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Legge Fornero e jobs act: come cambiano le regole per pensionati e lavoratori in Italia

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Academic year: 2021

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1 Indice

Introduzione pag.7

Capitolo 1- Evoluzione storica delle politiche previdenziali e occupazionali in Italia prima dell'avvento della legge Fornero e del jobs act pag.8

1. Evoluzione del sistema pensionistico in Italia fino al 2011 pag.8

1. I primi anni del '900 pag.8 2. Il secondo dopoguerra pag.9

3. Gli anni '70 e '80 pag.10

4. Riforma Amato pag.10

5. Riforma Dini pag.11

6. Riforma Prodi pag.12

7. Riforma Maroni pag.12

8. La riforma del 2007 pag.13

9. La riforma Sacconi pag.14

2. Evoluzione del quadro normativo sul lavoro in Italia fino al 2014 pag.14

1. I primi anni del '900 pag.14

2. La CIG pag.15

3. Legge Fanfani pag.15

4. La CIGS pag.16

5. Lo Statuto dei lavoratori pag.16

6. La crisi sociale degli anni '80 pag.18

7. La legge Treu pag.19

8. La riforma Biagi pag.19

1. Lavoro intermittente pag.20

2. Lavoro ripartito pag.20

3. Lavoro a tempo parziale pag.21

4. Apprendistato pag.21

5. Lavoro di inserimento pag.22

6. Lavoro a progetto e occasionale pag.23

7. Lavoro accessorio pag.24

8. Associazioni in partecipazioni pag.25

9. La riforma del governo Monti pag.25

1. Articolo 18 e licenziamenti pag.26

2. Ammortizzatori sociali pag.27

3. Occupazione femminile pag.28

4. I contratti pag.28

5. Partita IVA pag.29 3. Conclusioni pag.29

(2)

2

TABELLA 1: totale pensionati fino al 2011 (dati Istat) pag.31

TABELLA 2: importo lordo totale annuo delle pensioni fino al 2011 (dati Istat) pag.32

TABELLA 3: importo medio annuale dei redditi pensionistici fino al 2011 (dati Istat) pag.33

TABELLA 4: i dati sull’occupazione per sesso, fascia d’età e posizione geografica al 2014 (dati Istat) pag.34

FIGURA 1: Andamento della disoccupazione totale e giovanile in Italia (dati Istat) pag.35

(3)

3

Capitolo 2- L’ultima riforma del sistema previdenziale italiano: la legge Fornero pag.37

1. Legge Fornero: aspetti generali pag.37

1. Dalla Riforma Sacconi alla legge Fornero pag.37

2. Le novità introdotte nel sistema pensionistico dalla legge Fornero pag.41

1. Sistema retributivo addio pag.42

2. Diritti acquisiti pag.43

3. Cancellazione delle finestre mobili pag.43

4. La pensione di vecchiaia pag.43

5. La pensione anticipata pag.44

6. Coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996

pag.46

7. Prosecuzione incentivata dell’attività fino a 70 anni pag.46

8. Lavoratori esentati dalla riforma pag.46 2. I commi della legge nello specifico pag.48

1. Comma 1 -I principi pag.48

2. Comma 2- Estensione del metodo del calcolo contributivo

pag.50

3. Comma 3- Termine di vigenza delle vecchie regole e di decorrenza della nuova pensione di vecchiaia e della nuova pensione anticipata pag.50

4. Comma 4 – Pensioni AGO destinatari della riforma e incentivi al posticipo del pensionamento pag.51

5. Comma 5 – Esclusione da precedenti normative per i destinatari della Riforma pag.53

6. Comma 6 - Pensioni AGO requisiti anagrafici per ottenere la pensione pag.54

7. Comma 7 – Pensioni AGO anzianità contributiva minima per conseguire la pensione pag.55

8. Comma 8 – Posticipo del requisito anagrafico per ottenere l’assegno sociale pag.56

9. Comma 9 – Pensioni AGO età pensionabile a 67 anni dal 2021 pag.57

10. Comma 10 – Pensioni AGO requisiti per conseguire la pensione anticipata e modalità di decurtazione della rata

pag.57

11. Comma 11 – Pensioni AGO altri requisiti per conseguire la pensione anticipata pag.59

12. Comma 12 – Aggiornamento di altre norme e

adeguamento alle speranze di vita dei precedenti requisiti contributivi e anagrafici pag.60

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4

13. Comma 13 - Adeguamenti biennali all’incremento della speranza di vita dopo il 2019 pag.60

14. Commi 14, 15 – Esodati pag.61

15. Comma 15-bis - Eccezioni per il pensionamento pag.64

16. Comma 16 - Aggiornamento dei coefficienti di trasformazione in rendita pag.65

17. Commi 17, 17-bis - Addetti alle lavorazioni faticose e pesanti pag.65

18. Comma 18 - Incremento dei requisiti minimi di accesso al Pensionamento pag.66

19. Comma 19 – Totalizzazioni e ricongiunzioni pag.66

20. Comma 20 - Disposizioni per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni pag.66

21. Comma 21 - Contributo di solidarietà a carico dei pensionati dal 2012 al 2017 pag.67

22. Comma 22, 23 - Aumento delle aliquote di finanziamento e di computo per commercianti, artigiani, coltivatori e simili pag.67

23. Comma 24 - Verifica della sostenibilità delle casse dei professionisti pag.68

24. Comma 25 - Sospensione della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici per il 2012 e il 2013 pag.69

25. Comma 25-bis, 25-ter - Rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici per il 2014-15-16 pag.70

26. Comma 26 - Estensione delle tutele agli iscritti alla Gestione Separata INPS pag.70

27. Comma 27, 27-bis - Istituzione Fondo per l'occupazione giovanile e delle donne pag.70

28. Comma 28 - Commissione di valutazione per forme di accesso graduale al pensionamento e forme di

decontribuzione pag.71

29. Comma 29 - Educazione previdenziale pag.71

30. Comma 30 - Tavolo di confronto sugli ammortizzatori sociali pag.71

31. Comma 31 - Tassazione indennità fine rapporto eccedente 1.000.000 € pag.72

32. Comma 31-bis - Aggiornamento del contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro pag.72

(5)

5 3. Primi dati e previsioni future pag.72

TABELLA 1- numero di pensionati ripartiti per assegno mensile percepito dal 2012 al 2014 (ultimi dati ISTAT) pag.74

TABELLA 2 – importo lordo annuale pensioni ripartite per assegno mensile percepito dal 2012 al 2014 (ultimi dati ISTAT) pag.75

TABELLA 3- importo lordo medio annuale pensioni ripartite per assegno mensile percepito dal 2012 al 2014 (ultimi dati ISTAT) pag.76

APPENDICE – Testo di legge riforma Fornero pag.77

BIBLIOGRAFIA pag.95

Capitolo 3- Lavoro e flessibilità: il jobs act pag.96 1. L’impianto generale della riforma pag.96

1. La legge delega pag.97

2. Il decreto Poletti pag.100 2. I decreti attuativi pag.104

1. Decreto sulle tutele crescenti pag.104

2. Decreto sugli ammortizzatori sociali pag.110

3. Decreto sul riordino dei contratti pag.116

4. Decreto sulla conciliazione vita-lavoro pag.119

5. Decreto sulla riforma della cassa integrazione pag.123

6. Decreto sul riordino delle attività ispettive pag.128

7. Decreto sulla riforma delle politiche attive pag.129

8. Decreto sulla semplificazione del rapporto di lavoro pag.134

(6)

6

TABELLA 1 – Dati ISTAT sull’occupazione e sulla

disoccupazione in base alla fascia d’età dicembre 2015 pag.139 TABELLA 2- Disoccupazione totale italiana a confronto con il resto del mondo pag.140

TABELLA 3- Disoccupazione giovanile italiana a confronto con il resto del mondo pag.141

APPENDICE- Testi della legge delega n.183 del 10 dicembre 2014 e del decreto Poletti pag.142

BIBLIOGRAFIA pag.167

Conclusioni pag.168

(7)

7

INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha come oggetto lo studio della legge Fornero e del jobs act e dei riflessi che questi avranno sul sistema pensionistico e sul mondo del lavoro del nostro Paese.

