ha iniziato di occuparsi di nuovi temi: se all'inizio gli scritti vertevano soprattutto sulla preservazione delle aree naturali selvatiche in virtù del loro valore morale ed estetico, negli anni successivi l'attenzione si è spostata verso altre questioni, come il recupero delle aree degradate, l'ambiente urbano, l'impoverimento delle risorse e il loro collegamento con la povertà, la giustizia sociale e le politiche ambientali.

In questo clima di indagine sull'ambiente la filosofia dell'ambiente ha ripreso e sviluppato le ipotesi di scienziati e altri pensatori, ramificandosi e trovando collegamenti con diverse aree sociali, culturali e di teoria politica, oltre che a

47 Brennan, Andrew. “What is Environmental Philosophy?” in Encyclopedia of Environmental Ethics and Philosophy, vol. 1, a cura di J. Baird Callicott e Robert Frodeman, Macmillan Reference, 2009

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favorire la nascita di studi comparativi di vario genere. Non solo, essa ha portato nuova linfa nelle correnti filosofiche principali: “un esempio”, dice Brennan “è il dibattito sul pluralismo morale, argomento seguito vigorosamente dall'etica ambientale fin dagli anni '80 e ora riemerso come problema chiave nella filosofia morale”48.

Se però da un lato la filosofia ambientale si sta affermando sempre più all'interno delle branche della filosofia, dall'altro alcuni studiosi hanno osservato che essa è andata arenandosi su alcune questioni. Un esempio è il dibattito che vede contrapporsi coloro che credono che la natura abbia una valore soggettivo – che dipende dalla presenza di una persona che attribuisce valore – e coloro che invece ritengono che la natura abbia un valore oggettivo – indipendente dalla nostra considerazione e che quindi sarebbe ancora lì anche se la razza umana dovesse estinguersi, per esempio49.

Del resto, nelle pagine precedenti, abbiamo visto una grande quantità di opinioni che possono entrare in contrasto fra loro: l'antropocentrismo di Passmore è in aperto contrasto con l'anti-antropocentrismo di Sylvan; Callicott è critico contro l'utilitarismo che è alla base dell'etica di Singer; Regan sostiene il riconoscimento di diritti agli animali come individui, mentre Rolston riconosce che l'interesse delle specie può superare quello dei singoli individui; Taylor pone l'accento sulla vita degli organismi, mentre Leopold include anche gli elementi non organici nella comunità biotica; Jonas sottolinea che la crisi ambientale mette 48 Questa citazione, da me tradotta, proviene dalla versione online di questo articolo, liberamente

visualizzabile all'indirizzo: iseethics.files.wordpress.com/2013/01/brennan-andrew-what-is-environmental-philosophy.pdf.

49 Arne Johan Vetlesen, professore all'Università di Oslo, a tal riguardo scrive che questo dibattito ha raggiunto una soluzione di stallo che non trova via di uscita, “invitando il sospetto che il discorso sia stato organizzato attorno alle domande sbagliate”. Cfr Vetlesen, A. J. The Denial of Nature. Routledge, 2015, p.1.

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a rischio la sopravvivenza degli esseri umani, Lovelock estende questa preoccupazione alla Terra intera intesa come organismo.

Certamente questi dibattiti hanno la loro importanza: la filosofia non può (e non dovrebbe) frenarsi dal cercare il vero, anche quando ciò risulta difficile o impossibile.

Tuttavia la filosofia non è una scienza esatta e la filosofia ambientale, in particolar modo, è un sapere di tipo etico e pratico piuttosto che teoretico. Verrebbe quindi da chiedersi se le energie che i filosofi ambientali spendono a dibattere fra di loro potrebbero essere spese in maniera più proficua se fossero rivolte verso un approccio più pragmatico nei confronti dei problemi ambientali, tanto più che la crisi ecologica si configura sempre di più come un'emergenza che peggiora col passare del tempo.

Per questo motivo ho scelto di dedicare il mio lavoro di ricerca ad Arne Naess, filosofo e attivista, eremita e homo politicus.