L’affrontare e l’approfondire queste tematiche, che oggi sono al centro di qualsiasi progetto di sviluppo e sostenibilità del nostro Paese, è importante per acquisire maggiore consapevolezza di come stanno cambiando con l’andare del tempo questi due “mondi”. Lo sviluppo di nuove tecnologie e correnti di pensiero che si sono alternate nel tempo, hanno portato e porteranno cambiamenti con cui tutti noi dovremo fare i conti. In particolar modo, saranno i giovani, ancora una volta, la fascia su cui incideranno di più queste riforme.

Partendo dalla descrizione dei mutamenti che il sistema previdenziale e il mondo del lavoro hanno subito dai primi del ‘900 fino all’applicazione della riforma Fornero e del jobs act, sottolineandone i cambiamenti più profondi, arriveremo a studiare in maniera dettagliata: - la riforma Fornero, (art.24 del D.L. del 6 dicembre 2011 n.201) elencando i suoi principi fondanti per poi analizzare in maniera esaustiva tutti i suoi commi

- il jobs act, scomponendolo in due parti, decreto Poletti (n.34 del 20 marzo 2014) e legge delega (n.183 del 10 dicembre 2014), analizzando in seguito i decreti attuativi scaturiti dall’approvazione della legge delega da parte del Parlamento.

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CAPITOLO 1- EVOLUZIONE STORICA

DELLE POLITICHE PREVIDENZIALI E

OCCUPAZIONALI IN ITALIA PRIMA

DELL'AVVENTO DELLA LEGGE

FORNERO E DEL JOBS ACT

La pensione si definisce come rendita permanente o temporanea corrisposta agli assicurati o ai loro famigliari da parte dello Stato, o di appositi enti pubblici o privati, al raggiungimento di una determinata età e in relazione agli anni di servizio prestati, oppure al verificarsi di altre condizioni predeterminate, come il decesso o l'invalidità. Assieme alla questione lavorativa (impiego di un'energia per raggiungere uno scopo determinato), le pensioni sono da sempre argomento di discussione e conflitto sociale. Le politiche previdenziali e occupazionali fanno parte del cosiddetto welfare state (stato sociale) insieme a sanità, istruzione, e politiche assistenziali. Nel nostro Paese qualsiasi governo, di qualsiasi colore politico, ha dovuto sempre mettere mano allo stato sociale, in particolar modo alla legislazione lavorativa e previdenziale. In questo capitolo descriveremo i passaggi chiave in materia di legislazione previdenziale e lavorativa, che precedono l’applicazione della legge Fornero e del jobs act.

1.1 EVOLUZIONE DEL SISTEMA

PENSIONISTICO IN ITALIA FINO AL 2011

1.1.1 I primi anni del ‘900

La prima forma di previdenza in Italia nacque nel 1898 con la legge n.350 del 17 luglio, e dette vita alla “Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai”. Obbligatoria (inizialmente era facoltativa) tra il 1906 e il 1912 per alcune categorie (in particolare per i dipendenti del trasporto marittimo), dal 1919 lo diventa per tutti i lavoratori dipendenti.

Fu da tale cassa che con successivi interventi legislativi (1919 e del

1933) si dette vita all'istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Il sistema di assicurazione in vigore era basato sul principio della

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9 riserve, il pareggio tra entrate e uscite.

1.1.2 Il secondo dopoguerra

Dal secondo dopoguerra si avviò un processo di modificazione del sistema, contraddistinto dall'estensione della copertura alla generalità dei lavoratori e dall'incremento delle prestazioni individuali.

A causa dell'iperinflazione il sistema vigente (quello a capitalizzazione) subì una battuta d'arresto, e con la legge 218 del 1952 il legislatore introdusse il Fondo di adeguamento delle pensioni gestito a ripartizione, che si affiancò a quello a capitalizzazione.

Tra il 1957 e il 1966 presso l'INPS vennero istituiti i primi regimi pensionistici anche per i lavoratori autonomi.

Nel 1965 furono riordinate le forme di contribuzione da parte dello Stato, convogliandole in nuovo fondo sociale creato ad hoc e vennero istituite le pensioni di anzianità.

Nel 1968 fu istituito il fondo pensionistico per lavoratori dipendenti (FPLD), gestito interamente a ripartizione. Nel fondo costituito confluirono sia l'Assicurazione generale obbligatoria che il fondo di adeguamento delle pensioni. In quello stesso anno fu varata la prima legge sui prepensionamenti.

Altra grande innovazione in campo previdenziale del '68 fu l'introduzione del criterio retributivo. Le pensioni dei lavoratori dipendenti iniziarono a essere calcolate sulla base delle retribuzioni medie degli ultimi tre anni precedenti la pensione e non più su tutta la storia lavorativa. Con la legge del 30 aprile del 1969 si mise fine al sistema di capitalizzazione.

Con la stessa legge venne:

– istituita la pensione sociale ai cittadini italiani ultra sessantacinquenni sprovvisti di reddito e di tutela pensionistica,

residenti nel territorio nazionale;

– la pensione di anzianità per coloro che pur non avendo conseguito l'età pensionabile avessero raggiunto i 35 anni di

contribuzione;

– la perequazione automatica delle pensioni in base all'indice dei

prezzi al consumo;

– il perfezionamento del sistema retributivo, introducendo nella base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali e

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assistenziali, qualsiasi beneficio in denaro o in natura che il lavoratore ricevesse dal proprio datore di lavoro.

1.1.3 Gli anni ’70 e‘ 80

Negli anni settanta, segnati da una forte crisi economica a causa dello shock petrolifero, da una forte spirale inflazionistica e da deficit pubblici crescenti, ci fu un’impennata della spesa pensionistica. La legge 160 del 1975 agganciò gli importi delle prestazioni ai pensionati alla dinamica salariale dei lavoratori dell'industria oltre che all'indice dei prezzi al consumo. Successivamente, nel '76 venne esteso anche ai dipendenti statali e degli enti locali. Lo Stato aumentò l'importo degli assegni familiari e dei trattamenti minimi.

Gli anni '80 furono l'inizio della presa di coscienza che il sistema pensionistico, così com'era strutturato, non poteva reggere e che era necessaria una riforma complessiva. Nel 1981 da parte dell'INPS venivano registrati ancora saldi positivi nel FLPD. Ma dal 1985, dopo alcuni atti legislativi, tra cui prepensionamenti e regolazione della concessione della pensione d'invalidità, il saldo del fondo era per la prima volta nella sua storia negativo. Dall'86 la cadenza della rivalutazione delle pensioni passò da trimestrale a semestrale e nel 1989 si sancì la netta separazione tra assistenza e previdenza, in nome di una più efficiente razionalizzazione della spesa.

1.1.4 Riforma Amato

Nel 1992 si tentò, attraverso una riforma organica, (riforma Amato), di proseguire sulla strada del taglio della spesa previdenziale. L'omogeneizzazione tra il regime del settore pubblico e privato e la stabilizzazione della spesa pensionistica rispetto al PIL, garantendo i diritti acquisiti, furono i principi ispiratori della riforma.

Tutto ciò portò:

– all'innalzamento dell'età pensionabile (dal 1 gennaio 2000

sarebbe diventata 60 per le donne e 65 per gli uomini);

all'aumento degli anni minimi di contribuzione per la pensione di

vecchiaia (da 15 a 20);

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determinazione del requisito contributivo per la pensione di anzianità per gli iscritti nelle forme di previdenza sostitutive ed

esclusive (35 anni di contribuzione);

– alla parificazione del periodo per il calcolo della base retributiva pensionabile per il settore privato e pubblico, fino a portare

questo termine all'intera vita lavorativa;

– alla rivalutazione delle pensioni al solo indice dei prezzi al consumo calcolato dall'ISTAT e non più ai salari;

– all'aumento dell'aliquota contributiva;

– il reddito del coniuge entrò nel calcolo per ottenere la pensione

minima;

– venne deciso il blocco delle pensioni di anzianità per il 1993;

– si differenziarono le aliquote di rendimento per ogni anno di contribuzione oltre il limite del tetto pensionabile.

Come accennato in precedenza si cercò di garantire i diritti acquisiti. Venne stabilito che la quota corrispondente all'anzianità contributiva acquisita fino al 31 dicembre 1992 venisse calcolata secondo la precedente normativa, mentre la quota di pensione maturata con i contributi successivi fosse computata secondo i dettami della nuova disciplina.

1.1.5 Riforma Dini

Il '95 fu l'anno della riforma Dini, accolta come una vera e propria innovazione in campo previdenziale. La vera novità introdotta con la riforma fu il passaggio ad un sistema a ripartizione basato sul principio contributivo, con capitalizzazione figurativa. Tale principio consentì un tasso di rendimento unico per tutti i lavoratori e pari al tasso di crescita reale del PIL. Legando le rate pensionistiche al PIL, si tentava di mantenere la spesa pensionistica costante nel lungo periodo.

La riforma, oltre a eliminare le pensioni di anzianità dal 2008, prevedeva per il lavoratore la possibilità di scegliere l'età di pensionamento (fissata tra i 57 e i 65 anni).

Inoltre si decise per l'innalzamento dell'aliquota contributiva dal 27,7% al 33% per i lavoratori dipendenti e venne stabilita al 15% per

gli autonomi; che la componente assistenziale diveniva a carico dello Stato e la parte previdenziale a carico degli enti previdenziali; il blocco

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delle pensioni di anzianità per il 1995 e, infine vennero introdotte nuove norme a integrare la legislazione della previdenza integrativa.

1.1.6 Riforma Prodi

Con l'introduzione del vincolo del patto di Maastricht, nel 1997 fu varata la riforma Prodi, per contenere ulteriormente la spesa previdenziale visto che la riforma Dini non aveva fatto abbastanza in questa direzione.

I provvedimenti più importanti della riforma del '97 furono:

– l'accelerazione dell'aumento dell'età minima per il

pensionamento di anzianità;

– la temporanea sospensione dell'indicizzazione all'inflazione per le pensioni almeno 5 volte superiori al trattamento pensionistico

minimo;

– il progressivo aumento delle aliquote contributive per i lavoratori

autonomi fino al 19%;

– l'estensione della base imponibile con l'inclusione di alcune categorie di lavoratori autonomi nella categoria lavoro

para-subordinato;

– l'eliminazione di alcune regole speciali per i dipendenti della

Pubblica Amministrazione;

– il completamento del trasferimento della competenza dello Stato per quanta riguarda alcuni dei maggiori interventi assistenziali.

1.1.7 Riforma Maroni

Dal 2000 ai giorni d'oggi, il sistema pensionistico è stato modificato più volte che in tutti i decenni precedenti. Ogni governo ha operato qualche modifica, spinti da una impostazione comune: perseguire il processo di omogenizzazione delle regole, accelerando ulteriormente la

fase di transizione delle riforme precedenti; perequare le pensioni più basse e gli assegni sociali; innalzare il tasso di partecipazione alla forza lavoro delle fasce più anziane; controllare le dinamiche della spesa di

lungo periodo e completare la legislazione riguardante lo schema pensionistico privato.

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Infatti nel 2004 il governo in carica con la riforma Maroni decretò:

– l'innalzamento graduale dell'età pensionabile per la pensione di anzianità, fino ad arrivare nel 2014 a 35 anni di contribuzione e 62 anni di età o in alternativa solo 40 di contribuzione a

prescindere dall'età anagrafica;

– introdusse gli incentivi alla permanenza al lavoro, con un meccanismo che permetteva di posporre il tempo di pensionamento, sia di anzianità che di vecchiaia. Infatti il lavoratore, nonostante avesse maturato i requisiti per andare in pensione, decideva di proseguire il rapporto di lavoro, con il benestare del datore di lavoro e usufruiva di un super bonus, ovvero di un aumento del salario del 32,7% che era pari ai contributi previdenziali da versare.

1.1.8 La riforma del 2007

A seguire nel 2007 fu eliminato il cosiddetto scalone previdenziale introdotto dalla precedente riforma e furono recuperate risorse finanziarie attraverso una serie di interventi che gravavano sui soggetti iscritti nella gestione separata, per i quali aumentarono le aliquote di contribuzione. Questa riforma, ferma restando la possibilità di andare in pensione con 40 anni di contributi indipendentemente dall'età raggiunta, introdusse nel 2008 un sistema costituito dalle quote ottenute dalla somma tra età anagrafica e anzianità contributiva, che poggia su un innalzamento più graduale dell'età minima per andare in pensione. Questo sistema cambiava a seconda che si trattasse di lavoratore dipendente o autonomo. Vennero ristabilite le quattro finestre di uscita annuali (periodo nel quale il lavoratore, dopo aver maturato i requisiti per la pensione di anzianità, acquisisce il diritto al trattamento pensionistico) ridotte a due dalla riforma Maroni. Il meccanismo delle finestre venne esteso per la prima volta anche alla pensione di vecchiaia.

Infine, come accennato precedentemente, tra le linee guide seguite dai governi, vennero introdotte importanti novità a proposito dei fondi pensionistici e del metodo di calcolo contributivo. Per quanto riguarda il primo aspetto, i cosiddetti para-subordinati che non risultassero assicurati presso altre forme obbligatorie, l'aliquota contributiva per il

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2008 doveva essere pari al 24%, per il 25% dal 2009 e a partire dal 2010 veniva innalzata al 26%. Per le pensioni calcolate con il metodo contributivo, venne stabilito che il diritto alla pensione di vecchiaia spettava se il lavoratore aveva 60 anni di età (per le donne) o 65 (per gli uomini) e almeno 5 anni di contribuzione effettiva oppure almeno 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall'età.

1.1.9 La riforma Sacconi

L'ultima riforma, che fece da preludio alla legge Fornero, fu la riforma Sacconi del 2010. Con questa legge si introdussero dei cambiamenti relativi soprattutto all'età di pensionamento. A partire dal 2015 questa non sarà più fissa e certa, bensì dipenderà dall'aspettativa di vita media e fu aggiornata periodicamente tenendo conto degli andamenti demografici e dipendendo dalle revisioni delle tavole demografiche proiettate.

Venne di nuovo ritoccato il sistema delle finestre in uscita e, si introdusse la finestra mobile, detta anche a scorrimento, che fissò la decorrenza del pensionamento di anzianità o di vecchiaia dopo 12 mesi per i lavoratori dipendenti o 18 mesi per i lavoratori autonomi dal momento in cui maturavano i requisiti, con il conseguente aumento dell'età pensionabile da un minimo di 6 mesi a un massimo di 12. Una volta aperta la finestra era possibile ottenere la pensione il mese successivo all'apertura stessa. Nel 2012 entrerà in vigore la legge Fornero che scuoterà il sistema previdenziale italiano.

1.2 EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO

SUL LAVORO IN ITALIA FINO AL 2014

1.2.1 I primi anni del ‘900

Non meno movimentato è stato il percorso che ha portato dalle lotte e conquiste dei primi del 900, (passando per lo Statuto dei lavoratori e legge Biagi), alla formulazione del jobs act.

Le prime forme di aiuto alla disoccupazione nascono a fine '800 in Inghilterra. I sindacati da poco costituiti si preoccuparono di istituire un

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fondo per chi perdeva il lavoro, si trattava di un'assicurazione volontaria. Questa pratica si diffuse in tutta Europa e consentì anche di combattere le pressioni al ribasso sui salari praticate dai datori di lavoro perché i lavoratori disoccupati, sostenuti dalle casse sindacali, potevano non cedere al ricatto.