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CAPITOLO 3. ARNE NAESS E L'E

COLOGIA PROFONDA

3.1 – Una Biografia

Prima di addentrarci nel pensiero di Arne Naess è opportuno offrire alcuni cenni biografici, non solo per questioni di completezza, ma anche perché, come vedremo, la vita personale del nostro autore sembra essere intimamente legata allo sviluppo della sua filosofia e in particolare della sua speciale “ecosofia”.

Arne Dekke Eide Naess (Oslo, 1912 – 2009), fondatore della cosiddetta "Ecologia Profonda", è considerato da molti come il più importante filosofo norvegese e un personaggio fondamentale nel campo della filosofia dell'ambiente. Conosciuto non solo per i suoi scritti ma anche come attivista, sostenitore della nonviolenza, scalatore amante delle montagne e della natura nella sua interezza, la sua personalità poliedrica e avventurosa non ha mancato di affascinare molte persone, rendendolo un personaggio beneamato non solo in Norvegia ma anche nel resto d'Europa.

Nato da una famiglia benestante, studiò filosofia all'Università di Oslo durante gli anni '30, prima di trasferirsi a Parigi e successivamente in Austria, dove frequentò il Circolo di Vienna guidato da Moritz Schlick, e a Berkeley, dove lavorò con il brillante psicologo Edward C. Tolman50.

Nel 1936 conseguì il dottorato con una tesi intitolata Erkenntnis und

wissenschaftliches Verhalten (Conoscenza e comportamento scientifico). Nel

1939, all'età di soli 27 anni, diventò professore di filosofia presso l'Università di Oslo, dove insegnò fino al 1969. Al momento dell'insediamento nella sua cattedra 50 Fox, Warwick. "Arne Naess: A Biographical Sketch", in The Trumpeter, Vol 9, n. 2, 1992.

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non era solo giovanissimo ma anche l'unico professore universitario di filosofia in Norvegia51.

Qui divenne il fulcro di un gruppo di giovani filosofi e studiosi di scienze sociali conosciuto come la Scuola di Oslo, che applicava metodi empirici per accertare il significato di termini filosofici, una forma di filosofia che Naess descrisse come "semantica empirica" (empirical semantics).

Come professore di filosofia Naess fondò le basi per una più ampia cultura filosofica in Norvegia, che prima di lui aveva attraversato un periodo di crisi da questo punto di vista. Così scrive l'enciclopedia filosofica del 1967 alla voce “filosofia scandinava”: “Ad oggi il contesto filosofico in Norvegia è determinato dal pensiero di un filosofo originale e conosciuto a livello internazionale, […] Arne Naess […], capostipite del gruppo di Oslo. […] Se è corretto affermare che la filosofia norvegese ha avuto un periodo morto, è ugualmente esatto sostenere che, in prima battuta grazie ad Arne Naess, la filosofia norvegese si trova oggi nel bel mezzo di un periodo di vitalità e crescita”52.

Egli scrisse inoltre una serie di libri di testo sulla logica formale, sulla metodologia scientifica e sulla storia della filosofia, che divennero testi base per l'università norvegese53: per quasi trent'anni gli studenti norvegesi hanno letto e

studiato il suo examen philosophicum54.

Poco prima di diventare professore Naess aveva iniziato i lavori per la costruzione di una casetta di legno, da lui chiamata Tvergastein ("Tra le pietre") 51 Krabbe, Erik C. “Arne Naess (1912-2009)”, in Argumentation. Vol 24, n. 4, 2010, pp. 527-530. 52 Hartnack, J. "Scandinavian Philosophy", in The Encyclopedia of Philosophy, a cura di Paul Edwards

Macmillan. New York 1967, vol. 7, p. 301.

53 Hannay, A. "Arne Naess (1912-2009)", in Inquiry, Vol. 52, n. 3, 2009, pp. 306-307. 54 Naess, Arne. Introduzione all'Ecologia. A cura di Luca Valera, ETS, 2015, p. 7.

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