Ad inizio del '900 la crisi occupazionale mise in difficoltà queste casse, perché vi si ricorreva troppo spesso. Di conseguenza lo Stato iniziò ad occuparsene organizzando forme di assicurazioni pubbliche volontarie e sussidiate contro il rischio economico di disoccupazione. Nel 1911 in Gran Bretagna nacque su scala nazionale l’Assicurazione Pubblica Obbligatoria, che nel 1919 venne realizzata anche in Italia. L’Italia fu quindi il secondo paese europeo ad introdurre l’assicurazione obbligatoria.

1.2.2 La Cig

Nel 1945 ci fu la prima grande conquista da parte del mondo del lavoro dipendente italiano: la CIG. La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale per sostenere i lavoratori delle aziende in difficoltà economica. È un intervento dello Stato che assicura la retribuzione al lavoratore, in caso di perdita di questa o di contrazione dell'attività produttiva. La cassa integrazione guadagni è concessa alle imprese per situazioni temporanee non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori (es. crisi di mercato). Consiste in una prestazione economica a favore dei lavoratori colpiti dalla sospensione dal lavoro o dall'obbligo di lavorare ad orario ridotto. In Italia la prestazione economica viene erogata dall'Inps. L'istituto della cassa integrazione nacque nel 1945 a sostegno dei soli lavoratori dell'industria e verrà ampliato e riformato negli anni '70 con la legge 164 del 1975 e negli anni '90 con la legge 223 del 1991. È attualmente disciplinato dalla legge n.223 del 23 luglio 1991.

1.2.3 Legge Fanfani

Nel 1949 venne varata la "legge Fanfani", recante "Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati", che conteneva la disciplina fondamentale del collocamento ordinario. Questa legge disciplinava il

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sistema di intermediazione della manodopera operante per la quasi totalità del lavoro privato non agricolo (salvo i collocamenti speciali o circuiti preferenziali relativi a particolari settori, fasce sociali e categorie). La legge racchiudeva in sé i principi che per decenni reggeranno il sistema del collocamento della manodopera, sistema di cui lo Stato detenne il monopolio e che doveva garantire, nelle intenzioni del legislatore, l'oggettività delle procedure di avviamento al lavoro, svolte gratuitamente dallo Stato nell'interesse dei lavoratori.

1.2.4 La Cigs

Nel 1968 con la cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) si arrivò a completare un processo legislativo sugli ammortizzatori sociali incominciato con la CIG. Si vennero a creare due tipi di cassa integrazione: quella ordinaria e quella straordinaria. La cassa integrazione guadagni ordinaria fu riconosciuta nei casi di

disoccupazione parziale; di sospensione o di riduzione dell'attività dell'impresa per periodi transitori; crisi temporanee di mercato; eventi

non imputabili alla decisione dell'imprenditore. La cassa integrazione ordinaria corrispondeva al 80% della retribuzione lavorativa che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate. La durata massima della cassa integrazione era di 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi. In alcune aree territoriali il limite veniva elevato a 24 mesi. L'intervento della cassa integrazione straordinaria era ammessa in caso di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, di

dichiarazione di fallimento; di emanazione del provvedimento di

liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria e altri casi che potevano colpire la vita stessa dell'azienda. Potevano beneficiare della cassa integrazione straordinaria gli operai, gli impiegati ed i quadri. Erano esclusi dalla cassa integrazione straordinaria i lavoratori in contratto di formazione lavoro e gli apprendisti.

1.2.5 Lo statuto dei lavoratori

Il 1970 fu l'anno della grande svolta nel mondo del lavoro: venne varato lo Statuto dei lavoratori. Il testo dello Statuto dei lavoratori conteneva norme relative a numerose previsioni specifiche cosi

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articolate:

– un titolo dedicato al rispetto della dignità del lavoratore;

– due titoli dedicati alla libertà ed all'attività sindacali;

– un titolo sul collocamento ed in uno sulle disposizioni transitorie.

Lo Statuto sanciva, in primo luogo, la libertà di opinione del lavoratore (art. 1), che non può quindi essere oggetto di trattamento differenziato in dipendenza da sue opinioni politiche o religiose. Non può essere indagato per queste nemmeno in fase di selezione per l'assunzione. Questi passi furono messi in maggior risalto nel dopoguerra, in quanto si verificarono numerosi casi di licenziamento di operai che conducevano attività politica o che, anche indirettamente, si rivelavano militanti di forze politiche o sindacali non gradite alle aziende. L'attività lavorativa fu poi svincolata da alcune forme di controllo regolate da norme giudicate improprie e che portarono lo Statuto a formulare specifici divieti quali, ad esempio:

• divieto, per il datore di lavoro, di assegnare le guardie giurate al controllo dell'attività lavorativa dei lavoratori (secondo l'art. 2 tale figura può esercitare esclusivamente la vigilanza sul patrimonio aziendale)

• divieto d'uso di impianti audiovisivi (art. 4) e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.1

Al fine di limitare, inoltre, impropri eccessi del datore di lavoro, furono vietati accertamenti diretti da parte del datore stesso sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, delegando agli enti pubblici competenti tali accertamenti (art. 5 della visita fiscale). Si prevedevano poi appositi permessi per motivi di studio per coloro che frequentavano scuole primarie, secondarie, istituti di formazione professionale o anche università (art. 10). Di particolare interesse, oltre a tutti gli articoli del primo titolo (artt.1-13, riguardanti anche il regime sanzionatorio, gli studenti lavoratori, ecc.) fu il regime applicativo dello statuto. Sulla base di

1 La norma è ripresa dal Codice Privacy che impone la gradualità e i principi di necessità, finalità,

legittimità e correttezza, proporzionalità e non eccedenza del trattamento, nonché l'obbligo di informativa del lavoratore.

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quanto disposto dagli articoli che vanno dall' art. 18 (oggetto di tante dispute e lotte su cui torneremo nei capitoli successivi quando parleremo del jobs act) all'art. 27 e 35 dello statuto dei lavoratori (si applicano ad aziende con sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti) si affermava la tutela dell'attività sindacale ed il principio del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento.

Le disposizioni degli articoli 36 e 37 (che limitava fortemente l'applicazione dell'intero statuto nel campo dell'impiego pubblico), riducevano in maniera sensibile il numero di lavoratori che potevano usufruire delle tutele offerte dalla legge del 1970.

1.2.6 La crisi sociale degli anni ’80

Negli anni '80 in tutta Europa imperversava una profonda crisi sociale ed economica (già iniziata negli anni '70 con la crisi petrolifera) che portò ad un aumento dell'inflazione e della disoccupazione. L'Italia non fu da meno. Da questa situazione partirono le sfide a cui i vari governi europei, Italia inclusa, furono chiamati a rispondere. Le sfide erano sostanzialmente tre:

- congiuntura economica negativa; - aumento della spesa pubblica;

- trasformazioni che riguardano la struttura del mercato del lavoro.

Le linee guida adottate per risolvere queste problematiche furono quattro:

– riduzione trasferimenti monetari per il sostegno del reddito dei

lavoratori (ad es. indennità/assegni di disoccupazione);

– strumenti per ristrutturazioni aziendali come i contratti di solidarietà e il prepensionamento;

– deregolamentazioni delle condizioni di lavoro dal punto di vista

dell'entrata e dell'uscita rispetto ad esso;

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19

1.2.7 La legge Treu

In Italia solo dal 1997, a differenza degli altri governi europei, iniziarono ad essere applicate le soluzioni evidenziate precedentemente. Il pacchetto Treu (legge 24 giugno 1997 n. 196) segnò il vero e proprio inizio della flessibilità nel mondo del lavoro. La legge riconobbe una realtà già esistente da qualche anno in Italia, in quanto conteneva disposizioni che regolavano direttamente determinati istituti

(apprendistato, lavoro interinale); disposizioni sulla produzione legislativa futura; disposizioni di rinvio della contrattazione sociale.

Inoltre introdusse dal punto di vista giuridico l'istituto del tirocinio, mentre il lavoro interinale, precedentemente vietato dalla legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (“Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi”), entrò a far parte dell'ordinamento italiano del lavoro, dando di fatto l’avvio ai successivi smantellamenti di qualunque forma di diritto del lavoro positivo che non fosse proiettato verso una precarizzazione della vita lavorativa.

1.2.8 La riforma Biagi

Nel corso del 2003 furono approvati la legge e il conseguente decreto legislativo che hanno dato vita alla riforma del mercato del lavoro ispirata alle idee e agli studi del professor Marco Biagi e, che proprio in suo onore ha assunto nel linguaggio corrente il nome di “riforma Biagi”. Si tratta di provvedimenti che introdussero nuovi tipi di contratti di lavoro e che innovarono la disciplina di alcuni contratti già esistenti, andando ad incidere in particolar modo nell’area del cosiddetto lavoro parasubordinato, di cui sono precisati meglio i limiti e i caratteri distintivi rispetto al lavoro dipendente.

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20

I nuovi tipi di contratti di lavoro creati dalla legge sono:

1.2.8.1 Lavoro intermittente

Il lavoro intermittente è quello in cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro per prestazioni di carattere discontinuo. Può essere a tempo determinato o indeterminato. Il datore può obbligare il lavoratore a rispondere alla chiamata per tutta la durata del contratto, dandogli in cambio un'indennità di disponibilità (20% delle retribuzioni previste dal Contratto Collettivo Nazionale).I contributi sono legati al compenso effettivamente corrisposto, anche se questo è inferiore al minimale previsto dalla legge. É stabilita una retribuzione convenzionale per il lavoro intermittente ed il lavoratore può versare la differenza contributiva nel caso in cui abbia avuto una paga inferiore a quella convenzionale o per i periodi in cui ha percepito la sola indennità di disponibilità.

1.2.8.2 Lavoro ripartito

Con il contratto di lavoro ripartito due lavoratori si obbligano al compimento di un’unica prestazione. Ognuno di essi è quindi responsabile per l’adempimento dell’intero lavoro. I lavoratori si dividono l’orario di lavoro e possono in qualsiasi momento decidere sostituzioni fra loro e modificare la ripartizione dell’orario, ma non possono, senza consenso del datore di lavoro, farsi sostituire da terzi. Il trattamento economico e normativo di ciascun lavoratore è proporzionato alla prestazione effettivamente eseguita, a cui vanno rapportate anche le ferie, i permessi, i trattamenti di malattia, di infortunio, di malattia professionale e i congedi parentali. Il calcolo della contribuzione a favore di ciascun lavoratore va effettuato con le stesse modalità previste per il part-time

.

(21)

21 1.2.8.3 Lavoro a tempo parziale

Il contratto di lavoro a tempo parziale (nel settore privato) è quello in cui la prestazione è svolta con un orario ridotto rispetto a quello normale di lavoro, fissato dalla legge in 40 ore settimanali. Il part-time può essere orizzontale, se svolto quotidianamente con una riduzione della prestazione giornaliera di lavoro, verticale, quando la prestazione di lavoro è distribuita in alcune giornate della settimana, del mese o dell’anno, o misto, quando risulta da una combinazione dei sistemi precedenti. Sono confermati gli sgravi contributivi previsti dalla precedente legislazione. Il minimale contributivo è quantificato rapportando l’orario di lavoro settimanale effettivamente svolto a quello normale previsto dalla contrattazione collettiva. I lavoratori part-time godono in linea generale di prestazioni analoghe a quelle previste per i lavoratori a tempo pieno. Per l’erogazione degli assegni familiari è però necessario che il rapporto raggiunga almeno 24 ore settimanali, altrimenti spettano un numero di assegni giornalieri quante sono le giornate lavorate, a prescindere dalle ore lavorate nella giornata.

1.2.8.4 Apprendistato

La nuova disciplina prevede 3 tipologie di apprendistato:

• apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione

e formazione;

• apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;

• apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.

Il primo tipo, che riguarda giovani ed adolescenti di età superiore a 15 anni, ha durata non superiore a 3 anni ed è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. Il contratto di

(22)

22

apprendistato professionalizzante è finalizzato al conseguimento di una qualificazione attraverso la formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali. È riservato ai giovani fra i 18 e i 29 anni. L’ultimo tipo di apprendistato è finalizzato al conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, oltre che per la specializzazione tecnica superiore. È prevista per giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni, e la relativa disciplina è demandata alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori, le università e le altre istituzioni formative.

1.2.8.5 Lavoro di inserimento

Il contratto di inserimento sostituisce quello di formazione e lavoro, che sopravvive solo per le pubbliche amministrazioni. È un contratto a termine, di durata non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18 (solo nel caso di soggetti portatori di handicap può arrivare fino a 36 mesi). È finalizzato a favorire l’integrazione o la reintegrazione dei lavoratori mediante un percorso di adattamento delle competenze professionali, definito in un progetto individuale di inserimento, redatto con il consenso del lavoratore.

Riguarda i seguenti soggetti:

1) giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni;

2) disoccupati di lunga durata (cioè coloro che dopo aver perso il posto di lavoro o cessato un’attività autonoma, siano alla ricerca di un lavoro da più di 12 mesi, o di 6 mesi se hanno 29 anni e sono

laureati) di età compresa fra i 29 e i 32 anni;

3) ultracinquantenni che siano privi di un posto di lavoro o che

stiano per perderlo;

4) lavoratori che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che

non abbiano lavorato per almeno 2 anni;

5) donne residenti in un’area geografica in cui il tasso di occupazione sia inferiore almeno del 20% di quello maschile o in cui

(23)

23

il tasso di disoccupazione superi del 10% quello maschile;

6) persone affette da grave handicap fisico, mentale o psichico.

Sono previste agevolazioni contributive, determinate in misura differente a seconda del settore produttivo e dell’ubicazione territoriale (sono esclusi i contratti che riguardano i giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni).

1.2.8.6 Lavoro a progetto e occasionale

A partire dal 24 ottobre 2003 le collaborazioni coordinate e continuative, per essere considerate tali, dovranno essere inquadrate in un progetto, programma o per fasi di essi. Sono escluse dalla disciplina del lavoro a progetto le prestazioni occasionali, cioè quelle di durata inferiore a 30 giorni in un anno, a meno che il compenso percepito superi i 5.000 euro complessivi.

Sono anche escluse dalla nuova disciplina:

• le professioni intellettuali per le quali sia prevista l’iscrizione in

un albo;

• le prestazioni di amministratori e sindaci;

• quelle dei pensionati di vecchiaia.

cui continuano ad essere applicate le precedenti regole sulla collaborazione coordinata e continuativa. Il lavoratore può svolgere la sua attività a favore di più committenti. Gravidanza, malattia e infortunio del lavoratore non comportano la cessazione del rapporto, che rimane sospeso.

La sospensione in caso di malattia e infortunio non comporta la proroga della durata del contratto.

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24 1.2.8.7 Lavoro accessorio

Per lavoro accessorio si intende un’attività che non supera i 30 giorni nel corso dell’anno e non dà luogo a compensi superiori a 3.000 euro complessivi.

L’attività deve essere svolta nei seguenti ambiti:

1) piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa

l’assistenza a bambini, anziani, ammalati e portatori di handicap; 2) insegnamento privato supplementare;

3) piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e

monumenti;

4) realizzazione di manifestazioni culturali, sociali, sportive o

caritatevoli;

5) collaborazione con enti pubblici e di volontariato per lavori di emergenza in caso di calamità o eventi naturali improvvisi o di solidarietà.

Possono svolgere tale lavoro i soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro, o che stanno per esserne esclusi, ed in particolare:

1) disoccupati da oltre un anno; 2) casalinghe, studenti e pensionati;

3) disabili e soggetti in comunità di recupero;

4) lavoratori extracomunitari, con permesso di soggiorno, entro 6 mesi dalla perdita del lavoro.

La retribuzione avviene attraverso l’acquisto da parte del datore di buoni, al costo di 7,5 euro ciascuno, che vengono consegnati al lavoratore, il quale ne ricava un compenso di 5,8 euro netti, mentre il restante valore viene diviso nel seguente modo:

• 1 euro all’Inps a fini previdenziali;

• 0,5 euro all’INAIL ai fini assicurativi contro gli infortuni sul

lavoro;

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25

Le modalità relative all’acquisto dei buoni e alla loro trasformazione in compensi e contributi sono stabilite da un apposito decreto attuativo.

1.2.8.8 Associazioni in partecipazioni

Dal 1° gennaio 2004 coloro che, concludendo contratti di associazione in partecipazione, si impegnano per l’apporto di solo lavoro, devono iscriversi ad una apposita gestione separata istituita presso l’Inps. L’obbligo non riguarda gli associati già iscritti ad albi professionali. La tutela previdenziale per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti è garantita per mezzo di un versamento pari a quello dei commercianti, ripartito in misura pari al 55% per l’associante e al 45% per il lavoratore associato.

1.2.9 La riforma del governo Monti

L'ultimo tassello, prima di arrivare al jobs act del governo Renzi, fu la riforma del lavoro fatta dal governo Monti (28 giugno 2012, n. 92)

La novità più grossa di questa riforma del lavoro, riguardò la flessibilità in uscita, ovvero l’articolo 18. La norma sul reintegro, nella sua nuova formulazione, non si applicava più solo alle grandi aziende ma anche a quelle sotto i 15 dipendenti. Dunque, anche a tutte le PMI.

Certo, non si trattava del “vecchio” articolo 18, ma di una nuova norma che prevedeva il reintegro solo per i licenziamenti discriminatori.

Un’altra grossa novità della riforma fu l’introduzione di alcune misure pensate specificamente per le donne: divieto di dimissioni in bianco e congedo di paternità obbligatorio.

La riforma prevedeva anche cambiamenti sui contratti, sull’apprendistato, sugli ammortizzatori sociali, fra i quali come previsto rientrò la nuova Aspi, assicurazione sociale per l’impiego. Più dettagliatamente la legge prevedeva:

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26 1.2.9.1 Articolo 18 e licenziamenti

L’articolo 18 fu lo scoglio più duro da superare e anche quello su cui alla fine non si ottenne il consenso di tutte le parti (manca la Cgil). La nuova formulazione dell’articolo 18 distingueva tre forme possibili di licenziamento individuale.

I licenziamenti discriminatori (determinati da ragioni politiche, religiose, sindacali e in genere da motivazioni discriminatorie sui diritti fondamentali della persona). Questi rimanevano tutelati dall’obbligo di reintegro e, la principale novità fu rappresentata dal fatto che mentre prima l’articolo 18 copriva solo i dipendenti delle aziende sopra i 15 dipendenti, adesso il reintegro diventava obbligatorio anche nelle aziende sotto la soglia dei 15 dipendenti, quindi appunto in tutte le PMI.

I licenziamenti per motivi economici. Questi fino a quel momento erano possibili solo se riguardavano almeno cinque

• dipendenti (e seguivano le procedure dei licenziamenti collettivi), con la riforma, invece, i licenziamenti economici (ristrutturazione aziendale, crisi, e in genere motivazioni economiche) diventarono possibili anche a livello individuale, dietro il pagamento di un indennizzo fissato da 15 a 27 mensilità.

I licenziamenti per motivi disciplinari. Prima della riforma questi in pratica non erano possibili (ci voleva una “giusta causa”, senza la quale scattava il reintegro); dopo la riforma questi licenziamenti (per esempio, troppe assenze) divennero possibili, ma era il giudice, in caso di ricorso del lavoratore, a stabilire se scattava il reintegro o se invece l’azienda doveva pagare un risarcimento economico (anche qui, fra le 15 e le 27 mensilità). In sintesi, il giudice decideva per il reintegro nei casi in cui la motivazione disciplinare era inesistente (perché il fatto non è stato commesso, o perché non rientrava fra quelli previsti dai rispettivi contratti di lavoro), altrimenti disponeva l’indennizzo economico.

Tutte queste novità valevano per tutti i lavoratori, anche quelli già assunti, a partire dalla data di entrata in vigore della riforma (quindi non

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27

c’era nessun periodo cuscinetto). La riforma prevedeva anche di velocizzare i processi sui licenziamenti.

Infine la riforma prevedeva un‘indennità di licenziamento, pari a mezza mensilità all’anno per gli ultimi tre anni.

1.2.9.2 Ammortizzatori sociali

La novità più rilevante della riforma, come previsto, fu rappresentata dall’introduzione dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego). Rimasero la cassa integrazione ordinaria e straordinaria e, sparirono invece la mobilità e la cassa integrazione in deroga e, al loro posto fu creato un fondo di solidarietà per i lavoratori costretti a lasciare il lavoro a quattro anni dalla pensione (sono quelli su cui maggiormente pesa l’eliminazione della mobilità, che oggi spesso sommata alla cassa integrazione consente di arrivare alla pensione) e per i quali si prefigurava così una sorta di pensione anticipata.

-Aspi- Fu in pratica una sorta di strumento sociale universale, riguardava tutti i lavoratori che avevano almeno due anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di lavoro nell’ultimo biennio. Venne applicata anche agli apprendisti e agli artisti dipendenti, che non usufruivano fin qui degli ammortizzatori sociali. Prevedeva un assegno di un massimo di 1119,32 euro con due abbattimenti del 15%, uno ogni sei mesi. Durava un massimo di 12 mesi, e per chi aveva più di 55 anni poteva arrivare a 18 mesi. Il fondo per l’Aspi fu finanziato da imprese (tutte, anche le PMI sotto i 15 dipendenti) e lavoratori. Le aliquote contributive per quest'ultimi erano: 1,3% per i contratti a tempo indeterminato, 2,7% per gli altri contratti.

-Cassa integrazione, ordinaria e straordinaria- Queste restarono invariate. Sparì la mobilità e di conseguenza sparì anche il relativo contributo per le aziende, 0,3% della retribuzione. Ma fu previsto, soprattutto per coprire i lavoratori più vicino alla pensione, un apposito fondo per dare un contributo sociale a chi al momento del licenziamento poteva raggiungere la pensione entro quattro anni. Questo fondo sarebbe stato pagato dalle imprese.

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28 1.2.9.3 Occupazione femminile

I più importanti strumenti introdotti per favorire l‘occupazione delle donne furono due. La norma specifica contro le dimissioni in bianco, pensata per le donne a cui veniva chiesto di firmare dimissioni in bianco in vista di una possibile gravidanza, in realtà si poteva applicare a tutti i casi in cui al lavoratore (uomo o donna) veniva chiesto di firmare dimissioni in bianco.

L'altra norma prevedeva una sperimentazione del congedo di paternità obbligatorio. Questa sperimentazione, era finanziata dal ministero del Welfare.

Infine, fu previsto un monitoraggio perché la norma (già esistente) sul rispetto delle quote rosa nei consigli di amministrazione fosse rispettata e, fu anche previsto, di estendere questa norma alle società partecipate e al settore pubblico.

1.2.9.4 I contratti

In materia di contratti, le novità erano molte. Il senso generale della riforma era quello di privilegiare il contratto a tempo indeterminato. Per quanto riguardava i giovani, il contratto prevalente era l’apprendistato, oppure il contratto di inserimento per chi aveva più di 29 anni.

Una grossa novità riguardava gli stage. Questi erano possibili solo

per motivi formativi, per esempio durante il percorso di studio;

terminato il quale era possibile ricorrere solo a forme di lavoro retribuito.

Quanto ai contratti a tempo determinato, le novità erano due. La quota trattenuta a sostegno dell'Aspi maggiorata dell’1,4% poteva essere recuperata dalle aziende al momento in cui il contratto veniva eventualmente trasformato a tempo indeterminato e i contratti a tempo determinato erano possibili solo fino a un massimo di 36 mesi, dopo scattava il tempo indeterminato.

(29)

29 1.2.9.5 Partita IVA

Per scoraggiare forme di lavoro flessibile che in realtà nascondevano rapporti a tempo indeterminato, fu annunciata una novità importante per

le partite IVA; un giro di vite, in base al quale in tutti i casi in cui c’era

un contratto a partita IVA che durava da almeno sei mesi con un unico committente, scattava automaticamente il tempo indeterminato. La legge del 28 giugno 2012 n. 92, prevedeva un cosiddetto meccanismo di presunzione, per cui non era il lavoratore a dover dimostrare che, in realtà, la partita IVA nascondeva un rapporto subordinato, ma era la legge che lo presumeva direttamente, costringendo il datore di lavoro al contratto a tempo indeterminato, appunto, dopo sei mesi.

Inoltre, vennero proibite le forme di partecipazione societaria, escludendo solo i familiari: la motivazione era la stessa, spesso mascheravano rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

1.3 CONCLUSIONI

Con tutte queste riforme in Italia (specialmente dagli anni '80 in poi) si cercò in campo previdenziale di ridurre la spesa pubblica soprattutto attraverso la progressiva posticipazione dell'età pensionabile e la diminuzione dell'assegno da corrispondere alle generazioni future

attraverso un sistema di calcolo più penalizzante rispetto al passato; in

quello lavorativo venne di fatto accettato il principio della flessibilità lavorativa attraverso vari tipi di contratti che permettevano al datore di lavoro di avere le mani meno legate rispetto ai propri dipendenti, accompagnato da una sensibile riduzione del costo della manodopera. Nonostante ciò i conti previdenziali rimasero fuori controllo mentre il mercato del lavoro stentava a decollare. Per tutti questi motivi, accompagnati da una crisi che sembra attenuarsi, ma non a finire, si arriva alla progettazione della legge Fornero in campo previdenziale e del jobs act per quanto riguarda le politiche occupazionali.

Nei capitoli successivi ci occuperemo in particolare di come queste due riforme hanno rivoluzionato oggi giorno il rapporto tra lo Stato, le

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30

imprese e i lavoratori (sia pubblici che privati). Prima di passare alla loro trattazione, qui di seguito riporto alcuni dati che fotografano la situazione dell'Italia prima dell'entrata in vigore delle due leggi in questione.

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TABELLA 1-

La tabella (fonte Istat) mostra l’evoluzione

del numero dei pensionati prima dell'entrata in vigore

della legge Fornero.

Tipo dato numero pensioni

Tipologia di pensione vecchiaia e anzianità

Sesso totale

Anno 2008 2009 2010 2011

Classe di età totale

Territorio

Italia

11694363 11779260 11918522 11983837

Piemonte

1121333 1120603 1128968 1127560

Valle d'Aosta / Vallée d'Aoste

28037 28345 28710 28793

Liguria

415545 415294 414591 412800

Lombardia

2243313 2248803 2275067 2282195

Trentino Alto Adige / Südtirol

220940 223082 226174 228278 Veneto 1032790 1038586 1051064 1056397 Friuli-Venezia Giulia 302651 303819 306253 307387 Emilia-Romagna 1111645 1116546 1122812 1122695 Toscana 864186 870408 877970 881735 Umbria 196670 198659 200542 201746 Marche 341769 342119 347466 350808 Lazio 946911 959178 971489 981651 Abruzzo 241835 246205 249867 252117 Molise 58356 59456 60577 61585 Campania 684312 696120 707329 715239 Puglia 614083 622996 633946 640257 Basilicata 92264 94148 96078 97182 Calabria 280440 286880 293081 297150 Sicilia 646098 650848 663826 670734 Sardegna 251185 257165 262712 267528

(32)

32

TABELLA 2-

La tabella (dati Istat) mostra l'importo

lordo totale annuale delle pensioni in Italia fino al 2011.

Tipo dato importo lordo totale annuale pensioni (migliaia euro)

Tipologia di pensione vecchiaia e anzianità

Sesso totale

Anno 2008 2009 2010 2011

Classe di età totale

Territorio

Italia

168075412 177502061 182711211 189538817 Piemonte

16003442 16755308 17219464 17685121 Valle d'Aosta / Vallée d'Aoste

389324 414467 429331 443299

Liguria

6265905 6548409 6626035 6792689

Lombardia

32613943 34195428 35241522 36428208 Trentino Alto Adige / Südtirol

2956661 3137920 3237468 3377602 Veneto 13900883 14682016 15127437 15694430 Friuli-Venezia Giulia 4365287 4587762 4695261 4848247 Emilia-Romagna 15138085 15960202 16359721 16878323 Toscana 12221716 12906018 13208452 13689777 Umbria 2715090 2886674 2958360 3074869 Marche 4371613 4604875 4752933 4952300 Lazio 16767380 17789587 18292039 19069878 Abruzzo 3149094 3384164 3486556 3625934 Molise 694296 751294 778018 822194 Campania 9949243 10657389 11007460 11508667 Puglia 8594191 9143476 9436069 9819926 Basilicata 1142526 1234525 1277666 1336918 Calabria 3672295 3966519 4120848 4308699 Sicilia 9406470 9862137 10294086 10826026 Sardegna 3757969 4033890 4162485 4355712

(33)

33

TABELLA 3-

La tabella (dati Istat) riporta l'importo

medio annuale dei redditi pensionistici fino al 2011 in

Italia.

Tipo dato importo lordo medio annuale pensioni (euro)

Tipologia di pensione vecchiaia e anzianità

Sesso totale

Anno 2008 2009 2010 2011

Classe di età totale

Territorio

Italia

14372,34 15069,03 15330,02 15816,2

Piemonte

14271,8 14952,05 15252,39 15684,42

Valle d'Aosta / Vallée

d'Aoste 13886,07 14622,24 14954,05 15396,06

Liguria

15078,76 15768,13 15982,1 16455,16

Lombardia

14538,29 15206,06 15490,32 15961,92

Trentino Alto Adige /

Südtirol 13382,19 14066,22 14314,06 14796 Veneto 13459,54 14136,54 14392,5 14856,56 Friuli-Venezia Giulia 14423,5 15100,31 15331,31 15772,45 Emilia-Romagna 13617,73 14294,26 14570,31 15033,76 Toscana 14142,46 14827,55 15044,31 15525,95 Umbria 13805,31 14530,8 14751,82 15241,29 Marche 12791,13 13459,86 13678,84 14116,84 Lazio 17707,45 18546,7 18828,87 19426,33 Abruzzo 13021,66 13745,31 13953,65 14381,95 Molise 11897,6 12636,14 12843,46 13350,55 Campania 14539,04 15309,7 15562,01 16090,66 Puglia 13995,16 14676,62 14884,66 15337,48 Basilicata 12383,23 13112,6 13298,21 13756,85 Calabria 13094,76 13826,4 14060,44 14500,08 Sicilia 14558,89 15152,75 15507,21 16140,56 Sardegna 14960,96 15686 15844,29 16281,33

(34)

34

TABELLA 4-

La tabella riporta i dati sull’occupazione

per sesso, fascia d’età e posizione geografica al 2014 (dati

Istat sulla rilevazione della forza lavoro).

(35)

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FIGURA 1- Andamento della disoccupazione totale e

giovanile in Italia (dati Istat)

(36)

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BIBLIOGRAFIA

Articolo de ‘ Il Sole 24 ore’ (2012): ‘Il sistema pensionistico italiano e il suo futuro’

Covip (2009): ‘Evoluzione del sistema pensionistico italiano’

Carlo Dell’Arringa, Tiziano Treu, Enrico Letta (2010): ‘Le riforme che mancano’; Il Mulino edizione 2010

Dizionario di economia e finanza Treccani (2012): ‘Legge Fanfani’ Dizionario di economia e finanza Treccani (2012): ‘La CIG e la CIGS’ Documento di Confindustria (2008): ‘La legge Biagi’

Documento PMI (2012): ‘Le riforme del governo Monti’

Documento CGIL (2012): ‘Pensioni e lavoro: la riforma Monti’ Documento CGIL (2012): ‘Articolo 18 e Statuto dei lavoratori’ Documento CISL (2012): ‘Articolo 18’

Documento Uil (2012): ‘Il nuovo articolo 18’ Istat (2016): banca dati previdenza e occupazione

(37)

37

CAPITOLO 2 – L’ULTIMA RIFORMA DEL

SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO:

LA LEGGE FORNERO

2.1 LEGGE FORNERO: ASPETTI GENERALI

2.1.1 Dalla Riforma Sacconi alla Legge Fornero

Dopo la caduta del governo Berlusconi in Italia si insedia il governo Monti. Tra le tante questioni che questo si trova ad affrontare, senza dubbio una delle più spinose è la riforma del sistema previdenziale italiano. I cambiamenti finora apportati al sistema pensionistico non avevano dato i risultati sperati. L’alleggerimento dei conti pubblici era stato raggiunto solo in maniera parziale, guardando più al breve periodo che ad una prospettiva di più largo respiro. L’Europa dal canto suo aveva stretto accordi con il precedente governo per fare in modo che: - il nostro sistema previdenziale si adeguasse agli standard europei; - i conti pubblici si mantenessero dentro i vincoli comunitari.

Al momento dell’insediamento del nuovo governo la legge in vigore del sistema previdenziale italiano era la legge Sacconi di cui evidenziamo i punti salienti, i quali danno l’idea del profondo cambiamento che si abbatterà sul futuro sistema pensionistico italiano. LA PENSIONE DI VECCHIAIA: spetta al raggiungimento della somma tra l'età pensionabile, che era stata fissata dalla riforma Sacconi (Legge n. 148 del 14 settembre 2011 (Manovra-bis)) a 65 anni e dalla correzione in base all'aspettativa di vita; o per collocamento a riposo per raggiunti limiti di età e/o servizio e inoltre, come regola generale, occorre avere almeno 20 anni di contributi versati.

AUMENTO GRADUALE DELL’ETA’ PENSIONABILE A 65 ANCHE PER LE DONNE DEL SETTORE PRIVATO: così come già era accaduto nel settore pubblico, in cui nel 2010 era stato introdotto

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un percorso progressivo di innalzamento dell’età pensionabile, anche le donne che lavorano nel settore privato, siano esse lavoratrici dipendenti o autonome, secondo la riforma del 2011, sarebbero dovute andare in pensione a 65 anni. L’adeguamento era stato previsto graduale e il primo scalino sarebbe scattato nel 2014. Nel settore pubblico il requisito dei 65 anni sarebbe entrato in vigore già a partire dal 2012.

ASPETTATIVA DI VITA: incremento dei requisiti di 3 mesi nel 2013 e di ulteriori 4 mesi dal 2016 con cadenza triennale.

TABELLA A-Requisiti di età per la pensione di vecchiaia

I SISTEMI DI CALCOLO DELLE PENSIONI ERANO TRE

:

- contributivo (per chi aveva iniziato a lavorare dopo il 1995);

- retributivo (per chi al 31 dicembre 1995 aveva già maturato 18 anni di contributi);

- misto (per chi, pur avendo iniziato a lavorare prima del 1996, non aveva a quella data ancora maturato 18 anni di contributi).

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LA PENSIONE DI ANZIANITA’: i requisiti necessari alla maturazione di tale trattamento erano:

Dal 2011 al 2012:

- 60 anni di età + 36 di contributi per i dipendenti; - 61 anni di età + 36 di contributi per gli autonomi; - 40 anni di contributi.

Dal 2013 al 2015:

- 61 anni di età e 3 mesi + 36 di contributi per i dipendenti; - 62 anni di età e 3 mesi + 36 di contributi per gli autonomi; - 40 anni di contributi.

Dal 2016 al 2018:

- 61 anni di età e 7 mesi + 36 anni di contributi per i dipendenti; - 62 anni di età e 7 mesi + 36 anni di contributi per gli autonomi; - 40 di contributi.

Dal 2019 al 2021:

- 61 anni di età e 11 mesi + 36 anni di contributi per i dipendenti; - 62 anni di età e 11 mesi + 36 anni di contributi per gli autonomi; - 40 di contributi.

PER LE DONNE: era una norma sperimentale che sarebbe stata valutata entro il 2015. Le donne potevano scegliere di ritirarsi dal lavoro con i requisiti validi fino al 31 dicembre 2010 e cioè:

- 57 anni di età e 35 di contributi per le dipendenti; - 58 anni di età e 35 di contributi per le autonome.

La scelta della “scorciatoia” avrebbe comportato però il calcolo della pensione con il sistema contributivo. Il ritiro anticipato comportava la rinuncia ad una parte della pensione valutabile intorno al 25-30%.

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TABELLA B-Requisiti per il pensionamento di anzianità

per il lavoratore dipendente dopo la riforma Sacconi del

settembre 2011

TABELLA C-Requisiti per il pensionamento di anzianità

per il lavoratore autonomo dopo la riforma Sacconi del

settembre 2011

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2.1.2 Le novità introdotte nel sistema pensionistico dalla

legge Fornero

Dal 2012 la legge che regola il sistema pensionistico cambia. La legge Sacconi lascia spazio alla riforma Fornero.

Questa riforma si basa su tre pilastri:

-Equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;

-Flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche

attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;

-Adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza

di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali

La prima grande innovazione della riforma è l’estensione, su scala generale, del calcolo contributivo; secondo tale sistema più contributi si versano maggiore sarà la pensione corrisposta, indipendentemente dalla retribuzione percepita durante la vita lavorativa.

L’estensione del metodo di calcolo contributivo a tutti i lavoratori ha effetto anche su coloro che, al 31 dicembre 1995 (data discriminante per l’entrata in vigore della Riforma Dini) avevano maturato almeno diciotto anni di contribuzione e che erano stati esclusi dall’applicazione del nuovo sistema, ottenendo così il vantaggio di una prestazione pensionistica calcolata col solo metodo retributivo. A partire dal 1 gennaio 2012, invece, la loro pensione sarà calcolata col sistema pro-rata, che prevede l’applicazione del sistema retributivo per le anzianità maturate sino al 31 dicembre 2011 e di quello contributivo per le anzianità successive a tale data.

La Riforma non apporta cambiamenti nel sistema di calcolo per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 31 dicembre 1995 perché trovava già piena applicazione il sistema contributivo; anche per chi in tale data poteva vantare meno di diciotto anni di contributi il Decreto Legge n.

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201/2011 non modifica il calcolo delle prestazioni che avviene utilizzando il sistema misto.

La finalità di tale provvedimento è stata quella di equiparare il trattamento pensionistico per tutti i lavoratori al fine di raggiunge l’equità del sistema.

La seconda decisione di grande portata introdotta dalla Riforma è quella di ridefinire le tipologie pensionistiche erogate dal sistema previdenziale italiano, sia nel sistema contributivo sia nel misto; la pensione di anzianità cede il passo alla pensione “anticipata”, mentre resta in vigore la pensione di vecchiaia.

Altro elemento di innovazione è quello di incentivare la prosecuzione dell’attività lavorativa sino ai 70 anni d’età, introducendo nuovi coefficienti di trasformazione per il calcolo contributivo, che permetteranno al lavoratore che decida di continuare la sua attività lavorativa nonostante i 40 anni di contribuzione, di ottenere un assegno pensionistico maggiore di quanto possibile in passato.

Prima di analizzare nel dettaglio i commi dell’articolo 24 si riassumono qui di seguito i principali provvedimenti.

2.1.2.1 Sistema retributivo addio

A partire dal 1° gennaio 2012, le anzianità contributive maturate a decorrere da tale data vengono calcolate per tutti i lavoratori con il sistema di calcolo contributivo, che si basa sui contributi versati durante la vita lavorativa. Si distingue dal sistema di calcolo retributivo, che invece si basa sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di vita lavorativa. Pertanto, tutti i lavoratori che avrebbero usufruito di una pensione calcolata esclusivamente con il calcolo retributivo (più vantaggiosa) avranno una pensione calcolata con entrambi i sistemi di calcolo: retributivo fino al 31 dicembre 2011, contributivo dal 1° gennaio 2012.

Riferimenti

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